Elaborazione di modelli e prototipi didattico

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Elaborazione di modelli e prototipi didattico
Elaborazione di modelli e prototipi didattico-formativi
come compito della ricerca pedagogica
DANIELA MACCARIO*
Keywords: didactic model, pedagogical research, teaching.
Abstract: The article discusses the problems, theoretical and methodological bases
and operational possibilities of pedagogical research, focusing on the construction of
didactic models and prototypes. Relative to the first aspect, it is important to consider,
on the one hand, the limitations of intervention models that are elaborated without
taking the dynamic and complex character of didactic action into due consideration
(models deduced solely from communication and learning theories etc.), and on the
other hand, the expectations of teachers, who seek a theoretical-practical instrumentation that can act as a support for choices in the field. The scientific literature assigns to
deductive-educational models and devices, not just a provisional or prescriptive potential, relative to the development of didactic processes and actions, but also a function that has a hermeneutic and heuristic-reflexive character, in relation to meaning
and those criteria that influence the choices of teachers in the field. In addition, with
reference to the possibility of supporting the construction of competence in the didactic field and the development of teachers’ practical knowledge, it is possible to see a
didactic model, constructed while taking into account the features and requirements
of the action in situ, as a support instrument relative to processing personal action
and intervention schema. From the point of view of those survey methodologies to
be prioritised, it is necessary to valorise contributions generated by the protagonists’
experience, albeit within a multiplicity of knowledge sources. The essay, with its presentation of three studies, explores some research pathways that seem consistent with
the subject matters under consideration.
* Dipartimento di Scienze dell’Educazione e della Formazione Università di Torino - [email protected]
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Obiettivi e problema
L’intervento si propone di offrire elementi alla discussione dei compiti della ricerca in ambito pedagogico-didattico, con specifico riferimento all’elaborazione di modelli e prototipi didattici, intesi come schemi e dispositivi
teorico-pratici a supporto dell’azione formativa.
La presa d’atto della complessità dinamica dell’azione didattico-educativa, con la molteplicità dei fattori che concorrono a determinare le scelte “di
fatto” poste in essere da educatori ed insegnanti -non ultima la razionalità
pratica quale vera a propria forma di conoscenza dell’azione dall’interno- ha
reso i ricercatori sempre più cauti circa la sostenibilità di modelli teoricooperativi – programmi, prototipi didattici… – di origine univocamente deduttiva, elaborati a partire da teorie pedagogico-didattiche di carattere generale,
dell’apprendimento, comunicative, ecc. Spesso, infatti, proposte di tal genere
stentano a risultare congruenti con la natura dell’azione didattico-educativa,
faticano a recepirne i problemi e le logiche, rischiano, talvolta, di essere rifiutate da parte degli operatori sul campo (che dovrebbero rappresentare gli
interlocutori privilegiati) o di venire accolte con diffidenza perché accusate di
limitata aderenza ai fenomeni che pretendono di descrivere ed orientare (cfr.
Van der Maren, 2003).
D’altra parte, la molteplicità dei problemi con i quali educatori ed insegnanti sono chiamati a confrontarsi (potenziale personale e formativo di
singoli e gruppi inespresso; difficoltà di apprendimento ed insuccesso scolastico; qualità dei processi formativi deludente rispetto alle attese personali
e sociali; comunicazione educativa difficile o inefficace, ecc.) e, spesso, le
loro stesse attese, indicano, ci pare, l’opportunità, per i ricercatori in ambito
pedagogico-didattico, di un impegno diretto anche alla costruzione di un apparato di strumenti teorico-concettuali e di dispositivi operativi concepiti non
tanto con l’intento di offrire soluzioni direttamente spendibili sul campo, ma
quali strumenti di supporto all’azione, atti ad arricchire la rappresentazione
delle possibilità di intervento in situazione secondo direzioni validate sia sul
piano della praticabilità e della tenuta didattica sia sul piano della potenziale
incisività formativa.
Modelli e azione didattica
L’utilità di modelli e di dispositivi didattico-formativi, intesi come strumenti caratterizzati dal fatto di coniugare la dimensione di senso dell’impegno educativo con quella tecnico-operativa, è un elemento che, seppur con
accentuazioni differenti, possiamo considerare condiviso fra i ricercatori (cfr.
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ad.es. Baldacci, 2004; Van der Maren 2003; Damiano, 1994; De Corte, 1990;
Pellerey, 1990; Scurati, 1990). La loro funzione non risiederebbe tanto nel
potenziale previsionale e prescrittivo circa gli sviluppi e gli esiti dell’azione
didattica, ma sarebbe piuttosto di carattere ermeneutico ed euristico-riflessivo
nei confronti del significato e dei fondamenti delle scelte che insegnanti ed
educatori compiono sul campo.
La rilevanza di un impegno di ricerca specificamente finalizzato alla costruzione di modelli e prototipi può essere, tuttavia, ulteriormente approfondita e discussa nella prospettiva del supporto alla costruzione di competenza didattica ed allo sviluppo di sapere pratico riferito all’azione d’insegnamento.
Un modello didattico rappresenta un dispositivo utile nella costruzione
di competenza nella gestione dell’insegnamento soprattutto in quanto favorisce la costruzione di schemi, la cui acquisizione rappresenta un passaggio
fondamentale nei processi di professionalizzazione. Guy Le Boterf a questo
proposito osserva: «L’attività [professionale] di un soggetto non si riduce ad
una lista di azioni isolate. Queste sono organizzate secondo dei principi che le
strutturano, trovano posto nell’architettura di un processo combinatorio e di
uno schema operatorio che danno loro un senso» (Le Boterf, 2008, 81). Avvalendosi del Contributo di George Vergnaud, G.Le Boterf precisa che gli schemi
operatori intorno ai quali si struttura un’azione professionale possono essere
intesi come invariabili nell’organizzazione dell’attività riferita ad una classe
di situazioni date, tale da riguardare la struttura generale o l’organizzazione
di una azione, non l’azione in sé. Uno schema non rappresenta direttamente
l’azione quale si specifica in situazione, ma è un modello che guida l’azione
in quanto condensa elementi quali gli scopi a cui l’azione risponde, le regole
di azione, le costanti operative (concetti che consentono di selezionare le informazioni, ipotesi e relazioni considerate come vere o probabili), processi di
inferenza che consentono l’adattamento alle situazioni ed ai contesti di azione.
Tratto costitutivo e sorta di paradosso sembra il carattere dell’invariabilità
congiunto a quello adattabilità propri di uno schema: «Lo stesso procedimento
per la soluzione di problemi […] può dare luogo a metodi diversi: i principi
direttivi, le regole, i concetti chiave con i quali operiamo restano identici, ma
le tappe precise, gli strumenti utilizzati, la durata delle fasi, la composizione
del sistema di attori, possono variare secondo i contesti e le circostanze. Lo
schema (il procedimento) non varia, ma l’attività (il metodo messo in atto) si
caratterizza per la plasticità» (Le Boterf, 2008, 79) Lo schema può essere indicato anche come «un insieme di “meta-regole” che sono definite in rapporto
a una famiglia di situazioni e che permettono di costruire dei concatenamenti
di azioni per risolvere un particolare problema che emerge da questa configurazione». Dunque, il modello, assimilabile ad un procedimento generale
ritenuto utile per affrontare una classe di situazioni, sarebbe generativo del
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metodo, corrispondente quest’ultimo alla costruzione, da parte dell’attore, di
strategie che ritiene utili per affrontare la specificità della situazione tenendo
presente alcuni criteri che il modello indica come fondati e congruenti ai problemi pratico-operativi da risolvere.
Fattore di sviluppo nell’elaborazione di schemi da parte di un soggetto
sembra essere rappresentato dall’esperienza ripetuta e dall’esercizio, ma anche dalla possibilità di un confronto riflesso con modelli di azione ritenuti
pertinenti rispetto alla situazione.
Nel caso di attività di carattere professionale, la disponibilità di modelli o
schemi di azione è un problema che investe la formazione -di base e in servizio- e la ricerca che intenda farsi carico dei suoi problemi. La significatività
di uno sforzo da parte della ricerca pedagogico-didattica nella messa a punto
di modelli didattici e di prototipi, (possiamo intendere i secondi come sorta
di oggettivazione dei primi), che possano rappresentare per gli insegnanti un
supporto alla elaborazione di schemi personali di azione, va vista in una logica
di facilitazione rispetto alla lettura dei problemi e dei contesti operativi, di sostegno riflessivo per la prevenzione o il contenimento delle possibilità di errore, di facilitazione rispetto alla tempestività, fluidità, produttività ed efficacia
nell’elaborazione delle risposte che il docente deve mettere in campo.
Jean Marie Vander Maren affronta la questione dell’utilità della costruzione di modelli in didattica a partire da un’analisi delle caratteristiche della
razionalità pratica che presiede l’azione d’insegnamento e che avrebbe come
focus i processi di simulazione.
Lo studioso canadese delinea alcuni tratti propri della razionalità sottesa
all’azione, che la distinguono dalla razionalità teorica. «Il pratico riflette, non
a partire da concetti che pone in relazione logica tra di loro per esprimere giudizi o individuare leggi di carattere generale; il docente analizza la situazione
nella quale deve intervenire evocando scenari che gli consentono di anticipare
ciò che accadrà e come potrà reagire; egli ricorda una scena e il modo in cui
essa si è svolta, confrontando un caso conosciuto con quello che si presenta e
calcolando mentalmente che effetto potranno avere le diverse azioni che può
intraprendere. L’insegnante riflette mettendo prima di tutto le proprie azioni
in pensiero per scegliere e preparare quella che andrà a svolgere; per riflettere,
egli non analizza concetti come il teorico, ma compara e valuta simulazioni
di azione. Se in seguito impiega concetti, è sovente per “mettere in parola” le
proprie azioni e per giustificarle» (Van der Maren, 2003, 42). Il pensiero pratico, puntualizza J.M. Van der Maren, funziona attraverso scenari immaginari
e schemi di azione che anticipano l’azione vera a propria in situazione (ed il
piacere-dispiacere legato all’esecuzione dell’azione), si avvale di analogie o
immagini attraverso la quali confronta la rappresentazione della situazione
attuale con la rappresentazione memorizzata di altre situazioni, si declina at338
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traverso processi di trasduzione, ovvero di applicazione ad un caso di ciò che
ha funzionato in un altro caso a partire da un’analisi sommaria dei parametri
del caso (generalizzazione caso per caso), di anticipazione e calcolo strategico. La simulazione, cuore del pensiero pratico che presiede all’azione, è
possibile e favorita dalla disponibilità di un modello della situazione: esso
può essere inteso come rappresentazione generale, caratterizzata da un certo
livello di astrazione, tale da permettere di immaginare le varianti attraverso
cui la situazione può presentarsi; il modello della situazione è costituito da ciò
che può accomunare un insieme di situazioni che possono appartenere ad una
medesima categoria. Una simulazione, per essere funzionale all’azione, deve
tener conto del contesto in cui l’azione deve avvenire; un modello consente
simulazioni pertinenti se, nel riferirsi ad una gamma di azioni, consente di
tener conto delle specificità del contesto operativo.
Dunque, perché/quando può essere utile un modello didattico e si rende
necessaria una ricerca per costruirlo? Secondo Van der Maren occorre mettere
in campo uno sforzo di ricerca a sostegno delle pratiche didattiche a partire
dall’evidente indisponibilità di un modello adatto ad una classe di situazioni
d’insegnamento: un modello dovrebbe favorire l’individuazione da parte dei
docenti di soluzioni operative che si ritengono soddisfacenti per affrontare
compiti e problemi che esse pongono. In altri termini, una ricerca mirata alla
definizione di un modello didattico è auspicabile quando i suoi risultati possono offrire ai docenti principi e criteri utili a costruirsi una rappresentazione
della situazione d’insegnamento tale da poter giudicare consapevolmente che
cosa ci sia da fare per preparare l’azione e condurla.
Fonti e logiche d’indagine
Se l’elaborazione di modelli o prototipi didattici può rientrare nei compiti
di una ricerca che intenda sostenere un’azione d’insegnamento congruente
rispetto ai problemi ed ai contesti operativi, occorre interrogarsi sulle fonti
da valorizzare nel processo di costruzione della conoscenza e sulle logiche di
indagine che possono risultare più appropriate.
L’affermazione (forse più nella teoria che nelle pratiche) di modelli didattici spesso centrati su aspetti parziali rispetto alle caratteristiche dell’azione
d’insegnamento in situazione ed ai suoi problemi è un dato che la letteratura
ha messo in evidenza (cfr. Pellerey, 1990). Molti modelli didattici sembrano
costruiti su basi, se non incongruenti, spesso insufficienti per essere considerati tali ovvero per rappresentare una guida utile al docente nell’elaborazione di schemi d’azione e nei processi di anticipazione e simulazione sottesi
all’azione. Non è difficile, ad esempio, individuare proposte caratterizzate, di
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volta in volta, dal preminente o esclusivo riferimento alla psicologia del soggetto, alla natura della disciplina da insegnare, alle caratteristiche dei linguaggi e degli strumenti della comunicazione didattico-educativa, e così via. J.M.
Van der Maren spiega che, nella costruzione di artefatti didattici destinati agli
insegnanti si pone spesso un problema di scientificità nell’impiego delle discipline contributive: «se esse possono essere scientifiche nel loro campo, quale
la spiegazione dei processi mentali per la psicologia o dei fenomeni sociali per
la sociologia, è chiaro che perdono la loro scientificità se si pretende di utilizzarle per fondare le pratiche educative. In effetti, non essendo state costruite
in funzione delle condizioni che definiscono la situazione didattico-educativa,
non possono essere riferite ad essa senza neutralizzare, ignorandoli, un certo
numero di elementi costitutivi delle situazioni di insegnamento». Un discorso
scientifico sull’azione d’insegnamento non può che essere costruito e sviluppato intorno alle logiche che intrinsecamente la caratterizzano: «la razionalità
propria della ricerca pedagogica emerge da una analisi […] delle situazioni
educative, tenendo conto della loro complessità, impiegando le categorie, il
vocabolario e le immagini che i pratici impiegano quando ne parlano tra di
loro, quando si confrontano per comprenderle” (Van der Maren, 2003, 48).
Non si tratta, evidentemente, di rifiutare il contributo di quei saperi che
possono contribuire a far luce sulla complessità degli aspetti che intervengono
in un’azione didattica –da quelli psicologici, a quelli sociali, culturali e così
via..- ma, piuttosto, di non considerarli fonti esclusive e dirette per trovare risposte alle domande che il docente si pone in situazione, quando deve decidere come agire e perché, tenendo conto dei vincoli e delle risorse del contesto.
Sembrerebbe congruente, piuttosto, l’adozione di una logica di compromesso,
basata sull’idea secondo la quale, per realizzare un dispositivo teorico-pratico
che regga il confronto con le realtà dell’azione d’insegnamento, ci sia bisogno di appellarsi a più teorie, in una logica trans-disciplinare o trans-teorica,
comunque centrata sui problemi posti dalle pratiche di fatto. La costruzione
di un modello didattico richiede di ammettere una molteplicità di fonti, tutte
focalizzate sui problemi e sulle caratteristiche dell’azione in situazione: da
quelle teoriche, valorizzate in relazione alla loro capacità di offrire concetti
utili per mettere a fuoco i processi di mediazione didattica, alle analisi che
scaturiscono dall’osservazione diretta dei contesti operativi, possibilmente secondo la prospettiva interna che è propria degli attori.
La via privilegiata per costruire un sapere sull’insegnamento coerente con
l’oggetto, vale a dire con l’azione che avviene in precisi contesti, sembra, in
definitiva, l’attivazione di un processo di teorizzazione delle pratiche a partire
dalla pratiche, in cui il nucleo fondamentale sia rappresentato, -una volta tratteggiati i temi ed i problemi iniziali e le eventuali ipotesi-guida individuate a
scopo orientativo-, dal passaggio dalla descrizione delle azioni, dal punto di
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vista e secondo la logica degli attori, in riferimento ai contesti ed alle situazioni operative (per lo più cercando di fissarne “tracce” ritenute attendibili
perché in grado di restituirne complessità, dinamicità, significati), alla presa di distanza dalle azioni ed all’interrogazione delle ragioni ad esse sottese,
con i punti di forza e le criticità (Damiano, 2006; Van der Maren, 2003; cfr.
Maccario, 2009a). Secondo questa logica, il ruolo del sapere teorico è quello
di strumento utile per far luce sui problemi e sui processi allo studio, colti il
più possibile nella prospettiva degli attori: all’avvio della ricerca, la definizione del quadro teorico non serve a fissare i confini dell’oggetto e le direzioni
osservative, né a predeterminare in maniera rigida le direzioni della ricerca;
la letteratura scientifica consente, piuttosto, di tratteggiare contorni, talvolta
sfumati o in chiave ipotetica, degli elementi costitutivi dell’azione didattica
che si vogliono approfondire; in seguito, durante il processo di osservazione/
descrizione/comprensione dei fenomeni, le teorie ed i concetti scientifici a
disposizione rappresentano una risorsa nella misura in cui riescono ad offrire
chiavi di lettura utili per mettere i processi studiati in parola e/o in quanto indicano una linea teorico-concettuale oltre la quale è necessario spingersi con
la costruzione di nuove conoscenze.
Tre studi
Si prospettano, attraverso la presentazione di tre studi, alcune possibilità
operative della ricerca impegnata sul fronte della costruzione di modelli e prototipi didattico-formativi condotta secondo gli orientamenti generali sopraindicati.
Tra le fasi che sembrano salienti, si individuano: la costruzione di un gruppo di ricerca composito ricercatore/i-docenti/attori, questi ultimi operanti in
famiglie di contesti o di ambiti ritenuti rappresentativi dei problemi ai quali
si vuole rispondere con la costruzione del modello o prototipo; la validazione
nel gruppo di ricerca del problema e degli obiettivi d’indagine, in termini di
esigenze di modellizzazione didattico-formativa; la ricognizione, a cura del ricercatore, la condivisione e validazione nel gruppo di ricerca della congruenza
del quadro teorico di sfondo con i problemi allo studio; l’elaborazione di una
ipotesi iniziale di modello o prototipo didattico e l’impiego diretto sul campo,
ad esempio secondo la logica dello studio di caso incrociato (Denzin e Lincoln, 2005), con l’individuazione di un certo numero di casi funzionali (Stake,
2005), o con il ricorso a catene valutative (Van der Maren 2003); la rilevazione di informazioni ritenute significative per verificare la tenuta in situazione,
l’impatto sulle pratiche e sui loro esiti mediante strumenti possibilmente diversificati, per consentire il confronto e possibilmente la triangolazione dei
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dati; l’analisi e la validazione congiunta tra ricercatori e operatori dei risultati
della sperimentazione, con la definitiva messa a punto del modello.
Nella tabella che segue, rendiamo conto in forma sinottica dei percorsi seguiti nei tre studi in questione -Progetto Teleintendo (Dipartimento di Scienze
dell’Educazione e della Formazione Università di Torino- Rete Scuole Teleintendo -Centro di produzione RAI di Torino, 2001-2006; Maccario, 2011),
Progetto Fenix (Dipartimento di Scienze dell’Educazione e della Formazione
Università di Torino, 2008-2010; Maccario, 2009b), Percorsi di formazione
on-line per insegnanti (Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, 2009-2010)- allo scopo di mettere in evidenza, in chiave comparativa e
critica, la declinazione operativa delle fasi di ricerca.
MODELLO/ PROTOTIPO
Progetto Fenix
Progetto Teleintendo
Percorsi di formazione
on-line per insegnanti
Obiettivi della ricerca
Definizione
di
un
modello didattico a
partire dal Progetto
Fenix (Coggi, 2009),
programma formativo
costituito da software
ludico-didattici di contenuto scolastico finalizzati al potenziamento
cognitivo e motivazionale di alunni (scuola
primaria) in difficoltà,
attraverso
modalità
auto-formative (laboratorio informatico Fenix
con fruizione facilitata
dal docente).
Validazione/
affinamento del modello didattico Teleintendo
(Zucchi, 2005), finalizzato a promuovere
esperienze di uso educativo della televisione
a scuola basate sulla
fruizione e sull’impiego in chiave critica da
parte degli alunni del
linguaggio televisivo.
Elaborazione di un modello per la formazione
on-line rivolto agli insegnanti della scuola secondaria di primo grado su problemi-chiave
della pratica didattica
(http://www.fondazionescuola.it/magnoliaPublic/ita/formazione.
html)
Problema
Provare la possibilità
di integrare i materiali
messi a punto nell’ambito del Progetto Fenix
nella didattica corrente,
quale strumento di supporto alla personalizzazione didattica, in una
logica di valorizzazione
del potenziale formativo di tutti gli alunni;
individuare criteri per
la gestione della classe
da parte dell’insegnante
con l’ausilio del materiale Fenix.
Promuovere la diffusione di pratiche di educazione all’immagine
televisiva integrate nella didattica scolastica
corrente secondo criteri
di congruenza rispetto
ai criteri di lavoro contestuali, di sistematicità
e continuità nell’ambito
dei percorsi formativi
previsti per gli alunni
della scuola primaria
e secondaria di primo
grado.
Mettere a disposizione
degli insegnanti materiali di autoformazione su problemi-chiave
della pratica didattica
liberamente fruibili e
finalizzati a promuovere in forma individuale
e, possibilmente collettiva, riflessione sulla
pratiche didattiche ed
eventuale cambiamento
nelle conoscenze, rappresentazioni, azioni riferite alla propria esperienza d’insegnamento.
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Risultato atteso
Strategie della prova
sul campo del prototipo
Elaborazione di una
guida di supporto per
gli insegnanti all’impiego del materiale Fenix
come strumento utile
alla
differenziazione
della didattica, in una
logica di promozione
del successo formativo
di tutti gli alunni.
Individuazione dei criteri operativi rivolti ai
docenti per la progettazione e gestione di
percorsi di educazione
all’immagine televisiva
nella scuola primaria
e secondaria di primo
grado.
Costruzione di percorsi
di autoformazione online rivolti ad insegnanti e gruppi di insegnanti
della scuola secondaria
di primo grado.
Studio di caso incrociato (Denzin e Lincoln,
2005) con individuazione di casi funzionali
(Stake, 2005).
Studio di caso incrociato (Denzin e Lincoln,
2005) con individuazione di casi funzionali
(Stake, 2005).
Catene valutative (Van
der Maren 2003).
Diario narrativo; intervista di esplicitazione;
focus group.
Documentazione didattica spontanea; diario
di bordo; osservazione
diretta in aula (videocamera a postazione
fissa ed osservatore partecipante); interviste a
bassa strutturazione.
Questionario
aperto;
questionario strutturato;
forum on-line; documentazione dell’attività
auto- formativa svolta
(elaborati individuali);
focus group.
Analisi del contenuto
(teorizzazione ancorata)
Analisi del contenuto
(teorizzazione ancorata).
Analisi del contenuto;
analisi quantitativa.
Strumenti di rilevazione
Modalità di analisi del
materiale
Conclusioni
Varie sono le considerazioni che si possono proporre se si accetta di includere sistematicamente fra i compiti della ricerca pedagogico-didattica la
costruzione di modelli e prototipi di supporto all’azione dei docenti.
Sulla base delle esperienze condotte, ci limitiamo ad indicare alcuni aspetti
che sembrano particolarmente critici.
In primo luogo, è da segnalare la necessità di creare condizioni stabilmente
adatte a favorire la collaborazione tra ricercatori ed attori. Modalità mirate
di organizzazione della ricerca in ambito pedagogico-didattico, inclusione e
valorizzazione di compiti di ricerca nella professionalità di educatori ed insegnanti, interazione stabile da parte dei ricercatori accademici o “di professione” con i contesti educativo-formativi e con i professionisti sul campo sono
questioni che richiedono di essere discusse.
Più in generale, sembra opportuno approfondire lo studio dei problemi di
ordine epistemologico e metodologico. Scelte quali la definizione del disegno della ricerca, l’attribuzione dei ruoli a ricercatori di professione ed attori,
l’individuazione dei dispositivi per la rilevazione dei dati e delle strategie di
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The future of the pedagogical research and its evaluation
elaborazione esigono un’analisi prima che di carattere tecnico-operativo, in
relazione alla congruenza con i problemi e gli oggetti d’indagine.
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