Rinascimento nel Duomo: il Ciborio e il Battistero del Duomo di Lucera

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Rinascimento nel Duomo: il Ciborio e il Battistero del Duomo di Lucera
Gaetano Schiraldi
Rinascimento nel Duomo: il Ciborio
e il Battistero del Duomo di Lucera
di Gaetano Schiraldi
I.
Una Custodia Eucaristica Rinascimentale:
il Ciborio del Duomo di Lucera1
L’opera diligente ed attenta, nella solita sensibilità dei Lions Club di Lucera,
restituisce alla cittadinanza, dopo l’inestimabile restauro del Crocifixus dolorosus
del nostro Duomo, un’opera scultorea di grande valore artistico, quale è il Ciborio
rinascimentale; ma non dimentichiamo che questa opera ci è ridata sia per la sua
preziosa valenza nel campo dei beni culturali della nostra città, sia come oggetto di
meditazione e contemplazione. Non possiamo non ammirare un’opera del genere,
senza essere protagonisti di una certa elevazione spirituale e metastorica, per il
suo valore cristologico in quanto il Cristo supera le barriere della storia ed entra
nell’oggi dell’uomo.
La custodia eucaristica nei secoli
Prima di passare a trattare del Ciborio del nostro Duomo, è bene fornire
delle notizie storico-liturgiche circa la genesi e l’evoluzione del concetto e della
struttura del ‘ciborio’, in quanto tale.
Il ciborio, dal latino ciborium, o tegurium, o tiburium, tecnicamente ed
artisticamente è quel baldacchino che s’erge sull’altare e che un tempo era molto
diffuso nelle basiliche di epoca costantiniana. Il ciborio, allora, ‘è una creazione
originale cristiana, per esprimere nel campo costruttivo la sovraeminente dignità
e importanza liturgica dell’altare’2. Esso richiamava, in maniera intelligente,
l’attenzione dei fedeli sull’altare del sacrificio e sul tabernacolo eucaristico.
1
Relazione tenuta presso il Circolo Unione di Lucera il 14 aprile 2007 in occasione della conclusione dei
restauri effettuati al Ciborio rinascimentale del Duomo di Lucera dai Lions Club.
2
I. BRAUN, Der christliche Altar, II, Münster 1932, p. 271.
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La realtà del ciborio del Duomo di Lucera è completamente differente da
quella descritta. Infatti, nella nostra cattedrale vi è il ciborio, ma di fatto è solo un
tabernacolo. Il termine, allora, non fa riferimento unicamente alla struttura che
sovrasta gli altari, ma anche al luogo dove si conserva il SS. Sacramento, il Cibo di
vita eterna. Si è spinti, dunque, a sostenere, a buon ragione, che il termine ciborio,
possa essere anche sinonimo di tabernacolo3.
Il ciborio o tabernacolo4 serviva per la conservazione della SS. Eucaristia.
Il canone 13 del concilio di Nicea, celebratosi nell’anno 325, poneva in
risalto l’importanza di non lasciare i moribondi senza del viatico eucaristico5. Ciò
potrebbe indicare che l’Eucaristia già d’allora venisse conservata.
Un dato del genere ci è fornito, pure, da san Giustino, il quale, a proposito della
celebrazione eucaristica, scrive: «Dei cibi su cui si è pronunciato il ringraziamento
segue la divisione e la distribuzione a ciascuno e per mezzo dei diaconi si mandano
a coloro che non sono presenti»6.
Un dato simile lo troviamo in sant’Ireneo, quando scrive a papa Vittore:
«A queste affermazioni, Ireneo aggiunge poi una considerazione che mi
sembra opportuno riferire; eccola: “Tra loro vi furono anche i presbiteri
anteriori a Sotero che guidò la Chiesa che tu governi ora, cioè Aniceto, […]
che non osservarono essi stessi (il quattordicesimo giorno) né imposero (la
sua osservanza) a coloro che li seguivano, […] ciononostante l’osservarlo
costituiva una divergenza ancora maggiore per coloro che non l’osservavano. E non allontanarono mai nessuno per questa regione, ma anzi quegli
stessi che non l’osservavano, (vale a dire) i presbiteri che ti hanno preceduto, inviavano l’Eucaristia a quelli delle diocesi che l’osservavano”»7.
Un altro elemento che richiama lo stesso tema, risale alla metà del III
secolo. Serapione d’Alessandria, moribondo, ricevette l’Eucaristia dalle mani di un
giovanetto, mandato dal presbitero. Riportiamo il testo, il quale si corona di una
particolare edificazione spirituale.
3
A tal proposito, ci piace riferire un’ipotesi formulata dal prof. Alberto Bellucci, cultore di storia locale, il
quale asserisce che il tempietto, che attualmente sovrasta il Battistero del Duomo di Lucera, un tempo s’ergeva probabilmente a custodia e decoro del nostro Ciborio. L’ipotesi, però, resta ancora da documentare.
4
Per ulteriori informazioni circa il ‘tabernacolo’, cf. M. RAIBLE, Der Tabernakel einst und jetz, Freiburg
1908; E. MAFFEI, La réservation eucharistique jusqu’à la Renaissance, Bruxelles 1942; W.H.FREESTONE, The
Sacrament reserved, London 1917; L. KÖSTER, De custodia SS. Eucharestiae, Romae 1940; J.P. VAN DIJK, The
myth of the Aumbry, London 1957. Per un’ulteriore e più aggiornata rassegna bibliografica cf. M. FUMAGALLI, Tabernacolo, «Iconografia e arte cristiana», II, a cura di R. CASSANELLI- E. GUERRIERO, Cinisello Balsamo
2004, p. 1321.
5
C. NOCE, Concilio di Nicea (325), in I canoni dei Concili della Chiesa antica. I. I Concili greci [Studia
Ephemeridis Augustinianum 95], a cura di A. DI BERARDINO, Roma 2006, p. 27.
6
GIUSTINO, Prima Apologia, in Gli Apologeti greci [Collana Testi Patristici (=CTP) 59], a cura di C. BURINI, Roma 1986, p. 148.
7
EUSEBIO, Storia ecclesiastica/1 [CTP 158], Roma 2001, p. 302.
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«Ti esporrò solo questo esempio che è giunto fino a noi. C’era tra noi un certo
Serapione, un vecchio credente, vissuto a lungo in maniera irreprensibile, ma
che cadde nella tentazione. Quest’uomo aveva spesso invocato (il perdono dei
peccati), ma nessuno gli badava, perché egli aveva sacrificato. Essendosi ammalato, rimase per tre giorni di seguito senza conoscenza e senza poter parlare. Il
quarto giorno, essendosi un po’ ripreso, mandò a chiamare il nipote e gli disse:
“Fino a quando mi ostacolerete, figliolo? Vi prego, fate in fretta, vi supplico,
assolvetemi al più presto. Chiamami un presbitero”. Dopo aver detto queste
cose, perse nuovamente la parola. Il ragazzo corse dal presbitero: era di notte e costui era ammalato. Egli non potè andare; d’altra parte poiché io avevo
ordinato di assolvere coloro che stavano morendo, se lo avessero chiesto e,
soprattutto, se l’avessero implorato anche in precedenza, affinché morissero
nella speranza, (il presbitero) diede al ragazzo un pezzetto dell’Eucaristia, orinandogli di bagnarlo bene e di introdurlo nella bocca del vecchio. Il ragazzo
ritornò portando con sé (l’Eucaristia) e, quando fu vicino, prima ancora che
fosse entrato, Serapione rinvenne di nuovo e gli disse: “Sei tornato, figliolo?
Il presbitero non è potuto venire, ma fa in fretta ciò che ti è stato ordinato
e lasciami morire”. Il ragazzo inumidì nell’acqua (il pezzetto d’Eucaristia) e
contemporaneamente glielo introdusse in bocca ed egli, dopo averne inghiottito un po’, subito rese l’anima»8.
Dalla lettura di questi brevi testi patristici possiamo eventualmente supporre
che l’Eucaristia era conservata anche presso i presbiteri, oltre che nel luogo sacro.
La semplice presentazione di queste testimonianze patristiche non vuole
affatto affrontare l’ampia ed aperta questione che riguarda la conservazione
dell’Eucaristia nelle case dei cristiani.
Un certo numero di studiosi sostengono che, il pane custodito dai cristiani
nelle loro abitazioni fosse proprio l’Eucaristia. Noi, distaccandoci radicalmente da
essi, seguiamo la linea secondo cui l’Eucaristia era custodita per gli infermi presso il
presbitero o il diacono, i quali la conservavano in un luogo certamente sacro. Allo
stesso tempo, condividiamo in pieno che, coloro i quali portavano con se, nella propria
abitazione, il pane eucaristico, non portavano altro che un semplice pane benedetto e
non l’Eucaristia. Il gesto di portare a casa questo pane benedetto assumeva, dunque,
non l’aspetto di un sacramento, bensì di un semplice sacramentale.
La conservazione dell’Eucaristia è attestata in Africa, da Tertulliano9 e Cipriano10; a Roma da Ippolito11.
8
IDEM, Storia Ecclesiastica/2 [CTP 159], Roma 2001, p. 78.
TERTULLIANO, Alla consorte [CTP 128], in Alla consorte. L’unicità delle nozze, a cura di L. DATTRINO,
Roma 1996, p. 99; cf. anche IDEM, De Oratione 19, in Corpus Christianorum Latinorum, I, a cura di G.F.
DIERCKS, Turnhout 1954, pp. 255-274.
10
CIPRIANO, Gli Apostati della fede [CTP 175], in Trattati, a cura di A. CERRETINI, Roma 2004, pp. 220-221.
11
PSEUDO-IPPOLITO, Tradizione Apostolica [CTP 133], a cura di E. PERETTO, Roma 1996, p. 136. Per ulteriori informazioni sulle discussioni sorte circa la Traditio Apostolica cf. l’ottima sintesi di M. SIMONETTI,
Roma cristiana tra vescovi e presbiteri, «Vetera Christianorum», 43 (2006), pp. 5-17, part. pp. 14-17.
9
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Le prime notizie concernenti la conservazione dell’Eucaristia in un luogo
sacro si possono riscontrare nelle Costituzioni Apostoliche, in cui si ammoniscono
i diaconi di portare gli avanzi delle specie consacrate in un luogo chiamato
Pastoforio12.
Nelle chiese d’Oriente la custodia per la SS. Eucaristia era sistemata al lato
dell’altare, verso mezzogiorno.
In Occidente, invece, il luogo di conservazione dell’Eucaristia assunse il nome
di secretarium o sacrarium. Le chiavi erano conservate dai diaconi, cioè i diretti
responsabili dell’amministrazione della Eucaristia. A tal proposito, Prudenzio
tessendo le lodi diacono san Lorenzo diceva: «Claustris sacrorum praeerat, coelestis
arcanum domus fidis gubernans clavibus, votasque dispensans opes»13.
Nei secretarium era sistemato un conditorium, cioè un armadio dove si
custodiva la capsa eucaristica. Questo di fatto è il primo tabernacolo.
Cipriano ci informa sull’usanza dei cristiani di conservare in casa l’Eucaristia:
questa, posta in un lino bianco, veniva conservata in un cofanetto (arcula), e posta
in un armadio.
Nel VI secolo, Mosco (+620) parla di un giovane servo che, secundum
provinciae consuetudinem, die sancta Coena dominicae, sumptam communionem
involvit in linteo mundissimo et in armadio reposuit14.
Tale usanza, in Occidente, si conservò fino al IX secolo. In questo periodo fu
emanata l’Admonitio synodalis, la quale concesse la possibilità di tenere sull’altare
la pisside con l’Eucaristia, per il viatico agli infermi. L’Admonitio non parla di un
armadio, in cui era conservata l’Eucaristia, ma si può supporre la presenza di un
luogo ove, per motivi di sicurezza, si conservava15.
Guglielmo Durando fu il primo a parlare di un vero e proprio tabernacolo.
Infatti, egli accenna ad un luogo, detto propitiatorium, collocato super posteriori
parte altaris, dove era custodita la pisside16. Lo stesso autore ci fornisce un
altro elemento interessante: non tutte le chiese avevano adottato questa stessa
modalità per la custodia della SS. Eucaristia. A quanto pare simile metodo
di conservazione della Eucaristia fu adottato da alcune chiese della Francia e
dell’Italia.
Dopo l’anno Mille si svilupparono varie modalità di conservazione delle
sacre Specie.
12
M. RIGHETTI, Manuale di storia liturgica. I. Introduzione generale, Milano-Genova 1945, pp. 435-436.
Idem, p. 436.
14
Idem.
15
Idem, p. 437.
16
G. DURANDO, Rationale Divinorum Officiorum, Roma 2001, lib. IV, I, 15.
13
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Si pensa al propitiatorium17, la sacristia18, la colomba eucaristica19, i tabernacoli
murali20, le edicole del Sacramento21.
Solo nel XVI secolo, per iniziativa del vescovo di Verona, Gian Matteo
Giberti, l’Eucaristia si conservò in un tabernacolo posto sull’altare. È anche vero,
però, che già nel XIV secolo a Venezia nel dossale di san Tarasio della chiesa di san
Zaccaria si associò il tabernacolo all’altare22.
La stessa consuetudine era adottata, pure, dagli Eremitani di Sant’Agostino.
Infatti, nelle loro Ordinationes, redatte sotto Alessandro IV (1254-1261),
scrivevano: «Corpus Christi per omnia loca nostra super altare maius, in ciboriis
cum pissidibus eburneis vel alias de materia pretiosa, seris utrisque firmatis, in
parvo numero vel modica quantitate, panno mundissimo involtum, volemus
conservari»23.
Il Ciborio del Duomo di Lucera
La modalità di conservazione eucaristica che a noi particolarmente interessa
è quella dei tabernacoli murali.
Queste strutture ebbero un grande sviluppo soprattutto nel secoli XIV e XV,
17
Un cofanetto in cui era custodita la pisside contenente le Sacre Specie. Tale modalità fu raccomandata,
pure, dal Concilio Lateranense (1216) e si deliberò che fosse chiuso a chiave, per motivi di sicurezza.
18
Molte chiese continuarono a conservare l’Eucaristia nelle sacristie, cioè nel secretarium. A Milano l’Ordo ambrosiano di Beroldo del XII secolo rendeva noto che, il venerdì santo, Archiepiscopus communicat se i
secretario cum omnibus presbyteris et diaconibus et subdiaconibus (Beroldus sive Eccl. Ambrosianae Mediolanensis kalendarium et Ordines, a cura di M. MAGISTRETTI, Milano 1894, p. 108). Solo ai tempi di san Carlo
Borromeo, il tabernacolo fu trasferito dalla sacrestia all’altare. Nel 1311, un sinodo di Ravenna diede la possibilità ai sacerdoti di scegliere il luogo per la conservazione dell’Eucaristia: la chiesa o la sacristia (J.D. MANSI,
Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. 25, Graz 1961, coll. 454). In altre chiese, soprattutto
in Francia, si creava nel sacrario eucaristico un oculus, perché il fedele possa vedere all’interno (A. PHILIPPE,
Les armoires eucharistiques dans l’Est de la France, in Bull. Mon., 1924, pp. 103-126).
19
Si trattava di un vaso, che già dal V secolo era utilizzato nei battisteri per conservare il crisma. Nel XI
secolo fu optato per la custodia del SS. Sacramento. La colomba recava sul dorso una cavità col coperchio a
cerniera, in cui si inseriva la pisside con una o due particole. Essa veniva fissata in un piatto e, a sua volta in
un piatti più grande, dal cui orlo pendevano le catenelle che la mantenevano sopesa. Era ricoperta da un velo
bianco come un conopeo. Quello della colomba eucaristica fu un sistema adottato maggiormente in Francia
ed in Inghilterra, e molto raramente in Italia. In Puglia un esempio di colomba eucaristica è possibile notarlo
nella chiesa del Santo Sepolcro di Barletta.
20
Si tratta di un sistema molto diffuso in Italia e Germania, affermatosi nell’architettura religiosa dopo il
XIII secolo. Esso era sistemato al fianco dell’altare in cornu Evangelii, o nel coro. In un armariolum (armarium, finestra, sacrarium) chiuso con la chiavetta veniva conservata la pisside contenente l’Eucaristia.
21
Erano modalità utilizzate prettamente nell’Europa settentrionale (Germania, Paesi Bassi, nord della
Francia). Le edicole erano delle costruzioni monumentali, a forma di torre, erette vicino all’altare, in cui,
appunto, si custodivano le ostie consacrate.
22
BRAUN, Der Christliche Altar, II, p. 633.
23
J.P. VAN DIJK, The myth of the Aumbry, London 1957, p. 50.
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man mano che si andava sempre più diffondendo ed affermando il culto eucaristico
in Occidente.
L’arte gotica e rinascimentale pensò presto di decorare la parete che
circondava il tabernacolo di pietra.
Molte opere d’arte, di questo genere, si espansero, in modo speciale, nel ‘400.
Possiamo notare, infatti, molte decorazioni; si vedono angeli in adorazione, il Cristo
che esce dalla tomba, per esprime che nell’Eucaristia c’è la realtà del Cristo glorioso;
oppure il Cristo denudato, dalle cui piaghe esce del sangue che finisce in un calice, ad
indicare che il mistero eucaristico è un prolungamento della divina incarnazione.
Solo dal XVII secolo questi cibori hanno mutato la loro originaria funzione:
da tabernacoli passarono a svolgere un ruolo di custodia per gli Olii santi. Lo stesso
è stato per il nostro Ciborio. Infatti, sulla porticina dell’antico tabernacolo sono
state incise le lettere O e S, che stavano ad indicare gli Olii Santi.
La diocesi di Lucera-Troia conserva tesori di grande valore artistico, che,
grazie all’opera di sensibilizzazione messa in atto dall’Ufficio dei Beni Culturali
della stessa Diocesi, diretto da mons. Luigi Tommasone, e con l’accompagnamento
di una ampia e preziosa produzione scientifica24, si stanno riscoprendo e
valorizzando.
I Cibori nella diocesi di Lucera-Troia sono molto pochi. Oltre a quello
conservato nella Basilica Cattedrale di Lucera, di cui stiamo trattando, vi è uno
nella chiesa parrocchiale di san Giovanni Battista di Lucera25 e un altro nella chiesa
matrice di Castelnuovo della Daunia (1532)26.
Vari autori locali accennano alla bellezza del Ciborio di Lucera. ‘Fiorito
sacrario rinascimentale di deliziosa eleganza decorativa, specialmente nelle figure
degli angeli spiranti gentilezza e candore’27; ‘la scultura più bella e più rilevante
della nostra Cattedrale rifulge nel Ciborio’28; ‘un ciborio rinascimentale che per
armonia e grazia ricorda l’arte dei migliori artisti fiorentini’29.
24
Si vedano le interessanti pubblicazioni G. BORRACCESI, Gli argenti della Cattedrale e del Museo Diocesano di Lucera, Foggia 2003; G. BORACCESI-M.P. PETTINAU VESCINA, Il Tesoro della Cattedrale di Volturara e
della sua ‘Chiesa Badiale’ di S. Bartolomeo in Galdo, Foggia 2002; G. BORACCESI, Il Sole Eucaristico. Ostensori d’argento nella diocesi di Lucera-Troia, Foggia 2004; D. D’AMICO (a cura di), Dal torchio alla rinascenza.
Il patrimonio cinquecentino della Biblioteca del Seminario vescovile di Lucera, Foggia 2007.
25
Si tratta sicuramente di un’opera rinascimentale, di fattura molto più grezza di quella utilizzata per la
realizzazione del ciborio conservato nel Duomo di Lucera. Si può anche leggere la seguente iscrizione: «LEONARDO DEL VECCHIO INSTAURAVIT». Pare che agli inizi dell’800 la suddetta opera fu adibita a
custodia per gli olii santi (V. DI SABATO, Storia e arte nelle chiese e conventi di Lucera, Foggia 1971, p. 400).
26
Il Ciborio della matrice di Castelnuovo riporta anche delle iscrizioni su alcune parti dello stesso ciborio: «ECCE CORPUS DOMINI», ai piedi della porticina «ADORATE EUM», «ARCHIPRESBITER ET
CAROLUS FACTORES ECCLIE FIERI A.D. 1532» (cf. M. ARNESE, Arte, fede e storia nelle chiese di
Castelnuovo della Daunia, Foggia 1999, pp. 43-44).
27
G. GIFUNI, Lucera, Urbino 1937, p. 22.
28
DI SABATO, Storia..., p. 154.
29
G. TRINCUCCI, Lucera. Storia e volti nel tempo, Lucera 1981, p. 90.
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Le fonti storiche concernenti il Ciborio del Duomo di Lucera sono alquanto
scarse e lacunose.
Il canonico della nostra cattedrale, Matteo Perrucci afferma che, entrando
nella chiesa cattedrale, accanto al Battistero, ‘vedesi il Sacrario, la cui faccia di
tiburtino è di finissimi e svariati lavori fregiata’30. Le notizie riportate dal Perrucci,
chiaramente non soddisfano la nostra curiosità, né dal punto di vista storico, né
tanto meno dal punto di vista artistico.
La fonte più illuminante che tratta delle vicende storiche del nostro Ciborio
è l’avvocato Emmanuele Cavalli. Questi scrive: «Dei suddetti cappelloni, quello a
destra del maggiore Altare era destinato pel Sacro Ciborio, con ingresso nel Coro,
ed eravi un Altarino formato di una piccola mensa di marmo, sorretta da due mezze colonnine, anche di marmo bianco, ben lavorate con fregi e sculture: al disopra
della mensa poi si ergeva una tavola di marmo bianco ancora ben alto che formava
il frontespizio del Ciborio»31. In primo luogo, Cavalli afferma che il Ciborio un
tempo era sistemato nella Cappella gentilizia della famiglia Gagliardi e che quel
luogo era destinato a contenerlo. In secondo luogo, ci fornisce la descrizione del
Ciborio, come appariva in altri tempi.
In base alla descrizione del Perrucci (1845), il Ciborio risultava essere stato
spostato dalla Cappella Gagliardi e sistemato presso il Battistero. Infatti, egli
pone al centro dell’abside della cappella Gagliardi la tela della Madonna della
Seggiola32. Ciò è confermato dalle informazioni del Cavalli, il quale, pur scrivendo
queste note storiche nel periodo in cui la nostra Basilica fu spogliata di tutti gli
elementi artistici aggiunti lungo i secoli precedenti, offre delle notizie preziose che
risalgono sicuramente a prima del 1845, anzi alla data immediatamente precedente
la traslazione del Ciborio.
L’attuale sistemazione del Ciborio si deve probabilmente ai lavori di restauro
e di abbellimento del duomo effettuati sotto il fiorente episcopato di Pietro de
Petris (1553-1580), durante il quale multa peragit quae templo nunquam facta
fuerunt33.
Veniamo, ora, alla descrizione artistica del nostro monumento.
Il Ciborio è alto 215 cm e largo 11834.
30
M. PERRUCCI, Lucera (chiesa di), «Enciclopedia dell’Ecclesiastico», IV, a cura di RICHARD-GIRAUD, Napoli 1845, p. 662.
31
E. CAVALLI, Il Real Duomo di Lucera, e sue vicende, in Tre critiche digressive per la storia della città di
Lucera, Lucera 1888, p. 26. Il Cavalli fa sicuramente riferimento al testo della Visita pastorale di mons. Marco
Magnacervo del 1594. Una copia del manoscritto della suddetta visita è conservata nella Biblioteca Comunale
‘R. Bonghi’ di Lucera: Visita pastorale della Cattedrale del 1594 copiata dall’originale sistente nell’Archivio
Vescovile di Lucera lì 10 dicembre 1875.
32
PERRUCCI, Lucera, p. 663. Questa tela è un’opera di Girolamo Santacroce e risale al 1555, attualmente
sistemata nella navata del campanile.
33
G. GIFUNI, Origini del ferragosto lucerino, Lucera 1933, p. 83n; cf. anche G. SCHIRALDI, Il Duomo di
Lucera, Lucera 2005, p. 25.
34
DI SABATO, Storia, p. 154.
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Rinascimento nel Duomo: il Ciborio e il Battistero del Duomo di Lucera
Di stile rinascimentale, probabilmente di scuola toscana, non si conosce
l’autore.
Potremmo descrivere l’opera, dividendola in tre parti.
Una prima parte, ossia quella superiore, cioè la lunetta, contiene la
raffigurazione dell’Eterno Padre, rappresentato con i classici elementi iconografici:
barbuto, benedicente e col globo nella mano sinistra.
La seconda parte presenta un’Imago pietatis35, ossia il Cristo glorioso, in
piedi, che, cinto di perizoma, sorregge con la mano sinistra la croce, mentre dalla
destra lascia cadere delle gocce di sangue nel calice, sormontato da un’ostia36.
L’elemento raffigurato rimanda il fedele al mistero del Corpus Christi, ossia al
mistero del Cristo Eucaristico.
Un particolare davvero eccezionale di questa raffigurazione dell’Imago
pietatis è che la figura di Cristo37, vivo con i segni della passione, non porta sulle
spalle la croce, ma la regge con una mano. In questa immagine si condensano
due formidabili luoghi teologici: la sofferenza e la gloria. L’immagine presenta al
cristiano che si pone in contemplazione, la continuazione del sacrificio della Croce
nel sacrificio Eucaristico della santa Messa, di cui Cristo è ancora ed eternamente
autore. Il Cristo glorioso, mostrando le sue piaghe, evoca il suo sacrificio redentivo,
compiuto una volta per tutte sul Calvario. ‘Egli, tuttavia, nell’Eucaristia ha lasciato
agli uomini la memoria sacramentale della redenzione e si è fatto cibo, donando il
suo corpo e il suo sangue quale pegno per la vita eterna’38.
La terza parte dell’opera, quella più decorata e più fine, presenta la custodia
eucaristica, con portella in ottone e cerniera in cuoio. Il sacrarium è circondato da
entrambe i lati da due angeli in atteggiamento di adorazione e preghiera.
II.
Il fonte battesimale del Duomo di Lucera
Allo splendido ciborio della nostra cattedrale è affiancato il Battistero.
35
Su questo modello iconologico riguardante la passione di Cristo, rimandiamo allo studio di H. BELTING, L’arte e il suo pubblico. Funzione e forme delle antiche immagini della passione, Bologna 1986; per un
approfondimento più generale sul tema cf. lo studio dello stesso autore Storia dell’icona dall’età imperiale al
tardo Medioevo, Roma 2001.
36
Per questa tipologia iconografica cf. A. LEGNER, Christus, Christusbild, «Lexicon der Christlichen Ikonofraphie», I, Rom-Freiburg-Basel-Wien 1968, coll. 414-435.
37
«Il dipingere il Cristo in pietà, da sotto l’ombelico, è proprio degli occidentali e non dei Greci, come giustamente annota Durandus: “Graeci etiam utuntur imaginibus, pingentes illas, ut dicitur, solum ab umbilico
supra, et non inferius, ut omnis stultae cogitationis occasio tollatur” […] Da qui la necessità di un panno che
copra le parti basse e delimiti la mezza figura» (M. SENSI, “Imago pietatis” in ambiente francescano, «Il beato
Antonio da Stroncone, III. Atti delle giornate di studio. Stroncone, 4 maggio 1996 e 29 novembre 1997», a
cura di IDEM, Assisi 1999, p. 262-263, nota 18).
38
L.M. DE PALMA, Corpus Christi e Imago pietatis. Origini e sviluppi di un’iconografia eucaristica, «Odegitria», XI (2004), p. 247.
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Gaetano Schiraldi
In non poche basiliche di una certa antichità si possono ammirare, tra i
numerosi e vari monumenti, i Battisteri o Fonti Battesimali39.
Nel periodo apostolico la sola presenza di acqua costituiva il riferimento locale
per la celebrazione del Battesimo, così che qualsiasi luogo dove vi fosse dell’acqua
poteva diventare occasionalmente luogo del Battesimo40. Questo poteva avvenire
presso il mare, presso un fiume oppure nei ninfei, nelle terme o nell’impluvium delle
case private. Tali realtà evidentemente comuni e naturali erano utilizzate dai cristiani
per lo svolgimento di queste azioni di carattere sacro41. Il loro segno, però, fuori
dello specifico contesto, non diceva se non una funzione naturale.
I luoghi particolarmente usati dagli stessi cristiani per questa azione sacra
furono adottati in un certo senso nelle caratteristiche costruttive e funzionali degli
edifici cristiani. Pensiamo solo alle forme geometriche, quali il quadrato, l’ottagono,
il cerchio, cui i cristiani attribuirono una chiave di lettura simbolica42.
Col passare del tempo, però, lo spazio per il Battesimo fu molto limitato per
questioni prettamente tecniche, per cui si cercò di pensare a dei luoghi piccoli in cui
fosse possibile anche un certo riscaldamento, in quanto il sacramento era celebrato
nella notte pasquale, quindi in primavera, quando la temperatura era ancora
fredda. Così, pure, la spoliazione completa del catecumeno rendeva inopportuna
la presenza della comunità, che aspettava all’interno della cattedrale o del luogo in
cui si era adunata, pronta ad accogliere il ritorno e l’ingresso solenne dei neofiti e
ad ascoltare con essi l’annuncio glorioso della Risurrezione.
Nel IV secolo il battistero era annesso alla chiesa cattedrale, ossia alla
chiesa del vescovo. Solo qui, dal vescovo o da un suo delegato, veniva celebrato il
Battesimo.
Con la diffusione del fenomeno del cristianesimo anche gli abitanti delle
campagne, i cosiddetti pagi, aderirono alla fede cristiana, e la distanza di questi
dalle chiese cattedrali spinse i parroci a porre il Battistero accanto alla propria
chiesa. Ora, anche le chiese parrocchiali rurali avevano il battistero che ricalcava le
stesse caratteristiche di quello della cattedrale, ovviamente di dimensioni ridotte e
privo del consignatorio, ossia il luogo in cui il vescovo amministrava il sacramento
della Confermazione, in continuità con la liturgia del Battesimo.
Alla vasca per il battesimo degli adulti si affiancò una adatta per il battesimo
dei bambini.
39
Per ulteriori approfondimenti sul Battistero cf. I. CORBLET, Histoire du sacrem. Du Baptême, I-II, Paris
1882; H. LECLERCQ, Baptistère, «Dictionnaire de Archéologie Chretienne et de Liturgie», XII, a cura di F.
CABROL, Paris 1910, pp. 382-469.
40
At 8,30.
41
P. LUNDBERG, La typologie baptismale dans l’ancienne Eglise, Uppsala 1942, pp. 64-72.
42
Per ulteriori approfondimenti circa le forme geometriche dei Battisteri cf. V. GATTI, Liturgia e Arte.
I luoghi della celebrazione. II. Il Battistero. Iconografia e iconologia, «Arte Cristiana», LXXXV (1997), pp.
449-460.
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Rinascimento nel Duomo: il Ciborio e il Battistero del Duomo di Lucera
In seguito, quando il battesimo assunse l’aspetto di una certa ordinarietà,
poiché non si battezzava più solo nella notte di Pasqua, ma ogni qualvolta ve ne
fosse la necessità. Nel corso degli anni il battesimo per infusione ebbe più fortuna
di quello celebrato per immersione.
Dopo il Seicento non si attribuì più una fondamentale importanza solo al
battistero, ma iniziò una riflessione sull’effetto stesso del battesimo, tanto che il
fonte perse la sua valenza, fino al punto di diventare oggetto secondario nell’edificio
chiesa.
Il Concilio Vaticano II ha conferito una grande importanza al sacramento
del Battesimo in sé, ma altrettanta ne ha offerta al luogo in cui si nasce alla vita della
Grazia, in seno alla comunità ecclesiale.
Il Battistero del Duomo di Lucera
La maggioranza degli storici locali ritengono che il battistero risalga al XV
secolo43. Il fonte è costituito da pietra alluvionale e poggia su un bassorilievo di
ocra rossa.
Il Perrucci circa il Battistero afferma: «Sul primo entrare della navata sinistra
sotto una bella cupola di gesso sostenuta da quattro colonne, sorgere vedi la fonte
battesimale assai ampia: essa è di pietre di alluvione in ocre di ferro ammassate»44.
Il Cavalli, invece, ci offre, come sempre, informazioni precise. Egli così
scrive: «Fu tolto il Battistero da mezzo la navata laterale, e venne addossato al
muro destro di cinta, alla parte settentrionale, quasi tra due porte, cioè quella che
dava sull’antico terrazzo o portico, e l’altra quella d’ingresso denominata Porta del
Battistero, e sotto il primo grado esterno di detta porta si legge scolpito: MDCXVII
Petrus de Petris Antistes»45.
43
«L’edicola del Battistero quattrocentesco […] graziosissimo tempietto, la cui ricca trabeazione è un
fine ricamo, una meraviglia, di scultura ornamentale, e che custodisce un’ampia vasca di pietra d’alluvione
mista ad ocre rossa: il fonte battesimale» (GIFUNI, Lucera, p. 23); «Insigne opera del 1400, all’ingresso della
navata sinistra, e formata da una cupola piramidale in pietra finamente intarsiata, poggiante su quattro svelte
colonne, pure in pietra scanellata, che contiene al centro la fonte battesimale, formata da una grande vasca di
pietra alluvionale» (G. CATAPANO, Lucera nei secoli, Lucera 1950, p. 17); «Rimonta al secolo XV» (DI SABATO, Storia..., p. 164); «Quattrocentesco battistero ricoperto da un’elegantissima cupola ottagonale poggiante
su quattro agili colonnine. La pietra alluvionale opportunamente levigata che forma la fonte vera e propria
poggia su un basamento di ocra rossa ingentilito da stemmi nobiliari» (TRINCUCCI, Lucera..., p. 91); cf. anche
A. FUSCO, Per visitare il Duomo Angioino. Note storiche illustrative, Lucera 1997, pp. 49-50.
44
PERRUCCI, Lucera (chiesa di), p. 662.
45
E. CAVALLI, Il Real Duomo, p. 37. Il Cavalli anche a p. 28 afferma che il Battistero era situato nella navata
sinistra. Lo stesso asserisce GIFUNI, Lucera, p. 23: «In origine elevantesi nel mezzo della navata sinistra e poi
(sec. XVI) addossata al muro maestro di cinta, in fondo». La porta in questione è anche detta “Porta delle
Indulgenze”; era la porta attraverso cui si passava negli anni giubilari e nel giovedì santo, durante la “visita ai
sepolcri”, per l’acquisto delle Indulgenze.
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Gaetano Schiraldi
Il Cavalli46 afferma che il Battistero fu tolto dalla navata sinistra nel
Cinquecento, come pure il Gifuni in Lucera. Lo Gifuni, invece, nel volume Origini
del ferragosto lucerino riferisce che il Battistero fu posto nell’attuale collocazione
sotto l’episcopato di Pietro de Petris (1553-1580)47.
Attualmente ignoriamo, per la mancanza di documentazione, le motivazioni
per le quali il Battistero della cattedrale nel Cinquecento è stato spostato dalla navata
sinistra al fondo della stessa, tra le due porte. È possibile, però, avanzare un’ipotesi
che va tenuta in considerazione cum granu salis, ovvero che lo spostamento sarebbe
avvenuto alla luce delle norme previste nel De Fabbrica di san Carlo Borromeo,
un testo tenuto in somma considerazione, soprattutto dopo la celebrazione del
Concilio di Trento, in cui era prevista la sistemazione del Battistero, «all’interno
della porta maggiore e dalla parte dove si legge il Vangelo»48. L’idea di porre il
Battistero alla porta della chiesa o nei pressi di essa scaturiva da una particolare
visione del sacramento del battesimo: il battesimo, infatti, era inteso come janua
sacramentorum, cioè la porta d’ingresso dei sacramenti, proprio per indicare come
all’inizio della vita sacramentale vi è il battesimo. È una visione molto interessante,
che, però, negli anni non ha avuto grande fortuna, poiché, avendo addossato il
Battistero in fondo alla chiesa, è rimasto in una posizione di secondaria importanza,
perdendo di fatto il suo pregnante e profondo significato originario.
46
CAVALLI, Il Real Duomo, p. 28.
G. GIFUNI, Origini, p. 83n.
48
C. BORROMEO, Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo, trad. it. a cura di Z. GROSSELLI, I-II, Milano 1983.
47
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