Cari lettori
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ISSN 1830-6349 Novembre 2012/8 Edizione speciale IT CESE info Proposte per costruire un’Europa più forte Cari lettori, la strategia Europa 2020 è al cuore dell’azione dell’UE per superare la crisi, poiché costituisce un modello europeo di crescita dinamico e a 360 gradi meritevole della fiducia di investitori, produttori, lavoratori e consumatori. Il convegno Per un’Europa più forte, organizzato dal CESE in settembre, è stato un’ottima occasione per rivolgere 30 raccomandazioni concrete all’Europa affinché ritrovi la strada della ripresa e avvii un «nuovo corso» (New Deal) a beneficio dei cittadini europei. I partecipanti hanno esortato i leader a mobilitarsi con determinazione nel definire un quadro coerente per un’economia di crescita integrata: occorre infatti un approccio globale, in cui trovino spazio un’unione economica, con un’armonizzazione finanziaria, fiscale e del settore bancario, un’unione sociale, in cui viga un più rigoroso rispetto dei diritti fondamentali, e un’unione politica, contraddistinta da una responsabilità e una capacità di rendicontazione democratiche rafforzate. La disciplina di bilancio, accompagnata da una condivisione dei rischi e dei benefici, servirà a ottenere il massimo impatto dall’azione. Avere «più Europa» apporta dei vantaggi economici, e il bilancio dell’Unione dovrebbe essere visto come uno strumento intelligente per realizzare economie di scala. Sono inoltre necessarie una vigilanza e una regolamentazione a livello europeo per controllare le attività di banche e istituzioni finanziarie, che devono contribuire alla crescita in modo equo. Nell’elaborazione delle politiche il progresso sociale va considerato una priorità altrettanto importante. Dobbiamo rilanciare e rafforzare il mercato unico, per sfruttarne tutto il potenziale in settori come il commercio elettronico e l’accesso ai finanziamenti, garantendo un’adeguata protezione dei consumatori. Occorre affrontare il problema delle normative fiscali divergenti e degli eccessivi adempimenti burocratici in modo da agevolare il commercio transfrontaliero, soprattutto per le PMI. Va riservata maggiore attenzione al ruolo dei lavoratori autonomi e delle imprese sociali, e sono necessari progressi verso il riconoscimento delle qualifiche professionali al di là delle frontiere nazionali. I giovani e la creazione di posti di lavoro sono stati tra i temi principali affrontati al convegno. La disoccupazione giovanile – che nell’UE si attesta in media sul 23 %, con punte superiori al 50 % in alcuni paesi – non è solo un tragico spreco, ma potrebbe anche compromettere seriamente il nostro futuro. L’Unione e i suoi Stati membri devono mettere in campo le risorse finanziarie e politiche necessarie per rafforzare le competenze e incrementare l’occupazione. I giovani devono poter godere di diritti del lavoro e di condizioni lavorative dignitose; occorrerebbe anche fornire un sostegno alle donne giovani perché possano accedere al mercato del lavoro e rimanervi, e andrebbe incentivata l’imprenditorialità. L’UE deve fare in modo che l’opinione pubblica non la associ più alle misure di austerità e ai licenziamenti, e deve adoperarsi per realizzare una strategia di inclusione attiva. Abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione industriale, con misure a favore di una crescita «verde» sostenibile che siano in grado di abbinare l’innovazione, gli investimenti e la modernizzazione economica a un uso moderato di risorse naturali limitate. Servono metodi agricoli sostenibili e innovativi che assicurino prodotti alimentari di qualità, contribuendo nel contempo allo sviluppo rurale. L’innovazione è un fattore chiave: l’Europa deve quindi evitare di tagliare i fondi per la ricerca e garantire che venga raggiunto l’obiettivo di investire il 3 % del PIL in ricerca e innovazione. Comitato economico e sociale europeo un ponte tra l’ Europa e la società civile organizzata C’è posto per le PMI nel futuro dell’Europa? Le piccole e medie imprese (PMI) danno lavoro ad oltre 87 milioni di persone e costituiscono la spina dorsale dell’economia europea. Nell’UE vi sono 21 milioni di PMI, che rappresentano più di metà del valore aggiunto totale dell’economia non finanziaria e sono responsabili dell’80 % di tutti i nuovi posti di lavoro creati in Europa negli ultimi cinque anni. continuano a restringersi. Nel complesso, le imprese indicano un calo della disponibilità di prestiti bancari (20 %, rispetto al 14 % dell’indagine precedente). Inoltre, i risultati dell’indagine segnalano un tasso più alto di rifiuto delle domande di prestito (13 %, rispetto al precedente 10 %). La crisi economica ha colpito le PMI europee? È chiaro che occorre sfruttare al meglio altri modi di accesso ai finanziamenti, se si vuole che l’Europa mantenga questa parte fondamentale della propria economia. Oltre al capitale di rischio e ai prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI), che vengono applicati con successo, l’UE dovrebbe incoraggiare modelli alternativi, ad esempio strutture bancarie partecipative ed etiche, che evitino la speculazione e adottino un atteggiamento socialmente responsabile in fatto di investimenti, oppure il crowd funding, un tipo Purtroppo sì. Drammaticamente colpite dalla crisi, le PMI non sono ancora riuscite a tornare ai livelli pre-crisi, né in termini di valore aggiunto lordo né per quanto riguarda i posti di lavoro. Nella sola Spagna, il numero complessivo delle PMI è sceso di circa 30 000 unità nel 2011, e per il 2012 ci si aspetta un calo di altre 20 000 unità. La stessa situazione si ripete in diversi altri paesi. Come possono le PMI ottenere l’accesso ai finanziamenti? 21 e 22 novembre 2012 CESE, Bruxelles: tavola rotonda UE-Brasile 26 e 27 novembre 2012 Zagabria, Croazia: Quarto forum della società civile dei Balcani occidentali 30 novembre 2012 CESE, Bruxelles: seminario di alto livello sul tema Rafforzare l’Europa: con pratiche di lavoro innovative possiamo riuscirci! IN QUESTO NUMERO 2 3 4 5 6 7 8 L’austerità non è sufficiente: è ora di creare posti di lavoro! L’impatto della “primavera araba” sulla situazione dei mezzi d’informazione Aiutiamo i media ad aiutarsi da soli, intervista a Jan Keulen La stampa egiziana sotto il controllo dei Fratelli musulmani I ciberattivisti contro l’autoritarismo, intervista a Sihem Najar Il vertice euromediterraneo 2012 dei CES e istituzioni analoghe Intervista a Brenda King, membro del CESE “ I risultati dell’indagine segnalano un tasso più alto di riuto delle domande di prestito (13 %, rispetto al precedente 10 %). ” Insomma, c’è posto per le PMI nel futuro dell’Europa? I risultati dell’indagine sono in linea con le politiche e le pratiche correnti nell’UE. Poiché le PMI forniscono più posti di lavoro, un’attenzione specifica per questa categoria d’imprese è giustificata. Le PMI e gli Stati membri innovativi sono quelli che meglio possono resistere alla crisi. Inoltre, le PMI attive a livello internazionale sono più innovative e registrano tassi più elevati di crescita dell’occupazione. Invece, molte piccole imprese sono tradizionalmente circoscritte a un determinato territorio ma, con il calo della domanda interna, hanno bisogno di una guida e di consigli esperti per inserirsi nel mercato globale, se vogliono sopravvivere. Staffan Nilsson Presidente DATE DA RICORDARE Le PMI europee però sono molto diverse fra loro, e non è possibile applicare una soluzione di finanziamento unica alle tante tipologie di impresa esistenti. «Occorre tutto un ventaglio di misure diversificate e innovative per raggiungere questo gruppo variegato di soggetti e tenere conto delle loro specificità. Le imprese sociali e le professioni liberali, ad esempio, hanno modelli di funzionamento diversi rispetto alle imprese ‘tradizionali’», osserva Ronny Lannoo, dell’Unione belga dei lavoratori autonomi e delle PMI (UNIZO), correlatore del parere del CESE sull’accesso ai finanziamenti per le PMI. “ Le imprese indicano un calo della disponibilità di prestiti bancari (20 %, rispetto al 14 % dell’indagine precedente). ” Nel clima attuale, uno dei principali ostacoli per le PMI è l’accesso ai finanziamenti, data la riluttanza delle banche a concedere prestiti in assenza di garanzie inoppugnabili. Secondo l’ultima indagine della BCE sulle PMI, tra l’ottobre 2011 e il marzo 2012 il fabbisogno di finanziamenti esterni delle piccole e medie imprese della zona euro ha fatto registrare un incremento, ma l’accesso ai prestiti bancari ha di finanziamento collettivo per le piccole imprese in fase di avviamento che viene reperito mediante appelli online. Come primo passo, la Commissione europea ha presentato un piano d’azione per migliorare l’accesso ai finanziamenti per le PMI. «Il nuovo regolamento proposto per attirare capitale di rischio è lodevole», afferma Anna Maria Darmanin, vicepresidente del CESE e relatrice del parere sull’accesso ai finanziamenti per le PMI. «Diversi strumenti legislativi scoraggiano le banche, le compagnie assicurative e quanti operano nel settore della gestione patrimoniale dall’intraprendere tipi di investimenti spesso diretti alle PMI. Abbiamo bisogno di strumenti che rispondano alle esigenze di sviluppo delle piccole e medie imprese». L’UE dovrebbe anche rimediare alla mancanza d’informazione sui finanziamenti che si registra tra le PMI. In giugno la Commissione ha pubblicato una guida pratica per consentire alle piccole e medie imprese di accedere agli oltre 50 miliardi di finanziamenti pubblici messi a disposizione nei 27 Stati membri, ma occorrono campagne d’informazione molto più efficaci. C’è ancora luce alla fine del tunnel, ma dobbiamo agire in fretta se vogliamo O arrivarci. (ail) www.eesc.europa.eu 1 Perché abbiamo bisogno di una strategia macroregionale per l’Atlantico? “ L’obiettivo principale è fare della regione atlantica la punta di diamante della rivoluzione che interesserà i trasporti, la comunicazione, la sostenibilità e la trasformazione tecnologica. ” Alcuni mesi fa sulla copertina di una nota rivista internazionale è apparsa una mappa del mondo da cui mancava l’Europa. Il messaggio principale era che l’Europa è destinata a sparire a causa dell’emergere di nuove superpotenze e dell’egemonia americana. Ma, come ha affermato Tony Judt, la capacità dell’Europa di reinventarsi è illimitata. La prima volta che l’Europa ha cambiato radicalmente l’equilibrio globale del commercio e del potere politico, lo ha fatto partendo dalla costa atlantica, nel XV secolo, grazie a una rivoluzione tecnologica che ha reso possibile tracciare la prima mappa del mondo. Adesso le istituzioni europee e i soggetti regionali e nazionali d’Europa stanno collaborando per attuare un modello interregionale di cooperazione economica e politica unico nel suo genere, diretto a generare una ripresa e a realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020. È un’iniziativa pratica che potrebbe usare le risorse per affrontare la crisi con un approccio strategico macroregionale, apportando benefici a milioni di persone di cinque paesi e di 35 regioni. Nel Comitato economico e sociale europeo i rappresentanti della società civile hanno adottato un parere che propone modalità pratiche per attuare una strategia macroregionale per l’Atlantico, con l’obiettivo di salvaguardare il nostro bene più prezioso: lo Stato sociale europeo. Va ricordato che le risorse previste dal patto per la crescita ammontano all’1 % del PIL dell’UE, oltre ai 347 miliardi di euro della politica regionale. Per macroregione si intende un’area geografica composta da almeno due regioni europee con caratteristiche comuni e appartenenti a Stati membri differenti. Sotto il profilo degli investimenti e della competitività vale la pena di affrontare insieme le sfide economiche, sociali e ambientali comuni. Se le regioni e i governi sapranno individuare chiaramente gli obiettivi ed elaborare una strategia coordinata, le loro opportunità di accedere ai fondi di coesione e ad altri strumenti di investimento aumenteranno. Ciò vale in particolare alla luce del nuovo approccio alla politica di coesione, che cercherà di evitare l’effetto di dispersione. L’obiettivo principale è fare della regione atlantica la punta di diamante della rivoluzione che interesserà i trasporti, la comunicazione, la sostenibilità e la trasformazione tecnologica. Tra gli esempi pratici figurano le autostrade del mare e l’energia ricavata in mare dal vento e dalle correnti. Le strategie macroregionali in atto: quella per l’area del Baltico del 2009 e quella per la regione danubiana del 2010 hanno avuto grande successo. L’approccio comune adottato dai governi, dalle regioni, dai soggetti sociali e dalle città è stato efficace in campi importanti come i trasporti, l’innovazione, le infrastrutture, l’agricoltura, la pesca e l’energia. L’attuale strategia marittima per l’Atlantico diverrà una strategia macroregionale, in cui il CESE e i consigli economici e sociali nazionali rappresenteranno gli interessi della società civile. A questo scopo, tutte le parti interessate si incontreranno nel forum atlantico per discutere e adottare le linee d’azione che potrebbero fare della regione un esempio di integrazione e di crescita inclusiva. Nel XVI secolo l’Atlantico rappresentava la rotta dell’Europa verso la crescita economica, adesso potrebbe forse dimostrare come un’Europa integrata, le cui navi vanno tutte nella stessa direzione, abbia il suo posto su ogni possibile mappa del O mondo. (asp) 8a riunione del Forum europeo dell’integrazione: L’austerità non è sufficiente: è ora di creare posti di lavoro! © Andy Dean Photography Il contributo degli immigrati alla crescita economica nell’UE Nel quadro della cooperazione tra il Comitato economico e sociale europeo (CESE) e la presidenza cipriota del Consiglio dell’Unione europea, il 28 settembre 2012 il gruppo Lavoratori del CESE ha organizzato una riunione straordinaria tenutasi a Nicosia (Cipro). iniziative adottate per combattere la crisi e le loro proposte in merito alle possibilità di promuovere la crescita e l’occupazione. Questo incontro, intitolato Un bilancio europeo per l’occupazione, si è incentrato sulle proposte avanzate dal gruppo Lavoratori per promuovere la ripresa economica e sociale dell’UE e si è anche soffermato sulla situazione socioeconomica di Cipro. Il viceministro del Presidente della Repubblica di Cipro responsabile per gli Affari europei, Andreas Mavroyiannis, ha trasmesso quindi ai partecipanti i saluti della presidenza del Consiglio dell’UE. Ha poi preso parte a un vivace dibattito con i membri del CESE sulla situazione attuale dell’Europa e sulle misure volte a creare occupazione che la presidenza intende proporre agli altri paesi europei. La riunione, che si è aperta con un dibattito con i segretari generali delle principali organizzazioni sindacali cipriote, ha esaminato da vicino i problemi cui devono far fronte i lavoratori e i loro rappresentanti a Cipro, dedicando un’attenzione particolare ai gruppi sociali più vulnerabili: giovani, donne e immigrati. Le organizzazioni sindacali hanno presentato le Dopo la pausa pranzo si è aperto un dibattito con il ministro del Lavoro e della sicurezza sociale della Repubblica di Cipro, Sotiroula Charalambous, nel corso del quale diversi membri del CESE hanno effettuato una serie di presentazioni sulle proposte del Comitato in materia di occupazione, di crescita e di questioni attinenti alla politica finanziaria e di bilancio. 2 Il presidente del gruppo Lavoratori, Georges Dassis, intervenendo a nome del gruppo II, ha poi espresso soddisfazione per la riunione estremamente costruttiva e il proficuo scambio di idee con gli omologhi ciprioti, nonché con i rappresentanti della presidenza e del governo di Cipro. Concludendo la riunione, Dassis ha ribadito che «la crisi non si può combattere solo con misure di austerità e che è necessario stimolare l’economia reale, rivedere la politica industriale europea e sostenere l’economia verde» poiché, a suo avviso, ciò «permetterebbe di creare posti di lavoro stabili e sostenibili». «In ogni caso», ha aggiunto, «nessuna crisi può giustificare una regressione in materia di politiche sociali e lo smantellamento del modello O sociale europeo». (rdr) Oltre 100 rappresentanti di organizzazioni europee e nazionali attive nel campo dell’integrazione degli immigrati si sono riuniti il 16 e 17 ottobre scorso per discutere del tema Il contributo degli immigrati alla crescita economica nell’UE. Un tema difficile da affrontare nell’attuale clima politico, in cui gli elevati tassi di occupazione registrati nell’UE fanno dell’immigrazione una questione delicata, e la retorica politica dà l’impressione che gli immigrati sottraggano il lavoro ai cittadini europei e gravino sui nostri sistemi di sicurezza sociale. Brenda King ha presentato il parere del CESE Il contributo degli imprenditori migranti all’economia dell’UE, di cui è stata relatrice. Alla sua presentazione hanno fatto seguito gli interventi di vari imprenditori migranti presenti in sala, che hanno portato testimonianze ispiratrici. Gli oratori di alto livello intervenuti al forum – tra cui la commissaria Cecilia Malmström, il direttore generale della DG EMPL Koos Richelle, il deputato europeo Michael Cashman – e i rappresentanti delle parti sociali hanno sottolineato la necessità di combattere gli stereotipi con fatti e prove alla mano. In realtà, sia prima che durante la crisi, gli immigrati hanno tappato i buchi del mercato del lavoro, coprendo posti che i cittadini europei non sanno o non vogliono coprire, e sono anche i primi a essere colpiti dalla disoccupazione. nell’avvio di un’attività autonoma. Si è tenuta una vivace discussione sul ruolo delle parti sociali, la gestione della diversità e i vari ostacoli con cui si scontrano gli immigrati, come il riconoscimento delle qualifiche acquisite al di fuori dell’UE. Nelle tavole rotonde i partecipanti hanno fornito esempi di progetti di successo intesi a rispondere alla domanda del mercato del lavoro (ad esempio tramite un’adeguata formazione professionale e linguistica) e a sostenere gli immigrati All’incontro, organizzato congiuntamente dalla Commissione europea e dal CESE, hanno contribuito anche rappresentanti dei ministeri competenti degli Stati membri e i 21 membri del gruppo di studio permanente del CESE sull’immigrazione e l’integrazione (IMI). (bw) O CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale – i e b l i a a ci ezz i ar e p i m tat s e de i S n o tà egl i z i r Ed libe ne n La azio rm o f n i EDITORIALE d’ Cari lettori, ISSN 1830-6349 Novembre 2012/8 Edizione speciale IT CESE info nel Medio Oriente è in corso una storica fase di transizione. Il risultato delle alterne trasformazioni che si succedono nella regione è tutt’altro che certo. Le forze favorevoli al cambiamento, sbocciate dal desiderio di libertà e di dignità delle società di quei paesi, si stanno scontrando con ostacoli e difficoltà più grandi del previsto. L’Unione europea ha l’obbligo strategico, politico e morale di facilitare questa transizione e fare in modo che prenda la strada giusta contribuendo allo sviluppo di società aperte e pluraliste. La libertà di espressione è un buon punto di partenza, poiché è alla base delle altre libertà. Senza libertà di espressione non ci può essere né dignità umana, né realizzazione personale, e per l’esercizio di questa libertà è essenziale che vi sia un’informazione libera, pluralista e dinamica. Numerosi studi hanno messo in luce quanto sia evidente e stretto il rapporto tra la libertà dei mezzi di comunicazione e il livello di sviluppo generale. Si può affermare quindi che la libertà dei media sia un ottimo parametro con il quale misurare il progresso di una società. Sulla base di queste convinzioni, il mese scorso ci siamo incontrati a Cipro per un seminario annuale sulla libertà dell’informazione nei paesi arabi dopo le rivolte del 2011, e abbiamo individuato diversi ambiti nei quali occorre mobilitarsi. Le riflessioni formulate durante il seminario sono state poi presentate al vertice Euromed dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe, tenutosi in Giordania nel mese di ottobre. Erano passate solo alcune settimane dall’adozione, da parte delle autorità giordane, di una nuova legge in materia di informazione che purtroppo pone limiti alla libertà di espressione online. La situazione dei media nei paesi interessati, direttamente o indirettamente, dalle rivolte è piuttosto fragile. I nuovi governi di paesi come la Tunisia e l’Egitto, che pure si erano impegnati a garantire la libertà dell’informazione, sono tornati sui propri passi. Per garantire la libertà dei media occorre agire simultaneamente in ambiti cruciali come la regolamentazione dei mezzi d’informazione, la costruzione di capacità e la gestione e la sicurezza dei media. È necessario che la libertà dell’informazione sia garantita dalle costituzioni nazionali, in modo da creare un quadro giuridico valido e applicabile che goda del sostegno di tutti: governi, legislatori, proprietari dei media, giornalisti e sindacati. Le nuove leggi sull’informazione, che devono essere elaborate attraverso un processo di consultazione multilaterale, devono essere conformi alle convenzioni e alle norme internazionali. I codici penali e le leggi in materia di sicurezza nazionale o di religione non devono essere usate contro i giornalisti. La semplice minaccia di azione penale ha un effetto deleterio sulla libertà dei media e sulla capacità di trattare temi di interesse pubblico. La diffamazione deve essere depenalizzata. Non è affatto dimostrato che la depenalizzazione porti a un aumento dei casi di diffamazione! Noi riteniamo che la soluzione sia l’autoregolamentazione. Attraverso la costruzione di capacità, occorre rafforzare le competenze professionali dei giornalisti e dei mezzi di informazione. Chi finora è stato abituato a un giornalismo compiacente dovrà adottare una nuova mentalità, basata sull’indipendenza e lo spirito critico, sulla capacità di porre domande difficili a tutti gli schieramenti politici, sul giornalismo investigativo e sulla necessità di dare il miglior contributo possibile a una cultura della democrazia. Perché ciò sia possibile, è necessario che migliorino le capacità e le competenze dei giornalisti, dei direttori e degli editori. Per sostenere la costruzione di capacità, occorre che le ONG e le organizzazioni della società civile di altri paesi, nella pianificazione e nella realizzazione dei loro progetti e programmi, operino con tutti i livelli: quello dei giornalisti, quello dirigenziale e quello dei politici. I soggetti esterni che forniscono assistenza nella regione non devono mai perdere di vista il fatto che questo processo e la direzione che esso prenderà appartengono alla società locale. Ogni paese è diverso dagli altri, e occorre tenere conto sia della cultura che delle condizioni sociali ed economiche, e agire in piena interazione e cooperazione con i partner locali. Per poter esercitare la libertà d’informazione, i giornalisti hanno bisogno di protezione giuridica e spesso anche fisica. Ogni episodio di violenza contro i giornalisti e gli operatori dell’informazione DEVE essere oggetto di un’indagine approfondita, perché l’impunità non farà che generare un circolo vizioso e alimentare ulteriormente la violenza. La società civile deve dare il suo contributo vigilando, investigando e reagendo a qualsiasi attacco o minaccia ai giornalisti. Abbattere i regimi dittatoriali è stato solo il primo passo: costruire la democrazia e garantire la libertà dell’informazione rappresenta un compito arduo, che richiederà tempo. Un fallimento non è immaginabile, ma nulla, oggi, è sicuro. Comitato economico e sociale europeo un ponte tra l’ Europa e la società civile organizzata L’impatto della «primavera araba» sulla situazione dei mezzi d’informazione gli ultimi posti. Secondo RSF, in tutti e tre questi Stati la transizione verso la democrazia non sta portando necessariamente a un maggiore pluralismo o a una maggiore libertà di stampa. I deposti regimi di Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia e Ben Ali in Tunisia hanno significato tra l’altro, considerati nel loro insieme, quasi un secolo di ferreo controllo sulla stampa. Un controllo costituito dalla sorveglianza sulle comunicazioni dei giornalisti e dalla censura dei mezzi d’informazione. Pur di salvarsi, questi regimi hanno fatto ricorso, nei giorni che ne hanno preceduto la caduta, a disperati colpi di coda. Ben Ali, poco prima di perdere il potere, tentò di placare lo scontento popolare abolendo ogni censura su Internet e introducendo la libertà di stampa. È rimasto celebre il caso del regime egiziano, che bloccò del tutto l’accesso ad Internet, mentre il regime libico consentì l’accesso solo ad alcuni siti governativi. “ Dietro queste cifre si celano storie di sequestri di persona, censure, intimidazioni e sequestro di pubblicazioni da parte delle autorità statali. ” La caduta di questi regimi aveva aperto un’epoca nuova di libertà per i mezzi d’in- Di nuovo restrizioni Nel 2011, tuttavia, la libertà di stampa appena conquistata ha subito una serie di restrizioni in tutti e tre questi paesi. Zied El-Heni, membro di spicco del comitato direttivo del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini, ritiene che il futuro dei mezzi d’informazione non asserviti sia minacciato dalla politica dei nuovi governi, che stanno reintroducendo misure per fare del giornalismo uno strumento della propaganda di Stato. I timori di El-Heni rispecchiano l’opinione diffusa secondo cui la libertà di stampa faticosamente conquistata in Egitto, Libia e Tunisia sta facendo registrare un pericoloso arretramento. «Il governo [tunisino]», ha dichiarato a CESE info, «sta assegnando posizioni di potere nei media di Stato alle stesse persone incaricate della propaganda dal passato regime». Nelle classifiche per paese 2011 e 2012 basate sull’indice della libertà di stampa elaborato da Reporter senza frontiere (RSF), Egitto, Libia e Tunisia restano ancora verso Giornalisti a rischio Dietro queste cifre si celano storie di sequestri di persona, censure, intimidazioni e sequestro di pubblicazioni da parte delle autorità statali. In Libia, dove si sta tentando di dar vita a un governo pienamente funzionante, l’ampiezza del margine di libertà lasciato ai media rimane ancora incerta. Dopo la liberazione, a Bengasi erano state fondate circa 120 pubblicazioni libere, ma poi l’instabilità politica ha determinato un clima di minacce continue nei confronti dei giornalisti. La situazione egiziana non è migliore. Il governo del Presidente Morsi ha minacciato blogger e giornalisti di farli processare per vilipendio delle forze armate, facendo segnare un ritorno ai metodi repressivi del regime di Mubarak. «Gli scenari politici futuri dipenderanno in larga misura dalla possibilità per i media di sfruttare al massimo le libertà appena conquistate», conclude Jane Morrice, membro del CESE ed ex corrispondente della BBC. O La libertà dei media nella regione euromediterranea Nelle ultime settimane la questione della libertà dei media è stata nuovamente al centro della scena. “ Tanto la libertà di espressione quanto la libertà religiosa sono princìpi non negoziabili, e la libertà di parola è al cuore dei valori e delle tradizioni dell’Europa. ” Anna Maria Darmanin Vicepresidente Catherine Ashton, Alta rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale formazione, vedendo perciò aumentare drasticamente il numero e la varietà delle pubblicazioni in tutta la sponda sud del Mediterraneo. La transizione verso la democrazia sembrava finalmente avviata… Prima della caduta di Ben Ali, la Tunisia era salita dal 164° al 134° posto in classifica. Un passo avanti che potrebbe essere vanificato se il nuovo governo tunisino continuerà a piazzare alleati politici ai vertici della radio, della televisione e della stampa di Stato. «Tutto ciò rischia di trascinare di nuovo il paese nella dittatura», avverte El-Heni. In quella stessa classifica la Libia è salita dalla 160a alla 154a posizione, mentre l’Egitto ha perso 39 posizioni, passando dalla 127a alla 166a. Ancora una volta l’Europa si è trovata di fronte alla necessità di tutelare nel contempo la libertà di espressione e quella religiosa, con la tolleranza e il rispetto che questo comporta nei confronti dei nostri amici di fede islamica di altri paesi. I governi dei paesi musulmani – soprattutto quelli insediatisi di recente – hanno dovuto trovare un equilibrio tra l’esigenza di contenere la collera delle loro popolazioni e quella di assumersi le responsabilità che incombono a chi ricopre una carica politica. Non è stato un compito facile per nessuno di noi: sentimenti come la rabbia e l’indignazione mal si conciliano con le regole della diplomazia. Non possiamo però lasciarci guidare dai malintenzionati, da quanti sono pronti a servirsi di qualsiasi pretesto e ricorrere a ogni mezzo per seminare discordia e alimentare il conflitto – né possiamo consentire che siano proprio costoro a determinare il corso delle nostre relazioni internazionali. Non possiamo lasciarci accecare dalla collera, ma dobbiamo incanalare le nostre emozioni in un’azione comune intesa a promuovere una cultura di tolleranza e rispetto reciproco. Ecco perché ho deciso già da tempo di avviare una collaborazione con l’Organiz- >>> p a g i n a 3 3 Co ntinua da pag. 3 La libertà dei media nella regione euromediterranea zazione della cooperazione islamica (OIC), la Lega araba e l’Unione africana per dimostrare che quello che ci unisce è più forte di quello che ci divide, e di rilasciare una dichiarazione in risposta agli avvenimenti che si sono verificati negli Stati Uniti e in Medio Oriente. La dichiarazione non potrebbe essere più chiara: Condanniamo qualsiasi incitamento all’odio religioso... e tutti i messaggi di odio e di intolleranza. Ribadiamo che tanto la libertà di espressione quanto la libertà religiosa sono princìpi non negoziabili, e che la libertà di parola è al cuore dei valori e delle tradizioni dell’Europa. Affermiamo anche, tuttavia, che la tutela della libertà di espressione dipende dal comportamento responsabile dei singoli. Questo partenariato senza precedenti tra l’UE, l’OIC, l’Unione africana e la Lega araba per promuovere la tolleranza e la libertà dei mezzi di informazione è importante sia per l’Europa che per il mondo islamico: sono convinta che le discussioni che si svolgeranno oggi tra di voi daranno un contributo sostanziale al suo approfondimento. Vorrei farvi parte di alcune mie riflessioni sui motivi per cui ritengo necessario che questa collaborazione prosegua allo scopo di tutelare le molteplici voci della libertà. Non si possono mettere a tacere i fatti I successi della primavera araba sono in gran parte frutto dell’impegno professionale di giornalisti, editorialisti, inviati televisivi e autori di blog. parte delle redazioni arabe; eppure senza giornalismo investigativo la corruzione passa inosservata e la democrazia viene facilmente soffocata. I popoli hanno avuto il coraggio di manifestare invocando il rispetto dei propri diritti, delle proprie libertà e della propria dignità. Ma hanno agito nella consapevolezza che i media sociali si sarebbero fatti portavoce dei loro messaggi, consentendo loro di uscire dall’isolamento, di diffondere le loro idee e di denunciare l’oppressione che erano costretti a subire. La libertà di parola – così come quella di essere ascoltati – è stata un fattore essenziale. Va detto però che i mezzi di informazione «tradizionali» – canali satellitari, giornali e periodici – hanno avuto un ruolo altrettanto importante, poiché hanno fatto da cassa di risonanza alla richiesta di cambiamento, diffondendola in tutto il mondo e facendo sì che le voci di pochi trovassero ascolto presso milioni di persone. Per questo dobbiamo difendere la libertà di tutti i mezzi di informazione: perché i professionisti del settore possano continuare a svolgere il loro lavoro con imparzialità, obiettività e accuratezza, senza ingerenze né favoritismi. I governi di tutti i paesi hanno un ruolo importante da svolgere per tradurre questo O impegno in realtà. L’ARIJ, che riceve dalla Danimarca fondi e assistenza tecnica per promuovere il giornalismo investigativo in tutto il Medio Oriente, è la stata la prima organizzazione senza fini di lucro a promuovere la formazione e standard professionali per i giornalisti di quella regione del mondo. Rana Sabbagh, direttrice esecutiva, Arab Reporters for Investigative Journalism (Cronisti arabi per il giornalismo investigativo) «Il giornalismo investigativo è la quintessenza della professione, perché svela i fatti come sono», argomenta Rana Sabbagh, che è stata redattore capo del Jordan Times. «Possono essere brutti quanto si vuole, ma non si possono tacere i fatti ben documentati. È una cosa molto importante nella nostra zona del mondo, perché gran parte della stampa araba è fatta solo di opinioni». Secondo l’organizzazione indipendente Arab Reporters for Investigative Journalism (ARIJ – «Cronisti arabi per il giornalismo investigativo»), questo concetto rimane «estraneo» alla maggior «Il mondo arabo dovrà fare ancora molta strada affinché cronache approfondite diventino parte integrante dell’attività giornalistica quotidiana», osserva sempre Rana Sabbagh, che dell’ARIJ è direttrice esecutiva, «ma una nuova generazione di giornalisti arabi sta assumendo il ruolo del quarto potere». Un mondo al maschile Da importante giornalista donna, Rana Sabbagh è quasi una mosca bianca nel panorama mediatico arabo, in cui il potere rimane saldamente in mani maschili. Durante la campagna elettorale per le elezioni tunisine dello scorso anno, un gruppo di osservatori sostenuto da International Media Support (IMS) ha constatato che, nonostante le nuove norme sulla parità fra i sessi e la presenza di numerose donne fra i candidati, i mezzi di comunicazione erano riusciti a dedicare alle donne meno del 3 % dello spazio informativo. Abeer Saady è una veterana del giornale Al Akhbar, nonché vicepresidente del sindacato egiziano dei giornalisti, e anche la prima donna eletta negli ultimi otto anni. È famosa per aver criticato la mancanza di standard etici nel settore dei media e la manipolazione delle informazioni a fini politici. È anche parte di un gruppo di giornalisti che lavorano con l’Unesco alla definizione di un codice etico: «è un compito arduo regolamentare la nostra professione, in particolare in quest’epoca di giornalismo online, ma è ormai tempo che i giornalisti comincino ad autoregolamentarsi», osserva. Con iniziative di formazione mirate, Abeer Saady spera di trasmettere la propria esperienza a una nuova generazione di giornalisti, migliorando la qualità dell’informazione. In maggio, 18 giornalisti sono stati arrestati e picchiati dalla polizia militare mentre seguivano le proteste di strada al Cairo. Secondo Abeer Saady, quest’incidente ha dato il via a un crescendo di attacchi sistematici contro la stampa. «Prima lottavamo contro Mubarak», spiega, «adesso ci battiamo per i nostri principi, rivolgendoci alla società». O Aiutiamo i media ad aiutarsi da soli Intervista a Jan Keulen, direttore del Centro di Doha per la libertà dei mezzi di comunicazione giornalisti stessi potrebbero definire le regole e applicarle. “ La quota di operatori dell’informazione nel Medio Oriente e nell’ Africa settentrionale che hanno ricevuto qualche tipo di formazione in materia di sicurezza non supera il 5 %. Jan Keulen, direttore del Centro di Doha per la libertà dei mezzi di comunicazione CESE info – Se dovesse indicare una sfida fondamentale per i mezzi di comunicazione nei paesi del dopo primavera araba, quale sceglierebbe? Il consolidamento istituzionale e lo sviluppo delle capacità sembrano strettamente interconnessi: difficile realizzare l’uno senza l’altro, non è così? Jan Keulen – Ne indicherei tre: il quadro giuridico, il consolidamento istituzionale e lo sviluppo delle capacità. Creare un quadro giuridico adeguato è il compito più urgente: la neonata libertà d’informazione deve essere sancita dalla costituzione altrimenti, considerato che è minacciata non solo dagli Stati, ma anche da tutta una serie di forze politiche, sociali e religiose, sarà difficile dedicarsi al consolidamento istituzionale e allo sviluppo delle capacità. È importante sottolineare che il quadro giuridico deve essere in linea col diritto, le convenzioni e le migliori pratiche a livello internazionale. Esattamente. Il consolidamento istituzionale è spesso considerato parte dello sviluppo delle capacità. Si tratta di un programma che prevede azioni come la gestione dei media a tutti i livelli, la creazione di sindacati dei giornalisti, riforme del sistema educativo e molte altre misure. Non è solo una questione di capacità dei giornalisti: occorre anche affrontare il tema di chi possiede i mezzi di comunicazione. Nel complesso, si tratta di un processo estremamente complicato che deve essere messo in modo per garantire la diversità e il pluralismo dell’informazione. “ Nei paesi arabi ci sono molti equivoci in materia di autoregolamentazione. 4 ” Dal seminario organizzato dal CESE a Cipro è venuto un appello per l’autoregolamentazione dei mezzi di comunicazione nei paesi del dopo primavera araba. Lei sembrava nutrire delle perplessità circa l’efficacia di questa misura. Perché? Sono molto prudente per quanto riguarda l’autoregolamentazione in generale, non solo nei paesi arabi. Basti pensare alla Gran Bretagna e all’affare Murdoch, che ne ha messo a nudo molti punti deboli. Io credo piuttosto nell’utilità di un codice etico, o in una professione del giornalista regolamentata a livello di rete televisiva, giornale o stazione radiofonica. Non mi pare una buona idea avere un sistema di autoregolamentazione a livello nazionale o anche solo settoriale, ad es. per la carta stampata. A mio parere, nei paesi arabi ci sono molti equivoci in materia di autoregolamentazione. Alcuni giornalisti potrebbero preoccuparsi per la loro libertà, acquisita fra tante difficoltà e minacciata da un nuovo complesso di norme, altri potrebbero chiedersi, come mi chiedo io, chi dovrà far applicare l’autoregolamentazione: il governo o la società civile? In una serie di dibattiti tenutasi recentemente in Egitto sulla creazione di un ente di autoregolamentazione, è stata ventilata l’idea che i ” E che sanzioni potrebbero imporre a un giornalista che viola queste regole: lo spoglierebbero del diritto di praticare la professione? Dubito molto dell’efficacia di un simile meccanismo nella società egiziana di oggi. L’indice di libertà dell’informazione in Egitto è appena sceso a causa dell’incitamento al settarismo e dell’emergere di una stampa popolare di bassa qualità. Non penso che un nuovo organo, come un consiglio della stampa o un ente di autoregolamentazione, potrebbe risolvere questi problemi: le questioni etiche e professionali dovrebbero rientrare nel processo di sviluppo delle capacità e fare parte integrante della formazione dei giornalisti. Se vogliamo che le regole attecchiscano e vengano rispettate, devono anzitutto essere interiorizzate, occorre che gli interessati capiscano perché devono comportarsi in un certo modo. Cominciamo alzando gli standard professionali e le regole di condotta attraverso una regolamentazione interna: fatto questo, potremo occuparci del problema dell’autoregolamentazione a un livello diverso da quello dei singoli media. Secondo la valutazione pubblicata nel gennaio 2012 dalla World Association of Newspapers and News Publishers (Associazione mondiale dei giornali e dei loro editori), la regione araba è la parte del mondo più pericolosa per i professionisti dell’informazione. Ha dei consigli su come migliorare la sicurezza nella regione? Prima di tutto, non vi è una cultura della sicurezza nei media, né nella società nel suo complesso. I media possono varare azioni concrete organizzando programmi di sensibilizzazione: una formazione ampia in materia di sicurezza, pubblicazioni con consigli specifici e campagne informative. La quota di operatori dell’informazione nel Medio Oriente e nell’Africa settentrionale che hanno ricevuto qualche tipo di formazione in materia di sicurezza non supera il 5 %: c’è ancora tantissimo da fare. Uno sforzo particolare dovrebbe venire dai media che inviano giornalisti in teatri di guerra e conflitti. In generale, il Centro di Doha per la libertà dei mezzi di comunicazione è piuttosto favorevole all’idea che i media si dotino di protocolli interni di sicurezza, che dovrebbero comprendere un’assicurazione sulla vita e misure analoghe. Il nostro compito è aiutarli a mettere a punto tali protocolli, che esistono già presso la BBC, l’AFP e la Reuters. Si tratta di obiettivi importanti, che vanno perseguiti anche a livello politico. Le organizzazioni non governative, l’Unesco e altre agenzie dell’ONU stanno lavorando duramente per migliorare la sicurezza dei giornalisti in tutto il mondo, ma si tratta di un processo di lungo termine: non è una cosa che si possa fare O dalla sera alla mattina. (mb) CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale L’Algeria ha fatto molta strada dagli anni ‘90, quando 100 giornalisti persero la vita, ma rimane un paese retto da un regime autoritario, nel quale l’opposizione è debole e divisa. La società civile non è ben organizzata e, secondo gli osservatori, la mancanza di solidarietà impedisce alla categoria dei giornalisti di parlare con una sola voce e rende impossibile creare una struttura per la responsabilità. «Il governo algerino sta cercando di rispondere agli avvenimenti negli altri paesi della regione impedendo che essi si verifichino sul proprio territorio», spiega Milica Pesic, direttore esecutivo del Media Diversity Institute (MDI). «Il regime non teme la società civile, ma i fondamentalisti islamici. Ho l’impressione che la primavera araba, che ha attraversato tutti i paesi della regione, si stia gradualmente trasformando in una sorta di soluzione islamica. Sono piuttosto pessimista per il futuro». Un risultato – e un possibile ostacolo al sostegno internazionale per il miglioramento degli standard professionali – è la recente legge che vieta ai media e alle organizzazioni della società civile di accettare aiuti finanziari da organizzazioni straniere a meno che queste ultime non firmino un apposito contratto con il governo. Questo provvedimento potrebbe impedire a organismi come l’MDI, che offre programmi di formazione professionale, di operare nel paese. Secondo Milica Pesic, tuttavia, questa legge è ancora applicata in modo disomogeneo. «Lavoriamo anche in altri paesi dove i regimi al potere non ci accolgono a braccia aperte, ed è un rischio che corriamo volentieri. Dobbiamo però ricordare i pericoli cui sono esposti i nostri colleghi che decidono di partecipare», sottolinea. Intimidazione legalizzata Per effetto delle severe leggi algerine in materia di diffamazione a mezzo stampa, molti giornalisti praticano l’autocensura. Le pubblicazioni che si espongono a favore della democrazia e contro la corruzione, come El Watan, subiscono frequenti attacchi. L’anno scorso tuttavia, un esperto indipendente di diritti umani delle Nazioni Unite, visitando il paese, ha constatato un miglioramento nel clima dell’informazione: i giornalisti ora possono lavorare senza temere per la loro vita. Frank La Rue ha chiesto però che vengano realizzate le riforme necessarie a eliminare questa «intimidazione legalizzata» che ostacola la libertà di espressione. A parte la televisione pubblica controllata dallo Stato, il pubblico algerino può vedere cinque canali privati, quattro con sede in Giordania e uno con sede a Londra. Il governo afferma che la nuova legislazione in materia di mezzi audiovisivi, in fase di adozione, consentirà una maggiore libertà di espressione, ma Milica Pesic è scettica al riguardo. «Non credo proprio che questa nuova legge aprirà spazi di pluralismo: si tratta piuttosto di una misura di regolamentazione, spiega. Quello che temo è che la maggior parte dei media indipendenti sia controllata da persone scelte dal regime, che quando ci saranno le elezioni diranno ai telespettatori di votare per il partito al potere. Stanno costruendo uno spazio che sarà occupato dal governo». “ Per effetto delle severe leggi algerine in materia di diffamazione a mezzo stampa, molti giornalisti praticano l’autocensura. Le pubblicazioni che si espongono a favore della democrazia e contro la corruzione, come El Watan, subiscono frequenti attacchi. ” Visto il contesto, è comprensibile che molti cittadini non si fidino dei mezzi di comunicazione nazionali. «Preferiscono guardare canali stranieri, come il programma della BBC in lingua araba, Al Jazeera o Alassema», conclude Pesic. O La stampa egiziana sotto il controllo dei Fratelli musulmani In Egitto il braccio politico dei Fratelli musulmani, ossia il partito Libertà e giustizia, sta conducendo una campagna di repressione della libertà di stampa e dei giornalisti critici nei confronti del potere. «Gli oppressi di ieri sono diventati gli oppressori dei giornalisti», denuncia Soazig Dollet, responsabile per l’area geografica Medio Oriente e Nord Africa presso l’organizzazione Reporter senza frontiere, che ha sede a Parigi. I giornalisti si vedono imporre dai Fratelli musulmani le stesse restrizioni cui erano soggetti sotto il regime trentennale dell’ex presidente Hosni Mubarak, che sfruttava il suo potere per avere media condiscendenti, pronti a presentare in una luce positiva gli interventi dell’esercito o del Consiglio supremo delle forze armate. «Il ruolo dell’esercito nella società e nell’economia egiziana era veramente un tabù [per i media]», osserva Dollet. I giornali di Stato pubblicavano regolarmente in prima pagina immagini di Mubarak tirato a lucido. Ma la caduta del presidente nel febbraio 2011 ha provocato un moto di indipendenza da parte dei media, che per un breve periodo hanno potuto esprimere atteggiamenti critici, dipingendo Mubarak come un vecchio debole, malato e disonorato. In agosto, il caporedattore del quotidiano privato Al-Dustour è stato accusato dal tribunale penale di Giza di «oltraggio al presidente». In ottobre lo stesso tribunale ha rinviato al 7 novembre il processo a Tawfik Okasha, un presentatore televisivo accusato a sua volta di oltraggio al presidente. Nel frattempo le trasmissioni dell’emittente per cui lavora il presentatore sono state interrotte. E, in settembre, le forze di sicurezza hanno picchiato due giornalisti che si occupavano delle proteste contro il film anti islamico realizzato negli USA. Il governo del presidente Mohamed Morsi non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione o pronunciato scuse per l’incidente. L’iniziativa di Morsi di vietare la detenzione preventiva dei giornalisti accusati di reati legati alla stampa, adottata il 23 agosto scorso, ha riscosso un certo consenso. Ma, per le ONG che si battono per la libertà dei media, si è trattato di un’operazione di facciata. Il giorno prima, le autorità avevano sequestrato varie edizioni del settimanale Al-Shaab, accusato di aver pubblicato articoli critici nei confronti del nuovo capo dei O servizi di intelligence egiziani. © Baloncici © Aleksandar Mijatovic Il prezzo dell’autocensura in Algeria L’opposizione ridotta al silenzio Tuttavia, l’ascesa al potere dei Fratelli musulmani il 30 giugno 2012 ha reintrodotto le minacce e la coazione come strumenti per ridurre al silenzio le voci fuori dal coro. «Per molti giornalisti egiziani, criticare i Fratelli musulmani è ormai impossibile», afferma Dollet. Le aggressioni nei loro confronti, il sequestro di giornali e i procedimenti penali contro gli esponenti della stampa si fanno più frequenti. I media tunisini indipendenti in caduta libera Tunisia: continua la lotta per l’indipendenza dell’informazione © calvindexter emendamenti controversi per indebolire i testi originari. Uno degli emendamenti al decreto 115, che intendeva criminalizzare la blasfemia e gli «attacchi al sacro», è stato respinto il 12 ottobre dal presidente dell’Assemblea costituente nazionale Mustapha Ben Jaafar. Secondo fonti interne al paese, la Tunisia non terrebbe in alcun modo conto delle condizioni di finanziamento internazionali che la obbligano ad applicare le leggi a tutela della libertà di stampa. Un funzionario del governo, che preferisce rimanere anonimo, ha riferito che una delegazione europea, di concerto con la Banca mondiale e la Banca africana di sviluppo, ha presentato a giugno delle proposte che vincolerebbero i finanziamenti internazionali all’attuazione dei codici tunisini in materia di stampa. Tali codici, oggetto dei decreti 115 e 116 per la garanzia delle libertà di stampa, sono stati adottati formalmente dal parlamento nel novembre 2011, ma non sono mai stati applicati. Da allora vi sono stati diversi tentativi di introdurre L’annuncio ha fatto tirare un cauto sospiro di sollievo ad alcuni esperti. Alexandre Delvaux, consulente per i media all’ambasciata svizzera di Tunisi, ha dichiarato a CESEinfo che «alcuni membri del governo semplicemente non comprendono il concetto di libertà di espressione». Da gennaio sono stati documentati almeno 130 casi di violazione della libertà di stampa. In 84 di essi si è trattato di attacchi fisici diretti a giornalisti. Radio e televisioni politiche Secondo Delvaux, una lacuna nella legislazione in materia di mass media ha permesso la proliferazione di stazioni radio e televisive non autorizzate. Alcune sono legate a partiti politici e da essi finanziate, e compromettono così il concetto di stampa indipendente. «I loro messaggi, in genere, non sono molto democratici e spesso sostengono apertamente certi partiti come Ennahda [il partito islamico moderato al potere]», osserva Delvaux. CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale Sebbene i canali televisivi, le stazioni radio e i giornali finanziati dai partiti politici siano vietati, i media sostenuti politicamente stanno prendendo sempre più piede. Il figlio di un ministro di spicco del governo tunisino, ad esempio, dirige ora il canale televisivo Zitouna TV, lanciato di recente. Intervista a Mustapha Ben Letaief, professore di diritto all’Università di Tunisi la riforma del settore dei media in Tunisia «conformi alle norme internazionali in materia di libertà di espressione», si è dimessa in blocco nell’aprile 2012. Perché questa decisione? “ Da gennaio sono stati documentati almeno 130 casi di violazione della libertà di stampa. In 84 di essi si è trattato di attacchi fisici diretti a giornalisti. ” Lo scorso ottobre il leader di Ennahda, Rashid Al-Ghannushi, avrebbe incoraggiato la frangia islamica radicale dei salafiti a creare dei media propri. Il movimento salafita intende reintrodurre la sharia in Tunisia. Lo scorso settembre, nei pressi di Tunisi, alcuni militanti salafiti hanno assaltato un albergo perché serviva alcolici. «Lui [Rashid] ha consigliato ai salafiti di fondare un proprio canale televisivo e radiofonico – cosa che, oltre a essere pericolosa, è anche illegale», avverte Delvaux. O Mustapha Ben Letaief, professore di diritto all’Università di Tunisi In quanto membro dell’Alta istanza per la realizzazione degli obiettivi della rivoluzione, il professor Ben Letaief ha partecipato ai lavori della commissione incaricata di riflettere sulla riforma dei mezzi d’informazione audiovisivi in Tunisia. CESE Info: La Commissione nazionale per la riforma dell’informazione e della comunicazione, incaricata di formulare proposte per Prof. Mustapha Ben Letaief: Prima di tutto vorrei sottolineare che noi membri della Commissione non ci siamo dimessi, ma abbiamo deciso di sospendere le nostre attività a causa di una situazione di impasse con il governo. Abbiamo ritenuto che quest’ultimo non intendesse cooperare e che avesse ignorato le proposte e le raccomandazioni che avevamo formulato a partire dal dicembre 2011 e successivamente, nella relazione generale trasmessa al governo stesso, alla presidenza della Repubblica e alla presidenza dell’Assemblea nazionale. Avevamo sottolineato e criticato la mancanza di volontà di riformare e proteggere la libertà d’informazione e >>> p a g i n a 6 5 Co ntinua da pag. 5 Tunisia: continua la lotta per l’indipendenza dell’informazione messo in rilievo, piuttosto, una volontà di controllo e l’adozione di decisioni unilaterali riguardanti il settore dell’informazione. e tutti i principali responsabili, compresi quelli della televisione nazionale e delle diverse emittenti radio pubbliche nazionali e regionali, sono stati licenziati e sostituiti con persone compiacenti o vicine al potere. In seguito la linea generale di questi media è cambiata? Per qualche mese c’è stata una certa, relativa indipendenza. Successivamente, però, i media di servizio pubblico hanno cominciato a subire enormi pressioni, Molti giornalisti dotati di spirito critico sono stati messi da parte o «in naftalina». Il tono e la linea generale scivolano progressivamente ma chiaramente verso Intervista a Sihem Najar, ricercatrice presso l’Istituto di ricerca sul Magreb contemporaneo reale» che li vede partecipare a manifestazioni e sit-in, sostenere militanti politici, assistere alle assemblee dei partiti politici, intervenire in dibattiti televisivi e radiofonici e, contemporaneamente, proseguire le loro «avventure virtuali». © corepics Si può parlare della graduale affermazione di media di servizio pubblico indipendenti, in Tunisia? una certa sottomissione alla volontà, alle scelte e al punto di vista dei governanti, che cercano di farne dei media di governo e non di servizio pubblico. Tuttavia ci sono atti di resistenza, e la lotta per l’indipendenza dei media di servizio O pubblico continua. (mb) I ciberattivisti contro l’autoritarismo L’autocensura: un fenomeno diffuso in Giordania Intervista a Fateh Mansour, responsabile di programma presso il Centro per la difesa della libertà dei giornalisti, Giordania Fateh Mansour, responsabile di programma presso il Centro per la difesa della libertà dei giornalisti, Giordania CESE info: La Giordania ha recentemente emanato una nuova legge sui media che, secondo le voci critiche, limiterà la libertà di espressione online. Quali sono le disposizioni principali di questa legge? Fateh Mansour: La nuova legge sulla stampa e le pubblicazioni estenderà il diritto penale al ciberspazio al fine di controllare i media online attivi in Giordania. La legge non limiterà soltanto la libertà dei media, ma anche la libertà di espressione, in generale, e la libertà su Internet, in particolare, subordinando l’attività dei media elettronici al rilascio di una licenza da parte del governo. Il dipartimento della Stampa e delle pubblicazioni ha ora il potere di bloccare qualsiasi sito web che non sia registrato e in possesso di licenza, e di respingere qualsiasi richiesta di crearne di nuovi. Inoltre, un sito web, pur essendo correttamente registrato e in possesso di licenza, può essere bloccato se giudicato inadempiente alle disposizioni di legge. Secondo un nuovo disegno di legge, queste restrizioni si applicheranno anche ai siti web stranieri. Per di più, la nuova legge considera i post inviati da lettori e internauti come parte integrante di una notizia della quale il sito web è responsabile. Se questi messaggi saranno ritenuti criminosi, il sito sarà sottoposto a sanzione. Si tratta di misure inaccettabili e contrarie al codice deontologico: i commenti dei lettori non fanno parte del lavoro giornalistico. La disposizione viola un principio giuridico consolidato: quello della «individualità della pena». Infine, la legge impone agli organi giudiziari di trattare con estrema urgenza i casi in cui sono coinvolti dei media, il che contrasta con il diritto a un equo processo. In base alla normativa in vigore in Giordania, i giornalisti possono essere perseguiti penalmente per diffamazione contro le istituzioni pubbliche, i simboli e la religione. Questo rischio porta all’autocensura? Certamente. I giornalisti in Giordania hanno spesso paura di criticare le istituzioni pubbliche per via delle conseguenze giuridiche. Il nostro Centro realizza ogni anno un sondaggio tra i giornalisti da cui è emerso che, nel periodo 2008-2010, il 94-95 % di essi ha esercitato forme di autocensura. Nel 2011, per effetto indiretto della primavera araba che ha interessato la regione, la percentuale è scesa all’86 %. Questa diminuzione può essere uno dei motivi alla base della nuova legge: i giornalisti cominciavano infatti a superare le loro paure. Quale pensa sia il modo migliore per combattere l’autocensura? L’autocensura è indotta da una serie di fattori: un quadro giuridico restrittivo, una società conservatrice incline ad accettare le restrizioni alla libertà dei media, un’insufficiente professionalità del giornalismo e l’ingerenza del governo. Per combattere contro l’autocensura occorre lavorare simultaneamente su tutti questi fronti. Ciò significa riformare le leggi, sostenere i difensori della libertà dei mezzi d’informazione nella società e sensibilizzare l’opinione pubblica. È necessario altresì sviluppare le capacità e porre fine all’ingerenza del governo rendendola illegale. Dobbiamo lavorare, inoltre, per migliorare la sicurezza dei giornalisti. Il nostro Centro fornisce assistenza legale gratuita e raccoglie documentazione sugli atti perpetrati contro i media. La Giordania ha assistito di recente a un forte aumento del numero di portali informativi su Internet. La qualità è riuscita a tenere il passo con questa evoluzione quantitativa? Si può tranquillamente affermare che la qualità è aumentata più lentamente della quantità. Dobbiamo fare di più per rafforzare e innalzare il livello di professionalità dei media giordani. È necessario costruire e sviluppare nuove scuole di giornalismo, perché quelle esistenti non forniscono agli studenti gli standard, le competenze e le O conoscenze indispensabili. (mb) Alimentare i fragili venti di libertà in Marocco Karim Boukhari, Editor TelQuel Il Marocco è uno dei paesi sopravvissuti alla primavera araba senza un cambio di regime. Questo è dovuto in parte al fatto che nel 2011 il re Mohamed VI ha assicurato che avrebbe portato avanti una serie di riforme, le quali tuttavia non sono mai state estese al settore dei media, e da allora diversi giornalisti hanno subito atti di violenza o addirittura l’arresto. 6 TelQuel è una rivista settimanale che ha preso posizione contro l’islamismo e a favore della libertà di espressione. Lo scorso anno, a causa di pressioni politiche, il suo fondatore ed ex direttore Ahmed Benchemsi è stato costretto a lasciare il paese. Gli è succeduto Karim Boukhari. restrizioni pubblicitarie. In un paese in cui le inserzioni pubblicitarie provengono principalmente da istituzioni quali banche, operatori telefonici, ecc. vicini a chi detiene il potere, un giornale indipendente può essere privato di ogni fonte di reddito». «In Marocco, la libertà è in pericolo», ha dichiarato Boukhari a CESE Info. «Le autorità impongono un certo numero di divieti attraverso varie leggi che prevedono la reclusione per i giornalisti. La monarchia, la religione, il Sahara, … sono tutti argomenti tabù». Negli ultimi tempi è nata un’altra forma preoccupante di censura, quella degli stessi cittadini. «La popolazione impone i propri divieti: la religione, l’Islam, il profeta, Dio, sono argomenti estremamente delicati. Pur se si riesce a sfuggire alla collera dello Stato, non si scappa alla rabbia della popolazione». La legge non è l’unica forma di repressione. «Quest’ultima si manifesta anche a livello economico» spiega Boukhari. «Un giornale indipendente può subire Il governo promette che il nuovo codice della stampa non prevederà alcuna misura di restrizione della libertà per i giornalisti, CESE info: dottoressa Najar, talvolta si tende a pensare che l’attivismo «virtu-reale» sia iniziato con l’esplosione delle rivoluzioni arabe. Al seminario che abbiamo organizzato a Cipro, Lei ha invece affermato che ciberdissidenti e internauti impegnati avevano iniziato la loro attività su Internet già vari anni prima della primavera araba. Sihem Najar: è difficile capire il ciberattivismo, che ha dato un forte contribuito al rovesciamento dei regimi dittatoriali di vari paesi del mondo arabo, senza inquadrarlo nel processo di cibermilitanza che ha preso forma verso la fine degli anni ‘90. Una delle azioni che ha segnato il web è stata la manifestazione online contro il regime di Ben Ali «Yezzi, Fock», letteralmente «adesso basta», lanciata nel 2005 da Neila Charchour Hachicha. I ciberattivisti hanno anche organizzato diverse manifestazioni online per lottare contro la censura della «ciberpolizia», rappresentata fondamentalmente dall’Agenzia tunisina per Internet (ATI) e designata dagli internauti con l’appellativo di «Ammar». Inoltre il web, con i suoi diversi spazi d’espressione, ha conosciuto un periodo di gestazione delle rivolte popolari, analogamente a quanto avveniva sul campo d’azione. Questo periodo, che si situa tra il gennaio 2008 e il gennaio 2011, è caratterizzato da disordini sociali di vario tipo, in particolare quelli del bacino minerario, non riportati dai media «politicamente corretti» e repressi con la violenza. I movimenti sociali online che hanno accompagnato gli avvenimenti succedutisi dal 17 dicembre 2010, giorno in cui Mohamed Bouazizi si è dato fuoco, al 14 gennaio 2011, data in cui il presidente destituito ha lasciato il paese, hanno costituito una svolta storica che ha segnato i percorsi di militanza dei ciberattivisti. Da allora, questi sono diventati protagonisti e si sono lanciati in un attivismo «virtu- afferma Boukhari. «Ma saprà mantenere questa promessa? Io ho i miei dubbi». Avanzare e retrocedere Boukhari però non è totalmente pessimista. «Nonostante tutto, un margine minimo di libertà sussiste tuttora in Marocco. In confronto al resto del mondo arabo, questo margine è reale ed interessante. È come un rivolo d’acqua sotto i nostri piedi. Alcuni – come TelQuel – se ne servono mentre altri, vuoi per autocensura vuoi per una mentalità conservatrice, ci rinunciano. Questo dà l’impressione contraddittoria che in Marocco la libertà avanzi e retroceda al tempo stesso». Come sono cambiati i movimenti sociali online dopo il 14 gennaio 2011, quando il presidente destituito ha abbandonato il paese? L’impegno politico e civico dei ciberattivisti ha assunto diverse forme dopo il 14 gennaio 2011. A partire dalla lotta contro l’autoritarismo, essi si sono dati come missione principale quella di partecipare allo sviluppo politico e democratico della società dalla base e di contribuite allo sforzo per il passaggio alla democrazia. Innanzitutto, hanno dato un apporto al processo elettorale contribuendo a sensibilizzare i cittadini all’importanza del voto. Sono inoltre sempre più presenti sulla scena politica: a questo proposito, facciamo notare che tra i candidati alle elezioni ci sono sette autori di blog. Un’altra forma assunta da questa partecipazione è la lotta per un’informazione e una democrazia trasparenti in Tunisia. In questo senso, diversi blogger hanno sostenuto la campagna ≠7ell per un governo aperto, chiedendo trasparenza all’interno dell’Assemblea nazionale costituente (ANC). Questa azione è stata appoggiata da un gruppo di deputati dell’ANC che si sono adoperati affinché venisse accettata ufficialmente. Pensa che il ciberattivismo continuerà a svilupparsi in Tunisia? Il ciberattivismo è tanto più importante oggi in quanto ha dimostrato il suo valore partecipando alla lotta contro l’autoritarismo, e ciò gli permetterà di imporsi in un contesto politico in piena gestazione. I ciberattivisti dovranno ora imparare a controllare meglio le loro azioni sia nello spazio cibernetico che sul campo d’azione, per raccogliere la sfida del passaggio alla democrazia e dimostrarsi all’altezza delle nuove sfide legate al processo di democratizzazione della società tunisina. (mb)O mondo arabo, gli appelli a favore di una limitazione della libertà di espressione. I leader dei paesi musulmani hanno fatto pressione sulle Nazioni Unite affinché promuovano una legge globale contro la blasfemia. Aidan White, Direttore della Rete per un giornalismo etico, teme che questo non possa far altro che acuire il conflitto tra Islam e cristianesimo e rappresenti una minaccia per le istituzioni democratiche. Aidan White identifica tre problemi fondamentali: «in Tunisia o in Egitto il processo della primavera araba non ha dato i risultati sperati», sostiene. La guerra civile in Siria sta destabilizzando l’intera regione e l’ombra del conflitto mediorienO tale continua a fare da sfondo. Gli attacchi all’Islam da parte di gruppi in occidente hanno potenziato, in tutto il CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale Ritrovare la stabilità e la fiducia in Europa: la società civile per una nuova governance Com’è ormai tradizione, l’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha tenuto una riunione straordinaria nel paese che assume la presidenza del Consiglio dell’UE. L’ultima riunione straordinaria è stata anche l’occasione per organizzare, insieme al governo della Repubblica di Cipro, un convegno sul contributo che la società civile può apportare alla definizione di nuove forme di governance politica volte a ristabilire la fiducia e la stabilità nell’Unione europea. Sia il vicesegretario del primo ministro della Repubblica di Cipro sia il ministro cipriota del Lavoro e degli affari sociali hanno sottolineato l’importanza di uscire dalla crisi puntando sulla crescita e non basandosi esclusivamente su politiche di austerità. È questa la posizione che hanno difeso in seno al Consiglio nella loro funzione di presidenti di turno, posizione perfettamente in linea con quella espressa dal Comitato. Dalla collaborazione tra il CESE e il governo cipriota è nato il parere SOC/462 Rafforzare i processi partecipativi e il coinvolgimento degli enti locali, delle ONG e delle parti sociali nell’attuazione della strategia Europa 2020 elaborato dal Comitato proprio su richiesta della presidenza del Consiglio dell’UE. Uno dei messaggi chiave del parere è appunto la necessità di coinvolgere la società civile nel processo decisionale. Come hanno ben messo in evidenza i presidenti dei tre gruppi del CESE, è fondamentale disporre di un sistema di governance che consenta ai cittadini di identificarsi con il modello sociale ed economico europeo. I rappresentanti dei datori di lavoro (I gruppo), dei lavoratori (II gruppo) e delle attività diverse (III gruppo) hanno sottolineato la necessità di tener bene a mente i successi conseguiti dal modello sociale europeo e di adeguarli al momento attuale. Il I gruppo, ad esempio, sta elaborando un codice di condotta che permetta ai datori di lavoro di rispettare il modello sociale europeo. I rappresentanti della società civile cipriota e il governo della Repubblica di Cipro si sono dichiarati d’accordo sul fatto che è possibile uscire dalla crisi solo con più Europa. Forse, uno degli argomenti più efficaci a sostegno di questa tesi è quello di immaginare uno scenario ipotetico in cui non esistono né l’UE né i suoi risultati, un esercizio portato avanti nel parere SC/35 sul costo della non O Europa. (asp) Il vertice euromediterraneo 2012 dei CES e istituzioni analoghe riflette un anno di grandi sconvolgimenti nella regione preoccupazione per gli sconvolgimenti in atto nella regione: «Tra i tanti aspetti che mi colpiscono vi sono, in particolare, la violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte di alcuni governi, il degrado della situazione sociale ed economica, in particolare per le donne, così come il mancato rispetto dei diritti sindacali, che ha impedito di avviare il dialogo sociale in alcuni paesi. Sono tutte questioni che dobbiamo affrontare in questo vertice.» Vertice euromediterraneo, Amman, Giordania Dal 17 al 19 ottobre si è tenuto ad Amman (Giordania) il vertice euromediterraneo dei consigli economici e sociali e istituzioni analoghe 2012, organizzato congiuntamente dal CESE e dal CES giordano. Oltre alla nutrita delegazione del CESE, composta di 20 membri, hanno partecipato al vertice – il secondo dall’inizio della «primavera araba» – diversi rappresentanti della società civile di 15 paesi mediterranei e di numerosi Stati membri dell’UE. Nonostante il sole splendesse luminoso in quello che è uno dei paesi più aridi del mondo, il vertice ha preso il via in un’atmosfera cupa e concentrata, tenuto conto di quanto sta avvenendo nella regione – in particolare le violenze che imperversano nella vicina Siria, ma anche la situazione sempre più drammatica dei diritti umani e sociali in diversi altri paesi. È in questo spirito che il Presidente del CESE Staffan Nilsson ha espresso la sua È evidente che non esiste una bacchetta magica in grado di dissipare le nuvole minacciose che incombono su questi paesi, ma il senso di urgenza ha spinto i 200 partecipanti a tenere discussioni intense e animate, che hanno portato a formulare diverse importanti raccomandazioni su temi cruciali per la regione: migliorare la governance tramite un maggiore coinvolgimento della società civile nella definizione delle politiche; promuovere il dialogo sociale e la formazione; garantire la libertà dei media; migliorare la situazione economica e sociale delle donne; rafforzare il ruolo della società civile nella lotta alla corruzione; rilanciare la politica energetica e industriale. La presenza del nuovo premier giordano e di altre personalità di spicco, tra cui parlamentari e ambasciatori, è un segno della grande considerazione di cui gode oggi la società civile nella regione. E le prospettive, in effetti, non sono tutte così fosche. Nel corso delle discussioni è emerso chiaramente che, nonostante i tanti passi indietro, ci sono stati anche dei progressi su diversi fronti: libertà dei media, lotta alla corruzione e ruolo svolto dalla società civile. Anche se nessuno è in grado di prevedere quale direzione prenderanno i cambiamenti in atto nella regione – finora l’andamento è stato piuttosto irregolare -, è forte la sensazione che almeno alcune delle conquiste fondamentali della «primavera araba» siano irreversibili. CES in Marocco, alla possibile creazione di un CES palestinese e al rilancio del CES giordano. I partecipanti hanno adottato una «Carta dei CES», che fissa dei criteri di base in termini di rappresentatività e indipendenza dei CES: essa servirà da guida per i paesi della regione e potrebbe costituire un’utile novità per i CES di tutto il mondo. Al vertice ha anche partecipato, per la prima volta, una rete di ONG per ciascun paese Euromed, come pure dei rappresentanti della Libia. La speranza è che, se si riuscirà a tradurre questi progressi sul campo in più ampie riforme politiche, è possibile che, a lungo termine, si vada verso un ulteriore miglioramento della O situazione nella regione. (gh) Sono stati fatti passi avanti anche rispetto alla creazione e allo sviluppo di un LA SESSIONE PLENARIA IN SINTESI Proteggere i lavoratori distaccati senza trascurare le esigenze delle imprese di norme specifiche in grado di proteggere i minori dalla pubblicità pericolosa e dai contenuti online dannosi. Alla sessione plenaria di settembre, il CESE ha adottato il parere elaborato da Thomas Janson (gruppo Lavoratori, Svezia) in merito alla proposta della Commissione concernente l’applicazione della direttiva relativa al distacco dei lavoratori. Il CESE ha accolto con favore l’intenzione della Commissione di concentrarsi su una migliore attuazione e su una cooperazione amministrativa efficace tra Stati membri, sottolineando al tempo stesso l’importanza Thomas Janson, membro CESE, di garantire la protezione dei lavoratori gruppo Lavoratori distaccati e scoraggiare il dumping sociale e la concorrenza sleale. Pur sostenendo in linea di principio l’obiettivo dell’UE di creare un mercato digitale unico competitivo, il CESE mette in guardia contro l’adozione di misure che privilegino il commercio elettronico rispetto alla protezione dei minori. «La comunicazione della Commissione sembra essere più attenta alla crescita commerciale che alla protezione dei minori», avverte Antonio Longo (Italia, gruppo Attività diverse), relatore di uno dei pareri. A giudizio del CESE, per promuovere una concorrenza equa è importante garantire condizioni minime di lavoro omogenee, conformemente alle legislazioni e ai contratti collettivi nazionali. Inoltre, la direttiva dovrebbe puntare a evitare costi amministrativi superflui per le imprese. Secondo il CESE, la comunicazione sulla strategia europea per un Internet migliore per i ragazzi è stata un’occasione persa per quanto riguarda la creazione di un quadro coerente per la protezione dei minori, poiché non contiene norme chiare sulla pubblicità né alcun riferimento alla pubblicità di prodotti alimentari che, a giudizio del Comitato, dovrebbe invece formare oggetto di una regolamentazione specifica. Il CESE ritiene che quello della responsabilità nei casi di subcontratto sia un elemento cruciale della proposta di direttiva, che deve rispettare i sistemi di responsabilità solidale esistenti negli Stati membri. I paesi che non dispongono di tali sistemi dovrebbero introdurli previa conO sultazione delle parti sociali. (ač) Il CESE è favorevole a un maggior equilibrio tra commercio elettronico e salute dei minori Nella sessione plenaria di settembre il Comitato economico e sociale europeo ha adottato due pareri in cui sollecita l’introduzione Sebbene Internet non sia stato concepito pensando ai minori, oggi il 75 % di essi lo utilizza. «Si tratta di un nuovo fenomeno da tenere sotto controllo», ha spiegato Jorge Pegado Liz, relatore del parere del CESE sulla pubblicità diretta ai giovani e ai bambini. L’autoregolamentazione degli operatori del settore non è una misura sufficiente per garantire la protezione dei minori online, ha avvertito il CESE, aggiungendo che, sulle questioni più importanti, come la tutela dei dati personali o la pedopornografia, devono essere varate norme rigorose che, in caso di violazione, prevedano anche la chiusura immediata dei siti e la revoca delle autorizzaO zioni. (mb) Quanto costa l’attuale battuta di arresto dell’integrazione europea? George Dassis, presidente del gruppo Lavoratori del CESE In uno sforzo per contrastare il crescente sentimento anti-UE diffuso tra i cittadini europei e arginare l’avanzata del populismo e dell’estremismo, il Comitato ha adottato nella plenaria di settembre un parere sul costo della non Europa. «I problemi economici attuali non sono il risultato degli eccessi di Bruxelles, come vorrebbero le idee populistiche espresse in certi ambienti politici di parecchi paesi dell’Unione, ma sono dovuti al fatto che l’integrazione europea è sostanzialmente incompiuta», ha affermato Georgios Dassis, relatore del parere e presidente del gruppo Lavoratori del CESE. Il tema è stato analizzato per la prima volta nel 1988 da Paolo Cecchini, autore per la Commissione europea di uno studio sul costo della non Europa in relazione al mercato unico. L’approccio adottato nel parere è tuttavia di portata più vasta: il Comitato chiede una stima precisa del costo totale della non Europa e del suo impatto sull’occupazione e sulla crescita; chiede inoltre che la strategia Europa 2020 includa obiettivi di riduzione di tale costo, accompagnati da un piano d’azione preciso e da una valutazione sistematica dei relativi progressi. «I risultati di uno studio a 360 gradi costituiranno l’argomento più solido contro gli euroscettici e contro i dubbi sull’UE», è la conclusione di Luca Jahier, presidente del gruppo Attività diverse del CESE e correlatore O del testo. (mb) Per ulteriori informazioni : http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.opinions p CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale 7 PROSSIMAMENTE AL CESE Una grande tifosa di cricket: Brenda King Brenda King, membro CESE, gruppo Datori di lavoro Tomasz Jasiński: Potresti parlarmi della tua esperienza professionale? Brenda King: Ho una laurea in statistica ed economia e un master in ricerca operativa. Sul piano professionale, quindi, mi sono specializzata nell’impiego di metodi avanzati di analisi per aiutare i clienti a prendere decisioni migliori. Ho sempre voluto assistere dal vivo, in India, a un incontro tra la nazionale indiana e quella pakistana. IN BREVE Che sensazioni provi quando torni nella tua isola? Lo ricordo benissimo. Questo mese saranno 10 anni esatti da quando sono arrivata al CESE. È bellissimo ritrovare la famiglia e gli amici per raccontarci tutto quello che abbiamo fatto, soprattutto con mio nonno paterno, che ha un innato senso dell’umorismo. Mi piace molto anche passeggiare sulla spiaggia la mattina presto: è il mio modo per sentirmi in armonia con la natura. Com’era il tuo stato d’animo quel giorno? Tomasz Jasiński, membro polacco del gruppo Lavoratori del CESE e rappresentante dei consiglieri nel comitato di redazione di CESE Info, propone una nuova serie di interviste incentrate su hobby, interessi e convinzioni dei suoi colleghi membri del Comitato. Di recente ha incontrato Brenda King, membro britannico del gruppo Datori di lavoro, la quale dirige anche l’organizzazione African & Caribbean Diversity e siede nella Women’s National Commission del Regno Unito. Riportiamo parte della conversazione tra i due consiglieri: “ Ricordi il tuo primo giorno al Comitato? ” Di totale smarrimento, perché nessuno di noi aveva ricevuto la minima informazione su quel che dovevamo fare: passavamo da una riunione all’altra votando per gente mai vista prima e di cui non sapevamo nulla. Immagino che in tutti questi anni tu abbia avuto modo di cambiare idea? Certo! Oggi il Comitato organizza delle «giornate di accoglienza» per i nuovi membri. Forte della mia esperienza, ho anche promosso un paio di incontri informali tra i consiglieri del mio gruppo Datori di lavoro, per dar modo a tutti di conoscersi in un clima più disteso, al di fuori delle sale riunioni. Qualche anno fa ho conosciuto all’Isola Barbados la tua splendida famiglia d’origine. Vai spesso a trovarli? Di solito vado una volta l’anno, ma nel 2012 eccezionalmente li ho visti in ben quattro occasioni. Quali sono i tuoi hobby? Col passare del tempo, la famiglia e gli amici contano sempre di più per me, perciò adoro le riunioni familiari. Mio marito e io siamo fortunati perché entrambe le nostre famiglie del ramo paterno organizzano regolarmente degli incontri; tutti e due dobbiamo invece fare grandi sforzi per mantenere i contatti con i parenti del ramo materno. Se potessi prenderti un giorno tutto per te, come lo trascorreresti? Sono una grande tifosa di cricket e ho sempre voluto assistere dal vivo, in India, a un incontro tra la nazionale indiana e quella pakistana. Non è la stessa cosa, ma sono riuscita ad avere i biglietti per la finale Pakistan/Sri Lanka dei Mondiali 2009 – la Twenty20 World Cup – a Londra. Ci sono andata vicina, anche se penso che per un evento di questo tipo Londra non possa rivaleggiare con Bombay. O Difendere le imprese sociali in europa: in gioco un modello sociale e milioni di posti di lavoro Da sinistra: Luigino Bruni, Università di Milano, e Luca Jahier, membro CESE, gruppo Attività diverse L’economia sociale può apparire come un concetto vago e poco chiaro agli occhi dei profani. Eppure si tratta di un settore che dà già lavoro a più di 14 milioni di persone nell’UE, cioè a oltre il 6 % di tutti i lavoratori. Se poi si considera che la crisi attuale ha dimostrato che le imprese sociali hanno una capacità di resistenza migliore, non si può che giungere alle stesse conclusioni del gruppo Attività diverse del CESE: l’economia sociale costituisce un settore chiave dell’economia europea. CESE info Barbara Walentynowicz (bw) Karin Füssl Tomasz Jasiński – Rappresentante dei membri del CESE Coordinamento generale: Nadja Kačičnik (nk) nel comitato editoriale (gruppo Lavoratori, Polonia) Maciej Bury (mb) Coralia Catana (cc) Adela Čujko (ač) Raffaele De Rose (rdr) Guy Harrison (gh) Alejandro Izquierdo Lopez (ail) Antonio Santamaria Pargada (asp) Il 26 e 27 novembre 2012 si terrà a Zagabria, in Croazia, il Quarto forum della società civile dei Balcani occidentali, nel corso del quale delegati provenienti dai paesi dei Balcani occidentali, membri del CESE, rappresentanti dei consigli economici sociali nazionali, rappresentanti delle istituzioni UE ed esponenti della diplomazia si riuniranno per discutere dei progressi registrati nelle relazioni tra l’UE e la regione. Il forum offrirà l’occasione per discutere anche altre tematiche, come la libertà dei mezzi di comunicazione, il coinvolgimento della società civile nel processo di adesione all’UE, lo sviluppo rurale e l’occupazione nei Balcani occidentali. Il forum della società civile dei Balcani occidentali rientra tra le iniziative svolte dal CESE nella regione, a complemento delle attività bilaterali già avviate dal Comitato con i paesi candidati nell’ambito dei comitati consultivi misti, istituiti conformemente alla base giuridica prevista dagli Accordi di stabilizzazione e associazione. Organizzato dal 2006 con cadenza biennale, il forum della società civile dei Balcani occidentali consente uno scambio di vedute sulla situazione attuale della società civile nella regione, sulle O sue esigenze e sulla sua evoluzione futura. Per ulteriori informazioni consultare il sito www.eesc.europa.eu «Rafforzare l’Europa»: con pratiche di lavoro innovative possiamo riuscirci! Il 3 ottobre scorso il gruppo Attività diverse del CESE ha tenuto un convegno intitolato Le imprese sociali e la strategia Europa 2020: soluzioni innovative per un’Europa sostenibile. Assieme al commissario europeo László Andor e a rappresentanti di imprese sociali e cooperative, il presidente del gruppo Attività diverse del CESE, Luca Jahier, e i membri del suo gruppo hanno esaminato nuovi modi per tutelare e promuovere l’economia sociale. Nell’intento di promuovere a livello europeo il concetto di innovazione sul luogo di lavoro, il CESE sta organizzando un seminario di alto livello su questo tema. Scopo del seminario, che si terrà il 30 novembre prossimo, è offrire l’opportunità di un dibattito con oratori scelti che sensibilizzi sull’argomento e presentare le conclusioni di uno studio dell’Eurofound su organizzazione del lavoro e innovazione sul lavoro. I partecipanti sono giunti alla conclusione che le imprese sociali si trovano a dover superare ostacoli amministrativi e che esse hanno bisogno di condizioni paritarie di concorrenza rispetto agli operatori economici tradizionali e di un migliore accesso ai finanziamenti. Essi hanno inoltre invitato gli Stati membri a facilitare la partecipazione delle imprese sociali agli appalti pubblici, ad adottare tempestivamente uno statuto dell’associazione europea e a rinnovare il marchio dell’impresa O sociale europea. (ail) Il seminario costituirà anche l’occasione per il lancio della pubblicazione della relazione finale dello studio Eurofound, frutto di un’ampia ricerca documentale e di un’analisi comparativa di 13 casi imprenditoriali, e riunirà esponenti delle parti sociali e delle PMI, esperti e rappresentanti governativi. Per maggiori informazioni consultare il sito eu O http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.events-and-activities-boosting-europe. Il CESE info è inoltre disponibile in 22 lingue, in formato PDF,, sul sito Internet del CESE: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.eesc-info Caporedattrice: Hanno collaborato a questo numero: Le relazioni UE-Balcani occidentali sotto la lente QE-AA-12-008-IT-N INTERVISTE TRA COLLEGHI Indirizzo: Comitato economico e sociale europeo Edificio Jacques Delors, Rue Belliard/Belliardstraat 99, B-1040 Bruxelles/Brussels, Belgique/België Tel. +32 25469396 o 25469586 Fax +32 25469764 E-mail: [email protected] Internet: http://www.eesc.europa.eu/ CESE info viene pubblicato nove volte l’anno in occasione delle sessioni plenarie del CESE. Novembre 2012/8 Edizione speciale Le versioni a stampa di CESE info in inglese, francese e tedesco possono essere ottenute gratuitamente presso il servizio Stampa del Comitato economico e sociale europeo. CESE info è inoltre disponibile in 22 lingue, in formato PDF, sul sito Internet del CESE: URL: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.eesc-info. 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