quegli «schindler musulmani» ultima speranza per i cristiani d`iraq

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quegli «schindler musulmani» ultima speranza per i cristiani d`iraq
Venerdì 29 Agosto, 2014CORRIERE DELLA SERA
QUEGLI «SCHINDLER MUSULMANI» ULTIMA SPERANZA PER I CRISTIANI D’IRAQ
GIRANO TRA PRIGIONI E MERCATI DI SCHIAVE PER RINTRACCIARE GLI SCOMPARSI
ERBIL — Qualcuno aiuta le vittime per soldi. Altri per il semplice fatto che rifiutano l’ideologia e le violenze delle
brigate dello Stato Islamico. Altri ancora per un misto di entrambi: sono sunniti, ma non condividono affatto il
fondamentalismo fanatico dei jihadisti e pensano di poter ricavare qualche dinaro. Infine ci sono quelli che
sinceramente sono commossi dal dramma dei vicini di casa, dei vecchi compagni di scuola, dei colleghi di lavoro, e
mettono a repentaglio le proprie vite, talvolta le loro stesse famiglie, pur di trovare un’informazione, passare una
telefonata, contribuire in qualche modo a lenire tanta sofferenza. Sono gli «Schindler musulmani» la versione
attualizzata dei «giusti tra le nazioni» alle tragedie odierne del Medio Oriente.
Di loro parlano a bassa voce tra le decine di migliaia di sfollati cristiani approdati ai centri di raccolta nella zona curda
di Erbil. E ancora con più cautela tra gli yazidi ammassati nelle tende dei campi profughi Onu tra Dohuk e il confine
con la Tuchia. I loro nomi sono appena sussurrati: se le squadracce del «Califfato» li scoprono rischiano la
decapitazione in piazza. «Prendi la strada principale. Vai a destra dove c’è la macelleria, quindi scendi le scale del
primo portone, dovresti trovare lo scantinato di cui ti ho detto. Ti aspettano, cerca di farmi parlare con mio papà e i
bambini. Shukran , habibi ! (Grazie, mio caro ndr) », dice al telefono con tono concitato il 30enne Dhiab Butrus nel
cosiddetto «Centro dell’Accademia» dove il patriarcato caldeo ha raccolto circa 300 famiglie fuggite il 7 agosto dal
villaggio cristiano di Qaraqosh. Dhiab sta parlando a un vicino di casa e amico d’infanzia sunnita, che gli ha promesso
di trovare suo padre, il 58enne Adel, oltre ai quattro membri della famiglia della sorella Fima. «Quando siamo
scappati era piena notte. Loro dormivano, non hanno sentito nulla e la mattina dopo sono stati catturati dagli
estremisti. All’inizio si sono tenuti i cellulari. Ci siamo parlati quasi ogni giorno. Ma da domenica scorsa i loro
apparecchi sono sempre spenti. Non so… Sto cercando di raggiungerli al telefono per vedere cosa si può fare per
liberarli. Gli uomini dello Stato Islamico dicono che dobbiamo convertirci tutti. Però magari c’è un modo per pagare
qualche cosa e farli venire a Erbil. Occorre trovare l’interlocutore giusto. E il mio vecchio amico lo sta cercando. È un
buon musulmano e conosce tutti. Fa finta di stare con loro, potrebbero ascoltarlo», continua Dhiab. Intanto l’amico
ha trovato lo scantinato, però gli comunica che è vuoto. La ricerca continua.
Un nome che gira di frequente tra i cristiani, specie quelli legati alla chiesa assira, è quello di un mullah locale
sposato a una cristiana. Ne parlano come di un santo. «È un uomo davvero buono. Aiuta tutti, senza differenze tra
cristiani o musulmani. Gira per i luoghi dove hanno imprigionato i nostri cari. Si è spinto addirittura nel terribile
carcere di Mosul. Cerca in particolare di salvare le ragazze. Temiamo che possano finire nel mercato delle schiave. Si
occupa anche dei vecchi rimasti soli. Ha le foto dei bambini spariti. Però deve stare attento. È già stato minacciato.
Non può esporsi troppo. Potrebbero accusarlo di tradimento», racconta il 37enne Mufid Dawoud. Quattro giorni fa
avevamo incontrato quest’ultimo nel centro di accoglienza posto nelle aule della scuola superiore del quartiere di
Einqawa mentre, grazie alla mediazione del mullah, era riuscito a raggiungere telefonicamente il padre 83enne, lo
zio e tre cugine sulla trentina. Adesso però le ragazze sono state spostate da Qaraqosh, sembra siano nel centro di
Mosul. Mufid domanda al mullah se è possibile pagare per riaverle. «No. Chiedono che vi convertiate. La cosa
migliore è attendere», risponde questi dopo aver parlato con Abu Hashem Hammar, uno dei capi locali dello Stato
Islamico proveniente dal villaggio di Namrud e noto per essere stato incarcerato dagli americani una decina di anni fa.
Ci sono altre famiglie che grazie al mullah sono riuscite ad avere notizie dei loro rapiti. «Per favore, non scriva il suo
nome, lo brucerebbe!», chiedono.
Per gli yazidi la situazione è ancora più complessa. L’ostilità nei loro confronti resta molto diffusa nel mondo islamico.
Non è difficile trovarla anche tra i curdi e cristiani locali. «Negli ultimi giorni alcuni ricchi uomini d’affari musulmani
hanno comprato un certo numero di donne yazide raccolte nel mercato degli schiavi di Mosul. Le hanno portate a
Bagdad, da dove sono state inviate via aereo alle famiglie scappate nelle province curde. Non sappiamo però quante
siano. Forse tre o quattro, comunque pochissime rispetto alle circa 2.000 concentrate a Mosul dai criminali del
«Califfato» ci dice Shivan Bibo Darwesh, sociologo e storico yazida di Dohuk. Ieri i media curdi segnalavano l’arrivo a
Erbil di due ragazze acquistate dal mercato degli schiavi. Non è chiaro cosa i liberatori abbiano chiesto alle famiglie. Il
tema scotta. Lo sapeva bene anche l’imprenditore tedesco Oskar Schindler: tra il bene e il male c’è sempre una vasta,
ambigua area grigia. Nell’era dell’Olocausto lui iniziò a impiegare gli ebrei per puro lucro nella sua fabbrica:
costavano meno dei non ebrei. Poi però si mise attivamente a salvarli dallo sterminio. Gli «Schindler musulmani»
oggi non sembrano diversi. E le vittime guardano a loro come salvatori.
Lorenzo Cremonesi