3 mesi in rwanda- primo giorno a kigali – diario fotografico rwandese
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3 mesi in rwanda- primo giorno a kigali – diario fotografico rwandese
“I miei primi tre mesi in Rwanda” Mi chiamo Stefania, ho 26 anni, sono Casco Bianco di Caritas Italiana in Ruanda insieme ad altri tre ragazzi che hanno fatto la mia stessa scelta. Trascorrerò in Africa i prossimi otto mesi, completamento del mio anno come volontaria di servizio civile internazionale. Molte persone si stupiscono della mia scelta e la trovano bizzarra. Cosa spinge una neolaureata a intraprendere un’esperienza come questa? Me lo sono sentita domandare molte volte. Chi mi conosce bene, però, sa che questa “avventura” è qualcosa che ho fortemente voluto e quindi sono felicissima di aver avuto l’opportunità di partire. Sono partita per molte ragioni, ma soprattutto perché penso che conoscere il mondo in cui viviamo e altre culture sia un valore troppo importante per far finta che viviamo benissimo senza provare curiosità… spesso ci dimentichiamo di quanto sia grande il mondo e partire è il modo migliore per darci una rinfrescata in questo senso. Ma la mia scelta non è stata dettata solamente dal desiderio di conoscere una nuova realtà, così lontana dalla mia. Ciò che mi ha spinto è soprattutto il desiderio di “vivere” una nuova realtà, di provare a sentirmi parte di essa, e non una turista di passaggio. Credo che questo sia l’aspetto più esaltante che il servizio civile in genere, ed in particolare con Caritas Italiana, offre a noi giovani. Il progetto Caschi Bianchi in particolare, ci invia come testimoni di pace in paesi che hanno vissuto momenti di alta conflittualità (nel caso del Rwanda, si è trattato di anni do conflitti etnici e del trauma collettivo del genocidio). Il nostro ruolo trascende dal “fare” in termini di operatività e si colloca piuttosto nella dimensione dell’ essere presenti nella comunità che ci ospita e della condivisione. Al di là dei progetti in cui siamo coinvolti abbiamo spazio per metterci in relazione con il contesto circostante, e per mettere in atto eventuali nostre iniziative personali. Insomma c’è sicuramente l’opportunità di mettersi in gioco, ed è in questo soprattutto che risiede l’aspetto formativo dell’esperienza. Non siamo propriamente operatori, ma piuttosto osservatori privilegiati della realtà che ci accoglie. Spesso la difficoltà maggiore consiste nel cercare di essere accettati, dal momento che siamo noi gli stranieri, i diversi. È difficile trovare la propria dimensione individuale nella comunità, ma anche nell’equipe locale con cui ci troviamo a lavorare: tempi e modalità di lavoro diverse sono un ostacolo tutt’ altro che trascurabile. Spesso assale anche la frustrazione di doversi confrontare quotidianamente con una condizione di povertà generalizzata che per noi è difficile anche solo immaginare. Il senso di impotenza allora diventa il sentimento dominante e ci si sente totalmente inutili. Per questo motivo il rientro in Italia dopo i primi tre mesi è stato prezioso: fare il punto della situazione, confrontarsi con gli altri Caschi Bianchi in servizio in giro per il mondo aiuta a ricordare ancora una volta che il nostro ruolo è soprattutto quello di metterci in relazione con l’altro, in particolare con un “altro” così diverso da noi. Credo che sia questa la sfida più grande e più affascinante che questa esperienza ci propone. Io che non ho mai avuto difficoltà di adattamento, io che amo incontrare gente nuova e che sono continuamente alla ricerca di nuovi stimoli, ho provato il disagio di sentirmi terribilmente fuori posto. In Africa noi “muzungo” (come vengono chiamati i bianchi) sembriamo tutti più bianchi, l’aria un po’ affaticata e i gesti che collidono con tutto ciò che ci circonda. Siamo stranieri, e molto più stranieri di quanto ci sentiremmo in qualunque altro paese d’Europa. Ecco perché la sfida più affascinante é provare almeno a ridurre -dal momento che eliminarlo sarebbe impossibile…- quel gap che ci separa dalle persone che abbiamo incontrato e che incontreremo durante i prossimi otto mesi. In ogni caso, per quante siano le difficoltà, è un’opportunità che vale la pena cogliere fino in fondo, un’occasione unica e una scelta che, senza dubbio, rifarei. Verona, 11 novembre 2005 14/11/2005 09:41:00