Madre Teresa di Calcutta
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Madre Teresa di Calcutta
II.1. Dall’infanzia all’adolescenza. Il ruolo della famiglia nella scoperta vocazionale di Madre Teresa. Agnes (così si chiamava Madre Teresa) nacque il 26 Agosto 1910, da Nikollë Bojaxhiu e Drane Bernai. I suoi genitori, originari di Prizren, nel Kosovo, si trasferirono a Skopje, nell’attuale Macedonia, in seguito alle persecuzioni e ai massacri compiuti dai Turchi nei confronti degli Albanesi cattolici e a causa di una epidemia di colera scoppiata all’inizio del 1850, che stava decimando la popolazione1. Alla nascita di Agnes (soprannominata Ganxhe, che significa ‘bocciolo’), Skopje era una cittadina al crocevia di varie nazioni e soggetta al potere della Turchia, quindi della Jugoslavia, dell’Albania e della Bulgaria. Nel 1912 conquistò l’indipendenza dal dominio turco, divenendo la capitale della repubblica albanese di Macedonia, senza comunque riuscire a raggiungere la pace. La popolazione era per lo più albanese, formata per il sessanta per cento da cristiani cattolici e ortodossi, per il trentacinque da musulmani e un’esigua presenza di ebrei2. Il padre di Agnes, era un uomo pieno di energia e ricco di iniziativa. Aveva ricevuto una buona istruzione, conseguendo la Laurea in Farmacia, ma non si dedicò a questa professione, scegliendo invece la via dell’imprenditoria, gestendo, insieme a un socio, un’impresa edile molto importante. La situazione politica e sociale portò Nikollë, uomo molto attento ai bisogni del prossimo, a militare nel Partito Nazionale Albanese. Egli fu eletto consigliere comunale di Skopje, contribuendo personalmente alla realizzazione del teatro cittadino e della ferrovia che collegò Skopje a Pristina. In casa sua ospitava spesso compagni di partito che incuriosivano Agnes che chiedeva: “Papà, chi sono quegli uomini che vengono a casa nostra?” “Sono alcune delle persone con cui lavoro nell’amministrazione comunale. Sono brave persone… patrioti…”. “E perché sono brave persone? A me pare non facciano nulla di buono. Mamma sì che è buona perché si prende cura dei malati”. “Sì, figliola, il fatto è che fanno cose buone in un altro modo. Sono loro che si impegnano perché le leggi non siano ingiuste, nel nostro paese non ci sia la guerra, o non esistano famiglie costrette a vivere in povertà… Capisci?”. “Credo di sì. Ma allora tu fai cose buone come loro?”. “Sì. Io, come te, Agnes, sono figlio della Chiesa cattolica e voglio essere coerente con la mia fede cristiana; per questo devo aiutare tutti gli albanesi affinché vivano in un paese libero e in pace”. Agnes avrebbe sempre ricordato il coraggio di suo padre e non avrebbe mai dimenticato un’importante lezione: per un grande ideale vale la pena mettere in gioco la propria vita 3. Nikollë era un uomo che teneva molto all’istruzione tanto che, sebbene fosse inusuale a quei tempi in Albania, volle che entrambe le figlie femmine Age e Agnes andassero a scuola, insieme al fratello Lazär. 1 Cfr. SALVOLDI V., Madre Teresa. Emblema di pace, Gorle, Velar, 2003, pp. 11-12. Cfr. DI LORENZO M., Madre Teresa. Lo splendore della carità, Milano, Paoline, 2012, p. 17. 3 DE CORDOVA M. F., Teresa di Calcutta. La madre dei più poveri, Milano, San Paolo, 2003, pp. 14-15. 2 In famiglia si respirava sempre un clima di grande altruismo e generosità: il pranzo era spesso condiviso con i più poveri, di cui la madre Drane, donna di grande fede e forza interiore, alla figlia Agnes che le chiedeva chi fossero, diceva: «“Si tratta di un lontano parente. Ma ricorda che, anche se non lo fosse, per il fatto di essere povero sarebbe comunque nostro fratello”4». E il padre incalzava: «“Figlia mia, non prendere e accettare mai un boccone se non è diviso con gli altri!”»5. I genitori di Madre Teresa mantenevano economicamente varie famiglie povere kossovare e ospitavano nelle proprie terre gli zingari di passaggio; possedevano oltre alla casa in cui abitavano un’altra casa destinata a ospitare persone bisognose 6. Ganxhe crebbe con questa mentalità. Condividere, tanto o poco; aiutare il più possibile le persone, non importa se di altra razza o religione. Crebbe con un cuore grande, più pronto a dare che a ricevere. Crebbe con la consapevolezza che bontà, generosità e compassione valgono più di qualunque bene materiale 7. Quando Agnes aveva otto anni, nel 1918, una sera, insieme ad altri esponenti politici ed economici, Nikollë si recò a Belgrado per siglare un accordo a favore dei kossovari. Dopo cena, mentre stava uscendo dal locale dove avevano mangiato, accusò un malore. Fu portato d’urgenza in ospedale dove, nonostante un lungo intervento nel tentativo di salvarlo, lo colse la morte, probabilmente per avvelenamento. Per alcuni giorni la casa dei Bojaxhiu è un continuo andare e venire di persone. Sono amici di famiglia. Nikollë era un uomo amato a Skopje. I suoi compagni recano parole di consolazione, di sostegno. Le donne cercano di dare una mano, per quanto può essere necessario. Una porta un po’ di brodo caldo per i bambini, un’altra si presenta con un mazzo di fiori selvatici che lascia vicino alla poltrona dove era solito sedersi Nikollë. Ciascuno offre un po’ di affetto alla famiglia Bojaxhiu8. La morte di Nikollë fu accompagnata da una grave crisi economica per la famiglia: Drane non si perse d’animo e con la forza e il coraggio che sempre la contraddistinsero si decise ad affittare la seconda casa e iniziò un’impresa di ricamo e cucito, per continuare a portare avanti la famiglia e, affidandosi alla Provvidenza, aiutare ancora chiunque avesse avuto bisogno: non avrebbe mai rinunciato alla carità! Aveva preso a cuore il destino di quattro bimbi orfani e fece di tutto perché crescessero sani e sereni. Ganxhe ammirava molto sua madre e la aiutava come poteva. Lei stessa andava in casa loro, sviluppando uno spiccato senso materno: alleviare le pene degli altri era per lei fonte di gioia. Possedeva un temperamento e un’intelligenza molto vivaci: brava scolara, amante della lettura, della musica e del canto che coltivava nel coro parrocchiale, talentuosa nella recitazione. Con il suo innato spirito da leader e la forte comunicatività, era l’anima della gioventù di Skopje. Il parroco le affidò la catechesi, che portava avanti con cura, dedizione e successo. 4 Idem, p. 17. DI LORENZO M., op. cit., p. 18. 6 Cfr. COMASTRI A., Madre Teresa. Una goccia d’acqua pulita, Milano, Paoline, 2003, p. 5. 7 BORGHESE A., La donna delle beatitudini, Milano, Ancora, 2001, p. 17. 8 DE CORDOVA M. F., op. cit., p. 21. 5 21 La comunità parrocchiale era la sua seconda famiglia, nella quale cercava nuovi stimoli per crescere nell’amore a Cristo e ai fratelli, mantenendo sempre vivo l’esempio dei suoi genitori. Agnes era iscritta all’Associazione giovanile delle Figlie di Maria e partecipava al ‘Sodalizio’, un gruppo di preghiera e aiuto per le missioni. Il parroco di Agnes, Padre Jambrekovič, era un gesuita, e questo fu un particolare di non poco conto per la crescita spirituale di Madre Teresa. La giovane Ganxhe non si sarebbe sentita così attratta dall’argomento “missioni” se non fosse stato per il fatto che il parroco del Sacro Cuore di Gesù vi faceva ricorso per risvegliare il fervore nei fedeli, in particolare nei giovani. Agiva in questo modo soprattutto perché apparteneva a un ordine religioso eminentemente missionario. Ma anche per essere in sintonia con un momento in cui la Chiesa, sotto lo stimolo di un papa, Pio XI (1922-1939), il cui motto era la “diffusione del Regno del Cristo”, privilegiava gli argomenti di contenuto missionario 9. Padre Jambrekovič prestava spesso ad Agnes riviste missionarie, che accesero in lei grande interesse, ammirazione e anche orgoglio, per il fatto che alcuni di loro fossero slavi come lei. In particolare spiccavano le ‘conquiste spirituali’ di cui erano protagonisti questi missionari jugoslavi. A quel tempo, infatti, i gesuiti jugoslavi avevano accettato di lavorare nella diocesi di Calcutta e il primo gruppo aveva messo piede nell’immenso subcontinente indiano il 10 dicembre del 1925. Da lì inviavano lettere piene di entusiasmo sulla vita della missione, nel lontano Bengala, lettere che toccarono profondamente ilo cuore di Agnes Bojaxhiu 10. Iniziava dentro di lei un richiamo irresistibile, seppure in maniera ancora indistinta. Sin da quando aveva 12 anni si radicò nella sua anima una preghiera: «Madre, fa’ che io scopra il cammino che tuo Figlio ha preparato per me»11. Pregava molto, così come sempre le era stato insegnato in casa sua, non con le parole, ma con l’esempio. Sua madre teneva sempre in mano la corona del Rosario, che erano soliti recitare insieme ogni sera. Preghiera a Maria e segno di croce erano i cardini della giornata di Ganxhe. Mostrò una devozione particolare verso la Madonna di Cërnagora, custodita nel santuario di Letnice, dove si recava ogni estate con la sua famiglia. Qui, nel 1927, comprese la sua vocazione. II.2. La mano nella Sua: tra le Suore di Loreto Era il 15 agosto del 1927 quando Agnes, recatasi ai piedi del Santuario per salutare la Vergine, come era solita fare, accompagnata da una sola candela che teneva accesa tra le mani, sotto l’azione dello Spirito Santo, ‘motore’ di ogni missione, avvertì una chiamata speciale del Signore, che le chiedeva di consacrare tutta la sua vita a Lui e all’amore per gli altri. 9 GONZALEZ-BALADO J. L., Madre Teresa dei poveri. Una vita per gli altri, Milano, San Paolo, 1997, pp. 54-55. 10 DI LORENZO M., op. cit., p. 21. 11 DE CORDOVA M. F., op. cit., p. 28. 22 L’idea non la coglie impreparata: quasi la attendeva. Da quando era una bambina l’ha intuita nel proprio cuore e proprio adesso percepisce che non si tratta di un progetto insensato, frutto della sua immaginazione: è Gesù le chiama. È Lui che l’ha scelta. Quel pomeriggio Agnes torna a casa più felice che mai, come se la Vergine avesse depositato nelle sue mani un prezioso regalo. Sa quel che significava essere missionaria, e conosce la durezza della vita che l’attende. Lo ha letto molte volte nelle riviste di Padre Jambrekovič. Sì, lo sa, ma non le importa. Le viene voglia di mettersi a cantare per la gioia, di raccontarlo a tutti, di partire quel giorno stesso per l’Africa… Ma non è ancora giunto il momento. Agnes si rende conto che deve custodire la notizia nel silenzio della preghiera. Drane, in cuor suo, aveva intuito da tempo questa particolare propensione di Ganxhe, ma aveva sempre taciuto: la sua fede autentica le metteva gioia al pensiero che il Signore stesse chiedendo per sé una sua figlia, ma il suo cuore di madre, così legato alla sua piccola Ganxhe, provava un grande dolore di fronte alla ‘perdita’ del suo ‘bocciolo’. Quando la figlia le comunicò la sua decisione di consacrarsi tutta a Dio, Drane si chiuse per un giorno intero nella sua camera, senza neppure mangiare, pregando ininterrottamente, traendo così la forza di dirle, infine: «Bene, figlia mia, và avanti. Ma non smettere mai di appartenere completamente a Cristo. Appoggia la tua mano sulla Sua e non l’abbandonare mai più nel tuo cammino»12. Ganxhe si è resa conto di tutto lo strazio presente in quella raccomandazione di mamma Drane. Anni più tardi: “Credo che non soltanto Dio, ma anche mia madre mi condannerebbe se non avessi seguito fedelmente la mia vocazione. Un giorno lei mi chiederà: - Figlia mia, hai vissuto soltanto per Dio?”13. Qualche giorno dopo fu la stessa Drane ad accompagnare la figlia dal parroco padre Jambrekovič, che, dopo un colloquio con la piccola Ganxhe, le propose, come via più vicina alla sua vocazione missionaria, la Congregazione delle suore di Nostra Signora di Loreto, che non avevano però scuole di formazione in Albania né in Jugoslavia, ma solo in Francia e Irlanda. Ciò avrebbe significato per Agnes allontanarsi - e forse per sempre dalla sua famiglia. Risoluta com’era nella sua scelta accettò senza timore, facendo richiesta di essere accolta nella Congregazione. A fine estate arrivò la lettera di risposta che accettava la richiesta di Agnes, che si preparò subito a partire. Era il 26 Settembre 1928 quando, davanti alla stazione di Skopje, si radunò una grande folla per fare festa intorno a Ganxhe e darle il commiato. Lei trattenne a stento le lacrime, preparandosi ad affrontare in compagnia della madre e della sorella il primo tratto di viaggio fino a Zagabria. Qui si sarebbero separate: Drane a Aga per ripercorrere il viaggio di ritorno verso casa; Agnes per affrontare il lungo viaggio che l’avrebbe riportata in Irlanda. Non si sarebbero più riviste! Verso il 10 ottobre Agnes arrivò in Irlanda dove vi sarebbe rimasta fino a fine Novembre. Ritenuta idonea, il primo dicembre si rimise in viaggio verso l’India, a Calcutta, dove arrivò il 6 Gennaio, festa dell’Epifania, che la Chiesa celebra ricordando le missioni. 12 13 Idem, p. 32. GONZALEZ-BALADO J. L., op. cit., p. 58. 23 Il primo impatto con la realtà indiana fu impressionante: “Per le strade, lungo i muri di cinta, come anche in quelle affollate, vivono tantissime famiglie. Vivono giorno e notte all’aperto su un tappeto che hanno fabbricato con grandi foglie di palma, o, in moltissimi casi, sulla terra nuda. Sono tutti quasi completamente nudi. Hanno bracciali finissimi sulle braccia e sulle gambe, e una sorta di ornamento al naso e alle orecchie. Sulla fronte recano alcuni segni di significato religioso 14. Il 23 maggio 1929 Agnes iniziò il noviziato alle pendici dell’Himalaya, nella cittadina di Darjeeling. In due anni si dedicò principalmente allo studio e alla preghiera. La maestra delle novizie e le sue compagne erano molto contente di lei. Agnes infatti era sempre pronta ad aiutare gli altri, impegnata e profonda nella vita spirituale; nella pratica dei voti era puntuale, gioiosa e felice: questo fu il sintetico e positivo giudizio della sua maestra la termine del noviziato. In questo modo poteva accedere ai voti temporanei15. Il 24 maggio 1931 emise la prima professione religiosa, scegliendo come nuovo nome suor Maria Teresa del Bambino Gesù, per la sua dedizione a Santa Teresa di Lisieux, come ebbe lei stessa a precisare: «Ho deciso di prendere il nome di Teresa. Ma non quello della grande Teresa d’Avila. Ho scelto il nome della piccola Teresa: Teresa di Lisieux»16. Anno dopo anno Teresa rinnovò i voti temporanei, finché il 24 maggio 1937 emise i voti perpetui. Subito fu affidato a Teresa l’insegnamento presso la St. Mary’s Entally School, uno dei tanti collegi gestiti dalle suore di Loreto, che godevano di grande stima per l’alto livello qualitativo delle loro scuole. Teresa ebbe modo così di dedicarsi a una sua grande passione: sin da piccola, quando pensava che l’alternativa alla scelta missionaria avrebbe potuto essere proprio l’insegnamento: «A Loreto - ricordava madre Teresa - io ero la religiosa più felice del mondo. Mi dedicavo all’insegnamento. E questo lavoro, che guidato da Dio è un vero apostolato, mi piaceva molto»17. La sua dedizione e grande professionalità erano evidenti e le portarono la nomina a direttrice della stessa scuola. Scriveva alla madre dei suoi successi ed ella provocatoriamente le rispose: Mia cara figliola, non dimenticare che sei andata laggiù per amore dei poveri. Ti ricordi della nostra File? È piena di piaghe, ma quello che la addolora maggiormente è sapere di essere sola al mondo. Noi facciamo quello che possiamo per aiutarla. In effetti il peggio non sono le piaghe, ma il fatto che è stata dimenticata dai suoi… (Tirana, 1937)18. Teresa si sentì profondamente colpita da quelle parole. Iniziò per lei un nuovo percorso interiore, di anni di interrogativi e riflessioni. Nel 1944, si affidò, come padre spirituale, al gesuita padre Celeste Van Exem, che la seguì in tutto il suo turbamento: aveva lasciato Skopje per amore dei poveri, che ne era stato di quell’entusiasmo iniziale? 14 DI LORENZO M., op. cit., p. 24. Idem, pp. 25-26. 16 GONZALEZ-BALADO J. L., op. cit., p. 72. 17 DI LORENZO M., op. cit., p. 27. 18 BORGHESE A., op. cit., p. 23. 15 24 La risposta arrivò, lapidaria e pungente, durante un viaggio verso Darjeeling, il 10 settembre 1946: La chiamata era chiara. Sapevo quello che dovevo fare, anche se le modalità con le quali dovevo seguire Cristo non mi erano ancora evidenti. A convincere la madre superiora, il suo Vescovo e Pio XII a rendere possibile che io diventassi missionaria, ci avrebbe pensato il Signore, dato che io ero convinta che questa era la Sua volontà. Era un ordine di Dio 19. II.3. La chiamata nella chiamata: «Rifiuterai di fare questo per me?» Quel 10 settembre, nelle 24 ore di viaggio verso Darjeeling, mentre era in preghiera, suor Teresa avvertì con chiarezza una chiamata: era Gesù che le indicava una nuova via di servizio: Desidero suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, che siano talmente unite a me da irradiare il mio amore sulle anime. Desidero suore libere, rivestite della mia povertà della croce; desidero suore obbedienti, rivestite della mia obbedienza della croce; desidero suore piene di amore, rivestite della carità della croce. Rifiuterai di fare questo per me?20. Questa domanda pesava molto sul cuore di Teresa, che, anni prima, nonostante fosse sempre perfetta nell’esigente voto di obbedienza, sentiva di non corrispondere ancora abbastanza all’amore di Dio: voleva dare ancora di più! Si legò a Cristo con un voto privato: non rifiutare mai nulla a ciò che Dio avrebbe potuto volere da lei, sotto vincolo di peccato mortale. Ora quindi questa richiesta da parte di Gesù era lacerante: doveva dimostrare, a costo di un grande sacrificio, la massima fedeltà a Dio e a quel voto fatto. Inizialmente si sentì intimidita di fronte a tali esperienze straordinarie; pensieri inquietanti sorsero nel suo cuore. Interrogandosi sulla sua capacità personale di soddisfare le richieste di questa nuova chiamata, rivelò in assoluta onestà la propria paura, il disorientamento, la riluttanza ad abbracciare le difficoltà e a sopportare la derisione degli altri, aspetti che sicuramente non sarebbero mancati. Non tutti nella Chiesa e nella città avrebbero approvato che una suora europea vivesse fuori dalle mura del convento nel desiderio di identificarsi con i poveri secondo la cultura e le condizioni locali. Al tempo stesso era talmente addolorata dalla prospettiva di lasciare Loreto da offrire se stessa come “autentica vittima del suo amore” nel luogo in cui si trovava. in tutto ciò si dimostrò una persona davvero “ordinaria”, franca e perfino scettica circa la propria capacità di portare avanti una missione di tale importanza. D’altro canto Madre Teresa, innamorata appassionatamente di Gesù, non poteva ignorare la Sua “Voce” che continuava a insistere: “Rifiuterai?”. Questa domanda lacerante esercitava un effetto particolarmente forte sul suo cuore, perché riecheggiava il voto privato da lei fatto quattro anni prima. La chiamata di Gesù aveva, come niente altro, il potere di toccarla nel più intimo. Dio stava onorando la grandezza della sua anima, e la Sua richiesta suscitava in lei al contempo gioia, perché era stata presa in parola, e angoscia, perché si sentiva messa alla prova in una misura apparentemente al di sopra delle sue capacità21. 19 SALVOLDI V., op. cit., p. 16. DI LORENZO M., op. cit., pp. 36-37. 21 TERESA DI CALCUTTA, Sii la mia luce, a c. di Kolodiejchuk B., Milano, Rizzoli, 2008, pp. 63-64. 20 25 Tornata a Calcutta, suor Teresa parlò con il suo padre spirituale Van Exem, che, per verificare se fosse davvero volontà divina, le ordinò di non pensare a questa intuizione e continuare il suo apostolato tra le suore di Loreto. Furono proprio lo spirito di obbedienza e di preghiera che contraddistinsero Teresa in seguito a questo rifiuto che convinsero padre Van Exem che fosse realmente una chiamata che veniva da Dio, acconsentendo, infine, nel Gennaio 1947, affinché suor Teresa scrivesse all’Arcivescovo Périer, avendo ormai ben chiaro in cosa consistesse la sua futura missione. Nel Febbraio del 1948 poté finalmente scrivere a Papa Pio XII per ottenere il permesso di essere sciolta dalle Suore di Loreto. La risposta da Roma giunse nell’Agosto dello stesso anno: poteva lasciare l’ordine di Loreto, continuando a rimanere religiosa, vincolata sempre ai voti di povertà, castità e obbedienza, ma dipendendo direttamente dall’Arcivescovo Périer. Sebbene con un dolore ancor più grande di quando lasciò la sua famiglia, Teresa abbandonò definitivamente il Convento di Loreto il 16 Agosto 1948. Vent’anni di vita tranquilla, dignitosa, prudente. E poi, di colpo, il salto nel vuoto. Senza rete di protezione, a capofitto, quasi, nel buio della fede. Ci vuole coraggio per dire si a Dio, per rispondere al suo invito radicale, senza sconti, e fare ciò che agli occhi del mondo sembra soltanto follia22. Suor Teresa si ritrova così in mezzo alla strada, senza sapere dove andare e che fare. Addosso solo un sari bianco bordato di azzurro e in tasca cinque rupie, che subito distribuisce ai poveri che trova per strada, rimanendo senza nulla per sé. Ma a sera la Provvidenza di Dio le va subito incontro: il parroco le portò un sacchetto contenente cinquanta rupie, dono di un benefattore che aveva saputo della sua impresa e voleva sostenerla. Ora Teresa era certa: la «chiamata nella chiamata» era davvero volontà di Dio! Subito Suor Teresa si rimette però in viaggio, alla volta di Patna, dove sosterà tre mesi presso l’ospedale delle Suore Medico Missionarie, per imparare le nozioni principale di assistenza medica, indispensabili per un vero servizio a quelli a cui lei si sentiva inviata: i più poveri tra i poveri. La mia Comunità sono i poveri. La loro sicurezza, è la mia sicurezza. La loro salute, è la mia salute. La mia casa, è la loro casa. Non però dei poveri in genere, ma dei più poveri tra i poveri: di coloro a cui non ci si accosta, perché sono contagiosi e sporchi, pieni di microbi e coperti di parassiti; di coloro che non vanno a supplicare, perché non possono uscire nudi; di coloro che non mangiano più, perché non ne hanno più la forza; di coloro che cascano sulla strada consapevoli che stanno per morire, accanto ai quali i vivi passano volgendo il capo; di coloro che non piangono più, perché non hanno più lacrime. La mia casa è la casa degli intoccabili!... Il Signore mi ha voluta qui dove sono. Mi offrirà Lui una soluzione23. Tornata da Patna, si recò subito a Calcutta nel quartiere di Motijhil: passando da una baracca all’altra si imbatté in bambini nudi e sporchi, vecchi piagati, donne sofferenti, gente affamata e vestita di pochi stracci. La prima iniziativa di suor Teresa fu recuperare 22 DI LORENZO M., op. cit., pp. 38-39. GORRÉE G., BARBIER J., Madre Teresa di Calcutta. Amore senza frontiere, Roma, Città Nuova, 19866, p. 39. 23 26 medicinali e cibo; girò con acqua e sapone per lavare questa gente e ridare loro innanzitutto dignità. Pochi giorni dopo aprì una scuola, all’aria aperta, sotto un albero. Da pochissimi i bambini divennero tanti. Contemporaneamente continuò la sua missione per le strade, profilandosi necessaria la ricerca di un alloggio. Nel 1949 un funzionario dell’amministrazione statale, Michael Gomez, donò un locale all’ultimo piano della sua casa. Seguendo il suo esempio, sopraggiunge anche l’aiuto di numerose persone, soprattutto di studenti, insegnati e madri di famiglia. Era il 19 marzo quando bussò alla porta Subshine Das, una sua ex allieva della St. Mary’s School, con l’intenzione di rimanere e seguire suor Teresa nella sua missione. A lei, nel giro di un anno, si aggiunsero altre giovani. Il 7 ottobre 1950 questa nuova Congregazione ottenne così il suo primo riconoscimento con l’approvazione diocesana. Gesù stesso tracciò nome e futuro della Congregazione: Desidero suore indiane, Missionarie della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Voglio che tu conduca a me i poveri, e le suore che offriranno la loro vita come vittima del mio amore condurranno a me queste anime 24. II.4. Servire di tutto cuore i poveri più poveri: una missione per saziare la sete di Cristo Nel Vangelo delle opere di misericordia si trova tutto il senso della missione di Madre Teresa: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Il mio segreto è molto semplice - ripeteva spesso Madre Teresa - prego e nella preghiera mi innamoro di Cristo e capisco che pregarlo è amarlo e che questo significa adempiere la sua parola. Ricordate le parole del Vangelo di san Matteo: “Avevo fame”. I miei poveri nei bassifondi del mondo sono come Cristo sofferente; in loro il Figlio di Dio vive e muore e, attraverso loro, Dio mi mostra la sua vera faccia. Per me pregare significa essere per 24 ore al giorno tutt’uno con Lui attraverso il comandamento dell’amore25. Cercare il volto di Cristo in ogni uomo, povero soprattutto: questo guidava Madre Teresa ogni giorno. Poveri, non solo di cibo e di acqua, di indumenti, di un tetto sotto il quale dormire, …, poveri soprattutto di amore. Esclusi dalla società, emarginati, rifiutati da tutti: a questi Madre Teresa ogni giorno cercava di dare soprattutto dignità, una dignità che per lei ogni uomo già doveva avere in quanto semplicemente figlio amato di Dio. Madre Teresa vedeva i poveri come una ricchezza: essi erano i veri liberi, perché non posseduti dagli averi. Solo chi è povero - non solo materialmente ma soprattutto spiritualmente - può farsi vuoto da lasciare riempire a Dio. Da qui la scelta di Madre Teresa di farsi lei stessa povera, di una povertà «dolce, gentile, lieta e sincera, sempre pronta a esprimere amore. Prima di essere rinuncia la 24 25 DI LORENZO M., op. cit., p. 47. COMASTRI A., op. cit., p. 69. 27 povertà è amore. Per amare è necessario dare. Per dare è necessario liberarsi dall’egoismo»26. Viveva quindi la stessa vita che vivevano i suoi poveri: cibo, vestiti, tutto quanto doveva essere uguale a quello dei poveri, indipendentemente dal loro credo religioso: occorreva prima soddisfare i bisogni del corpo e poi si poteva parlare di Cristo! E questo farsi povere come i poveri non era una scelta a margine, lasciata all’arbitrio di ogni sorella, ma un quarto voto, che Madre Teresa volle aggiungere subito agli altri tre per la sua Congregazione: servire con tutto il cuore e gratuitamente i poveri più poveri. Si proponeva tre obiettivi: garantire la fedeltà alla chiamata, salvaguardare la povertà delle sorelle, spingere a confidare pienamente in Dio. Tutto quello che facciamo, lo facciamo per Gesù, con Gesù e a causa di Gesù. La nostra vita è totalmente orientata verso Gesù e verso il suo servizio. Viviamo per Lui, per servirlo e amarlo, per far sì che tutti lo conoscano e lo amino 27. Madre Teresa sottolineò sempre con forza che l’unica e più importante ragione della sua missione era saziare la sete di Gesù, che morente sulla Croce gridò: «Ho sete!». La sua era una sete non di acqua, ma di amore e di sacrificio. Così la costante inquietudine di Madre Teresa era placare quella sete, con la sua stessa vita, che doveva essere risposta a un amore così grande; con la vita delle sue sorelle, fonti zampillanti di amore per Lui e gli uomini; con la sofferenza dei poveri, volti del volto assetato di Cristo. La Sua è una sete infinita, inestinguibile, finché non sarà estinta la sete di ogni Cristo vivente ancora in ogni uomo. Non è semplicemente amore, la sete è di più: è bisogno primario, da soddisfare con tutte le forze, da soddisfare come priorità. La sete è desiderio, è premura, è richiesta di aiuto, di collaborazione. Così si sentiva Madre Teresa: collaboratrice del Cristo Crocifisso, che tanto amava e tanto contemplava, al quale aveva promesso tutta la sua obbedienza e fedeltà. “Vieni, sii la Mia luce” le aveva detto Gesù, e Madre Teresa cercò di essere quella luce dell’amore di Dio nell’esistenza di chi viveva nelle tenebre. Il prezzo paradossale del tutto inaspettato di questa sua missione fu, tuttavia, quello di vivere a sua volta in una “terribile oscurità”28. Il desiderio più grande di Madre Teresa era essere tutta di Gesù e che Lui fosse tutto in lei. Ma più lo voleva, meno si sentiva voluta. Avvertiva un silenzio lacerante, una terribile assenza di Dio. Si sentiva sola in questa oscurità così fitta, abbandonata, condannata dal vuoto che la circondava. La solitudine del cuore che vuole amore è insopportabile. La parola Amore non suscitava più nulla in lei. Sopraggiungevano i dubbi: aveva fatto un errore ad abbandonarsi ciecamente alla chiamata del Sacro Cuore? 26 TERESA DI CALCUTTA, Non c’é amore più grande. Pensieri di una vita, trad. it. di Zuppet R., Milano, BUR extra Rizzoli, 2010, p. 106. 27 TERESA DI CALCUTTA, La mia vita, a c. di González-Balado J. L., Milano, San Paolo, 2011, pp. 99100. 28 TERESA DI CALCUTTA, Sii la mia luce, op. cit., p. 13. 28 Rimaneva solo la convinzione che l’opera fosse Sua volontà. Alle sorelle nascondeva tutto, copriva il dolore interiore col mantello del sorriso e della gioia. Eppure non era tanto il vuoto a provocare dolore, quanto il persistente e ormai contraddittorio desiderio di Dio. Voleva continuare a essere Sua, abbandonarsi a Lui, accettava perfino questo tormento come Sua volontà, per portare più anime a Cristo, estinguere la Sua sete. Voleva essere unita a Lui, soprattutto nella Sua Passione. Lo cercava e lo adorava nell’Eucaristia, che per lei era amore comprensivo, amore di Cristo che comprese la nostra fame di Dio tanto da farsi Egli stesso Pane! L’Eucaristia era il centro di ogni sua giornata, nel corpo di Cristo che sacramentalmente riceveva e nel corpo di Cristo che riconosceva nella dolorosa maschera di ogni povero. Ci occorrono gli occhi di una fede profonda per vedere Cristo nel corpo mutilato e negli abiti sudici sotto i quali si nasconde il più bello dei figli dell’uomo. Ci occorrono le mani di Cristo per toccare questi corpi feriti dalla sofferenza e dal dolore29. Il servizio ai poveri, quindi, altro non era che il prolungamento dell’unione eucaristica: la Messa durava per lei tutto il giorno. Ai suoi bisogni anteponeva sempre i bisogni degli altri. Una vita donata, quella di Madre Teresa, così amante della vita. Vita da difendere in tutte le sue forme, a ogni costo. Di qui le ‘lotte’ di Madre Teresa contro l’aborto, l’eutanasia, ogni tipo di guerre e violenza, che la portarono in tutto il mondo quale emblema di pace e carità. Nel 1962 fu insignita di un prestigioso riconoscimento, il «Magsaysay Award for International Understanding», grazie al quale Madre Teresa ebbe modo di fondare la Casa dei bambini di Agral. Nello stesso anno su iniziativa del presidente dell’India fu investita del riconoscimento «Padma Shri», a Delhi, dove fu accolta con scroscianti applausi e manifestazioni di affetto incontenibili, segno che il Paese non era indifferente all’opera sua e delle sue sorelle. Nel 1971, su iniziativa di Paolo VI, la Congregazione ricevette il premio «Giovanni XXIII», dedicato alla pace nel mondo. Dal Vaticano agli Stati Uniti d’America, dove lo stesso anno, la fondazione «Joseph P. Kennedy jr» le conferì un altro importante riconoscimento per l’opera missionaria svolta tra le metropoli americane. Nel 1972 fu di nuovo l’India a onorarla con un altro importante tributo, il «Premio Nehru per la solidarietà internazionale». Tra i tanti premi, spiccò anche qualche importante riconoscimento per il suo fondamentale ruolo all’interno del movimento interreligioso ed ecumenico: nel 1973 Madre Teresa fu la prima personalità - scelta tra una lista di duemila candidati tra le più importanti personalità religiose del mondo - a essere insignita del premio «Templeton per il Progresso della Religione». In quello stesso anno, la Fao chiese a Madre Teresa di poter dedicare la sua medaglia annuale, la famosa Cerere-Fao, al volto della piccola suora macedone: fu la consacrazione mondiale per Madre Teresa. 29 BORGHESE A., op. cit., p. 137. 29 Anche la Repubblica Araba dello Yemen, nel 1974, diede un prestigioso riconoscimento all’opera di Madre Teresa con l’onorificenza della «Spada dell’Onore», la più alta dello Stato yemenita. Verso la fine di giugno del 1975, ricevette un’altra attestazione di stima, quando le fu chiesto, dalla Santa Sede, di entrare a far parte della commissione vaticana che sarebbe stata presente ai lavori del Congresso Mondiale delle Nazioni Unite in programma a Città del Messico in occasione dell’Anno internazionale della Donna. Alle consorelle anticipò, per sommi capi, il contenuto dell’intervento che avrebbe tenuto a Città del Messico: È il congresso dedicato all’Anno della Donna, cioè alla persona che da sempre svolge un ruolo determinante per la costruzione della pace nel mondo, a tutti i livelli, come madre, come sorella, compagna, amica, oppure come responsabile di istituzioni, di comunità o di realtà socio-politiche. Al di sopra di tutto, non va mai dimenticato che l’amore comincia a casa, per cui, se una donna svolge il proprio ruolo nella famiglia, se c’è pace intorno al suo nucleo, ci sarà pace nel mondo. Esiste un potere della donna che nessun uomo può supplire, il potere di dare la vita, il potere dell’amore…la grandezza delle donne sta nel loro amore verso gli altri, non verso se stesse30. In modo particolare, il suo discorso al summit dell’Onu vertì poi su un’attenzione particolare alle donne sfruttate, umiliate, maltrattate, costrette a subire le umiliazioni più cocenti. Il linguaggio di Madre Teresa era profetico, profondamente ispirato ai valori evangelici, tanto che vescovi e comunità cattoliche iniziarono a fare a gara per averla come relatrice in simposi e convegni. Lei accettava, quando poteva, perché credeva nella forza del dialogo per diffondere le opere di carità. Madre Teresa assurge a ruolo di profetessa. Parla con la bocca stessa di Dio. Vede la realtà con gli occhi di Dio, da innamorata. Ama con il cuore di Dio. Donna essenziale. Basta a riempire la sua vita quel Dio cercato in chiesa e trovato nel povero. Donna responsabile, che risponde dei grandi doni ricevuti donandoli ai poveri, cosciente che mentre dobbiamo fare tutto ponendo Dio al centro della nostra vita, dobbiamo poi comportarci come se lui non ci fosse: siamo noi ora le sue mani. Donna forte e coerente, era esigente con sé stessa, ma tenera con gli altri, che riscattava dalla miseria, aiutandoli a morire con dignità. La più povera del mondo ha salvato i più poveri del mondo. Donna felice: sempre a contatto con il Dio della preghiera, servito nel povero, ha sperimentato con gioia la verità che «servire è regnare». Donna pragmatica e di sconcertante fede, concretizzata in opere di giustizia sorrette da grandi intuizioni come: il peggior tiranno non è uno fra i tanti sanguinari dittatori che la storia conosce, ma l’odio che è in noi. Odio che può essere superato accettando non solo il messaggio, ma la persona di Cristo, che ci rende suoi templi viventi31. Il 2 novembre 1975 le fu conferita la laurea honoris causa dalla St. Francis Xavier University di Antigonish, nella nuova Scozia; il 3 marzo 1976, il Deshikottama, una laurea ad honorem in letteratura, dalla Viswa Bharati University, per mano di Indira Gandhi, 30 LA ROCCA O., Madre Teresa di Calcutta. La Missione della Carità, 3 voll., Milano, European Book, 2001, vol. III, pp. 31-32. 31 SALVOLDI V., op. cit., pp. 67-68. 30 cancelliere di questa prestigiosa università indiana; nel 1977, dalla Facoltà di Teologia di Cambridge, una ulteriore laurea honoris causa in teologia. Nel 1976 fu tra i relatori impegnati negli Usa a celebrare il bicentenario della fondazione degli Stati Uniti, in un congresso internazionale, tenutosi a Filadelfia, dedicato all’Eucarestia Oggi. Dalla tribuna del congresso parlò di Cristo e del Suo sacrificio sulla croce, quale segno di attenzione agli ultimi, agli abbandonati, facendo un’analisi dei mali ricorrenti che gravavano sulla società: Oggi Gesù vive la propria Passione nei giovani del mondo; in quei giovani che soffrono, che hanno fame, che sono handicappati; nel bambino che mangia un pezzo di pane, briciola dopo briciola, perché quando quel pezzo di pane sarà finito non ce ne sarà un altro e la fame tornerà. Questa è una Stazione della Croce32. Insignita di questi e altri numerosissimi premi che riconoscevano tutta la portata della sua missione, Madre Teresa rimase comunque sempre umile, ‘piccola matita’ nelle Sue mani, approfittando anzi sempre di queste occasioni per ribadire che l’impegno contro la povertà deve essere di tutti e verso tutti, perché su questo saremo giudicati alla fine della vita. Si chiedeva continuamente perché la premiassero. Chissà perché mi premiano! Io sono solo una suora, un piccolo strumento nella mani di Dio. Ma devo doverosamente spiegare che io, in cuor mio, sento che questi riconoscimenti non sono per me, ma per tutta la mia gente. Se non fosse così non li accetterei mai. Io ancora non so perché le università, i collegi o i governi mi conferiscano tutti questi titoli. Non so mai se faccio bene ad accettare o no: per me non significano nulla. Ma mi danno l’opportunità di parlare di Cristo a gente che altrimenti non sentirebbe forse mai parlare di Lui. Mi danno, inoltre, la possibilità di raggiungere persone che non avrebbero mai sentito parlare di emarginati, di poveri, di bambini ammalati e abbandonati33. Nel 1979 arrivò il premio di più alto livello, il Nobel per la pace. Il professor John Sanness, presidente del Comitato, nell'aula magna dell'Università di Oslo pronunciò un nobile discorso alla consegna del Premio. Era il 10 dicembre, giorno carico di coincidenze simboliche: era l’anniversario della morte a San Remo nel 1896 di Alfred Nobel, l'inventore della dinamite, che aveva deciso nel 1895 - grazie agli astronomici proventi dell'invenzione - di istituire i Premi che ne portano il nome; era l’«Anno internazionale del bambino» indetto dall’Onu; era il trentesimo anniversario della firma della «Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» che aveva legato le speranze di pace, libertà e giustizia al riconoscimento dell’uguale dignità di ogni essere umano. Teresa, piccola matita nelle mani di Dio, vestita del sari bianco bordato di blu, davanti ai Reali di Norvegia, il Governo, il Parlamento, uno sceltissimo pubblico in costosi abiti da cerimonia, tenne il suo eloquio, semplice ed essenziale, che incantò e colpì. Iniziò il suo intervento con la «Preghiera semplice» di san Francesco, che lei con le sue sorelle erano solite recitare ogni giorno dopo la Santa Comunione, riconoscendone tutta la sorprendente attualità. Stupì questa sua scelta e soprattutto stupì come tutti, che forse non avevano mai pregato, la recitarono commossi. Ai ringraziamenti per aver scelto una così 32 33 LA ROCCA O., op. cit., vol. III, p. 32. Idem, p. 44. 31 umile serva di Dio, seguì un accorato discorso sugli ostacoli del suo tempo nella costruzione della pace. Pace, ribadiva, che doveva nascere prima di tutto dalla propria famiglia, tra le persone vicine. In quante case - affermava Madre Teresa - le persone non si sentono accolte e amate! Quanti anziani lasciati soli, abbandonati nella case di cura; quanti giovani drogati perché non trovano nessuno che li ami davvero! La piccola suora di Calcutta faceva così sentire la sua voce soprattutto in merito all’aborto: questo era per lei la causa principale di ogni violenza. Noi desideriamo i nostri bambini e li amiamo. Ma che ne è degli altri milioni? Molti sono preoccupati per i bambini dell’Africa che muoiono in gran numero, di fame o per latri motivi, ma milioni di essi muoiono intenzionalmente, per volontà della madre. Questo è ciò che distrugge la pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio bambino, cosa ci trattiene dall’uccidere noi stessi, o ucciderci l’un l’altro? Nulla. Ecco che cosa chiedo in India, che cosa invoco ovunque: «Rivolgiamoci ai bambini»; e poiché questo è «l’anno del bambino» domandiamoci che cosa abbiamo fatto per loro. Facciamo sì che quest’anno ogni bambino nasca e che l’indesiderato diventi il desiderato. I bambini sono stati veramente desiderati? Vi dirò qualcosa di veramente pauroso. Noi combattiamo l’aborto con l’adozione. Così salviamo migliaia di vite. Abbiamo sparso la voce in tutte le cliniche, gli ospedali, i posti di polizia: «Vi preghiamo di non uccidere i bambini, li prendiamo noi»34. Alzava la voce, spendeva energie, si impegnava per combattere l’aborto e le leggi che lo consentono e per restituire alle donne il senso della loro dignità e della loro missione. Il segretario generale delle Nazioni Unite Javier Perez de Cuellar la invitò al Palazzo di vetro a New York. La religiosa parlò di minaccia nucleare - in quella stagione di corsa agli armamenti -, aids, fame e aborto. Nel 1984 riuscì a realizzare anche un altro sogno, che covava da tempo nel suo cuore: aprire una Casa delle Missionarie della Carità in Cina. La situazione politica del luogo non scoraggiò la Madre nel suo intento, neppure quando le riferirono che la Cina non era toccata in modo sensibile dalla povertà. Avrebbe aperto allora una Casa per persone depresse e sull’orlo dell’esaurimento nervoso, persone comunque ‘malate’, affette da uno dei disturbi psico-fisici tra i più pericolosi. Nel 1990, per il suo ottantesimo compleanno, fu acclamata «presidente onoraria» dei movimenti per la vita. La proposta, avanzata da Francesco Migliori e Carlo Casini del movimento italiano, fu accolta con entusiasmo da tutti i movimenti per la vita del mondo e dal loro presidente Jack Willke. Per scongiurare la guerra nel Golfo del 1991 scrisse a George Bush senior e a Saddam Hussein. Vengo a voi con le lacrime agli occhi e con l’amore di Dio nel cuore a supplicarvi per i poveri e per coloro che poveri diverranno se la guerra che noi tutti paventiamo e temiamo avrà luogo. […] Faccio appello a voi - al vostro amore, al vostro amore di Dio e dei vostri simili. In nome di Dio e in nome di coloro che renderete poveri, non vogliate distruggere la vita, la cosa più preziosa che Dio può darci. Fate che l’amore e la pace trionfino, e fate che i vostri nomi siano 34 BORGHESE A., op. cit., p. 129. 32 ricordati per il bene che avete compiuto, la gioia che avete diffuso, l’amore che avete condiviso35. Un appello inascoltato, ma il raìs, dopo la guerra, consentì alle Missionarie della carità di aprire una casa a Bagdad. Contro l'aborto scrisse messaggi alle conferenze mondiali sulla demografia a Il Cairo nel 1994, sulla donna a Pechino nel 1995, a Indira Gandhi premier dell'India, al Presidente del Pakistan. Numerosissimi continuavano ad arrivare i premi e i riconoscimenti, insieme però anche ai primi problemi di salute. La sua salute sempre cagionevole, sin dalla giovinezza, non la frenava mai comunque dal mettersi al servizio degli altri, ripetendo, alle sorelle e ai medici che la ragguardavano sulla sua condizione: «Non crediate che mi fermi per queste cose, fino a quando avrò la forza di camminare, andrò sempre avanti»36. Tra i tanti acciacchi accusati, quello che incominciò a preoccupare seriamente i suoi medici curanti fu una forte forma di affezione cardiaca, scoperta nel 1981. Madre Teresa doveva iniziare a considerare che il tempo passava e che i crescenti problemi di salute non le avrebbero permesso di guidare ancora a lungo una congregazione religiosa come la sua, che diveniva una realtà attiva e feconda in tante parti del mondo. Nel 1989, in seguito a un grave intervento chirurgico, inviò, come già altre volte in passato, la lettera di dimissioni alla Santa Sede, che questa volta, considerata la situazione, accettò. Non fu comunque facile individuare una sostituta come nuova Madre generale della Congregazione. Nel Capitolo del 1990 non si arrivò a formulare un nome. La situazione restò quindi forzatamente congelata e, passato il periodo di convalescenza, Madre Teresa continuò con rinnovato vigore la sua missione in tutto il mondo. Nel 1993 venne nuovamente ricoverata per congestione polmonare e dispnea in seguito a un attacco di malaria. Sebbene a ogni caduta, Madre Teresa rispondeva con una sorprendente ripresa, la fine della sua vita era evidentemente vicina, tanto che nel 1996 fu l’arcivescovo di Calcutta, diretto superiore della Congregazione a prendere in mano la situazione, rivolgendosi direttamente alle suore elettrici per sollecitarle a indicare una nuova sorella come erede della grande suora albanese. Dopo mesi e mesi di riflessioni e indecisione, il 13 marzo 1997, le 123 delegate, rappresentanti delle 4.000 Missionarie della Carità presenti in 600 Case distribuite in 122 Paesi, espressero all’unanimità la loro scelta, sancendo che a succedere a Madre Teresa fosse suor Mary Nirmala Joshi. Il 5 settembre dello stesso anno una notizia sconvolse la Congregazione e tutto il mondo: a causa di un’ulteriore crisi cardiaca, la vita della Suora di Calcutta si spense, all’età di 87 anni. Le autorità indiane, ordinando l’esposizione della bandiera a mezz’asta su tutto il territorio in segno di lutto, vollero esporre, in accordo con Madre Nirmala, il corpo di Teresa nella chiesa di San Tommaso per una settimana. Un’affluenza enorme di Capi di Stato, autorità religiose, ma anche e soprattutto tanti pellegrini, credenti e non, che 35 Per la lettera di Madre Teresa a Bush e Saddam cfr. <http://www.toscanaoggi.it/Dossier/Speciali/Guerrain-Iraq/E-Madre-Teresa-scrisse-a-Bush-e-Saddam>. 36 LA ROCCA O., op. cit., vol. III, p. 77. 33 volevano dare un ultimo saluto a questa donna della carità: la Chiesa di San Tommaso è come attraversata da un fiume in piena. Madre Teresa è amata da tutti nella sua terra ed è vissuta come paradigma ed emblema di unione e di pace. Lei, madre di tutti. Madre della Pace contemplata nel volto di Cristo, fonte della speranza. […] Madre Teresa invita a costruire là dove gli altri distruggono, a progettare e a sognare là dove la gente censura anziché censire sogni, ad amare là dove c’è odio. E tutto ciò per cambiare l’umanità, grazie a un supplemento di energia vitale che si riassume in una amorevole sfida: «E tu? Tu da’ il meglio di te stesso»37. Il 13 settembre solenni funerali di Stato accompagnarono, nell’affetto e la commozione di tutto il mondo, l’ultimo dono della vita di Madre Teresa a Dio. Un anno dopo, il 5 settembre 1998, nel piccolo ospedale delle Missionarie della Carità a Patiram, Monika, trentaquattrenne ‘tribale’, sposata con cinque figli, lottava nel letto tra la vita e la morte: già affetta da meningite tubercolare malamente curata, era ora stata colpita da un tumore avanzato, che le procurava gonfiore al ventre e dolori lancinanti. Essendo il primo anniversario dalla morte di Madre Teresa, che lei non aveva conosciuto personalmente, volle farsi accompagnare, aiutata da una infermiera, nella cappella, per il servizio di preghiera a cui prendevano parte buona parte dei pazienti. Dal quadro di Madre Teresa sentì un raggio di luce arrivare verso di lei. Finita la funzione, fu riaccompagnata nel letto, dal quale non riusciva ad alzarsi da sola né a mangiare senza qualcuno che la imboccasse. Nel pomeriggio, dopo il momento di Adorazione, suor Bartholomea, suor Ann e Habil Hansda, un paziente lì ricoverato, si avvicinarono al letto di Monika e pregarono per lei, legandole in vita un cordoncino con una medaglietta miracolosa che era stata strofinata un anno prima sulla bara di Madre Teresa. Monika sentì un vuoto nel suo ventre, ma i dolori ancora continuavano, fino a sparire sopraggiunta la notte. Era verso l’una quando, svegliandosi, non avvertiva più alcun dolore, il gonfiore non c’era più ed era in grado di alzarsi e muoversi senza bisogno di alcun aiuto. Nel giro di pochi giorni poté lasciare l’ospedale e tornare dalla sua famiglia, inspiegabilmente guarita. L’inchiesta sulla presunta guarigione di Monika Besra fu aperta il 25 novembre 1999, finché il 19 giugno 2002, i membri della Consulta medica, riuniti a Roma, nella votazione finale riconobbero all’unanimità la soprannaturalità della guarigione, giudicandola scientificamente inspiegabile, improvvisa, completa e duratura38. Il 19 ottobre 2003, durante la Giornata Missionaria Mondiale, da Giovanni Paolo II fu solennemente proclamata beata: È con particolare emozione che oggi ricordiamo Madre Teresa, grande serva dei poveri, della Chiesa e del Mondo intero. La sua vita è una testimonianza della dignità e del privilegio del servizio umile. Ella aveva scelto di non essere solo la più piccola, ma la serva dei più piccoli. Come madre autentica per i poveri, si è chinata verso coloro che soffrivano diverse forme di povertà. La sua grandezza risiede nella sua abilità di dare senza calcolare i costi, di dare “fino a quando fa male”. La sua vita è stata un vivere radicale e una proclamazione audace del Vangelo 39. 37 SALVOLDI V., op. cit., p. 69. Cfr. ZAMBONINI F., Madre Teresa. La mistica degli ultimi, Milano, Paoline, 2003, pp. 13-18. 39 GIOVANNI PAOLO II, La «serva dei più piccoli», Omelia in occasione della beatificazione di Madre Teresa, 19 ottobre 2003, in “La traccia. L’insegnamento di Giovanni Paolo II”, XXIV (2003), n. 10, p. 905. 38 34