I misteri del monte di venere di Duccio Canestrini

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I misteri del monte di venere di Duccio Canestrini
Evoluzione Culturale
9 gennaio 2011
Lucia Galasso
I misteri del monte di venere di Duccio
Canestrini
perchè ogni cultura l’ha inquadrato e indagato secondo propri criteri.
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Lo scopo è ottenere una visione meno angusta, storicamente e ideologicamente meno condizionata,
di ciò che le donne e gli uomini hanno costruito
o hanno “combinato” in quella sfera sociale chiamata “sessualità“, e in particolare intorno al sesso
femminile. Il filo conduttore del testo è indubbiamente storico ed evolutivo: si inizia dalla preistoria della vagina, documentandone l’archeologia
e raccontandone i miti e il simbolismo così da
essere traghettati dalla cultura popolare fino alle
problematiche della contemporaneità. Il tutto declinato in tre sezioni: la prima dedicata ai miti e ai
riti sessuali, la seconda alla cultura fisica del sesso
femminile (dimensioni, mestruazioni, verginità)
e la terza alla vagina “lavorata”, oggetto di tutta
quella serie di azioni culturali che ne modificano
l’aspetto e il significato (modificazioni, piercing e
chirurgia estetica).
D
uccio Canestrini è sempre stato un antropologo eclettico e fuori dagli schemi; il suo
ultimo libro, “I misteri del monte di venere“,
sin dal titolo si presenta abbastanza singolare. Già,
perchè parlare della.. della… già – come evidenzia il
nostro autore – il problema inizia proprio qui: come
chiamarla? Superato l’empasse possiamo addentrarci in questo agile volumetto, di semplice lettura
e molto accattivante. Affrontare una tematica un pò
scottante come l’etnografia del sesso femminile ci
proietta, per forza di cose, oltre la nostra cultura,
Come donna davo per scontato di saperne abbastanza, ma molto di ciò che pensavo di sapere era
semplicemente scontato e non me ne chiedevo i motivi. Così, leggendo la prima parte del libro, rimango
folgorata dal legame cibo-vagina. In particolare
dal legame tra la fertilità della donna e la Madre
Terra. Non a caso Canestrini ci riporta a un’antica
usanza delle contadine dell’Est europeo che mostravano il sesso alle pianticelle di lino dicendo “Vi
prego, crescete fino a questa“.
In altre regioni, italiane e non, la tradizione ci rimanda a dolci e pani a forma di pube. Nella Sicilia
greca questi erano chiamati mylloi ed erano focacce
di sesamo e miele in offerta a Kore e Demetra. Ma
l’usanza di confezionare dolci e pani riproducenti
gli organi sessuali femminili (anche maschili) è comune a tutto il mondo romano e si estende a tutto
il Medioevo. In Francia, i pani a forma di vulva
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I misteri del monte di venere di Duccio Canestrini
erano detti miches, parola che ci ricorda le nostre
michette, dette anche spaccatine. Ancora in Sicilia
troviamo la cucchia o cuccia, un pane composto
da due metà unite. Mentre a Palmi, in Calabria, il
giorno di Pasqua la ragazza dona al fidanzato un
pane dolce tradizionale; ‘a cuddhura (dal greco
kollura, focaccia) che ha la forma di un ferro di cavallo con il foro centrale chiuso da un uovo, simbolo
beneaugurale della vulva. Panificazione e sesso:
il simbolismo dilaga felicemente, da millenni, nel
nostro Meridione, e Canestrini ce ne racconta la
storia.
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La seconda parte del volume, oltre a narrarci la
fisiognomica erotica del sesso femminile (nel nostro e altrui folklore), passando con leggerezza per
il mito del punto G e il clitoride, mi regala la stupefacente storia del vibratore. Esterrefatta leggo
che questo strumento nasce nei manicomi e negli
ospedali psichiatrici per curare le donne affette
da isteria (qualsiasi diagnosi essa significasse).
Non posso non sorridere, scuotendo la testa, alla
notazione del nostro autore:
““
Fu un progresso straordinario: l’orgasmo clitorideo poteva essere ottenuto per
davvero premendo un bottone, il che risparmiava un sacco di fatica a molti medici, che altrimenti dovevano masturbare manualmente
le pazienti.
Si ride un pò meno nell’ultima sezione del testo,
quella dedicata – tra le altre cose – alle modificazioni etniche dei genitali femminili. Qui il tono
scanzonato (ma mai volgare e superficiale) lascia
il posto a una seria e attenta riflessione che indaga
le importanti giustificazioni culturali che ne sono
alla base. Non si tratta nè di avallarle nè di screditarle, a Canestrini preme soltanto inquadrarle
culturalmente, senza etichettarle tout court come
“barbarie”. Ma poi siamo proprio così sicuri che
anche noi, in Occidente, non abbiamo avuto le nostre
di “barbarie”?
Basti pensare che fino alla seconda metà dell’Ottocento (e per più di 10 anni) la cura dell’isteria, oltre
che con il vibratore, era effettuata tramite l’asportazione del clitoride, e questo nella prestigiosa London Surgical Home. Una clinica definita da Isaac
Baker Brown (il ginecologo inglese che ne era a capo)
una “casa di accoglienza per gentildonne e signore
rispettabili sofferenti di disturbi curabili chirurgicamente”. Qui la rimozione chirurgica del clitoride, e
a volte anche la sua cauterizzazione con un bisturi
rovente, era un cura anche per l‘incontinenza, la
ninfomania, l’epilessia e per i casi di mestruazioni
irregolari. Insomma, anche noi abbiamo avuto le
nostre “usanze barbare”, forse coperte dal manto
della cura medica, ma paradossalmente proprio
nel secolo del trionfo della scienza.
Si tornerà a sorridere con un altro tipo di “lavorazione” del sesso femminile: il piercing, i parrucchini (!!!) e la chirurgia estetica. Vere e proprie
modificazioni fisiche volte a uno sterile piacere
dell’occhio e del corpo.
Concludo questa recensione lasciando a Merope
Generosa, interpretata dalla magistrale Anna
Marchesini, la parola. Un modo per sdrammatizzare un tema un pò imbarazzante, ma che racconta
bene la storia di quella magnifica ossessione che è
il sesso femminile.
Tags: antropologia del sesso, clitoride, Duccio canestrini, isteria,
Merope Generosa, modificazioni etniche dei genitali femminili,
monte di venere, vagina, vibratore
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