UNIFAUNA Associazione scientifico-culturale
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UNIFAUNA Associazione scientifico-culturale
UNIFAUNA Associazione scientifico-culturale UNIFAUNA nasce da un gruppo di studenti laureati e laureandi della Facoltà di Agraria di Firenze, che intendono porsi come “anello mancante” tra le associazioni ambientaliste, venatorie e agricole, curando sia gli interessi inerenti la gestione faunistico-venatoria che la conservazione ambientale. L’associazione intende collaborare con enti, aziende, liberi professionisti e associazioni di varia natura con i seguenti scopi: • Ricerca scientifica attraverso progetti di varia natura, sia in proprio che per conto di soggetti extra associativi; • Scambio culturale e formazione dei soci in campo faunistico-ambientale; • Sensibilizzazione e informazione sociale in ambito faunistico e conservazionistico. www.unifauna.it [email protected] Firenze, Luglio 2014. UNIFAUNA e le persone che agiscono per suo conto non sono responsabili per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenute in questa pubblicazione. Riproduzione autorizzata citando la fonte. INDICE Premessa 1 Biologia della specie 1.1 Sistematica e distribuzione 1.2 Morfologia 1.3 Habitat 1.4 Ecologia ed alimentazione 1.5 Riproduzione 1.6 Comportamento sociale e territorialità Pag. 2 3 3 4 6 7 8 9 2 Metodi di censimento 2.1 Tracce e segni di presenza 2.2 Tecniche di censimento 11 11 13 3 Predazione 3.1 Il lupo e la zootecnia 3.2 Preda selvatica e preda domestica 3.3 Principali differenze nell’ attività predatoria fra cane e lupo 3.3.1 Atto predatorio del lupo 3.3.2 Atto predatorio del cane 3.3.3 Surplus killing 3.4 Sopralluogo per accertamento di un caso di predazione 3.5 Randagismo canino e ibridazione 3.5.1Caratteristiche fenotipiche di riconoscimento lupi ibridi 17 17 17 18 18 19 20 20 22 24 4 Sistemi di prevenzione contro i danni del lupo alla zootecnia 4.1 Strumenti di prevenzione 4.2 Opere di prevenzione 4.2.1 Recinzioni 4.2.2 Fladry 4.2.3 Dissuasori acustici faunistici 4.2.4 Cani da guardiania 26 27 27 27 30 31 32 5 Bibliografia Ringraziamenti 35 PREMESSA La gestione faunistica è un insieme di operazioni che hanno come obiettivo l’utilizzo di una risorsa naturale rinnovabile (la fauna selvatica) in modo sostenibile, ossia garantendo la conservazione delle specie ed il mantenimento di un equilibrio naturale. Per riuscire in questo intento è necessario avere un’approfondita conoscenza della biologia, dell’etologia, delle dinamiche demografiche e degli habitat favorevoli alle diverse popolazioni animali. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo inoltre tener presente, qualsiasi sia la specie presa in esame, la DAF (Densità Agricola Forestale) cioè il numero di capi per unità di superficie che in base alle attività antropiche (es. agricoltura, pastorizia ecc.) sia tollerabile; viene determinata infatti in funzione dei danni accertati e sostenuti. Il lupo ha percorso insieme all’uomo buona parte del suo cammino evolutivo. Le sue doti di cacciatore e combattente sono state apprezzate dai popoli di cultura venatoria e guerriera. Al contrario, dai popoli agricoltori e soprattutto allevatori, è stato sempre visto come una minaccia per le loro produzioni. Infatti uno dei maggiori problemi che affligge la zootecnia toscana negli ultimi anni è rappresentato dalle predazioni del lupo sulle greggi di animali domestici; tale situazione nasce da un eccessivo incremento numerico delle popolazioni di questo predatore, provocato a sua volta dall’aumento costante in Toscana di ungulati selvatici. Inoltre, negli ultimi anni abbiamo assistito alla comparsa di ibridi nati dall’incrocio di cani domestici o inselvatichiti e lupi; questi esemplari hanno contribuito ad intensificare il disagio degli allevatori causato dall’aumento delle predazioni. Per tale motivo UNIFAUNA ha deciso di collaborare all’approfondimento di questa tematica sia per contribuire allo studio del predatore, sia per divulgare ed incrementare le proprie conoscenze in materia: quest’ultimo scopo rispecchia infatti l’obiettivo principale dell’Associazione. [email protected] Pagina 2 1. BIOLOGIA DELLA SPECIE 1.1 SISTEMATICA e DISTRIBUZIONE Regno Animalia Philum Cordata Classe Mammalia Ordine Carnivora Famiglia Canidea Genere Canis Specie Canis lupus Linneaus, 1758 Foto: lupi.difossombrone.it Secondo l’ultima revisione della tassonomia, il lupo è stato indicato come specie progenitrice del cane domestico, identificato come una sua sottospecie (Canis lupus familiaris) (Wilson e Reeder, 1993). Precedentemente a questa aggiunta, vennero descritte altre sottospecie selvatiche (da 32 secondo Mech, 1970, fino 38 secondo gli studi di Staine, 1975) in base alle caratteristiche morfometriche, in particolar modo del cranio, e alla distribuzione geografica; tuttavia con le ultime revisioni tassonomiche e grazie allo sviluppo delle tecniche di indagine genetica è stato suggerito di ridurne il numero: la più recente classificazione di Novak (1983) ne distingue cinque in Nord America e massimo sei nel continente eurasiatico; egli identifica le seguenti sottospecie eurasiatiche: Canis lupus albus nelle terre artiche, C. l. communis nel bassopiano siberiano, C. l. lupus in Europa e in Asia centrale, C. l. cubanensis nel Caucaso, C. l. pallipes nell’Asia sud-occidentale. Recentemente (nel 2000) ha aggiunto altre 4 sottospecie eurasiatiche quali: C. l. arabs nella penisola arabica, C. l. lupaster nella Libia e nord Egitto, C. l. hattai nell'isola giapponese di Hokkaido e C. l. hodophilax nelle isole giapponesi di Honshu, Shikoku e Kyushu attualmente estinte. In Italia, ad inizio secolo, il lupo presente venne attribuito alla sottospecie italicus (Canis lupus italicus Altobello, 1921) ma successivamente tale classificazione venne contestata da Boitani (1981) e da Boitani e Fabbri (1983) sia per quanto riguarda le metodologie utilizzate dall’autore sia per la scarsità di individui analizzati. Tuttavia, le numerose indagini genetiche (Randi et al., 2000; Randi e Lucchini, 2002) e morfometriche (Nowak e Federoff, 2002) sembrerebbero suggerire che la popolazione italiana di lupo si sia differenziata abbastanza dalle altre europee, in maniera tale da considerarsi sottospecie distinta (Caniglia, 2008). Il lupo è il mammifero terrestre, secondo solo al leone (Panthera leo)del Pleistocene, che, durante il corso della sua storia, ha raggiunto la più estesa distribuzione geografica (Novak 1983), interessando la maggior parte dell’emisfero settentrionale a nord del 20° N di latitudine, esclusi Nord Africa, India Meridionale e Indocina (distribuzione oloartica circumpolare, Stains, 1975). Tuttavia, oggi il suo areale si è molto ridotto a causa di interventi di persecuzione da parte dell’uomo; negli anni successivi alla seconda Guerra Mondiale il lupo era scomparso dalla gran parte dei Paesi dell’Europa settentrionale e centrale; negli anni ’60 erano presenti residui di popolazioni più o meno isolate nella penisola iberica, Italia, Grecia, Paesi della ex-Jugoslavia e Scandinavi. Nell’ultimo trentennio in Europa occidentale è stata registrata una ripresa demografica a livello locale che ha portato ad una parziale [email protected] Pagina 3 ricolonizzazione spontanea del vecchio areale (Promberger e Schroder 1993, Carbyn et al., 1995; Linnell et al., 2008). In Italia non sono mai stati effettuati ripopolamenti, reintroduzioni o introduzioni; la dinamica di popolazione è simile a quella del resto d’Europa. In seguito ai due conflitti mondiali il numero di esemplari ha subito un drastico calo fin quasi a raggiungere l’ estinzione. Sulle Alpi è scomparso negli anni ’20 (Brunetti, 1984) mentre in Sicilia negli anni ’40 (Cagnolaro et al. 1974). Il decremento è continuato anche nel ventennio successivo alla seconda guerra mondiale e nei primi anni ’70 quando si è raggiunto il massimo picco negativo e la distribuzione del lupo risultava frammentaria e ristretta a poche zone dell’Appennino centrale e meridionale (Zimen e Boitani 1975). Tuttavia a partire dalla fine degli anni ’70 inizi anni ‘80 si è assistito ad una progressiva espansione della specie, fenomeno particolarmente evidente lungo tutto la catena appenninica e l'arco alpino occidentale (Boitani e Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boscagli, 1985; Boitani e Ciucci, 1993; Francisci e Guberti, 1993; Gazzola 2007; Marucco e Avanzinelli 2009)(Figura 1). Figura 1: Distribuzione del lupo in Italia. a) 1974 (Cagnolaro et al. 1974); b) 2010 (Boitani et al. 2010). 1.2 MORFOLOGIA Nel suo genere il lupo è la specie con le dimensioni maggiori, il suo peso vivo varia a seconda della latitudine (regola di Bergman): gli individui più grossi (tra i 60 e gli 80 kg) si trovano esclusivamente nelle regioni più settentrionali del globo (Siberia, Canada), mentre gli esemplari con le dimensioni minori si trovano nella penisola arabica (1820 kg). In Italia il peso medio varia, nei maschi adulti, tra 25 e 35 kg. Le femmine sono di dimensioni e peso leggermente Figura 2. Impronta di lupo (Foto: www.funghiitaliani.it) minori. In un esemplare adulto la lunghezza del corpo, tra la punta del naso e l'attaccatura della coda, è di circa 110-148 cm. La coda in media è [email protected] Pagina 4 lunga circa 30-35 cm. L’altezza al garrese è di circa 50-70 cm. La corporatura è snella, con arti lunghi, fianchi stretti, testa ampia con muso appuntito, collo corto e robusto (Ciucci e Boitani, 1998). La postura è tipicamente digitigrada, ogni dito ha un polpastrello calloso ed un’unghia robusta non retrattile, e posteriormente è presente un grosso cuscinetto plantare di forma lobata. Le impronte si confondono facilmente con quelle di un cane di grosse dimensioni (Figura 2). La testa è ampia con muso allungato, gli occhi hanno posizione frontale, la pupilla è rotonda, le orecchie misurano circa 10-11cm di lunghezza, hanno forma triangolare e una base larga (Figura 3). Le colorazioni del mantello sono molto mutevoli all’interno dell’areale di distribuzione e variano dalle tonalità del bianco, crema, marrone, rossiccio, argento fino al grigio e al nero. Le fasi monocromatiche si riscontrano maggiormente alle latitudini maggiori (Canada e Alaska). In Italia la colorazione è prevalentemente grigio-fulva tendente, durante i mesi estivi, al marrone rossiccio. Sono presenti bandeggi scuri tendenti al nero nella regione dorsale del corpo, sulle orecchie e sulla punta della coda e lungo gli arti anteriori. Le zone ventrali e addominali hanno invece tonalità tendenti al crema, come l’evidente mascherina facciale che interessa i lati del muso (Figura 4). I peli del collo, dorsali e della parte prossima alla Figura 3. Lupo appenninico (Foto Gatto S.: coda sono inseriti in uno strato epidermico strettamente www.saveriogatto.com) collegato alla muscolatura, ciò permette un preciso controllo dell’erezione del manto, aspetto fondamentale della comunicazione con altri individui. La muta avviene una volta l’anno, con perdita del pelo invernale in primavera e ricrescita già ad inizio autunno. I cuccioli alla nascita hanno mantello scuro, quasi nero, tranne nella zona ventrale, dove la pelliccia è più rada: la colorazione adulta verrà acquisita intorno al quarto-quinto mese d’età (Boscagli, 1985). Figura 4. Lupo appenninico (Foto Gatto S.: www.saveriogatto.com) Il cranio, largo e massiccio, è caratterizzato da un lungo rostro, da una scatola cranica fortemente ossificata, la cui capacità è di circa 160 cm3, da arcate zigomatiche e cresta sagittale molto sviluppate [email protected] Pagina 5 in modo da consentire ai muscoli masseteri e temporali, che lì si inseriscono, la potentissima chiusura della mandibola (raggiunge una pressione di 150-190 kg/cm2), (figura 5). A differenza dei cani, in cui l’angolo orbitale (angolo acuto che si forma tra la retta orizzontale congiungente le arcate sopraorbitali e la linea che dallo zigomo si dirige verso l’arcata sopraorbitale stessa) oscilla tra i 53° e i 60°, nei lupi varia tra i 40° e i 45°: questo rende il cranio del lupo più schiacciato (Iljin, 1941). La formula dentaria di un individuo adulto è I 3/3, C 1/1, P 4/4, M 2/3 (42 denti totali). I denti ferini (P4 e M1) offrono una meccanica di masticazione tagliente atta alla lacerazione di fibre anche molto resistenti, come tendini e grossi pezzi di carne. Nei cuccioli la dentizione definitiva compare tra la 16a e la 26a settimana di vita (Ciucci e Boitani 1998). Figura 5. Cranio di lupo. (Ciucci e Boitani, 1998) Figura 6. Progressive wear on wolf incisor and canines in 2 year increments from <1 to >12 years of age. Wear on incisor typically progresses beyond the lobes on the first 2 upper and lower incisors at 8 years of age, leaving approximately 5 mm of enamel. 1.3 HABITAT Il lupo essendo un generalista ha un’ampia capacità di adattamentO e la maggior parte degli habitat dell’emisfero settentrionale sono rappresentati nel suo areale di distribuzione (Ciucci e Boitani, 1998), con le uniche eccezioni dei deserti aridi e dei picchi montuosi più elevati. In Italia le aree montuose, caratterizzate da notevole presenza di superficie boschiva e di conseguenza limitatamente antropizzate, hanno rappresentato l’ambiente “ottimale” per questo carnivoro. I principali fattori limitanti sono rappresentati dalla persecuzione antropica, dalle disponibilità [email protected] Pagina 6 alimentari dell’ambiente e dalla frammentazione e distruzione di quest’ultimo: la presenza di lupi in un ambiente specifico è infatti fortemente collegato all'abbondanza di prede, alla profondità della neve, all'assenza o alla bassa presenza di bestiame, alla presenza di strade, alla presenza umana e alla topografia. Negli ambienti freddi, il lupo grigio può ridurre la circolazione sanguinea alla pelle per conservare il calore corporeo. Il calore delle zampe è regolato indipendentemente dal resto del corpo per impedire il congelamento. I lupi grigi si riposano in varie zone: durante le tempeste, i lupi si riparano in tane, mentre durante tempi caldi e l'autunno/primavera, si riposano all'aperto. Sebbene i lupi tendono a evitare zone occupate dagli umani, si possono notare casi in cui i lupi creano la loro dimora vicino ai domicili e ferrovie. 1.4 ECOLOGIA ED ALIMENTAZIONE Per la sua ecologia alimentare prevalentemente opportunistica il lupo non può essere considerato un ipercarnivoro al pari dei felidi, nonostante sia specializzato nella caccia di prede di grosse dimensioni. La dieta infatti non è necessariamente composta solo da carne ma può includere anche altre varietà alimentari, dai rifiuti di origine antropica alla frutta. E’ un predatore generalista le cui specie preda variano a seconda della regione geografica, da specie di piccole dimensioni come la lepre a specie anche di tre ordini di grandezza superiori come il bue muschiato dell’Artico (Ciucci e Boitani, 1998). In Italia la dieta del lupo varia molto a livello locale: in natura l’animale si ciba soprattutto di ungulati selvatici, in particolare del cinghiale; infatti è l‘unico predatore in grado di attaccare praticamente tutte le classi sociali del Suide, privilegiando ovviamente femmine e giovani e svolgendo quindi una funzione limitante (anche se parziale) nei confronti delle popolazioni di cinghiale. La dieta di questo carnivoro, laddove siano presenti attività antropiche, è caratterizzata anche da specie domestiche (ovini, caprini, bovini), in quanto tali prede hanno subito processi di selezione artificiale tali da renderle “più vulnerabili della più malata e debilitata preda selvatica” (Mech, 1970). Fra le fonti alimentari di origine antropica si ritrovano anche i rifiuti urbani; infatti dalle prime indagini condotte negli anni settanta nell’Appennino centrale è emerso che in Abruzzo il fenomeno dell’utilizzo delle discariche, come fonte alternativa di cibo, sembrava trasformare il lupo da predatore ad un mangiatore di rifiuti (60-70%) (Boitani, 1982), mentre in Umbria le specie domestiche rappresentavano il 90% delle risorse alimentari (Ragni et al., 1985). Inoltre gli incrementi delle densità locali di ungulati selvatici hanno evidenziato un aumento degli stessi nella dieta del lupo. (Ragni et al., 1992; Patalano e Lovari, 1993; Capitani et al., 2004; Mattioli et al., 2004; 2011). Nei contesti ambientali caratterizzati dalla presenza di popolazioni vitali di ungulati selvatici (Foreste Casentinesi, Appennino settentrionale, Alpi occidentali), si assiste al ripristino di una condizione naturale originaria, in cui la dieta del lupo è costituita prevalentemente da fauna selvatica (Ciucci 1994; Mattioli et al,.2011; Meriggi et al., 1996; Gazzola et al., 2007; Avanzinelli e Marucco, 2009). E’ difficile stabilire l’impatto che la predazione del lupo ha sulle comunità di animali selvatici, numerosi studi hanno mostrato la complessità del fenomeno e l’impossibilità di semplificazione in descrizioni univoche e generali (Ciucci e Boitani 1998). Tuttavia è stato possibile mettere in evidenza alcuni aspetti fondamentali, tra i quali: la predazione si focalizza maggiormente sulla parte debole della comunità di ungulati (giovani, vecchi e individui debilitati) (Mech et al. 1991); [email protected] Pagina 7 l’impatto della predazione varia a seconda di caratteristiche ecologiche locali (rapporto n. di lupi/n. di prede, struttura demografica della popolazione di prede, condizioni dell’habitat etc.) (Ciucci e Boitani, 1998); la risposta delle popolazioni preda varia da specie a specie. a seconda delle casistiche si può avere uno spettro di situazioni ai cui estremi si ha una condizione di effettiva regolazione delle popolazioni di prede da parte del lupo oppure un impatto trascurabile su di esse. 1.5 RIPRODUZIONE La stagione riproduttiva varia tra gennaio e aprile, a seconda della latitudine: nel lupo appenninico può andare da gennaio a marzo. La riproduzione è una prerogativa della coppia dominante (maschio e femmina alfa), in cui comunque il maschio alfa ostacola i possibili tentativi di riproduzione della femmina alfa con individui di grado minore. Tale meccanismo (deferred reproduction) impedisce che altre coppie del branco si riproducano, rendendole così disponibili per aiutare la coppia dominante nella cura della prole (cure alloparentali) (Packard et al., 1983, 1985). Il lupo è un animale monoestrale annuale e la fase di estro varia dai 5 ai 7 giorni. La gestazione dura circa 63 giorni e le femmine adulte partoriscono in media 6 cuccioli (con numeri che possono variare tra 1 e 11) (Mech, 1974), (Figura 6). Il tasso di sopravvivenza dei cuccioli al primo anno di vita è in funzione alla disponibilità di prede, misurata come biomassa preda/lupo (Keith, 1983, Fuller, 1989). Giunti al secondo anno di età, dopo aver imparato i modelli comportamentali fondamentali per la vita nel branco e la caccia, gli individui, ormai adulti, possono scegliere se abbandonare il branco per tentare di formarne uno loro o restare all’interno, sottomettendosi o cercando di acquisire nel tempo la posizione dominante. Figura 7. Madre α con cuccioli. (Foto: www.wild.uzh.ch/wolf/i/wp_me_i5.htm) [email protected] Pagina 8 1.6 COMPORTAMENTO SOCIALE E TERRITORIALITÀ Il lupo vive in unità sociali, quali mute o branchi, costituite da un gruppo d’individui che si spostano, cacciano, si nutrono, riposano insieme, in libera associazione, ma uniti l’uno con l’altro da vincoli sociali (Mech, 1970). I branchi sono unità familiari che si formano quando due individui di sesso opposto si incontrano in un territorio adatto e si riproducono (Rothman e Mech , 1979, Fritts e Mech, 1981). Studi condotti in cattività hanno descritto la struttura sociale del branco come una gerarchia lineare di dominanza che interessa i componenti di entrambi i sessi (Rabb et al., 1967; Zimen, 1976; Van Hoff et al., 1987): si hanno due ordini gerarchici, uno maschile e uno femminile, in cui il livello di dominanza è espresso con lettere dell’alfabeto greco, per cui α (alfa) è la coppia di grado più elevato, β (beta) sono gli individui subdominanti, cioè i nati dell’anno precedente, fino ad arrivare in fondo alla gerarchia dove si trovano i cuccioli. Gli individui ω (omega) sono reietti, rimangono confinati ai margini del branco senza farne mai veramente parte subendo la competizione con gli altri componenti del branco, pur di non condurre una vita solitaria. La coppia α è quella che dirige il branco, decide in merito alla caccia, agli spostamenti e alla difesa del territorio (marcature e vocalizzazioni). Il compito più importante riguarda però la regolazione della riproduzione nel branco. Attualmente l’ipotesi più accreditata per spiegare la tendenza dei lupi a vivere nel branco è quella della kin selection (Schmidt e Mech, 1997), secondo la quale gli adulti del nucleo familiare investono sulla prole attraverso la condivisione del cibo in esubero e l’insegnamento. Questo processo consente agli adulti di massimizzare la probabilità di sopravvivenza dei cuccioli e quindi garantire la conservazione nel tempo dei propri geni. La coesione del branco viene assicurata dai forti legami sociali che si instaurano tra i componenti del gruppo, pur esistendo una gerarchia lineare di dominanza non statica, specialmente durante il periodo che precede la riproduzione. La comunicazione all’interno del branco è Figura 8. Interazioni sociali tra lupi di uno stesso branco. quindi fondamentale per la sua (Foto: www.nationalgeographic.it/) sopravvivenza, questa specie possiede infatti una grande varietà di vocalizzazioni, espressioni facciali, corporee e di sguardo (Figura 7). Un branco è composto mediamente da 7 individui (Mech ,1970), ma le dimensioni dipendono dalla produttività, mortalità, dispersione e soprattutto dalla disponibilità alimentare del territorio. Il lupo è un animale territoriale, in quanto il suo territorio è stabile ed esclusivo e ogni tentativo di ingresso da parte di individui conspecifici estranei al branco viene soppresso (Mech, 1974). Le dimensioni variano in funzione della latitudine (da 80 km2 fino a oltre 2500 km2), delle specie preda principali e della loro densità (Carbyn, 1987), nell’Appennino centrale per esempio i valori medi oscillano tra i 100 e 150 km2. Ciascun territorio viene difeso continuamente sia con segnali olfattivi (urine ed escrementi), lasciati in siti strategici, che mediante emissioni vocali (ululato). Gli incontri tra individui di branchi diversi [email protected] Pagina 9 occupanti territori contigui sono assai rari, ma quando si verificano danno origine a scontri in cui i lupi possono rimanere feriti o uccisi. Queste invasioni territoriali, che determinano alti tassi di mortalità, sono più frequenti in periodi di scarsità di prede o in condizioni di alta densità intraspecifica (Mech, 1977). Se i territori di due branchi vicini si sovrappongono, si creano delle buffer zones, ovvero zone cuscinetto, frequentate da entrambi i branchi in momenti diversi, dove aumenta il tasso delle marcature olfattive (Mech, 1994). Il territorio viene utilizzato in maniera differente a seconda del ciclo biologico dei lupi: durante il periodo di allevamento dei cuccioli (primavera-estate) l’utilizzazione appare più centralizzata poiché gli individui adulti tornano sempre alla tana o nei siti di rendez-vous (punti di ritrovo dove i cuccioli, non ancora in grado di spostarsi attivamente all’interno del territorio, aspettano il ritorno quotidiano degli adulti) (Harrington e Mech, 1982). In inverno al contrario l’attività diventa di tipo nomade: il branco si muove, caccia e si riposa in posti occasionali all’interno del territorio, usato interamente in modo ciclico ed uniforme, ed è attivo sia di giorno che di notte (Mech, 1970). Nonostante il tipico forte carattere sociale, può capitare che alcuni lupi vivano per un periodo una condizione solitaria; spesso si tratta di vecchi individui che hanno perso il compagno, o di lupi cacciati dal branco, o giovani maturi sessualmente che si sono distaccati volontariamente dall’unità familiare, alla ricerca di un nuovo territorio e di un compagno/a per riprodursi (Messier, 1985; Gese e Mech, 1991; Mech et al., 1998). Foto 9: Lupo solitario (Foto: www.legambiente.emiliaromagna.it) [email protected] Pagina 10 2. METODI DI CENSIMENTO Il lupo è noto per il suo carattere schivo, prudente ed elusivo che lo porta ad avere un’attività prevalentemente notturna, di conseguenza gli avvistamenti di questa specie sono rari e brevi e per poterla studiare è necessario mettere in pratica metodi adeguati che possano dare risultati significativi anche senza un contatto diretto con l’animale. 2.1 TRACCE E SEGNI DI PRESENZA TRACCE Le tracce, o piste, sono una sequenza di impronte lasciate da uno o più individui. Anche se l’impronta del Dog lupo è facilmente confondibile con quella di un cane di grosse dimensioni, la peculiare struttura locomotoria del primo fa sì che esse, se rinvenute lungo una pista, siano distinguibili. Infatti il lupo è in grado di far oscillare sulla stessa linea gli arti anteriori e posteriori di uno stesso lato sovrapponendo quindi perfettamente le impronte del piede anteriore con quelle del piede posteriore. Se Figura 10. Confronto schematico fra la traccia del lupo e quella del cane. più lupi viaggiano insieme tenderanno a mettere i piedi nelle orme lasciate dagli individui che li precedono, creando così un’unica linea in cui non è possibile distinguere il numero di animali passati. In alcuni punti però è possibile riscontrare delle aperture a “ventaglio” o ad “asola” in cui i singoli individui si dissociano per un certo tratto rendendone così possibile la conta (Ciucci e Boitani, 1998). La traccia del lupo inoltre tende a mantenere una direzione di viaggio molto costante, con poche deviazioni di traiettoria, mentre quella del cane è più disordinata e casuale (ad eccezione dei cani inselvatichiti che tendono ad avere uno stile di vita e di spostamento simili a quelli dei lupi) (Boitani et al., 1995) ( Figura 10). ESCREMENTI Gli escrementi di lupo possono essere di varie forme e dimensioni. Generalmente quelle solide, contenendo principalmente resti indigeriti dei pasti (ossa, peli, materiale vegetale, etc.), possono permanere, a seconda delle condizioni climatiche, anche per molto tempo sul luogo di deposizione e sono morfologicamente composte da uno o due segmenti cilindrici di circa 3 – 4 cm di diametro e lunghi fino a 15 cm. In alcuni casi possono essere rinvenuti escrementi amorfi: liquidi o semiliquidi, di forma [email protected] Figura 11. Escrementi di lupo (Foto: www.naturamediterraneo.com) Pagina 11 quindi non definita, la cui persistenza è generalmente più breve (Figura 11). L’elevata variabilità morfologica dipende dal sesso, dall'età, dalle dimensioni e dalla dieta dell’animale (Ciucci e Boitani, 1998). L’odore è acre e molto intenso e può variare a seconda del livello di gerarchia a cui appartiene l’individuo, dal tempo trascorso dalla deposizione e dalla composizione del pasto. Una certa proporzione di escrementi viene deposta in punti strategici del territorio, come i bivi delle strade e dei sentieri maggiormente frequentati dal predatore e lungo le direttrici di spostamento, nei siti di predazione in prossimità della carcassa, generalmente in zone rialzate come cespugli o tronchi di alberi. Inoltre in alcuni casi all'escremento viene associata una secrezione prodotta dalle ghiandole perianali: tali eventi sono da considerarsi delle vere e proprie marcature olfattive (Asa et al., 1985). Tuttavia, anche gli escrementi non sono distinguibili da quelli di cani di grossa taglia che si alimentano allo stesso modo del lupo; solo analisi genetiche possono dare risultati sicuri sull’appartenenza dell’escremento. URINA Caratteristico dell’urina di lupo è l’odore acre molto penetrante. Generalmente il colore è giallo, variazioni tra l’arancione e il rosso-bruno possono indicare lo stato di calore nella femmina (Ciucci e Boitani, 1998) (Figura 3). Il ritrovamento d’urina è esclusivamente legato alla presenza di una copertura nevosa; è possibile distinguere, quando la condizione della neve è ottimale, due tipi di postura di minzione (con la gamba posteriore alzata RLU, con le quattro zampe a terra SQU), rilevando la localizzazione della macchia d’urina rispetto agli arti anteriori e posteriori. La posizione assunta dal lupo durante la minzione non permette di determinare il sesso dell’individuo, Figura12. Urina di lupo con presenza di sangue poiché sia i maschi sia le femmine adulte di coppie di (Foto Francioni C.) nuova formazione utilizzano la postura RLU durante la fase di corteggiamento e di consolidamento del rapporto di coppia (Rothman e Mech, 1979); inoltre Bekoff e Wells (1980) hanno osservato come anche operatori esperti non riescano sempre a distinguere le due posizioni di minzione (RLU, SQU) in base ai segni lasciati sulla neve. Le urine secondo Paquet e Fuller (1990) e Paquet (1991), possono essere classificate come directed urination (D.U.), se orientate verso oggetti bersaglio verticali, e in nondirected urination (ND.U.) senza un bersaglio strategico rilevante. PELI Anche il rinvenimento di peli può essere indice della presenza del lupo. Sebbene difficili da trovare, essi si possono cercare impigliati su arbusti e rami bassi, o anche sulle carcasse delle prede uccise, su cui il lupo si strofina, in prossimità delle corna, degli zoccoli o dei frammenti ossei sporgenti dalla carcassa. Generalmente è il pelo che costituisce la “giarra”, cioè lo strato più esterno, ad essere rinvenuto. A differenza della “borra”, corta, soffice ed isolante, la giarra è lunga e setolosa, con una colorazione [email protected] Pagina 12 costituita solitamente da quattro bande alternate chiare e scure. Anche il pelo può essere confuso con quello di cane o altri animali selvatici e per questo è utile affidarsi ad esperti per il riconoscimento o utilizzare campioni di peli di appartenenza nota. 2.2 TECNICHE DI CENSIMENTO TRANSETTI All’interno dell’area di studio è possibile creare una serie di transetti percorribili a piedi volti a massimizzare la ricerca dei segni della presenza del lupo. Questa deve essere realizzata in maniera tale da rendere minimo il rischio che alcune zone risultino maggiormente investigate di altre. L’itinerario e la lunghezza dei percorsi devono essere valutati in base alla difficoltà di percorrenza e alle caratteristiche morfologiche della zona. Nella programmazione dei transetti è bene tenere presente che il lupo si sposta, se possibile, lungo strade e sentieri già battuti, anche percorsi dall’uomo. E’ consigliato operare ad intervalli di tempo il più regolari possibile così da rendere costante lo sforzo di ricerca nei diversi periodi dell’anno e stimare con maggiore precisione la data di deposizione dei segni di presenza. Oltre ai transetti pianificati si possono includere anche transetti occasionali in modo da estendere la ricerca del predatore anche ad altre zone e intensificarla là dove si rendesse necessario. TRACCIATURA DELLE PISTE D'IMPRONTE SU NEVE (SNOW-TRACKING) Lo snow tracking è una delle tecnica di censimento più efficaci. Eseguita nel periodo invernale, consiste nell’effettuare dei percorsi di ricognizione (mulattiere, sentieri escursionistici), posizionati in maniera del tutto opportunistica e non casuale, dopo 24-48 ore dalla nevicata (Ciucci, 2001), al fine di intercettare le tracce di spostamento o di attività dei lupi. Il margine di attesa è necessario per lasciare il tempo agli animali di compiere estesi spostamenti e aumentare le probabilità che il circuito di ricognizione dia esito positivo. La tecnica dello snow-tracking permette di valutare la presenza/assenza di lupi su vasta scala e di fornire stime numeriche. Generalmente il rilevamento deve essere effettuato contemporaneamente da più equipaggi su più aree del territorio così da individuare il numero minimo di branchi distinti che occupano aree limitrofe (Ciucci, 2001). Dato lo sforzo organizzativo e logistico implicato, la conta delle tracce su neve non deve essere realizzata in ogni circostanza e indiscriminatamente a ogni nuova nevicata, bensì l’opportunità o meno di effettuarla dovrà essere valutata alla luce della/e seguenti considerazioni: profondità della neve: buoni risultati si ottengono quando lo spessore della coltre nevosa non è rilevante (<20 cm) poichè non in grado di ostacolare lo spostamento dei lupi; estensione della nevicata: è necessario che la copertura nevosa interessi un'area sufficientemente ampia tale da monitorare l'attività di più branchi limitrofi; condizioni climatiche: dopo la nevicata, possono presentarsi condizioni climatiche avverse alla messa in pratica della tecnica. Specialmente alle quote più basse e a stagione invernale inoltrata, lo scioglimento della neve in seguito a temperatura elevata può rendere illeggibili le tracce fresche anche nell’arco di una sola giornata; [email protected] Pagina 13 presenza di cani: il problema maggiore si ha quando nell’area di studio c’è presenza di cani di grosse dimensioni liberi di vagare. Dal momento che è difficile distinguere le impronte dei due canidi attraverso i soli parametri di forma e dimensione, questo rappresenta un grosso limite di applicazione della tecnica. ULULATO INDOTTO (WOLF-HOWLING) Il wolf-howling sfrutta la naturale propensione del lupo ad ululare e si basa sulla riproduzione di ululati (a voce o utilizzando un’idonea strumentazione) al fine di stimolare le risposte vocali dei branchi. La tecnica consente di reperire informazione sulla presenza/assenza del lupo nel territorio, di stimare il numero minimo di individui e di verificare se la riproduzione è avvenuta attraverso la risposta dei cuccioli. Le modalità per ottenere un esauriente monitoraggio consistono nel suddividere l’area di studio in settori di estensione dell’ordine dell’ area minima vitale di un branco (50-100 km2). All’interno di ogni settore va programmata una rete di circuiti di ricognizione che copra uniformemente l’area e in cui sono individuate una serie di stazioni di emissioni. Il censimento deve essere effettuato possibilmente da più equipaggi in contemporanea allo scopo di monitorare parallelamente settori adiacenti e quindi permettere l’eventuale localizzazione simultanea di branchi vicini. Dovrebbero inoltre essere privilegiati i circuiti più facili e veloci da percorrere, possibilmente mediante autovettura. Il numero delle stazioni deve impedire un sottocampionamento sistematico di alcune porzioni dell’area ed è funzione dell’estensione del territorio e della morfologia (Gazzola, 2007). La tendenza del lupo a rispondere varia col ciclo biologico, col periodo dell’anno e del ruolo comunicativo (Harrington e Mech, 1979; Gazzola et al., 2002; Nowak et al., 2007). Il momento ideale per applicare la tecnica è l’estate, in particolar modo da luglio ad ottobre, e durante le ore notturne, poichè è stata osservata una maggior tendenza alla risposta da parte dei lupi (Rutter e Pimlott, 1968; Gazzola et al., 2002; Nowak et al., 2007). La procedura di campo consiste nel riprodurre per tre volte l’ululato (trials) con intervalli tra l’una e l’altra ripetizione di 2 minuti di silenzio in modo da permettere agli operatori di registrare eventuali risposte. E’ consigliabile riprodurre la prima sessione a volume più basso rispetto alle successive per aumentare le probabilità di risposta di eventuali lupi vicini al punto di emissione. Nel caso di risposta è preferibile non ripetere la stimolazione per non arrecare ulteriore disturbo agli animali. L’utilizzo di questa tecnica presenta alcune difficoltà: i lupi solitari tendono a non rispondere; il riconoscimento dei diversi individui è arduo, risulta quindi difficile stabilire l'effettivo numero di lupi nelle risposte corali; non sempre rispondono contemporaneamente tutti gli individui e quindi si presenta un rischio di sottostima del numero di lupi. CAMPIONAMENTO GENETICO NON INVASIVO Oltre alle tecniche di monitoraggio tradizionali precedentemente descritte, negli ultimi anni i progressi compiuti nella biologia molecolare hanno contribuito al successo della genetica noninvasiva come valida tecnica, di supporto alle altre, per il monitoraggio delle specie elusive. La tecnica si basa sull’identificazione genetica di campioni biologici non invasivi (feci, urine, tracce di sangue) raccolti sul campo. In particolare negli escrementi di lupo si rinvengono delle cellule di [email protected] Pagina 14 sfaldamento dell’epitelio intestinale da cui si estrae il DNA da analizzare. Se il campione è ben conservato, le analisi di laboratorio consentono, attraverso l’uso di appropriati marcatori molecolari, di ricostruire il profilo genetico (DNA fingerprinting) che è unico per ogni individuo, di identificarne il sesso e la specie. Le elevate potenzialità di tale tecnica ne hanno consentito l’impiego con successo in ricerche per il riconoscimento individuale finalizzato alla stima della consistenza di popolazione e alla verifica della composizione dei branchi (Lucchini et al., 2002). Raccogliendo le informazioni spaziali dei campioni si possono, caratterizzando il genotipo nello spazio e nel tempo, ottenere ulteriori informazioni: identificare porzioni di territorio occupate da nuclei familiari e documentare eventi di dispersione. Nel caso in cui si rinvenga un escremento fresco (non più di 10 giorni dalla deposizione), una porzione piccola (2-3 cm2) va prelevata e conservata in un contenitore di plastica contenente etanolo al 95%. Il barattolo deve essere comunque posto in freezer alla temperatura di – 20 °C. Durante il procedimento di raccolta dei campioni è necessario munirsi di guanti in lattice monouso per evitare sia la contaminazione genetica tra campioni sia il rischio per l’operatore di entrare in contatto con parassiti come l'Echinococcus granulosus e l'Echinococcus multilocularis che possono essere presenti nelle feci del lupo. Il ciclo vitale di questi parassiti infatti prevede come ospiti intermedi ovini, bovini e caprini, in cui albergano in forma adulta, e come ospiti definitivi i canidi (selvatici e domestici). Il lupo diventa l'ospite dello stadio larvale dell'echinococco mangiando la carne del bestiame infetto. L’ingestione per l’uomo può essere fatale. FOTOTRAPPOLAGGIO Il monitoraggio delle specie animali basato seguendo le impronte su polvere, fango, sabbia o neve, è probabilmente il metodo più antico conosciuto per l’individuazione della presenza dei mammiferi in un'area. Tuttavia negli ultimi anni una nuova tecnica di rilevamento delle specie animali è diventata sempre più popolare: il trappolaggio fotografico. Tale metodo risulta proficuo per la realizzazione di inventari di specie animali, ed in particolare per rilevare la presenza di animali criptici, nonché per studi di popolazione di specie i cui individui possono essere singolarmente riconosciuti dal disegno del mantello (Karanth, 1995; Carbone, 2001). Il trappolaggio fotografico impiega fotocamere fisse, innescate da sensori a infra-rosso, per “catturare” immagini degli animali che vi passano davanti. È una tecnica quantitativa che ha costi relativamente bassi di lavoro, non è invasiva, ed implica un minimo disturbo ambientale (Henschel e Ray, 2003; Silveira Jacomo e Diniz-Filho, 2003). Inoltre il metodo è applicabile ad un ampio spettro di situazioni, in quanto è robusto a variazioni delle condizioni del terreno e del clima, e, soprattutto, può essere efficacemente utilizzato per ottenere informazioni su specie estremamente elusive e in territori particolarmente difficili dove le altre metodologie sono inefficienti (Karanth e Nichols, 1998; O’Brien, Kinnaird e Wibisono, 2003; Silveira Jacomo e Diniz-Filho, 2003). [email protected] Pagina 15 Figura 13. Fototrappola (foto Francioni C.) [email protected] Figura 14. Ripresa da fototrappola (Castiglio ndel Bosco) di F. Morimando Pagina 16 3. PREDAZIONE 3.1 IL LUPO E LA ZOOTECNIA Il conflitto con la zootecnia rientra tra i principali fattori di minaccia per la specie lupo e nasce dalla difficile coesistenza fra abbondanti popolazioni di predatori e bestiame allevato allo stato brado sullo stesso territorio. Fig. 15 Caso di uccisione di lupo (Foto: www.ruralpini.it) In passato gli allevatori non avevano nessun vincolo legale in merito alle specie che potevano essere cacciate, erano quindi liberi di uccidere qualunque predatore fosse ritenuto una minaccia per il proprio bestiame. Dagli anni settanta però l’opinione pubblica ha maturato una maggiore sensibilità sulle problematiche ambientali, che ha portato ad un’evoluzione della tutela legale delle specie selvatiche (il lupo rientra tra le “specie potenzialmente minacciate” per la CITES -The Convention on International Trade in Endangered Species-, tra le “specie che necessitano di conservazione dell'habitat” e tra le “specie particolarmente protette” nella Direttiva Habitat 92/43), e al divieto della persecuzione diretta dei predatori. Nonostante queste odierne politiche di protezione, continuano ad essere utilizzate pratiche illegali quali bocconi avvelenati, lacci ed armi da fuoco per l’uccisione della specie. Dal momento che il lupo non è più direttamente perseguibile,la principale misura messa in atto dalle autorità competenti per attenuare il conflitto con la zootecnia, si basa sul risarcimento dei danni arrecati da questa specie. L’indennizzo dei danni però non risulta essere attualmente una reale soluzione a causa della disomogeneità del quadro giuridico relativo al problema della predazione. Infatti ogni regione ha legiferato in maniera diversa sull’argomento, elargendo in alcuni casi, indennizzi agli allevatori non equiparabili al danno subito e senza un adeguato accertamento della specie responsabile del danno. Di conseguenza, almeno per il momento, in Italia è impossibile definire l’effettivo impatto del lupo sulle attività zootecniche. 3.2 PREDA SELVATICA E DOMESTICA Il lupo è un carnivoro all’apice della catena alimentare, questa posizione lo riveste di un ruolo molto importante, cioè quello di contribuire a regolare l’equilibrio e la diversità delle popolazioni di prede sul territorio. Ad esempio in zone caratterizzate da una ricca comunità di ungulati selvatici, i lupi predano la specie più abbondante e proficua, selezionando gli individui gregari, i giovani o gli animali in cattive condizioni fisiche. La predazione esercitata dal lupo ha un altro effetto importante, contribuisce infatti a limitare la pressione trofica esercitata dalle popolazioni di erbivori selvatici sulle componenti vegetali. Tale effetto fa sì che si abbia un diverso assetto forestale e una maggior ricchezza vegetazionale, che a sua volta permette di avere un aumento di biodiversità. Gli effetti della predazione non sono però sempre gli stessi, infatti variano in base a: - la specie preda; - l’abbondanza della specie preda; - le condizioni atmosferiche ed ambientali; [email protected] Pagina 17 - la presenza di altri predatori (uomo compreso). Qualsiasi predatore sceglie l’ animale da cacciare in modo da ottimizzare il bilancio tra energia spesa per l’attacco e l’uccisione, e l’energia acquisita con il consumo della preda; quest’ultima viene quindi selezionata sulla base della sua dimensione corporea e della sua attitudine alla fuga o nel fronteggiare un attacco. Di conseguenza gli animali più frequentemente predati sono quelli debilitati o malati, giovani o con un istinto antipredatorio poco pronunciato. L’ultima caratteristica è intrinseca negli animali domestici (capre, pecore, vacche e cavalli) proprio perché l’uomo ha sempre attuato su di essi una selezione contraria a quella naturale; infatti l’allevatore seleziona il proprio bestiame in modo che risulti il più possibile mansueto e poco reattivo, così da massimizzare la produzione di carne e latte e facilitare tutte le manipolazioni che la pratica di allevamento richiede. Questi caratteri selezionati sono però in contrasto con la possibilità di allevare il bestiame allo stato brado o semibrado in zone dove vi sia presenza di grandi predatori. Inoltre la lunga assenza del lupo dal territorio regionale ha portato ad una errata gestione del pascolo, facendo scomparire la figura del pastore (ovvero colui che accompagna, governa, vigila ed accudisce gli animali) e le misure di prevenzione. Con l’attuale incremento del lupo, gli allevatori non hanno ripreso le vecchie pratiche gestionali del pascolo, determinando un costante rischio di predazione; infatti la maggior parte dei pascoli è caratterizzata dalla presenza di animali incustoditi, anche per alcuni giorni, in balia delle loro scarse capacità di sopravvivenza e di adattamento indotte dalla selezione artificiale. 3.3 PRINCIPALI DIFFERENZE NELL’ ATTIVITA’ PREDATORIA FRA CANE E LUPO Il lupo è un predatore specializzato dotato di una notevole forza ed agilità, capace da una parte di aggirare le opere di prevenzione messe in atto dall’uomo, dall’altra di sfruttare a suo favore le caratteristiche ambientali del territorio per massimizzare la propria azione predatoria. Ciò deriva dal fatto che i cuccioli perfezionano le tecniche di caccia osservando la madre e gli altri membri del branco durante le fasi di inseguimento, attacco e abbattimento della preda. Nel cane questa componente viene a mancare per il fatto che i cuccioli vengono allontanati dalla madre e adottati dall’uomo molto precocemente. Questo comporta la privazione del periodo di apprendimento che il cucciolo dovrebbe avere con la madre e i fratelli, fondamentale per lo sviluppo di un comportamento predatorio efficace. Ciò spiega come per il cane la caccia e la predazione assumano solamente un ruolo occasionale e secondario per la sopravvivenza. 3.3.1 ATTO PREDATORIO DEL LUPO Il lupo è un predatore specializzato, che morde la preda in aree vitali con la forza di 106,2 kg/cm2, tale da troncare di netto il femore di un bue, e con l’intento di ucciderla. Il lupo sceglie accuratamente la sua preda dato che può localizzarla fino a 3 km di distanza. Se le prede sono animali domestici controllate da uomini o da cani pastore, prima dell’attacco possono passare diversi giorni, infatti quest’ultimo verrà sferrato solo quando le possibilità di riuscita saranno ritenute soddisfacenti. Gli animali domestici, anche se sani, sono delle prede relativamente facili per il lupo: solitamente i bovini e gli equini lasciati incustoditi vengono attaccati di notte o al crepuscolo, mentre le pecore sono attaccate anche di giorno, in particolar modo quando stanno rientrando dal pascolo, unico momento in cui si ha una ridotta protezione del gregge (di notte generalmente sono ben protette, almeno nelle aree dove il lupo non è mai scomparso). La strategia di caccia del lupo prevede, prima di tutto, la [email protected] Pagina 18 localizzazione della preda grazie all’olfatto estremamente sviluppato; dopodiché svolge un avvicinamento furtivo e sottovento. A questo punto inizia una fase di valutazione sulla presenza di esemplari più o meno debilitati e, se le condizioni lo permettono, parte l’inseguimento. Le prede che vivono in modo gregario basano la loro difesa sulla compattezza del gruppo, il lupo cerca quindi di isolarle e dividerle: i singoli individui infatti sono ancor più vulnerabili agli attacchi. Se la preda prescelta è di mole piccola (per esempio una pecora), l’attacco viene sferrato sulla parte anteriore del corpo (muso, collo, gola) ma, in alcuni casi, può essere trattenuta per i quarti posteriori prima che venga inferto il morso letale alla gola (perforazione della trachea e danneggiamento del nervo vago), per far sì che la preda cada incosciente e muoia per soffocamento. Se la preda è di mole maggiore (bovini, cavalli, in particolare vitelli e puledri) l’attacco si concentra invece sui quarti posteriori: durante l’inseguimento infatti il lupo azzanna più volte ai fianchi o alle cosce per asportare i gruppi muscolari, con conseguenti emorragie sottocutanee molto abbondanti. Una volta arrestata la fuga della preda, questa viene soffocata da morsi inferti sul muso. Può accadere che l’animale aggredito sfugga all’attacco e resti in vita, ma comunque è destinato a morire in quanto pesantemente mutilato. 3.3.2 ATTO PREDATORIO DEL CANE Lo stimolo chiave che innesca il comportamento predatorio nel cane è dato dalla visione della preda in fuga o in movimento; questo la inseguirà indipendentemente dalla fame o dalla finalità di abbatterla, dato che spesso non è in grado di distinguere una preda cacciabile da una che non lo è. I cani, non avendo né esperienza, né istruzione materna, hanno grosse difficoltà ad atterrare efficacemente la preda: quando attaccano, ad eccezione di rari casi, non sono in grado di sferrare infatti colpi mortali. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, la preda non viene uccisa, ma viene solamente ferita più o meno superficialmente, nelle parti del corpo in cui il cane ha tentato di afferrarla per abbatterla. Il cane infatti cerca di bloccare la preda, mordendo a caso in più parti del corpo (soprattutto quelle che offrono facili appigli: coda, orecchie, mammella, piega della grassella), balzandole addosso in modo non coordinato e lasciando sul mantello evidenti segni di unghiate (le unghie del cane sono ottuse e non provocano sanguinamento esterno). Tale predatore infligge così morsi molto più lievi e superficiali rispetto al lupo (circa 53 kg/cm2)), che non sono in grado di offrire una buona presa sul corpo della preda; quando questa si divincola il cane, per cercare di afferrarla meglio, la morde più volte, provocando lesioni multiple. Più cani, soprattutto in ambiente rurale, possono riunirsi temporaneamente costituendo un gruppo; tali gruppi non raggiungono mai la stessa organizzazione sociale presente all’interno di un branco di lupi, anche se si può verificare spesso che un cane più esperto nella caccia svolga il ruolo di “cane dominante” educando gli altri simili a sviluppare strategie predatorie accurate. Tale strategia permette di attaccare animali che, in forma singola un cane non sarebbe mai stato in grado di predare. Le lesioni riportate da un animale dopo un attacco di un cane sono localizzate soprattutto a livello di: coda, orecchie, mammella, muso, groppa, torace, fianchi, gola, inguine, arti posteriori e anteriori, riportando lacerazioni multiple, lesioni da strappo e mutilazioni. Spesso queste ferite non sono di gravità tale da provocare la morte dell’animale, sia perché non coinvolgono aree vitali, sia perché non sono generalmente gravi. I morsi possono essere così [email protected] Pagina 19 inefficaci, provocando alla preda solo delle contusioni e delle lacerazioni sulla superficie cutanea.Nonostante ciò l’animale, in seguito all’ attacco, può andare incontro a morte sia a causa dello shock, sia per le infezioni che si possono sviluppare all’interno delle lesioni riportate. Un’altra caratteristica dell’attacco da cane è la persistenza nell’inseguimento: uno, o più cani, possono cacciare un gruppo di prede anche per alcune ore; questo causa un notevole stress anche per gli individui non direttamente attaccati. Questi animali si presenteranno quindi esausti e traumatizzati sia fisicamente (ferite riportate durante l’inseguimento) che mentalmente (sindrome da stress collettiva riconoscibile dall’evidente scolo schiumoso proveniente dalle narici o dalla bocca). Figura 16. Principali differenze fra l’atto predatorio del cane e quello del lupo. 3.3.3 SURPLUS KILLING Il surplus killing consiste nell’uccisione multipla di prede: si verifica quando di fronte al sovrastimolo di molti animali che scappano terrorizzati, nel carnivoro si scatena una forte risposta istintiva di predazione, che non è dipendente dal suo reale appetito e termina solo con la morte o la fuga dell'ultima preda. Tale comportamento si riscontra per lo più negli allevamenti dal momento che le prede, essendo costrette in uno spazio definito e invalicabile, tendono ad agitarsi maggiormente alla vista del predatore, scatenando in quest’ultimo il surplus killing. Gli animali interessati possono quindi morire sia per le ferite arrecate dai predatori, che per schiacciamento o soffocamento causato dall’impossibilità di fuga. In questi casi è possibile che alla fine delle uccisioni i lupi siano costretti ad allontanarsi dalle prede senza averne consumato la carne a causa del disturbo creato da persone o cani. Tale comportamento può essere scatenato anche nel cane, che quindi, in tale occasione, si comporta come un lupo. 3.4 SOPRALLUOGO PER ACCERTAMENTO DI UN CASO DI PREDAZIONE L’accertamento di un caso di predazione sul bestiame domestico è una perizia medico-legale, infatti la morte o il ferimento di un animale potrebbe essere stato causato da predatori, ma anche da malattie, parassitosi, traumi, avvelenamenti o cause accidentali: è quindi di fatto una certificazione della causa di morte di un animale. [email protected] Pagina 20 La premessa fondamentale per effettuare un corretto accertamento è il tempestivo sopralluogo dopo l’attacco; deve infatti essere realizzato entro 24-36 ore dall’accaduto per due motivi principali: - Il primo riguarda la difficoltà nello stabilire la vera causa di morte della preda, analizzando solo resti di scheletro o porzioni di pelle dell’animale; - Il secondo la maggior facilità nell’ operare senza che animali necrofagi presenti nell’area (volpi, cani, lupi, cinghiali, ecc.) abbiano alterato la carcassa, asportando parti interessate da segni dell’aggressione o confondendo i segni lasciati dal predatore durante l’attacco. Il sopralluogo per l’accertamento del danno deve essere effettuato da un medico-veterinario debitamente formato. Tale professionalità è necessaria sia per prevenire gli eventuali rischi sanitari connessi all’accertamento della causa di morte (in particolar modo connessi allo scuoiamento ed all’apertura della carcassa), che per l’individuazione di potenziali malattie infettive, stati patologici, traumi, avvelenamenti o cause accidentali. Una volta giunto sul luogo del ritrovamento della carcassa il medico-veterinario procede ad effettuare i necessari rilievi sul terreno seguendo un protocollo di analisi necroscopica finalizzato a raccogliere informazioni utili all’identificazione del predatore. Protocollo di analisi: 1. Localizzare il sito di attacco e di uccisione della preda (la carcassa non deve essere spostata); 2. Prendere nota della posizione della carcassa (annotare data, ora e luogo, ambiente del sito di reperimento, geo-morfologia, vegetazione e località geografica del ritrovamento corredata di coordinate); 3. Osservare se esistono segni di lotta (sangue sul terreno, ciuffi di pelo sparsi attorno, vegetazione schiacciata e qualsiasi altro segno che indichi una lotta tra il predatore e la preda, o che dimostri un tentativo di opporre resistenza all’aggressione da parte della preda stessa); 4. Osservare se esistono segni di presenza del predatore (escrementi, peli, orme, ecc..). E’ da sottolineare che in caso di ritrovamento di tali tracce non significa che quella specie sia responsabile della predazione, ma soltanto che quel predatore è stato nel luogo in cui avvenuta l’uccisione; gli unici segni di cui si deve tener conto sono quelli presenti nelle ferite intravitali subite dalla preda durante l’inseguimento, la lotta e l’uccisione; 5. Annotare, dell’animale morto, la razza, l’eventuale marca auricolare, il sesso, la classe di età (spesso i giovani sono più facilmente predabili degli adulti, oppure sono più facilmente soggetti a patologie che possono favorire la predazione), il peso e lo stato di nutrizione (grasso e muscolatura, stato del mantello e stato dell’elasticità cutanea); 6. Esaminare la carcassa alla ricerca di ferite; è da sottolineare che ogni predatore ha una modalità di uccisione diversa, infatti la localizzazione e la tipologia delle lesioni sulla carcassa possono portare all’identificazione di uno specifico carnivoro. Inoltre è necessario rilevare la distanza tra i canini che consente di distinguere facilmente tra morsi di volpe, mustelidi o altri predatori di maggiore mole. Il referto anatomopatologico inoltre deve includere la valutazione del raffreddamento e della rigidità cadaverica (rigor mortis); 7. Controllare la carcassa per una valutazione dello stato di salute generale dell’animale (per differenziare una predazione da una causa di morte per malattia); 8. Scuoiare la carcassa, testa inclusa, per evidenziare versamenti emorragici sottocutanei dovuti a traumi o alle ferite subite durante l’aggressione; 9. Aprire il torace e l’addome per ricercare patologie in atto che potrebbero aver favorito il successo dell’attacco o essere la reale causa di morte; [email protected] Pagina 21 10. Osservare le condizioni del pascolo (esistono casi di mortalità legati all’ingestione di piante tossiche); 11. Verificare se vi sono anormalità nel resto della mandria o gregge (per scoprire eventuali patologie infettive in atto); 12. Verificare se vi sono potenziali fonti di intossicazione (confezioni di insetticidi aperti, batterie abbandonate, contenitori di oli di macchinari agricoli, ecc.); 13. Determinare o ipotizzare la causa della morte: - Predazione (il predatore ha ucciso un capo sano); - Pseudopredazione o predazione opportunistica (il predatore ha ucciso un capo il cui precario stato di salute ha facilitato il successo dell’attacco); - Altre cause di morte (traumi accidentali, eventi meteorici: folgorazioni). 14. In caso di predazione, determinare il predatore causa dell’attacco. 3.5 RANDAGISMO CANINO E IBRIDAZIONE Negli ultimi decenni sul nostro territorio si è avuto, oltre al ritorno del lupo, anche l’avvento di un nuovo predatore: il cane. Il cane ha come progenitore selvatico il lupo, ma è stato addomesticato dall’uomo circa 14.000 anni fa, di conseguenza è stato abituato a convivere con le attività antropiche; quando questo non accade si crea il randagismo. Il fenomeno del randagismo deriva quindi da una cattiva gestione dei cani, che talvolta vengono abbandonati volontariamente, persi accidentalmente, oppure lasciati liberi di vagare. In merito al randagismo è bene distinguere tra le varie tipologie di cani: 1) cani con proprietario (dipendenti dal padrone e sempre sotto controllo); 2) cani vaganti (animali di proprietà che vengono lasciati vagare in aperta campagna senza controllo, oppure abbandonati o ancora animali che hanno perso il padrone); 3) cani randagi propriamente detti (privi di proprietario, ma che vagano nei pressi degli insediamenti umani e che sono in qualche forma dipendenti dall'uomo, per alimentazione o per compagnia); 4) cani inselvatichiti e cani ferali (abbandonati già da alcune generazioni, hanno perso il contatto con l’uomo, da cui non hanno più alcuna dipendenza, né alimentare, né affettiva e sono difficili da osservare perché evitano ogni possibile contatto). Questi ultimi sono l’evoluzione naturale dei cani abbandonati, sono quindi soggetti ad un processo di selezione durante la quale sopravvivono in genere solo gli individui di grossa taglia, in grado di cacciare e riprodursi. Come i lupi, sono notturni e formano piccoli branchi; si comportano come predatori selvatici, si cibano delle stesse prede cacciate dai lupi, con cui possono quindi entrare in competizione. Essendo figli e nipoti di cani abbandonati non temono l'uomo e possono essere molto aggressivi. Perché il randagismo è pericoloso per il lupo? Le interazioni con cani randagi possono avere conseguenze negative per la conservazione delle popolazioni di lupo per diversi fattori: [email protected] Pagina 22 - Pericolo sanitario: il lupo è sensibile alle stesse patologie (tra le quali il cimurro e la gastroenterite da parvovirus, che sono altamente contagiose)e agli stessi parassiti (le elmintiasi e la rogna sarcoptica) del cane. - Competizione alimentare: i cani possono competere con i lupi per il cibo predando le stesse specie di ungulati selvatici o domestici. - Rischio di ibridazione: lupi e cani sono interfertili, ciò significa che possono generare prole ibrida fertile. Le conseguenze potenzialmente negative dell’ibridazione derivano dal trasferimento di geni selezionati nel corso dell’addomesticamento del cane alle popolazioni selvatiche di lupo, che potrebbero modificare varie caratteristiche di quest’ultimo, quali: - Comportamento elusivo: sui cani si è attuata una selezione che producesse comportamenti non aggressivi nei confronti dell’uomo; il trasferimento di questi geni potrebbe modificare il comportamento dei lupi, rendendoli meno diffidenti e quindi potenzialmente più pericolosi per l’uomo e per il bestiame domestico. - Riproduzione: i cani hanno una maturazione sessuale anticipata ed almeno due cicli riproduttivi per anno, mentre i lupi possono riprodursi solo una volta all’anno. L’introduzione di geni che modificano il ciclo estrale potrebbe produrre gravi conseguenze nelle popolazioni di lupo (per es. un eccesso di nascite, come nel caso degli ibridi fra cinghiali e suini). - Fenotipo: i cani presentano una grandissima variabilità di dimensioni e forme del corpo, oltre che di colore del mantello. Queste varianti potrebbero cambiare l’aspetto fenotipico dei lupi e diminuirne le possibilità di adattamento in natura, quali la capacità di predazione, il mimetismo, la resistenza alle rigidità climatiche (in inverno, in presenza di neve, ecc.). Per evitare che queste modificazioni genetiche avvengano è necessario ridurre il rischio di ibridazione vietando la detenzione di ibridi in cattività, controllando e riducendo drasticamente il numero di cani vaganti e ferali sul territorio, regolamentando e disincentivando l’allevamento e la detenzione di razze canine che derivano da recente ibridazione con il lupo (per es. il cane lupo cecoslovacco). Inoltre, la presenza di cani vaganti sul territorio, rappresenta uno dei fattori che ha inasprito il conflitto tra la zootecnia ed il lupo. In assenza infatti di criteri di valutazione delle modalità di attacco tra cane e lupo è possibile che predazioni da parte di cani siano erroneamente state attribuite al lupo, alimentando il bracconaggio su questa specie. LUPO Tipologia di predatore: Predatore specializzato: morde la preda in aree vitali, con la forza e con l’intento di ucciderla. CANE Il comportamento predatorio è scatenato dalla visione della preda in fuga, non dalla fame o dall'intento di ucciderla. Potenza del morso: 106,2 kg/cm2 53 kg/cm2 (nel pastore tedesco) Tipologia di morso: Si localizza nella regione retromandibolare, dove si trovano carotide interna, nervo vago e trachea. Superficiale, non in grado di provocare danni gravi anche se localizzati in aree vitali. Lesioni sulla preda: Se di piccola taglia: muso, collo, gola. Se di grossa taglia: gruppi muscolari dei fianchi e delle cosce asportati, morsi sul muso. Morsi di diversa profondità su orecchie, faccia, gola, spalle, torace, fianchi, mammelle, arti anteriori e posteriori. Graffi su tutto il corpo. Causa di morte della Morso letale nella regione retromandibolare. preda: Soffocamento da morsi. Politraumatismo associato allo stress dell’attacco (shock o infezione delle lesioni riportate) Scia di trascinamento (sangue) della carcassa. Ritrovamenti sul luogo Non si ritrovano brandelli di vello sul luogo di predazione: dell’attacco Notevole spargimento di sangue (per diversi metri dalla carcassa). Brandelli di vello lungo tutto il percorso dell’inseguimento. Tab. Differenzazione cane-lupo [email protected] Pagina 23 3.5.1 CARATTERISTICHE FENOTIPICHE DI RICONOSCIMENTO LUPI IBRIDI - - la depigmentazione totale o parziale del tartufo, dei cuscinetti plantari e delle gengive; la minore consistenza e lunghezza delle vibrisse nasali; la coda con pelo eccessivamente lungo o portata in posizione arcuata o a bandiera; la mascherina facciale, assente o dai confini cromatici più contrastati, netti e definiti; l’assenza di labiale e sottogola color crema; macchie cromatiche oculari assenti o particolarmente marcateattern di colorazione del mantello (melanismo, tonalità isabelline, macchie melaniche più estese e marcate; macchie bianche su piei, zampe e petto); bendeggi sul capo e sul corpo (colorazione del ventre, del dorso, dele zampe anteriori e della coda); lunghezz eccessiva (testa, collo, ventre, coda) e consistenza (sottile, ondulata) del pelo; dentizione di dimensioni e proporzioni particolarmente ridotte rispetto alla dimensione del cranio; anomalie dentali (accostamento eccessivo dei premolari e molari superiori, asimmetrie, mancanza o posizione anomala dei premolari; cfr. anche Mengel 1971); occhi di colore più scuro (Jones 1990, Elledge et al. 2006, Dunam 2010). [email protected] Pagina 24 Si presume che, più di altri, questi caratteri nel loro insieme possano contribuire all’identificazione degli ibridi, ma tutti dovrebbero esere sistematicamente controllati, descritti, quantificati, nonché verificati con riprove genetiche in tutti gli esemplari catturati o recuperati morti al fine di aumentarne l’affidabilità in quanto segni di ibridazione. Una più recente attenzione alle caratteristiche fenotipiche degli ibridi ha portato in alcuni casi a confermare la presenza simultanea di più caratteri fenotipici diagnostici, tra l’altro in individui confermati geneticamente essere introgressi (per esempio sperone e unghie depigmentate; Grec, 2009). Ciò dimostra come l’affidabilità, in quanto segni di ibridazione, di questi e altri potenziali tratti fenotipici possa aumentare nel prossimo futuro qualora si presti la dovuta attenzione, negli individui catturati per scopo di ricerca o negli esemplari recuperati morti, ai dettagli morfologici, specialmente laddove si evidenzi, tramite analisi genetiche, la loro natura introgressa degli individui esaminati. [email protected] Pagina 25 4. SISTEMI DI PREVENZIONE CONTRO I DANNI DEL LUPO ALLA ZOOTECNIA Negli ultimi anni, da quando il lupo si è nuovamente stabilizzato nel nostro territorio e dopo i continui attacchi al bestiame, si è cominciato a parlare di prevenzione dei danni. Prima di concentrarsi sulle varie tecniche usate per prevenire i danni da lupo, dobbiamo fare una netta distinzione tra “PREVENZIONE” e “PROTEZIONE”: si intende prevenzione tutte quelle opere fatte precedentemente ad un primo attacco da parte del lupo, mentre si parla di protezione per tutti quegli interventi realizzati dopo il primo attacco. In seguito ai primi fenomeni di predazione andrebbero presi immediatamente provvedimenti per proteggere un allevamento, infatti, in questa fase il lupo è ancora poco confidente e timido in tale ambiente. Perciò, intervenire dopo i primi assalti risulta più economico ed efficace. Successivamente andremo incontro ad attacchi cronici, nei quali il lupo si mostra molto più sicuro e confidente, arrivando a cacciare anche in pieno giorno e in presenza di cani e/o persone. Intervenire troppo tardi necessita di forti azioni di disturbo e di protezione molto onerose. [email protected] Pagina 26 4.1 STRUMENTI DI PREVENZIONE Le basi per un'efficiente protezione delle greggi sono una buona gestione dei pascoli, infatti azioni comportamentali opportune da parte degli allevatori influiscono positivamente su una maggiore sicurezza del bestiame: - La maggior parte degli attacchi avvengono di notte e con tempo perturbato: è quindi opportuno alloggiare gli animali in ambienti e strutture sicure durante le ore notturne e in zone di pascolo più protette durante giorni con brutto tempo in modo da ridurre i rischi di predazione; - dopo un primo attacco se ne verificherà un altro entro le due settimane, dopo di chè le aggressioni si stabilizzeranno con regolarità: l'allevatore perciò deve intervenire il prima possibile con opere di prevenzione cercando di non arrivare alla cronicizzazione del problema; - dopo un attacco l'allevatore ha l'obbligo di eliminare le carcasse: anche se questa operazione ha un costo elevato è necessaria per limitare il ritorno del lupo. 4.2 OPERE DI PREVENZIONE 4.2.1 RECINZIONI L'uso di recinzioni adattate al predatore in questione è un ulteriore mezzo per proteggere efficacemente il bestiame da reddito. La spesa per la posa e la manutenzione della recinzione, il finanziamento e i costi di funzionamento devono tuttavia essere calcolati meticolosamente. Al momento dell’installazione della recinzione bisogna inoltre tener conto del fatto che essa deve resistere ad una pressione da ambedue i lati: dall'interno da parte degli animali custoditi e dall'esterno da parte della fauna selvatica. Le recinzioni tradizionali non rappresentano un vero e proprio ostacolo per i predatori, infatti molto spesso questi sono capaci di saltarle, di trovare varchi creati dagli ungulati oppure di scavare passaggi al di sotto della rete. Inoltre, una volta che il predatore vi è entrato, queste si trasformano in vere e proprie trappole per il gregge, dalle quali non riescono a fuggire e che spesso procurano la morte per soffocamento. Le recinzioni devono quindi essere realizzate con materiali e criteri del tutto particolari e con una attenzione specifica a tutti i punti di probabile passaggio o forzatura. RECINZIONI TRADIZIONALI Le recinzioni tradizionali sono usate per proteggere aree di piccole dimensioni, questo fatto è dovuto dal loro costo elevato di costruzione e dal forte impatto che hanno sul paesaggio. Dunque con questo tipo di recinzione si andrà a coprire piccoli rifugi notturni. Le recinzioni tradizionali sono composte da una rete in filo zincato con maglia romboidale (per terreni ondulati) o a maglia elettrosaldata (in aree con terreni livellati). In presenza di cinghiali è opportuno effettuare un rinforzo alla base della recinzione con reti elettrosaldate o con filo di diametro maggiore e a maglie più fitte. La rete deve essere interrata di almeno 20 cm e piegata a L verso l'esterno di almeno 35 cm con una altezza fuori da terra minimo di 2 m. A fine lavori è opportuno aggiungere una barriera antisalto. I pali di sostegno devono essere sistemati a circa 2-2.5 m di distanza tra loro e infissi nel terreno per 40 cm. Possono essere in legno oppure in ferro. [email protected] Pagina 27 Questo tipo di recinzione, se bene costruita, da un lato risulta invalicabile dai predatori e necessita di poca manutenzione, dall'altro ha un prezzo estremamente elevato. Figura 16. Recinzione tradizionale a forma di L (Foto:www.provincia.bologna.it) RECINZIONI ELETTRIFICATE La loro azione si basa sul dolore fisico che il predatore percepisce durante il contatto con il filo elettrico e che per il processo di apprendimento degli animali lo porterà ad evitare successivi tentativi di penetrazione. Infatti lo shock che viene percepito è intenso e doloroso, ma innocuo sia per gli animali che per gli uomini. Inoltre la stessa recinzione emette piccoli suoni che sono percepiti dagli animali anche a distanza, funzionando anche come deterrente. Il funzionamento di tale recinzione è dato da una corrente elettrica ad impulsi che viene fatta passare lungo i cavi perimetrali, caratterizzata da un elevato voltaggio (circa 10000 V) e a basso amperaggio. Gli svantaggi di queste recinzioni sono principalmente i costi di manutenzione e di preparazione lungo il percorso dove passeranno i cavi, in modo da non entrare in contatto con la vegetazione. [email protected] Pagina 28 COMPONENTI DELL'IMPIANTO 1. Elettrificatori L’elettrificatore è quello strumento in grado di generare impulsi elettrici ad alto voltaggio e basso amperaggio, che servono a fermare l’animale mentre tocca i cavi della recinzione, senza procurargli alcun danno. La scelta di questo apparecchio elettronico deve essere fatta in base alle dimensioni del recinto, al tipo di cavi e alla dispersione di energia dovuta al contatto con la Figura 17. Recinzione elettrificata (Foto:www.canislupus.it) vegetazione. Si distinguono due tipi di elettrificatori: Elettrificatori alimentati a batteria: si tratta di apparecchi portatili con pila o batteria interna, le batterie possono essere ricaricate, mentre le pile sono “usa e getta” sigillate senza manutenzione. Queste vengono usate quando non c’è la possibilità di un attacco elettrico oppure il costo dell’elettricità diviene troppo elevato; Elettrificatori alimentati a presa di corrente: l’elettrificatore alimentato a rete permette di realizzare impianti di grandi dimensioni, affidabili e con costi di acquisto e manutenzione limitati. L’energia di questi strumenti, il costo di gestione e l’affidabilità sono decisamente superiori agli strumenti alimentati a batteria/pila e per questo motivo se ne raccomanda l’utilizzo; Elettrificatori alimentati a batteria con pannello solare: attraverso l’uso di un pannello solare si può aumentare l’autonomia della batteria. 2. Paline di terra Sono uno degli elementi essenziali dell’impianto, servono per assicurare il collegamento con la terra. Si usano quelle da edilizia, con lunghezza variabile da 1 a 2 metri. Sono piantate, generalmente almeno 2 o 3, ad 1 metro di distanza l’uno dall’altra in prossimità dell’elettrificatore e anche in punti distanti da questo lungo la recinzione. Devono essere infisse a distanza superiore di 10 metri dalla presa di terra della stalla/abitazione. 3.Isolatori Gli isolatori servono per collegare fisicamente il cavo con il palo di sostegno senza che ci sia un contatto diretto. Hanno caratteristiche diverse in base al palo e al cavo impiegati. Per pali di ferro, si usano generalmente isolatori in plastica a ghiera che sono avvitati al palo. 4.Cavi [email protected] Pagina 29 I cavi servono per trasmettere gli impulsi dall’elettrificatore lungo la recinzione. Esistono una moltitudine di cavi per recinti elettrici. Le caratteristiche principali da tenere in considerazione sono: Resistività; Resistenza allo strappo; Visibilità; Penetrabilità; Resistenza nel tempo; Facilità di montaggio; Reti. 5.Paleria Possono essere utilizzati pali di ferro, legno (pino, robinia o castagno), vetroresina o plastica con un lunghezza di 2 metri. In base alle caratteristiche del terreno si possono disporre i pali ad una distanza variabile tra i 2 ed i 10 metri, generalmente si piantano a 2,5-3,5 metri nel caso di pali di legno. E’ fondamentale che i fili più bassi siano perfettamente paralleli al profilo del terreno e per questo motivo è comodo usare dei paletti di ferro ad integrazione dei pali principali, da piantare in corrispondenza di avvallamenti, impluvi o dossi. 6.Chiusure Risulta ovvio che per gestire gli animali sono necessarie dei cancelli attraverso i quali ci introduciamo nel recinto; tali cancelli, però, non devono interrompere l’impulso elettrico e devono essere aperti facilmente senza dover staccare l’impianto. 7.Cartelli monitori Le recinzioni elettrificate non sono un pericolo per le persone o per gli animali, ma i cardiopatici o le persone dotate di peacemaker possono avere scompensi cardiaci nel contatto con i cavi. Per questo motivo è reso obbligatorio apporre degli specifici cartelli monitori, ben colorati, da sistemare in tutti i punti di ingresso e lungo la recinzione a breve distanza l’uno dall’altro. I cartelli devono avere forma, dimensioni e carattere a norma UNI. 4.2.2 FLADRY I fladry sono costituiti da lunghe corde alle quali vengono appese strisce di stoffa colorate (rosso, arancione o grigio), in modo da farle muovere con il vento. Questo tipo di protezione è stata ripresa dai censimenti effettuati nei paesi nordici, dove è stato rilevato che il lupo tende a non oltrepassare questo tipo di barriera, anche se col tempo si abituerà e la sua efficacia diminuirà fino a svanire. Per aumentare la durata dei fladry basta sostituire le corde con del filo elettrico (turbofladry): in questo modo l'effetto delle bandierine si somma a quello della scossa elettrica, aumentando così la paura nel lupo di superare quell'ostacolo. [email protected] Pagina 30 Figura 18. Esempio di fladry-sciencetrio.wordpress.com Le fladry vengono usate normalmente per piccole recinzioni e richiedono una costante manutenzione sia della corda che dei pezzi di stoffa che si possono scolorire o strappare. I turbofladry, anche se decisamente più costosi, assicurano una protezione 2-3 volte più efficace. 4.2.3 DISSUASORI ACUSTICI FAUNISTICI I dissuasori faunistici (chiamati anche D.A.F. nel mondo commerciale) sono strumenti tecnologici che emettono suoni di diverso tipo al passaggio dell'animale, attraverso un sensore pirolelettrico, o in base ad un timer personalizzato. Questi apparecchi possiedono all'interno una memoria nella quale è possibile registrare svariati tipi di suono, come ad esempio voci umane, abbaio del cane, spari, tifo dello stadio, evitando così l'assuefazione dell'animale ad un unico rumore. I D.A.F. Sono alimentati da una batteria interna oppure possono essere associati ad un pannello solare, rendendolo autonomo. Il vantaggio di questi strumenti è rappresentato dalla scarsa manutenzione che richiedono, dalla facilità di montatura, dalla possibilità di poterli spostare da un luogo ad un altro e dalla versatilità del loro utilizzo (dall'agricoltura all'allevamento ecc). [email protected] Pagina 31 Figura 19. Dissuasore faunistico a sx; dissuasore faunistico con pannello solare a dx (Foto:www.grandicarnivori.it) 4.2.4 CANI DA GUARDIANIA Figura 20. Pastore maremmano abruzzese (foto:www.pastoreabruzzese.it) Con l’eliminazione dei predatori si erano perse anche le conoscenze sulle tecniche di educazione per la difesa attiva del bestiame da parte del cane, che una volta era invece il mezzo di protezione per [email protected] Pagina 32 Figura 6-Pastore maremmano abruzzese-www.pastoreabruzzese.it eccellenza delle greggi. Oggi il suo impiego viene spesso abbinato ad altri mezzi di prevenzione e risulta efficace soprattutto nel ridurre attacchi occasionali dei predatori. In Italia il cane da guardiania più utilizzato è il Pastore maremmano abruzzese, un cane di taglia grande, di colore bianco e pelo medio-lungo: anche se durante i secoli l'uomo ha modificato geneticamente questo cane da lavoro selezionandolo solo su basi estetiche, facendogli perdere quelle caratteristiche che lo rendevano adatto al lavoro con il bestiame e l'uomo, oggi sembra la razza che meglio si adegua al nostro contesto ambientale. E' importante che il cucciolo nasca in stalla insieme al gregge, in modo da percepire subito l'odore delle pecore o dell'animale da proteggere per poter poi essere trasferito nell’ambiente in cui dovrà lavorare. Qui è importante che segua i ritmi di vita del bestiame, mangiare, dormire, pascolare con gli ovini, in maniera tale che percepisca il gregge come propri conspecifici e l'ambiente in cui vivono come fosse il suo. E’ inoltre importante che l’allevatore possa maneggiarlo in modo tale da farlo abituare alla sua presenza e ad obbedire. Per capire se il cane ha una buona educazione e una buona attitudine al lavoro dobbiamo aspettare i 3 anni di vita, quando è diventato adulto. Le caratteristiche di un buon cane da guardiania sono rappresentate da: 1. attenzione che il cane ha verso il gregge, quindi il legame che si instaura con le pecore e la capacità di capire i vari stati di quest'ultime; 2. affidabilità, il cane non deve mostrare alcun segno di aggressività e di predazione verso il gregge, ma anzi deve mantenere uno stato di sottomissione; 1. Protezione è la capacità del cane di intervenire in situazioni di pericolo. La reazione corretta del cane in caso di pericolo è quella di abbaiare rumorosamente a coda alta. In questo caso la reazione corretta del cane è di ritirarsi tra le pecore. Questo è chiamato “comportamento di avvicinamento– ritirata”. I predatori solitamente rinunciano ad attaccare il gregge in presenza di un cane che mette in atto questo comportamento e lo scontro fisico tra i due è raro. La distanza a cui il cane si pone per affrontare il pericolo aumenta con la maturità del cane e con il suo grado gerarchico. Figura 21. Esempio di buona difesa da parte di un gruppo disetaneo di pastori: il cane dominante (il primo) va incontro alla causa del disturbo, i restanti due accerchiano il gregge per proteggerlo (Foto:www.canislupo.it). [email protected] Pagina 33 Per quanto riguarda il numero di cani da utilizzare, ovviamente dipende dalle dimensioni del gregge. Lavorando in squadra si consiglia un minimo di 4 cani favorendo l’utilizzo dei maschi. E' inoltre molto importante che il gruppo di cani abbia una struttura disetanea, in modo che i giovani possono imparare dagli adulti, in questo modo ognuno compie un compito diverso in funzione della gerarchia. Infatti in base alla dominanza nel gruppo i cani si dispongono in varie parti del gregge, ma quando il pericolo si avvicina non deve mai succedere che tutti gli animali si muovano verso la minaccia. Mentre le femmine e i giovani rimangono più vicini alle pecore, i maschi in base alla dominanza sono preposti a fronteggiare i predatori. I maschi per questo motivo portano spesso il “vreccale”, il tipico collare di difesa con le punte di ferro. Qualche cane dovrà sempre Figura 22.Pastore maremmano abruzzese con il rimanere all’interno e intorno al gregge. Questi animali tipico "vreccale"-abruzzonascosto.blogspot.com rappresentano un presidio fondamentale, visto che molto spesso i lupi adottano una tecnica predatoria basata sull’azione dissuasiva dei cani pastore: un lupo cerca di distogliere i cani, mentre la restante parte del branco attacca il gregge. [email protected] Pagina 34 5. BIBLIOGRAFIA Altobello G., 1921. Fauna dell’Abruzzo e del Molise. Colitti, Campobasso. Asa C. S., Mech L. D. , Seal U. S., 1985. The use of urine, faeces and anal secretions in scent-marking by a captive wolf (Canis lupus) pack. Anim Behav 33: 1034–1036. Bekoff M., Wells M. C., 1980. 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