GIOCO E DIVERSITÀ

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GIOCO E DIVERSITÀ
Gioco e diversità
di Vanni Zardi e Leo Vighini
Ogni gioco giocato ha in sé una difficoltà che costituisce il sale del gioco. La difficoltà insita nel
gioco preesiste al deficit che caratterizza un soggetto. In un gioco, due normodotati, partono
alla pari e solo chi vi si adatta meglio vince sull’altro (o ha avuto più fortuna). Tra due
giocatori, uno normodotato e l’altro con difficoltà di tipo fisico o psichico o sensoriale,
quest’ultimo non parte alla pari, proprio come succede nella favola tra la lepre e la tartaruga.
Se un soggetto senza evidenti difficoltà vuol giocare con un compagno disabile(o viceversa), è
necessario che si “andicappi”, riducendo o eliminando del tutto il vantaggio iniziale.
Parallelamente occorre ri-significare il gioco accentuandone l’aspetto cooperativo, riducendone
l’agonismo individualistico. Questa operazione si chiama “adattamento” alle esigenze di chi
partirebbe svantaggiato, che altrimenti non entrerebbe neppure in gioco. In questo modo il
gioco diventa … senza barriere.
Non possiamo dividere i giochi per categorie di deficit, anzi essi si devono adattare a ogni
tipologia. Non esistono giochi per i ciechi, per sordi, ecc., esistono soltanto giochi, dipende
dall’abilità e dalla creatività dell’educatore il modificare il gioco adattandolo al contesto dei
partecipanti.
Si deve evitare di dire: “Questo gioco non si fa perché Marco è cieco”, ma, invece: “Come
possiamo fare questo gioco includendo anche Marco?”.
Da evitare anche di dare ruoli passivi a bambini con deficit: non significa certo integrarli!. Il
criterio più importante è quello di adattare il gioco soltanto quando è necessario. In questo
modo il miglior adattamento sarà quello che non si percepisce, anche se in determinate
situazioni e con alcuni deficit ciò non sarà passibile (specialmente in giochi altamente regolati).
Tuttavia si deve prevedere prima di ciascuna proposta di gico che tutti i bambini con deficit
possano assumere qualsiasi ruolo.
Sarà necessario anche sensibilizzare il gruppo in modo che gli adattamenti vengano accettati
come parte della comprensione di una realtà sociale. Cercare soluzioni per la partecipazione
collettiva presupporrà una sfida per l’educatore, soprattutto per compensare lo svantaggio,
facilitando la partecipazione di tutti. Quando si escludono un bambino o una bambina da un
gioco a causa del loro handicap, della loro differenza, li si priva di una fonte di relazione e di
formazione a cui hanno diritto, e la cosa può incidere anche sul loro sviluppo emotivo e
psicologico e sul loro processo di maturazione. Si tratta di lavorare sulla convivenza nella
diversità, di educare con la diversità, nella diversità, come base di futuri atteggiamenti di
rispetto.
I bambini con deficit grave, che difficilmente riusciranno a giocare con giochi altamente
strutturati, trarranno senz’altro piacere da elementi semplici come l’acqua e la sabbia. La
creatività dell’educatore, è il punto di partenza per nuovi adattamenti.
Per un’attività efficace di sensibilizzazione con gli alunni “normodotati”, l’approccio deve essere
quello di comunicare la necessità di “mettersi nei panni dei bambini che hanno difficoltà” per
comprendere quale tipo di abilità sia necessaria. Il gioco diventa così una sfida con se stessi,
un assumere le caratteristiche dell’altro, un inizio di atteggiamento empatico che fa crescere la
solidarietà.
Il passare la palla ad un compagno che è seduto a terrà o su una sedia per limitargli il
movimento, stimolerà una maggiore precisione da parte del bambino in piedi. Attività in cui il
bambino è “legato” ad un altro, oltre che limitare la motricità, accrescerà la collaborazione e
l’attenzione verso l’altro, abituerà a operare a stretto contatto con l’altro. L’altro sono io stesso
per … l’altro.
Guidare il compagno bendato per la palestra o su un percorso strutturato, tenendolo per mano
o dandogli indicazioni vocali, è assegnare una responsabilità importante. Il compagno bendato
vivrà sicuramente un disagio e il compagno-guida sarà il suo unico punto di riferimento, la suo
“braccio destro” che lo difenderà.
Esercitarsi ad occhi chiusi, eliminerà l’80% delle informazioni che riceviamo dall’organo della
vista, ci riconcilierà con quello dell’udito che stimoleremo in vai modi nel riconoscere i rumori, i
suoni, nell’utilizzarlo per orientarci. Simulare situazioni di vita aiuterebbe enormemente quel
processo di sensibilizzazione verso le persone con deficit che si incontrano tutti i giorni.
Al
seguente
indirizzo
si
http://www.dienneti.it/handicap.htm
possono
trovare
diverse
indicazioni: