gesu` manager (e figliol prodigo) - think! - 18/11/2006

Transcript

gesu` manager (e figliol prodigo) - think! - 18/11/2006
Nome file
061118TH_GBC3.pdf
data
18/11/2006
Contesto
GBC
Relatore
GB Contri
Liv. revisione
Pubblicazione
Lemmi
Figlio
Padre
Pensiero di Cristo
GIACOMO B. CONTRI
BLOG
THINK!
GESU’ MANAGER (E FIGLIOL PRODIGO)
Mondadori Editore ha pubblicato questo pocket che ho in mano di Bob Briner, “Gesù come Manager”
(The Management Methods of Jesus): ne dico soltanto che lo trovo ben orientato, meglio di tanta predicheria
religioso-buonistico-lacrimosa, nevrotico-ossessiva quando non sadica.
Mi sovviene una truculenta battuta anticlericale del passato, che parla di impiccare i preti con le loro
budelle: iperbole comico-tenera spesso meritata, anche se io gioco in casa.
Sull’onda economico-giuridica di questo libro procedo a una breve esegesi della parabola detta del
“figliol prodigo” (questa a me pare una pessima traduzione, infantilizzante e fuorviante).
Ho un ricordo ancora fresco del dipinto di Rembrandt all’Hermitage di San Pietroburgo: è splendido,
ma non ne condivido la tradizionale esegesi buonistico-pauperistica, ossessiva.
Per cominciare, in molta predicazione si getta l’ombra del sospetto che quel figlio sia scappato con la
cassa dell’azienda.
Nel testo egli farebbe causa per calunnia: infatti lui chiede solo la sua parte di eredità, e il padre, un
imprenditore, gliela riconosce (in base a un Diritto di riferimento che non mi è noto).
Poi il figlio fa quello che fa, e di fatto fallisce, non importa se per abuso di orgia o per investimenti
sbagliati in Borsa (congettura accettabile: anche nella parabola dei talenti si parla di capitale finanziario).
Allora ragiona, e arriva a due conclusioni:
1° che ha sbagliato, non senza colpa,
2° che era e comunque è bene fare una sola Azienda anziché frammentarla.
Forte di questi due saperi si ripresenta al Padre in quanto il principio dell’Azienda stessa.
Che cosa risponde il Padre? Non è un imbecille, fa il logico come già il figlio, non il “papà” tanto buono
e amoroso verso lo sciagurato “figliolo” tanto “prodigo”, frivola idea di “perdono”.
La premessa del suo ragionamento è la constatazione che il figlio è tornato da un’esperienza
internazionale forte di due competenze che prima non aveva:
1° la competenza nell’errore, colpa inclusa,
2° la competenza su qual è la migliore politica aziendale: quella dell’unione e non della divisione.
Allora conclude, entusiasta del figlio, con il “vitello grasso”, non un piatto di minestra, un abito
dismesso e una stanzuccia piano terra: e ciò significa soltanto che il figlio irrobustito diventerà,
coerentemente, Presidente del CdA.
E doppiamente entusiasta del figlio, perché ne viene irrobustito lui stesso: infatti non c’è padre senza
figlio, non c’è padre ideale se non per il peggio.
Il padre ha ritrovato un figlio scientemente figlio: perché ha il senso degli affari – meglio che se fosse
di ritorno da un PhD in una High School of Economics –, degli affari del Padre come affari comuni, ossia
universali; ha l’idea che esiste un solo affare complessivo (uno psicoanalista è operatore di un affare
complessivo cioè riguardante tutti).
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Sul padre, e il figlio, la storia del Cristianesimo è stata inadempiente, a parte la distinzione nicena tra
genitus e factus, ossia l’inconsapevole e rimosso capolavoro della storia del cristianesimo.
Le pagine migliori sul padre, e sul figlio, le ha scritte Freud.
Ma qui sento digrignare i denti, e non solo dei credenti.
Milano, 18 novembre 2006
© Studium Cartello – 2007
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