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VOCE, EROTISMO E IDENTITA' SESSUALE DALL'OPERA AL POP 1- FROM TRANSEXUAL TRANSYLVANIA Una giovane ed illibata coppietta in viaggio di nozze, finita per accidente in un tetro castello della Transilvania, scopre un mondo inaspettato quando Tim Curry, con labbra rosso fuoco e muscoli messi in evidenza dal corpetto di pizzo, irrompe sulla scena e nelle loro timide vite, cantando I 'm just a Sweet Transvestite from Transexual Transylvania. E' quello che accade in The Rocky Horror Picture Show, film cult di Jim Sharman (1975)1, dove Tim Currey presta la sua sontuosa voce baritonale, arricchita da sfumature contraltili, al «dolce travestito» dottor Frank-N-Furter, scienziato pazzo dai folli esperimenti e dalla scatenata bisessualità. Il film è tratto da un musical di grande successo di Richard O'Brien del 1973; travestitismo ed omosessualità, del resto, non erano insoliti nel genere: basti pensare a Victor Victoria (1982) con Julie Andrews, a Cabaret di Bob Fosse del 1966, o a Chicago, sempre di Fosse, in cui il personaggio di Mary Sunshine si rivela un uomo en travesti, capace di passare dai virtuosismi canori del soprano ad una inquietante voce baritonale, mentre la più recente opera-rock Rent (1996), ispirata alla Bohème di Puccini, mette in scena una coppia lesbica . Gli anni Settanta segnano indubbiamente una trasformazione nel mondo della musica pop e rock . Con l'esaurirsi dell'ondata del '68, caratterizzata dall'utilizzazione dei temi politici impegnati della protesta giovanile, alla rabbia e alla protervia del bad boy alla Mick Jagger si è via via sostituita l'immagine spettacolare di un divo-feticcio, la cui trasgressione ha assunto una coloritura sempre più marcatamente sessuale. La sregolatezza, come si sa, è una caratteristica comune di numerose star del mondo musicale jazz, rock e pop, accomunate da vite “spericolate”, segnate da abusi di droghe e da morti precoci, Janis Joplin ed Amy Winehouse, Billie Holiday e Jim Morrison, per fare qualche esempio; ma nel corso degli anni ’80 e ’90 sono esplose modalità comunicative improntate soprattutto a deviazione di genere, cross dressing, ambivalenza e feticizzazione, divenute parte integrante dell’immagine erotica di sé esibita dalle star contemporanee. Nel 1972, in una intervista alla rivista musicale «Melody Maker», David Bowie dichiarò di essere bisessuale e anche Patti Smith, sacerdotessa libertaria e dolente del rock “maudit”, dall'aspetto androgino e dalla voce estasiata e dirompente, fece a suo tempo una 1 I'm just a Sweet Transvestite from Transexual Transylvania è stata registrata anche da Mina, una delle icone gay del panorama canoro nazionale, nell'album Italiana (1982); vedi Piero Scaruffi, Storia del rock, Padova, Arcana, 19901997, 6 voll. 1 dichiarazione simile; Lou Reed, Peter Gabriel, il gruppo dei New York Dolls cantavano mascherati, imparruccati, truccati: tuttavia solo negli ultimi decenni la focalizzazione sulla manipolazione del corpo del cantante in chiave di ambiguità di genere è divenuta una forma spettacolare sempre più invasiva e accattivante. Anche Madonna, una delle figure più significative dello star-system dei questi anni, abilissima nell’interpretare gli umori del nostro tempo, ha usato il travestimento in tutte le sue forme, cambiando molteplici look identitari e arrivando a fondere temi religiosi ed erotici, a partire dalla scelta provocatoria del suo nome d’arte. La plasticità corporea, ottenuta anche a costo di pesanti interventi chirurgici - si pensi allo sbiancamento della pelle e alle numerose operazioni al volto a cui si è sottoposto Michael Jackson per costruire il suo personale feticcio efebico – sembra costituire uno degli strumenti di maggiore attrattiva per il pubblico, affascinato dall'artificio meraviglioso ed inquietante che il cantante mette in scena nelle sue performances. In uno dei suoi video più riusciti (Express Yourself, del 1989) Madonna passa da un'immagine setosa da maliarda platinata anni '30 all'imitazione in vesti maschili di Michael Jackson, si muove e danza secondo il suo stile, esibendo al contempo un corpetto di pizzo nero sotto il doppio petto maschile. Durante la danza la cantante posa più volte allusivamente la mano sul cavallo dei pantaloni, gesto tipico di Jackson e, nota Marjorie Garber,2 di ogni bambino piccolo che si rassicura sulla sua virilità. Boy George, uno dei clamorosi casi di travestitismo dei primi anni 80, dall'aspetto androgino segnato da un vistoso make-up, usava invece un cross-dressing di carattere religioso, comparendo in palcoscenico travestito da ebreo chassidico osservante. In Italia Renato Zero è stato l’ antesignano dell’ambiguità sessuale utilizzata come veicolo di comunicazione mediatica: piume e lustrini, presenza scenica, caratteristici del glam rock anglosassone, hanno contribuito a costruire il personaggio trasgressivo, ironico e sentimentale che nel nostro paese dagli anni ’70 ha riscosso duraturo successo. In quel periodo ebbe fortuna anche Amanda Lear, che ha sfruttato abilmente la sua presunta transessualità, esibendo una voce testosteronica ed un fisico da modella. Se gli Who negli anni Sessanta si limitavano a sfasciare gli strumenti durante le loro esibizioni, un decennio più tardi Alice Cooper si attorcigliava un pitone intorno al collo, gruppi come i Kiss o i Siouxie Sioux hanno assunto forme di travestimento sempre più orrifiche e violente. Il culmine di questa escalation è giunto ai make-up grotteschi e alle provocazioni sataniste di Brian Warner, in 2 Marjorie Garber, Interessi truccati. Giochi di travestimento e angoscia culturale, Milano, Raffaello Cortina editore, 1994, p.230. Per il tema delle trasformazioni operate sul corpo attraverso interventi di artificio plastico si veda il volume Plastiche della rivista «Genesis», n1 (X) del 2011. Per il concetto di “genere”: J. Butler, Scambi di genere. Identità sesso e desiderio, Milano, Sansoni, 2004; Id, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”. Milano, Feltrinelli,1996; B. Ortner Sherry, H. Whitehead, Sesso e genere. L'identità maschile e femminile, Palermo, Sellerio, 2000; G. Pomata Il mondo contemporaneo, vol. X Gli strumenti della ricerca – Questioni di metodo, Firenze, La Nuova Italia,1983, pp.1434-1469; E J. Scott, Il genere, un’utile categoria di analisi storica, in «Rivista di Storia contemporanea», n°4, 1987, pp. 560-586. 2 arte Marilyn Manson, il cui rock truculento vanta il primato del cattivo gusto degli anni Novanta. Quello che avviene nei circuiti mediatici, al di là dell'ipocrisia del music – business, sembra sostanzialmente un’ ipertrofica teatralizzazione della «categoria della crisi», così come la intende Marjorie Garber, secondo la quale il fallimento complessivo delle distinzioni chiare e nette, delle ideologie consolatorie e dicotomizzanti ha condotto ad una linea di confine fluttuante che permette osmosi e passaggi sempre più vorticosi da una categoria all’altra, da un genere all’altro. Se dunque vogliamo tornare alle origini, superando (e inglobando) le mistificazioni commerciali, il teatro è costitutivamente il setting prilegiato del travestimento, che ne costituisce anzi l’ incipit sacrale: l’attore con la maschera del capro che si agita invasato inneggiando a Dioniso. Il mascheramento che occulta, rivela e libera non è mai stato, fin dall'inizio, mera contingenza storica; è accaduto nel teatro elisabettiano, dove giovani boy actors recitavano in vesti femminili, o nell’opera barocca, dove cantanti castrati cantavano con voce di donna. Il “il fare finta di” è la metafora teatrale per eccellenza, che provoca ed incoraggia nello spettatore ammaliato l’invidia del feticcio. L’ in-canto, come suggerisce l’etimologia del nome, nasce soprattutto dalla vibrazione del flusso del suono, dalla voce del cantante-attore, prodotto di mucose e cartilagini, «emissione corporea di materia calda, emulsione vivente»3. Come medium comunicativo, essa è universalmente riconosciuta come un elemento contenente una valenza sessuale più o meno esplicita, non solo perché la complessa fisiologia della fonazione è connessa con delicati equilibri ormonali che ne determinano il genere, la qualità e il timbro, ma anche perché, come mette bene in luce Barthes, il suono vocale si configura come un prodotto corporeo vero e proprio, «materialità del corpo che sgorga dalla gola, là dove si forgia il metallo fonico»4. Esso viene percepito - e facciamo riferimento qui anche alle antiche conoscenze mistiche e sapienziali - come emissione materica, energia che « proviene dal ribollio del sangue, nel quale risiede il movimento vitale del corpo» 5 . La voce cantata è un atto 3 D. Fernandez, Porporino, ovvero i misteri di Napoli, Napoli, Colonnese, 2002, p. 104. Sulla costituzione di un'antropologia del gesto e delle tecniche corporee si vedano le opere di Marcel Mauss, uno dei i padri dell'antropologia francese, ed in particolare: Le tecniche del corpo, in Teoria generale della magia ed altri saggi, Torino, Einaudi, 2000 (ed orig. 1936), pp. 385-409. 4 R. Barthes, , L’ovvio e l’ottuso, in Il corpo della musica, Einaudi, 1985, p.287. Per uno studio alle radici archetipiche dell'emissione vocale: C. Bologna, Flatus vocis. Metafisica ed antropologia della voce, Il Mulino, Bologna, 1992; M.L. Aucher, Le chant de l'énergie. La mouvance énergétique du chanteur, Paris, Hommes et Groupes, 1991. Per una stimolante analisi etnomusicologica che collega l’emissione vocale folklorica con i comportamenti legati ai temi dell’onore, della gelosia e della sessualità si vedano: Alan Lomax, Nuova ipotesi sul canto folkloristico italiano, in «Nuovi Argomenti», n°17-18, novembre 1955-febbraio 1956, pp.108-135; ripreso da: Roberto Leydi, La musica dei primitivi. Manuale di etnologia musicale, Milano, Il Saggiatore, 1961. Per un'angolatura psicologica: L. Pigozzi, A nuda voce: vocalità,inconscio, sessualità, Torino, Antigone, 2008. 5 L’affermazione è di Giovanni d’Apamea, asceta siriaco del VI secolo d.C (Lettera III), citato in J. Hauscher Un grand auteur spiritual retrouvé: Jean d’Apamée, in “Orientalia Christiana Periodica”, XIVI, 1948, p.25. Con essa l’autore intende riprendere il concetto dell’unione tra voce e parola, parallela a quella tra anima e corpo. Sull'aspetto iniziatico 3 sconveniente, comunque lo si voglia intendere: l’acuto emesso a gola aperta, che mostra l’ugola vibrante, ci rammenta con vivezza che la gola è un organo sessuale secondario; dal punto di vista della fisiologia laringea, del resto, gli orli delle corde vocali ricordano con sorprendente evidenza l’anatomia degli organi genitali femminili. Il piacere stesso che la voce procura all’ascoltatore è di natura sensuale, da qui la proibizione ecclesiastica del canto femminile in chiesa da San Paolo in poi ( Mulieres in Ecclesiis taceant [ Corinzi,14,34]) e la minuziosa casistica tridentina per regolare l’uso del canto, corale e solistico, nelle funzioni liturgiche6. Si può immaginare il flusso canoro come una potente emissione di suono che vibrando nell’aria accarezza l’orecchio, seduce l’ascoltatore suscitando emozioni, percezioni, assonanze, fantasie, un vero e proprio petting sonoro, un indistinto flusso di vitalità “vomitato” dalla bocca del cantore 7, in cui si può esperimentare l’ambivalenza originaria. Questo fascino, questa inquietudine turbata accomunano la scena operistica e quella mediatica del rock. Il cantante, posseduto dal suono come nella mania coribantica, richiama l'immagine dell'androgino capace di rivelarci l’elusività della sessualità umana8. Le urla, gli isterismi, il fanatismo che oggi vengono suscitati dalle esibizioni dei divi rock, nei secoli scorsi erano provocati dai virtuosismi dei cantanti operistici; i riti oceanici che avvengono nelle immense platee dei concerti si svolgevano precedentemente nella gazzarra dei teatri, luoghi di comunicazione e di divertimento che dal Seicento, per almeno due secoli e mezzo, hanno conquistato il pubblico di tutto il mondo. Effettivamente niente, al di là delle dovute e notevoli differenze storiche ed antropologiche, della voce: S. Connor, La voce come medium. La storia culturale del ventriloquio, Sossella ed. 2007; G. Rouget, Musica e trance, Torino, Einaudi, 1986, pp.330-342. Per uno sguardo generale sulla fenomenologia della voce si veda: Corrado Bologna, Voce, in Enciclopedia, vol. XIV, Torino, Einaudi, 1981, pp.1257-1292. 6 G. Stefani, Musica e religione nell’Italia barocca, Palermo, 1975 Per l’erotismo legato alla voce: D. Daolmi, E.Senici, L’omosessualità è un modo di cantare.. Il contributo queer all’indagine sull’opera in musica, in « Saggiatore musicale»,VII, 2000, n°1, pp.137-178 e di M. Beghelli, Erotismo canoro, in «Saggiatore musicale”, VII, 2000, n°1, pp. 122-136; R. Barthes, Miti d'oggi, Torino, Einaudi, 1974; Susan Mcclary, Feminine Endings. Music, Gender and Sexuality, Minneapolis, University of Minnesota Press, 199. Sul rapporto tra genere e sessualità nella voce operistica si vedano: C. Abbate, Opera; or, the Envoicing of Women, in Musicology and Difference: Gender and Sexuality in Music Scholarship, a cura di Ruth A.Solie, Berkeley, University of California Press, Berkeley- London, 1993, pp.225-58; M. Emanuele, Voci, corpi, desideri. La costruzione dell’identità nel melodramma, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006. Per un’opposizione tra maschile semantico e femminile vocalico e per il primato del canto sulla parola nel melodramma si veda: Adriana Cavarero, Voci del melodramma in A più voci. Filosofia dell’espressione vocale, Milano, Feltrinelli, 2003. 7 8 Sull'archetipo dell'androgino si veda E. Zolla, L'androgino: l'umana nostalgia dell'interezza, Como, Red, 1989; G. .Schiavone, L'androgino tra realtà e mito, Foggia, Bastogi, 1997; M. Delcourt, Hermaphrodite: mythes et rites de la bisexualité dans l'antiquité classique, Paris, Presses Universitaires de France, 1958; sulla continuità storica del mito: F. Franchi, Le metamorfosi di Zambinella. L’immaginario androgino fra Ottocento e Novecento, Lubrina Editore, Bergamo, 1991; Fabio Vasarri, Scritture romantiche dell’androgino: Latouche, Balzac, Gautiert, Sand, tesi di dottorato in francesistica, Università degli studi di Milano, 1994. Per l'ermafroditismo in campo artistico vedi la tesi di laurea di Sara Arfanotti, Hermaphrodito. Il corpo neutro e il corpo doppio, tesi di diploma di II livello, Accademia Belle Arti Firenze .a.a 2010-20 4 somiglia di più ad un concerto rock che un’opera barocca con le sue trovate sceniche mirabolanti, i suoi costumi ed i cantanti evirati eccentrici, idolatrati da sovrani, gentiluomini e borghesi. In entrambi i casi il melos rappresenta di per sé una rottura della mimesis aristotelica, è la meraviglia e non la verosimiglianza, l’irruzione del fantastico e dell’assurdo. L’accettazione, da parte del pubblico, che l’interprete sulla scena canti, e non parli, costituisce il patto primigenio che fonda la convenzione del melodramma, nato, guarda caso, per riproporre l’uccisione rituale del tragos e la nascita della tragedia, così come l'aveva pensata Nietzsche. «Il canto operistico è il linguaggio della passione» afferma Adorno, non è difficile riconoscere in esso, infatti, l’ultima forma di trance della società occidentale9. 2 - EROI EFFEMINATI E VERGINI GUERRIERE Una particolare carica fascinatoria sembra scaturire, ed è questa la costante che accomuna alcune forme di spettacolarità del diciassettesimo secolo con quelle attuali, dall’innaturale e dall’artificio, da voci-corpi che contraddicono le norme sociali. «Il corpo elettrico» cantato da Whitman, amante dell’opera e della profonda voce contraltile di Maria Alboni, vibra nelle meraviglia vocale delle voci di confine, ambigue e maliose, che transitano nel limite indifferenziato tra maschile e femminile. Il canto, ormai non più ascoltabile, dei castrati ha stimolato la fantasia degli scrittori che ne hanno immaginato il suono polposo e vellutato « agitarsi sotto la lingua, sciogliersi nel succo delle mucose, colorarsi al roseo del palato, intiepidirsi contro l’avorio dei denti e infine gonfiarsi e sbocciare all’avvicinarsi delle labbra»10 . Un fascino decisamente sessuale, anche secondo Balzac, che nel racconto Serrasine (1830), ambientato nel Settecento, descrive l’ impatto afrodisiaco della voce del castrato Zerbinella, interprete di un’opera di Jommelli al teatro Argentina di Roma, sul protagonista, un giovane sculture francese che crede però l’affascinante “musico” davvero una donna, di cui si innamora follemente: Quando la Zambinella cantò, fu un delirio. L'artista ebbe freddo; poi, sentì una fiamma che divampò all'improvviso nelle profondità del suo essere intimo, di quello che, per mancanza di parole, diciamo cuore! […] Infine quella voce agile, fresca come un campanellino d'argento, docile come un filo a cui il minimo soffio d'aria dà una forma, che avvolge e distende, svolge e disperde, quella voce assaliva così vivamente il suo animo che egli si lasciò più volte sfuggire di quei gridi involontari strappati dalle convulse delizie troppo raramente concesse alle passioni umane. Presto fu obbligato a uscire di teatro11 Inebriamenti e deliri molto letterari, questi, legati anche alla concezione del mondo musicale italiano, sentito come attraente e repulsivo da parte degli intellettuali stranieri, che attribuivano al ca9 G. Rouget, Musica e trance, Torino, Einaudi, 1986, pp.330-342. D. Fernandez, Porporino, p.104 11 Honoré de Balzac, Serrasine (1830), tr. It di Maria Ortiz, Milano, Mondadori, 1993, pp.55-57. 10 5 lore meridionale gli eccessi temperamentali degli abitanti e la loro indole individualista e sensuale: «Lust chose the torrid zone of Italy | Where blood ferments in rapes and sodomy» (il vizio predilige le torride regioni d’Italia dove il sangue eccita alla violenza e alla sodomia), scriveva Daniel Defoe nel 1700. Il castrato era un prodotto “italiano”12, un monstrum apportatore di delizie e di corruzione, un freak che metteva in discussione i confini tradizionali tra uomo e donna, tra sessuato ed asessuato, e rappresentava di fatto la più inquietante delle devianze, quella dell’identità sessuale; la sua voce artificiale divenne la voce ideale del virtuosismo e del patetismo barocco, la voce - modello per la pirotecnia e la meraviglia dei trilli e delle volatine, delle scale e degli arpeggi, dei fiati interminabili e delle mirabolanti variazioni, esito paradossale per quella che era considerata la vocazione “naturale” degli italiani alla musica13. Ai castrati, detti anche “musici”, venivano attribuiti i ruoli più nobili e più eroici, che richiedevano la voce più bella e potente: sulla scena, truccati da donna o vestiti sontuosamente con strascico, maniche a sbuffo e pennacchio catturavano l’attenzione del pubblico, mentre si svolgeva la fantasmagoria delle scenografie favolose, degli “effetti speciali”e delle macchine per volare. I castrati potevano interpretare indifferentemente ruoli maschili e femminili, di eroe o di “prima amorosa”, di contralto o di soprano, in una distribuzione delle parti che non rispettava alcun criterio di verosimiglianza ma rispondeva ad una convenzionale adesione a codici, a segni musicali e drammatici tipici dell’opera del tempo. Le voci maschili di tenore e basso erano considerate rozze e troppo pesanti per le volute leggiadre delle partiture barocche ed interpretavano quindi parti secondarie, i tenori en travesti nelle opere buffe giocavano spesso il ruolo grottesco della vecchia nutrice vogliosa ed impenitente. Poteva capitare, come ad esempio nel Pompeo di Alessandro Scarlatti, eseguito a Napoli nel 1684, che su undici personaggi quattro fossero castrati, impegnati in ruoli sia maschili e che femminili, che le cantanti donne fossero quattro, di cui tre 12 La tecnica dell’evirazione, di origine orientale, venne utilizzata dalla Chiesa per l’utilizzo polifonico delle voci bianche della cappella Sistina. Ufficialmente i castrati furono ammessi alla cappella pontificia nel 1599 e divenne poi naturale che cantanti evirati partecipassero alle opere liriche, tanto più che il nuovo genere del melodramma richiedeva una tecnica vocale professionale, una estensione di almeno due ottave e una notevole perizia; qualità che i castrati possedevano, spesso in maggior grado delle cantanti donne, grazie al loro lungo apprendistato musicale. La castrazione, proibita dalla legge, era praticata nella penisola con varie scuse e dal 1630 circolavano nei cori ecclesiastici e nei teatri di tutta Europa diverse centinaia di cantanti evirati, tutti italiani, che divennero i divi incontrastati della scena operistica internazionale per oltre due secoli. L’orchiectomia subita in periodo pre-puberale impediva la comparsa dei caratteri sessuali secondari, rallentando l’ingrossamento della laringe, che normalmente al momento della “muta della voce”, si amplia di un terzo provocando negli uomini un abbassamento di tono di circa un’ ottava. Tuttavia si suppone che, a detta dei testimoni del tempo, la voce del castrato non rimanesse infantile, né divenisse “femminile” tout court, perché il registro di petto rimaneva assai potente e sviluppato verso gli acuti. Possiamo arguire che essa possedesse, se bene allenata, straordinarie qualità di flessibilità e forza, di estensione e di dominio dei fiati, in grado di ricoprire tessiture maschili e femminili, con un’estensione che comprendeva, a secondo dei casi il range del contralto e del soprano e talvolta anche quella del baritenore. Qualità che attrassero l’interesse di musicisti e compositori verso le potenzialità e la bellezza di questa “macchina per cantare” 13 «Chi non ha ascoltato il bel canto italiano non sa che cosa sia la musica», afferma la poetessa Corinna, in M.me De Staël, Corinna ovvero l’Italia, Torino, UTET,1961, p.240 6 interpretavano personaggi maschili. Al di là delle prescrizioni ecclesiastiche, che impedivano alle artiste di calcare le scene, il gusto per l’equivoco e il travestimento era connaturato all’opera fin dai suoi inizi e andava ben oltre la presenza dei castrati14. Basti pensare che fu un giovanetto ad impersonare Dafne nell’omonima opera di Rinuccini nel 1600 e che L’incoronazione di Poppea di Monteverdi (1643) prevedeva due soprani per i ruoli maschili di Nerone e di Ottone e due contralti (femmine) per Poppea e Ottavia, mentre la nutrice Arnalta era impersonata da un tenore en travesti. In seguito al contralto femmina vennero affidate parti da uomo mentre invece i ruoli femminili venivano cantati da un soprano (castrato). In tutta le musica antica, del resto, le espressioni soprano , tenor alto indicavano un territorio musicale, una tessitura e non ruoli sessualmente determinati. La moda del travestitismo operistico giunse all’assurdo in occasione dell’ esecuzione di Achille in Sciro del Metastasio con la musica di Bertati al San Carlo di Napoli nel 1737. La storia narrava il noto episodio in cui Achille, travestitosi da donna per amore, getta alla fine i panni femminili per rivelare il suo vero sesso ed imbracciare le armi. Il caso volle che in quel caso l ’eroe greco fosse impersonato dalla famosa cantante Vittoria Tesi, per cui l’agnizione finale della reale identità virile del protagonista acquistò un aspetto paradossale. Ma il gusto del mascheramento e della “finzione nella finzione” evidentemente andava incontro alle aspettative dello spettatore, che era affascinato dalla fanciulla guerriera che nascondeva le forme femminili sotto mentite spoglie e dagli scambi continui d'identità e di genere che costellavano l'opera barocca; la presenza del castrato rinfocolava con la sua presenza perturbante le attrattive dell’ambiguità. Giacomo Casanova, ricordando l’esibizione nei teatri romani del giovane favorito del cardinale Borghese, ci offre una descrizione assai precisa del fascino erotico suscitato dell’ambivalenza di genere: Ma sulla scena, vestito da donna, infiammava tutti [...]Stretto in un busto molto ben fatto aveva una vita da ninfa e poche donne avevano un seno più sodo e più attraente del suo. 14 Sui vari tipi di travestimento in epoca barocca si veda qui un parziale elenco: Orazio Persiani, Le nozze di Teti e Peleo, 1639; Aurelio Aureli, Erismena, 1655; Giovanni Andrea Moniglia, Semirami, 1667; Camillo Badoer, Sesto Tarquinio, 1679; Giulio Cesare Corradi, La Gierusalemme liberata, 1687 – Aureli, Eliogabalo, 1668; Matteo Noris, Galieno, 1676; Vincenzo Nolfi, Bellerofonte, 1642 (con un fraintendimento lesbico); Giovanni Faustini, La Calisto, 1651; Francesco Maria Piccioli, Messalina, 1679; Sigismondo Capece, Tetide in Sciro, 1712 – Faustini, La virtù de’ strali d’Amore, 1642; Aureli, Massimo Puppieno, 1684;Scipione Errico, Deidamia, 1644; Faustini, L’Euripo, 1649; Faustini, Doriclea, 1650; Giacinto Andrea Cicognini, Orontea, 1656; Piccioli, Messalina, 1679; Capece, Tetide in Sciro, 1712 – Faustini, L’Euripo, 1649; Noris, Domiziano, 1673; Corradi, L’inganno regnante, 1688, Gian Francesco Busenello, L’incoronazione di Poppea, 1643; Gio. Filippo Apolloni, La Dori, 1663; Giacomo Francesco Bussani, Massenzio, 1673; Bussani, Giulio Cesare in Egitto, 1677; Aureli, Massimo Puppieno, 1684 – Capece, Tetide in Sciro, 1712; Faustini, L’Eupatra, 1655; Nicolò Minato, L’Antioco, 1658; Minato, Elena, 1659; Apolloni, La Dori, 1657 – Faustini, L’Eritrea, 1652; Minato, Artemisia, 1656; Aureli, La costanza di Rosmonda, 1659; Beregani, Annibale in Capua, 1661. Si veda in Daolmi, Senici, L'omosessualità, nota 56. Si veda anche la tesi di dottorato in Storia dello Spettacolo di Elena Peruzzo, Il travestitismo di genere nel teatro italiano del Seicento, Università degli Studi di Firenze, 2010. Più in generale: A.A, V.V, Travestimenti e metamorfosi. Percorsi dell’identità di genere tra epoche e culture, a cura di Laura Guidi e Annamaria Lamarra, Napoli, Filema, 2003. Sul travestitismo femminile: S. Rutherford, Women Dressing Men, in The New Woman and her Sisters. Feminism and Theatre. 1850-1914, a cura di V. Gardner., New York-London, 1992. 7 [...] Era evidente che voleva piacere a quelli che erano attratti da lui in quanto uomo, ma anche da lui in quanto apparentemente donna[...]Roma, la santa, che obbliga tutto il genere umano a diventare pederasta!» 15 Montesquieu, in visita a Roma nel febbraio 1729, confermava questa osservazione: Alla mia epoca a Roma c’erano due piccoli castrati: Mariotti e Chiostra, vestiti da donna, che erano le più belle creature che abbia visto in tutta la mia vita e che avrebbero ispirato il gusto di Gomorra anche a chi non avesse la minima propensione verso questa depravazione. Un giovane inglese, credendo che uno di questi fosse una donna, se ne innamorò follemente, e rimase con questa passione per più di un mese. 16 Ma i castrati erano amati anche dal pubblico femminile, sia sulla scena che nelle alcove, Charles De Brosses, ne lascia, infatti, questo malizioso ritratto: Alcuni sono molto graziosi; si fanno ricercare e corteggiare dalle donne, le quali, secondo quanto sostengono le cronache della maldicenza, se li disputano per i loro talenti, che sono innumerevoli 17 Ma se è vero che non tutti i pueri cantores evirati diventavano grandi cantati, spesso la mutilazione genitale provocava difformità fisiche, obesità e un abnorme sviluppo del torace: Diventano tutti grandi e grassi come capponi, con i fianchi, il sedere, le braccia, il petto, i colli tondi e paffutelli come le donne. Quando si incontrano in un gruppo di persone si rimane sbalorditi, quando parlano, a sentire uscire da questi colossi, una vocetta da bambini18. Il giudizio dei contemporanei era contraddittorio, se Goethe nel suo soggiorno romano del 1789 mostrava di apprezzare le loro doti musicali: «i castrati che rappresentano parti di donna sono molto bravi e piacciono sempre di più»19, il marchese De Sade lanciava strali velenosi sullo loro ugole super-pagate: Fa un bruttissimo effetto sentir uscire da un grosso corpo d’uomo, a un tempo massiccio ed informe, una vocetta chiara e molto più alta di quella delle donne. A mio modo di vedere un innamorato cosiffatto non risulta persuasivo. La lunga 15 G. Casanova, Storia della mia vita, a cura di P. Chiara e Federico Roncoroni, Milano, Mondadori, 1984, Vol IV, p.336 16 Hubert Ortkemper, Angeli controvoglia. I castrati e la musica, a cura di A.Ghilardotti, Milano, Paravia, 2001, p. 71. Si vedano anche R. Freitas, The Eroticism of Emasculation: Confronting the Baroque Body of the Castrato, in «The Journal of Musicology», n°2, 2003, pp. 196-249; Id. Portrait of a castrato : politics, patronage, and music in the life of Atto Melani, Cambridge University Press, 2009; K. Bergeron, The Castrato as History, in «Cambridge Opera Journal», VIII/2, 1996, pp. 167-184; M. Feldman, Denaturing the Castrato in «The Opera Quarterly», XXIV (2008), n°3-4, pp. 178-199; W. Heller, Varieties of Masculinity in Seventeenth-Century Opera, in «British Journal for Eighteenth-Centyry Studies», n°28, 2005, pp. 307-321; A. N. André, Voicing Gender: Castrati, Travesti, and Second Woman in Early– Nineteenth-Century Italian Opera, Bloomington, Indiana University Press, 2006; F. Bocchi, “Celesti sirene”. L'eunuco cantore nella cultura del primo Barocco, tesi di laurea (rel.G. Guccini, corr. M. Beghelli), Università di Bologna, a.a. 2008-09; vedi anche la voce evirato curata da Fedele d’Amico in Enciclopedia dello spettacolo, vol. IV, Roma, Sadea, 1975 pp. 1719-1723. Niente di nuovo, quindi, nel dramma Mr. Butterfly di David Henry Hwang, storia di un diplomatico francese innamorato di una cantante dell’Opera di Pechino, travestito e spia, da cui David Cronemberg ha tratto un film nel 1993. 17 Charles de Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, Bari-Roma, Laterza, 1992, p. 585. Charles De Brosses, (1709 – 1777), erudito archeologo, geografo, linguista, presidente del Parlamento di Borgogna, magistrato e scrittore appassionato d’arte e di letteratura, ma anche di geografia e archeologia, compì un viaggio in Italia nel 1739-40. 18 19 ibidem J.W. Goethe,Viaggio in Italia, III, Firenze, 1948, pag. 31. 8 tenuta e l’incredibile estensione della loro voce hanno, se volete, qualcosa di sorprendente, ma il piccolo piacere causato da questa sorpresa è disturbato dai gesti ridicoli, dall’aria goffa, dai movimenti circolari del capo, dall’andatura grave e malcerta del personaggio, e soprattutto dalle orribili smorfie che gli si vede fare per gonfiarsi lo stomaco di vento, che lascia poi uscire dalla strozza, spesso con lo stesso rumore degli accessi di vomito, e che producono sibili di gola duri e sgradevoli.20 Le corti di Vienna, Londra, Dresda, Parigi, Madrid se li contendevano e anche Gluck ed Händel scrivevano per loro; Metastasio adorava Carlo Broschi, detto Farinelli, il più ammirato per la purezza e dolcezza di timbro; lo stesso lord Burney confermava che durante la tournée a Londra le sue esibizioni nell'Artaserse di Metastasio, con la musica di Hasse, provocarono nel pubblico uno dei primi casi di fanatismo divistico: « un’estasi, un rapimento, un incanto»21. Hogarth ridicolizzò nelle sue stampe questa nuova moda, ritraendo Farinelli tra i doni dei suoi ammiratori, oggetto di culto quasi religioso. Come si conviene ai divi di tutte le epoche i castrati erano oggetti di pettegolezzi mondani e storie scandalistiche, erano criticati per gli atteggiamenti capricciosi ed arroganti e per gli aspetti fatui e ridicoli del loro essere “prime donne”. Al contempo alcuni di loro venivano apprezzati per doti di carattere e squisita musicalità: il grande Gasparo Pacchierotti (1740-1821), che contese con Farinelli la palma dell’eccellenza canora, destò l’ammirazione di Stendhal, che andò a visitarlo nel 1815 e confessò « Imparai più musica in sei conversazioni con questo grande artista, che da qualsiasi libro, era l’anima che parlava all’anima»22. Il progressivo declino del fenomeno degli evirati cominciò a manifestarsi dalla metà del Settecento; le critiche che sempre più insistentemente colpivano la loro “mostruosità”, la loro inaccettabile mutilazione e il loro strapotere nel mondo musicale non si limitavano ad evidenziare la componente omosessuale che sembra coinvolgerli, insieme ai loro estimatori. Da un certo momento in poi castrato ( e cicisbeo23) cominciarono a costituire uno dei simboli della vergogna patria, l’immagine dell’italiano guitto che si guadagna il pane (e qualcosa di più) nelle corti altrui, ma rimane comunque e sempre un servo, l'emblema della “mancanza di carattere” degli italiani e della loro “effeminatezza”, l'immagine neghittosa e antipolitica della “serva Italia”, che doveva risorgere e 20 Donatien-Alphonse-François Marchese di Sade, Viaggio in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, p. 35-36. 21 Charles Burney, Viaggio musicale in Italia, trad.it. Enrico Fubini, Torino, EDT, 1979, p. 188. Lord Charles Burney, pioniere della critica musicale, iniziò nel 1770 il suo viaggio in Italia e lasciò un diario ricco di interessanti osservazioni sulla vita artistica nella penisola. 22 A. Heriot, I castrati nel teatro d’opera, Milano, Rizzoli, 1962, p.193. Lord Mount Edgecumbe, che ebbe modo di incontrare e di apprezzarlo durante i suoi viaggi descrisse così la sua arte: «La voce di Pacchierotti era quella di un soprano di ampia estensione, piena e dolce al massimo grado; aveva grandi capacità esecutive, ma troppo buon gusto e buon senso per abusarne quando non era il caso e si limitava ad un’aria di agilità per ogni opera, consapevole che le delizie principali del canto e la sua suprema eccellenza consistevano nel raggiungere un potere espressivo e caldo e raffinato», Heriot, I castrati, pagg. 194-195 23 9 R. Bizzocchi, Cicisbei : morale privata e identità nazionale in Italia, Roma, Laterza, 2008. riscattarsi da un passato segnato dalla viltà e dalla mancanza di senso civico.24 La fortuna dei “musici”, insomma, già incrinata con la riforma del melodramma proposta da Gluck, volse al tramonto quando si annunciava l’arrivo di un clima sociale e culturale che richiedeva il risveglio di una partecipazione più attenta alla vita civile. Effeminatezza, in questo senso, non significava tout court omosessualità, ma piuttosto mollezza, attenzione all’interesse personale e non collettivo, scarso senso del sacrificio. Già nei primi decenni del Settecento, per alcuni intellettuali inglesi come Defoe e Swift, Nicolino Grimaldi, detto Nicolini, il castrato che aveva conquistato con le sue esibizioni mirabolanti il pubblico inglese, era straniero, sodomita e “innaturale”, portatore di Italian Effeminacy, and Italian Nonsense 25 , un vero mostro seducente, frutto del mondo cattolico degenerato, che attentava all'integrità forte e virile del popolo inglese, “naturale” e portatore dei valori nazionali. Ma anche nella nostra penisola si levavano pesanti critiche al mondo corrotto e frivolo del teatro musicale, di cui i castrati erano i sovrani incontrastati: Salvator Rosa, Muratori, Algarotti, Alfieri, Baretti, Parini, Sografi, Foscolo, al di là delle differenze delle singole posizioni, identificavano nella crisi del contenuto musicale e drammatico dell’opera italiana il sintomo preoccupante del generale decadimento della vita culturale e civile. Chi auspicava l’avvento di una riforma insieme artistica e sociale cercava possibili segnali di rinnovamento anche attraverso le potenzialità insite in campo musicale, mentre il castrato, «privo di ogni tintura di lettere, spoglio di ogni cognizione, e di ogni coltivazione di spirito ignudo» 26 , portava impressa nel corpo e nell’anima la propria mutilazione, come ricordava Parini, che lo rendeva incapace di “egregie cose”. I «canori elefanti»27, come li chiamava Parini, non avrebbero potuto essere in grado di affrontare i nuovi doveri che l'intellettuale aveva il compito di assumersi. Grazie alle leggi napoleoniche, già al tempo di Rossini l’epoca dei grandi Caffarelli, Guadagni, 24 Per la querelle sul “carattere” degli italiani si veda soprattutto il I capitolo di S. Patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2010; . Cfr: anche Roberto Bizzocchi, Una nuova morale per la donna e la famiglia, in Storia d’Italia, Il Risorgimento (Annali), vol. XXII, Alberto Maria Banti e Paul Ginsborg (a cura di), Torino, Einaudi, 2007, pp. 69- 96. 25 «that unnatural Taste for Italian Music among us, which is wholly unsuitable to our Northern Climate, and the Genius of the People, whereby we are over-run with Italian Effeminacy, and Italian Nonsense», traduzione: «quel gusto innaturale per la musica italiana, totalmente inadatta al nostro clima settentrionale e al genio del nostro popolo, così che siamo sopraffatti dall’effeminatezza italiana e dalle sciocchezze italiane» J. Swift, A Vindication of Mr. Gay, and the “Beggar’s Opera”.Traggo la notizia, la citazione e la traduzione da L’‘altra’ nazione: cantanti (e) castrati italiani nella Londra del Diciottesimo secolo, relazione di Serena Guarracino presentata al Convegno SIS 28-20 gennaio 2009 a Napoli. 26 G. Pindemonte, Discorso sul teatro italiano, in Componimenti teatrali, Milano, 1804, p.288 27 «Aborro in su la scena/ un canoro elefante/ che si trascina a pena/ su le adipose piante/ e manda per la gran foce/ di bocca un fil di voce» e «Ahi, pèra lo spietato/ genitor che primiero/ tentò di ferro armato,/l’esecrabile e fiero/ misfatto, onde si duole / la mutilata prole!», La musica del (1769) in G. Parini, Poesie e prose; con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a cura di L. Caretti, Milano-Napoli, 1951, pag. 202, v. 1-10. 10 Pacchierotti, Marchesi, Farinelli, idolatrati dal pubblico e adorati dai sovrani, era superata. L’ultimo di loro, G. Battista Velluti, lasciò le scene a 49 anni, rimpianto da Rossini che lo aveva scelto nel 1813 come protagonista di Aureliano in Palmira. 4 - ERMAFRODITE ARMONICHE « Que tu me plais, ô timbre étrange, Son double, homme et femme à la fois, Contralto, bizarre mélange, Hermaphrodite de la voix!» Théophile Gautier in Poésies completes, vol III, pp.31-34 Scomparsi dalla scena i castrati, Rossini, nostalgico di quella modalità canora elegante e voluttuosa, costruì personaggi di protagoniste femminili utilizzando la voce profonda del contralto, con cui sembrò esaltare e riconfermare l’antica seduzione ermafrodita dell' «evirato cantore». Il musicista impegnò questo timbro particolare- «monstre charmant» lo chiamava Gautier -, caratterizzato dalle dense ombrosità del registro di petto, nelle opere buffe in parti piccanti ed energiche di civetta e amorosa (Rosina nel Barbiere di Siviglia del 1816, o la battagliera Isabella nell'Italiana in Algeri) oppure, come si è visto, nelle creazioni en travesti di giovinetti dal fascino virilmente efebico come Arsace, Malcom nella Donna del Lago (1819), o Tancredi nell'opera omonima, dove cantanti come Giuditta Pasta o Maria Malibran profusero le grazie della loro ambiguità vocale. In questi decenni di trapasso, fino alla rivoluzione vocale romantica degli anni '30, le due grandi dive incarnarono il modello di grande interprete belcantistica, capace di spaziare dai ruoli maschili, a quelli femminili sublimi e tragici, buffi e patetici. La Pasta (1797-1865) e la Malibran (1808-1836) furono straordinari Tancredi (e Romeo): amavano talmente il ruolo di “musico”, che si cimentarono entrambe nel sostenere addirittura la parte del protagonista maschile nell' Otello di Rossini. Nate come contralti, svilupparono anche la corda sopranile, divenendo eccezionali interpreti anche delle opere belliniane come Norma e Sonnambula. Diverse per temperamento e stile di recitazione, più scultoreamente neoclassica la Pasta, più eccentrica e naturalisticamente vivace la Malibran, suscitarono entrambe fanatici consensi popolari e grande apprezzamento da parte degli intellettuali. In particolare Maria Malibran, nata Maria Felicita Garcia, per la sua vita breve e spericolata e il suo enorme talento, sembra anticipare da vicino alcuni tratti della star canora contemporanea. Addestrata ferocemente dal padre, grande cantante anch'esso, a divenire “famosa”, in pochi anni lo fu davvero; strabiliava il pubblico per l’effervescenza del suo temperamento che esplodeva in scena grazie ad un’ agguerrita tecnica vocale, una spiccata sensibilità interpretativa e un’ esuberante fisicità. Era divenuta in tutta Europa, ed anche in America, fanatico oggetto di culto: canzoni, fantasie, aneddoti, immagini, monumenti, album, soprammobili erano ispirati alla sua figura di 11 donna e di artista. Il suo fascino vocale consisteva principalmente nell'essere «ermafrodita armonica /voce che egual non ha» 28 , nel giocare cioè sulla ricchezza di sfumature che la sua vocalità ambivalente poteva consentirle, facendo leva soprattutto sulle risorse del suo registro grave; la giovane regina Vittoria, aveva ascoltato la Malibran in concerto a Londra ed era rimasta conquistata da « quelle commoventi e splendide note basse, che erano veramente emozionanti29» Al culmine della carriera, trascinata da una enorme vitalità, ma anche da una sotterranea vena di autodistruzione, che la spingeva compulsivamente ad “offrirsi” al pubblico, Maria morì a ventotto anni; era incinta e soffriva da mesi dei postumi di una rovinosa caduta da cavallo, ma aveva continuato la sua forsennata galoppata tra viaggi, opere, concerti, serate, senza un momento di respiro, senza tener conto dei violenti malesseri che l’assalivano da tempo. Morì praticamente sulla scena: ritiratasi dietro le quinte dopo un bis, si spense dopo nove giorni di agonia. 3 - ISSO, ISSA E O' MALAMENTE Un radicale cambiamento nella prassi vocale avrebbe cambiato di lì a poco il panorama operistico internazionale; si trattava di una vera e propria “rivoluzione” che stabilizzava, dal 1830 per almeno un secolo, le attribuzione dei ruoli operistici, connettendoli con l'identità sessuale dei protagonisti. Il rinnovamento che si svolgeva nel melodramma contribuiva a mutarne il carattere formale, classicista e ancien régime, ma ne trasformava anche il significato profondo, orientando la finzione scenica in direzionalità più scopertamente etiche e familistico - borghesi, a cui avrebbe attinto a piene mani anche l’estetica risorgimentale per le sue esigenze fondative e nazionali. Il tentativo di riappropriazione della “naturalezza” dei generi comportò anzitutto la revisione dei ruoli sessuali e una loro rigida classificazione all’interno di categorie drammaturgiche e vocali ben precise, uscendo così nettamente dalle ambivalenze dell'opera settecentesca. Nell’opera romantica si giunse a codificare una regola semplice, ma essenziale: abolito il castrato, il soprano, - la protagonista - era una donna giovane ed innocente, innamorata del tenore - indubitabilmente maschio - l’eroe della vicenda, che la ricambiava; nella funzione antagonistica dei rivali e/o dei cattivi si fissarono le voci medie del baritono e del mezzo-soprano. La prescrizione era talmente 28 «…Sento cantar Desdemona /con voce mascolina/sento cantar Desdemona/con voce femminina,/ermafrodita armonica voce che egual non ha», Anonimo, Canzone a Maria Malibran, Napoli, 1835, riportata in Remo Giazotto, Maria Malibran (1808-1836). Una vita nei nomi di Rossini e Bellini, Torino, ERI, 1986, Appendice n°5, pag 485. 29 Londra 26 settembre 1836, da The Girlhood of Queen Victoria. A selection from Her Majesty’s Diaries Between 1832 and 1840, a cura del Visconte Esher, London, John Murray, 1912, vol I, p. 168, in R. Giazotto, Maria Malibran, Appendice n°6, p. 502. 12 normativa da divenire oggetto di una spiritosa quanto nota boutade di G. B. Shaw: «Il melodramma è la storia di un soprano e di un tenore che hanno voglia di andare a letto insieme e di un baritono che glielo impedisce» 30 . Il triangolo amoroso, in realtà, in tutte le sue possibili variazioni, era sempre stato l’oggetto centrale del melodramma dai suoi inizi: quello del periodo romantico però affrontava la dialettica dei sessi definendola, anche dal punto di vista vocale, in modo dicotomico, eliminando la figura del castrato e la confusione ingenerata dai travestimenti. L’abitudine ad utilizzare contralti-donne in ruoli maschili, come Arsace in Semiramide (1823) di Rossini, Romeo in Capuleti e Montecchi (1830) di Bellini e Maffio Orsini in Lucrezia Borgia (1833) di Donizetti, sarebbe durata fino alla fine degli anni '30 dell'Ottocento: Bellini pensava ancora ad un Ernani en travesti, mentre Verdi scrisse il suo nel 1844 utilizzando come protagonista un tenore dalla vocalità eroica e già squisitamente romantica. La tendenza generale mirava a relegare la voce “anfibia” del contralto in ruoli femminili nettamente secondari, grotteschi o paurosi: di vecchia, di maga, di zingara, in quanto evocatrice dei fantasmi inquietanti dell’ambivalenza. La pulsione erotica che era stata innescata dall’utilizzazione sulla scena dei continui travestimenti e del castrato doveva essere ora programmaticamente delegittimata, salvo poi ricomparire, non esorcizzabile, attraverso la dionisiaca polisemia del medium vocale, refrattario ad ogni tipo di repressione, sempre e comunque, sul palcoscenico. Il tenore – voce sottoutilizzata in epoca barocca - divenne così il giovane eroe del melodramma, appassionato, combattivo, generoso. A questo proposito era necessario, però, che la voce dell’uomo si virilizzasse in modo deciso, caratterizzandosi in modo univoco rispetto al passato, e proprio per questo la più acuta delle voci maschili registrò i mutamenti tecnici più significativi, che contribuirono a farne la voce romantica per eccellenza, appassionata e lirica, adatta ad esprimere le ragioni ideali dei sentimenti e non più il sensualismo sotteso dalle edonistiche fioriture dell’estetica belcantistica. La scoperta della possibilità di utilizzare il registro tipicamente virile ( chiamato “di petto”) non solo in basso, ma anche nelle tonalità più estreme della tessitura, attraverso il meccanismo detto della “copertura”31, rese possibile l’ emissione degli acuti “ di forza” a piena voce (il famoso “do di petto”), macigni di suono scagliati con forza poderosa, fiammate metalliche e veementi che divennero da allora l’attributo virile inconfondibile dell’eroe vocale romantico, e della 30 Lo riporta R.Leibowitz, Storia dell'opera, Milano,1966, p. 274. La “copertura” viene ottenuta attraverso l’azione dei muscoli crico-tiroidei che, associata a quella di altri muscoli depressori della laringe, limita il naturale assottigliarsi delle corde vocali in acuto. I tenori settecenteschi salivano in acuto “sbiancando la voce, cioè femminilizzandola. Nell’articolo Il do di petto, dissacrazione di un mito edito nel «Saggiatore Musicale» III, 1996, n°1, pp. 105-149 Marco Beghelli ridimensiona la portata del cambiamento tecnico. Per avvicinarsi a qualche cognizione di tecnica vocale si vedano: Franco Fussi, Silvia Magnani, L’arte vocale, Torino, Omega, 1994 e il classico W. Vennard, Singing: The Mechanism and the Technic, New York, Fisher,1967. 31 13 voce tenorile così come la conosciamo adesso. Il contralto rossiniano, protagonista spigliata e carnale, come si è detto, scomparve; al suo posto la voce più acuta e brillante del soprano cominciò ad identificarsi invariabilmente con il ruolo della prima donna, in quanto si attribuivano alla sublimità dei sentimenti che la animavano, alla sua giovinezza, caratteristiche più luminose ed angeliche; tra le voci femminili medio-basse (mai protagoniste, però, dell' opera romantica) prese campo il mezzo- soprano, voce dal timbro naturalmente più scuro e sensuale del soprano, ma con colore più chiaro e tessitura più acuta del contralto, in accordo con la generale tendenza romantica a trasportare tutti i registri verso l’alto. A questa voce media (il mezzo-soprano) potenzialmente portatrice di valori destabilizzanti, in quanto il suo timbro caldo evocava i fantasmi della sessualità, vennero in genere affidate parti o di antagonista/rivale perversa, oppure - con classico meccanismo di negazione - di donna più anziana32. Tra quelle maschili, distanziandosi sia dal tenore che dal basso, emerse la voce centrale del baritono, di solito l’odiato rivale. Le voci maschili basse, infatti, spesso protagonisti nelle opere settecentesche ( si pensi a Don Giovanni o a Figaro in Mozart, a Maometto II in Rossini ) furono utilizzati da allora in poi - Verdi è un caso a parte - per i ruoli di antagonista, oppure di depositari del potere patriarcale contro cui andava ad infrangersi il sogno d’amore dei giovani. Ridisegnata così la mappa vocale del melodramma, i giovani protagonisti potevano intrecciare le loro vicende appassionate ed infelici, coronate sempre da una morte sacrificale. Lo stesso culto per la giovinezza dei martiri e degli eroi caratterizza il canone 33 risorgimentale; Mazzini affermava che chi aveva superato i quaranta’anni non poteva appartenere alla Giovane Italia poiché le speranze di rinnovamento, il futuro dei popoli risiedevano nello slancio giovanile: «La gioventù è santa: la gioventù anela al sacrificio puro»34. Il ribelle, il bandito, il rivoluzionario, il patriota erano animati dalla spericolata vitalità della gioventù, alieni dal compromesso e animati da un afflato appassionato, i protagonisti dell’epopea risorgimentale potrebbero essere accostati ai baldanzosi tenori, costretti a morire sulla scena. La vocalità romantica acquistò così uno spessore etico e normativo, fornì i modelli di riferimento per la 32 R. Talmelli, Contralti e tenori ovvero il doppio registro. L'eredità dei castrati, in La voce del cantante, vol. V, a cura di Franco Fussi, Atti del Convegno La voce artistica, Ravenna, ottobre 2007), a cura di F. Fussi, Torino, Omega, 2009, pp. 219-233; N. A. .André , Voicing gender: Castrati, Travesti and Second Woman in Early-Nineteenth-Century Italian Opera, Bloomington, Indiana University Press, 2006; K. Lawrence, Opera. Two or three things I know about her, in Siren Songs. Rapresentations of Gender and Sexuality a cura di Mary Ann Smart, Princeton and Oxford, Princeton University Press, 2000, pp. 186-203. 33 A.M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità ed onore alle origini dell’Italia Unita, Torino, 1999. Per gli aspetti musicali e vocali ci sia consentito rimandare al saggio di S. Chiappini : La voce della martire. Dagli evirati cantori all’eroina romantica, in Storia d’Italia, Il Risorgimento (Annali), vol. XXII, A. M. Banti e P. Ginsborg (a cura di), Torino, Einaudi, 2007, pp. 289-328 34 G. Mazzini, D’alcune cause che impedirono finora lo sviluppo della libertà in Italia, in Scritti politici, a cura di F. della Peruta, I, Torino, 1976, p.115. 14 costruzione della femminilità e della virilità, nella prospettiva, auspicata anche da Mazzini, di contribuire, tramite il carisma musicale e la capillarità della ricezione operistica, alla diffusione di una pedagogia patriottica e morale necessaria al rinnovamento civile della nuova nazione. Alla figura femminile, in particolare, « santa d'avvenire e di purificazione»35, Mazzini affidava il compito fondamentale di «rigenerare» la «serva Italia», attraverso il dono dell'amore e l'educazione al martirio. L’eroina ottocentesca si avviava così al suo destino di vestale dei sentimenti: amoroso, filiale e soprattutto materno, in nome dei quali diveniva la vittima generosa capace di sacrificarsi per il bene tutti. Riportata alla sua “naturalità (si pensi alla prescrizione rousseauiana dell’allattamento a seno, contro alla pratica aristocratica dell’affidamento alla balia) la funzione materna diventava potentemente affettiva, e quindi idealizzata e depurata della ambiguità e dei conflitti. Alle eroine omicide della tragedia classica come Medea o a quelle incestuose come Semiramide o Fedra si sostituirono Norma, Lucia, Violetta che si redimevano attraverso il dolore, la follia, la malattia e la morte.36 5 - DAL CASTRATO ALLA ROCK STAR La voce del soprano, intensa e luminosa, condensava le valenze contraddittorie dell'immagine femminile ottocentesca, costretta nel chiuso dell'intimità domestica e capace di grandi, eroiche fiammate di sentimento, destinata alla sofferenza ma anche alla consapevolezza. La voce dell’ “altra” taceva. Solo nel Novecento, e non in Italia, Mahler, Richard Strauss, gli autori di scuola russa Glinka, Rimskij- Korsakov, Musorgskij, Britten, e poi Stravinskij ripresero l’utilizzazione del colore prezioso del contralto - ricreando sfumate diversificazioni nella definizione della nuova identità sessuale femminile. Nel Rosenkavalier (1913) Richard Strauss evoca sapientemente i fantasmi del passato con una citazione raffinata e decadente delle Nozze di Figaro. Come il Cherubino mozartiano, anche qui è presente un paggio con la voce di mezzo-soprano en travesti: Octavian, diciassettenne amante della più matura Marescialla. L'opera si apre sull'alcova della nobildonna, dove i due hanno trascorso una notte appassionata; il giovane impetuoso e non sazio dichiara e reclama amore, lei risponde con elegante malinconia, venata di struggenti presentimenti sul tempo che passa. Come di prammatica anche in questo caso la fragrante giovinezza di Octavian può essere scambiata con le acerbe grazie di una servetta, con i cui abiti si traveste, scatenando le voglie dell'anziano barone, cugino della Marescialla. Da qui tutti i tradizionali equivoci tra l'erotico e il 35 G. Mazzini, La filosofia della musica, a cura di Stefano Ragni, Pisa, Domus mazziniana, 1996, p.17. Per la centralità delle eroine operistica nell'immaginario melodrammatico: S. Chiappini, Folli, sonnambule, sartine. La voce femminile nell'Ottocento italiano, Firenze, Le Lettere, 2006; S Rutherford, The Prima Donna and Opera (18151930), Cambridge University Press, 2006. 36 15 buffonesco; il mezzo-soprano si maschera due volte, interpretando un ruolo maschile che veste poi panni femminili, ed esibendo un notevole virtuosismo interpretativo. Ci dimentichiamo che il bell'Octavian è in realtà una donna e ridiamo ai suoi goffi tentativi di simulare la ritrosia selvatica della cameriera, alle prese con le smanie senili del barone. Il cross dressing, divenuto raro nell’Ottocento (o relegato a momento grottesco), ritorna quindi a frequentare i palcoscenici del Novecento. L’ambiguità riemerge, insieme ad un tormentato erotismo. Gabriele D'Annunzio aveva voluto Ida Rubinstein, ballerina e mima dalla bellezza androgina, come interprete del suo Le martyre de saint Sébastien (1910) “mistero”, estenuato melange tra religione e sensualità, musicato da Debussy, che presentava il santo come un efebo omosessuale, delicato e ardente d' amore; il tormento e l'estasi del bellissimo Adone assumevano coloriture di morbosità decadente tali da suscitare le scandalizzate reazioni del vescovo di Parigi, che minacciò di scomunica gli spettatori desiderosi di ammirare a teatro le nudità trafitte dell' androgina Ida. Non è un caso che la successiva trasformazione in icona gay di san Sebastiano risenta anche di questa versione liberty del santo martire. Nel Novecento l’omosessualità compare sulle scene del melodramma: non solo in Lulu, di Berg (1937), e più o meno apertamente in composizioni di Britten37, ma anche in varie opere degli ultimi decenni che si prestano ad una lettura queer. Ma se gettiamo uno sguardo sulla contemporaneità dobbiamo constatare che il melodramma, da più di mezzo secolo, non gode della diffusione e della popolarità di un tempo; è divenuto un genere colto e desueto, riservato in genere a cultori specialistici o ad un pubblico nostalgico. L'attenzione dei mass media, delle case di produzione e dei pubblici di tutto il mondo è rivolto ad altre forma di intrettenimento, alla musica pop-rock, che polarizza l'interesse dei giovani, e meno giovani, attraverso modalità comunicative nuove, tra cui un diverso uso dello strumento vocale: non più voci “impostate” atletiche e metalliche, adatte a farsi sentire senza amplificazioni negli spazi teatrali, ma piuttosto voci “naturali”, modificate dall'uso dei microfoni. Con questa strumentazione, e le “magie” della sala d'incisione, anche i difetti di emissione possono divenire “interessanti” 38 , non solo perché il microfono, sapientemente usato, valorizza le inflessioni, gli effetti, le particolarità del timbro, amplifica risonanze e volume, ma anche perché una voce canonicamente “bella” non è più necessaria nell’ambito della musica leggera, conta piuttosto la capacità di essere inconfondibili, comunicativi, accattivanti, facilmente fruibili. Il cantante d’opera era costretto ad una disciplina costante per conservare la propria integrità vocale, 37 Come ad esempio Peter Grimes, Albert Herring, The Turn of the Screw, Owen Wingrav, Billy Bud (1951). 38 I modelli estetici sono indubbiamente cambiati; in questo contesto anche le patologie della fonazione possono essere motivo di attrazione: la presenza di afonie dovute a noduli “particolarizza” la voce, come conferma il caso di Bonnie Tyler, una cantante rock inglese che ha confessato in un’intervista di dovere il suo successo (It's a hearthace del 1977) ad una operazione che l’aveva resa disfonica. 16 esattamente come un atleta deve mantenere alte le sue prestazioni, la voce del divo pop-rock, meno aderente a codici estetici e a convenzioni, si propone come spontanea e derivante direttamente dal parlato; anzi, una voce arrochita dal fumo e dall’alcool, o resa afona dagli stupefacenti è considerata “particolare”, perché reca l’orma delle esperienze dell’interprete e ne rispecchia la biografia tormentata. Da Marlene Dietrich, a Billie Holiday, da Edith Piaf a Nina Simone e Janis Joplin i cantanti hanno detto molto della loro vita con la voce. La preminenza della voce nero-americana, in cui prevale, nell’ambito pop, l’uso “incolto” del registro di petto e una capacità di salire in alto spesso aggressiva ed irruente, è oggi indiscutibile, costituisce anzi un modello stilistico la cui importanza può essere paragonata a quella che nel SeiSettecento era appannaggio della scuola italiana e dei suoi affascinanti castrati. Ma anche voci di bianchi come quella di Antony (and The Jonhsons), androgina drag queen dell'underground newyorkese, divenuta dal 2005 una star del neo-romanticismo, sono significative: contralto con sfumature celestialmente ermafrodite ripropone la malia di una voce al di là dei generi, che per certi versi ricorda quella di Kathleen Ferrier, contralto di scuola inglese degli anni '50, affascinante interprete di Gluck, di Bach e di musica da camera. L'esuberanza vocale di Freddy Mercury, la sensualità graffiante delle sue note basse, accompagnata da un falsetto potente e morbido, le sue esibizioni corporee elettrizzanti richiamano quella di un cantante barocco, nel suo costume fastoso all'interno di una messa in scena fantasmagorica. Il feticcio canoro si offre “in pasto al pubblico” in una oblazione simbolica che trapassa secoli e mode, e accomuna Maria Malibran a Mick Jagger, Maria Callas a Micheal Jackson. Il mondo gay ha continuato a mantenere un 'attenzione significativa verso il melodramma. L'espressione opera queen, che tradotto in modo gaglioffo suona “checca/finocchio melomane”, vuole riferirsi all'ascoltatore appassionato di lirica, che segue tutte le stagioni operistiche, si sbraccia in teatro per applaudire la sua cantante preferita, di cui conosce tutte le uscite discografiche e di cui assume i vizi e i tic istrionici e capricciosi. 39 Perché oggi l'opera (quella romantica, col triangolo tradizionale: lui, lei l'altro) piace proprio ai gay e perché piacciono soprattutto i personaggi femminili (quelli delle vittime appassionate e perdenti) e le cantanti-donne che le interpretano? Si potrebbe forse rispondere che la femminilità grandiosa (anche se sconfitta) rappresentata sul 39 W. Koestenbaum, The Queen’s Throat: Opera, Homosexuality, and the Mystery of Desire, New York, Poseidon, 1993; Id., Queering the Pitch: The New Gay and Lesbian Musicology (1994) edited by Philip Brett, Elizabeth Wood and Gary C. Thomas; Musicology and Difference. Gender and Sexuality in Music Scholarship, edited by Ruth A.Solie, University of California Press, Berkeley- London, 1993;V. L. Bollough, B. Bollough, Cross Dressing, Sex And Gender, Philadelphia, University Of Pennsylvania Press, 1993; C.E. Blackmer, P. J. Smith, En Travesty. Women, Gender Subversion, Opera, New York University Press 1995. 17 palcoscenico dall'eroina melodrammatica somiglia all'artificiale esagerazione del drag, così come il cross-dressing mima la femminilità iperbolica e teatrale della “vera donna”. Simone de Beauvoir affermava che la “vera” donna è un prodotto artificiale, con tacchi, parrucche e ciglia finte, come una volta lo erano i castrati. In questo momento storico i limiti e le interconnessione tra i generi e la loro rappresentazione diventano sottili ed osmotiche: secondo i modelli standardizzati della pubblicità il corpo maschile è presentato come muscoloso e tornito, abbondante e plastico, quello femminile, invece, efebico e spigoloso, leggermente spiritato, fornito solo da gadget che sembrano posticce protesi turgide: labbra gonfie e allusive e seno incongruamente abbondante sul busto ossuto.40 Se il melodramma barocco esprimeva una variabilità di utilizzazioni vocali in contrasto con la “naturalità” dei generi sessuali, il canto lirico ottocentesco ha stabilizzato come “naturale” la famiglia borghese, la polarità edipica padre/madre, figlio/figlia e “altro”, traducendola in termini drammaturgici e vocali: basso/contralto = genitore; tenore e soprano = figli; baritono e mezzosoprano = rivali/antagonisti. La voce del tenore nell'Ottocento è divenuta nettamente virile e collegata ad un'identità sessuale inequivocabilmente maschile perché delegata a costruire nell'immaginario un modello sociale e rappresentativo non ambivalente41. Tuttavia l'opera, nel suo smaccato artificio, consente comunque il trascendimento dei generi, smascherandone la relatività; la convenzione operistica ha sempre permesso l'intercambiabilità dei ruoli sessuali non solo attraverso la macchina dei travestimenti, ma soprattutto grazie la centralità della voce, medium refrattario ad ogni sterilizzazione normativa. «La sensualità imperiale dello spettacolo d’opera»42 nasce da una varietà di sollecitazioni sensoriali uditive, visive, olfattive, quali luci, scenografia, costumi, profumi, e, non ultimo, il piacere di vedere e di essere visti. Il canto operistico, inoltre, è un atto atletico innaturale e di grande dispendio energetico, ma è anche un atto marcatamente sessuale, esagerato e drammatico, che ha come centro la gola e la bocca, zone erogene primarie per una fantasia omosessuale. Scagliare montagne di suono diffuse su due ottave davanti a migliaia di persone, e senza microfono, è un atto che richiede una certa dose di follia: può essere interpretato come un orgasmo, o come un uscire allo scoperto emotivo, fondamentale per chi, 40 J. Butler, Scambi di Genere. Identità sesso e desiderio, Milano, Sansoni, 2004; Id. Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”. Milano, Feltrinelli,1996; Id, La disfatta del genere, a cura di O. Guaraldo, traduzione di P. Maffezzoli, Roma, Meltemi, 2006. 41 42 Teresa de Lauretis, Soggetti eccentrici, Milano, Feltrinelli,1999, p.102. R. Barthes, Il fantasma dell’Opéra, in La grana della voce,Torino, Einaudi, 1986, p. 183 18 come il gay, sta nel “closet” e non può “urlare-cantare” la sua pena.43 Inoltre la cantante -femmina carismatica, che l'opera queen adora, assume, proprio attraverso la passione, il desiderio, il sacrificio, un ruolo eroico e centrale, assai più del suo spesso incontrollato e stolido innamorato. Uccisa, abbandonata o straziata, l'eroina gode di una superiorità drammaturgica incontrastata, la sua voce travolge e commuove, stupisce: corre tra i registri a travestirsi con acuti infantili e voci di petto inquietanti, come la divina Maria, l'amante perfetta ed irraggiungibile per ogni opera queen. 43 P. Robinson, The opera queen: A voice from the closet, in Cambridge Opera Journal, vol. VI, n° 3, novembre 1994, pp. 283; M. Morris, Reading as an Opera Queen, in Ruth A. Solie (a cura di), Musicology and Difference. Gender and Sexuality in Music Scholarship, University of California Press, Berkeley, 1993. 19