Leggi l`articolo di Giorgio Meletti su Il Fatto Quotidiano
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ROMANZO CRIMINALE il Fatto Quotidiano L’ ex assessore: “Tor Sapienza ”GIÀ DALLE PRIME ORE, dai primi momenti, ho avuto la percezione che qualcosa non andasse, che ci fosse una strumentalizzazione. Tor Sapienza era una trappola”. Lo ha dichiarato ieri mattina a Sky TG24 l’ex assessore alle Politiche Sociali di Roma, Rita Cutini, parlando della rivolta anti-immigrati di novembre nella periferia romana. La Cutini, che la banda di Buzzi e Carminati non era riuscita ad av- era una trappola” vicinare, lunedì dopo un incontro che ha definito “molto deludente” con il sindaco Ignazio Marino ha lasciato il suo incarico istituzionale sbattendo la porta. Marino fino al giorno prima degli arresti di Mafia Capitale voleva sostituirla con l'assessore alla Casa, poi coinvolto nell’inchiesta, Daniele Ozzimo. “Il disagio della gente va rispettato e ascoltato, non strumentalizzato politicamente. Nelle carte di MERCOLEDÌ 17 DICEMBRE 2014 5 Mafia Capitale su Tor Sapienza sono emersi particolari inquietanti – ha proseguito nell’intervista la Cutini –. L’affare non sono i rom e gli immigrati, l’affare è l’emergenza”. L’ex assessore ha aggiunto: “I soldi che possono essere utilizzati dalle cosche infatti sono quelli delle emergenze , sul sociale i soldi non ci sono. Nei casi simili a Tor Sapienza invece è possibile ricavare fasce di facile guadagno”. DON CIOTTI, LEZIONE DI LEGALITÀ E I CAPI DELLE COOP SE NE VANNO CONGRESSO DELLA LEGA, IL PRESIDENTE LUSETTI DICE BASTA AI FINANZIAMENTI AI PARTITI E AI SUPERSTIPENDI. GELO. E SEDIE VUOTE QUANDO PARLA IL SACERDOTE di Giorgio Meletti P er chi non ricorda riti e codici del comunismo reale (all’italiana) lo strappo avviene in modo incomprensibile. Il presidente di Legacoop Mauro Lusetti finisce di leggere la relazione introduttiva al trentanovesimo congresso e dalla prima fila, quasi tutta occupata dai grandi papaveri delle coop cosiddette rosse, solo Maurizio Gandini, presidente della Confcooperative (le bianche storiche rivali), sale sul palco per abbracciare e festeggiare il collega che sei mesi fa ha preso il posto di Giuliano Poletti promosso ministro del Lavoro. Gli altri, i rossi, si alzano e lasciano la sala proprio mentre la giornalista di Sky Federica De Sanctis, ingaggiata come brava presentatrice, dà la parola a Don Luigi Ciotti. Così il fondatore del Gruppo Abele pronuncia la sua invettiva “contro la mafia e tutte le illegalità” davanti a una platea dimezzata. In prima fila rimane solo Pierluigi Stefanini, il più potente di tutti, il vero capo, quello che otto anni fa guidò la resa dei conti con Gianni Consorte e ne prese il posto alla presidenza dell’Unipol. Don Ciotti è vittima incolpevole dello sgarro. A sua insaputa ieri pomeriggio all’Auditorium di Roma è deflagrato uno scontro durissimo dentro il cosiddetto movimento cooperativo. Il caso della “29 giugno” di Salvatore Buzzi, bandiera della cooperazione rossa e protagonista dell’inchiesta Mafia Capitale, fa esplodere la contraddizione tra il marchio di qualità Legacoop e i furbetti che se ne fanno scudo per affari talvolta loschi e troppo spesso lontani anni luce dai principi di solidarietà e rispetto della dignità del lavoratore che dovrebbero caratterizzare il sedicente movimento. Da oltre vent’anni, cioè da quando Lanfranco Turci accusava i satrapi delle grandi coop di “cesarismo”, non si sentiva un attacco così poderoso del vertice della Lega contro le grandi aziende e i loro padri-padroni. Lusetti ha detto quattro volte basta: basta con i soci delle cooperative trattati come sudditi, basta con le presidenze eterne, basta con i super-stipendi ai manager (i 25 mila euro al mese di Buzzi sono ormai moneta corrente tra i manager rossi) e, soprattutto, LO STRAPPO Il leader della centrale rossa chiede “rinnovamento” e“trasparenza”, lo abbraccia solo Gardini, il “rivale”bianco IN SALA Sedie vuote in prima fila al congresso di Legacoop quando parla don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e di Libera LaPresse basta con i finanziamenti ai partiti. LUSETTI SFODERA un arma- mentario retorico da vecchia cellula comunista. Prima respinge gli attacchi strumentali “dei nostri avversari” e difende a spada tratta la ditta a colpi di “rabbia e sconcerto” e di “noi siamo persone per bene”. La platea si spella le mani. Poi comincia a parlare e dice cose che quel reggimento di professionisti della riunione inconcludente (pochissime le donne) conosce alla perfezione. E quando nomina “i nostri limiti e alcuni nostri ritardi” tutti capiscono che sta partendo una girandola di circonlocuzioni al veleno, come “a volte ci siamo omologati a un mercato poco trasparente”, oppure “avviamo una riflessione sulla legalità” o “spinta al rinnovamento”, frasi solo apparente- mente generiche ma in realtà affilatissime: la diagnosi e la terapia non negoziabile. La Legacoop è un sindacato di imprese, come la Confindustria o la Confcommercio. Ma a differenza delle altre, dispone di un marchio abilitante, quasi sempre più forte e più credibile di quello della singola azienda. Se dunque l’uscita della Fiat da Confindustria ha fatto male solo alla burocrazia associativa, l’espulsione di Unipol o Manutencoop dalla Lega (solo per fare l’esempio di due coop al centro di casi giudiziari, rispettivamente Fonsai e Expo) avrebbe per i due giganti bolognesi un costo reputazionale gravissimo. Lusetti, provenendo dal vertice della Conad, conosce bene il problema, e se ne fa forte per imporre le sue regole, o almeno per provarci: a nome di tutte le coop pulite, minaccia guerra a chi mette in pericolo la reputazione comune custodita nel marchio Legacoop. Questo gli consente anche di dettare regole e comportamenti alle imprese aderenti, cosa che la Confindustria non potrebbe nemmeno sognarsi. Ai sensi del codice civile, l’ordine è impartito sotto forma di “invito”: “Legacoop non darà più finanziamenti a partiti e uomini politici e invita tutte le coop a smettere”, scandisce Lusetti. Poi annuncia una modifica dello Statuto per introdurre nuove più stringenti regole sul prestito sociale, che ormai molte coop usano per fare le merchant bank senza vigilanza di Bankitalia, con risultati imbarazzanti come il fallimento delle due cooperative del Friuli Venezia Giulia che hanno bruciato 130 milioni di risparmi dei soci. Poi lancia l’idea indicibile, un limite ai mandati al vertice, che mette il panico in una platea disseminata di presidenti pluri-decennali. E infine propone di regolare il fenomeno dei superstipendi. INSOMMA, dentro le coop ros- se c’è un problema serissimo di cui Buzzi e la sua “29 giugno” sono solo un esempio. I manager rossi – ancora nostalgici di Poletti che è durato a lungo anche perché molto rispettoso della cosiddetta autonomia delle imprese – la prendono male, si alzano e se ne vanno. Così schivano l’appello di Don Ciotti (“Avete il dovere della verità, di ascoltare la voce scomoda della coscienza”) e anche la sua invettiva contro il premier infallibile che non nomina: “Se incontrate uno che sa tutto e ha capito tutto, salutatemelo personalmente e cambiate strada”. Quando Buzzi preparava i “minibond” NEL MAGGIO SCORSO ALL’ASSEMBLEA DELLA “29 GIUGNO”: “IL 2013 L’ANNO MIGLIORE”. IL BOOM DEL FATTURATO CON ALEMANNO di Daniele Martini l 2013 è stato l’anno migliore della nostra I storia» esulta Salvatore Buzzi nella relazione all’ultima assemblea di bilancio della sua coop «29 giugno» tenuta a Roma alla fine di maggio 2014. I dati che snocciola ai soci e al qualificato parterre di ospiti gli danno pienamente ragione: dal 2011 al 2013, gli anni dell’ultima fase dell’amministrazione del sindaco Gianni Alemanno, il fatturato balza da 32 milioni e mezzo di euro a quasi 51, con un incremento del 23,6 per cento nel 2012 e del 20,7 l'anno successivo. Tra il 2011 e il 2012 la crescita del risultato operativo è da record: 71 per cento. Nel 2013 si riduce un po’ (48,2 per cento) restando comunque su livelli da Guinness. Gli importi a favore dei soci ammontano nel 2013 a 563 mila euro, gli occupati sono quasi un migliaio. CONSAPEVOLE di aver scovato un filone d’oro, Buzzi annuncia di voler battere il ferro finché è caldo lanciandosi nella finanza all’inseguimento di altri strabilianti successi. Per questo ha bisogno di nuovi fondi, quattrini da sommare alle linee di credito che gli erano state accordate volentieri da ben sei tra banche e istituzioni finanziarie: Unipol Banca, Banca Prossima, Banca Etica, Cooperfactor, CCFS-Consorzio cooperativo finanziario per lo sviluppo e Coopfond, braccio finanziario di Legacoop. Quella stessa Coopfond che nel 2008 era già intervenuta al fianco di Buzzi sottoscrivendo un aumento di capitale da 1 milione di euro per un’altra creatura a lui vicina, Consorzio Formula Ambiente, attiva in sette regioni, partecipata al 30 per cento dalla «29 giugno» e anch’essa con il vento in poppa: fatturato di 81 milioni di euro nel 2013 e un utile di quasi un milione. Per crescere Buzzi dice di avere allo studio «la possibilità di emettere minibond» d’intesa pro- Salvatore Buzzi in una foto del 2010 Ansa prio con Coopfond e anche Legacoop, guidata fino a qualche settimana prima da Giuliano Poletti, nel frattempo diventato ministro del Lavoro. Confidando in pratica sul sostegno e anche sull'immagine di Coopfond e della grande e potente Lega, Buzzi prepara in sostanza uno sbarco diretto nel mercato degli investitori istituzionali lanciando una sorta di prestito obbligazionario. I minibond di cui Buzzi progetta l’emissione sono strumenti finanziari studiati come integrazione o alternativa al credito bancario per le imprese non quotate alla ricerca di fondi per consolidare ed accrescere il business. Le condizioni perché un’azienda possa emetterli è che l'ultimo bilancio sia stato revisionato da un revisore legale o da una società di revisione e che la stessa società di emissione sia assistita da uno sponsor. Buzzi ricorda ai presenti che la IL PIANO sua «29 giugno» ha le carte in regola per avviare l'operazione, La cooperativa finita anzi, che appartiene alla stretta cerchia di coop romane e lanell’inchiesta ziali, appena sei, che possono progettava l’emissione vantare in pieno i requisiti richiesti. Il messaggio pare indidi obbligazioni, rizzato soprattutto ai dirigenti nazionali e romani della Lega sostenuta dal braccio delle cooperative con cui Buzzi finanziario cooperativo dimostra di avere un’intensa consuetudine. Così come risulta anche da un episodio solo apparentemente minore, illustrato con dovizia di particolari nella relazione di bilancio: il salvataggio da parte della «29 giugno» della storica Cooperativa deposito locomotive di San Lorenzo, nata alla fine della Seconda guerra mondiale. Buzzi acquista nella zona Case Rosse (Settecamini) 14 appartamenti di questa coop ormai traballante strappandola ad una fine ingloriosa. IN PRIMA FILA ad ascoltare il peana di Buzzi ci sono il presidente di Legacoop Lazio, Stefano Venditti, Mattia Stella, dirigente del gabinetto del sindaco Ignazio Marino, il direttore generale di Ama, Giovanni Fiscon (poi arrestato), il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, l'amministratore di Banca Prossima, Marco Morganti, il presidente Legacoop sociali del Lazio, Pino Bongiorno, Giuseppe Cinquanta e Salvatore Forlenza (arrestato), dirigenti di Cns-Consorzio nazionale servizi a cui la «29 giugno» aderisce. Non presenti, ma calorosamente ringraziati per la vicinanza ideale, il ministro Poletti, il consigliere comunale Mirko Coratti, presidente dell’assemblea capitolina, e l'assessore Daniele Ozzimo, entrambi Pd, entrambi dimissionari in seguito al coinvolgimento nella storia della «29 giugno». [email protected]