Per aprire il “locale” di Rivoli aveva già 40 “cristiani”, ma
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Per aprire il “locale” di Rivoli aveva già 40 “cristiani”, ma
26 Dossier ‘ndrangheta SAN MAURO TORINESE Avrebbe voluto colmare il “vuoto di potere” creatosi con l’arresto dei suoi capi, Adolfo e Cosimo Crea A Demasi mancavano solo 9 uomini Per aprire il “locale” di Rivoli aveva già 40 “cristiani”, ma ne servivano almeno 49 STEFANO BONGI Salvatore Demasi, “Giorgio” per gli amici, 66 anni, nato a Martone in provincia di Reggio Calabria. Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia sarebbe il capo del “locale” di San Mauro Torinese. Con lui una quarantina di fedelissimi, dediti al controlli di numerose attività illecite nell’oltrepò. Un uomo potente ed ambizioso, a tal punto d’aver in tutti i modi cercato di estendere la propria influenza anche su Rivoli, dove formalmente risiede. Ma la scalata ai vertici della malavita torinese, stando ai provvedimenti delle due Procure, gli sarebbe sfumata. Il suo nome, insieme a quello di altri 300 aderenti alla ‘ndrangheta, è nella lista nella maxi operazione contro la criminalità organizzata portata avanti dalle Procure di Reggio Calabria e Milano. Dalle intercettazioni emerge un quadro inquietante, una sorta di preambolo ad una guerra tra bande per gestire le attività criminali all’ombra della Mole. Un conflitto che iniziato a Torino, sarebbe inevitabilmente passato da San Mauro. Secondo le ricostruzioni seguite alle intercettazioni, il Demasi non meno di un anno fa aveva espresso ai referenti calabresi di Siderno, il desiderio di prendere il controllo del “locale” di Rivoli approfittando dell’arresto dei suoi capi, i fratelli Adolfo e Cosimo Crea. Nella scalata avrebbe potuto contare sull’appoggio di Francesco D’Onofrio, ex terrorista di Prima Linea, classe ’55, residente a Nichelino. “Non si possono lasciare a spasso 40 cristiani…” ripete al telefono, sapendo di avere contro di lui, tanto per cominciare i numeri. Per aprire un “locale”, con la benedizione delle famiglie calabresi e secondo le ferre regole della ‘n- drangheta, di affiliati ce ne vogliono almeno 49. Le aspirazioni di Demasi, sempre secondo le ricostruzioni delle Procure, avrebbero subito fatto il giro degli ambienti malavitosi torinesi fino ad arrivare alle orecchie del “Mastro” Giuseppe Commisso (una sorta di mediatore tra gli affiliati e la locale di Siderno in Calabria, a capo di una sorta di superassociazione con più di 96 affiliati). Giuseppe Comisso fa capire a Giuseppe Catalano (capo del “locale” di Torino) che non è il caso di aiutare Demasi nella sua scalata anche perchè i Crea sono ancora legati alle cosche di Pazzano (Rc) e alla famiglia di Giuseppe Pelle, detto “Gambazza”, che non è ancora entrato nell’organizzazione piramidale che si vuole mettere in piedi. Senza tanti giri di parole, e per evitare una guerra, gli dice che se aiuta Demasi è in pericolo di vita perché i Crea, una volta fuori dalle sbarre, potrebbero reagire allo sgarro subito. “Il discorso sembra facile, ma non lo è. Poi fanno le tragedie… sentite che vi dice il sottoscritto…” spiega il “Mastro”. Così Catalano, che in un primo momento sembra disposto all’annessione di Rivoli, si sarebbe ritirato in buon ordine. Della vicenda ne parlano praticamente tutti i pezzi da 90 della ‘ndrangheta torinese. “Compare Giorgio” (Salvatore Demasi N.d.R.) si sta approfittando, fa delle cose che non può fare…” commenta Cosimo Montesanto, classe ’37, originario di Siderno (Rc), residente a San Francesco al Campo, in una conversazione con il suo compaesano Cosimo Lombardo, classe ’42, residente a Torino. Sempre dalle intercettazioni ambientali registrate dalla Procura del capoluogo calabrese emergerebbe anche la volontà di creare in Piemonte una “Camera di controllo” che ancora non c’è e che invece hanno in Lombardia e in Liguria. Una sorta di assemblea dei capi cosca della regione. Ciò spiegherebbe il fermento tra i gruppi attivi a Torino nella ricerca di una leadership. Così si rivolge Catalano al “Mastro” Com- misso: “Questo fatto della Camera di Controllo che hanno sia la Lombardia che la Liguria, giusto? Perché a Torino non gli spetta? Siamo nove locali…”. Vale a dire che secondo l’ex numero uno del “locale” torinese, sarebbe necessario un organismo “super partes” per evitare pericolose fughe in avanti come quelle del capo della ‘ndrangheta di San Mauro. A Settimo una ‘ndrangheta di stampo siciliano, i Magnis In via Foglizzo un vero e proprio arsenale La ‘ndrangheta a Settimo Torinese? Un’anomalia. I “picciotti” sono infatti tutti originari della Sicilia e non dalla Calabria come si sarebbe indotti a pensare. Chiamiamoli “i sopravvissuti” alla sanguinosa guerra tra palermitani e catanesi che segnò le cronache degli anni ’80 sotto la Mole. I due clan si annientarono a vicenda lasciando numerosi “manovali della mafia” a briglie sciolte. Reciso il cordone ombelicale con la Sicilia alcune famiglie si trovarono gioco forza a “collaborare” con le ‘ndrine calabresi in forte ascesa su tutto il territorio piemontese. Ricordiamo alcuni avvenimenti. Nell’ottobre scorso Francesco Magnis, residente in via Foglizzo, venne colpito alla testa da un proiettile mentre stava tornando a casa. Fu l’ultimo atto di quella che gli inquirenti sospettarono potesse essere una guerra tra famiglie rivali per il controllo dei traffici illeciti sul territorio. Del resto, secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Torino, proprio Francesco Magnis detto “Ciccio” qualche mese prima, attirato in una trappola nel capoluogo piemontese, scampò ad una vera e propria esecuzione soltanto grazie alla circostanza fortuita dell’inceppamento dell’arma del suo killer. Da quella notte risulta irreperibile. E siamo ai primi giorni del 2010 con il maxi sequestro di un vero e proprio arsenale in via Foglizzo 16, zona Borgo Nuovo. In carcere finì Roberto Magnis, 40 anni, fratello di Francesco e pregiudicato, in seguito rilasciato dal giudice in attesa di processo. E’ accusato di detenzione illegale di armi ad uso comune e da guerra e proiettili, oltre che di ricettazione. Nelle salette comuni di via Foglizzo 16, i militari trovarono due kalashnikov Ak47 senza matricola, un fucile doppietta a canne mozze rubato a Catanzaro nell’87, due caricatori dei kalashnikov con 18 cartucce complessive inserite. In altre scatole c’erano 82 cartucce calibro 38, 36 cartucce calibro 7,62, 25 cartucce a pallettoni, 8 cartucce a palla singola, due giubbotti antiproiettile, 2 “funghi” lampeggianti blu di quelli in uso alle forze dell’ordine, una parrucca nera e riccia oltre a due ciclomotori: un piaggio ed un phantom Malaguti, entrambi di provenienza furtiva. Tutto ciò servirà ad evitare una guerra tra bande nella città delle fragole? Ieri si, domani chi lo sa. Di fatto con la maxi operazio- ne della scorsa settimana le carte si sono mischiate. Con Domenico Oppedisano, il boss dei boss che garantiva la pax mafiosa, Le ‘ndrine di ieri e di oggi CIRIACESE IERI Agresta, Marando OGGI Catalano Montesanto A LEINI E VOLPIANO IERI Agresta, Marando e Trimboli OGGI Fida A SETTIMO E SAN MAURO IERI Agresta, Marando e Trimboli OGGI Magnis a Settimo Demasi a San Mauro A CHIVASSO IERI Ursini OGGI Cufari e Maiolo finito in galera, tutte le ipotesi restano aperte, anche quelle di un sanguinoso regolamento di conti senza precedenti.