PROVERBI - Parrocchia Santi Silvestro e Martino
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PROVERBI - Parrocchia Santi Silvestro e Martino
Parrocchia Santi Silvestro e Martino Milano Catechesi biblica degli adulti Anno 8°, n 2, 25 novembre 2014 I LIBRI SAPIENZIALI PROVERBI Tutta la realtà in un piccolo frammento INTRODUZIONE Il libro dei Proverbi è una collezione di brani diversi per origine e datazione. Tuttavia, benché si notino più mani di stesura, l’ideo cosmopolita che si intravvede non sembra essere rilevata. Infatti, la raccolta è posta interamente sotto il patronato di “Salomone, figlio di Davide, re di Israele” e il primo nome riceve tutta la sua importanza dai due titoli che lo seguono. Perché salomone? Per un motivo molto semplice: questo re, indiscutibile sotto certi aspetti, era famoso, come abbiamo già rilevato, per le sue capacità letterarie e di governo. Qualificando l’autore dei Proverbi come figlio di Davide e Re di Israele, si vuole allora evidenziare che la Sapienza, come si pensava in tutto l’Oriente, è di origine regale. E in particolare per l’Israelita: non è forse il Signore il “Re di Israele” per eccellenza? In questo caso il Re poteva così passare come oracolo di Dio. Inoltre la specificazione “figlio di Davide”, che era il portatore dell’Alleanza e delle promesse, faceva sì che questa sapienza che poteva essere catalogata come profana, fosse recuperabile da parte di una teologia religiosa. Tutto quanto detto vuole significare che i 31 capitoli del libro fanno parte integrante della rivelazione divina che si esprime attraverso la storia del popolo di Israele. La raccolta intende comunicare quindi un’esperienza morale e religiosa che permetta ai giovani e ai meno giovani di comportarsi rettamente e intelligentemente nelle varie circostanze della vita. Dice il filosofo Bacone “Il genio, la saggezza, lo spirito di una nazione, si scoprono nei suoi proverbi”. Il proverbio ha una sua connotazione: esso è come una scheggia pur nella sua semplicità, è difficile da costruire, perché raccoglie tutta la realtà in un piccolo frammento (Ravasi). Si deve trovare allora una forma espressiva che colpisca la mente, cercando di evitare discorsi complicati che potrebbero negare la forza del messaggio sino a renderlo incomprensibile. Il proverbio deve andare diritto al cuore e alla mente di tutti, anche della persona più semplice, proprio perché ha più bisogno di imparare. Deve essere di facile apprendimento, ed è così che molto spesso è in rima e anche foneticamente musicale (con suoni onomatopeici). LA STRUTTURA DEL LIBRO Possiamo dividere i 31 capitoli, di cui il libro è composto, in cinque parti: 1° parte: la più recente (500-400 a.C.) è la più nobile e sofisticata e va dal cap 1 al cap 9 2° parte: comprende i capitoli dal 10 al 22, si divide in due parti, dal 10 al 15 dove si evidenzia il contrasto tra l’uomo giusto e l’empio; l’altra dal 15 al 22 odve si parla della monarchia e che riflette l’epoca salomonica. 3° parte: va dalla seconda parte del capitolo 22 al capitolo 24 e si intitola “la parola dei saggi”. Notiamo qui una cosa curiosa: tutta questa sezione (22,17-23,14) è una libera trascrizione di un testo sapienziale egiziano del sec. XI di un certo Amenemope. Possiamo notare allora un esempio di fusione di sapienza israelita ed egiziana. Il saggio israelita precisa lo scopo che si prefigge prendendo i detti di una sapienza straniera. Egli vuole cioè aiutare il discepolo a porre tutta la sua fiducia nel Signore; ma per arrivare a questo, egli si serve di una pedagogia più universale, la cui fonte non è limitata solo alla rivelazione dell’alleanza. 1 4° parte: va dal capitolo 25 al 29 e si apre con un titolo chiarificante: anche questi sono proverbi di Salomone, trascritti dagli uomini di Ezechia, Re di Giuda. Possiamo quindi notare che Ezechia prese dei proverbi esistenti precedentemente e li elaborò. 5° parte: è anche l’ultima, cioè i capitoli 30 e 31; è formata da quattro frammenti proverbiali provenienti da luoghi diversi. Il primo è di un certo Re di Massa, di nome Agur. Anche questa volta siamo in presenza di una sapienza al di fuori di Israele (Prov 30,7-9). Il secondo è numerico e quando si gioca sui numeri c’è sempre una simbolica all’interno di tutte le culture (Prov 30,15-16). L’autore, usando pochissimi elementi, ha evidenziato una situazione drammatica tutta particolare, partendo da una realtà concreta come la sanguisuga. Il terzo testo è invece la sapienza di Lemuel, un altro saggio dell’antico oriente. Infine il quarto testo è il bellissimo inno alla donna sapiente. LE FONTI DEI PROVERBI La prima fonte dei Proverbi, potremmo dire il punto di partenza, è l’esperienza. L’esperienza umana detta in mille modi e nella quale tutti ci riconosciamo. Quasi sempre poche e chiare parole riescono ad esprimere realtà profondissime, prese dalla vita di ogni giorno, usando immagini che restano ben impresse nella mente: “Sbattendo il latte ne esce panna, premendo il naso ne esce sangue, spremendo la collera ne esce la lite” (30,33). “Chi accaparra il grano è maledetto dal popolo, la benedizione è invocata sul capo di chi lo vende” (10,26). “La mano pigra fa impoverire, la mano operosa arricchisce” (10,4) “Il dono è come un talismano per il proprietario: dovunque si volga ha successo” (17,8) Quest’ultimo proverbio è molto attuale, adatto alle culture di tutti i tempi, apre le porte della burocrazia, anzi, tutte le porte! Possiamo notare qui una sapienza molto spicciola, popolare, folkloristica, che viene, potremmo dire, dal basso, mentre se andiamo al capitolo 8 ci troviamo di fronte a tutt’altra sapienza, che risplende in tutta la sua luce. Essa viene presentata in un contesto “regale” per sottolineare in modo marcato l’importanza del messaggio. È una sapienza che viene “dall’alto”, nobile, che ha una conoscenza sofisticata, che ci parla di tutto il senso dell’essere e ci invita ad ammirare l’armonia che lo regge (8,22-23). Un’altra fonte proviene dalla tradizione, caratteristica della cultura tramandata oralmente, peculiarità di quella orientale. Nessuno di noi ha imparato tutto da solo, ma ha certamente avuto insegnanti; la tradizione assume un ruolo importante; ecco perché si trova spessissimo lo schema padre-figlio, maestro-discepolo, come abbiamo già osservato. Essendo una guida alla vita, la letteratura sapienziale deve essere comunicata, Oggi, nella nostra cultura, c’è una diffidenza, una specie di allergia alle sentenze; anche i proverbi, derivati dalla sapienza popolare, non si dicono più. Sono un retaggio del passato e se qualcuno osa proporli viene guardato con un sorriso compiacente. “Ascoltate, o figli, l’istruzione di un padre, e fate attenzione per conoscere a verità, poiché io vi do una buona dottrina” (4,1). “Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre e non disprezzare l’insegnamento di tua madre, perché saranno una corona preziosa sul tuo capo e monili per il tuo collo” (1,8-9). I consigli del padre sono “corona e collana” che adornano l’uomo, esempio di pedagogia allora molto valido, oggi da aggiornare; in ogni caso, verità da meditare. “Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo” (13,24). La riflessione è un’altra fonte. Dio ci ha dato la ragione e l’intelligenza per arrivare attraverso di esse alla deduzione e alla risposta ai tanti perché. Ritrovandoci con gli altri, confrontando e discutendo con loro, si possono aprire nuove vie alla conoscenza; ebbene, la sapienza nasce anche qui, nel dialogo e nell’ascolto: “Se hai trovato il miele, mangiane quanto ti basta per non essere nauseato e poi vomitarlo”: 2 “metti di rado il piede in casa del tuo vicino, perché non si stanchi di te e ti prenda in odio” (25,16-17). “Chi lavora la sua terra s sazierà di pane, chi insegue chimere si sazierà di miseria” (28,19). “Un anello d’oro al naso di un porco, tale è la donna bella ma priva di senno” (11,22). Come possiamo notare, qui è presente una venatura di antifemminismo e di misoginia che si ritrovano anche in altri detti sapienziali e che sono la tipica difesa del maschio, il quale, sotto sotto, ha sempre una certa paura della donna, nonostante si atteggi a superiorità; in pratica, egli riconosce che nelle donne c’è un mistero e allora cerca di demolirlo, di smitizzarlo, attaccandolo. L’ultima fonte, la più importante per il credente è la rivelazione, ossia il riconoscere che all’interno di ogni sentenza o detto, risuona sempre la voce di Dio. Non è l’intelligenza e neanche la scienza che si acquista con fatica e studi pazienti, che possono fare di un uomo un sapiente, un maestro. Solo colui che h il dono divino della sapienza può lasciare una scia, un’impronta della stessa, nelle persone che incontra: “Beato l’uomo che ha trovato la Sapienza, e il mortale che ha acquistato la prudenza, perché il suo possesso è preferibile a quello dell’argento e il suo provento a quello dell’oro. Essa è più preziosa delle perle e neppure l’oggetto più caro la eguaglia”. (3,13-15). L’UOMO E LA DONNA IDEALI Poiché il libro dei Proverbi, come abbiamo detto, ha una funzione educativa e ci fa un ritratto del mondo ideale, non asettico o distaccato, leggiamo alcuni passi presi qua e là per vedere di realizzare, come in puzzle, la figura di uomo che emerge da questa saggezza antica, così da poterci confrontare e scoprire se, ancora oggi, è valida e da prendere come esempio. “Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno se è in tuo potere di farlo. Non dire al tuo prossimo: va, ripassa, te lo darò domani, se tu hai ciò che ti chiede” (3,27-28) “La bilancia falsa è in abominio al Signore, ma del peso esatto Egli si compiace” (11,1) “La persona benefica avrà successo e chi disseta sarà dissetato” (11,25) “Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l’ira” (15,1) “Uno sguardo sereno dà gioia profonda, una buona notizia ridona la forza” (15,30) “È una gioia per l’uomo saper dare una risposta, quanto è gradita una parola detta a suo tempo” (15,39) “Iniziare un litigio è come aprire una diga; prima che la lite scoppi, troncala” (17,14) “Troppo miele e troppe lodi sono indigeste” (25,27) “Chi coltiva la sua terra si sazia di pane, chi insegue chimere è privo di senno” 12,11) “Senza buoi niente grano, l’abbondanza del raccolto sta nel vigore del toro” (14,4) (investi bene, invece che risparmiare nell’acquisto del bestiame; avrai un buon raccolto) “Sconvolge la sua casa chi è avido di guadagni disonesti ma chi detesta i regali vivrà” (15,27) (si tratta di regali fatti a qualcuno per corromperlo) “Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia” (16,8) “La mente dell’uomo pensa molto alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi” (16,9) “C’è una via che pare diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte” (16,25) “Un tozzo di pane secco con tranquillità è meglio di una casa piena di banchetti fastosi e di discordia” (17,1) “Il vino è rissoso, il liquore è tumultuoso; chiunque se ne inebria non è saggio” (20,1) “Non amare il sonno per non diventare povero, tieni gli occhi aperti e avrai pane a sazietà” (20,13) “Non essere di quelli che si fanno garanti o che si impegnano per debiti altrui, perché se poi non avrai da pagare, ti si toglierà il letto al di sotto di te” (22,26-27) “Non spostare il confine antico posto dai to padri” (22,28) “Chi confida nel Signore è beato” (16,20) “Il timore di Dio è una scuola di sapienza, prima della gloria c’è l’umiltà” (15,33) 3 “Affida al Signore la tua attività e i tuoi progetti riusciranno” (16,2) “Il Signore ha fatto tutto per un fine, anche l’empio per il giorno della sventura” (16,4) “Non dire: voglio ricambiare il male, confida nel Signore ed Egli ti libererà” (20,22). Osserviamo ora questi tre proverbi: “Tutti i giorni sono brutti per l’afflitto, per un cuore felice è sempre festa” (15,15) “Poco con il timore di Dio, è meglio di un grande tesoro con l’inquietudine” (15,16) “Un piatto di verdura con l’amore è meglio di un bue grasso con l’odio” (15,17). Li possiamo definire “proverbi teologici”, inoltre il centrale contiene il nome di Dio, cosa eccezionale! Essi vogliono dire in realtà la stessa cosa. Il primo ci vuol dire: non devi accusare i tempi che ti sono toccati in sorte. Sei tu che sei sbagliato, non il giorno. Non è vero che quello che ti porta il tempo cronologico possa spiegare la qualità del tempo che tu vivi. La spiegazione più recondita e nascosta è che la qualità del tempo dipende dal tuo cuore. Il secondo ci suggerisce: guardati dall’inganno di ciò che pensi manchi alla tua vita sia un grande tesoro, meglio il poco con il “timore di Dio”. Il terzo fa osservare che un pranzo non dipende da ciò che c’è sula tavola, ma da colui che sta intorno alla tavola. Tutti e tre i proverbi sono collegati tra loro: “cuore, Dio, il prossimo”; è così che cammina la sapienza biblica. Il dogma è sempre ripetuto: il principio della Sapienza è il timore di Dio. Vediamo ora la donna saggia dei Proverbi. Il testo ce la presenta emergente da un grande inno che segue l’ordine alfabetico, in quanto la prima parola di ogni versetto inizia con una lettera dell’alfabeto ebraico. È una donna concreta, forte, decisa, pratica, con capacità manageriali che stupiscono, perché alla donna, in quel tempo, non erano permesse. Ma l’autore, attraverso l’elenco di queste capacità, mostra come in filigrana la Sapienza e i doni che essa elargisce a colui che le è fedele. Leggiamo il brano di Proverbi 31,20-31: (Caf) Apre le sue mani al misero, stende la mano al povero. (Lamed) Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutti i suoi di casa hanno doppia veste. (Mem) Si fa delle coperte, di lino e di porpora sono le sue vesti. (Nun) Suo marito è stimato alle porte della città dove siede con gli anziani del paese. (Samech) Confeziona tele di lino e le vende e fornisce cinture al mercante. (Ain) Forza e decoro sono il suo vestito e se la ride dell'avvenire. (Pe) Apre la bocca con saggezza e sulla sua lingua c'è dottrina di bontà. (Sade) Sorveglia l'andamento della casa; il pane che mangia non è frutto di pigrizia. (Kof) I suoi figli sorgono a proclamarla beata e suo marito a farne l'elogio: (Res) “Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma tu le hai superate tutte!”. (Sin) Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. (Tau) Datele del frutto delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle porte della città SAPIENZA E STUPIDITÀ (9,1-18) Immaginiamo di essere in una città, con una piazza in posizione elevata, una specie di acropoli; vi sono due donne, ognuna ad un banco di vendita. Queste donne sono presentate come se fossero la “donna Sapienza” e la “donna Stupidità”. La Sapienza si è costruita una casa, ha intagliato le sue sette colonne, Ha ucciso gli animali, ha preparato il vino e ha imbandito la tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui monti più alti della città: “Chi è inesperto accorra qui!” A chi è privo di seno essa dice: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. 4 Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”. (9,11-6) Nella prima scena vediamo anzitutto la donna Sapienza: ella ha preparato una casa con sette colonne (7 indica la perfezione, oppure le colonne del tempio a significare la Sapienza come luogo di culto. Per noi cristiani potrebbero rappresentare i sette sacramenti o i sette doni dello Spirito santo); ha imbandito una tavola e offre pane e vino che sono i simboli della vita e della gioia. Al versetto 6, l’ultimo della prima scena, troviamo le tre parole: via, vita, sapienza, che racchiudono tutto l’insegnamento sapienziale, perché la via è il rande simbolo della vita e per percorrerla senza inciampare, deve essere illuminata dalla lampada della Sapienza. L’autore, però, immagina che al grido di offerta della Sapienza ben poche persone rispondano, non essendo un invito affascinante, in quanto privo di curiosità, di morbosità, di segretezza; si tratta solo di pane e vino! La seconda scena si svolge dall’altra parte della piazza, dve l’altra donna prepara il suo banchetto: Donna irrequieta è follia, una sciocca che non sa nulla. Sta seduta alla porta di casa, su un trono, in un luogo alto della città, per invitare i passanti che vanno diritti per la loro strada: “Chi è inesperto venga qua!”. E a chi è privo di senno essa dice: “Le acque furtive sono dolci, il pane preso di nascosto è gustoso”. Egli non si accorge che là ci sono le ombre e che i suoi invitati se ne vanno nel profondo degli inferi. (9,13-18). Ancora una volta la Stupidità scimmiotta la Sapienza: favorita dalla bella presenza, infatti riveste molti abiti, è affascinante, mentre la verità ha un solo abito, spesso dimesso. Offre cose proibite, allettanti; si tratta sempre di pane e acqua, è vero, cose smplici, ma furtive e nascoste. La conclusione è molto significativa: la stoltezza muta i suoi discepoli non in uomini stupidi, ma in esseri morti! Dietro il banchetto di cibi raffinati, misteriosi e segreti, si profila lo scheletro della morte. Infatti non sono i cibi che nutrono e alimentano, anche se hanno un loro fasicno sottile. Concludendo questa breve analisi del libro dei Proverbi, possiamo rilevare che esso suggerisce continuamente che l’uomo ha bisogno di uno che lo consigli, di un maestro, insomma di qualcuno che non lo lasci solo nei momenti più oscuri della vita. Il profeta Isaia descrive molto bene il dramma della solitudine intesa non solamente come mancanza di affetto, ma anche di punti fermi: “Guardai ma non c’era nessuno; tra costoro nessuno era capace di consigliare; nessuno da interrogare per averne risposta” (Is 41,28). E dopo essere stato consigliato, se ha l’umiltà di accettare il consiglio, l’uomo si ricordi che “Principio della Sapienza è il timore di Dio”. 5