Antica Roma: Tiberio Gracco e Gaio Gracco,8 per mille alla Chiesa
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Antica Roma: Tiberio Gracco e Gaio Gracco,8 per mille alla Chiesa
La lotta di classe nell’Antica Roma: Tiberio Gracco e Gaio Gracco Nell’Antica Roma vigeva un regime aristocratico di privilegi economici e politici a consoli, senatori, nobili, proprietari terrieri, mentre al popolo era concesso solo un ruolo secondario negli organi decisionali attraverso i tribuni della plebe. Tiberio e Gaio Gracco pagarono con la vita i loro tentativi di introdurre riforme per il popolo. Era l’anno 134 a.C. quando Tiberio Gracco venne eletto tribuno della plebe (rappresentante del popolo) e la sua prima iniziativa fu un innovativo progetto di riforma agraria. La proprietà delle terre era accentrata nelle mani dell’aristocrazia romana che possedeva vasti territori coltivati dagli schiavi; i piccoli appezzamenti di terra coltivati dalle famiglie ormai non esistevano più, a causa dell’impoverimento che le aveva costrette a lasciare la campagna per cercare fortuna in città, Roma in particolare; i soldati, che davano il loro sangue per la gloria dell’impero, vivevano per le strade con moglie e figli. Tiberio, la cui istruzione era stata improntata sui principi democratici, propose una riforma agraria al fine di suddividere fra i contadini senza terra una parte delle vaste proprietà dell’aristocrazia romana. In pratica, stabilì un limite al possesso nobiliare di terre, in modo da suddividere le eccedenze tra i poveri; il rapporto era ancora sproporzionato perché il limite per i grandi proprietari terrieri era di 250 ettari, contro lotti da 7,5 ettari ciascuno da assegnare ai contadini in rovina, ma per l’aristocrazia romana rappresentava comunque un affronto. Tiberio Gracco I senatori, che rappresentavano e difendevano gli interessi dell’aristocrazia romana, di cui peraltro essi stessi facevano parte, manifestarono da subito e con grande forza la loro opposizione. Le provarono tutte, cercando di ostacolare l’approvazione del concilio della plebe, ma alla fine la legge venne approvata. Naturalmente i senatori non la presero persa anche perché temevano che potesse passare l’idea di sovranità popolare sulla volontà delle classi dirigenti, rappresentate dal Senato. Tiberio mise sul tavolo altre proposte di riforma che mettevano in discussione i privilegi politici ed economici dell’aristocrazia romana e davano sempre più spazio alla sovranità popolare. A quel tempo, i conflitti politici si risolvevano con le congiure sanguinarie e fu così anche per Tiberio che, il giorno della votazione per la sua rielezione a tribuno, venne ucciso dai suoi rivali e il suo corpo venne gettato nel Tevere. Tiberio fu assassinato insieme a molti suoi sostenitori, secondo Plutarco oltre trecento. Tutte le sue riforme furono abolite, con grande gioia di nobiltà ed aristocrazia. La morte di Gaio Gracco in un dipinto di Jean Baptiste Topino-Lebrun, 1792 Nel 124 a.C., divenne tribuno della plebe il fratello Gaio Gracco che ritentò l’introduzione delle riforme agrarie, oltre alla razionalizzazione del servizio militare che, negli ultimi anni, era stato un carico molto pesante per i più poveri. Il Senato dichiarò lo stato d’emergenza e scagliò contro Gaio i militari che lo costrinsero ad asserragliarsi sull’Aventino con i suoi; lì preferì darsi la morte. Tutte le sue riforme furono abolite, con grande gioia di nobiltà ed aristocrazia. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr 84 M. Jehne, Roma nell’età della Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2008 L. Perelli, I Gracchi, Roma, Salerno, 1993 Plutarco, Le vite – Tiberio e Caio Gracco, Milano, Rizzoli, 1991 8 per mille alla Chiesa cattolica ora anche basta La CEI, Confederazione Episcopale Italiana, dal 1990 gode dei finanziamenti pubblici dell’8 per mille che hanno portato nelle casse dei vescovi 19,3 miliardi di euro; secondo l’ultima relazione della Corte dei Conti, l’incasso nel 2014 è stato di un miliardo e 54 milioni. Come vengono impiegati questi regali dei contribuenti? Servono ad aiutare i poveri ed i bisognosi? Migliaia di appartamenti, abitazioni lussuose, case, cascine, terreni, partecipazioni azionarie sono di proprietà di vescovi e prelati grazie anche al finanziamento pubblico, mentre l’Italia stenta ad uscire dalla crisi e moltissimi italiani sono costretti a vivere con meno di mille euro al mese, quando va bene. Un’interessante inchiesta dal titolo Monsigor S.p.a. del settimanale L’Espresso (n. 5, 2016) affronta il tema delle ricchezze che fanno capo ai vescovi: a Bologna la curia ha acquistato l’intero pacchetto azionario del gruppo industriale FAAC e sponsorizza la squadra di serie A, a Padova la diocesi possiede 862 appartamenti, case, cascine e più di mille terreni (secondo la ricostruzione del Corriere Veneto), a Trento la curia ha un portafoglio di partecipazioni azionarie da 116 milioni, a Palermo un maxi terreno delle opere pie è stato venduto per essere trasformato in abitazioni lussuose ed uffici. Poi ci sono le appropriazioni indebite di singoli vescovi o prelati: l’ex vescovo di Trapani è stato indagato con l’accusa di essersi appropriato di circa 2 milioni di euro dai fondi dell’8 per mille per comprarsi una grande villa a Monreale, un’altra a Trabia, diversi appartamenti e un’intera palazzina a Palermo; l’ex arcivescovo di Palermo vantava una dote personale di una trentina di immobili; l’ex numero 3 della CEI è finito sotto inchiesta con l’accusa di essersi appropriato di 180 mila euro dai conti della curia. Lo studio della Corte dei Conti evidenzia la totale assenza di trasparenza sull’utilizzo dei fondi dell’8 per mille che i contribuenti italiani regalano al clero e che solo il 23 per cento di quelle somme viene investito per fare beneficenza e per aiutare i più poveri. Un bilancio pubblico sull’uso dei miliardi avuti dai contribuenti non è mai stato pubblicato, ma credo nemmeno mai richiesto. Ora basta! Con tutte le somme accumulate ed investite in beni immobili e mobili grazie ai contribuenti italiani, la curia, il clero, la diocesi, ecc. possono mantenersi e fare opere di bene, senza che altre somme vadano ad arricchire un clero già ricco e ad impoverire un popolo già povero. Dio e ricchezza non stanno bene insieme! Forza Papa Francesco che sta cercando di risanare, ma intanto … sospendiamo l’8 per mille alla Chiesa cattolica, gli italiani ne hanno più bisogno dei vescovi e di tutto il clero. Cinzia Malaguti Le tre forme di amore I filosofi antichi distinguevano tre forme di amore: Eros, Philia e Agape; oggi le potremmo chiamare passione, amicizia e benevolenza. Eros è breve e possessivo, Philia è altruista ma ancora un po’ possessiva, Agape è disinteressato, fraterno, smisurato. Qualunque esso sia fa parte della famiglia dell’amore, una famiglia di emozioni gradevoli di cui non possiamo fare a meno e che derivano dalla creazione di un legame con gli altri. Eros è l’amore passionale e possessivo, fonte di grande felicità se condiviso e di grande sofferenza se non corrisposto, ma il suo unico destino naturale è spegnersi. Philia è l’amore che vuole la felicità dell’altro e non solo la propria; è quel senso di reciprocità, di stima e di condivisione che nutriamo per qualcuno e che è alla base dell’amicizia; è l’amore delle coppie durature e quello dei genitori verso i figli; è un amore altruista, ma ancora un po’ possessivo. Senso di elevazione davanti ad un meraviglioso tramonto (isola di Santorini, Grecia) Agape è l’amore altruista per eccellenza, senza possesso né limiti. Ci fa voler bene anche a chi non ci sta vicino o non conosciamo ed è lo sguardo a priori favorevole e caloroso per ogni essere umano. Agape è il livello più alto dell’amore, quello che abbraccia il nostro senso di umanità. Agape è alimentato, ad esempio, da quel senso di elevazione che proviamo di fronte a luoghi, gesti o persone che ammiriamo e che ci ispirano sensazioni positive. Agape è la forma d’amore che più ci fa stare bene perché le sue fonti, come il senso di elevazione, agiscono sul sistema nervoso parasimpatico aumentando la secrezione di ossitocina, l’ormone dell’attaccamento, e l’attività del nervo vago, donando fiducia, rilassamento e senso di legame con gli altri. Il senso di elevazione che proviamo quando siamo davanti a luoghi pieni di solennità, ad atti generosi e ammirevoli e a qualsiasi cosa che ci spinge ad elevarci interiormente verso una realtà superiore entusiasmante e insieme pacificante, agisce sul nostro cervello all’opposto dello stress. Mentre lo stress agisce sul sistema simpatico scaricando l’ormone adrenalina che ci fa sentire tesi, nervosi e pronti alla lotta, il senso di elevazione agisce sul sistema parasimpatico scaricando l’ormone ossitocina che ci fa sentire rilassati e ricettivi. A livello fisico, lo stress accelera il battito cardiaco, dilata le pupille e affanna la respirazione preparandoci all’attacco o alla fuga, mentre il senso di elevazione modera il ritmo cardiaco, contrae le pupille e amplia la respirazione preparandoci all’incontro, all’ascolto, alla gentilezza e agli altri comportamenti prosociali. L’ammirazione di luoghi, gesti o persone che ci ispirano sensazioni positive ha così il potere di avvicinarci a quella forma d’amore disinteressato e di benevolenza, che gli antichi chiamavano Agape, che ci fa stare bene e favorisce l’ascolto, la gentilezza, la benevolenza e tutti quei comportamenti che avvicinano e che uniscono. Cinzia Malaguti Bibliografia: C. André, Come far durare l’amore? in Mente & Cervello nr. 134 B. Fredrickson, Love 2.0: how our supreme emotion affects everything we feel, think, do and become, Hudson Street Press, 2015 Pitagora era vegano Pitagora nacque a Samo (Grecia) nel 570 a.C., ma nel 540-530 a.C. fugge dall’isola, governata da un tiranno, per trasferirsi nel Sud dell’Italia, a Crotone. Pitagora fu matematico e filosofo e a Crotone fondò una scuola che combinava la conoscenza filosofica con elementi religiosi. Tra i precetti della sua scuola, c’erano tabù alimentari, tra i quali l’astinenza dal consumo di carne e pesce. A dire la verità, quella di Pitagora, più che una scuola assomigliava ad una setta. Non si trattava solamente di apprendere nozioni matematiche o filosofiche, ma la frequentazione della scuola comportava l’adeguamento a stili di vita selettivi ed invasivi. Tra le idee filosoficoreligiose di Pitagora, quelle più famose riguardano il concetto d’immortalità dell’anima e di reincarnazione. Busto di Pitagora Le regole della scuola di Pitagora. I giovani che si avvicinavano a Pitagora per riceverne i suoi insegnamenti non venivano accettati subito, ma solo dopo aver superato vari esami e periodi di prova, della durata di tre anni durante i quali le parole del maestro potevano essere ascoltate solo dall’esterno del circolo, oltre una cortina. Gli adepti dovevano osservare un voto di silenzio reverenziale, rigide norme su comportamento, purezza rituale, abbigliamento ed alimentazione. Lo stile di vita era regolato in modo quasi monastico: tuniche di lana bianca, meditazione in solitudine prima di andare a dormire e al risveglio, momenti giornalieri in cui praticavano la divinazione o la predizione, prima dei quali consumavano una sorta di pasto mistico per ottenere l’energia necessaria. Quelli che non superavano il periodo di prova, o pur superandolo poi commettevano errori, se ne dovevano andare, ma per la comunità dei pitagorici erano “morti”, venivano erette tombe in loro memoria e, se per caso li si incontrava, li si ignorava come se non esistessero più. In tema alimentare, le norme di affiliazione non erano meno rigide e riguardavano soprattutto il consumo di carne e pesce. Anche il consumo di fave era proibito per ragioni sulle quali si sono fatte delle ipotesi: secondo alcune, le fave erano piante legate agli dei degli inferi e ai morti; secondo altre, erano considerate tossiche e dannose per la salute. Pitagora Il veganismo, in realtà, riguardava soprattutto le alte sfera della scuola, i discepoli più vicini al maestro, che si privavano della carne e del pesce; agli iniziati di grado inferiore era permesso mangiare alcuni tipi di carne, come quella degli animali sacrificati nei rituali. A parte le fave, Pitagora ed i suoi più vicini discepoli mangiavano (quasi) sempre vegetali, cotti e crudi, richiamandosi all’idea mitologica dell’Età dell’Oro, quando animali e uomini convivevano in pace, quando si godeva dei frutti della terra senza lavoro né spargimento di sangue o sfruttamento degli animali. I pitagorici ebbero molta influenza politica ed incarichi importanti a Crotone arrivando ad amministrare la cosa pubblica. La scuola pitagorica durò fino al 508 a.C. quando una rivolta contro i pitagorici, causò la distruzione della scuola e l’esilio di Pitagora nella città di Metaponto, dove morì poco dopo. Sulle cause della rivolta si sono fatte due ipotesi: forse è stato l’odio di un adepto rifiutato a fomentare la rivolta o forse, più probabilmente, è stata causata da una protesta popolare per la mancata suddivisione in lotti delle terre conquistata nella battaglia contro Sibari. La scuola pitagorica è stata, dunque, la prima strutturata ed i suoi adepti sono stati i primi vegani. Cinzia Malaguti setta Bibliografia: Storica NG nr. 84 B. Centrone, Introduzione ai pitagorici, Roma-Bari, Laterza, 1996 M. Timpanaro Cardini, Pitagorici, testimonianze e frammenti, Firenze, La Nuova Italia, 1969 Quando le case porta sul tetto avevano la Vi sembrerà strano, ma i primi villaggi urbanizzati avevano la porta sul tetto. Era il periodo Neolitico, quando si passò dalle attività nomadi di caccia e raccolta a quelle stanziali legate all’agricoltura e all’immagazzinamento degli alimenti. Fu una rivoluzione, in seguito alla quale comparirono i primi villaggi urbanizzati, le prime città della storia dell’umanità. Siti neolitici del Vicino Oriente Quando? La Rivoluzione Neolitica è datata circa 10000 a.C., ma il primo villaggio di notevoli dimensioni risale a circa 8000 a.C.. Dove? La Rivoluzione Neolitica ebbe inizio nel Medio Oriente. Il primo insediamento umano nella storia dell’umanità era nell’attuale Palestina o Cisgiordania a Gerico, con una popolazione di quasi 2000 abitanti, circa nell’8000 a.C.. Nel 7500-6500 a.C. i fenomeni di urbanizzazione si estendono a Mesopotamia, Iran e Turchia. E’ in Turchia che nacque il centro abitato di Catal Huyuk che ospitava dai 5000 ai 7000 abitanti, il centro abitato più rilevante di quel periodo. Gerico, fondamenta di antiche residenze emerse dagli scavi di Tell esSultan Catal Huyuk si trovava nel centro dell’odierna Turchia, in Anatolia, e fu scoperto da James Mellaart negli anni Cinquanta del Novecento. Si tratta di un impressionante insediamento di 13 ettari di superficie, il triplo rispetto a Gerico. Catal Huyuk, villaggio, ricostruzione storica A Catal Huyuk, le case erano rettangolari, addossate le une alle altre, collegate tra di loro e con una piccola apertura sul tetto per uscire ed entrare. I tetti erano terrazze dove spostarsi, nei mesi estivi, per mangiare e per svolgere attività di tessitura e di fabbricazione di cesti ed utensili, ma erano anche piazze e luoghi di camminamento e di collegamento tra abitazioni. Per scendere in strada venivano utilizzate scale movibili, così come per raggiungere il tetto dall’interno o per entrare in casa. Per cucinare il cibo e riscaldare gli ambienti si utilizzavano piccoli focolari o forni di argilla. Le abitazioni erano dotate di una piccola stanza in cui si immagazzinavano le scorte alimentari e gli utensili. Le abitazioni erano fatte di mattoni di fango cotti al sole. La collocazione sul tetto e le dimensioni della porta d’ingresso servivano per trattenere il calore nei mesi più freddi. Catal Huyuk, interno abitazione, storica ricostruzione Gli abitanti di Catal Huyuk coltivavano grano, piselli, lenticchie ed orzo nei dintorni dell’insediamento; il villaggio era dotato anche di quartieri dedicati alle manifatture e alla produzione di tessuti e di oggetti in rame, ossidiana e osso. Il sito neolitico di Catal Huyuk è Patrimonio dell’Umanità Unesco. Catal Huyuk non era ancora una vera città, nel senso che non era una società gerarchizzata, non era una comunità organizzata da un governo, con amministratori e sacerdoti. Per trovare il primo fenomeno urbano completo dobbiamo arrivare al 3500 – 2900 a.C. a Uruk, nella bassa Mesopotamia, oggi Iraq. Che peccato sapere che quei luoghi, culla della nostra civiltà, oggi siano feriti e martoriati da un pugno di fanatici e da distruttive guerre civili (Siria, Iraq). Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 84 M. Liverani, Antico Oriente, Roma-Bari, Laterza, 2015 L. Mumford, La città nella storia, Milano, Bompiani, 1961 Come si fa la gomma naturale La gomma naturale nasce dal lattice dell’Hevea brasiliensis, comunemente chiamato Albero della Gomma. La pianta è originaria dell’Amazzonia brasiliana, ma si è diffusa in tutto il Sud-Est asiatico, dove cresce bene grazie all’analogo clima caldo e piovoso equatoriale. Si calcola che più del 40 per cento della gomma in uso nel mondo viene dagli alberi, il rimanente è di origine sintetica. Rispetto alla gomma naturale, quella sintetica ha costi di produzione minori, ma è più debole, meno flessibile e meno resistente alle vibrazioni. Foglie gomma Lavorazione. dell’albero Dall’Albero della della Gomma viene raccolto il lattice, dopo apposita incisione, facendolo gocciolare nei secchi; questa operazione viene fatta di notte, prima dell’alba, perché la resa è maggiore. La sostanza appiccicosa viene poi fatta solidificare in blocchi con l’acido formico, poi pressati in fogli, quindi trasportati nelle fabbriche dove, dopo un opportuno processo di vulcanizzazione, vengono lavorati per ricavarne guarnizioni meccaniche, cinghie, materiali isolanti e, soprattutto, copertoni. Si calcola che quasi tre quarti della gomma raccolta nel mondo vengano utilizzati per produrre pneumatici per auto, camion e aerei. In genere, per fabbricare un pneumatico è necessario il lattice di quattro alberi raccolto per un mese. Raccolta del lattice dall’albero della gomma L’uso della gomma è indispensabile per il funzionamento di qualsiasi congegno meccanico; in assenza di guarnizioni, o parti in gomma, qualsiasi macchina non potrebbe funzionare o si romperebbe subito. L’Albero della Gomma è una pianta esigente: se il terreno è troppo sabbioso non cresce, se il clima è freddo o ha precipitazioni troppo stagionali non cresce, se gli alberi sono piantati troppo vicini diventano vulnerabili ad un fungo – il Microcyclus ulei – molto vorace e muoiono. La produzione di gomma naturale nel mondo. La produzione è oggi così ripartita: 92 per cento viene dall’Asia, il 5 per cento dall’Africa ed il 3 per cento dall’America meridionale; la produzione brasiliana, terra d’origine dell’albero della gomma, risente ancora oggi della presenza del fungo parassita. Piantagione alberi della in Thailandia di gomma La grande domanda di gomma naturale ha portato ricchezza nelle regioni del Sud-Est asiatico, ma ha anche trasformato uno degli ecosistemi più variati del mondo in una vulnerabile monocoltura. In Cina, Laos, Thailandia, Cambogia e Myanmar, i contadini hanno tagliato o bruciato le foreste per piantare filari di H. Brasiliensis. C’è, inoltre, il problema del grande consumo di acqua che necessitano per produrre il lattice e che, in alcune regioni, ha molto ridotto i livelli di pozzi e fiumi montani. Sono auspicabili interventi di riequilibrio dell’ecosistema che non significa impedire ai contadini di coltivare l’albero della gomma, ma di farlo senza distruggere intere foreste, alternando aree a foresta con aree a monocoltura. La crescente domanda di gomma naturale potrà poi essere coperta da coltivazioni su vasta scala in tutta l’Asia, grazie alle nuove varietà sviluppate per resistere a climi freddi. Cinzia Malaguti Fonte: C. C. Mann, Il boom della gomma, su National Geographic vol. 37 nr. 1