MELOGRANO
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MELOGRANO
MELOGRANO Iniziamo con un riferimento letterario, “Pianto antico”.La poesia, scritta nel 1871, è dedicata da Carducci al figlio Dante, morto, probabilmente di tifo, il 9 novembre dell’anno precedente. E’ facile comprendere i motivi della scelta del melograno, che esplode con i suoi fiori coloratissimi dopo il sonno dell’inverno ed i cui frutti, come vedremo, hanno simboleggiato fin dall’antichità la vita e la fecondità, tanto che ancora oggi rendono più gioiosa la tavola delle feste. Una credenza tradizionale invita le spose a spaccare una melagrana perché i semi che ne usciranno corrispondono al numero di bambini che nasceranno da quell’unione. Il frutto ha ispirato anche altri poeti Gabriele D'Annunzio Il frutto del melograno gonfio di maturità si fendeva subitamente come una bella bocca sforzata dall'impeto di un riso cordiale … Paul Valéry Melograne dure, spaccate dall'urger soverchio dei chicchi… Il melograno è un grande arbusto o un piccolo albero con i rami spinosi e le foglie opposte, oblunghe, glabre, generalmente lucide. I fiori hanno il calice coriaceo e i petali in numero da 5 a 8 e sono correttamente definiti “vermigli” da Carducci, infatti il rosso che li caratterizza tende all’arancio, come il vermiglione dei pittori. Il vocabolo deriva proprio da “verme”, in quanto il colorante può essere ricavato da un insetto, il Kermes o Kermococcus vermilio, che vive su una quercia detta appunto Quercus coccinea. Si tratta delle femmine dell’insetto, che si agganciano alla corteccia per mezzo di un piccolo rostro. Più gradevole il riferimento all’alchermes, molto usato un tempo per rendere esteticamente vivace quella zuppa dolce che è una variante del “trifle” dell’epoca elisabettiana e perciò viene chiamata da noi “inglese”. In botanica il melograno è Punica granatum, non dalla città di Granada, che probabilmente prende nome dalla pianta, ma appunto per il gran numero di semi. Tradizionalmente si attribuiva il genere Punica alla famiglia delle Punicaceae, ma oggi esso viene inserito nelle Lithraceae, insieme alla salcerella (Lithrum salicaria) e alla Lagerstroemia. Questo passaggio è stato determinato dalla scoperta che nella corteccia dell’arbusto sono presenti sostanze contenute anche nelle Lithraceae. Si ritiene che Punica derivi dai Puni, cioè i Fenici che colonizzarono il nord Africa, in particolare l’odierna Tunisia, dove sorgeva la Cartagine delle guerre puniche, perché i melograni giunsero a Roma proprio da quelle regioni. In realtà la pianta proviene dall’Asia centrale, probabilmente dalle zone settentrionali dell’India e dall’Afghanistan, dove cresce spontanea, anzi i semi del melograno himalayano sono ritenuti molto pregiati, ma è giunta in tempi remotissimi nel bacino del Mediterraneo. Era conosciuta ad esempio nell’antico Egitto, infatti sono state ritrovate delle rappresentazioni di melagrane nelle camere sepolcrali o nei papiri. Altri ritengono che il nome derivi dall’aggettivo “puniceo”, cioè rosso, ma anche questa etimologia rimanda alla porpora fenicia, che proveniva da un altro animaletto, la cocciniglia (Dactylopus coccus). Possiamo spiegare, grazie alla melagrana anche l’origine del termine “romano” con cui si designa il peso che scorre sul braccio delle stadere. Occorre in questo caso riferirsi alla lingua araba, che chiama “rumman” la melagrana, poiché il peso ne aveva la forma. Il frutto è una balausta, cioè una bacca modificata, suddivisa in più sezioni, con semi protetti da un rivestimento gelatinoso. La parte edule del frutto è rappresentata dai semi e dal succo, ricco di vitamina C, che dovrebbe essere il componente principale della “granatina”, ma è meglio spremere da sé i frutti come fossero arance o pompelmi e ottenere un gradevolissimo succo, che era tradizionalmente considerato un valido antinfiammatorio e soprattutto un efficace presidio contro i vermi intestinali, proprietà confermate da studi recenti. Oggi il succo della melagrana è tenuto in ancor più alta considerazione per la presenza dell’acido ellagico, detto anche tannino naturale, che sembra avere un rilevante potere antiossidante, addirittura alcuni affermano preventivo delle forme tumorali, e che tuttavia possiamo trovare anche in altri frutti rossi, come fragole e lamponi. Erano note già in epoca romana anche le proprietà della scorza delle melagrane acerbe, che venivano importate da Cartagine ed erano utilizzate, appunto come tannini, per la concia delle pelli più pregiate. Affrontiamo per sommi capi l’argomento vastissimo dei frutti, ricordando che quando noi distinguiamo frutta e verdura i botanici inorridiscono. Anche zucchine e peperoni sono frutti, mentre mele e pere sono falsi frutti. I frutti servono a proteggere e nutrire i semi e derivano dalla fecondazione dell’ovario presente nel fiore. L’ovario a sua volta è considerato la modificazione di una foglia, detta carpello, che si è richiusa su se stessa. I falsi frutti, oltre al vero frutto, il torsolo, che noi non consideriamo commestibile (ma ricordiamoci della lezione appresa da Pinocchio), hanno un ricettacolo carnoso e gustoso. Le bacche, cui assomiglia la melagrana, sono invece veri frutti, definiti carnosi. Sono bacche ad esempio i pomodori, i peperoni, le melanzane, gli acini d’uva. Al gruppo dei frutti carnosi appartengono anche le comunissime drupe, cioè i frutti con un nocciolo, o endocarpo, che ha la funzione di far passare indenne il seme contenuto al suo interno nell’intestino dell’animale che lo ha ingerito insieme al mesocarpo, cioè la polpa, e all’esocarpo, la buccia. Ci sono anche frutti come quelli che noi chiamiamo agrumi, detti esperidi, o i peponidi, come le zucche, i frutti aggregati o composti come more e fragole. Si apre poi il grande campo dei frutti secchi, quelli deiscenti, che a maturazione lasciano cadere i semi, ad esempio i legumi o le capsule dei papaveri, e all’opposto quelli indeiscenti, come le cariossidi delle graminacee o gli acheni dei platani. Ci sono piante, diffusissime, che hanno fiori, ma non frutti né ovari e, a proteggere i semi, hanno squame riunite in coni, le conifere appunto. Ci sono infine piante così antiche da non aver neppure inventato i fiori e i semi e che si riproducono attraverso cellule dette spore, e sono funghi, muschi, felci. Le melagrane invece hanno semi, anzi sono importantissimi per la religione ebraica perché tradizionalmente si riteneva che ogni frutto ne contenesse 613, tanti quante sono le prescrizioni che secondo la Torah consentono al fedele di raggiungere la saggezza, anzi, se tutti gli uomini rispettassero integralmente le prescrizioni, il male sarebbe definitivamente sconfitto e si realizzerebbe la promessa della venuta del Messia. A volte i rotoli su cui si avvolgono i volumi della Torah sono protetti da gusci a forma di melagrana. Possiamo provare a contare i semi prima di utilizzarli in cucina, anche in ricette esotiche come il chutney indiano, quella specie di marmellata agrodolce composta sia da frutta che da “verdura”, al quale, oltre al classico mango, si possono aggiungere i semi essiccati della melagrana per acidificare. Riprendiamo i significati dati al frutto e notiamo che esso mantiene un residuo del calice, quindi ha una corona, ed era considerato anticamente un simbolo di regalità. La sua importanza per gli Ebrei è testimoniata anche dalla citazione dei melograni tra le ricchezze della Terra Promessa, come leggiamo nel libro del Deuteronomio (8,8), insieme a frumento, orzo, viti, fichi e ulivi. Il I libro dei Re al cap.7 riferisce che Chiram, l’architetto del tempio di Salomone, “fece melagrane su due file intorno al reticolato per coprire i capitelli sopra le colonne. I capitelli sopra le colonne erano a forma di giglio”. Il Cantico dei Cantici al cap.8 “Ti farei bere vino aromatico, del succo del mio melograno” Una leggenda araba fa nascere i semi delle melagrane dalle lacrime di Fatima, la quarta figlia di Maometto, alla notizia della morte dei figli Hassan e Hussain. La causa della morte di Hassan potrebbe essere legata alla sua smodata passione per i piaceri della vita (pare avesse 200 concubine), oppure ad un avvelenamento, forse organizzato dalla moglie. La morte del secondo figlio, invece, ha avuto conseguenze ben più rilevanti poiché la battaglia di Kerbala ha visto il massacro di Hussain, della sua famiglia e del suo seguito ed è considerata l’origine della spaccatura principale del mondo islamico, quella fra sunniti e sciiti, che commemorano ancor oggi con dolore quella strage. Ricordiamo ora il più bel racconto antico di viaggio e d’avventura. Ulisse approda fortunosamente all’isola dei Feaci, dove incontra Nausicaa, e non può non ammirare la splendida reggia del re Alcinoo, ma anche il giardino che la circonda. Nel libro VII dell’Odissea esso viene descritto, nella traduzione di Ippolito Pindemonte, “Alte vi crescon verdeggianti piante. Il pero e il melagrano, e di vermigli Pomi carico il melo, e col soave Fico nettáreo la canuta oliva” Anche in Grecia dunque i melograni erano presenti nei frutteti quanto altre piante oggi molto più diffuse, ma soprattutto erano protagonisti di miti legati alla fecondità, che probabilmente i Greci avevano elaborato a partire da credenze ancora più antiche di origine orientale, legate a Cibele (Anatolia) o a Ishtar (Mesopotamia) come del resto l’albero stesso. Il mito più antico lo associa ad Orione il cacciatore. Si narra che aveva sposato Side, ma che non aveva avuto fortuna nella scelta, poiché lei era così vanitosa da credere di essere più bella anche di Era. La dea per questo la punì scaraventandola nell’Ade, ove si trasformò in melograno. Una variante del mito narra che Side, insidiata dal padre, si uccise sulla tomba della madre. Gli dei, impietositi, fecero sorgere dal sepolcro un melograno, mentre il padre veniva trasformato in nibbio (o sparviero), un rapace che si dice non si posi sui rami dell’albero. Sicuramente molto più noto è il mito che lega il melograno alla bellissima Persefone e a sua madre Demetra, l’antichissima Madre Terra, un mito che era alla base dei Misteri Eleusini, legati all’alternarsi di morte e rinascita della natura e celebrati appunto in primavera e in autunno. Vi è un Inno Omerico, l’Inno a Demetra, dedicato proprio a questo mito. Persefone un giorno fu rapita da Ade, dio degli inferi, con la complicità di Zeus, felice di poter giocare un brutto tiro all'infedele Demetra che lo aveva tradito con Poseidone. “si aprì la terra dalle ampie strade nella pianura di Nisa, e ne sorse il dio che molti uomini accoglie, il figlio di Crono, che ha molti nomi, con i cavalli immortali. E afferrata la dea, sul suo carro d’oro, riluttante, in lacrime, la trascinava via; fin quando la dea scorgeva la terra e il cielo stellato, il mare pescoso dalle vaste correnti, e i raggi del sole, e ancora si attendeva di rivedere la cara madre e la stirpe degli dei che vivono in eterno, sebbene ella fosse angosciata, la speranza le confortava il nobile cuore.” La giovane invocò quindi la madre ripetutamente, con tutte le sue forze. Sentendo le grida di Persefone “Un acuto dolore la colse nell’animo: le bende, che le chiome immortali cingevano, lacerava con le sue mani, si gettava sulle spalle un cupo velo, e si slanciò sopra la terra e il mare, come un uccello, alla ricerca. Ma nessuno degli dei e degli uomini mortali voleva dirle la verità, e nessuno degli uccelli venne a lei come verace messaggero. Per nove giorni, allora, la veneranda Demetra sulla terra vagava stringendo nelle mani fiaccole ardenti: né mai d’ambrosia e di nettare, dolce bevanda, si nutriva, assorta nel suo dolore; né si immergeva in lavacri. E sulla terra feconda ella rese quell’anno infausto per gli uomini né più il suolo lasciava germogliare i semi, poiché li teneva nascosti Demetra dalla bella corona. Molti ricurvi aratri i buoi trascinavano invano sui campi, candido orzo cadde a vuoto nei solchi. E certo ella avrebbe distrutto interamente la stirpe degli uomini mortali se Zeus non se ne fosse preso cura.” Iride, la dea dell’arcobaleno, e altre divinità tentarono invano di convincere Demetra, finchè Zeus decise di mandare Ermes negli inferi perché comunicasse al signore dei morti l’ordine di liberare Persefone.Ade non si ribellò all’ordine di Zeus ed esortò la saggia Persefone a tornare dalla madre. ”Si rallegrò la saggia Persefone, e subito balzò in piedi, piena di gioia; egli tuttavia le diede da mangiare il seme del melograno, dolce come il miele, furtivamente guardandosi intorno, affinché ella non rimanesse per sempre lassù, con la veneranda Demetra dallo scuro peplo.” Di conseguenza, avendo infranto il digiuno, di rigore negli inferi, Persefone era condannata a ritornarvi. Ermes la riportò dalla madre. Mentre si abbracciavano la terra si coprì di verde e di fiori e i rami furono carichi di frutti. Quando gli uomini ebbero ammassato tutti i raccolti, tuttavia, Persefone dovette ubbidire al suo destino. Ormai avrebbe trascorso un terzo dell'anno sotto terra, ritornando solo in primavera dalla madre.Poiché il melograno, come pianta feconda, era sacro ad Afrodite, è una sorta di filtro d’amore quello che Ade indusse Persefone ad accettare, legandola a sé indissolubilmente. I Romani l’assunsero proprio con questa valenza e associarono la melagrana a Giunone come protettrice dei matrimoni. D’altro canto, fin dall’antichità, il frutto è stato ritrovato nelle tombe, dunque lega in sé vita e morte. Questi significati molteplici e intrecciati sono stati poi assunti anche dal Cristianesimo. Il rosso del succo è un facile richiamo al sangue della Passione, che unisce morte e risurrezione, o al sangue dei martiri, anch’esso fecondo. I semi così numerosi ricordano l’unione dei fedeli nella Chiesa. Il contrasto fra la durezza della scorza e la dolcezza del frutto simboleggia la figura del sacerdote, apparentemente severa, ma pronta alla comprensione misericordiosa. Il suo legame con la femminilità feconda non poteva non avvicinarlo alla Madre per eccellenza, così anche oggi possiamo ammirare qualche opera d’arte. Pietro Lorenzetti “Madonna della melagrana” Jacopo della Quercia “Madonna della melagrana” Botticelli - Madonna della melagrana” Filippino Lippi – Madonna con Bambino, detta Madonna Strozzi Raffaello – Madonna della melagrana Il frutto è prescelto anche da autori di nature morte, come quelle di Abraham Brueghel Gustave Courbet Ritroviamo invece la valenza simbolica della melagrana in queste due opere Felice Casorati – Il sogno del melograno Salvador Dalì – Sogno causato dal volo di un’ape intorno a un melograno, un secondo prima del risveglio. . .