l`uomo del sasso - liceo De Chirico

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l`uomo del sasso - liceo De Chirico
Lʼuomo del sasso
Mani indurite e tozze, unghie nere, ingiallite e
stretto al mignolo una pietra che splende
passata e ripassata su una grossa pancia pendente.
Eʼ lʼuomo del sasso;
chi non vuole conoscerlo usa eufemismi
non si riesce a capire chi veramente sia
e perché è in ogni luogo di quellʼintreccio di
linee delicate di periferia che spiccano
come raggi di zucchero rosso
dal centro di una torta e corrono ad eguale distanza
verso il mare, onde violente su scogli
dolori che sbattono su cuori di pietre erculee
di lave antiche, scaglie, squame di
creature impietrite…
marine.
Non conosce errore, è dalla parte giusta, lui
è al centro di tutto;
dellʼurlo delle sirene delle fabbriche
del fumo dei veleni maleodoranti di ciminiere biancastre
tra i pianti di bimbi
le scintille violacee delle officine
tra i vuoti a perdere nei cassonetti pieni
e lʼodore del mare grigio,
verde, azzurro
e poi ancora azzurro, verde, grigio
e poi nero, nero e nero…
sapori di mare perduti ai tramonti;
occhi azzurri
penetranti, serpeggianti, striscianti verso foci
si fondono e poi affondano e riemergono
aridi di ghiaccio, spenti
fino ad un orizzonte ingiallito.
E vengono momenti in cui
tra il gioco dei bambini e
lʼabbaiare dei cani, cuccioli indifesi
ascolto e palpo le anse della morte
gli spigoli del buio
e ho voglia di spaccare tutto
o ridere senza interruzione.
Allora afferro la vita e le grido:
“…Non cercarmi più, non fermarti
corri più del vento, lasciami
lasciami perdere, io
non ho niente, più niente da dire
da dare, da avere
chiudimi dietro quella porta che scricchiola
che io non senta il treno che opprime e che fischia!
…ti ho cercato a lungo, non volevo ferirti
ma ora non sento più nulla”
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E mi risveglio mentre vorrei ancora parlare
incessantemente.
Rivedo il tuo volto e i capelli che lo infiorano
il bimbo che mi sorride
la strada infinita ma
tra sguardi quello
assente, gelato, è lì e ho i brividi,
mentre il gatto miagola alla noia buia
della notte
e sono sudata, svuotata, stanca.
Ma no, non è il gatto
è zia Maria che
da quando è morta la figlia è uscita di testa, e
alle tre, miagola come i gatti alla
luna
e la figlia è nei riflessi
del diamante dellʼuomo del sasso e
quando lo passa e ripassa sulla pancia che pende
diventa rubino
rosso, rosso splendente
vivo di sangue.
No, non ce lʼha fatta la figlia di zia Maria e
non ha voluto aspettare ancora un poʼ che
lʼuomo, quellʼuomo, le spezzasse il respiro
le succhiasse il fiato e la saliva
le prosciugasse ogni linfa, ogni umore.
Le aveva confessate a se stessa le
paure, i sensi di colpa
gli errori, le angosce della madre
e non si era data lʼassoluzione
non erano bastate le
mille Ave Maria con i mille atti di dolore.
E la zia Maria sputa dalla finestra
e bestemmia al mare
alla luna dietro il blu dei suoi occhi;
la bottiglia si solleva e ricade
ed allora raccoglie in gola
raschiando, gli umori che salgono su
come onde irruenti, schiumose
spinte lontane, esplose da labbra aride e sottili
giù
su una vestaglia di cotone
a strisce blu e bianche
sullʼampio spazio allʼaperto de
ʻO core ʻe Napule su via Postiglione
sui panni sventolati al vento
sulle erbacce tra le pietre
sui miei capelli.
Ora non mi fa più paura zia Maria.
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…Passano parati per l’offerta alla Madonna dell’Arco
le devozioni, lo stendardo
i calzoni bianchi e il nastro azzurro
sul muro di cemento
“ti amo alla follia”
una sola finestra è chiusa
dalle altre cadono giù
le monetine
con le chiacchiere delle pettegole e
salgono gli sguardi dei giovani questuanti
avidi di forme
nascoste ed offerte dalle ringhiere
“ A Napule fanno ʻe strunze, a Palermo
sʼ ʻe portano a vennere, maʼ ste zezzose
ʻe femmene ʻe puttane vonno faʼ”
…La mia periferia:
monti lontani e terre incolte
alberi di limoni con
uccelli in volo
e canti di popolo…
Forse nelle città mi confonderei
mi mescolerei
mi fonderei nellʼaria rovente
nei suoni assordanti
negli odori forti e nauseanti
sarei ombra opaca tra le luci
colore spento di facciate
sbuffo di fumo
nero
tra le auto
sarei palloncino strappato dal vento e
trafitto in un cielo di antenne…
…Tra “la città della scarpa” e “città mercato”
dietro lʼuccellino rosso e verde
si sta aprendo il sole
a ventaglio
come una seduzione
si riapre e si piega lʼangoscia
dalle pieghe del cuore.
Chi sarà dietro la finestra?
Non sento rumore
il sonno è finito ed il tempo corre
troppo veloce
il silenzio tenta di fermarlo
ma il coraggio gli manca.
Mi manca il tuo volto ed i capelli che lo infiorano!
Forse guardi il sole o stai dormendo.
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Io no, guardo nascosta
i colori dei palazzi
le antenne sui tetti
le canne fumarie e
le tegole rotte
sobbalzo ad ogni zampettio di gabbiano
ad ogni raggio che tenta di
penetrare dalle imposte…
lʼuomo del sasso è
nei quadretti bianchi e celeste di una camicia è
dietro quellʼAlfa nellʼautolavaggio
lì, vicino al divieto di sosta.
Come splende la pietra sul dito grasso!
E non son bianchi, son
rossi i riflessi mandati dal sole!
Mi alzo sulle punte dei piedi e
guardo;
riesco a vedere dalle fessure, di sotto gli stendini e
i panni stesi
la sedia rotta su un balcone
gli spigoli delle persiane spalancate e
il volo di un gabbiano…
…volerò in picchiata, veloce, precisa
come gli sputi di zia Maria
mi sputerò sul cemento e
il suo brillante sarà rubino,
esploderò come la montagna le mie linfe
lo impregnerò, lo impregnerò, lo coprirò, lo infiammerò sarà cenere e
gli sarò sopra
prepotente, pressante, violenta, arrogante, avida, rabbiosa
e lo seppellirò di me
e poi…
scivolerò lentamente nel
mare.
…Periferia dellʼanimo
circolari, linee delimitanti ellissi
avvolgenti, rotonde
pe r i f e
r
i
e
e dentro storie di altri che sono le tue:
eroi naviganti salutano marine e
gli scogli lambiti dal pianto
sorgono a guardia di
fanciullezze smarrite,
di madri “capitano”,
di spettri tra
pietre di palazzi in rovina,
di statue di Vergini
di sortilegi, di spiriti malvagi
che fuggono con i venti gelidi
e lamenti, lontano, di
giacche prestate a belle fanciulle per
proteggerle, invano,
dal freddo delle
notti.
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