08) Maria di Nazaret

Transcript

08) Maria di Nazaret
Incontro n° 8 del 22 gennaio 2004
MARIA DI NAZARET: «Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio»
Introduzione
Siamo giunti al vertice dei nostri incontri e questa è proprio la serata più importante;
passiamo dall’Antico al Nuovo Testamento e prendiamo in considerazione la donna per
eccellenza: la Beata Vergine Maria.
In lei si realizza l’umanità, nella sua figura femminile si raggiunge la pienezza della
creatura umana ed è proprio una donna la creatura umana più bella, il successo del creato.
Solo la figura di Maria sarebbe sufficiente a far superare ogni polemica o questione di
“femminismo cattolico”. Noi vogliamo fare un’indagine di tipo biblico e quindi non farò
una predica sulle grandezze di Maria.
Purtroppo c’è stata una brutta abitudine nei secoli passati, quando sembrava che
l’esagerazione fosse la norma; qualcuno aveva formulato proprio come principio: “de Maria
numquam satis”, cioè di Maria non si dice mai abbastanza, per cui sembrava logico dire
tanto e dire di più, quindi esagerare.
L’esagerazione è sbagliata e dire tutto il possibile di Maria, attribuirle tutto e inserirla in
ogni discorso e alla fine di ogni predica, è esagerato, non è il modo corretto di presentarla. Il
rischio pratico è stato quello di farne la quarta persona della Santissima Trinità e di
presentarla come una divinità femminile, con le connotazioni della divinità, al punto che
qualcuno dice che “si confessa alla Madonna”, come pure è comune l’espressione di
“credere nella Madonna”. Quest’ultima espressione non si trova in nessuna professione di
fede come ad esempio il “Credo”, dove affermiamo invece di credere in Dio Padre, nel
Figlio Gesù Cristo, nello Spirito Santo e nelle altre verità di fede definite dalla Chiesa.
Nella professione di fede si dichiara di credere “in Gesù Cristo nato da Maria Vergine” e
quindi la nostra fede è in Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo -; il Signore ha scelto questa
donna perché fosse la Madre di Dio ed ha preparato questa persona perché fosse la creatura
perfetta. Tuttavia, queste riflessioni sulle origini di Maria sono post bibliche, nel senso che
nella Scrittura non troviamo queste informazioni, per cui ci atterremo al testo biblico; la
riflessione della Chiesa ha una grande importanza, ma è materia della teologia. Noi
vogliamo evidenziare la figura di Maria secondo le Scritture.
Citazioni di Maria nelle Sacre Scritture
San Paolo non nomina mai Maria e in tutte le sue Lettere non ne fa cenno, o meglio un
accenno c’è: nella Lettera ai Galati dice che “quando venne la pienezza del tempo, Dio
mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto
la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4, 4-5). Però quell’espressione “nato
da donna” è presa dal libro di Giobbe, all’inizio del capitolo 14, dove serve per indicare la
debolezza dell’umanità: “L’uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine …”
è una formula poetica che indica la vicenda umana transitoria e debole. È logico che la
donna da cui è nato Gesù è Maria, ma San Paolo vi fa riferimento solo in questo passo, il che
significa che si può fare tutta la teologia – come fa San Paolo – senza nominare Maria; e non
lo fa per polemica, ma semplicemente perché non è un elemento centrale.
Anche nel Vangelo di Marco, che è il più antico, troviamo solo una breve comparsa di
Maria in un episodio quando lei ed altri parenti vanno a trovare Gesù a Cafarnao per portarlo
a casa perché pensano che sia matto. In quella occasione Gesù domanda: “«Chi è mia madre
e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno,
disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello,
sorella e madre»” (Mc 3, 33b-35).
Lo stesso episodio è raccontato anche da Matteo e da Luca ed era considerato, nei vecchi
manuali scolastici di teologia, un testo anti-mariologico, sconsigliato, da non usare perché
51
poteva danneggiare la mariologia. Non è invece un testo anti-mariologico: se in apparenza
può sembrare che Gesù non riconosca sua madre, in realtà Gesù sta dicendo che la grandezza
di sua madre sta nel fatto di avere ascoltato la Parola: “chi ascolta la mia Parola, chi fa la
volontà del Padre, questi è per me fratello, sorella e madre”; e Maria ha ascoltato la Parola
ed ha fatto la volontà. Per questo è Madre, per questo è grande. Quindi, questa
affermazione di Gesù è una lode implicita di Maria, mettendo in evidenza dove sta la
grandezza.
Di altro, a proposito di Maria, troviamo poco in questi due Vangeli sinottici. In Giovanni,
senza soffermarsi più di tanto avendo avuto altre occasioni per trattare l’argomento, compare
la “Madre” di Gesù, e non con il nome proprio, unicamente in due occasioni: a Cana e ai
piedi della croce. In entrambi i casi Gesù la chiama “donna” e la figura della Madre ha un
ruolo simbolico in Giovanni, dove rappresenta l’Israele fedele, il passato del popolo, è la
donna in relazione con l’uomo, è l’immagine del Cantico dei Cantici che arriva al
compimento: lei è l’umanità fedele, lui è il Signore. L’incontro segna la nuova ed eterna
alleanza, anticipata a Cana e inaugurata nel sangue di Cristo versato sulla croce, dove il
passaggio della Madre al discepolo è la consegna dell’antico al nuovo testamento, della
sinagoga alla Chiesa, è l’unione dei due popoli e delle due tradizioni. In Giovanni tuttavia
non troviamo in proposito nulla di personale.
Dobbiamo quindi rivolgerci a Luca, l’unico che ha parlato con abbondanza di Maria, al
punto che diversi hanno immaginato, ipoteticamente, che Luca abbia conosciuto Maria; lo si
dice come se fosse un dato assodato, mentre è solo un’ipotesi non documentata da niente e
neppure avvalorata da testimonianze antiche, originata probabilmente da una formulazione
iniziale andatasi man mano ingigantendo fino a diventare come un dato della tradizione o
addirittura un insegnamento di fede. Non sappiamo niente, per cui potrebbe essere vero
come non esserlo affatto. Luca ha conosciuto la tradizione apostolica e sicuramente ha
conosciuto qualcuno dell’ambiente di Maria, dell’ambiente di Nazaret, di Gerusalemme,
della famiglia umana di Gesù; questo è praticamente sicuro.
Si è anche creata la leggenda di Luca pittore quando, forse, qualcuno ha affermato che
Luca, nel suo Vangelo, ha fatto uno splendido ritratto di Maria; questa affermazione
puramente ipotetica, riportata male, si può essere man mano modificata da un passaggio
all’altro fino a fare di Luca un pittore nel senso proprio del termine, diventando così un dato
quasi sicuro. In giro per il mondo ci sono moltissime antiche icone sulla Madonna attribuite
a Luca: una è la Madonna di San Luca, patrona di Bologna, e molte altre ce ne sono in varie
città. Tutto ciò fa parte di questo elemento leggendario e tradizionale, non fondato
biblicamente.
Luca ha fatto un ritratto letterario di Maria, e questo è senz’altro vero. Nel Vangelo
dell’infanzia, Luca ha presentato la persona di Maria in una connotazione psicologica e
spirituale, mettendo in evidenza il suo cammino di fede. Il testo più importante, fra quelli
che conosciamo nel Vangelo dell’infanzia, è il racconto dell’Annunciazione. Sintetizzando,
a titolo di promemoria, gli episodi narrati da Luca dove è protagonista Maria sono, dopo
l’Annunciazione, il racconto della visita ad Elisabetta, quindi il cantico del Magnificat, poi il
racconto della Natività - dove però Maria compare semplicemente come personaggio
evocato, ma senza essere protagonista della narrazione: “i pastori trovarono il bambino con
Maria e Giuseppe” -; successivamente, nel racconto della presentazione al Tempio, Maria
porta il bambino nel Santuario di Gerusalemme e ascolta le parole di Simeone fra cui una
profezia che la riguarda. E ancora, nell’episodio di Gesù dodicenne Maria si fa interprete
dei sentimenti di angoscia, suoi e di Giuseppe, dicendo al ragazzo: “Perché ci hai fatto
questo? Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Questi sono gli episodi principali, sono
molti e tutti esclusivi di Luca, non compaiono negli altri evangelisti. Dopo la risurrezione, è
ancora Luca che parla di Maria a Gerusalemme, presente nel Cenacolo, presente nel
momento dell’Ascensione, perseverante con gli apostoli nella preghiera; in seguito non viene
più nominata. Da questo punto partono le leggende e i racconti tradizionali antichi, ma nelle
Scritture non se ne parla più. Se Giovanni l’ha presa nella sua casa ha vissuto con lui, ma
52
non sappiamo per quanto tempo.
Conclusione della vita terrena di Maria e Assunzione in cielo
Inoltre, Maria ha terminato il proprio cammino terreno ed alla fine della sua vita è morta;
c’è sempre stato un po’ di pudore nel fare questa affermazione e qualcuno ancora reagisce al
pensiero che possa essere morta, quasi dimenticando che è morto persino Gesù Cristo; Dio
in persona è morto e lì dobbiamo ammirare la stranezza, mentre invece che una creatura
umana muoia è più che normale. La festa del 15 agosto è il ricordo della morte di Maria,
chiamata “dormizione”, in Oriente, transito, passaggio; è la glorificazione di Maria in anima
e corpo, ma è una persona defunta che raggiunge la pienezza della vita in anima e corpo.
Anche in questo caso, tuttavia, c’è l’intervento magisteriale della Chiesa, è l’insegnamento
dottrinale della Chiesa che ha detto qualcosa di più delle Scritture. Nella linea delle
Scritture ha aggiunto qualcosa sul prima e qualcosa sul dopo; infatti, i due dogmi mariani –
l’Immacolata Concezione e l’Assunzione al cielo – sono relativi a Maria prima della nascita
e dopo la morte, non riguardano la sua vita terrena, sono affermazioni teologiche
metastoriche, cioè vanno al di là della storia: nell’Immacolata viene messo in evidenza
l’intervento salvifico di Dio prima della sua nascita (salvata totalmente prima di essere
concepita, per sola grazia) e il dogma dell’Assunzione dice che Maria, dopo la morte, è
totalmente come persona, in anima e corpo, accolta nella gloria di Dio. Viene quindi
presentata come la realizzazione piena della persona umana, è la realizzazione del progetto
di Dio: Dio ha pensato l’umanità pienamente bella, totalmente realizzata e santa; in Maria il
progetto si è realizzato dall’inizio alla fine.
Maria “peregrinò nella fede” – Il cammino storico di Maria
La Scrittura, attraverso i testimoni oculari, ha concentrato l’attenzione sul cammino
storico di Maria ed è proprio quello che vogliamo approfondire in questa occasione.
Nella “Lumen Gentium”, la grande Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla
Chiesa, si è adoperata un’espressione importante che ha segnato la mariologia: si dice che
Maria “peregrinò nella fede”, cioè camminò come una pellegrina, credendo e aumentando,
maturando, cercando di avanzare nella fede; in altre parole, ebbe un cammino umano di
maturazione anche nella fede. Questo è importante perché è proprio ciò che ci dicono i
racconti biblici; ad esempio, a proposito di Gesù dodicenne, l’evangelista Luca dice che i
genitori, Maria e Giuseppe, “non capirono” quello che era successo. Inoltre, dato che Maria
“serbava tutte queste cose nel suo cuore” significa che ci ripensava e le meditava, le
assimilava, cercava di capirle meglio. Il verbo “meditare”, in greco, è il verbo del simbolo
che significa “mettere insieme”, cioè Maria faceva proprio il lavoro simbolico, metteva
insieme i tasselli di un mosaico per avere più chiara la situazione. In latino, quel verbo è
tradotto “conferens”, cioè Maria conservava queste cose “conferens in corde suo”, appunto
mettendole insieme. Da questo termine latino deriva la parola “conferenza”, che è un
mettere insieme delle cose, un modo simbolico di condividere una conoscenza o anche
un’esperienza di fede. Quindi Maria “peregrinò” nella fede, meditò, conservò quella
esperienza e la mise insieme per capire meglio che cose voleva da lei.
Il racconto dell’Annunciazione
Soffermiamoci adesso sul racconto dell’Annunciazione, che è il primo ed il più teologico.
Non è un racconto, o per lo meno è un canovaccio di racconto dove l’elemento narrativo è
ridotto all’essenziale, non c’è nessuna descrizione e sembra quasi una partitura teatrale con
l’indicazione degli attori che parlano: “l’angelo disse”, “Maria rispose”, “l’angelo disse”,
“Maria disse”. C’è poco di più, quindi tutto il peso di questo testo sta nelle parole
È un testo composto da Luca, un testo di alta teologia che l’evangelista ha elaborato in
base alla tradizione, a quello che ha sentito sull’esperienza di Maria. Qualcuno, con un
53
ragionamento ipotetico, ha dedotto che tutte queste cose non può averle dette a Luca che
Maria stessa. Non è una questione di comunicazione o di testimonianza diretta, perché qui
ci troviamo di fronte ad una duplice riflessione: da una parte c’è la riflessione sul Messia – il
testo vuole dire chi è quel bambino -; dall’altra parte il testo serve per mettere in evidenza il
ruolo di Maria.
Più che “Annunciazione”, sarebbe corretto definire il racconto “Vocazione” di Maria;
infatti, l’annuncio può evocare semplicemente una comunicazione di un dato di fatto, mentre
la vocazione implica una chiamata con la necessità di una risposta, ovvero di
un’accettazione. Dio non fa sapere a Maria che le cose andranno in un certo modo, che lei
voglia o meno, ma chiede il consenso a Maria, quindi la chiama a collaborare ed è
indispensabile l’accettazione, libera e voluta. Quindi, la vocazione di Maria viene presentata
all’inizio, come un elemento basilare della storia.
“Nel sesto mese (il sesto del concepimento di Giovanni Battista da parte di Elisabetta),
l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una
vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si
chiamava Maria” (Lc 1, 26-27). Siamo di fronte ad una formulazione elementare,
semplicissima, un linguaggio tipicamente semitico, con frasi brevi, una a fianco all’altra e
nel greco originale la lingua lascia un po’ a desiderare. Abbiamo semplicemente i dati
essenziali ed è la prima volta che Maria viene nominata: è una ragazza, vergine, promessa
sposa di un uomo, cioè impegnata in un matrimonio, che nel rituale ebraico viene celebrato
in due momenti, ma già il primo è impegnativo. “Promessa sposa” indica quindi che c’è già
stato un contratto, un atto di matrimonio con cui le due persone si sono legate ed impegnate;
questa fase viene talvolta indicata come fidanzamento, che però non ha nulla a vedere con il
significato che diamo a questo termine: in quel caso l’impegno c’è già, ma non c’è ancora la
coabitazione per la quale passano, dal contratto, alcuni mesi ma non più di un anno. La festa
è quella che accompagna il momento dell’inizio della vita insieme. In conclusione, quando
Maria riceve l’annuncio dell’angelo è già impegnata, ha già stipulato un contratto di
matrimonio e quindi, nel giro di pochi mesi, andrà a vivere con Giuseppe, un uomo della
casa di Davide, della parentela dell'antico re di Israele.
L’evento “mistico” dell’Annunciazione – Il saluto dell’angelo
Se ci chiediamo com’è un angelo – Gabriele -, come arriva e dove entra ci facciamo delle
domande inutili, perché il narratore non dice assolutamente nulla e non possiamo darci delle
risposte con i quadri che conosciamo, in quanto i pittori che li hanno dipinti non ne sanno
niente, come noi. L’annuncio dell’angelo Gabriele è quindi un evento mistico, che avviene
nel profondo della coscienza e che non sarebbe stato possibile riprendere neppure con i
mezzi di cui oggi disponiamo. Se ricordiamo la scena nel film di Zeffirelli, in questo caso si
può apprezzare l’impostazione scenica, dove si mette in evidenza una luce che entra dalla
finestra, una luce notturna, e lo spettatore vede questa ragazza che guarda la luce e che dice
poche parole, ma non viene raffigurato nessuno. Questa immagine è corretta; noi siamo
troppo influenzati dai quadri, un’infinità di raffigurazioni, mentre dobbiamo imparare che
questa è una scena intima: è un ascolto che non avviene con le orecchie, è un discorso che
non è fatto con la bocca, è un’esperienza mistica, misteriosa, che avviene nel profondo.
“Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole
ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto” (ib. 1, 28-29). Nel testo
italiano, come lo leggiamo noi, non è un saluto così grande da domandarci che senso abbia.
“Ti saluto” è l’espressione che noi continuiamo ad adoperare nella forma latina “Ave”;
notiamo però che non è seguita dal nome proprio, “Maria”, ma da “piena di grazia”. Nella
versione greca il verbo che esprime questo saluto (chaire) indica gioia e, tradotto
letteralmente, significa: “rallegrati, gioisci, esulta”. Ricordiamo alcuni testi importanti dei
profeti, che iniziano così: “Gioisci, figlia di Sion”, “Rallegrati Gerusalemme”; sono
numerosi i testi in cui un profeta si rivolge ad una donna simbolica – la figlia di Sion,
Gerusalemme, il popolo – dicendo di rallegrarsi, di gioire, di esultare, perché il Signore
54
promette una grande opera. Quel verbo greco iniziale, nelle espressioni dei profeti appena
citate, è l’invito alla gioia messianica rivolto al popolo o alla città, mentre qui è detto ad una
donna concreta, la quale non viene chiamata col proprio nome, ma con un nome nuovo,
quello che il Manzoni dice: “degnata del secondo nome”. “Piena di grazia” è la traduzione
di un participio greco nel quale si vede la maestria di Luca; nei primi verdetti vi dicevo che
abbiamo delle indicazioni in un linguaggio primitivo: una ragazza promessa sposa di un
uomo, a lui nome Giuseppe e a lei nome Maria; qui, invece, ci troviamo di fronte ad un
participio perfetto passivo, derivato dal verbo Charitóo, che indica il causativo della grazia –
forma e concetto che richiederebbero tempo per un’esauriente spiegazione e che costituisce
il punto di appoggio biblico del dogma dell’Immacolata Concezione: Kecharitoméne. Il
participio dice una realtà abituale, il passivo indica un’azione compiuta da Dio, il perfetto
indica qualcosa che è avvenuto nel passato e che permane durevolmente nel presente, il
verbo causativo dice “trasformata dalla grazia”, “tu che hai ottenuto grazia”, “in te la grazia
ha fatto qualcosa”. Allora, quell’unica parola, che è un participio, diventa quasi un
aggettivo, un nome sostantivato, e sostituisce il nome proprio di Maria, come dire “Salve
Kecharitomene”. Per tradurlo dovrei parlare a lungo, dicendo: “Oh, tu che sei stata
trasformata dalla grazia con un intervento divino avvenuto nel passato e che permane nel
presente, e sei abitualmente in quello stato di grazia”. Questo è il senso di “piena di grazia”.
Notiamo allora una differenza: “Immacolata” dice “assenza di macchia”, mentre la formula
biblica indica la “pienezza della grazia”. La differenza sta nel fatto che la formula biblica è
espressa in positivo (“tutta bella”, rispetto a “senza macchia”).
“Rallegrati, tu che sei stata trasformata dalla grazia, il Signore è con te” sembra quasi un
augurio comune, ma non lo è, perché nella Bibbia è rarissimo e viene detto ai grandi
condottieri: a Mosè, a Giosuè, a Gedeone, a Davide quando parte per andare a combattere
Golia. “Il Signore è con te” è una formula che si adopera per qualcuno che affronta
un’impresa eccezionale con pochissime forze e, per garantire che non sarà lui a compiere
l’opera ma che il Signore lo accompagnerà, viene detto questo augurio. Allora è
comprensibile che Maria si stupisca e si domandi che senso abbia il saluto, perché è stata
salutata come se fosse la città escatologica, il popolo intero, è invitata alla gioia messianica,
viene qualificata come trasformata dalla grazia, viene salutata con l’augurio che si dà ai
condottieri che partono per un’impresa eccezionale. Giunge immediatamente la risposta.
Maria chiede di capire come concepirà
“E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco,
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio
dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre
sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine»” (ib. 1, 30-33). Molti sono gli elementi
che descrivono il bambino che nascerà, in sostanza è il Messia; quindi l’angelo dice: “Non
avere paura, ti ho salutato così perché tu sarai la Madre del Messia”.
“Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo»” (ib. 1, 34). La
prima parte è tradotta male, decisamente sbagliata; è invece corretta la versione in latino:
“Quomodo fiet istud?”, che non va tradotta come nel testo, ma dicendo: “Come avverrà tutto
questo?”. “Come è possibile?” nel senso dubitativo dell’espressione viene detto da Zaccaria
che, per la sua espressione di incredulità, diventa muto. La risposta di Maria è invece
completamente diversa perché non dubita che sia possibile, chiede invece chiarimenti sul
modo in cui la cosa avverrà.
Cerchiamo allora di approfondire questo passo. L’angelo non le ha detto che sta per
avere un bambino e l’obiezione di Maria va in un’altra direzione; chiede infatti come
avverrà. “Non conosco uomo” non significa “Non ho conosciuto uomo”; l’angelo non le ha
detto che sta già aspettando un bambino e che ha già concepito. Se le avesse parlato in
quest’ultimo modo, potrebbe essere logica la domanda e l’obiezione. L’angelo le ha detto
invece che avrà un bambino che diverrà un grande personaggio, espressione che detta ad una
giovane donna che sta per sposarsi sarebbe del tutto normale, per cui la giovane non farebbe
55
presente di non avere ancora avuto rapporti con il fidanzato. Quella di Maria non è
un’obiezione, ma è quasi la richiesta di chiarimento al “direttore spirituale”; Maria si era
impegnata a sposarsi con Giuseppe e quindi, nella logica, c’era la previsione di matrimonio
normale. Tra l’altro, non va dimenticato che, a quel tempo, una ragazza a Nazaret non aveva
altra possibilità se non il matrimonio e i figli – tanti figli, possibilmente -; era l’unica strada
che la società, la cultura, la religione le permettevano.
Il desiderio di verginità di Maria e l’accettazione dell’incarico
Eppure, in Maria c’era un altro desiderio, che è appunto il “desiderium virginitatis”;
questa idea si ricava parafrasando, nel modo più semplice possibile, un articolo della
“Summa Theologiae” di San Tommaso, teologo classico e autorevole; tutto questo
argomentare è suo, per cui sono sicurissimo nel presentarvi queste cose. Maria, quindi, ha il
“desiderio della verginità”, che però non riesce a capire, non riesce a spiegare, perché
nessuno le ha mai detto che è una virtù, che può essere un nobile modo di vivere; trasformata
dalla grazia, sente quel desiderio di consacrazione totale, ma la cultura e la società le offrono
solo una strada. Nel momento in cui questa rivelazione divina le dice che avrà un bambino,
lei chiede in che modo ciò avverrà; quel “non conosco uomo” è espresso al presente e già
Sant’Agostino lo spiegava bene nel senso di “non intendo conoscere uomo”, cioè non rivolto
al passato bensì al futuro come per dire: “Io avrei avuto l’intenzione di non conoscere uomo,
ma, se mi dici che avrò un bambino, allora l’idea che avevo era sbagliata”.
L’angelo le risponde invece che l’idea era giusta, per cui lei avrà un bambino, ma in un
altro modo: “lo Spirito Creatore scenderà su di te”. Quindi, quel “desiderium virginitatis” è
buono, viene da Dio e sarà unito alla maternità.
“Allora Maria disse; «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai
detto»” (ib. 1, 38b). Dall’interpretazione di questa frase possono sorgere due equivoci.
“Sono la serva del Signore” non è un titolo di umiltà, bensì un titolo onorifico: il “servo
del Signore” è il plenipotenziario, è il Primo Ministro, è colui che ha il potere delegato da
Dio; quindi Maria, con quella sua espressione, intende dire che accetta l’incarico grandioso
del quale si è perfettamente resa conto, perché essere la Madre del Messia significa essere la
Regina Madre, è l’incarico della prima donna. Non è quindi l’atteggiamento di chi si pone
in basso, ma di chi accetta di essere stata portata in alto.
L’accettazione espressa con “Avvenga di me …” non è un atteggiamento rassegnato di
chi sopporta ciò che avverrà quasi come cosa inevitabile, non desiderata; è esattamente il
contrario. Luca sa bene il greco ed usa la lingua in modo corretto; qui siamo di fronte ad un
rarissimo caso di ottativo, una forma - quasi mai usata dagli altri evangelisti - che esprime il
desiderio profondo e gioioso che la cosa avvenga. Il testo in greco (ghénoito moi) è molto
più forte e chiaro che non la versione latina: “Fiat mihi”; è anche diverso da “Sia fatta la tua
volontà” del “Padre nostro”. In quest’ultima preghiera c’è una richiesta di impegno perché il
Signore faccia veramente la sua volontà, mentre nell’espressione di Maria c’è il desiderio,
c’è l’entusiasmo, c’è la gioia, c’è l’esplosione di felicità, c’è l’accettazione piena. “E
l’angelo partì da lei” (ib. 1, 38c).
Il significato teologico della verginità
Tirando le conclusioni, proprio in questo mistero della verginità sta il punto cardine, che
non è una questione di ginecologia, ma è una questione teologica. La verginità è necessaria
fisicamente, ma ha un senso teologico grandioso. Non è semplicemente un fatto, ma è il
senso della nuova creazione: quel Figlio, che è Dio in persona fatto uomo, come uomo viene
creato ex novo. Qui occorre fare attenzione: il Figlio come persona trinitaria è eterno,
“generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” e perciò esiste da sempre; come uomo
invece, Gesù cominciò ad esistere nel tempo e quindi la sua umanità è creata. Non è però
creata con concorso di uomo, cioè secondo la nascita umana, naturale e normale; è invece un
nuovo intervento creatore di Dio, è il nuovo Adamo. La verginità di Maria è soprattutto un
56
titolo cristologico: proclamare la verginità di Maria significa sottolineare la novità assoluta
del Figlio, che è l’inizio dell’umanità nuova. Non si tratta perciò di un discorso antisessuale,
ma di un discorso teologico, di novità della generazione, di nuovo inizio.
Dal punto di vista di Maria, la verginità fisica è il corrispondente della verginità del
cuore, cioè della piena dedizione a Dio, della sincera fede, della totale disponibilità.
Sant’Agostino, in un’omelia splendida, dice che “la verginità del corpo qualcuno l’ha
conservata, la verginità del cuore l’hanno persa tutti”, poi “venit Dominus et Virginem fecit”
cioè “venne il Signore e creò una Vergine”; e prosegue dicendo: “Ecclesiam Virginem
fecit”, quindi sta parlando della Chiesa: “creò la Chiesa Vergine”, creò la nuova umanità.
Ciò che conta nella verginità fisica è la contestualità con la verginità del cuore, è il cuore
nuovo, il cuore che crede veramente, il cuore sincero, che è creato da Dio come nuova
condizione ed è ciò che noi diciamo come “Immacolata Concezione”, è il cuore nuovo di
Maria, il cuore che ascolta.
La grandezza di Maria non consiste nell’essere stata Madre di Gesù, bensì nell’essere
stata “discepola” di Gesù, è l’avere ascoltato la Parola; lei ha concepito la Parola perché ha
creduto in Dio. Sant’Ireneo di Lione, grande padre della Chiesa, nel 180 scrive: “Concepit
prius mente quam ventre”, cioè “Concepì prima con la mente che con il ventre”. Concepì
accettando la Parola, ma per accettare pienamente la Parola ci vuole la verginità del cuore.
Allora, Maria è Madre perché è Vergine, mentre nella logica non potrebbe essere madre se
vergine. Ma solo la Vergine può essere Madre di Dio; solo in quanto ha la verginità del
cuore, concepisce la Parola e la accoglie veramente, Maria può generarla, può dare la vita
alla carne umana di Dio. Questa è la grandezza del “discepolo”: avere accettato, accolto e
custodito la Parola è la grandezza di Maria e Maria diventa il modello dell’umanità nuova,
dei discepoli del Figlio, che a loro volta possono essere per Lui fratello, sorella e madre.
Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l’amore
per lo cui caldo nell’etterna pace
così è germinato questo fiore.
Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso intra i mortali,
se’ di speranza fontana vivace.
Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
sua disianza vuol volar sanz’ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.
(Preghiera di San Bernardo, Par. XXXIII, 1-21)
57