estratto - Shantena

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estratto - Shantena
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Tao Te Ching
Una guida all'interpretazione del libro fondamentale del taoismo
Traduzione e cura di Augusto Shantena Sabbadini
URRA
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Dao, 道
Cos'è dunque questo Dao?
dao
via, strada, cammino; tracciare un cammino, condurre, connettere; corso d'acqua o condotta;
via da seguire, principio guida, norma, dottrina; seguire una dottrina, essere adepto di una
disciplina; il Dao, la Via; modo di procedere, arte, metodo; opera magica o tecnica; potere
dell'indovino, del mago o del re; reggere, governare; discorso, dire, insegnare, parlare,
spiegare, esprimere, comunicare; sapere, essere consapevole.1
La maggior parte dei significati della parola dao preesistono al daoismo: il termine era già di uso
corrente ai tempi in cui il daoismo ebbe origine. Ma i daoisti se ne servirono in una maniera
particolare, in un senso nuovo e specifico che, seguendo la convenzione, indico con l'iniziale
maiuscola: il Dao, la Via. Per comprendere l'origine di questo nuovo uso della parola dobbiamo in
primo luogo farci un'idea di come il termine dao fosse usato nel dibattito filosofico all'epoca.
I temi principali di questo dibattito erano di natura epistemologica ed etica: riguardavano la
distinzione fra il vero e il falso, fra il giusto e lo sbagliato, i principi che devono guidare il
comportamento dell'individuo e i fondamenti delle norme che devono reggere la società. Il dibattito
dunque riguardava 'i dao', i principi guida, le norme, le dottrine, così come la validità dei discorsi,
delle argomentazioni in merito. In esso si affrontavano diverse scuole di pensiero che possono
essere divise in due grandi campi, tradizionalisti e innovatori.
I confuciani, rappresentanti per eccellenza del campo conservatore, "erano sacerdoti del rituale
culturale e sociale. Essi sottolineavano l'approvazione e l'autenticazione convenzionale."2 Per loro
la suprema autorità etica era la via tracciata dagli antichi re-saggi, tramandata nelle norme e nei
rituali sociali. Una delle loro preoccupazioni era la 'rettificazione dei nomi', l'uso appropriato del
linguaggio: linguaggio corretto, comportamento corretto e ordinamento corretto della famiglia e
della società erano intimamente connessi. In tutti e tre i casi occorreva ritornare a una tradizione più
antica e più pura per porre rimedio al disordine e alla corruzione del presente.
I moisti, i seguaci di Mozi (circa 480 a.C.), sono invece un esempio paradigmatico del campo
innovatore. Essi "erano carpentieri, ingegneri, strateghi militari. I criteri di validazione per loro
erano più legati al mondo e meno alla società..."3 Ai loro occhi le norme tradizionali, in quanto
creazione umana, non erano dotate di un valore intrinseco e universale. L'ideale moista era un'etica
universale in quanto fondata nella natura, non nella cultura. Questo fondamento veniva individuato
1
Voce del Dictionnaire Ricci de caractères chinois, Instituts Ricci (Parigi-Taipei), Desclée de
Brouwer, Parigi, 1999 (mia traduzione semplificata).
2
Chad Hansen, A Daoist Theory of Chinese Thought, Oxford University Press, Oxford e New
York, 1992, p. 99.
3
Ibid.
2
nella distinzione naturale fra il beneficio e il danno: compito delle norme etiche era dunque
assicurare la massima utilità sociale, massimizzando il beneficio e minimizzando il danno.
In questo dibattito i daoisti intervennero in maniera radicale, mettendo in discussione i presupposti
sia degli uni che degli altri e spostando il discorso a un metalivello. Moisti e confuciani discutevano
su quale fosse il giusto dao a livello individuale e sociale. I daoisti chiesero invece: esiste un giusto
dao? Esiste una norma, una dottrina, un discorso che sia costante, universale? Si può parlare di un
giusto e di uno sbagliato in senso assoluto? Oppure il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso sono
relativi e dipendenti dal contesto? Moisti e confuciani discutevano su quali fossero i fondamenti
dell'etica e su quali norme fossero più appropriate per lo sviluppo dell'individuo e della società. I
daoisti misero in discussione l'idea stessa di etica. Ai loro occhi l'imposizione di un'etica, qualsiasi
etica, era un allontanarsi dalla spontaneità, dalla natura originaria e autentica dell'essere umano.
Fondamentalmente dunque i daoisti spostarono il discorso da 'cosa è vero e giusto' a 'cosa si può
dire in generale del vero e del giusto'. Spostarono cioè il discorso a un metalivello, dove
inevitabilmente si trovarono ad affrontare il problema dei limiti del linguaggio, la frattura fra
rappresentazione e realtà e, in nuce, tutti i dilemmi del pensiero postmoderno contemporaneo.
La risposta daoista alla domanda 'cosa si può dire in generale del vero e del giusto' è
fondamentalmente scettica e relativista. I daoisti ironizzano sulla presunzione di coloro che pensano
di poter catturare la realtà in un sistema intellettuale. Sono altresì convinti che cercare di imporre
una norma di comportamento agli individui e alla società, sforzarsi di migliorare le cose, è fare il
primo passo nella direzione sbagliata ed è la sorgente ultima del disordine. Meglio è astenersi
dall'interferire nel corso naturale delle cose, adottare una forma di azione fluida e minimale che può
essere descritta come 'non azione' (un'idea di cui avremo modo di occuparci spesso nel commento al
testo) e ritornare a una condizione di semplicità descritta metaforicamente dall'immagine del 'blocco
di legno grezzo'.
Dao ke dao...
Riesaminiamo dunque il primo verso del Laozi alla luce del contesto tratteggiato sopra. Il verso
consiste di sei caratteri: dao4 ke3 dao4 fei1 chang2 dao4.
dao4
via, strada, cammino; principio guida, norma, dottrina; modo di procedere, arte,
metodo; discorso, dire, insegnare, parlare, spiegare, esprimere, comunicare, il Dao, la
Via
ke3
potere, permettere, essere in grado, consentire, approvare, appropriato, possibile,
veramente
dao4
via, strada, cammino; principio guida, norma, dottrina; modo di procedere, arte,
metodo; discorso, dire, insegnare, parlare, spiegare, esprimere, comunicare, il Dao, la
Via
fei1
non essere, non, diverso, opposto, contraddizione
chang2
costante, durevole, sempre, frequente, assoluto, permanente
3
dao4
via, strada, cammino; principio guida, norma, dottrina; modo di procedere, arte,
metodo; discorso, dire, insegnare, parlare, spiegare, esprimere, comunicare, il Dao, la
Via
Alcune letture possibili di questo verso sono:
'ogni via che può essere detta/insegnata/comunicata non è una via costante/eterna'
'ogni norma che può essere detta/insegnata/comunicata non è una norma costante/eterna'
'ogni dottrina che può essere detta/insegnata/comunicata non è una dottrina costante/eterna'.
'ogni dire che può essere detto non è un dire costante/eterno'.
Tutte queste letture corrispondono alla posizione epistemologica dei daoisti. Esse dicono
sostanzialmente: ogni discorso è contingente, ogni rappresentazione della realtà è solo
condizionalmente valida, ogni norma prescrittiva è relativa, non esiste un fondamento ultimo per
l'epistemologia e per l'etica.
Questa è essenzialmente anche la prospettiva che sta alla base del pensiero postmoderno. Una
formulazione classica di essa è la famosa metafora di Korzybski: "la mappa non è il territorio"4.
Un'affermazione apparentemente ovvia, che tuttavia intesa in senso ampio colpisce alla radice ogni
tentativo di catturare la realtà in un sistema di pensiero. Quel che Korzybski dice è che ogni
descrizione della realtà mediante un linguaggio è una mappa. L'universo del discorso è l'universo
delle mappe: la realtà, il 'territorio', resta eternamente al di là di tale universo.
Un'altra, splendidamente ironica, formulazione dello stesso assioma (una formulazione che
indubbiamente sarebbe piaciuta a Laozi) è la pipa di Magritte. Nel 1929 il surrealista belga René
Magritte dipinse questo quadro, intitolato L'inganno delle immagini:
L'inganno di cui Magritte parla non si limita alle immagini, ma si estende a ogni forma di
rappresentazione: un persistente errore umano è la reificazione dei nostri costrutti mentali,
scambiare il concetto per la cosa (scambiare la mappa per il territorio, nel linguaggio di Korzybski).
Ma, se daoismo e pensiero postmoderno condividono la stessa epistemologia relativista come punto
di partenza, essi divergono nei loro sviluppi. La realtà è indicibile, è eternamente al di là
dell'universo del discorso: questo è il punto di partenza comune. Ma l'interesse del pensiero
postmoderno si concentra sull'universo del discorso come creatore di realtà intersoggettivamente
condivise, di mondi sociali. L'interesse dei daoisti invece è tutto rivolto verso la realtà indicibile. Il
4
Questa frase compare per la prima volta in una presentazione che Korzybski tenne a un convegno
della American Mathematical Society a New Orleans nel 1931.
4
loro interesse per la sfera del discorso è solo critico e ironico. La dimensione esistenziale è la sola
che conta per loro.
Essi introducono perciò un nuovo uso della parola dao, l'uso che ho indicato con l'iniziale
maiuscola. Il Dao, la Via è ciò che sta oltre il dicibile, ciò che non ha nome e di cui pertanto si può
solo parlare per paradossi e allusioni, ciò che è più antico di 'cielo e terra', il 'vuoto' che sta prima
della dualità di soggetto e oggetto, coscienza e mondo. Il Laozi può essere letto come un invito a un
viaggio esperienziale in questa dimensione del 'vuoto' - il 'vuoto' che è 'la madre dei diecimila
esseri', il 'vuoto' da cui ogni cosa scaturisce e a cui ogni cosa ritorna.
Tenendo presente quest'altro uso della parola dao, le letture possibili del primo verso del Laozi si
allargano a comprendere le seguenti:
'ogni dao di cui si può parlare non è l'eterno/costante Dao'
'ogni via che può essere insegnata non è l'eterna/costante Via'
'il Dao, non appena se ne parla, non è già più l'eterno/costante Dao'
o anche, concisamente (con Addiss e Lombardo):
'Dao detto Dao non è Dao'.
È importante a questo punto comprendere che questi nuovi significati non escludono quelli indicati
in precedenza. Il testo cinese li comprende tutti simultaneamente (e altri ancora). È una
caratteristica della lingua cinese (una delle caratteristiche che ne fanno uno straordinario mezzo di
poesia) il fatto che ogni parola contenga una molteplicità di risonanze e ogni frase possa essere letta
in vari modi. Ma ciò che è in gioco qui è qualcosa di più della flessibilità della lingua: è lo spirito
stesso del daoismo che accoglie gli opposti come complementari e tiene insieme letture diverse
della stessa cosa. Si consideri, per esempio, questo passo del Zhuangzi, l'altro grande classico del
daoismo, all'incirca contemporaneo o di poco posteriore al Laozi:
"Perciò 'quello' emerge da 'questo' e 'questo' dipende da 'quello' - che val quanto dire che 'questo' e
'quello' si generano a vicenda. Dove c'è nascita dev'esserci morte; dove c'è morte dev'esserci
nascita. Dove c'è accettabilità dev'esserci inaccettabilità; dove c'è inaccettabilità dev'esserci
accettabilità. Dove c'è il riconoscimento del giusto dev'esserci il riconoscimento dello sbagliato;
dove c'è il riconoscimento dello sbagliato dev'esserci il riconoscimento del giusto. Perciò il saggio
non procede in questo modo, ma illumina tutto nella luce del cielo. Anch'egli riconosce un 'questo',
ma un 'questo' che è anche un 'quello', un 'quello' che è anche 'questo'. Il suo 'quello' contiene sia un
giusto che uno sbagliato. Perciò, di fatto, ha ancora un 'questo' e un 'quello'? O di fatto non ha più
un 'questo' e un 'quello'? Lo stato in cui 'questo' e 'quello' non trovano più il loro opposto è detto il
perno della Via." (Zhuangzi, 2)5
Questo libro vuole essere un invito a leggere il Laozi nello spirito "in cui 'questo' e 'quello' non
trovano più il loro opposto". Vuole essere una 'traduzione daoista' del Laozi, che permetta al lettore
di abbracciare diverse risonanze del testo, di tenere insieme interpretazioni contrapposte senza
dover necessariamente scegliere, bensì contemplandole come strati di significato che si
arricchiscono a vicenda.
5
Burton Watson, The Complete Works of Chuang Tzu, Columbia University Press, New York and
London, 1969, pp. 39-40.