Omelia Secondi Vespri Epifania per inizio clausura papale

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Omelia Secondi Vespri Epifania per inizio clausura papale
Omelia di mons. Dante Lafranconi
Vescovo di Cremona
Chiesa di San Sigismondo - Cremona
6 gennaio 2010
Secondi Vespri
dell’Epifania del Signore
IL CONTRIBUTO DELLA VITA MONASTICA
NELLA COSTRUZIONE DELL’EUROPA E DI UNA UMANITÀ NUOVA
Abbiamo dato inizio a questa celebrazione dei Vespri ricordando un pensiero di san Domenico che
invitava ad avere gli stessi atteggiamenti dei Magi giunti dall’Oriente per adorare il Signore.
Viviamo dunque l’odierna festa dell’Epifania considerando questi misteriosi personaggi nel loro viaggio
alla ricerca di Dio, un itinerario prima guidato dalla stella e poi, una volta scomparso l’astro dal cielo,
dalla parola: a Gerusalemme, infatti, essi chiedono dove è nato il re dei Giudei e gli studiosi della Parola
di Dio danno loro la risposta desiderata.
Nella vita monastica per ricercare l’essenziale
Il riferimento ai Magi come cercatori di Dio mi fa tornare alla mente il discorso pronunciato dal Papa al
Collegio dei Bernardini durante la visita apostolica in Francia, nel settembre 2008. In esso egli
sottolineava che l’obiettivo della vita monastica – e si riferiva all’origine della vita monastica – non è
altro che “quaerere Deum”, cercare Dio.
Affermava Benedetto XVI in quel discorso: «Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere,
essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la
Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò
che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo “escatologico”. Ma
ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo» (Discorso al mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008).
In questo secondo anniversario della posa della clausura papale, vorrei inquadrare la riflessione concentrando l’attenzione sul senso della vita monastica come ricerca dell’essenziale.
Anche noi viviamo in un tempo confuso, farraginoso, e in un certo senso frammentato, tanto che diventa
necessario avvalerci di quell’esperienza passata, di quel momento della storia della Chiesa per riscoprire
che la soluzione alle nostre inquietudini risiede, ancora una volta, nella ricerca dell’essenziale, di Dio.
Quei monaci hanno cercato Dio attraverso la Parola, non sono andati a tentoni. E anche i Magi non si
sono lasciati guidare dal caso: prima hanno seguito una stella e poi la Parola di Dio. Tutto ciò ci insegna
che la ricerca di ciò che è essenziale può essere guidata solo dalla Parola di Dio.
Lasciarsi guidare dalla Parola di Dio – ed è un’altra osservazione che il Papa proponeva in quel discorso –
porta ciascuno di noi a trovare nella Parola di Dio stessa la risposta alla ricerca.
Ebbene, mi piace pensare – perché così è la realtà – a voi monache come a persone alle quali
confluiscono le parole umane di coloro che soffrono o che sono alla ricerca della fede o che hanno
qualche problema personale o familiare: vengono da voi per affidare al vostro cuore le loro necessità e
richieste. E voi che cosa fate di bello? In qualche maniera ve ne appropriate, le fate vostre, ma la cosa
ancor più bella è che le trasformate in una preghiera che non è vostra, ma è quella che Dio vi mette nel
cuore e sulle labbra. Quanto grande e bello è questo vostro ministero! Raccogliete le aspirazioni, le
fatiche degli uomini e le affidate a Dio con parole che sono Parole di Dio stesso. La preghiera dei salmi,
tanto per citare l’aspetto più alto e più nobile della preghiera così come ci è consegnata nella Bibbia, non
è altro che una preghiera che Dio suggerisce agli uomini perché abbiano parole adatte per parlare a Lui.
È sempre stata questa la vocazione delle monache e dei monaci. Direi che questo è il ministero più bello e
affascinante della vita claustrale: raccogliere le parole umane, intrise di sofferenza, a volte di rabbia se
non addirittura di imprecazione, per trasformarle in preghiera attraverso parole proposte dal Signore
stesso.
Nella vista monastica l’equilibrio tra lavoro e preghiera
La vita monastica – anche questa è un’osservazione che il Papa faceva nel suo discorso a Parigi – è
contrassegnata anche dal lavoro. Il lavoro, nella sua dimensione più vera, più umana e più giusta, non è
altro che collaborazione con Dio. Il Papa nell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale della Pace, al
numero 6, spiega chiaramente: «Il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel Libro
della Genesi, [quello con cui consegnava agli uomini la terra per coltivarla] non consisteva in un semplice
conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla responsabilità. (...) La Rivelazione biblica
ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti
intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per ‘custodirla e coltivarla’ (cfr Gen
2,15). Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano
arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si
sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, ‘piuttosto tiranneggiata che governata da
lui’. L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo responsabile della creazione, custodendola e
coltivandola» (Messaggio per la XLIII Giornata mondiale per la pace, n. 6).
Diventa anzitutto necessario saper calibrare i tempi del lavoro e quelli della preghiera, il riconoscimento
di Dio creatore e l’assunzione della propria responsabilità di collaboratori con Dio creatore. Questo
equilibrio è ciò che manca all’uomo moderno: non solo perché intende la creazione come una specie di
miniera da sfruttare indiscriminatamente a scapito delle generazioni future, ma anche perché intende il
lavoro solo nell’ottica della propria realizzazione e del proprio dominio. In questa maniera l’uomo non è
più un collaboratore di Dio, ma uno sfruttatore della natura.
Nella vita monastica l’alternarsi della preghiera e del lavoro insegna agli uomini del nostro tempo che il
lavoro non è tutto, per quanto sia importante. È giusto che l’uomo possa esprimersi nel lavoro, ma
altrettanto è importante che sappia vedere il proprio lavoro non come l’espressione dell’autodominio sulla
creazione, ma di una collaborazione responsabile con Dio. L’equilibrio tra preghiera e lavoro che voi
monache vivete diventa un modello esemplare per tutti e richiama l’uomo a non fare del lavoro una
divinità.
Nella vita monastica le radici dell’Europa
Il Papa nel suo discorso agli uomini di cultura francese continuava sostenendo che il monachesimo ha
messo le radici dell’Europa sviluppandone la cultura. Non è sbagliato pensare che anche voi con la vostra
testimonianza date un contributo alla vita di questa Europa che sta rinascendo, un contributo che
permette, come a quei tempi lontani, di dare delle radici salde, autenticamente umane, perché ancorate a
Dio, a questa nuova realtà sociale, politica ed economica.
Nel bellissimo capitolo dedicato al Medioevo de “La storia della Chiesa”, Daniel Rops descrive il fiorire
delle esperienze monastiche tutte tese a vivificare la Chiesa, a farla crescere, a offrirle l’alimento
spirituale: mi piace pensare che questa immagine possa essere ancora attuale grazie alla vostra presenza
in tutta Europa.
Allora mi sembra bello ricordarvi che la vostra vocazione è grande anche in ordine alla costruzione della
nuova civiltà europea.
Nella vita monastica la risposta alle tante domande dei giovani
Mi piacerebbe dire una parola anche ai giovani. Loro, che rappresentano il futuro del mondo, hanno
bisogno di coltivare ideali grandi. E proprio perché nelle loro mani hanno la grande responsabilità del
futuro dico: prendete in considerazione seria anche la vocazione monastica, come stile di vita, come
risposta a Dio, come modalità tipica dell’esistenza ordinata a far crescere il mondo di domani, così come
la vita monastica dei secoli passati ha fatto crescere il mondo di cui oggi noi ereditiamo i frutti, i valori, la
storia.
Conclusione
Non c’è solo la terra da coltivare, è necessario coltivare anche l’umanità. Penso allora ai coltivatori
dell’umanità, che sono in modo particolare i ministri della Chiesa, i sacerdoti. L’azione pastorale, infatti,
non è altro che un coltivare l’umanità nel suo riferimento a Dio e nell’affermazione degli autentici valori
umani. A noi preti in questo anno sacerdotale il Signore chiede di essere santi. Questo è l’anelito più
struggente che c’è nel cuore di ogni presbitero oggi, questo è l’anelito che alberga anche nel cuore di voi
monache e di ogni cristiano buono e innamorato della Chiesa. Perché se ci sta a cuore l’essere
corresponsabili di Dio nel lavoro per perfezionare l’opera della creazione, tanto più ci sta a cuore l’essere
collaboratori di Dio nel costruire l’umanità nuova.
Per questo una volta ancora chiedo a voi la preghiera per la santità di tutti noi sacerdoti.
Il testo, ripreso dalla registrazione, non è stato rivisto dall’Autore
e conserva pertanto il tono discorsivo della parola viva