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SaTuRa
4o TRIMESTRE 2008
ARTE LETTERATURA SPETTACOLO
N4
Il Signor
Bonaventura
Il sangue
Angkor e la
grazia delle
rovine
Intervista a
Expomilano
2015
€ 6,00
Luigi Grande
SaTuRa ARTE LETTERATURA SPETTACOLO
e l’inchiostro
Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L.
27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, - CNS/CBPA-NO/GE - n. 4 anno 1 - contiene I.R.
SaTuRa
Trimestrale
di arte letteratura e spettacolo
Redazione
Sandra Arosio, Milena Buzzoni,
Vico Faggi, Luigi Fenga,
Gianluigi Gentile, Mario Napoli,
Mario Pepe, Veronica Pesce,
Giuliana Rovetta, Andrea Scarel,
Stefano Verdino, Guido Zavanone
Redazione milanese
Simona De Giorgio
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Anno 1 n° 4
Quarto trimestre
Autorizzazione del tribunale
di Genova n° 8/2008
In copertina
Luigi Grande
Motociclista
sommario
03
FRANCO CROCE
Una lettura di Franco Croce:
Giovanni Pascoli:
Il lampo e il tuono
a cura di Caterina Bardi
06
PASCOLI E GLI ARTISTI
Illustrazioni per la III
edizione di Myricae
Veronica Pesce
23
QUATTRO POESIE
Guido Zavanone
Al lettore
Uomo
La tempesta
La statua della fontana
23
23
24
24
25
IL SIGNOR
BONAVENTURA
Andrea Scarel
35
TRE POESIE
Marco Gasperini
A Cannigione
Notte al bois de Bulogne
Tre candele
35
35
35
36
IL SANGUE E
L’INCHIOSTRO
Giuliana Rovetta
46
46
TRE SCRITTI DI VICO FAGGI
1. Inferiae di marzo
(Genova 2008)
2. Inferiae di aprile
(Genova 2008)
3. Inferiae di maggio
(Genova 2008)
47
49
51
ANGKOR E LA GRAZIA
DELLE ROVINE
Milena Buzzoni
63
PROSPEZIONI
Caracreatura
di Simona De Giorgio
Seurat, Signac
e i neoimpressionisti
di Simona De Giorgio
Per la poesia di Margherita
di Vico Faggi
La poesia di Quartero
di Vico Faggi
Non può durare in eterno
di Luigi Fenga
Francesco Casorati a Genova
di Luigi Fenga
Clara Malraux:
una vita con De André
di Giuliana Rovetta
73
INTERVISTA
Luigi Grande
Cieli rossi
Franco Ragazzi
81
SPECIALE MILANO
Expomilano 2015
Gianluigi Gentile
87
RECENSIONI MILANO
Serena Vanzaghi
93
RECENSIONI GENOVA
Erica Bailo e Mario Pepe
95
VETRINA
Giorgio Levi
Il visibile e l’invisibile
Barbara Cella
97
Gabriella Pastorino
Astratta
Erika Bailo
99
Lucia Pasini
Mario Pepe
102
Pietro Pignatti
Sunset Boulevard multicolor
Ross Elliot
FRANCO CROCE
Una lettura di Franco Croce
Giovanni Pascoli: Il lampo e Il tuono
a cura di Caterina Bardi1
Leggerò dieci poesie di dieci poeti italiani del Novecento: va però subito
detto che non saranno delle lezioni. Il mio modo di leggere non somiglierà a
quello correttissimo di un buon dicitore, ma sarà la lettura dilettantesca di un
appassionato di poesia; il mio commento non sarà quello che professionalmente dovrei fare, perché professore lo sono, ma sarà invece il commento di
un appassionato di poesia, che chiacchiera con qualcuno cercando di farne un
altro appassionato; e, come non sistematica sarà la metodologia dei miei commenti e non aulica sarà la mia lettura, così l’antologia che vi propongo non avrà
alcuna ambizione di esemplarità.
La poesia del Novecento ha avuto tanti scrittori importanti, più di dieci,
ma ne ha avuto alcuni grandissimi, e se davvero si volesse fare sul serio
un’operazione di salvataggio di ciò che tiene, bisognerebbe concentrarsi sui
grandissimi. Se proprio dovessi dire la mia opinione, mi concentrerei soltanto
su un libro compatto, su una sezione compatta di un grandissimo libro: leggerei, nel cuore del Novecento, le poesie dedicate da Montale alla seconda
guerra mondiale, alla grande tragedia che attraversa la metà del nostro secolo;
leggerei la sezione Finis terrae de La bufera, e avrei la ferma convinzione di
fare l’operazione giusta.
Quello che invece qui facciamo è un’altra cosa: è un’esplorazione lungo
l’arco del Novecento, puntando su testi scelti, ora per la loro centralità dentro i poeti che li hanno scritti, ora invece tendenziosamente. Questa esplorazione un po’ arbitraria non avrà tanto lo scopo di far conoscere la grande
poesia del Novecento, quanto di utilizzarla come pretesto, per condurre un
certo discorso sul secolo che si è finalmente concluso; un arco quindi ampio
che affonda in una zona di poesia non pienamente novecentesca, ma tocca
quegli scrittori tra Ottocento e Novecento che in parte preludono ai toni novecenteschi, senza, né cronologicamente né ideologicamente, appartenere totalmente al secolo XX. [...continua...]
1
Testo tratto dalla trasmissione di Radio due Alle otto della sera del 7 agosto 2000. È questa la prima delle
conversazioni radiofoniche del prof. Franco Croce, in cui egli, oltre ad esaminare le poesie di Pascoli, illustra brevemente i criteri a cui si atterrà durante il ciclo delle letture.
Caterina Bardi Una lettura di Franco Croce. Giovanni Pascoli: il lampo e il tuono
FRANCO CROCE
3
Veronica Pesce Illustrazioni per la III edizione di Myricae
6
PASCOLI E GLI ARTISTI
PASCOLI E GLI ARTISTI
Illustrazioni per la III edizione di Myricae
di Veronica Pesce
Se la collaborazione con Plinio Nomellini1 è il più maturo, alto e compiuto dialogo artistico intrattenuto da Giovanni Pascoli con un suo illustratore, occorre precisare che a quell’esito si arriva solo al termine di un graduale e variegato percorso in cui il gusto visuale-figurativo del poeta di San Mauro si modifica ed evolve, al pari del suo linguaggio e della sua poetica. Non sarà inutile dunque ritornare indietro, con un salto temporale, alle prime Myricae, e quindi a quell’iniziale interesse artistico pascoliano che va di pari passo al desiderio di vedere illustrata la propria poesia.
Pascoli dimostra una certa attenzione ‘artistica’ fin da quando è studente
universitario a Bologna, dove oltre all’interessata frequentazione dei corsi di Edoardo Brizio, docente di archeologia2, entra in contatto con due artisti, dei quali non
si dimenticherà negli anni seguenti. Si tratta di Attilio Pratella, a sua volta studente dell’Accademia di Belle Arti, e del futuro scultore Tullo Golfarelli.
[...continua...]
1
All’artista si devono, oltre a varie illustrazioni a singoli componimenti pascoliani su periodici, la
parziale realizzazione del progetto grafico dei Poemi del Risorgimento, editi postumi nel 1913. Per un quadro più complessivo della collaborazione tra Nomellini e Pascoli, rimando a “Satura”, a. I, n. 1.
2
L. Manzi, Giovanni Pascoli e le arti figurative, “Scena Illustrata”, a. 87, n. 10, ottobre 1972, p. 23.
3
Come noto il 1895 è un anno cruciale della biografia del poeta: Giovanni Pascoli si trasferisce a
Castelvecchio di Barga, a seguito del matrimonio della sorella Ida e della nomina a professore straordinario di grammatica greca e latina all’Università di Bologna.
4
Per una dettagliata ricostruzione della genesi delle Myricae rimandiamo, oltre all’edizione critica (Giovanni Pascoli, Myricae, edizione critica a cura di Giuseppe Nava, Sansoni, Firenze 1974) e alla successiva edizione commentata di Giuseppe Nava, (Giovanni Pascoli, Myricae, edizione commentata a cura
di Giuseppe Nava, Salerno Editore, Roma 1978), alla più recente antologia curata da Cesare Garboli nella
collana dei “Meridiani” Mondadori (Giovanni Pascoli, Poesie e prose scelte, Progetto editoriale introduzione e commento di Cesare Garboli, Mondadori, Milano 2002), dove la raccolta risulta smembrata negli originari Opuscoli per nozze.
QUATTRO POESIE
Quattro poesie
AL LETTORE
La poesia non è nata sulla Terra
viene da qualche lontano pianeta
stele misteriosa
portata dalle comete
Le giriamo intorno stupiti
senza sapere cos'è
né se pur essa un giorno
scomparirà con noi
O se il suo canto
risuonerà ancora
sulla Terra deserta
Forse solo un fruscio
da qualche vecchio disco
per l'orecchio di un dio
[...continua...]
Guido Zavanone Quattro Poesie
GUIDO ZAVANONE
23
IL SIGNOR BONAVENTURA
di Andrea Scarel
“E una sera al caffè, sul marmo di un tavolino, nacque – quasi per una distrazione – il nuovo eroe... Fu bianco e rosso perché al momento della sua nascita non
avevo a mia disposizione che un lapis rosso e il marmo bianco del tavolino. E la sua
foggia restò quella”1 Queste parole, citate da un’intervista del 1928, narrano l’atto
di nascita del signor Bonaventura; era il 1917, poco tempo dopo la disfatta di Caporetto e Tofano si trovava a Roma nella doppia veste di militare e di vignettista del
“Corriere dei Piccoli”. E fu proprio in contrapposizione al più famoso2 tra gli eroi del
“Corrierino”, l’Happy Hooligan (in italiano Fortunello) di Frederick Burr Opper, che
Tofano elaborò il signor Bonaventura: “Perché, mi dissi, non contrapporre all’americano Fortunello, eterna vittima della malasorte, un italiano Bonaventura, beniamino a tutti i costi della buona sorte?”3
Se il signor Bonaventura fu rosso e bianco per caso, quasi allo stesso modo
nacque il bassotto; difatti durante la stesura della prima avventura Tofano si era arenato ai versi: “troppo sportosi di fuore / per raccogliere quel fiore / capitombola di
sotto...”4 e solo dopo qualche esitazione concluse con “lui col fido suo bassotto”5.
Fu dunque un’esigenza metrica a donare a Bonaventura un compagno talmente inseparabile che Tofano, quando ebbe l’infelice idea di farlo morire, dovette, sotto le
pressioni dei bambini, correre ai ripari e resuscitarlo6. Come ha scritto Silvio d’Amico
il fatto che il bassotto sia nato dalle contingenti necessità di una rima, ricorda come
la scrittura in versi spesso non sia semplicemente uno stile, ma soprattutto “un’assidua fonte di immagini, una ispiratrice di idee, e addirittura di complesse visioni”7.
[...continua...]
F. Iannucci, Chi si rivede, Bonaventura, in “Il Messaggero”, 22 aprile 1995.
Si ricordi che Petrolini recitava i Salamini nelle vesti di Fortunello.
3
B. Mosca, Recita da mezzo secolo il padre di Bonaventura, in “Gente”, n. 14, marzo 1959.
4
cfr. F. Vicino, Favole ed altri scritti di Sergio Tofano, Pescara, Edizioni Tracce, 1994, p. 15.
5
cfr. Ibidem.
6
cfr. P. Novelli, Qui comincia l’avventura di mio figlio Bonaventura..., in “Gazzetta del Popolo, 17 settembre 1961.
7
S. d’Amico, L’ottimismo di Bonavetnura, in “Il tempo” ed. di Roma”, 16 gennaio 1954.
8
cfr. -, Qui comincia l’avventura di sto Bonaventura, in “Tuttolibri”, inserto de “La Stampa”, febbraio 1993.
1
2
Andrea Scarel Il Signor Bonaventura
IL SIGNOR BONAVENTURA
25
TRE POESIE
Tre poesie
A CANNIGIONE
Qui si arroventano le ombre
sotto il fuoco di un cielo
tirato a lucido, dove sembrano quasi
perdersi abbacinati
i cormorani
prima di venire giù ad infilarsi
tra gli sguardi sorpresi dei bambini.
Disteso su questa sabbia sarda
sacrifico pensieri al sole
e lentamente mi oscuro.
NOTTE AL BOIS DE BOULOGNE
Era grande il falò al Bois de Boulogne,
tutti a portare qualcosa da ardere
(roba da ogni parte del mondo).
Era un fuoco sessantottino,
d’agosto ma forse ancora di maggio.
In una notte piena di fumo che
sembrava poter durare per sempre,
nel chiaroscuro sui volti infiammati
e negli alti zampilli di fuoco.
[...continua...]
Marco Gasperini Tre poesie
MARCO GASPERINI
35
Giuliana Rovetta Il sangue e l’inchiostro
36
IL SANGUE E L’INCHIOSTRO
IL SANGUE E L’INCHIOSTRO*
di Giuliana Rovetta
“Che coli il mio sangue
piuttosto che il mio inchiostro”
Pierre Drieu La Rochelle
“ Que faut-il pour être heureux?
Un peu d’encre”
Jacques Rigaut
Quando nell’agosto 1923 Pierre Drieu la Rochelle pubblica nella prestigiosa Nouvelle Revue Française un racconto intitolato allusivamente La valise
vide1, l‘ambiente letterario parigino riconosce nella figura del protagonista
Gonzague il discusso –e tuttavia amato- Jacques Rigaut, scrittore dal controverso talento, capace di catalizzare con la sua marcata personalità, l’attenzione
di illustri estimatori. Paul Éluard, a cui il racconto è dedicato, accettando di
buon grado l’amichevole omaggio, prende le distanze dallo stile, a suo dire,
troppo caricaturale del ritratto, mentre Philippe Soupault, allora direttore della
rivista Littérature, riscontra tra le pagine, al di là della vena ironica, una buona
dose di invidia, inconfessato sentimento che Drieu, l’autore, nutrirebbe nei
confronti della inimitabile, fascinosa allure del personaggio Rigaut2. Non a
caso Adieu à Gonzague, brano commemorativo scritto da Drieu sotto l’impulso
di un tardivo rimorso per la scomparsa dell’amico appena trentenne, ci consegna un’immagine del giovane Jacques durante i preparativi per un’uscita serale che allude al suo (immeritato?) successo presso il pubblico femminile:
“Riavviavi i tuoi bei capelli un po’ mossi e uscivi: nei salotti, nei bar, e una sensazione di amore impossibile, funesto, pungeva il cuore di qualche donna”,
ma puntualizzando subito dopo: “Pas de toutes”...3.
[...continua...]
Così si intitola il primo dei due saggi di Pierre Drieu La Rochelle, Le Jeune Européen, edizioni NRF, 1927.
PDLR, La valise vide, ora in Nouvelle Revue Française, n. 571, ottobre 2004, a cura di Jean-Luc Bitton.
Vedi il parziale ritratto che questo autore ha dedicato a J. Rigaut in En Joue!, Grasset, 1925.
3
PDLR, Adieu à Gonzague, Gallimard, 1959, p. 177.
*
1
2
Vico Faggi Inferiae di marzo
46
TRE SCRITTI DI VICO FAGGI
TRE SCRITTI DI VICO FAGGI
7 marzo - Le visite di mio zio mi lasciavano molto perplesso. Non capivo
– avevo due anni – perché vestisse, lui maschio, in quello strano modo. Ignoravo l’esistenza della categoria dei sacerdoti, i loro vestimenti.
Mi dissero poi, i miei genitori, che, per distinguere quello zio dagli altri
parenti, lo chiamavo “Al zio con la stanèla”, cioè con la sottana. Ma questo significa che, piccolo com’ero, io parlavo in dialetto e precisamente nel dialetto
di Pavullo nel Frignano, che era il dialetto di mia madre.
Ancor oggi mi capita di uscire in qualche detto dialettale, e di usarlo
pure in poesia, seppure in rarissime occasioni. Ma questa persistenza del ricordo, mi dico, non può non essere portatrice di un significato.
Cerco qualche verifica. Prendo la poesia Dalla casa paterna, leggo il suo
incipit, “Gli scocci, i ciappini…”, e rilevo che le due parole sono di fonte dialettale. Scocci sta per scozz, ciappini per ciapìn ….Di origine dialettale ma italianizzate. E la poesia è dedicata ai miei genitori, respira l’aria di casa, il suo
sapore antico, non dimenticato, non dimenticabile. Sono parole di mia madre,
e la memoria, che le ha fatte sue, me le restituisce.
Altra poesia L’infante perduto. La sua prima strofa
Nanin pupin, la voce,
bada bene, diceva, non blisgare
se strabucchi t’inzucchi…
Nanin pupin è un vezzeggiativo pavullese; non blisgare vuol dire non scivolare; se strabucchi t’inzucchi significa se inciampi ti rompi la testa. È la mia
casa che parla, è la voce di mia madre che risuona nel mio orecchio interiore.
14 marzo - Il verso che apre la mia Poetica II (“Hominem sapit: sappia
la tua pagina”) suona gradevole al mio orecchio, e spero di non sbagliarmi,
non illudermi, non cedere al narcisismo; e per tutelarmi vorrei spiegare a me
stesso quali fattori stiano alla base della mia sensazione.
Un poco c’entra, è indubbio, la citazione latina, che debbo a Marziale:
“hominem pagina nostra sapit”. Ancor più c’entra l’ordine delle parole che si
snoda alternando sdrucciole e piane (A B B A). Del resto anche in Marziale la
combinazione sillabica c’è, con due sdrucciole seguite da due piane. E sappiamo quale frutto un poeta possa trarre da siffatte costruzioni eufoniche.
[...continua...]
ANGKOR E LA GRAZIA DELLE ROVINE
di Milena Buzzoni
Per noi della generazione degli anni cinquanta, Cambogia significa
guerra, napalm, attacchi khmer in mezzo alla giungla, il genocidio di Pol Pot,
le mine. Ecco perché quando Lorenzo ci ha proposto un viaggio in Cambogia,
non riuscivo ad associarlo a un percorso di svago, né immaginavo che il sito
archeologico di Angkor, di cui avevo solo vagamente sentito parlare, avrebbe
esercitato su tutti noi un fascino così potente. In fondo ero più attratta dai tre
giorni a Bangkok che già conoscevo e che mi avrebbero garantito un allegro
soggiorno nel permanente bailamme di una città sempre sveglia e sempre in
vetrina con il suo ininterrotto schieramento di bancarelle e di ogni sorta di
merce in vendita. Fede, al contrario, era attratto proprio dall’evocazione della
guerra e da quello che appunto aveva significato per la nostra generazione.
Alla fine ci troviamo al check-in della Thai, scalo a Bangkok per Phnom
Penh, arrivo non troppo stanchi nel caldo umido e nel sole velato di una stagione
secca quasi finita. Il pulmino che ci preleva da un aeroporto sobrio dove non mi
piacciono le divise verde-palude che circolano qua e là, si ferma davanti a un albergo enorme con un blocco centrale dal classico tetto a pagoda e due lunghe ali
laterali: è il Cambodiana Hotel. Le piante nelle aiuole e le vasche d’acqua dalle
quali emergono in raffinata solitudine fiori di loto chiusi e aperti, la hall, le stanze
ampie ben arredate non riescono a dissimulare la severità un po’ sinistra di un’architettura da soviet, quel freddino di una struttura di regime. Ma siamo contenti.
Cerchiamo subito la piscina, non molto grande, con anfore di terracotta che versano acqua. Il prato che la ospita scende con un dislivello di erba tenera al Tonle
Sap, un fiume lento, quasi immobile che accoglie le acque azzurre del Mekong e
le mischia alle sue dense e fangose. Nel punto in cui si mescolano le correnti, si
intersecano striature di turchese e marrone creando una superficie variegata
come quella di un gelato a due gusti: pistacchio e cioccolato. Il fiume dà una
strana sensazione di quiete, più di meditazione su ciò che è stato che d’attesa.
Su una terrazza laterale sono disposti larghi letti quadrati con baldacchini coperti da bianche tele velate che fluttuano a una brezza leggera. Alte
palme attorno alla piscina si muovono appena. Elena, la figlia di Lorenzo, legge
nella vasca idromassaggio e i suoi capelli biondi trattenuti da una treccia scintillano nel sole. Sotto l’ombrellone qualcuno, sopraffatto dalla stanchezza del
viaggio, azzarda un sonnellino.
[...continua...]
Milena Buzzoni Angkor e la grazia delle rovine
ANGKOR E LA GRAZIA DELLE ROVINE
51
PROSPEZIONI
Letture di Simona De Giorgio, Vico Faggi, Luigi Fenga, Giuliana Rovetta
CARACREATURA
di Simona De Giorgio
Una lunga serie di nomi di donna riempie la
quarta di copertina dell’ultimo libro di Pino
Roveredo. Sono le donne della sua esistenza,
quelle che gli hanno insegnato ad amare se
stesso e la vita. Tra i diversi nomi primeggiano quello di Evelina, sua madre, colei che ha
dovuto patire sofferenze simili a quelle di Marina, protagonista del romanzo, e Luciana, la
madre dei suoi figli, in grado di sostenerlo nei
suoi momenti più cupi. A loro si affiancano
figure meno centrali nella sua vita ma non per
questo marginali: Suor Pina che lui chiama
“madre che non ha avuto figli”, Cecilia, incontrata novantenne in un manicomio, e addirittura alcune prostitute che egli definisce
“venditrici d’amore”. È a tutte loro che Roveredo dedica il suo Caracreatura, perché è grazie a loro che scrivendo ha potuto sentirsi donna, e ancora di più madre.
Il romanzo narra, infatti, la storia di una madre la cui vita è ormai pura sopravvivenza, abbandono alla noia e al ripetersi di giorni sempre uguali. Palcoscenico di questa monotonia
sono le quattro mura della casa familiare dove
la donna è ormai costretta a vivere senza alcuna compagnia e che è diventata la tana della sua solitudine. Qui Marina vive senza curarsi della mancanza della luce elettrica, dell’umidità che ricopre le pareti e del frigo vuoto, anche le visite che riceve sono vissute come
un tentativo d’intrusione nella sua realtà alienante e statica. Il quadro di estrema sofferenza emerge dalla voce della stessa protagonista, che si agita in un lungo flusso di coscienza, ripescando nella memoria più o meno remota le varie tappe di un’esistenza giunta ormai a un profondo livello di degradazione.
La somatizzazione di questo stato di dolore ha
le sue radici già nell’infanzia della donna,
quando ella è fatta oggetto di perverse attenzioni da parte del patrigno prima e del fratellastro poi. Di fronte a tutto ciò la costituzione
del suo nucleo familiare appare come una speranza di salvezza, una campana di vetro dove
Marina crede di essere immune al dolore. La felicità è per lei la tranquillità della vita familiare, la sola vicinanza dei suoi affetti: il marito,
Federicomio, e il figlio Gianluca, Caracreatura.
Ma il mantenimento di questa tranquillità è più
apparente che reale, anzi rende ancora più scioccante la rivelazione di alcune verità che Marina vorrebbe ignorare, seguendo l’illusione che
ciò che non viene detto smette di esistere. È in
questo modo che la donna nega la giusta importanza all’isolamento volontario del figlio, alla
sua scarsa socievolezza e infine a quel primo
spinello che viene considerato solo una “ragazzata”. Inizia così il lungo cammino della tossicodipendenza di Gianluca, con cadute e illusorie riprese, cammino dal quale emerge tutta la
forza che una donna può trovarsi dentro per
amore di un figlio. Quello della droga è un percorso che l’autore ha vissuto in prima persona:
Roveredo non fa mistero del suo passato da alcolista e tossicodipendente, al contrario lo rende esemplare della possibilità di riscattarsi, che
a lui è giunta anche attraverso la letteratura. Nonostante ciò questo romanzo non può essere
liquidato come un romanzo sulla tossicodipendenza e il disagio giovanile, esso è molto di più.
Questo sfondo è usato come espediente per raccontare gli stati d’animo di Marina in un climax
sempre più commovente. Il culmine di questo
percorso è raggiunto con il sacrificio finale della donna che, trovatasi ad affrontare da sola la
dipendenza del figlio dopo la morte del marito, si priva del suo amore facendolo incarcerare, sapendo così di permettergli di riprendere
in mano la sua vita.
L’intera vicenda narrataci come flash back nel
monologo della protagonista è quella che ha
condotto alla profonda disperazione sulle cui
note si apriva il romanzo. È una situazione che
ormai sembra definitiva e irreparabile e che
invece permette all’autore di rendere ancora
più sorprendente lo spiraglio di luce che si può
intravedere solo nelle ultime pagine.
[...continua...]
Simona De Giorgio Caracreatura
PROSPEZIONI
63
INTERVISTA
Le ultime opere di Luigi Grande evidenziano il malessere e il pessimismo a cui è giunto il pittore.
Conosco Grande e la sua pittura da molto tempo. Seguo la sua
attività, qualche volta ne ho anche scritto e mi sono occupato del
suo lavoro condividendo la sua insularità mediterranea (Le carte
delle isole, 1997), attraversando i territori della libertà insidiata e
perduta degli indiani d’America (Desiderio di diventare indiano,
2001), rivisitando la memoria di Garibaldi (Garibaldi nell’immaginario Popolare, 2007), simbolo di speranza e emancipazione
dalle ingiustizie, per comprendere che se la sua pittura è giunta
all’attuale drammaticità questo non possa considerarsi casuale.
Nella pittura, come in tutte le forme del linguaggio e della comunicazione, vi è un rapporto diretto e consequenziale fra i temi e
le modalità espressive con le esigenze di significato, siano esse
consce o inconsapevoli, nate dal ragionamento, da una visione
razionale o da automatismi della mente. E questo è particolar-
Auto in fiamme, olio su tela, 100x100 - 2007
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
LUIGI GRANDE, CIELI ROSSI
73
INTERVISTA
INTERVISTA
Auto sotto il cielo rosso, olio su tela, 100x100 - 2008
mente vero per un artista della realtà e per una pittura di “istinto” come
quella di Luigi Grande, un pittore che
esalta la fedeltà del proprio metodo
tecnico fatto di segni, colori, tele e
pennelli come un prolungamento
sincero e oltremodo scoperto della
propria coscienza al quale affida la
manifestazione evidente della sua
personalità, della sua emotività e dei
suoi pensieri.
Le sue tele qui pubblicate, realizzate
in gran parte nel 2008, ci restituiscono luoghi e situazioni di un mondo
devastato colto nel suo precario
equilibrio che lo conduce verso la catastrofe. Paesaggi illuminati da sinistri bagliori rossastri, nubi velenose,
onde, venti e moti della natura ammalati che si sostituiscono alle vitali
turbolenze atmosferiche di qualche
anno fa. Vi è insomma un “program-
Uomo che parla al vento, olio su tela, 70x100 - 2005
75
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
ma” ben definito nel codice linguistico impiegato dall’artista che
avverte il bisogno di farci partecipi del suo pensiero.
Da sempre la pittura di Grande è fondamentalmente etica, espressione della sua immaginazione e specchio fedele del suo spirito e
delle sue riflessioni. In questo caso non è eccessivo definire questi dipinti la manifestazione di una condizione dell’anima profondamente turbata e angosciata. Vico Faggi, forse il suo critico più
profondo, sostiene che la pittura di Luigi Grande proceda sin dagli anni Sessanta, “entro il solco di una stretta coerenza”. Una coerenza che si ritrova nella scelta di codici linguistici appartenenti
ad un universo iconografico figurale, di paesaggi e di ritratti, di
notevole forza emozionale risolta attraverso una immediata capacità d’espressione, di una pittura profondamente interiorizzata,
inquieta, emotiva, ricca di contrasti cromatici e di asprezze formali in cui luce e ombra, colore e materia fanno vibrare i nervi e
i sensi di un linguaggio concitato che, come ha scritto Gianfranco
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
74
INTERVISTA
INTERVISTA
La nube rossa no. 1, olio su tela, 100x100 - 2008
Bruno, “ha scelto la strada espressionista come via d’accesso a ciò
che non è apertamente rivelato dal visibile”.
Una coerenza che si ritrova nel persistente riferirsi di Grande alla rappresentazione dell’individuo e al paesaggio in cui esso si
muove e partecipa attivamente alla vicenda umana secondo
eventi o storie che spesso portano l’artista ad evidenziare il suo
impegno civile. Ora, invece, la medesima rigorosa coerenza, conduce Grande ad una pittura da cui scompare la figura umana.
“Negli anni passati”, racconta Luigi Grande parlando delle sue opere più recenti, “ho preferibilmente usato la figura per rappresen-
Motociclista, olio su tela, 70x90 - 1998
77
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
tare i conflitti fra gli uomini e negli uomini. Oggi anche la natura,
e dunque il paesaggio, ha in sé il veleno che serpeggia tra gli esseri umani e mi diventa anch’essa necessaria all’espressione, usandola non più come sfondo ma in qualità di protagonista”.
E aggiunge: “Nei miei recenti dipinti le nubi arrivano dal mare.
Hanno fantastiche sfumature; cosa le compone? Sono le stesse di
tanti anni fa o ci portano piogge acide, concentrazioni elettromagnetiche, polvere radioattiva?”
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
76
INTERVISTA
Le tele di Grande illustrano i
suoi itinerari attorno al paesaggio come ieri ci raccontavano quelli intorno al corpo
umano. Sono racconti di presenze inquietanti e di assenze,
di materia e di spirito, con immagini sempre emozionanti,
enigmatiche e ambigue, capaci
di comunicarci un mistero che
può essere svelato solo nella
profondità dell’animo umano.
Per ritrovare la figura umana occorre andare più indietro, ad un
Uomo che parla al vento del
2005, un quadro dal duplice significato, dell’inutilità di parlare, di
sprecare parole con chi non vuole
ascoltare, di parlare a vuoto
senza essere ascoltati, oppure di
parlare comunque, come ho letto
in un blog sulla rete: “parlare al
cielo... alle nuvole... alle onde del
mare... l’importante è parlare... e
se nessuno ti sente, pazienza... tu
parla lo stesso! alcune persone
dovrebbero poter sentire la tua
voce anche senza bisogno di parlare...”. Ma sono proprio gli ingredienti di una maieutica del “parlare al vento” in cui compaiono i
fantasmi di Kafka che bevono i
baci contenuti nelle lettere, o
l’ombra del vento ritrovata nel
“Cimitero dei Libri Dimenticati”
di Ruiz Zafón, che lasciano intuire che solo pochi anni fa Grande
nutriva ancora qualche fiducia
sulla possibilità di comunicare e,
forse, mutare l’esistente.
La pittura di Grande è una pittura di vento. In una sua mostra del 1998 si scriveva di “un
vento espressionista” e Giorgio Seveso, fra il “senso turbolento del dipingere”, ribollimenti d’immagine, suggestioni
INTERVISTA
di pennellate inquiete, ci dice
come nelle sue tele soffi “un
vento inaudito” a sconvolgere
le sue immagini e, con esse, le
convinzioni e i codici sui quali
reggono le nostre esistenze.
E’ un vento che soffia incessante sul mare.
In Vento di settembre sul mare
alimenta il rogo del mare e del
cielo come se l’acqua fosse invasa da petrolio incendiato e l’aria
da gas mefitici. Nella Ragazza e
il mare il vento schiuma le onde
e corrompe l’esile corpo femminile di un perduta preziosità di
frammenti dorati.
Il vento è anche una figura tragica ed emozionante dell’anima
che alimenta le fiamme dei cieli o, nelle notti visionarie, come
confessa l’artista quando vorrebbe “sognare che tutte le auto del
mondo brucino improvvisamente per autocombustione come le
giraffe di Dalì”, come in Auto sotto il cielo rosso e Auto in fiamme,
ma è soltanto un sogno e neppure molto “consolatorio giacché contribuirebbe ad aumentare i veleni dell’effetto serra”.
I paesaggi dipinti di un rosso allucinato, i corpi e le spiagge
d’oro, i cieli e i mari azzurri e cobalto secondo Grande stanno a
significare che “gli inquinamenti non stroncano all’istante”,
ma, sostiene ancora il pittore, “ci
consentono di ammirare ancora per qualche tempo i colori
della natura nel loro variare”.
Si tratta infatti di capire, per
quanto tempo.
Sono i colori che traboccano dalla coscienza e invadono le tele
a dirci che esiste una bellezza
anche nella tragedia. “Spero”,
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Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
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Vento di Settembre sul mare, olio su tela, 100x100 - 2008
dice l’artista, “che in queste tele l’amore per il colore non allontani dall’inquietudine che lo emana”.
Una inquietudine che si fa ancora più serrata quando l’artista immagina un personaggio on the road, sulla sella di una rombante
motocicletta. Un tema già sviluppato nel passato ma che ora acquisisce un significato diverso, maggiormente allarmante, con il
suo viso appena rivolto all’indietro verso un cielo in fiamme sempre più incombente e devastante. Ma come la moglie di Lot non
seppe resistere alla tentazione di vedere che cosa accadeva alle sue
spalle e trovò il coraggio di voltarsi indietro pagando la sua tra-
INTERVISTA
sgressione, anche questo personaggio si volge a salutare il passato riuscendo (forse) a guardare in avanti.
“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”
“Dove andiamo?”
“Non lo so, ma dobbiamo andare”.
(Jack Kerouac, On the Road, 1957).
Franco Ragazzi
La ragazza sul mare, olio su tela, 70x100 - 2008
SPECIALE MILANO
EXPOMILANO 2015
di Gianluigi Gentile
L’area destinata ad ospitare l’Exo si attesta nella zona nord ovest della città, lungo la direttrice storica del Sempione che, insieme all’altra direttrice
di nord est della Valassina, costituisce
uno dei principali collegamenti con i
bacini industrializzati della Brianza e
che, in un passato più recente, hanno
raccolto i flussi d’inversione della
tendenza insediativa.
Indipendentemente dall’analisi critica
che sarà possibile compiere su ogni singolo episodio architettonico, l’Expo rappresenta, in divenire, uno degli interventi più strettamente connessi alla
crescita urbana lungo le arterie di
penetrazione.Episodi insediativi di
questo tipo, in cui l’immagine della torre o quella della grande piazza giocano un ruolo determinante, costituiscono l’evidente paradigma di un processo di sviluppo funzionale ed architettonico che si riversa sui poli secondari dell’hinterland, oltre i confini comunali, ad ulteriore dimostrazione, se fosse necessario, della necessità di strumenti di pianificazione regionali che,
a distanza d’anni dalla formulazione
L’area dell’Expo
del primo Piano Intercomunale, tardano ad essere attuati.
Milano è senz’altro storicamente predisposta ad accogliere eventi espositivi di livello internazionale, collocata
in un’area d’influenza mitteleuropea e,
in ambito territoriale, nel baricentro tra
un nord fortemente industrializzato e
una zona sud a vocazione prevalentemente agricola.
Nel 1881 la prima Esposizione Nazionale dava la conferma della posizione
di preminenza assunta dalla città ai
giardini pubblici di porta Venezia.
Due anni dopo, a pochi passi da piazza del Duomo, s’ inaugurava la prima
centrale
termoelettrica,
con
l’illuminazione della Galleria Vittorio
Emanuele. Il mondo della produzione
industriale si presentava in società in
modo autocelebrativo, attraverso icone apertamente encomiastiche, col
supporto delle banche del Cordusio,
che riciclavano in investimenti industriali i capitali originati dalla produzione agricola della Brianza.
La parola progresso attraversava i salotti che contavano e le pagine dei giornali, mentre alla Scala il balletto Excelsior celebrava eventi come il taglio del
canale di Suez e il traforo del Cenisio,
sul modello delle esposizioni
d’oltralpe, in cui l’architettura costruiva un teatro celebrativo, come nel
Palais du Champ de Mars, del 1878, o
la Porte Monumentale, il Crystal Palace o la Galérie des Machines e la stessa Tour Eiffel. A Milano L’Esposizione
Internazionale del Sempione, tenutasi nel 1906, celebrava il completamento del tunnel che collegava la città a Pa-
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Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
Franco Ragazzi Luigi Grande, cieli rossi
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CRITICA
rigi.
Per una beffarda contraddizione della
storia, al palazzo del Senato il mondo
delle arti rendeva omaggio alla cultura
pittorica tradizionale, mentre cadeva nel
vuoto l’illusione futurista di compiere la
saldatura fra progresso tecnico ed evo-
CRITICA
luzione sociale ed umana, così come in
anni più recenti, lo stesso Movimento
Moderno attuava il suo programma
linguistico con una coralità che nel dopoguerra coinvolse i baluardi dell’autoritarismo culturale, mentre il suo programma produttivo ed urbanistico è sta-
La fiera campionaria nel 1960
Umberto Boccioni, la città che sale, 1910, MOMA
to vanificato dal pragmatismo liberista.
La più importante struttura espositiva milanese nasce nel 1920, sviluppandosi con
continuità fino ad oggi, salvo un’interruzione di tre anni nel periodo bellico, ed
assumendo il ruolo di testimone della crescita del nostro Paese, a cominciare significativamente dagli anni cinquanta, attraverso gli anni sessanta, quando il connubio fra il mondo degli affari e la mondanità portò a configurare l’immagine ormai appannata della Milano “da bere”.
Nel 1950 s’inaugura il primo eliporto civile europeo, il Leonardo da Vinci, nel
1957, in occasione della giornata della chimica viene presentato il moplen, prodotto dalla Montecatini in collaborazione con la facoltà d’Ingegneria chimica del
Politecnico, mentre nella saletta del “Club aux Nations” si riunisce l’esecutivo
del Comitato Internazionale Televisione, con la partecipazione Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Olanda. L’anno dopo, per la prima volta in Italia, viene
presentato il vaccino Salk, e viene organizzata la prima mostra sui viaggi nello
spazio; la prima mostra sulle applicazioni dell’energia nucleare si apre nel 1959,
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Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
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mentre nel 1964 si allestisce quella sul tema “acqua dolce dal mare”
e viene organizzato un convegno con la partecipazione di cinquecento fra scienziati e tecnici, mentre altri eventi significativi potrebbero essere citati, fino al trasferimento della Fiera nell’attuale sede.
Il progetto dell’Expo nasce come prospettiva d’integrazione morfologica e funzionale con l’attuale polo di Rho-Pero. L’obiettivo finale del programma è di suturare un vuoto territoriale, alienato per
la frammentazione dovuta alla presenza delle infrastrutture che
formano un perimetro intorno all’area, isolandola dal contesto metropolitano.La saldatura si affida ad un disegno che assume come
parametri fondativi i riferimenti all’acqua e al verde, che acquistano particolare rilevanza.
La sequenza dell’integrazione morfologica ha origine dall’apertura della Porta Ovest, connessione principale col polo fieristico attuale, con la metropolitana e con la ferrovia la funzione di cerniera di questo collegamento verrà enfatizzata da una torre di duecento metri. Sospendendo il giudizio nel merito dell’inserimento
di un grattacielo nello sky line milanese come simbolo
d’integrazione, la torre rappresenta il punto di convergenza di due
edifici lineari che andranno a costituire la futura Piazza Expo, fu-
CRITICA
CRITICA
Masterplan dei padiglioni tematici
tura sede degli eventi più rappresentativi.
La struttura del collegamento sarà funzionalmente assolta da un
ponte pedonale allo stesso livello della piazza, a circa dodici metri di quota.
I PADIGLIONI TEMATICI
I temi espositivi corrispondono ad altrettanti padiglioni, da progettare secondo il criterio della massima flessibilità, per consentire una rapida riconversione delle strutture in attrezzature
d’interesse pubblico come impianti sportivi, luoghi di spettacolo,
o spazi espositivi d’attualità. Le aree occupate dai padiglioni temporanei delle varie nazioni verranno riutilizzate per la realizzazione di residenza e servizi, sulla trama dei percorsi e delle opere
d’urbanizzazione predisposte per l’Expo come strutture funzionali di base.
Lo studio di fattibilità scenografica è stato affidato alla società francese Confino, specializzata in allestimenti museali ed espositivi, di cui
riportiamo le linee programmatiche relative ad una serie di temi:
The spiral of food, o la relazione Uomo-Natura e l’evoluzione storica e culturale dell’approccio al cibo, un momento di confronto
con il mondo animale e le sue differenze dalla razza umana. La proposta è un percorso articolato a spirale attraverso suoni, luci ed
The right to eat right, o le conseguenze degli squilibri sociali relativi alla nutrizione. Mettere in evidenza l’esistenza di questi problemi, che assumono dimensioni critiche ad esempio nel Darfour o nel
Bronx meridionale, in un padiglione che si trova a poca distanza da
quelli del Sudan e degli Stati Uniti, potrà costituire un problema
d’importante rilevanza politica, dal momento che questi Paesi considerano gli squilibri nutrizionali come questioni d’ordine interno.La
scenografia prevede l’esposizione propedeutica di situazioni di crisi, in successione con l’allestimento di stand modulari in cui le organizzazioni governative documenteranno la loro attività.
The art of food, o il superamento dell’approccio alla nutrizione come
necessità fisiologica di base. Gli eventi previsti sono orientati alla spettacolarizzazione dell’argomento, come Hollyfood, che farà rivisitare scene di film connessi all’argomento, come “Babette’ feast” o “La
grande bouffe”o “Poule au vinagre”, come Foodart, una carrellata
diacronica sulle opere d’arte ispirate al tema del banchetto, o l’evento
Il planivolumetrico dell’Expo
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Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
installazioni. Negli spazi esterni vi saranno campioni di piante che
in tutto il mondo offrono cibi direttamente utilizzabili.
The stories of soil, water and air, o la relazione fra la qualità dell’ambiente e la qualità dei prodotti, un confronto fra le culture contadine nel mondo in rapporto alle modificazione del paesaggio in
funzione della diffusione delle colture specifiche, come quella del
vino in Italia, quelle spartane del sud del Sahara, quella del riso in
oriente, o la cultura del tè in India. Verranno esemplificati diversi contesti ambientali, dai più aridi a quelli più umidi, con immagini proiettate su moduli bianchi volumetrici, mentre negli spazi
esterni verranno ricostruiti esempi di climi differenti.
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
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CRITICA
musicale On the rocks, con l’esecuzione di brani con la formula del
festival permanente. E’ prevista la possibilità di realizzare gli eventi tramite la ricostruzione di un set cinematografico, un locale per
la degustazione degli stessi piatti che si vedranno sullo schermo, una
galleria d’arte ed uno spazio per l’organizzazione dei concerti.
Il tema della flessibilità attraversa la concezione di tutti gli allestimenti come ipotesi di lavoro irrinunciabile, inducendo ad alcune considerazioni di carattere programmatico: se da un lato si assume come possibilità positiva la flessibilità, nei suoi aspetti di conversione funzionale, d’altro lato bisogna riconoscere che lo stesso concetto implicitamente può condurre ad una forma d’agnosticismo nei confronti dello spazio progettato e dell’architettura degli interni che conduce ad una concezione del linguaggio architettonico in senso bidimensionale. Non è
più lo spazio fruibile ad essere progettato, ma è la texture del suo contenitore, approccio già emerso nella recente storia dell’architettura, ma
che ora trova, almeno nelle intenzioni dichiarate, una formalizzazione esemplare, proponendosi come strumento coerente delle istanze
della società dello spettacolo che investono l’architettura nel suo rapportarsi con la città, L’architetto nel suo operare è sospinto verso un
nuovo orizzonte formalista, dove l’etica si ridimensiona a puro rigore semantico. L’apertura problematica che la crisi delle avanguardie ha
indotto nella cultura architettonica contemporanea, configura un nuovo ambito disciplinarmente composito, una contaminazio dei ruoli in
cui la creatività architettonica assume nuovi stimoli dalla complessità interdisciplinare dei rapporti che, sia pure in modo discordante, si
propongono, in alternativa alla rincorsa di una dimensione professionale forse definitivamente perduta.
Gianluigi Gentile
RECENSIONI MILANO
RECENSIONI MILANO
di Serena Vanzaghi
GABRIELE ARRUZZO - AS HIMSELF
Antonio Colombo Arte Contemporanea
20 novembre-fine gennaio
Attraverso il medium della pittura Gabriele Arruzzo trasporta lo spettatore in
situazioni immaginarie, al limite del possibile. In un continuo turbinio di voli pindarici nel tempo, nella mitologia, nella
storia, nell’arte e nella letteratura, lo
spettatore diventa partecipe di una
“messa in scena” creata dall’artista, condita di dualismi e contrasti. Curioso il titolo della mostra che prende in prestito
un vocabolo usato prettamente in ambito teatrale: così come l’attore recita “as
G. Arruzzo, Leone III e Carlo Magno fanno
himself” (cioè interpretando se stesso),
visita allo studio del pittore, smalto e acrilianche i personaggi che vivono nelle tele
co su tela, 2008. Courtesy Antonio Colomdi Arruzzo vengono colti nell’interpretabo Arte Contemporanea.
zione (oppure nella rinuncia all’interpretazione) della propria parte nella loro vita.
GUIDO BAGINI - ASTRAL SIGNS
The Flat-Massimo Carasi
13 novembre-7 gennaio
Il torinese Guido Bagini, alla seconda personale presso The Flat, mostra i risultati della sua
recente ricerca artistica orientata verso un
nuovo spazio che sfida i limiti della bidimensionalità (su cui, comunque, continua a lavorare) e verso l’impiego di materiali innovativi.
Gli esiti di questa indagine sono le multicolori sculture-installazioni di Corian (un impasto
di resina e marmo in polvere), reinterpretazioni a tre dimensioni delle geometrie degli smalti su cartone. I paesaggi, le strutture e
l’oggetto di design sempre presenti nelle opere dell’artista assumono così, nella loro tangibile fisicità, una rilevanza totemica e metafisica, quasi fossero segni astrali.
In gennaio la galleria ospiterà una personale
dell’artista newyorkese Michael Bevilacqua, in
cui verranno esposte le sue opere più recenti.
Guido Bagini, Up, 2008, corian, 144x30x47 cm, Courtesy The FlatMassimo Carasi_Milano
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Serena Vanzaghi Recensioni Milano
Gianluigi Gentile EXPOMILANO 2015
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RECENSIONI MILANO
RECENSIONI MILANO
ALBERTO BURRI
Triennale
11 novembre-8 febbraio
ALBERO DI FARFALLE
Marco Rossi-Spirale Arte Contemporanea
20 novembre-18 gennaio
Dopo ventiquattro anni di assenza
espositiva nel capoluogo lombardo,
Alberto Burri, uno dei grandi talenti
artistici del Secondo Dopoguerra, viene celebrato attraverso un’articolata
retrospettiva che raccoglie anche alcuni pezzi inediti. Burri, considerato
uno dei primissimi pionieri della NeoAvanguardia in Italia, si è sempre mostrato, attraverso la sua continua ricerca extrapittorica, un artista al passo con le più ardite avanguardie internazionali dagli anni Cinquanta in poi.
I Catrami, i Sacchi, i Legni, le CombuA.Burri, Combustione-Sacco, 1956.Courtesy Triennale Milano.
stioni, i Cellotex, i Cretti, i Monotex sino alle ultime opere testimoniano la
sua pedissequa indagine verso le nuove frontiere della materia e dello spazio, irriducibile ai limiti del quadro.
Quindici opere su carta e
una nuova opera in marmo (dal poetico titolo Albero di Farfalle) compongono la mostra personale
di Hidetoshi Nagasawa.
L’artista giapponese, maestro della scultura Zen,
presenta appositamente
per gli spazi della galleria,
una grande stele di marmo di Carrara che sembra
Hidetoshi Nagasawa, Disegno (Rame), 2008, Collage di rame su carta e acido, cm 70x100, Courtesy Marco Rossi-Spisfidare, nella sua imporale Arte. Arte Contemporanea, Milano
nente grandezza, un senso di leggerezza e, allo stesso tempo, di impossibile equilibrio.
Le opere di Nagasawa si collocano nello spazio del “Ma” (luogo fisico e mentale in cui si concentrano tutte le energie) e sono fortemente permeate di filosofia e tradizione artistica orientale. Ne risultano
creazioni contraddistinte da semplicità e essenzialità che, tuttavia,
sprigionano una forza evocativa dirompente.
GREGORY CREWDSON - DREAM HOUSE
Photology
Si è da poco conclusa la
mostra Dream House,
l’importante anteprima europea composta da dodici
fotografie
di
Gregory
Crewdson. Con abilità da
regista, Crewdson crea
complesse immagini che
sembrano riproporre una
sequenza filmica. Gli attori, chiamati ad essere pro- Gregory Crewdson, Dylan and dinnertable, Dream House,
Digital Prints Cm 63 x 100, Edition of 15, Copyright
tagonisti degli scatti (Tilda 2002,
Gregory Crewdson.
Swinton, Julianne Moore,
Philip Seymour Hoffman,
William H. Macy e Gwyneth Paltrow), si aggirano in un set desolato:
una casa disabitata del Vermont, in cui ogni cosa è rimasta come
l’ultimo proprietario l’ha lasciata. Dall’apparente tranquillità della
provincia americana traspare un’atmosfera carica di mistero, inquietudine e turbamento, accentuata dall’utilizzo di luci teatrali e di un
particolare stile narrativo, attraverso cui Crewdson porta la tradizione della staged photography ad un livello sempre più avanzato.
DAN GRAHAM - SAGITARIAN GIRLS
Francesca Minini
13 novembre-15 gennaio
In occasione della sua mostra milanese
Dan Graham presenta un padiglione site-specific ideato per gli spazi della galleria. La sua ventennale ricerca sullo
spazio, basata sulla creazione di strutture praticabili in vetro, prosegue attraverso l’utilizzo del vetro a riflessione
differenziata (materiale che mescola riflessione e trasparenza) e attraverso la
predilezione per le superfici curve. Lo
spettatore viene chiamato ad interagire
con e dentro la stessa creazione artisti- Dan Graham, Half Square Half Crazy,
2004 Two-way mirror, stainless steel 240
ca, in un continuo gioco di riflessi e di x 600 x 600 cm, Foto Pino Musi, Courtesovrapposizioni di immagini. Il punto sy Galleria Massimo Minini, Brescia
di vista soggettivo dello spettatore e la
sua percezione rispetto allo spazio e agli altri individui diventano elementi di fondamentali importanza nell’opera di Graham.
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Serena Vanzaghi Recensioni Milano
Serena Vanzaghi Recensioni Milano
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RECENSIONI MILANO
ALFREDO JAAR - IT IS DIFFICULT
Hangar Bicocca-Spazio Oberdan
3 ottobre -25 gennaio
Convinto che la cultura debba
avere un ruolo attivo e socialmente responsabile, l’artista cileno Jaar, attraverso l’adozione
di svariati linguaggi, scuote il
pubblico mettendo in mostra,
con acuta critica, scomode realtà. I suoi progetti relativi all’Africa - teatro di atroci violenze e speculazioni economiche mettono in crisi l’idea disincantato-esoterica (prodotta anche
A. Jaar, Geography = War, installazione, 1991.
dai media) di questo continente. Jaar ci invita a riflettere su
come l’equilibrio (che è anche disequilibrio) mondiale sia regolato da
dinamiche ben poco etiche, fonti di ingiustizie ed emergenze umanitarie.
Con il progetto pubblico Questions Questions lo spettatore viene
inoltre sollecitato a rispondere a domande semplici e dirette dalle risposte non sempre scontate: “Cos’è la Cultura?”
RECENSIONI MILANO
MONDINO AND FRIENDS
Aldo Mondino, Roberto Coda Zabetta, Federico Guida, Davide Nido.
Poleschi Arte
30 ottobre 2008- 21 febbraio 2009.
Una ricca mostra antologica celebra la
carriera di Aldo Mondino (1938-2005),
artista che ha indagato diverse tematiche e tecniche dagli anni Sessanta sino
alla sua scomparsa. Mondino, che mai
si è riconosciuto in un’unica chiesa artistica, ha spaziato dai Collages, alle
Turcate e Tauromachie su linoleum,
dalle sculture e i tappeti di eraclite e gli
Iznik su vetro alle opere realizzate con
cioccolatini. Una versatilità che cela
molte fonti d’ispirazione, provenienti
A. Mondino, Turcata, 2000, olio su linoleum. Courtesy Poleschi Arte.
sia dalla Storia dell’Arte sia dalle culture orientali, ma anche dalla vita quotidiana, reinterpretata attraverso la sua caratteristica curiosità. In mostra sono presenti anche opere di tre dei suoi assistenti, oggi riconosciuti a livello nazionale ed internazionale.
ALEX KATZ
Monica De Cardenas
20 novembre-31 gennaio
HIDETOSHI NAGASAWA
STEPHANIE NAVA
CONSIDERING A PLOT (DIG FOR VICTORY)
Via Farini-Organization for Contemporary Art
3 novembre-20 dicembre
Ritratti essenziali e nitidi, piani
di colori intensissimi, prospettiva bidimensionale e spiccato interesse per i mass-media, i fumetti e la fotografia. Queste le caratteristiche delle opere di Alex
Katz, artista newyorkese che dipinge in uno stile, come lui stesso afferma, “totalmente americano”, sintesi tra l’astrattismo dell’Espressionismo Astratto e il
realismo della Pop Art, le due ten- Alex Katz, Reflection with Kirsten, 2008, oil on cancm 185 x228, Courtesy Galleria Monica De
denze artistiche principali nel- vas,
Cardenas, Milano
l’America del Secondo Dopoguerra. Attraverso una freddezza formale che, di primo acchito, sembra impedire qualsiasi connotazione sentimentale, Katz apre una finestra sulla sua vita, presentandoci con devozione e attenzione i suoi
affetti famigliari, gli amici, i poeti, gli artisti e i musicisti che orbitano attorno al suo mondo.
Anni di elaborazione teorica e di lavoro manuale hanno portato alla
formazione dell’opera-installazione
di disegni al tratto dell’artista francese Stephanie Nava. Un work in
progress che tenta di creare, lentamente nel tempo, un giardino, con
le dinamiche, i tempi e la cura che
questo spazio richiede nelle sue
molteplici diramazioni, verso l’alto
e verso il basso. Il giardino, con la
sua caratteristica profusione di
specie e di piante, è un bacino inesauribile di vita visibile e invisibile. Stéphanie Nava, Considering a plot (dig for
victory), giugno – luglio 2008, veduta delCosì, Stephanie Nava,, consapevole l’installazione del Centre d’Art de la Ferme
delle innumerevoli simbologie di du Buisson, Marne la Vallée
cui il giardino si fa portatore, cura
con amorevole attenzione, alla stregua di un giardiniere-progettista, la sua creazione artistica.
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Serena Vanzaghi Recensioni Milano
Serena Vanzaghi Recensioni Milano
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RECENSIONI MILANO
MAGDA TOTHOVA
ALS DER ZUFALL ZU ZWEIFELN BEGANN
Quando la Coincidenza inizia a dubitare.
Federico Bianchi Contemporary Art-Lecco.
29 novembre-14 febbraio
Cosa accadrebbe se la
Coincidenza, sorella dell’Imprevedibilità, iniziasse a colorarsi di una propria personalità e a interrogarsi su se stessa, sulla propria natura? Quali
conseguenze se sparisse
dalle nostre vite, dalla
Storia? Nulla sarebbe più
dettato dal caso, tutto
Magda Tothova, Als der Zufall zweifeln begann, 2008.
sarebbe deciso a priori.
Courtesy Federico Bianchi Contemporary Art
Niente più “splendide” o
“nefaste” coincidenze a farci sussultare. Attraverso un’installazione
a tre parti, Magda Tothova, artista slovacca di adozione viennese,
sviluppa per gradi la presa di coscienza di questo fenomeno, improvvisamente calatosi in vesti e pensieri umani. Una riflessione intensa sull’incidenza che il Caso ha sulla società, un’incidenza -troppe volte- data per scontata.
RECENSIONI GENOVA
RECENSIONI GENOVA
di Erika Bailo e Mario Pepe
LUCIO FONTANA. LUCE E COLORE
Palazzo Ducale
22 ottobre 2008 -15 febbraio2009
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1959. Fondazione Lucio Fontana, Milano
Sono oltre 100 le opere esposte a Palazzo Ducale del celebre artista
italo-argentino fondatore dello Spazialismo. Il percorso della mostra
inizia con la ricostruzione dell'opera “Struttura al neon” che fu esposta nel 1951 sullo scalone del Palazzo dell'Arte in occasione della IX
Triennale di Milano. Si tratta di un tubo al neon della lunghezza di
100 metri che crea un groviglio luminoso sospeso nell'atrio del palazzo. L'utilizzo del neon nasce dalla volontà di Fontana di adeguare il linguaggio artistico alle tematiche scientifiche del novecento.
L'esposizione continua nelle sale del palazzo seguendo un percorso
cromatico, in ogni sala infatti sono presenti opere di diversi periodi
accomunate tra loro dal colore. Sono presenti anche le“Nature”, serie di sculture in materiali quali bronzo e terracotta che evocano oggetti naturali. Le ceramiche a forma di coccodrilli, farfalle e stelle
marine chiudono la mostra. Troviamo esposti i vari“Concetti Spaziali”dai Buchi alle“Attese”, le celebri tele su cui Fontana produce tagli
netti, profondi, ritmicamente scanditi alla ricerca di uno spazio pluridimensionale.
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Erika Bailo e Mario Pepe Recensioni Genova
Serena Vanzaghi Recensioni Milano
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RECENSIONI GENOVA
SHOZO SHIMAMOTO
SAMURAI, ACROBATA DELLO SGUARDO 1950-2008
Museo d'Arte Contemporanea Villa Croce
13 novembre 2008-8 marzo 2009
VETRINA
GIORGIO LEVI
Il visibile e l’invisibile
di Barbara Cella
Il percorso artistico di Giorgio Levi (Genova, 1930) attraversa gli ultimi 40
anni della nostra storia sviluppandosi attorno alla ricerca continua della conoscenza, al di là del visibile, cogliendo la bellezza e la plasticità del microcosmo e trasferendolo sulla tela.
Essendo uomo di scienza conosce molto bene ciò di cui tutta la natura è formata e cioè la cellula. Sarà questo il leit-motiv che lo accompagnerà sempre.
E infatti vediamo, già a partire dagli
anni ’70, il primo nucleo della sua pittura, un sole contaminato, intercetta-
to, interrotto da griglie e tabulati in un
formalismo mondriano che vira quasi subito dalla rigidità geometrica dei
primi lavori a quella fluidità materica
che sarà poi la sua caratteristica principale. E il cerchio del singolo sole si
disfa in tanti microrganismi cellulari
fluttuanti sulla tela dove il colore si fa
intenso, protagonista.
Questa evoluzione lo porta alla produzione degli anni ’80 dove i richiami a Burri e a Fontana sono evidenti ma sempre
collocati in quella dimensione di ricerca dove c’è sempre qualcosa sotto i ta-
Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1959. Fondazione Lucio Fontana, Milano
Shozo Shimamoto fu uno dei fondatori del gruppo“Gutai Bijutsu
Kyokai” (associazione dell'arte concreta) creato ad Osaka nel 1954.
Questo gruppo di artisti si poneva come obiettivo l'enfatizzazione
del gesto attraverso una spettacolarità sviluppata successivamente
dagli Happenings degli anni Sessanta.
Al Museo di Villa Croce si ripercorre la carriera artistica del maestro giapponese dagli anni '50 fino ad oggi, attraverso le sue opere pittoriche e la proiezione di diversi filmati. In occasione dell'inaugurazione della mostra è stata realizzata una performance in
collaborazione con Philip Corner, artista Fluxus e compositore
americano. Dall'alto di una gru, il maestro Shimamoto ha lanciato
bicchieri e bottiglie di vetro, contenenti colori acrilici, su di una tela di 10 metri per 10 metri distesa al centro di piazza Matteotti su
cui sono stati posizionati diversi oggetti in legno quali un armadio,
un tavolino, una scala, che hanno subito, come la tela, l'azione dell'artista.
II - 2008
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Barbara Cella Giorgio Levi. Il visibile e l’invisibile
Erika Bailo e Mario Pepe Recensioni Genova
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VETRINA
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GIORGIO LEVI
gli, oltre le bruciature, dietro le saracinesche di cartone ondulato:
un’altra realtà oltre quella visibile.
E le opere si fanno materiche, dense. Levi usa con rara maestria la pla-
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IV 2008
Reseorch (Microcosmo) - 1997
VETRINA
stica a evidenziare membrane ultracellulari che uniscono e separano, la colora, la
brucia, usa il cartone ondulato e lo rompe, lo frammenta. Usa resine, pietre, smalti, legni, vernici. Nelle sue mani la materia
si fonde e confonde, diventa respiro e forza espressiva.
Agli inizi degli anni ‘90 evolve verso una
nuova espressività figurativa dove alla materia aggiunge la fotografia e da essa parte per descrivere la natura: paesaggi mai
classici, mai iconoclastici inseriti in una sorta di collage dove le onde sono plastica e
i girasoli si fondono con oli e resine e la corteccia diventa un modulo che ritorna ad essere unico e ripetuto nel micro come nel
macrocosmo.
La fotografia, le lastre mediche, i vetrini del
microscopio ricorreranno in tutta la produzione dell’ultimo decennio dove Levi si
pone come attento osservatore, dell’infinitamente piccolo ma anche, della vita di
questi nostri anni che viene denunciata attraverso opere che ricordano i graffitismi
americani degli anni ’80, dove la poetica
pop si mescola a segni criptici e ripetitivi
che inglobano le foto.
La modernità continua nelle opere di “laboratorio” dove la cellula ritorna per essere attaccata dall’ago che la modifica geneticamente o da una non ben specificata materia scura che entra nella tela e la contamina.
Ma il quadro di rottura con il suo stesso passato è l’insieme di più opere che Levi rompe
e ricrea denominandolo appunto “Rinascita”
e che lo porta, nel suo ultimo percorso creativo, a spogliarsi dei supporti fotografici, della materia e della realtà, mantenendo la cellula come protagonista in un contesto di pura
fantasia, e dove ritorna alle sue origini usando solo l’olio a supporto del gesto creativo che
ora è ampio e dà respiro ad un’entità finalmente libera.
Barbara Cella
GABRIELLA PASTORINO
Astratta
di Erika Bailo
L’arte si svincola dalla riproduzione naturalistica del mondo, sviluppando
una pittura non figurativa fatta di segni, colori e forme che diventano
espressione di una realtà interiore.
Sono questi gli elementi di partenza
dell’Astrattismo, tendenza artistica
che mette in atto un capovolgimento
dell’arte come “imitazione della realtà” e rappresenta il momento conclusivo di un processo che trova le sue radici nell’epoca romantica.
Le opere di Gabriella Pastorino sono
prevalentemente composizioni astratte che trasfigurano la realtà attraverso un processo di sintesi geometrica,
tesa ad indagare il mondo nelle sue forme originarie.
Queste opere trovano ispirazione nel
lavoro di alcuni artisti francesi conosciuti durante i soggiorni periodici che
l’artista compie nel sud della Francia.
In particolare il cerchio quale figura
geometrica perfetta senza inizio né
fine, sarà uno dei primi elementi studiati dall’artista e porterà alla realizzazione di soggetti quali pavoni e uccelli, tra le poche figure riconoscibili
nelle sue opere.
Il colore assume un ruolo fondamentale, è denso, puro e brillante, prevalgono i toni caldi quali rosso, arancio-
Messico
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Erika Bailo Gabriella Pastorino. Astratta
Barbara Cella Giorgio Levi. Il visibile e l’invisibile
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VETRINA
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GABRIELLA PASTORINO
VETRINA
di Mario Pepe
Quando Lucia invita i suoi numerosi amici nella sua bella villa sulle colline di Genova, dove ama coltivare fiori e ortaggi
e curare persino un vitigno, è festa grande non solo per il palato ma anche per
gli occhi. In questi ultimi anni siamo stati tutti testimoni delle sue vivaci ricerche
pittoriche che, distaccandosi ben presto
dalla verosimiglianza di soggetti ispirati alla natura, sono sfociate nell’elaborazione di elementi astratti legati all’espressività del colore, passando attraverso un
periodo di stratificazione “materica” e arrivando più recentemente a stesure più
delicate, dai toni smorzati e quasi trasparenti come tonalità di acquerello.
Incontri nel bosco
Sognando il futuro
Riflessi sul golfo
ne e giallo a cui vengono accostate
campiture dorate che ne accentuano la
luminosità.
Gabriella Pastorino affianca alla pittura la decorazione di ceramiche dalla
forma ad uovo. Uovo quale simbolo di
totalità, rappresentazione del mondo
secondo Paracelso, ma anche stadio
successivo al caos ed elemento originario di qualcosa che diverrà.
Si avverte quasi una volontà di controllo attraverso la riduzione della realtà
oggettiva ad elementi semplici della
geometria e delle regole matematiche
che ne stanno alla base.
Un linguaggio che non si distacca dalla realtà, ma al contrario la penetrata attraverso le forme della ragione.
Queste composizioni animate da colori vivaci e brillanti e da forme simboliche, sono pervase da una vena giocosa,
leggera e sempre ironica, che attraggono lo spettatore in un tempo ed un luogo sospesi nel mondo immaginario
dell’artista.
Erika Bailo
Senza titolo, tecnica mista
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Mario Pepe Lucia Pasini
LUCIA PASINI
Erika Bailo Gabriella Pastorino. Astratta
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VETRINA
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LUCIA PASINI
VETRINA
Senza titolo, tecnica mista
Sebbene sia molto difficile entrare nello specifico dell’artista, tuttavia possiamo coglierne i riferimenti formali che, nel caso di Lucia Pasini, per la costruzione dello spazio e la gestualità del segno,
c’è un evidente richiamo agli espressionisti astratti americani ed
anche alla lezione di Klee.
L’arte astratta crea immagini che sembrano non appartenere alla
nostra esperienza visiva, cercando di esprimere i propri contenuti nella libera composizione di linee, forme, colori, senza imitare
la realtà concreta in cui viviamo. Vuole esprimere contenuti e significati comunicativi, senza prendere in prestito nulla dalle immagini già esistenti intorno a noi, ma adoperando processi di astrazione molto simili nella sostanza a quelli da cui sono nate le parole, i numeri, i segni della comunicazione visiva.
Come per gli espressionisti astratti che hanno una visione libera da contingenze storiche e sociali, anche per Lucia l’arte consiste nell’atto stesso del dipingere. Al centro del lavoro è la sua individualità, che si pone
in una condizione di rischio, mette in gioco la propria esistenza in senso psicologico e spirituale. Lo spazio del quadro diventa il luogo libe-
ro da convenzioni estetiche, in cui
l’artista convoglia le proprie emozioni e
la propria energia vitale. L’urgenza dell’azione si traduce in movimento gestuale che esprime significati esistenziali.
L’artista sceglie di agire anche senza un
progetto, lasciando che il quadro nasca
e si riveli al momento.
La ricerca di Lucia Pasini è rivolta alla rappresentazione immediata della propria
interiorità. La sua pittura si evolve da una
prima esperienza “materica” vicina all’espressionismo astratto di Rothko, anche se le dimensioni più ridotte delle sue
tele spostano l’equilibrio dall’invadenza
espressionista verso una più meditata comunicazione intimista. Mentre Rothko
sceglie di lavorare per tonalità cromatiche sovrapposte, eliminando i contrasti
di colore e procedendo per successive velature sottilmente modulate, Lucia Pasini opera nette stesure materico-tattili con
tecniche miste acrilico e olio su grumi di
cera o di gessi, ottenendo in questo modo
strutture plastiche semplificate. Dalla rielaborazione di forme naturali come i corpi umani, percepiti esclusivamente come
dicotomia vuoto-pieno, nascono sorprendenti immagini spaziali, mediante
decostruzione dei segni figurativi e conseguente liberazione di elementi di essenzialità, che diventano i parametri visivi di
sostegno alla forma della costruzione
astratta. L’architettura pittorica definita
dalla luce e dai piani di colore è scandita da una struttura semplice, priva di segni superflui. Il periodo “materico” di Lucia è ricco di rossi su sfondi scuri abissali con improvvise ferite di bianco accecante che verticalizzano lo spazio. E’ una
pittura che provoca stati d’animo di
grande equilibrio liberando forme che inducono l’immaginazione percettiva alla
contemplazione di paesaggi interiori
puramente emozionali. I suoi lavori trasmettono informazioni percettive che stimolano una reazione di tipo gestaltico riu-
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LUCIA PASINI
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Mario Pepe Lucia Pasini
Mario Pepe Lucia Pasini
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Senza titolo, tecnica mista
scendo a comunicare con la psicologia
dell’osservatore. Con un procedimento
che diviene totale invenzione, Lucia è capace di trasmettere agli altri la propria
esperienza esistenziale come testimonianza dell’essere al mondo in un particolare momento e contesto.
La sua più recente produzione, pur
sempre coerente con le premesse iniziali, si sviluppa semplificando notevolmente la costruzione pittorica, abbandonando lo spessore materico dell’intervento a favore di stesure di colore più delicate. Resta intatta la sua
matrice fondamentalmente espressionistica, tesa a suscitare emozioni interiori, utilizzando la capacità dei colori di trasmettere delle sensazioni. Si
direbbe che l’artista sperimenti una
fase minimalista del suo segno, alla ricerca di costruzioni più essenziali, che
ottiene passando sulla tela un pennello largo imbevuto in acqua dove ha
sciolto le terre e le ocre. Il risultato ricorda gli acquerelli astratti di Klee,
dove i colori si smorzano e le atmosfere rarefatte si ricollegano ai colori della natura da cui Lucia era partita.
Mario Pepe
VETRINA
VETRINA
PIETRO PIGNATTI
Sunset Boulevard multicolor
di Ross Elliot
“Penetrando nel regno della visione,
ci muoviamo nell’immateriale armonia degli angeli”
Henry Miller, Art in Cinema
Niente nero alla nitro. Nessuna scrittura di luce. Nessuna liquida trasparenza. Non un accenno di orpellosa criminosità simbolica. La tecnica elaborata (inventata) da Pietro Pignatti non raggela le sue fotocolor incastonandole in un fondale perfettamente teatrale. Non le destruttura freddamente da scienziato dell’arte. Negli accumuli di gruppo o nelle aperture zoommate, nella dualità soggetto e scena di fondo, si avverte come uno sguardo che naviga limpidamente dall’altezza di un dirigibile, la nave fotografica di Pignatti che investe, con inusitato abbandono, alchimie costruite dal suo computer.
Sunset dinner
Ceccarancio
Questa a conti fatti l’immediata riflessione che scaturisce dai suoi lavori.
Una ricerca che però non si lega quasi mai al senso di vertigine, di volo folle e “sballato” che identifica spesso la
cyber art. Di più conta la piena, pastosa ed omogenea integrazione di elementi urbani e architettonici con volti, sguardi, presenze corporee che il
computer ritaglia ed assembla in
modo che ha dell’avventuroso e dello
psichedelico. Tanti visi di amici, ripre-
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PIETRO PIGNATTI
si impudicamente, in serena allegrezza o in solitarie illuminazioni.
Così il futuro, la dimensione utopica,
il multiculturalismo, la serialità che
sono tra i paradigmi dell’arte oggi, vengono ricreati senza schematismi artistico modaioli.
Priorità? Il senso del discorso, l’accenno
ad una narrazione sospesa tra un
passato immaginario ed un presente
misterioso: siamo a Genova, in cielo,
nel deserto del Nevada o dentro i microchip di un potentissimo calcolatore elettronico?
Non c’è neanche da sfogliare la classica
margherita fluorescente. Una pervasiva
way of life ci presenta storie che sono ancora da raccontare. Non storie realistiche in senso stretto ma accesi Sunset boulevards dalla memoria meccanica e multicolor. Come i fumetti, come i film di Julian Temple, Jonathan Demme e di Robert “Bob” Altman, per citare alcuni dei
riferimenti culturali affini.
Das giuliano a quezzi
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Ross Elliot Pietro Pignatti. Suneset Boulevard multicolor
Ross Elliot Pietro Pignatti. Suneset Boulevard multicolor
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VETRINA
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PIETRO PIGNATTI
Ross Elliot Pietro Pignatti. Suneset Boulevard multicolor
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El quinto sol
Ecco, in piena crisi cosmica, nell’atomizzazione dei desideri e
dei bisogni, Pignatti pare riflettere con estrema pacatezza sul
migliore dei mondi possibili: i cieli losangeleni, le buie gallerie
percorse nella notte, le serate passate a bere nei locali, i contrastati atteggiamenti che il carattere e
il tempo ci innervano nella pelle
e nel viso.
Quasi un credito di giovinezza che,
profeticamente, diventa “qualche
cosa di travolgente” (Something
La strada 6
wild, 1986, di J. Demme, con una
strepitosa Melanie Griffith) estorto chissà come dagli innumerevoli scatti che Pietro ha fissato, con la perfidia e l’ottimismo del collezionista,
sui supporti magnetici delle macchine fotografiche vecchie e nuove.
Le immagini sul fondo della caverna platonica sono specchiature
irriconoscibili; questo purtroppo lo sapevamo. Pignatti ci dimostra
che le fantasmagorie, immaginarie o reali che siano, possono avere la forma sbarazzina e affascinante di giovani donne intente a
guardarci negli occhi.
Tocca a noi rispondere al loro sguardo di osservatori stellari.
Ross Elliot