pizzo calino - Le Montagne Divertenti
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pizzo calino - Le Montagne Divertenti
LE PIZZO STELLA Un anello alpinistico ricordando le battaglie partigiane FUNGHI MO N TA G N E Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna TRIMESTRALE DI ALPINISMO E CULTURA ALPINA AUTUNNO 2007 - € 2 Diver tenti LE PIZZO STELLA Un anello alpinistico ricordando le battaglie partigiane FUNGHI Passione mortale Passione mortale PIZZO CALINO PIZZO CALINO Un vulcano in Val Fontana Un vulcano in Val Fontana VALGEROLA VALGEROLA Il sentiero Tre Signorie: l’alta via dei formaggi. Il sentiero Tre Signorie: l’alta via dei formaggi. IL MORSO DEL BASILISCO IL MORSO DEL BASILISCO Viaggio nelle valli di Piateda e ascesa alla Punta di Scais Viaggio nelle valli di Piateda e ascesa alla Punta di Scais LAGHI SEROTI LAGHI SEROTI Una costellazione di laghi a pochi passi dal Mortirolo Una costellazione di laghi a pochi passi dal Mortirolo VALMALENCO VALMALENCO A caccia di minerali e contrabbandieri A caccia di minerali e contrabbandieri IL TESORO DI VETTA IL TESORO DI VETTA A caccia delle bottigliette nascoste fra picchi e valli per vincere ricchi premi. A caccia delle bottigliette nascoste fra picchi e valli per vincere ricchi premi. E INOLTRE POESIE, NATURA, PARAPENDIO, RICETTE, GIOCHI ... E INOLTRE POESIE, NATURA, PARAPENDIO, RICETTE, GIOCHI ... Viaggi nelle nostre valli alla riscoperta di territorio, cultura e tradizioni VALCHIAVENNA BASSA VALLE VALMASINO VALMALENCO VERSANTI RETICO E OROBICO ALTA VALLE MO N TA G N E Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna TRIMESTRALE DI ALPINISMO E CULTURA ALPINA AUTUNNO 2007 - € 2 Diver tenti Viaggi nelle nostre valli alla riscoperta di territorio, cultura e tradizioni VALCHIAVENNA BASSA VALLE VALMASINO VALMALENCO VERSANTI RETICO E OROBICO ALTA VALLE EDITORIALE Beno A gambe incrociate sullo stretto cocuzzolo di quest’alta montagna. Vorrei il tempo si fermasse. Due piccole croci accanto a me e Matteo. Il vento s’intrufola nella nostre magliette per farci scendere, ma non ci riusciamo a muovere tanta è la bellezza di questi luoghi, tanto siamo stanchi per le nebbie, per le gande e i canali saliti a vuoto finchè l’anima del grande Bonomi non ci ha aperto le nubi e illuminato la via giusta per arrivare quassù. Punta di Scais. Nessuno parla. Vorrei il tempo si fermasse. Quante sono le vette contro cui s’infrangono gli ultimi raggi di sole? Non le conosco nemmeno tutte. Le vette dimenticate, una costellazione, ma se lo raccontassimo nessuno ci crederebbe, se le fotografassimo stenterebbero a chiamarle Valtellina. Invece io stenterò a chiamare autunno questa stagione se non sentirò più i campanacci delle mucche chì müda o l’odore dei braschè, se la mia schiena non appiccicherà ancora per il succo dell’uva nella brenta, se non vedrò più -le prime brinate su-i prati del fondovalle, se non la smetteremo di fare a pezzi tutto. Vorrei il tempo si fermasse. SANT SIMÙN ARTURO BARACCHI (BARACHÌN) * In utùbra, el vintòtt, Sant Simùn al pitüra tütt quànta la vall de rus föc e pö d’or e marùn, de viölla, de vert e de giàlt. Dai invòlt ün prufüm de turciàdech al se spant per i pòrtech di cà, i braschè de marùn e salvàdech sur la bràşa i-è dré a bruşegà. SAN SIMONE In ottobre, il ventotto, San Simone pittura tutta la valle di rosso fuoco, di oro e di marrone di viola, di verde e di giallo. Dalle cantine un profumo di vino appena torchiato si spande per i portici delle case, le caldarroste di marroni e di castagne selvatiche sulla brace si stanno rosolando. Gh’é la breva che ven sü dal lach che ingubìs i salésc de Bustéggia, al gh’é ‘n pass d’ulscelìn che va strach vers el su che da giù ch’al gurghéggia. C’è la brezza che vien su dal lago che ingobbisce i salici di Busteggia, c’è un passo di uccellini che stanchi vanno verso il sole che tramonta gorgheggiando. Du vachìnna int ün prà i fa butìn tüta urnàda de brunza, e, ün po’ in giù, cun tre frasca e quài ramelìn al fa ‘l ròcul ün vécc’ casciadù. In un prato due vaccherelle ornate di campanacci pascolano l’ultima erba, poco sotto, con tre frasche e qualche ramoscello prepara il suo appostamento un vecchio cacciatore. Sur i türch gh’é vergùtt che brigùla che se möf tra l’umbrìa e ‘l sulìf: l’è ‘n gul d’òdula che cunt la gula a Diu i trilla la gioia de vif. Sopra i campi di granoturco c’è qualcosa che freme, che si muove fra l’ombra e il soleggiato è un volo di allodole che con la gola trillano a Dio la gioia di vivere. Sü dal ròcul al ven ün gran trun ch’al rembumba tra munt, vai e cà, ‘n ulscelìn cunt ün ala a dun-dùn al se gira e dagiù sur al prà. Dall’appostamento viene un gran tuono che rimbomba fra monti, valli e case, un uccellino con un ‘ala spezzata si gira e cade sul prato. L’è scià nocc’... tütt l’è fermu... ‘n incànt Par che i man l’abi stes si la terra... tütt l’è citu, gnè trilli gnè cant, gh’è ciü niént che se möf u fa guèrra. ...sul du ciümma bagnàda de sanch sur un bòsul che spüzza da mort. * poeta dialettale di Montagna in Valtellina Si fa notte ... tutto è fermo ... una magia sembra abbia steso le mani sulla terra. tutto tace, non ci sono più nè trilli nè canti, nulla più che si muove o fa guerra. ...solo due piume bagnate di sangue sopra un bossolo che puzza di morte. traduzione in italiano dal dialetto muntagnùn Le Montagne Divertenti Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Editore Beno S OMMARIO Direttore Responsabile Maurizio Torri Caporedattore Enrico Benedetti (Beno) Redazione Roberto Moiola Gioia Zenoni Realizzazione grafica Beno Hanno collaborato Massimo Dei Cas, Giordano Gusmeroli, Carlo Pelliciari, Roberto Lisignoli, Mario Pagni, Marino Amonini, Luciano Bruseghini, Luciano Benedetti, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Josef Ruffoni, Arturo Baracchi, Franco Benetti, Michele Corti, Elia Negrini, Gianfranco Conforti, Matteo Tarabini, Damiano e Samuele Miotti, l’Associazione Micologica Retica di Sondrio, Paolo Della Torre, Fabio Pusterla. Si ringraziano inoltre Franco e Marina Monteforte, Franco Pinchetti, Eugenio Formolli, Gianna Baldini, Enzo e Laura di Altroverso, Luigino Negri, Nino Gianola, Marco De Gasperi, Floriano Lenatti, Mirko Rosina, Johnny Mitraglia, Maurizio Cittarini, Fabrizio Picceni, Maria Della Torre, Mirko Farina, Giulio Bongiascia, Miriam Cipriani, Luca Salini, Serena Piganzoli, Sonia Travaini, Foto Bongiascia a Sondrio, tutti gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. Un saluto speciale a Ferruccio Vanotti. Redazione Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO) Abbonamenti per l’Italia annuale (4 numeri della rivista): costo €15 euro da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio Sede di Sondrio I 05696 11000 000003057X50 intestato a Beno di Benedetti Enrico Via S.Francesco 33/C 23020 Montagna SO Per attivare l’abbonamento mandare copia del versamento e indirizzo di spedizione a [email protected] Prossimo numero 21 dicembre 2007 - E 2,00 Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 3298926554 Stampa Tipografia Altroverso Via dell’Industria 20, 23017 Morbegno (SO) Contatti e informazioni [email protected] Loghi sezioni Bongio Design. Disegni Carlo Pelliciari ([email protected]) Cartografia Beno Referenze fotografiche Amonini Marino (sommario,33,56) Archivio CAI Valtellinese (22a,51a,57b) Archivio Nino Gianola (64b) Ass. Micologica Retica (74,75,76,77,78,79,80,81) Benetti Franco (52a,53a-b-c) Beno (editoriale,4,5a,6a-b,7,11,12a-b,13,15a-b-c,17,2 4,26,29,30,31,32,34,35,44,45,46b,52a,60,61,71a,72) Conforti Gianfranco (41,42,43) Fabio Pusterla (17b) Dina Pollini (22a) Gioia Zenoni (18,19) Luciano Bruseghini (58,59) Roberto Moiola (copertina,poesia,5b,47,50,51b.62,6 3,64a,65a-b,66,69,70,71b,76,77,82) Roberto Lisignoli (8a) Riccardo Scotti/SGL (1,8b,37,38) Matteo Tarabini (3a) Mario Pagni (56) Josef Ruffoni (46a) Elia Negrini (57a) Alberto “Ometto di Sasso” (3b) Gianmario Lucini (27) www.lemontagnedivertenti.com In copertina: L’autunno a Sacco in Val Gerola. Foto Roberto Moiola (www.sysaworld.com). Editoriale: 15 ottobre 2006, il tramonto dalla Punta di Scais. Foto Beno (www.vai.li/montagne-divertenti). Sfondo poesia: Foglia d’uva. Foto Moiola. A fianco: Autunno 1989, letto di foglie a Cà Bongiascia (Montagna). Foto Marino Amonini. Ultima di copertina: 12 novembre 2006. Le ultime luci dell’autunno fra i larici di Selva in Valfontana. Foto Beno. Prossimo Numero in uscita il 21 dicembre a soli 2 euro! LEGENDA SPIEGAZIONE DELLE SCHEDE TECNICHE Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (“scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono alla giornata in cui è stato compiuto l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni meteo trovate. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale. Grado difficoltà Spiegazione 0 Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. 1 Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. 2 Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. 3 Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! 4 E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. 5 Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. 6 E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisico-atletica, buona esperienza alpinistica, sprezzo del pericolo con barba lunga e incolta. SIMBOLI Con una scala da 0 a 3, le faccine vi riassumeranno per ogni itinerario bellezza Alpinismo Escursionismo fatica Ricette pericolosità Natura Valchiavenna PIZZO STELLA (m 3163) L a più famosa vetta della Valchiavenna, fu spettatrice delle battaglie partigiane nella seconda guerra mondiale. ASCENSIONE A VA L C H I A V E N N A PIZZO STELLA E PIZZO PELOSO Enrico Benedetti (Beno) 28 ottobre 2006. La testata della valle di Angeloga vista dal lago Caldera. PARTENZA: Soste (m 1442). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Chiavenna prendere la SS 36 per il Passo dello Spluga (direzione N). Dopo aver superato San Giacomo Filippo e Prestone (11 km) si giunge a Campodolcino. Si devia a dx e si salgono 4 ripidi km di tornanti per Fraciscio (m 1341) e si lascia l’automobile in località Soste (m 1440). ITINERARIO SINTETICO: Le Soste (m 1440) - Angeloga (m 2044) - Pizzo Stella (m 3163) – Ghiacciaio Ponciagna - Pizzo Peloso (m 2780) - Lago Nero e Lago Caldera (m 2351) - Angeloga - Fraciscio. TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 9 ore per l’intero giro. ATTREZZATURA RICHIESTA: imbracatura. Scarponi, piccozza, ramponi, corda, DIFFICOLTÀ: 3- su 6 per lo Stella dalla normale, 4 per la discesa dal versante N e Pizzo Peloso. DISLIVELLO IN SALITA: complessivamente oltre 2000 metri. DETTAGLI: PD = Scalata con difficoltà alpinistiche fino al III grado. Passaggi molto ripidi su ghiacciaio. EE/f- per il solo Pizzo Stella dalla Via Normale. LE MONTAGNE DIVERTENTI PIZZO STELLA - 3 A VA L P I N I S M O I l pizzo Stella è la montagna più conosciuta della Valchiavenna, e al contempo uno dei 3000 più panoramici e facilmente raggiungibili delle nostre montagne. Si distingue per la sua forma piramidale e per la vasta superficie glacializzata che ne ricopre il versante N, quello che guarda la Svizzera e il lago di Lei. Basta avere un po’ di gamba, un minimo d’esperienza di montagna e la vetta è conquistata. 27-28 ottobre 2006 Arriviamo a Fraciscio che è già buio, così ceniamo e dormiamo alle Soste, accampati in un piccolo cenacolo d’abeti e betulle. La notte passa tranquilla. Né freddo, né vento. Strano, è quasi novembre. C i svegliamo molto prima del sole e, rimesse le tende in macchina, c’incamminiamo lungo la pista sterrata (E) che costeggia il torrente Rabbiosa. Sempre sulla dx idro- grafica, dopo circa un chilometro, la strada si riduce a mulattiera, poi s’allontana dall’alveo del torrente. Alcune serpentine risalgono la scarpata settentrionale della valle e ci portano a una fascia rocciosa. La traversiamo verso E su una comoda cengia e, dopo uno strappetto fra pietre bagnate, sbuchiamo nella placida piana di Angeloga. Aggiriamo da sx la prominenza erbosa su cui è issato il Monumento ai Partigiani, nell’aprile del ‘45 qui lottarono contro le Camicie Nere. Ed ecco il Rifugio Chiavenna (m L C H I A V E N N A Angeloga, l’eco d’una tradizione alpina oggi irrimediabilmente scomparsa 2044, ore 1), sipario di un simpatico paesino. Angeloga è l’eco d’una tradizione alpina oggi irrimediabilmente scomparsa. Ci perdiamo in giudizi sulle minuscole baite. Alcune sono state ristrutturate con buon senso, altre sono figlie di una modernità che non s’addice a queste quote. Speriamo non sia già in cantiere una carrozzabile a quattro corsie! Del sole non c’è ancora traccia. Il vento sibila fastidioso e increspa l’acqua plumbea del laghetto. Lontano le cime cominciano a illuminarsi, ma la costiera dello Stella ci segrega all’ombra. Traversiamo verso SSE. Orliamo il laghetto, poi ci alziamo per alcuni crinali morenici. E’ tutto segnalato, nonché ovvio. La quota trasforma l’erba in macereti. Attraversiamo l’amplissimo bacino detritico che un tempo era la culla del ghiacciaio del Morteè. La vedretta è in forte ritiro e, come peraltro già previsto dal censimen- 28 ottobre 2006, il lago di Lei e la cresta N del Pizzo Stella. Luglio 2007, Angeloga, il lago di Angeloga e il Pizzo Stella. Pagina a fianco: 28 ottobre 2006, l’alba dal lago di Angeloga. Foto Beno. 4 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI PIZZO STELLA - 5 A to glaciologico del 1990, smembrata in due apparati ben distinti: la misera falda centrale, alimentata dal canalone O, e una modesta lingua più a dx, parzialmente coperta di pietrisco. Superate due scomode rampe pietrose, guadagniamo la cresta occidentale dello Stella, la cossidetta “Cresta del Calcagnolo” (ore 2:30). Seguendo lo spartiacque (E, quindi N) c’inerpichiamo sui marciumi che portano alla croce di vetta (Pizzo Stella, m 3163, ore 1). Una graziosa rosa delle cime permette di distingue- VA L P I N I S M O re le principali elevazioni di Orobie, Retiche e Lepontine, nonché alcuni lontani 4000. La cresta N dello Stella è aguzza e tormentata da profonde incisioni e ardite guglie: lo Stellino, il Dente, il Pizzo Peloso, quindi una lunga striscia di blu: il lago di Lei. La neve caduta sulle quote maggiori accentua i colori dell’autunno, oggi ancor confinato oltre la linea delle latifoglie. 28 ottobre 2006, fra i crepacci del ghiacciaio della Ponciagna. I laghi della Val di Lei. E’ l’una passata. Siamo quattro lucertole al sole. Altre tre persone accanto a noi. Un tedesco monta un cavalletto enorme, poi estrae la sua macchina fotografica ultracompatta, quasi invisibile se paragonata al piedistallo. Si fa qualche autoscatto tutto impettito. A novembre il sole tramonta presto, per cui ci diamo una mossa e, salutati Gioia e Nicola che torneranno dalla via di salita, io e il Tarabini attacchiamo la cresta N. Senza ramponi si scivola sul film di ghiaccio che ricopre le rocce, ma se li si mettesse si scivolerebbe sulle rocce perchè non c’è abbastanza neve. Che fare? Teniamo la cresta fino alla prima anticima, poi, laddove il crinale diviene più scosceso, ci gettiamo negli erti colatoi sulla dx e, fra il fragore delle pietre che c’inseguono, raggiungiamo il ghiacciaio della Ponciagna, quasi cento metri sotto la cresta. La vedretta è molto ripida, specialmente nel suo tratto centrale. La affrontiamo con ramponi e prudenza tenendoci a ridosso delle rocce di sx, quindi, aggirata la prima anticima, traversiamo prossimi ad alcune golose crepacce. Di nuovo in cresta ci abbassiamo di qualche metro per tiepide rocce, quindi pianeggiamo L C H I A V E N N A Angeloga si corica sotto un velo d’ombra, mentre una sinistra nebbiolina abbraccia tutto. Il vento sembra emulare le grida dei pastori che richiamano le bestie al crepuscolo. Eppure queste cose quassù non accadono più... fino all’ostile versante SO dello Stellino, imponente dente di friabile pietra rossa. Il tempo scorre inclemente fra le difficoltà dovute alle pessime condizioni del fondo. Dalla base dello spigolo SO dello Stellino imbocchiamo un canalino detritico che ci porta ai piedi della parete S dello Stellino stesso. Sassi, frane e polvere. Siamo di nuovo sul ghiacciaio, pendenze lievi verso NE. Al successivo salto la lingua glaciale s’esaurisce e lascia il posto a ripidi e levigati salti rocciosi. Entrati in una grossa fenditura fra roccia e ghiaccio, ci abbassiamo di una ventina di metri fino a un primo ripiano. Un poggio pianeggiante lungo un centinaio di metri, poi di nuovo verticalità. Un labirinto fra terrazzini di roccia. Quanto tempo perso! Final- mente siamo ai due torbidi laghetti di disgelo che giacciono ai piedi del ghiacciaio (m 2470, ore 2:30). Colori buffi, così vicini e con due tonalità di verde così diverse. Chissà che succede all’acqua? Il lago di Lei, in cui si travasano i laghetti, è di un blu talmente puro e intenso che non sembra nemmeno loro lontano parente. In alto a sx (O) svetta il Dente, quindi, in senso orario, una cresta aguzza e frastagliata, un intaglio erboso (Colle Brasca, m 2678) e le rocce sommitali del Pizzo Peloso. S’intravede controluce la croce. Pianeggiamo verso NNO e ci portiamo alla base del ripido colatoio a cui culmina il Colle Brasca. Con molta fatica lo risaliamo, quindi, sempre a cavalcioni dello spartiacque fra l’Angeloga e il Vallone dello 28 ottobre 2006, il massiccio dello Stella dalla vetta del Pizzo Peloso. 6 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI PIZZO STELLA - 7 A Stella, arrampichiamo su roccia ed erba. Qualche passaggio è un po’ esposto (III). Forse esistono vie alternative, ma non abbiamo certo il tempo di cercarle. Alle 17 siamo sul Pizzo Peloso (m 2780, ore 1:30). una sinistra nebbiolina abbraccia tutto. Il vento sembra emulare le grida dei pastori che richiamano le bestie al crepuscolo. Eppure queste cose quassù non accadono più. Sono le cinque e mezza, inizia la discesa. Dapprima la cresta è esposta e non banale, ma, per fortuna, una L P I N I S M O volta guadagnata l’anticima settentrionale, raggiungere il passo dell’Angeloga è una pura formalità (N, m 2391, ore 1:10). Il sentiero segnalato facilita la discesa e ci consente di tornare alla macchina senza dovere ricorrere ai frontalini (Le Soste, ore 1:10). A ccucciati sotto la striminzita croce di vetta (due assi di legno incrociati), io e Tarabini rubiamo il calore degli ultimi raggi di sole. Attorno a noi regna la serenità alpina che annuncia il tramonto. Angeloga si corica sotto un velo d’ombra mentre Massimo Dei Cas a profonda quiete bucolica della piana di Angeloga suggerisce stati d’animo improntati alla serena meditazione, ispira un senso di pace legato alla natura e ai suoi spettacoli. In una lontana mattinata di oltre sessant’anni fa, precisamente nell’aprile del 1945, la pace venne turbata da un fatto d’armi, passato alla storia come battaglia di Angeloga e che si inscrive fra gli ultimi atti della tragica lotta fra partigiani e repubblichini durante la seconda guerra mondiale. P er capirne gli antefatti bisogna considerare il contesto di quell’aprile che si sarebbe concluso con la liberazione dell’Italia settentrionale dal regime nazifascista espresso dalla Repubblica di Salò. Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, aveva elaborato un piano di resistenza estrema contro l’avanzata degli Alleati. Tale piano prevedeva la costituzione di un Ridotto Alpino Repubblicano con opere di fortificazione proprio in Valtellina e Valchiavenna, dove avrebbero dovuto asserragliarsi le residue forze fasciste e naziste in attesa di una ormai improbabile svolta clamorosa della guerra legata alle misteriose armi in allestimento in Germania. Nonostante i preparativi dello stesso Pavolini che venne a Sondrio il 5 aprile, tale progetto non venne attuato, ma determinò tuttavia un movimento di truppe che fu all’origine di diversi scontri con i partigiani. Fra questi la battaglia di Angeloga. Affluirono in Valtellina e Valchiavenna numerose truppe delle Brigate Nere, cui si affiancavano truppe tedesche, e vennero pianificate azioni di rastrellamento finalizzate a ripulire della presenza partigiana la Valchiavenna e la Bassa Valtellina. Il fine non era solo quello della resistenza a oltranza, ma il controllo di queste zone avrebbe consentito, in caso di disfatta, una fuga in Svizzera dei maggiori esponenti del regime repubblichino. Sarebbero sfuggiti così alla cattura scappando attraverso il passo dello Spluga o la Val Bregaglia. I partigiani controllavano l’intera Valle di S. Giacomo: loro obiettivo era, in particolare, quello di tenere liberi dalla presenza nazifascista la Val di Lei ed il Pian dei Cavalli, luoghi idonei per il lancio paracadutato di armi promesso dagli Alleati nell’ottica dell’offensiva finale contro la Repubblica di Salò. La Val di Lei assunse in quelle settimane una rilevanza strategica, e siccome il più agevole accesso alla valle era (ed è) il passo dell’Angeloga, per impedirne l’occupazione venne stanziato nel rifugio CAI Chiavenna all’alpe Angeloga un presidio composto da una ventina di partigiani. Foto invernale della cresta N del Pizzo Stella. Il ghiacciaio della Ponciagna nel 1991. Il ritiro della massa glaciale negli ultimi anni è impressionante. Evidenziato il tracciato di discesa per il versante N. 8 - LE MONTAGNE DIVERTENTI LA BATTAGLIA DELL’ANGELOGA L I Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI l temuto rastrellamento partì con ingenti forze. 500 fascisti e 200 tedeschi circa giunsero all’alba del 19 aprile lungo tre direttrici: Savogno, la Val d’Avero ed il fondovalle. Dal 21 al 23 aprile Campodolcino, Madesimo e Montespluga vennero occupati dalle forze nazifasciste, che si erano così aperte il passaggio per la Svizzera (anche se il passo dello Spluga, ancora innevato, non era transitabile con mezzi meccanici). Era invece fallito il tentativo di passare in Val di Lei dall’omonimo passo, a monte del lago dell’Acquafraggia. Ecco, allora, il tentativo di passare per l’Angeloga operato da una compagnia speciale della Milizia di Dongo. Oltre 100 uomini da Madesimo risalirono le pendici del pizzo Groppera, sorprendendo, nella nebbiosa mattina del 26 aprile, il presidio partigiano dell’Angeloga. Un intenso fuoco di mitragliatrici, sostenuto anche da una mitragliera e da un mortaio da 81, costrinse i 20 partigiani a ripiegare Il tragico racconto può essere affidato alle parole di un partigiano superstite, Guido Carnazza detto Mosquito: “N icolin alla mia destra sparava e rideva, S’ciopp alla mia sinistra sparava e imprecava perché non si dava pace per aver lasciato in capanna uno zaino contenente una mezza forma di formaggio, che rappresentava la scorta di viveri segreta e di estrema emergenza. “Vado a prenderlo”, disse rabbiosamente. Gli urlai che era una follia, ma Sciopp schizzò ugualmente in basso verso la capanna. Sparavo, sparavo, ed il tempo non passava mai. Ad una decina di metri, sulla mia sinistra, in basso, ricomparve S’ciopp, che arrancava per il grosso peso sulle spalle. “Non ne posso più” gridò stremato dalla fatica. “Getta quello zaino” gli urlai. Pochi secondi dopo cadeva colpito da una raffica nemica”. (Da un articolo di Guido Carnazza citato in “Antifascismo e resistenza in Valchiavenna, 1922-1945”, di Renato Cipriani, pubblicato dall’Officina del Libro di Sondrio nel 1999). I l ripiegamento partigiano, complice la nebbia, riuscì, a prezzo, però, di due morti (i sopra citati S’ciopp e Nicolin) e di numerosi feriti; i partigiani superstiti varcarono il passo dell’Angeloga e si attestarono in Val di Lei. I miliziani, invece, incendiarono il rifugio e le baite dell’alpe Angeloga, tornando alla sera a Madesimo. M ilano era già stata liberata il giorno prima. Chiavenna venne liberata il giorno dopo. PIZZO STELLA - 9 PIZZO CALINO Abbiamo creato questo particolare servizio come soluzione ideale per i nostri clienti che permette di spedire in giornata con velocità, puntualità e sicurezza in ogni località della Valtellina a tariffe contenute. 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BORMIO VALMALENCO CHIAVENNA BERBENNO TIRANO MORBEGNO DI VALTELLINA SEDE LEGALE: Via Nazionale Est n. 1427-1497 - 23010 Berbenno di Valtellina (SO) ? Tel. Uffici Amministrativi: +39 0342 563578 - Fax +39 0342 496270 ? Tel. Uffici Operativi: +39 0342 563579 - Fax +39 0342 563585 10 - LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 3022) SONDRIO APRICA L La nostra presenza si sta affermando anche nei servizi di logistica e nella gestione di magazzini aziendali. UFFICIO COMMERCIALE: Via Nazario Sauro n. 19 - 23100 Sondrio Tel. +39 0342 200031 Fax +39 0342 571811 www.tellexpress.it E-mail: [email protected] [email protected] Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI PIZZO CALINO - 11 L VA L F O N T A N A PIZZO CALINO PER IL CANALE SSE a luce davanti, l’oscurità dietro di me, diceva Goethe, ed io vado a cercare la luce lassù, sull’alta montagna, in questo mattino radioso. [Alpe Montirolo, ore 9] Sopra l’alpe si rizza il Pizzo Calino a cui sono diretto. [...] E’ una cima curiosa che ha sempre attirato la mia attenzione ogni qualvolta l’ho vista dalle altre cime. E’ un tronco di cono un po’ schiacciato in uno dei suoi diametri, presenta una superficie che il mio compagno valuta di circa 2000 mq. L’aspetto di questa montagna, le cui pareti eccetto dal versante del Montirolo, cadono assolutamente a picco, possono paragonarsi a quelle di un “Amba” abissina o d’un vulcano spento. A mia conoscenza, nessuna delle montagne delle alpi presenta un aspetto simile. Beno Bruno Galli-Valerio, 15 agosto 1909. Foto del 30 settembre 2005 dalla Cima di Ron. Dal pizzo Painale si stacca un possente costolone che oltre il Colle di Val Molina dà vita al Pizzo Forame. Quindi la dorsale si biforca. La linea leggermente inflessa a N si distingue per alcune guglie aguzze e prende il nome di Filone d’Aiada, quella leggermente inflessa a S stacca rovinose ed inaccessibili torri: le anticime occidentali del Pizzo Calino. Infine entrambe le costiere discendono rapide verso la Val Fontana. PARTENZA: Selva (m 1450). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio prendere la Strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano Montagna (al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al km 9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve salita, immettersi sulla strada a sx che porta in Val Fontana (al km 9,4). Si attraversano i meleti e, appena dopo il centro sperimentale per la salvaguardia della selvaggina, si incontra la chiesetta di S. Rocco. 100 metri e si ignora la svolta sulla sx per S. Bernardo. Si seguita sulla stretta via asfaltata che penetra in Val Fontana. Dopo il ponte di Premelè si passa sul lato idrografico sx della valle. Alcuni tornanti conducono prima a S. Antonio, poi al guado in prossimità del rifugio Erler (m 1400), dove si lascia l’automobile. ITINERARIO SINTETICO: Selva (m 1450) - Alpe Bassalone (m 1629) - Alpe Vicima (m 2133) - Pizzo Calino (m 3022) per il canale SSE - discesa per lo spigolo ENE (via Normale) - possibilità di ritorno per la Val Vicima o per l’Alpe Montirolo (m 2156). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 8 ore per l’intero giro (per entrambe le varianti). ATTREZZATURA RICHIESTA: Abbigliamento per alta montagna, corda, imbracatura, fettucce. DIFFICOLTÀ: 4 su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 1602 metri. DETTAGLI: PD = nel canale SSE passi su roccia fino al III, il resto è alpinistica facile. Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI PIZZO CALINO - 13 A VA L P I N I S M O 30 agosto 2005 A ttraversiamo m il ponte sul torrente Fontana e saliamo re la l carrozzabile fino a Selva. Puntando a O, seguiamo le tracce di sentiero che fra pascoli e bosco portano dapprima all’Alpe Basalone (m 1629), poi all’Alpe Vicima, appena oltre il limite degli alberi (m 2133, ore 2). Di entrambi questi alpeggi restano solo dei ruderi, ancora in buone condizioni all’Alpe Basalone (una baita e un magazzino per il formaggio), mentre all’Alpe Vicima solo i muri perimetrali di uno stallone e qualche relitto di baita [ dall’estate 2006 una fontana in sasso e legno è stata installata qualche centinaio di metri sotto l’Alpe Vicima. Un tentativo di non lasciare cadere nella più totale desolazione questi luoghi]. Dall’alpe puntiamo a NE risalendo i ripidi pascoli della sponda settentrionale della Val Vicima. Da queste prospettive le distanze s’accorciano. Il Calino s’appiattisce e non sembra più quella vetta possente e slanciata che guardavamo con timore da Selva. Ma è tutta un’illusione. Incontriamo rarissime e sbiadite tracce e segnavia dell’Alta Via della Val Fontana. Il vento soffia da S e ci spinge su lungo gli erti pascoli del versante meridionale del Calino. Cera scivolosa, scivolosissima, e il sentiero non c’è più. Ogni tanto qualche metro di simil-pista delle capre totalmente inaffidabile. Decido così di puntare il canalino SSE del Calino dalla linea di massima pendenza. A metà della lunga scarpata abbandoniamo l’erba in favore delle rocce del vallone che culmina al canale. Spesso lisce piodesse foderano il pendio. Un’ora e mezza di faticosissimo cammino e dall’alpe Vicima siamo alla strozzatura del vallone, quello che si può ritenere la foce del canalino. Ci troviamo all’incirca a m 2700. L F O N T A N A Passi d’arrampicata facilissima (II+) entro il ripido solco ci portano a un ripiano. Ci spostiamo leggermente sulla dx e raggiungiamo l’ultima depressione della cresta E del Calino. Lo sviluppo del camino conclusivo del canale SSE è di circa 70 metri, interrotti da piccoli e provvidenziali terrazzini. Le vie al Calino: in verde la salita per Val Vicima e canale SSE, in giallo la bretella che consente di tornare in Val Vicima dopo esser scesi dalla cresta E (via Normale), in rosso la via Normale con discesa per l’Alpe Montirolo. La prima ascensione al Calino porta i nomi di Cederna e Della Valle. Le vie al Calino viste dalla Val Vicima. In verde la salita per Val Vicima e canale SSE, in giallo la bretella che consente di tornare in Val Vicima dopo esser scesi dalla cresta E (via Normale). Sopra: 30 agosto 2005, divagazioni sulla cresta SE e la salita nel canalino SSE. 14 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI PIZZO CALINO - 15 A Dopo una scampagnata sulle guglie a E dell’intaglio, torniamo al centro del colatoio e iniziamo a scalare. Lo sviluppo di questo camino è di circa 70 metri, interrotti da piccoli e provvidenziali terrazzini. Nel primo tratto presenta una sezione a V, poi diventa a W, con la possibilità di utilizzare entrambi i solchi per la salita (conviene muoversi da un camino all’altro, sostando alternativamente onde non far cadere pietre su quelli che stanno sotto). La roccia è inizialmente buona, ma nel tratto finale si fa marcia e inaffidabile. La salita non è delle più semplici: alcuni appigli si sgretolano e lo zio Luciano si ritrova coi piedi a penzoloni. Al culmine del canale seguiamo il solco di sx (l’altro è a fondo cieco), poi pianeggiamo lungo una cengia in direzione O e siamo così sull’ultimo tratto della dorsale SE. Proseguiamo su marciumi fino all’amplissimo testone della vetta (Pizzo Calino, m 3022, ore 1:10). Il cocuzzolo è grande quanto un campo da calcio, strapiombante su tutti i suoi lati. Contrasti incredibili. Camminandoci sul bordo si ammirano tanto orridi quanto spettacolari scorci sulla Val Molina a NO, sulla Val Vicima a SO, sulla Val d’Aiada a E, dimora di due piccoli glacionevati. A S s’intuisce la Val Fontana, di cui si fatica però a vedere il fondovalle. Si è veramente fuori dal mondo, contagiati dalla solitudine della Val Molina e lontani dall’alpinismo di massa che qui non ha trovato radici. Il grande impegno di energie necessario a raggiungere questi luoghi selvaggi e isolati, unito all’assenza d’artificiose infrastrutture che agevolano l’avvicinamento, ha reso le cime che contornano la Val Vicima poco appetibili. P er scendere scegliamo la via Normale, la cresta E. Ci manteniamo sulla scoscesa spalla rocciosa che domina la Val d’Aiada. Aggirando le balze che interrompono la regolarità del pendio e cercando di tenere quanto possibile il filo, ci abbassiamo fino a un tratto decisamente meno ripido (ore 0:35). Fra i numerosi e ripidi canalini franosi che si staccano a dx dello spartiacque, prendiamo il primo che, senza salti, raggiunge la vasta pietraia a E del Calino. Ci troviamo nel versante settentrionale di un anfiteatro di chiare origini glaciali, la testa della Valle del Montirolo. Attraversiamo il vallone (SSE) abbassandoci leggermente. Scavalchiamo lo spartiacque per un valico marcato da una grossa pietra accuminata che ha la punta verniciata di rosso. Dopo una prima valletta, scendiamo una pietraia e, inventandoci un itinerario fra i ripidi pascoli (piegare a O) siamo di nuovo all’Alpe Vicima (ore 2), quindi, per la medesima via della salita, a Selva (ore 1:30). 16 - LE MONTAGNE DIVERTENTI VA L P I N I S M O Autunno 2007 L’amplissimo testone del pizzo Calino. Sullo sfondo il Combolo e il Pizzo Malgina. 12 novembre 2006 In vetta al Calino...stupendo come sempre! Nel primo grosso gendarme, quello più a E, troviamo una scatola di latta con il libro di vetta. Leggiamo che è stato lasciato qui nel novembre dell’anno scorso e da allora nessuno ha scritto il proprio nome!!! Aggiungiamo i nostri quattro per onorare questa splendida montagna, poi compiamo il classico tour sull’immenso testone sommitale. Vista amplissima, ma anche freddo becco. La cresta O del Calino è frastagliata da torrioni marci e invalicabili, mettono paura solo a guardarli. In Val d’Aiada è già notte, mentre il massiccio della Vetta di Ron stende lunghe e lugubri ombre sulla Val Vicima. Ci nascondiamo dal vento e pranziamo velocemente: la discesa è ancora lunga. Attacchiamo la facile cresta ENE, oggi sporca di neve. Raffiche di vento vogliono portarci via, ma noi manteniamo, dove possibile, la linea spartiacque. La cresta spiana. Ci voltiamo. “Sembra impossibile che si riesca a scendere di lì”, esclama qualcuno. Io ripenso come era stato un azzardo inventarsi una via l’anno scorso con lo zio, quando nessuno di noi sapeva da che parte si passasse. Eppure ce l’avevamo fatta al primo colpo! Guardo l’orologio: la luce è ancora LE MONTAGNE DIVERTENTI poca. Decidiamo perciò di scendere direttamente nel fondovalle senza tornare in Val Vicima. Molti metri sotto di noi, poco sopra al limite della vegetazione, c’è un maggengo abbandonato immerso in un ampio pascolo (Alpe Montirolo, m 2156). Lo puntiamo, certi che da lì, anche se fatiscente, debba esserci una traccia che arriva in Val Fontana. Se no come ce le portavano su le mucche? Smontata la cresta per un valido colatoio detritico, lo stesso scelto lo scorso anno, ci manteniamo sempre sulla sx orografica del vallone. I passaggi fra i vari ripiani detritici sono eviden- L F O N T A N A ti e facili e, senza troppo penare, giungiamo ad incrociare la vecchia Alta Via della Val Fontana. La traccia si riporta fra i macereti fin sotto lo spartiacque con la Val d’Aiada. Quindi, per aggirare una scomoda ganda, si torna nel centro del vallone e, finalmente, calpestiamo le pasture adiacenti al vecchio maggengo. Di fronte a noi il Combolo s’esibisce maestoso in strani giochi di luce. C’è una pace surreale, pure il vento sta in silenzio ad ascoltare i ruscelli lontani. Una breve pausa. Nessuno parla. Solo il rumore del tè che esce dal thermos e vaporeggia. Ci sono due ruderi più in basso sulla dx. “S’al gh’è ‘n sentèe al pasa d’ilò”, ripeto io. E c’incamminiamo. Un po’ guidati dalle tracce e dai segnavia, un po’ capre guidate dall’istinto, ci abbassiamo serpeggiando fra i larici ancora verdi. Nello scendere ci spostiamo sempre più verso S, fino a superare tutto il Pian dei Cavalli. Gli ometti di pietra superstiti ci ricuorano: stiamo facendo giusto! Siamo nel fondovalle poco sotto il Piano, quindi pochi minuti di bella mulattiera e riemergiamo nelle pasture di Selva. Una luce rossiccia filtra dai larici e lascia il posto alla notte. 29 ottobre 2006. Il pizzo Calino da Dalico. Foto Fabio Pusterla (www.pusterlafabio.it). PIZZO CALINO - 17 IL MORSO DEL Sguardo su Piateda Con cautela e prudenza visiteremo la terra del basilisco, il leggendario serpente assassino che uccide un uomo senza nemmeno toccarlo. Le valli di Piateda: emblema dei mutati rapporti fra uomo e montagna, simbolo del moderno e sconsiderato sfuttamento delle risorse. 18 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 BASILISCO e le sue valli Sulle orme della mitica guida alpina Giovanni Bonomi, saliremo assieme la Punta di Scais, la più difficile vetta dell’intera catena orobica. Alpeggi e ghiacciai, acqua e uranio, Passi e Punte. E poi... un’esclusiva intervista a un operaio delle miniere in Val Vedello. LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 19 Un altro Pianeta VERSANTE OROBICO Beno Anni ‘20. Giovanni Bonomi e Giulio Messa (il bambino) lungo la mulattiera per Agneda. Foto Giancarlo Messa, già presidente del Tribunale di Sondrio. L e “Orobie dimenticate”. Ecco l’appellativo che a metà anni ‘80 Gogna e Miotti scelsero in “A piedi in Valtellina” per il gruppo Scais-Redorta. Cosa strana, visto che un tempo la regione era la meta prediletta dell’ “alpinismo dei pionieri”, quell’alpinismo che vedeva nelle inesplorate vette valtellinesi un obbiettivo di indiscusso prestigio. Persino il Principe Scipione Borghese, vincitore con la Itala del raid Pechino-Parigi, volle raggiungere la Punta di Scais e il Redorta. Lo fece il 24 settembre 1896, accompagnato dalla fortissima guida di Agneda Giovanni Andrea Bonomi. A inizio ‘900 Bruno Galli-Valerio riferiva, inoltre, della copiosità di mucche e capre nei pascoli di Caronno, quelle stesse pasture su cui si ambientavano le favole di diavoli e orsi che lo stesso Galli-Valerio ascoltava la sera dinnanzi ai focolari di Scais e Agneda. In Cols et Sommets furono trascritte e salvate alcune di queste gemme della nostra tradizione orale che altrimenti si sarebbero irrimediabilmente perse. Ancora negli anni sessanta Guide ai Monti d’Italia esaltava la Punta di Scais come “Seconda celebratissima vetta delle Alpi Orobie”. M a negli ultimi trent’anni lo scenario è cambiato radicalmente. Gli scalatori e i pastori si sono dileguati come le nevi perenni, Scais è sott’acqua, Agneda spopolata per la maggior parte dell’anno e addobbata con orrende antenne paraboliche. “Chi decide di abbandonare l’asse viario principale poco dopo Sondrio per imboccare le strade e i sentieri del versante orobico, scriveva Claudio Lugaresi all’inizio degli anni ‘90, scoprirà veramente un altro “pianeta” che difficilmente dimenticherà. La viabilità stradale con percorsi stretti e spesso sterrati, allontana i turisti frettolosi ed impazienti di raggiungere zone più note ed accessibili; le strade che conducono alle testate delle valli si fermano poco sopra i 1000 metri, a volte anche prima. La ripidità dei versanti e l’esposizione dei settori a settentrione ha impedito un forte sviluppo antropico; le uniche massicce opere umane sono le dighe e le prese d’acqua della Falck, che alcune decine di anni fa iniziò lo sfruttamento idroelettrico della zona utilizzando, per la costruzione delle sue opere, un ingegnoso sistema di trenini e gallerie tuttora funzionante. Ciò ha risparmiato la zona dagli scempi altrove provocati dall’apertura di rotabili in quota, di cui la strada ormai impraticabile che raggiungeva la miniera d’uranio della Val Vedello costituisce un chiaro esempio.” Quassù nelle valli di Piateda sopravvive una montagna d’altri tempi, povera di servizi ed infrastrutture, unica ed eccezionale per gli amanti del genere, oasi lontana dal turismo e dallo stile di vita moderni che hanno contaminato la Valtellina. LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 21 Ci fu un tempo... VERSANTE OROBICO Marino Amonini N Il paese di Scais nel luglio 1935 (foto Archivio CAI sez. Valtellinese) e il 7 luglio 2007 (foto Dina Pollini). Sul grande alpeggio di Scais fu creato un primo modesto invaso nel 1923, che rese addirittura il paesaggio più bucolico. Tra il 1936 e il 1938 si diede vita ai colossali lavori d’ampliamento del bacino artificiale: il fondo della piana fu completamente escavato per guadagnare capacità d’invaso e ottenere gli inerti per la costruzione della diga. Con i suoi 9.000.0000 di metri cubi di capienza fu la prima diga a gravità alleggerita in Italia. La sequenza fotografica è inoltre un’emblematica testimonianza del ritiro del ghiacciaio del Pizzo del Salto. 22 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 on è facile immaginarsi le condizioni di vita delle genti che abitavano le valli nei secoli passati, né ci aiutano gli squarci di luce proiettati su questo buio storico dalla visita del vescovo Feliciano Ninguarda del 1589. Sappiamo così che nella vallata a cui fa capo Ambria si contavano venti famiglie e nella poco lontana valle a cui fa capo Agneda vivevano ben trentacinque famiglie tutte cattoliche; due comunità ora unite dalla miseria, ora divise nella spartizione delle magre risorse per combatterla. Nonostante alcune relazioni annotino presenze di miniere di ferro ed altri minerali, di cospicui patrimoni bovini ed ovini. Nonostante le fatiche dei nostri progenitori nel modellare il territorio a pascoli e campi, strappandoli all’arcigna e selvatica natura dei luoghi, la vita era davvero miserevole e durissima. A queste povertà si aggiungevano le condizioni climatiche, l’isolamento vallivo, le catastrofi naturali che sempre hanno punteggiato di lutti le valli. Sul finire dell’800 prima un modesto refolo di viaggiatori inglesi, poi un crescente ed impetuoso vento di alpinisti nostrani ruppe questo atavico isolamento portandovi il colore di qualche soldo, un’arcaico modello di turismo e quel tanto di notorietà per picchi e vette da essere citate ed inserite tra le ascensioni che diedero inizio e vita alla storia dell’alpinismo. Il mondo raccontato da Bruno Galli-Valerio e da Antonio Cederna, quello documentato da Alfredo Corti ci consegnano luoghi in cui la miseria è sempre tale ma le atmosfere, la natura e le presenze si incastonano in un contesto di indiscussa bellezza ed armonia. Una stagione, quella del periodo a scavalco dell’800 e ‘900, alimentata da nuovi impulsi, molte aspettative e tramontata troppo presto anche a LE MONTAGNE DIVERTENTI causa del primo conflitto mondiale. Ma è nei decenni successivi che i segni del cambiamento iniziarono ad incidere pesantemente nei luoghi e negli animi dei valligiani. Con la colonizzazione delle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck tutto il territorio di Piateda, tutte le valli che vi insistono subirono colossali stravolgimenti per i quali l’apporto di ricchezza economica mal ripagò di quanto irrimediabilmente fu cancellato dagli sguardi e dal cuore di chi lassù vide nascere e morire intere generazioni. La mutazione genetica di quei residenti fu piuttosto rapida; da pastori a manovali o minatori fu un passo di emancipazione quasi obbligato e un filone di presunta ricchezza accompagnò questo passaggio. I nuovi accessi alle valli, più che sollevare dalle fatiche quanti andavano lassù, fecero scivolare in fondovalle queste genti. Iniziò un lento, inesorabile abbandono, prima stagionale poi definitivamente residenziale. Tramontata la luminosa cometa dell’alpinismo, abbandonati o cancellati dai lavori i verdi pascoli con conseguente riduzione di capi bovini ed ovini, spenta la vita dei borghi per la “smonticazione” dei residenti al piano in quei luoghi crebbe il silenzio ed il silenzioso abbandono. Per l’importanza dei numeri un’altra riflessione va annotata: la “mejo gioventù” – ritratta fiera in ingiallite foto degli anni ‘30/40 – fu precocemente seppellita, divorata dalla silicosi, la subdola malattia contratta bucando gallerie e impilando calcestruzzi su dighe, canali e centrali. E la citata bellezza ed armonia? Ricordi, consegnati dalla malinconia dei vecchi e dalle splendide fotografie del Corti, del Credaro, dei Messa e finanche da quelle dell’archivio Falck che documentava in egual misura gli scempi ed i colossali cantieri. T ornare in quei luoghi e in quei borghi oggi non fa certo sussultare di emozioni; le infezioni che si osservano al piano e le intossicazioni che attanagliano l’attuale società in questi microcosmi si evidenziano ulteriormente. A cominciare dagli impianti idroelettrici, resi corpi estranei, senza vita, telecomandati e gestiti dalla borsa dell’energia; in un ventennio tre passaggi societari, una drastica riduzione di personale ed un imperativo: il minimo costo per il massimo profitto, ne hanno rivoluzionato la presenza. Le vecchie casupole in sassi hanno subito ristrutturazioni che virano dallo sconsiderato al piacevole con una ampia varietà di giudizi, soggettivi, ma che lasciano un unanime senso di smarrimento, di irreale identità montana. Una pletora di parabole offende il visitatore ed i luoghi più di qualsiasi orrore estetico, ma la dice lunga anche sulle persone che vi passano qualche ora di relax domenicale. La filosofia della lentezza, lo slow food, il collante delle sagre paesane, il sentimento religioso e l’orgoglio di far parte di quella minuscola comunità è nel migliore dei casi sbiadito, per altri aspetti inesorabilmente cancellato dal frastuono mediatico e dai suoi virus; fretta, ansie, status, cultura del vuoto ... L’analisi soggettivamente amara dell’osservatore di queste valli trova però formidabile vigore quando lo sguardo sale ai profili più alti, agli orizzonti più lontani. Le vette dimenticate conservano intatto il patrimonio di emozioni per tutti coloro che faticosamente ma gioiosamente le salgono; i sampogn delle poche mucche al pascolo riconciliano il presente al passato, le fioriture e le rarità botaniche regalano ieri come oggi valide occasioni per salir lassù e sentirsi in pace. IL MORSO DEL BASILISCO - 23 Le miniere d’uranio Beno S iamo a metà degli anni ’70. In molti si sono ormai abituati alle dighe, divenute parte integrante del paesaggio, ma questa volta è nel cuore della montagna che qualcuno vede la possibilità d’arricchirsi. Fasi di prospezione mineraria evidenziano la presenza di filoni uraniferi in Val Vedello a quasi 2000 metri di quota. Inizia così una nuova ondata di sconvolgimenti ambientali che si concluderà dieci anni dopo con l’abbandono del progetto. Ho voluto raccontarvi questa vicenda attraverso le parole di chi, come il mio amico Piero, in quei posti ci ha lavorato e, pur pensando ai benefici energetico-economici che si possono trarre dall’uranio, ha visto gli effetti collaterali e i pericoli dell’attività estrattiva. 24 - LE MONTAGNE DIVERTENTI “P er quanto tempo hai lavorato lì? Che facevi?” “Dal 1979 al 1983, due anni prima della definitiva chiusura delle miniere. Ero addetto ai carotaggi. Estraevamo i campioni di roccia dove lo diceva l’Agip”. “L e miniere furono chiuse perché non fu trovato abbastanza uranio?” “Non so se fosse quella la ragione. A quel tempo si diceva che la fascia orobica da Agneda a Castello Dell’Acqua era una delle zone d’Europa più promettenti per la coltivazione dell’uranio. Il progetto di ricerca nella Val Vedello fu frutto di un’iniziativa italiana nata in seguito ad alcune rilevazioni e studi geologici sul territorio. Vide l’interesse di con- sulenti e gruppi di universitari stranieri che venivano spesso a visitare la miniera. Può darsi, però, che i filoni del minerale all’interno della montagna non avessero la consistenza sperata e perciò si decise d’abbandonare la costosa ricerca. “C osa mi dici miniera e della vita lassù?” della “Nella spianata a quota 2000 c’erano le baracche con la mensa, i dormitori, l’infermeria e gli uffici. Se sali si vedono i ganci nel cemento che le ancoravano a terra, l’ultima volta che sono stato lassù ho ancora riconosciuto la dislocazione di tutte le strutture. Poco dopo la diga di Scais c’è la tettoia di metallo da cui partiva la funicolare. Insomma, era una città in miniatura con tutti i Autunno 2007 in Val Vedello servizi. C’era pure un guida alpina che, essendo infermiere diplomato, diventava all’occorrenza “medico” per il primo soccorso. Salivamo nella stagione buona con le gip o le moto da Agneda, una ditta si occupava del trasporto. In inverno, invece, quelli dell’Agip non si fidavano a passare sotto la costa della montagna, per via delle valanghe. Allora si prendeva l’elicottero da Piateda. Lì c’era un hangar costruito apposta. Nelle miniere si facevano i turni, eravamo più squadre. Gli scavi non si fermavano mai, ventiquattro ore al giorno tutta la settimana. Gli orari erano pesanti, i turni erano di dodici ore. Si lavorava per 10 giorni consecutivi, poi eri mandato a casa per tre. Lassù non c’era nient’altro da fare e allora si scavava finché si riusciva. Pensa, d’inverno, quando avevi il turno di giorno, non vedevi mai la luce del sole perché era notte sia quando entravi nella montagna sia quando ne uscivi. All’interno delle gallerie si facevano carotaggi profondi fino a cinquanta metri, entro nicchie che quelli dell’Agip comandavano ai minatori, mentre all’esterno siamo scesi fino a trecento metri. Il macchinario in quei casi era ancorato alla roccia perché non si ribaltasse. I minatori ci preparavano i ganci. Una volta, per un gancio messo male, ce la siamo vista brutta. La torre su cui era montata la fresa è caduta su un lato. Per fortuna nessuno si è fatto male. Da allora la ancoravamo anche a mezza altezza con degli ulteriori ganci di sicurezza. Durante i carotaggi a volte filava tutto liscio e dovevi solo badare alla pressione dell’acqua, altre volte s’incontravano fasce di roccia lamellare e marcia che intasavano la punta diamantata. Dovevamo quindi estrarre tutti gli assi, ed erano lunghi tre metri l’uno, ripulire la punta e rimontare il tutto. Nei momenti peggiori ciò accadeva ogni 30 centimetri di scavo. Le carote estratte andavano LE MONTAGNE DIVERTENTI Q riposte ordinatamente in uando avevi il cassette di legno. I tecnici dell’Agip facevano una prima turno di giorno, non analisi sommaria. Quelle ritenute interessanti erano portate via dall’elicottero, le vedevi mai la luce del altre gettate. Un mio collega con 2 carote grosse ci ha fatto sole perché era notte il caminetto”. “Che s’illumina anche sia quando entravi nella quando è spento!” aggiunge scherzando Alan, che è lì ad montagna sia quando ascoltare. “La gente andava in diuscivi. scarica a prenderne altre per scopi edili, - continua Piero - sono rocce molto belle e poi già perfettamente lavorate”. Piero va in garage a prendere due spezzoni di carote per mostrarei danni ambientali non ne sai nulla? Pare che in meli, mentre Alan, ridendo, finge di quegli anni ci fossero accese poleschermarsi dalle radiazioni usando miche per l’impennata dei valori un vassoio di rame. Piero mi regala di radioattività nelle acque degli uno di quei frammenti, che ora tengo effluenti della diga di Scais.” sulla scrivania contro il malocchio e gli errori di battitura al compu“Devi sapere che la sonda iniettater. E’ molto appariscente, specie se va nel foro grandi quantità d’acqua bagnato. Ha venature verdi e grigie che poi riuscivano in superficie e decon macchie rossastre. fluivano liberamente. Queste acque, che avevano concentrazioni d’uranio nettamente superiori a quelle delle on era pericoloso quel acque superficiali raggiungevano la lavoro?” diga di Scais e quindi finivano a valle [ndr. si parla di concentrazioni 10“Eravamo molto controllati. Ci 100 volte superiori, fra i 10 e i 120 mandavano ogni due mesi a Sondrio mg/L, come confermano i dati ufficiali a fare gli esami, ogni quattro a Pavia pubblicati agli inizi degli anni ’80 in a farne altri più completi. Vestivamo fase di prospezione mineraria ]. una piastrina come quella dei tecnici Quando fu dato l’ordine di in radiologia che misurava quante smantellare si sapeva che, secondo radiazioni avevamo assorbito. Ogni accordi presi dall’Agip all’apertumese consegnavi la piastrina e te n’era ra della miniera, si sarebbe dovuto data una nuova. Una volta risultò che ripristinare nella valle lo stato delle avevo preso zero virgola zero, zero di cose antecedente ai lavori. A quanto radiazioni, insomma nulla di pericopare gli accordi non furono rispettaloso. Per il resto non è mai successo ti e molte cose sono state lasciate alniente”. l’abbandono, come può facilmente Piero ci guarda e capisce che le constatare chiunque salga lassù ”. ragioni non bastano e aggiunge: “Poi ci davano tre milioni al mese, che per Intervista tratta da “Beno Le moni primi anni ottanta erano un sacco di tagne divertenti. Viaggio fra le vette disoldi. Da nessuna parte ti avrebbero menticate, Tipografia Bettini, Sondrio pagato tanto”. 2005 “. “D “N IL MORSO DEL BASILISCO - 25 A L P I N I S M O Punta di Scais (m 3039) VERSANTE OROBICO Beno 12 luglio 1894, prima ascensione per il “Canalino” Il 12 luglio 1894 Bruno Galli Valerio e Giovanni Andrea Bonomi sono i protagonisti della prima storica salita alla Punta di Scais dal versante occidentale. In Cols et Sommets Galli-Valerio* racconta con grande enfasi gli ultimi terribili metri per raggiungere la vetta. Marino Amonini ha tradotto per me quel passo in valdambrino, il dialetto delle valli d’Agneda. ….M’à pruàt a rampegà sü, ma n’gh’u la cà fácia. Ilùra m’à giràt sü la sinistra d’la vedréta dul Püröla. N’òtra piudìscia che l’èra tré sura d’òtri piudìsci la m’speciàva. Però, a vardàli bée, li gh’éva quai scaiùu da tacàs. Ul Bonóm ilùra l’à tentàt. Al gù la cà fácia. Ilùra l’à trà fò i sciàsciùu e l’à pruàt dapè. E la remàt dréet la crapa d’la còrda. M’ù l’à vist per quai mumént tacàt sü sura la gronda, cun li sgrifi tacàdi ai güzzùu dul crap, i pè cùntra la piudìscia che l’èra lìsa cùme ‘l càles de ‘n prèvet, a fà di sfors cùme ‘n mül per pasà fu sü de quai metri. Po l’ à facc amò ‘n sfors e cun en vers da fà strimìi l’à tucàt la scima, el m’à baiàt fò gió che l’éva truàt ‘na butìglia cun gió quai bigliètt. * Bruno Galli Valerio, Cols et Sommets, Parigi 1912, traduzione in valdambrino a cura di Marino Amonini, revisione fonetica a cura di Franco Monteforte La via Bonomi alla Punta di Scais vista dal Pizzo Brunone. A fianco il profondo solco a cui sale il Canalino Baroni, la via seguita nel 1881 dai primi salitori alla Punta di Scais. Oltre l’intaglio c’è il passaggio più difficile: una placca liscia alta 4 metri. Buona fortuna! PARTENZA: Agneda (m 1223). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della tangenziale. Poco prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la SP che unisce Montagna Piano e Piateda fino a Busteggia. 100 metri oltre l’ex canile si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi all’arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx la carrozzabile che si inoltra in Val Vedello. Poco oltre la Centrale di Vedello (m 1000, 6 km ) il fondo diventa sterrato misto cemento. Si prosegue per Agneda (2,5 km) e si lascia la macchina in fondo alla piana. ITINERARIO SINTETICO: Agneda - Diga di Scais (m 1434) - capanna Mambretti (m 2003) - Vedretta di Scais (o quello che ne rimane) – via Bonomi (versante SO) - Punta di Scais (m 3039). VARIANTE DI SALITA: via Baroni. TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 8 ore e mezzo per la salita, 6 ore per la discesa. ATTREZZATURA RICHIESTA: Abbigliamento per alta montagna, corda (60m), imbracatura, fettucce, chiodi, piccozza, ramponi. DIFFICOLTÀ: 5 su 6. Le insidie maggiori si trovano sulla via Baroni (IV+). DISLIVELLO IN SALITA: complessivamente oltre 2000 metri. DETTAGLI: PD+ = Scalata con difficoltà alpinistiche su roccia fino al IV+ grado (via Baroni) o fino al III+ (via Bonomi). 26 -- LLEE M MONTAGNE ONTAGNE D DIVERTENTI IVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 27 VERSANTE OROBICO I pastori dicevano che il Basilisco avesse gli occhi rotanti nelle orbite, la cresta rossa come il fuoco e terribili poteri sovrannaturali E’ il 15 d’ottobre, l’autunno del 2006 tarda ad arrivare. Fa ancora caldo e gli alberi sono tutti verdi. Solo in alta quota si intravede qualche prato bruciato dal breve gelo di settimana scorsa. La neve è oltre i 2500. Questo inaspettato strascico di estate sembra l’ultima chiamata per salire quest’anno la Punta di Scais, così decidiamo di partire nonostante l’intera zona sia avvolta da nuvoloni minacciosi. Il corridoio preferibile per le vette del gruppo Scais-Redorta è la Val Caronno, la ramificazione più orientale della Val Venina. Per accedervi bisogna salire in macchina fino al paesino di Agneda (m 1223). Parcheggiamo nella piana oltre l’abitato, sono le 8:30. Nebbia e silenzio tutt’intorno, atmosfera tetra. La TV Svizzera ha messo bello, ma, dopo la bufera di neve presa settimana scorsa sulla Punta Adami, nessuno di noi si fida più delle previsioni meteo. Siamo in fondo al vallone, là dove inizia la strada cementata che sale al muraglione della diga di Scais (E). Sentiamo, senza vedere, l’acqua che scroscia sulle rocce alla nostra destra. L’umidità trasforma i +6°C dell’aria in un caldo insopportabile. Ci mettiamo a dorso nudo. Lontano nel bosco rintocca il verso di qualche animale. “Dall’odore dev’essere un caprone LE MONTAGNE DIVERTENTI o uno stambecco in calore!” “Se hai scoreggiato non dare la colpa alle bestie!”, scherza il Tarabini. Poi aggiunge incuriosito “Ma qui non vive quel serpente temutissimo? Il basilico?” “Il basilisco...” ribatto io. “Certo, i pastori dicevano avesse gli occhi rotanti nelle orbite, la cresta rossa come il fuoco e terribili poteri sovrannaturali. Chi imprudentemente lo aveva guardato negli occhi, oppure ne aveva ascoltato per tre volte il fischio, era morto stecchito, sul colpo. Per cui oggi ti conviene stare attento!” “D’accordo...” , aggiunge lui ironico, “ma con questa nebbia non corriamo certo il pericolo di incrociarne lo sguardo, a meno che non salti giù da un albero e ci si appenda al naso!” A 1400, 30 minuti a piedi da Agneda, c’è un bivio. Abbandoniamo la carrozzabile, imbocchiamo il sentiero sulla sx con indicazioni per la Mambretti e attraversiamo lo sgangherato Ponte della Padella, oscena passerella di cemento che sovrasta le splendide marmitte scavate dal torrente nelle rocce. Serpeggiamo nel bosco per ritrovarci a breve dinnanzi a un bizzarro cartello: “CANI AL GUINZAGLIO, GALLINE AL PASCOLO”. Ehh?? Nei pressi della casa del guardiano della diga di Scais una ventina di succulenti pennuti ci circondano. Ecco spiegato l’insolito avviso. Un gallo fa il gradasso e canta a squarciagola. Poi fa una pausa per prender fiato e s’accorge che i nostri stomaci brontolano. Immaginandosi già sullo spiedo sceglie d’allontanarsi per non finire nei nostri zaini. Ridiamo. 5 luglio 2007, la capanna Mambretti dalla testa della Val Caronno. IL MORSO DEL BASILISCO - 29 A ais visti nta di Sc Pu ale della . occident di Porola anticima Vedretta Porola e la di o ro zz nt Al ce no, Pi on ar C a di Cim nuovamente te -20072007 l’alpeggio è nuo amente caricato]. Le irregolarità della nebbia ci regalano brevi fotogrammi dell’imponente testata della Val Caronno con la maestosa Cresta Corti, spartiacque fra i bacini di Scais e di Porola. Superata l’alpe il sentiero si fa ripido fino al limite della vegetazione, marcato dal solito cartello che chiede di portare legna al rifugio. Un tronco di larice su una spalla, un abete da 15 metri sull’altra, muscoli allo al spasimo. Arranchiamo per un centinaio di metri finchè ci troviamo ce davanti la Mambretti (m 2003, ore d 1)?! 1 Ci ripariamo dalla pioggerellina dentro il locale invernale. Siamo tutti d bagnati. Attendiamo mezz’ora nella b speranza che il tempo cambi. Nulla sp da d fare, dobbiamo accontentarci ed essere audaci. Pianeggiamo verso E es su sentiero segnalato, dopo di che, al confluire del torrente di Porola con co quello di Scais, ci portiamo sulla morena centrale, il naturale prolunm gamento occidentale della Cresta ga Corti. In epoca tardiglaciale costituiC va la linea di divisione fra le lingue delle vedrette di Scais e Porola, che d quindi, più in basso, laggiù dove si q spegne la morena, confluivano in sp un fronte unico. Ora lì ci sono addirittura degli alberi [estate 2007 - la morena è divenuta un pascolo verdeggiante e ricco di fiori di ogni specie]! Risalito lo spartiacque pietroso per oltre 500 metri, pieghiamo a dx e c’introduciamo nel vallone di Scais, incassato fra la costiera O del Brunone e la Cresta Corti. Dopo aver più volte assaltato la scarpata settentrionale della valle, esserci incengiati e aver così intuito che la VERSANTE OROBICO Punta di Scais doveva essere da tutt’altra parte, ci riportiamo nel centro della gola e risaliamo quel poco che rimane del bacino ablatore di Scais. Per gande, neve e ghiaccio ci portiamo ad un centinaio di metri dalla cosidetta Schiena del mulo. Fino a pochi anni fa (4 o 5) era la zona più ripida e crepacciata dell’intera vedretta e per superarla bisognava mettere i ramponi. Oggi, invece, con un ampio risalto roccioso segna il confine fra i due lobi in cui s’è diviso ghiacciaio di Scais (m 2600 ca., ore 2). Alle 16, finalmente, la nebbia si dissolve. Individuiamo la vetta e un possibile tracciato lungo il versante SSO. Una ripida rampa di sfasciumi e rocce sale il fianco meridionale della valle fino alla fortezza rocciosa dominata dalla poco evidente Punta di Scais a sx e dallo slanciato Torrione Curò a dx. La fortezza è rossiccia e solcata verticalmente da tre canali: il più occidentale, scopriremo, è il Bonomi, quello intermedio è anonimo, mentre quello che s’insinua a sx del Torrione Curò è il Baroni, percorso scelto dai primi salitori e da molti considerato la via Normale alla Punta di Scais. A E della fortezza si stacca una tozza anticima, ironica- La prim a as il 3 luglio censione alla Pu nta di Sc 18 ais fu po Valerio lu 81 (in rosso). rtata a te Il ngo il ca rm nale da al 12 luglio 1894 ci fu la st ine dalla guida lora deno Anton oric minato ca nale Bon a ascesa di Giova io Baroni e tre omi (in suoi clie nni Bon mente batgiallo). nt omi con Bruno G i allitezzata Fetta di Polenta. E’ tardi, ma la fortuna ripaga gli audaci. Lottiamo contro gli sfasciumi e risaliamo centralmente la rampa fino ai piedi del canale intermedio, quindi, al cospetto delle bastionate rocciose della fortezza, tagliamo a sx fino all’imbocco del canale Bonomi (m 2900 ca., ore 1:10, abbiamo costruito un ometto fichissimo come riferimento... se non è già crollato!) [luglio 2007, l’ometto s’erge ancora arrogante e fiero!]. L’angusto colatoio ha rocce talvolta friabilissime, oggi per di più bagnate. Esitare troppo sugli appigli equivale ad attendere che questi si sbriciolino, quindi ci muoviamo molto rapidamente. Dopo 50 metri d’arrampicata (passi di III con provvidenziali terrazzini), nell’ultimo tratto del canale dobbiamo infilarci 28 dicembre 2006, panoramica dal Pizzo Rodes. Foto e toponomastica Beno. Costeggiamo tutta la diga per il suo versante settentrionale. Passiamo vicino alla ex-capanna Guicciardi. Inaugurata come rifugio alpino il 17 settembre 1898, fu dismessa qualche anno dopo perchè ritenuta in posizione poco strategica. Oltre un bosco di abeti, ecco il pratone dell’alpe Caronno. Vicino al ponte sul torrente ci sono due malghe: le baite di Caronno (m 1612, ore 0:45). [n.d.r. da quest’esta- bretti. dalla Mam L P I N I S M O 30 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 31 A L P I N I S M O L’idea dell vuoto prende il mio zaino e lo trascina verso l’abisso. 15 ottobre 2006, il Redorta dalla Punta di Scais assomiglia a un lontano 8000. in un camino (10 metri, III+). Cola acqua ma, seppur con qualche difficoltà, guadagniamo la cresta. Paesaggio stupendo, indescrivibile. Soffia vento gelido dalla vedretta di Porola, mentre le croci sul Redorta e sul Pizzo di Porola luccicano freneticamente. Tutte le cime sono spruzzate di neve fresca, l’aria è frizzante. Ma, nonostante le bellezze della natura, io non riesco a distendermi. Superati pochi metri di cresta verso E ci troviamo su un poggio di fronte ad un’erta e liscia piodessa, alta più di 10 metri. E’ l’ultimo ostacolo verso la vetta. Tutti i racconti che abbiamo letto concordano nel definire questa parete la maggiore difficoltà dell’intera ascensione. Abbiamo gli scarponi bagnati, la roccia è scivolosa. Tento inizialmente lo spigolo che guarda l’O, le due croci di vetta sono appena lì sopra. Quattro appigli e volo giù. Non ce la faccio, gli scarponi non tengono, di lì non si passa. Torno vicino al Tarabini che mi osserva perplesso. Mi fermo e rifletto. Noto una sottile cengia che sale trasversalmente verso E, tutta esposta all’orrido del canale intermedio. Non ne ho mai sentito parlare, ma la provo lo stesso, il mio intuito Agosto 2004, il tramonto su Scais e Porola. dice che è la scelta giusta. L’affronto come se stessi camminando sul cornicione di un palazzo, busto aderente alle rocce. L’idea del vuoto prende il mio zaino e lo trascina verso l’abisso. Mi convinco che è solo un’ illusione e proseguo. Pochi passi e i miei piedi in cerca di una passatoia scalzano alcuni sassi. Guardando nella feritoia fra il mio corpo e la piodessa, vedo le pietre precipitare e frantumarsi quasi cento metri più in basso, laggiù dove prima stavamo mangiando pane e salame. Un nodo in gola. Se sbagliassi anche solo un appoggio finirei laggiù pure io, romperei la macchina fotografica... Con quel che mi è costata devo stare attento! Vedendomi esitare, il Tarabini urla: “Se vuoi torniamo indietro, intanto è come se fossimo arrivati in cima, questi dieci metri non fanno di certo la differenza! Non lo diciamo a nessuno. Torna indietro!” Ma così facendo risveglia il mio orgoglio (o forse la mia consapevolezza che per 32 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI G me indietro è meglio non tornare). Un rigurgito di grinta, pochi strappi con le mani, e sono in vetta. La Punta di Scais, il paradiso (m 3039, ore 1)! Lì a fianco c’è il Redorta, tutto sporco di neve ventata, sembra un temibile ottomila. Poi quante cime! Gira quasi la testa. La vista è chiusa solo a SSO dall’anticima occidentale della Punta di Scais, pochi metri più bassa. Ah, mi dimenticavo, il Tarabini. Fisso la corda a un masso e, mentre mi guardo in giro, mangio una banana e scatto foto, fingo di fargli sicurezza. S ono le 17:30, entrambi siamo in vetta. “Prenderemo notte.” “Non ho il frontalino. Che pirla!” “Sei un pirla!!”, esclama il Tarabini. Provo a giustificarmi: “Oggi pensavo di tornare che era ancora giorno, invece la nebbia ci ha fatto sprecare molte ore a vagare invano. uardando nella feritoia fra il mio corpo e la piodessa, vedo le pietre precipitare e frantumarsi quasi cento metri più in basso, laggiù dove prima stavamo mangiando pane e salame. Un nodo in gola. Imprevisti.” La Valle del Coca è completamente in ombra, il Brunone sta oscurando la valle di Scais, il vento gela le orecchie, il pizzo del Diavolo e il Diavoletto s’incendiano al tramonto e le preoccupazioni per l’ora tarda svaniscono dinnanzi a uno stupore immenso! Per la discesa ce la caviamo con 4 tiri in corda doppia (20 m) e una ventina di imprecazioni per le cadute nell’oscurità di boschi di Caronno . Ore 21. Siamo alla macchina, grazie alla nebbia ci abbiamo messo il doppio del necessario, ma ce l’abbiamo fatta! Non era poi così difficile... IL MORSO DEL BASILISCO - 33 A 5 luglio 2007, dalla cima del canale Baroni si ha una splendida vista sul gruppo del Diavolo di Tenda (m 2914). T 5 luglio 2007 re e mezzo di mattina, io e Mario riempiamo gli zaini e partiamo alla volta di Agneda, quindi Punta di Scais. La missione di oggi prevede: - salita per la via Baroni che non ho mai fatto; - nascondere nel luogo più inaccessibile la bottiglietta del gioco “Il Tesoro di Vetta”; - lasciare il libro di vetta sulla Punta di Scais, che come al solito consiste in una scatola di cioccolatini danesi con al suo interno fogli e penne per scrivere i propri nomi e le proprie storie. Albeggia mentre raggiungiamo la Mambretti. I cielo è terso. Anche prati e fiori hanno tinte fortissime. Credo per le piogge di fine giugno che hanno fatto fiorire pure le grigie morene. Ogni tanto si sente come un forte scrosciare d’acqua, simile a una cascata. Ma siamo lontani dai torrenti. E’ un attimo, poi tutto tace. Temo 34 - LE MONTAGNE DIVERTENTI siano raffiche di vento in quota, ma quaggiù è calma piatta. La morena di Scais è un campo di fiori azzurri, bianchi e gialli. Mai vista così. Dobbiamo salire parecchio per incontrare le tracce del ghiacciaio. Poi ancora su lungo le faticose gande e siamo all’imbocco del canalone più orientale della fortezza di Scais: il canale Baroni, quello che giunge al netto intaglio a sx dell’acuminato Torrione Curò. Il vento, come temevo, inizia a martellarci le mani. Dapprima ci destreggiamo su una cengia di roccia scivolosa che sale verso dx, quindi entriamo nella parte superiore del canale, un camino molto inclinato e angusto. Le rocce sono cattive, siamo costretti a salire facendo opposizione sulle pareti esterne del colatoio (III+). Qualche fettuccia qua e là, ma son di quelle che han visto la guerra. Il freddo è tale che ci gela VERSANTE OROBICO L P I N I S M O le mani contro la roccia, sensazione pessima. Per fortuna il cammino è breve e sbuchiamo su una selletta (attenzione nell’assicurare i compagni: i massi in cima al canale sono instabili; scalzarli con la corda significherebbe ferire qualcuno). Ci rannicchiamo su un terrazzino del versante S, dove il vento tace. Precipizi ovunque, ma splendida vista. Riposiamo e saliamo una facile scarpata rocciosa che guarda a levante, traversiamo a dx, saliamo un canalino e dinnanzi a noi ecco la famigerata placca di IV+, liscia ed esposta. Ai suoi piedi (S) un grosso masso che probabilmente ne faceva parte fino a qualche tempo fa. Cadendo ha lasciato un tetto di roccia. Un chiodo del paleolitico è conficcato nella faccia S della gronda. Primo tentativo: lascio lo zaino a Mario, m’appendo alla gronda e provo a scavallarla, ma sono lento e il vento mi ghiaccia le dita senza pietà. Torno alla base e metto le mani in Autunno 2007 tasca. Mario mi suggerisce una tattica per salire che vedeva dal basso, ma lo devo deludere: “La placca è liscia, di appigli non ne trovi!”. So che devo essere più deciso, e così è. M’attorciglio sulla gronda, poi striscio su per la placca. Non guardo giù. Continuo a dire a Mario di controllare che la corda che sto trascinando non s’incastri. Sono 5 lunghi metri, forse 7 al pianerottolo. Sono in salvo. Recupero gli zaini e assicuro Mario con una fettuccia di quelle “buone”. Lo invito a provare, ma non c’è verso. Il freddo ci sta uccidendo le dita. Allora scatta la tecnica Tarzan e, aggrappato alla liana, Mario arriva sul pianerottolo. E’ fatta! Ci portiamo sul versante settentrionale della cresta e con facili passaggi siamo in vetta. Fantastico come al solito. Nascosta la bottiglietta e lasciato il libro di vetta, giù in doppia per la migliore via Bonomi. Poi visita al Pizzo Brunone e ritorno per il Passo della Scaletta, ma l’intero giro è troppo lungo per esser raccontato tutto. 5 luglio 2007, discesa in doppia dalla vetta della Punta di Scais. Ai nostri piedi l’orrido del canale centrale. www.meteopiateda.it Artefice e protagonista del sito metereologico www.meteopiateda.it è Martino Marchesini, quarant’anni di Piateda, pompiere a Lecco. Martino sin dall’adolescenza ha la passione per il computer, per le strumentazioni, i numeri e le loro teorie. Vanta un diploma di radiotecnico, ma tutto il suo sapere informatico e climatico per giungere all’eccellenza odierna se l’è costruito giorno per giorno, notte dopo notte, turno dopo turno. Nel 2004 debutta in rete con www.meteopiateda.it. Una media di 600 pagine giornaliere consultate, con picchi di oltre 1500 e con il ragguardevole consuntivo di oltre 200.000 pagine consultate dal 18 agosto 2005. Le visite quindi esplodono quando il tempo volge al brutto; e la breve ma distruttiva tempestata di giugno ha richiamato oltre 290 navigatori in un sol giorno. Entrando nel vivo del sito non ci si può che stupire per la varietà e vastità di dati; ciascuno, in funzione delle proprie capacità, dei propri interessi, delle esigenze professionali, può trovarvi elementi attendibilissimi e di grande valenza scientifica. Una vetrina così vasta non si limita a offrire tabelle, grafici, misurazioni e un ampio menù di link che consentono di entrare fino nella più complessa maglia della rete e di connettersi con gli apparati satellitari che ci spiano da chissà quali orbite ed orecchioni: un Vivi Piateda ed una Piateda in foto, inoltre, esportano la piateditudine ovunque i diabolici strumenti informatici possano connettersi ad internet. Anche due webcam, posizionate sul tetto dello studio di Martino, puntano su terra e cielo rispettivamente ad est e ovest di Busteggia, giorno e notte, consentendo al lappone come all’aborigeno di osservare uno spicchio di Piateda, il tempo che fa e di manifestare il loro giubilo quando il loro clima è migliore o sentirsi sfigati quando sono i piatét a godersi il bel tempo e da loro impazzano tempeste di neve o tifoni australi. Brina e frécc a parte; queste sono esclusive di chi ha la bontà di vivere all’ombra del Rodes! LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 35 Pechino-Parigi con svolta per Agneda Marino Amonini 24 settembre 1896 Di ritorno da una gita che credo sia stata fatta oggi la prima volta voglio lasciare all’ottimo Gio. Bonomi quest’attestato del quale non ha bisogno; ma che servirà almeno a mostrargli la mia gratitudine. Egli nella salita dello Scais e del Redorta che facemmo oggi partendo dalle Baite di Scais alle 4 anti e ritornando alle 7 ½ pom. Vi dimostrò qual è ottima guida e piacevole compagno. Grazie a lui di cuore! Scipione Borghese C.A.I. Sezione di Milano U n’annotazione asciutta e generosa, serbata e messa ben in evidenza dal Bonomi sul suo libretto dove non mancavano certo le attestazioni di stima di altri importanti clienti, ma che, data la celebrità del personaggio, costituiva una garanzia delle qualità alpinistiche ed umane della Guida Alpina di Agneda. Avrà avuto pure il sangue blu, ma certamente possedeva anche i piedi buoni il principe per considerare una gita salire in giornata due dei tre 3000 metri esistenti nelle Orobie; evidentemente si formava ai cimenti, motorizzati Scipione Borghese (1871-1927) durante il raid Pechino-Parigi. ma sicuramente altrettanto faticosi, che lo avrebbero consacrato con il raid Pechino-Parigi. Non va trascurato il fatto che il principe era socio perolto risalto mediatico ha in questi mesi il cenpetuo della Sezione milanese del CAI, ciò fa supporre che tenario dello storico raid Pechino-Parigi, l’epica impresa con le montagne il nostro avesse un buon feeling. automobilistica coronata dal trionfale ingresso dei protaLe sue note biografiche lo descrivono come un uomo gonisti a Parigi il 10 agosto 1907. alto, dal fisico asciutto, che si esprimeva con poche parole, Agli albori della motorizzazione questa temeraria sfida che era dotato di modi calmi e misurati e possedeva una rappresentava un’avventura di grande spessore; che la comgrande freddezza ed un dominio di sé. petizione sia stata vinta da un equipaggio tutto italiano su Il principe fu parlamentare (1904-1913), valoroso comuna vettura pure italiana ha consegnato l’evento alla storia battente nel corso del primo conflitto mondiale e diede ed i protagonisti alla gloria. La celebre Itala 35/45 HP preparata da Ettore Guizl’avvio ad importanti opere di bonifica nell’Agro romano. zardi, pilotata dal principe Scipione Rallegra quindi sapere che un persoBorghese e raccontata dall’inviato del naggio così celebrato, che già prima del Corriere della Sera Luigi Barzini perraid vantava fama internazionale come corse i 16.000 km, disseminati di ogni viaggiatore ed esploratore, nonché come genere di difficoltà, in 62 giorni, stacautore di libri di successo, sia giunto in cando gli inseguitori di ben 20 giorni. Valtellina e in particolare ad Agneda per La letteratura ha scritto molto conquistarne le cime. sull’impresa, ma quello che piace riPiace anche pensare che Le Montagne cordare in queste note è che il 24 setDivertenti, la cui filosofia sta nel riscopritembre 1896 uno dei protagonisti, il principe Scipione Borghese, venne in re luoghi, persone e racconti dimenticati Valtellina per effettuare un’ascensione ma di sicura suggestione, possa ascrivenelle Orobie. re tra i personaggi cui sarebbe piaciuto In quegli anni, infatti, queste godequesto tipo di approccio alla montagna vano di una buona fama alpinistica e anche questo importante esponente per uno spirito intrepido come il nobile dell’avventura, dell’esplorazione e del pisano non poteva mancare un cimento pionierismo del suo tempo. Personaggio su queste vette. Testimonianza di queste che, per almeno un giorno, ha calcato i ascensioni è un’annotazione, scritta e luoghi tanto amati dagli appassionati di firmata di suo pugno sul libretto della Guida Alpina Giovanni Bonomi. Giovanni Andrea Bonomi (1860-1939) montagna cui il trimestrale si rivolge. Panoramica sui ghiacciai di Piateda Riccardo Scotti L a Val Venina è una delle poche valli delle Orobie valtellinesi a non avere andamento uniforme e rettilineo da N verso S, ma presenta bensì una duplice suddivisione dicotomica che da’ vita a quattro convalli. Da Est a Ovest si hanno: Val Caronno, Val Vedello, Val d’Ambria e Val Venina. Stupirà sapere che nelle prime tre valli citate esistono ancora oggi 17 ghiacciai e glacionevati; tutti di piccole o piccolissime dimensioni. I ghiacciai di Porola e Scais, pur minuscoli a scala alpina, sono di gran lunga i più grandi della valle, coprendo da soli 516.000 m² di superficie sugli 835.000 dell’intera area glacializzata della Val Venina. Superficie che equivale soltanto al 4,5% del grande Ghiacciaio dell’Adamello. I numeri lasciano erroneamente pensare che il glacialismo orobico sia del tutto trascurabile, ma basta un’analisi leggermente più dettagliata per accorgersi di quanto eccezionali siano queste manifestazioni glaciali… nessun’altro settore montuoso lombardo e probabilmente italiano (ad eccezione delle Alpi Giulie) ospita ghiacciai superando in soli 3 punti i 3000 metri di quota (Punta di Scais m 3039, Redorta m 3039 e Coca m 3050). In questo contesto altimetrico del tutto sfavorevole l’altitudine mediana dei ghiacciai è di gran lunga la più bassa della regione non raggiungendo neppure i 2400 metri di quota. La fronte del piccolo Glacionevato del Salto, attualmente a m 2042 è la più bassa della Lombardia. Altri record “di bassa quota” sono propri di questo settore che rappresenta quindi un unicum di eccezionale importanza per la glaciologia italiana. A questo punto è lecito chiedersi quale sia il motivo dell’esistenza di un glacialismo tanto vivace. La risposta è piuttosto semplice per chi pratica scialpinismo o per chi, pur restando nel fondovalle, ha un po’ di spirito di osservazione. Nelle Orobie nevica, e pure parecchio visto che le precipitazioni sono generalmente doppie rispetto al fondovalle e quasi triple rispetto alle montagne dell’Alta Valle. Le umide correnti meridionali fanno risalire le masse d’aria lungo le prealpi bergamasche e quando queste raggiungono lo spartiacque incontrano aria più fredda presente nel versante nord scaricando qui gran parte della loro umidità sotto forma di acqua o, se le temperature sono sufficientemente basse, neve. In M 36 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 Le scarse precipitazioni nevose del 2005, accompagnate dal caldo infernale della stessa estate hanno inflitto un durissimo colpo ai ghiacciai delle valli di Piateda, qui localizzati e numerati. LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 37 38 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 --------------------------++ ++ ++ ++ ++ ++ ++ + n.v. n.v. n.v. n.v. n.v. n.v. n.v. ------+++ +++ +++ +++ +++ +++ +++ +++ -----------n.v. ++ +++ n.v. s ---+++ +++ +++ n.v. n.v. - ----s n.v. -n.v. n.v. n.v. 1,7 2,5 1,4 0,5 1,6 2,0 0,7 0,6 --n.v. --25,8 25,8 2,1 0,8 5,4 7,5 --- ------n.v. ----S ++ n.v. + + --n.v. --n.v. n.v. ++ + ++ n.v. +++ +++ --n.v. n.v. --- 2000 1999 1998-2001 2,1 sconosciuto 4,0 2,0 3,5 2,5 sconosciuto 2,5 2,0 sconosciuto sconosciuto Val Vedello Pizzo Grò Cerich Salto Val d’Ambria Pizzo Omo NW Pizzo Omo W Pizzo Diavolo Tenda NW Bocchetta di Podavitt Podavista Aga Aga Nord Aga Superiore 1992 28,5 29,0 2,5 sconosciuto 4,0 8,0 ettari (ha) 1,6 0,7 2,8 ----n.v. ---- 2006 2005 2004 2003 2002 2001 Indice dinamico stagionale LE MONTAGNE DIVERT IVERTENTI ENTI La tabella riporta i valori misurati e le tendenze dei ghiacciai delle valli di Piateda fra il 1998 ed il 2005. Legenda: - - - decremento forte / - - decremento moderato / - decremento lieve / S Stazionario / + incremento lieve / ++ incremento moderato / +++ incremento forte / n.v. non visitato o non valutabile. Bibliografia: SERVIZIO GLACIOLOGICO LOMBARDO, (a cura di Galluccio A. e Catasta G.), Ghiacciai in Lombardia, Bolis, Bergamo, 1992. SERVIZIO GLACIOLOGICO LOMBARDO, Terra Glacialis anno V, Milano, 2002. SERVIZIO GLACIOLOGICO LOMBARDO, Ghiacciai,Glacionevati e forme glaciali minori della Lombardia - rilievi annuali 1990/2004 (inedito) www.sgl.cluster.it assato, presente e futuro Valle di Scais Porola Scais Pizzo Brunone Passo Scaletta Cantunasc Mottolone P Dal termine della PEG (Piccola Era Glaciale) ipotizzabile per le Orobie intorno al 1820-1850 i ghiacciai area questo modo talvolta si raggiungono valori che pongono questo settore montuoso fra i più nevosi d’Europa. Fra l’ottobre 2000 e il giugno 2001 la sommatoria delle singole nevicate è stata stimata in 35-40 m a 2500 metri di quota. Il 22 giugno del 2001 al vicino Ghiacciaio del Lupo alla medesima quota Stefano d’Adda, operatore del Servizio Glaciologico Lombardo, ha misurato più di 9 m di neve al suolo in una zona non interessata da accumuli valanghivi (!). Le grandi nevicate, seppur fondamentali, da sole non sono in grado di “produrre” ghiacciai, occorre anche una morfologia adeguata che favorisca un’intensa attività valanghiva invernale e una efficace protezione dai raggi solari in estate. Con una semplice passeggiata in Val d’Ambria, per esempio, ci si può accorgere come i versanti N del Monte Aga, del Pizzo del Diavolo, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo del Salto rispettino perfettamente queste condizioni. alpini hanno subito un sostanziale regresso, più evidente negli apparati di grandi dimensioni come Porola e Scais che, nella loro massima espansione storica, arrivavano probabilmente ad unire le loro fronti. I ghiacciai più piccoli, pur avendo perso in quasi due secoli gran parte del loro spessore, sono talvolta ancora appoggiati, a valle, alle ripide ed eleganti morene frontali deposte nell’800. Ne sono evidenti esempi i piccoli apparati della Val Vedello e della Val d’Ambria. Nonostante i ghiacciai orobici avessero particolarmente beneficiato della breve fase di reglaciazione degli anni settanta, gli ultimi 30 anni hanno evidenziato un drammatico e sempre più veloce regresso imputabile principalmente al drastico aumento delle temperature medie. Un temperatura media annua più elevata, oltre che favorire in modo determinante la fusione estiva, provoca un rialzo del limite delle nevicate nelle stagioni di mezzo (autunno e primavera), privando in questo modo i ghiacciai orobici della loro necessaria razione di neve. In particolare, dopo una fase sostanzialmente positiva fra il 2001 ed il 2004, favorita dalle abbondanti precipitazioni di queste due annate, il trend di decremento ha ripreso rapidissimo, tanto che le ultime 3 annate (compresa quella in corso) sono state una vera e propria catastrofe glaciologica. Precipitazioni scarsissime e temperature estive estremamente elevate sono un cocktail micidiale che sta portando all’estinzione, probabilmente già da quest’anno, alcuni piccoli apparati dai nomi curiosi come Cantunàsc, Mottolone, Cerich, Pizzo Brunone, Pizzo Omo NO e Aga Superiore. Scais e Porola, grazie a volumi di ghiaccio superiori, garantiscono qualche anno di vita in più pur denotando comunque segnali di contrazione altrettanto evidenti. Il bacino d’accumulo del ghiacciaio di Scais, posto alle pendici occidentali del Redorta, riceve notevole esposizione alla radiazione solare e non e più in grado di alimentare la lunga lingua glaciale che dal 2004 si è distaccata dal bacino d’alimentazione. Così, per tutta la larghezza della schiena del mulo, un tempo ripida e crepacciata impennata mediana del ghiacciaio, è affiorata una fascia rocciosa alta una cinquantina di metri. Lo stesso Porola, vero simbolo delle Orobie, sta rapidamente perdendo la ripida e spettacolare lingua che deborda dal bacino di alimentazione. Le prospettive non sono certo rosee tanto che, ai ritmi di regresso degli ultimi 3 anni, le estinzioni saranno sempre più frequenti ed in una decina di anni nelle Valli di Piateda tutti i ghiacciai più piccoli saranno scomparsi. Una perdita gravissima purtroppo inevitabile. Ottimisticamente, siamo comunque convinti che, se mai si dovesse assistere ad una sempre più improbabile inversione di tendenza, gli ombrosi canaloni orobici saranno i primi a beneficiarne. Ghiacciaio o glacionevato Un’impressionante sequenza fotografica dal Rodes che mostra il regresso dei ghiacciai di Scais e di Porola negli ultimi 70 anni. H I A C C I A I I NUMERI DEI GHIACCIAI DI PIATEDA G IL MORSO DEL BASILISCO - 39 VO L A R E IN PARAPENDIO Testi e Foto Gianfranco Conforti 40 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 Il volo in parapendio in Italia è disciplinato dal D.P.R. 404/88. Per potersi cimentare in tale attività è necessario conseguire un brevetto di volo, dopo avere frequentato un corso presso una scuola riconosciuta dalla Federazione Italiana Volo Libero (per ogni informazione si può consultare il sito “www.fivl.it”) ed avere sostenuto con successo il relativo esame di abilitazione (teorico e pratico). Per potere volare in parapendio non è necessario possedere doti da supereroe: è sufficiente il rilascio di un certificato di idoneità psico-fisica biennale, ma non devono mancare capacità di concentrazione, determinazione ed una gran voglia di divertirsi godendo della natura, ad ogni età (si tratta infatti di uno sport praticabile dai 16 fin oltre i 70 anni). La Valtellina rappresenta uno degli scenari più suggestivi per il volo libero. In provincia gli amanti di questa disciplina da ormai un ventennio si sono riuniti nel club “Volo Libero Valtellina”, che ad oggi conta circa una ventina di associati. Non è raro, nelle belle giornate di sole, vederli svolazzare sopra le nostre teste, godendo della libertà che solo il cielo libero può dare. LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 41 LA VALTELLINA VISTA DALL’ ALTO P vetta all’altra”. Descrivere con le parole ciò che realmente si prova è davvero difficile: “Sfruttando le correnti ascendenti, come fanno gli uccelli, è possibile librarsi in volo per ore coprendo distanze di decine e decine di chilometri e raggiungendo quote prossime ai 4000 metri. Una volta deciso di ritornare a terra, dall’alto si individua un luogo idoneo all’atterraggio – generalmente uno degli ultimi prati situati sul fondo valle – ed in planata lo si raggiunge. Alcune semplici manovre ed in controvento delicatamente si rimettono i piedi a terra”. Dove si può praticare questo sport? Da noi vi è solo l’imbarazzo della scelta: “I luoghi abitualmente utilizzati per il decollo sono sul versante retico, essendo quello più esposto al sole e quindi più generoso di termiche. I nostri favoriti, per citarne alcuni, sono (direzione ovest-est) i Prati Nestrelli (Cino), l’Alpe Scermendone (Ardenno), Prato Isio (Berbenno), Prato Secondo (Castione), Carnale e l’Alpe Mara (Montagna), Dalico (Chiuro) e Prato Valentino (Teglio). Alcuni decolli sono facilmente raggiungibili con l’auto. Altri, invece, possono essere raggiunti solo a piedi: in tal caso, lo sforzo della salita – affrontata portando in spalla la sacca con la vela e tutta l’attrezzatura necessaria per il volo – è ampiamente ripagato dal piacere che dà la consapevolezza che il ritorno sul fondo valle avverrà per via aerea. Se la giornata è propizia, è possibile – sorvolando le cime delle Alpi Retiche – percorrere l’intera valle e raggiungere Bormio. Da lì autostop per casa: anche questo fa parte della bellezza del volo”. er tutti gli appassionati di volo libero (parapendio – in particolare – ma anche deltaplano e aliante) la Valtellina rappresenta un luogo amato e temuto. Amato per gli spettacolari panorami che dall’alto si possono godere, per le generose e potenti termiche che permettono voli di alta quota (nelle belle giornate di primavera non è raro raggiungere quote abbondantemente superiori ai 3.000 metri) e spostamenti per decine di chilometri, passando da una vetta all’altra. Temuto, e guardato con grande rispetto, perché le medesime condizioni che favoriscono i grandi voli (una brezza di valle spesso sostenuta - la breva - e la tipica instabilità meteorologica delle aree alpine) costituiscono elementi di potenziale pericolosità, che occorre ponderare con attenzione prima di staccare i piedi dal suolo per librarsi in volo. Ma il volo in Valtellina, quando praticato in sicurezza, regala emozioni ed immagini indimenticabili. Come non restare stupiti godendo di una privilegiata prospettiva su Pizzo Scalino, Cima Piazzi o Disgrazia? Anche se si è concentrati sul pilotaggio, vi sono lunghissimi e impagabili momenti (soprattutto quando si effettuano le “traversate” da una montagna all’altra) durante i quali ci si può rilassare, magari provando per alcuni istanti a chiudere gli occhi e sentire il vento che accarezza il viso. E’ in questi straordinari momenti che si gode sino in fondo dei magnifici scenari che ci circondano: non solo le cime elevate e maestose, le ampie vallate laterali quali Valmalenco, Valgrosina, Valposchiavo, Valmasino… ; lontano dai rumori e dalla frenetica quotidianità, tutto è ammantato da silenzi e immobilità surreali. Persino la caotica SS 38, vista dall’alto, sembra così tranquilla. Per capire in concreto come si svolge questa attività abbiamo chiesto a Giacomo – che vola in parapendio da circa quindici anni – di trasportarci idealmente in volo con lui. “Per affrontare un volo divertendosi in sicurezza è necessario già il giorno prima consultare i vari siti internet per acquisire informazioni sulle condizioni meteo del giorno successivo. Il mattino, dopo un giro di telefonate con gli amici, individuato il luogo più favorevole per spiccare il volo, sacca in spalla si raggiunge il decollo. Quattro chiacchiere con i compagni di volo mentre con il naso all’insù si analizzano i segnali che il cielo ci manda. Dispiegate le vele, non appena il vento è favorevole, pochi passi e si è in volo. Immediatamente, quasi per magia, i problemi della quotidianità rimangono a terra e tutti i sensi si focalizzano alla ricerca della prima corrente ascensionale che ti porti su e ti permetta poi di spostarti veleggiando da una 42 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI IL MORSO DEL BASILISCO - 43 I SEGRETI DEL In Valmalenco a caccia di TREMOGGE minerali e contrabbandieri ESCURSIONISMO VA Passo delle Tremogge (m 3014) Il Tremogge: paradiso naturalistico Franco Benetti Franco Benetti Bellissimo e velenosissimo: l’Aconito napello è pianta assai diffusa all’alpe Fora. Il suo viola è sgargiante, ma se ingerito in sufficiente quantità è mortale. Raggiunge la massima velenosità in inverno. L’itinerario per il passo Tremogge è uno dei più bei percorsi che ci riserva la valle del Mallero. Offre scenari molto vari, l’attraversamento di zone interessanti dal punto di visto geologico e mineralogico e la possibilità di raggiungere il confine svizzero. Si tratta di un passo elevato. 3014 metri slm, una finestra sul crinale che divide la Valtellina dall’Engadina. L’itinerario è riservato ai buoni camminatori. Attualmente il valico ha un rilievo solo turistico, ma in passato anche di transito e commercio, nonostante poco ad occidente si trovi il ben più agevole e frequentato Passo del Muretto (2652 m), più utilizzato in tempi remoti dalle carovane commerciali o militari. Se qualcuno è appassionato di mineralogia, può aggiungere alla bellezza della passeggiata anche il gusto magico della ricerca; è infatti divertente cercare minerali quando alle spalle si apre ampio il panorama della valle del Mallero, con ad O il Disgrazia e là in fondo la Valtellina e la catena orobica, mentre alzando l’occhio dai cristalli lucenti che ti scivolano tra le mani, si può, tirando un profondo respiro, dare un’occhiata ad una stella alpina e più in su alle vette della Sassa d’Entova e del Pizzo Malenco. Qui l’appassionato mineralogista che ami anche l’ambiente naturale può veramente trovare pane per i suoi denti ed abbandonarsi al sole. Seppur infangato e magari con qualche dito pesto, sarà sicuro di non avere buttato via la giornata anche se lo zaino non sarà stracolmo di sassi. Consigliabile è poi, per chi avesse ancora “gambe” per procedere, superata la cosiddetta Cengia del Caval*, raggiungere il passo Tremogge (m 3014), da cui improvvisamente si apre davanti agli occhi la Val di Fex. Tutti i fiori allo stadio di bocciolo sono spesso “misteriosi”; questo è semplicemente un Sempervivum (certo) montanum (probabile) prima dell’inflorescenza. Sulla cimetta posta ad occidente del passo è presente un piccolo monumento in bronzo di autore ignoto e raffigura un gruppo sacro. Dirigendosi verso O è possibile raggiungere la Forcella di Chaputsch (=cappuccio) e quindi la Sassa di Fora (itinerario difficile). Lungo il percorso, l’appassionato della flora alpina potrà ammirare l’aromatica Achillea clavenae, il Leontopodium alpinum o Stella alpina, che fiorisce sui bianchi calcari della zona, varie specie di anemoni e di senecio, il raperonzolo viola, la margherita alpina e la Saxifraga oppositifolia dal bel color rosso vinato o la gialla aizoides e molte altre specie interessanti. Tra i minerali più belli della zona: - il diopside, che seppur in cristalli di dimensioni modeste, presenta una limpidezza e una lucentezza che unite al particolare colore verde acqua, lo fanno avvicinare in bellezza ai famosi cristalli di questo minerale presenti in Val d’Ala; - la clinothulite rosa, da cui validi artigiani sanno far emergere oggetti pregiatissimi. * Toponomastica ereditata, a quanto sembra, dall’antico uso (XV sec.) di questa erta via come carrareccia per il passaggio di muli e cavalli carichi di merci destinate ai mercati svizzeri. Il riferimento al cavallo o ai cavalli si ripete spesso in Valtellina, sia in alta che in bassa valle: c’è per esempio un Sentiero delle Cavalle sopra Piatta nel bormiese e c’è il famoso Pian di Cavalli in Val Chiavenna; secondo alcuni potrebbe anche essere un toponimo attribuito a itinerari poco usati o semplicemente a percorsi lasciati da tracce di selvatici, spesso poi adottati dall’uomo come sentieri. 46 - LE MONTAGNE DIVERTENTI L M A L E N C O Autunno 2007 “La Valle Malenco si apre immediatamente alle spalle di Sondrio ed il suo ingresso è vigilato, come quelle cattedrali che hanno davanti al pronao due leoni accovacciati, dalle rupi di Triangia e di Masegra. E’ questa valle, profonda, cupa, petrosa, nel primo tratto, stringendosi i monti l’un sopra l’altro, addossati quasi accorrenti, sul canalone della valle, e nella penombra e nell’ombra che occupa questo gran taglio, si scorgono laggiù, a nord, le torrette delle Tremogge vestite di neve, che splendono come lumi, cime emergenti in un mondo tutto in luce”. P. Rombi. . PARTENZA: S. Giuseppe oppure Chiareggio. ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio si sale in Valmalenco lungo la SP 15. Giunti a Chiesa idi tornanti in Valmalenco (km 12) si prende la biforcazione occidentale della valle. Per ripidi si arriva a S. Giuseppe. Proseguendo per altri 7 km lungo la medesima stradaa si giunge a Chiareggio. ITINERARIO SINTETICO: S. Giuseppe oppure Chiareggio - rifugio Longoni (m 2450) - Passo Tremogge (m 3014). TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 4 ore per la salita. ATTREZZATURA RICHIESTA: abbigliamento da trekking. DIFFICOLTÀ: 1/2 su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 1400 metri. ibile trovare neve DETTAGLI: EE, passeggiata priva di difficoltà ma che raggiunge quote elevate, dov’è possibile anche in stagione avanzata. 63, ore 4), per il VARIANTE ALLA SASSA DI FORA: La bella ascensione Longoni - Sassa di Fora (m 3363, pinistica PD, 3+). costolone E - cresta S, richiede capacità alpinistiche o l’ausilio di una guida (alpinistica Il dislivello in salita è di 1600 metri, con passi su roccia molto friabile fino all II+ e facilmente tratti su neve. Si consigliano scarponi, ramponi, corda, fettucce e piccozza. LE MONTAGNE DIVERTENTI VALMALENCO - 47 VA P er salire al passo, il punto d’appoggio ideale è certamente il rifugio Longoni del CAI di Seregno, situato sopra un gradino panoramico a m 2450 e gestito da Elia Negrini, guida alpina nonchè appassionato di minerali. Per raggiungere il rifugio abbiamo a disposizione due possibilità: partire dall’alpe Braccia, sopra San Giuseppe, oppure da Chiareggio. A ll’alpe Braccia, poco sopra S. Giuseppe, una sbarra e un cartello segnalano la chiusura della strada ai mezzi non autorizzati. Si prosegue a piedi. La vecchia rotabile un tempo saliva fin sotto il Rifugio EntovaScerscen (m 3000), emblematico tentativo degli anni ‘70-’80 di portare lo sci estivo in Valmalenco. Fallì e il rifugio fu abbandonato. Poi è stato il turno dei vandali che hanno rubato tutto il rubabile e fatto a pezzi tutto quello che si poteva rompere. Ciò che rimane lassù è un casermone fatiscente in preda agli eventi e che fra non molto inizierà a crollare. C’incamminiamo a NO. Strada accidentata. Dopo una serie di tor- nanti, inizia un tratto pianeggiante in direzione dell’Alpe Entova. Ci voltiamo a O, colpiti da uno dei più suggestivi scorci dell’alta Valmalenco. Il susseguirsi di cime e vallate che sbucano sopra e dietro la Sassa di Fora è impressionante: da dx il Monte del Forno (m 3214), la Val Bona con il Passo del Forno (m 2775), la Cima di Val Bona, (m 3033), il Monte Rosso al centro e la chiara Cima di Vazzeda a sx (m 3301); segue poi il circo di vette che racchiudono la Val Sissone: la Cima di Vazzeda, la tagliente Cima di Rosso (m 3366), il Monte Sissone (m 3330), la Punta Baroni (m 3203), le Cime di Chiareggio col il passo di Mello, quindi la Sella di Pioda col Disgrazia (m 3678). A SO (sx) il panorama propone in primo piano l’aspro versante montuoso del Torrione Porro, della Punta Rosalba (m 2803), della Cima del Duca (m 2968), del Pizzo Rachele e del Cassandra (m 3226). Più a E, appena sopra San Giuseppe e Chiesa, chiude il panorama il Corno di Braccia (2909 m). Dopo aver guadato il torrente Entovasco e ammirato il caratteristico gruppo di baite dell’Alpe Entova (1917 m), lasciamo la carrozzabile L M A L E N C O I l susseguirsi di cime e vallate che sbucano sopra e dietro la Sassa di Fora è impressionante... e, per abbreviare un po’ il percorso, imbocchiamo il sentiero segnalato che parte in cima ai prati a NO delle baite (indicazioni per il rifugio Longoni). Raggiunto il limite del bosco, il sentiero comincia a guadagnare quota attraverso una splendida macchia di vegetazione. Man mano, i larici lasciano il posto ai pini mughi e, se si è fortunati, sotto questi ultimi si possono trovare preziosi e profumati boleti. In basso a SO occhieggia di tanto in tanto il laghetto d’Entova. Dopo una lunga traversata (NO), il sentiero termina intercettando di nuovo, a un tornante verso sx, la strada sterrata. La seguiamo e, al secondo tornante verso dx, troviamo un piccolo spiazzo e la Verso San Giuseppe S aliamo da Sondrio a Chiesa Valmalenco (SP 15) e proseguiamo poi verso l’alta Valmalenco (le indicazioni danno S. Giuseppe a 5 km e Chiareggio a 12 km). Una serie di tornanti ci fa guadagnare rapidamente quota lungo il ramo occidentale dell’alta Valmalenco, attraversando un ambiente segnato irrimediabilmente dalle grandi lacerazioni provocate dalle cave di estrazione del serpentino. Qui vale la pena fermare l’auto e girarci verso S ad ammirare la più straordinaria delle opere di escavazione sotterranea e di archeologia industriale presenti in valle: il cosiddetto Giovello, quello che rimane di secoli e secoli di lavori in galleria per l’estrazione del caratteristico serpentinoscisto con cui si producono le piode della Valmalenco, usate ancora oggi per la copertura dei tetti; si tratta di un frammento della storia di questa valle che solo ora si sta iniziando a mettere a disposizione del turismo tramite visite guidate su itinerari appositamente predisposti e messi in sicurezza. Dopo alcuni tornanti che attraversano le località di Val Rosera e di Vallascia, si raggiunge rapidamente l’ampia e ridente conca che ospita S. Giuseppe (m 1433), dominata a N proprio dall’imponente versante montuoso di cui fa parte il pizzo Tremogge, cui si aggiunge, più a O (sx), l’isolata e massiccia Sassa di Fora (m 3363). Oltre la chiesetta, troviamo sulla dx la deviazione per il rifugio Sasso Nero (m 1520). Tre tornanti e siamo al largo piazzale del rifugio (poco distante vi sono le stazioni di partenza delle seggiovie per il Palù), da dove si imbocca la carrareccia per l’alpe Barchi e l’alpe Palù. Altri due tornanti e si prende sulla sx la deviazione segnalata per il rifugio Longoni (il cartello indica 2 ore e mezza di cammino). Ancora pochi minuti di auto e si giunge a quota 1640, a monte dei Prati della Costa, nei pressi dell’alpe Braccia, un gruppo di case dove una sbarra e un cartello segnalano la chiusura della strada ai mezzi non autorizzati. LE MONTAGNE DIVERTENTI VALMALENCO - 49 VA 19 giugno 2005. Il Disgrazia si specchia nel laghetto della Piana di Fora. deviazione per la Longoni (segnale su un grande masso, m 2200 ca, ore 1:45). Lasciata la rotabile, saliamo per sentiero in direzione NO. Attraversiamo prima una fascia di pini mughi, poi un ripido versante di magri pascoli, ai piedi di un sistema di speroni rocciosi che nascondono alla vista il rifugio. È un tratto piuttosto faticoso; una sosta ci fa ammirare, 50 - LE MONTAGNE DIVERTENTI a SO, l’imponente cima del Disgrazia, ora ben più visibile, a sx del poco pronunciato monte Pioda (m 3431) e del ripido passo di Mello (m 2992), valico tra l’alta Valmalenco e la Val Masino. Da questa altezza il quadro delle cime ci è molto più chiaro e vediamo bene anche la vedretta settentrionale del Disgrazia, ghiacciaio che, come purtroppo tutti i circhi glaciali delle Alpi, è in forte ritiro. Arriviamo quindi all’incrocio dove si intercetta il sentiero che sale da Chiareggio e dalla Piana di Fora (vedi di seguito); girando a dx si raggiunge finalmente il rifugio Longoni (m 2450, ore 0:35), aperto generalmente dall’inizio di luglio a metà settembre. anni un’attrattiva del centro turistico malenco, e arriviamo al sentiero mineralogico, dove sono stati collocati vari massi raccolti nelle vallate vicine e trasportati qui con l’elicottero: sono gli esempi delle diverse rocce caratterizzanti il variegato panorama geologico della Valmalenco. Seguiamo i segnavia (bandierine rosso-bianco-rosse, spesso sovrapposte ai triangoli gialli dell’Alta Via) e, lasciate alle nostre spalle le case di Corti (m 1638), entriamo in un fresco bosco di abeti. Superato il torrente della Val Novasco, compiamo una lunga diagonale verso NE, fino a raggiungere il limite inferiore dell’alpe Fora, sul lato occidentale della Val Forasco. All’uscita dal bosco si impongono all’attenzione le Tre Mogge: pizzo Tremogge (m 3441), pizzo Malenco (m 3438) e Sassa d’Entova (m 3331). La cima del Tremogge è completamente bianca, grazie alla roccia dolomitica di cui è costituito, mentre il secondo e il terzo sono caratterizzati da fasce chiare di dolomia, che attraversano la scura roccia incassante di fondo. Alla sx del Tremogge si trova, su una ben visibile depressione del crinale, il passo delle Tremogge (m 3014), S L M A L E N C O u un grande e splendido terrazzo è incastonato il laghetto dall’acqua limpida nel quale amano specchiarsi il Disgrazia e l’intera testata della Val Sissone meta finale di questo affascinante percorso. A dx domina il massiccio roccioso in cima a cui è la Longoni, e da qui par cosa dura arrivarci! Il sentiero risale i prati inferiori dell’alpe e, dopo aver traversato la carrozzabile, raggiunge, nei pressi delle baite, un pannello illustrativo con mappa e indicazioni (Alpe Fora, m 2053, ore 1). Le pendenze crescono e la via s’attorciglia in alcune anse. Oltre il guado sul torrente, ai piedi del costolone ESE della Sassa di Fora, guadagniamo velocemente l’immensa Piana di Fora (m 2300 ca). La baita L’ itinerario da Chiareggio (m 1612) richiede un dislivello pressochè identico a quello da S. Giuseppe, se consideriamo l’inizio della camminata ai 1640 metri dei Prati della Costa, ma offre un ambiente e un percorso decisamente più vari. Da Chiareggio seguiamo le indicazioni della IV tappa dell’Alta Via della Valmalenco (Chiareggio - rifugio Lago Palù) che ci orientano verso una stradina che, in corrispondenza di un lungo parcheggio appena prima del paese, si stacca a N della provinciale. Costeggiamo il parco delle marmotte, ormai da Autunno 2007 19 giugno 2005. Le cascate della Piana di Fora. Ai piedi dell’ultima in basso è nascosto il Tesoro di Vetta della Valmalenco. Sopra: l’Alpe Fora negli anni ‘20. LE MONTAGNE DIVERTENTI VALMALENCO - 51 ESCURSIONISMO VA Diopside Clinozoisite 28 luglio 2007, il tracciato Longoni - passo Tremogge visto dalle pendici della Sassa di Fora. a quota 2309, isolata e rialzata al centro dei prati, domina la conca. Pianeggiamo per pascoli e acquitrini fino al guado sul Forasco. L’erba vien cullata dal vento e, anche se ci sono molti altri escursionisti, la pace è la padrona di questi luoghi. Ci voltiamo a S e, proprio in fondo al pianoro, scorgiamo il laghetto nel quale amano specchiarsi il Disgrazia, l’intera testata della Val Sissone e le imponenti cascate che scendono dagli scuri gradoni rocciosi che cingono l’alpe. L’Alta Via prosegue verso SE: attraversata l’alpe e, superata con una salita non severa una fascia di rocce lisce, siamo al trivio già incontrato nell’itinerario precedente. I cartelli indicano che scendendo a dx si raggiunge la strada per S. Giuseppe, salendo a sx (N) si va al Passo Tremogge, mentre proseguendo diritti si raggiunge, dopo pochi minuti, il rifugio Longoni (m 2450, ore 2:30). Guardando verso E e verso Sondrio, si possono riconoscere le cime dell’alta Val di Togno. Da sx si notano l’inconfondibile piramide del 52 - LE MONTAGNE DIVERTENTI pizzo Scalino (m 3323)- il piccolo Cervino malenco-, il selvaggio pizzo Painale (m 3248) e la Vetta di Ron (m 3136). V erso il passo Sul grande masso dell’ormai famoso trivio si trova l’indicazione per il passo. Seguendo i segnavia, ci inerpichiamo fra grandi blocchi di pietra su cui è assai difficile mantenere un passo regolare e su cui, in caso di pioggia, è anche facile scivolare. Via via il cammino si fa più dolce e regolare. Un tratto in leggera discesa ci fa attraversare una modesta conca (m 2500 ca). Attraversiamo senza problemi alcuni torrentelli, e pianeggiamo. Il terreno è umido, quasi sabbioso, cosparso qua e là di grossi massi precipitati a valle e trascinati qui dal ghiaccio molto tempo fa. Ci sono molti fiori: la margherita alpina, l’achillea o la gialla saxifraga aizoides, quasi sempre presente vicino al greto dei corsi dei ruscelli alpini. Con una diagonale verso NO (sx), ci portiamo sul limite di un dosso erboso. La traccia comincia a salire puntando diritta verso N. Ai pascoli si sostituisce un terreno di sfasciumi e discariche. La pendenza cresce ancora. Alla nostra dx, fino a pochi anni fa, c’era un nevaietto, oggi scomparso, che doveva essere fiancheggiato per un buon tratto, prima di attraversarlo e arrivare alla cosiddetta Cengia del Caval, dove inizia la zona più adatta per la ricerca dei minerali. In quest’area, infatti, l’appassionato può cominciare la ricerca, prestando attenzione ai frammenti di micascisto presenti nella discarica, dove si possono rinvenire cristalli lucenti di minerali di titanio come l’anatasio e la brookite. Grossularia Il sentiero affronta con ripidi tornanti un dosso erboso, descrivendo, poi, una diagonale su un versante meno severo. Oltre un valloncello, ricominciamo a salire per un sistema di speroni rocciosi ricoperti da pascoli. Arriviamo al limite inferiore di una vasta fascia di rottami, dove si possono rinvenire con un po’ di fortuna campioni di vari minerali come diopside, clinothulite rosa compatta, granato, lizardite, titanite rosa ecc. Anche se appesantiti dai sassi raccolti, proseguiamo! La traccia si fa esile, ma sempre segnalata; attraversiamo in diagonale il versante in direzione NO fino al suo limite superiore, dove si apre la conca terminale che ospita un laghetto di colore verde-azzurro (m 2927). Cerchiamo il corno di roccia che demarca il passo, ma non lo si vede ancora. Superiamo un primo dosso e, guadagnando quota, avvistiamo sulla dx un secondo laghetto gemello, immediatamente a monte del primo. I due specchi d’acqua sono dominati dal massiccio versante SO del pizzo L M A L E N C O Tremogge: una spettacolaolare parete quasi verticale su cui corre un’emozionante via di salita alla vetta stessa. La traccia piega, infine, leggermente a dx, fino al passo Tremogge (m 3014, ore 1:30). L’aria frizzante e lo stupendo scenario che si apre sul versante svizzero ci lasciano un attimo intontiti: è valsa la pena di faticare e sudare per ammirare la vedretta del Tremogge, sul versante svizzero appena al di là e sotto il passo. In basso, si apre la verde e pianeggiante Val di Fex, che sfocia in Engadina. Si può intravedere il lembo orientale dell’ampio Lei da Segl, cioè del Lago di Segl nei pressi di Sils. Sullo sfondo, velate da una nebbiolina chiara, si distendono come tante quinte in successione i crinali delle cime settentrionali dell’Engadina. L a zona mineralogica del Pizzo Tremogge è stata scoperta nel lontano 1914, come ricorda P. Sigismund in una memoria apparsa nel 1947 sul Bollettino italiano di Scienze naturali; i primi ritrovamenti significativi segnalati riguardano minerali come epidoto, grossularia, vesuvianite e diopside. In seguito la località viene citata da C.M. Gramaccioli nel 1962 e da R. Crespi con altri che pubblicano uno studio sulla cancrinite-vishnevite e sugli originali granati triacisottaedrici ivi rinvenuti. Nel 1984 esce I minerali del Pizzo Tremogge in Valmalenco di Franco Benetti, un lavoro monografico che intende mettere in luce in tutta la sua importanza questo piccolo paradiso naturale. Il Tremogge è una lieta sorpresa dal punto di vista geologico e mineralogico; vi vengono elencati circa 50 specie delle circa 300 presenti in Valmalenco, tra cui la geikielite, l’anatasio e la brookite, minerali fino ad allora mai segnalati in questa particolare zona. C’è infatti un posto lassù dove tra cascatelle d’acqua e prati di stelle alpine si possono rinvenire notevoli campioni di questi due minerali di titanio, in bellissimi ottaedri e lamine, di colore bruno e giallo miele. I cristalli di anatasio sono numerosi e tempestano le litoclasi degli gneiss limonitici della zona, brillando come tante pietre preziose tra i detriti che cadono a ogni colpo di martello e si disgregano poi nelle acque limpide e nelle discariche sottostanti. Per concludere la bibliografia sulla zona citiamo alcuni articoli tra cui quello comparso sulla rivista La Gemmologia n.1/2 (1986) di Bianchi, Crespi e Liborio sugli epidoti rosa di Valtellina (zone di Prà Isio e Tremogge) e quello comparso nel 1992 sul Bollettino n.2 dell’Istituto Valtellinese di Mineralogia di Sondrio con un aggiornamento che in pratica completa con i nuovi ritrovamenti le specie presenti in quest’area. Sono usciti infine alle stampe nel 1993 I minerali della Provincia di Sondrio: Val Malenco di Bedognè, Montrasio e Sciesa e nel 1994 Guida mineralogica della Valmalenco di Franco Benetti che chiudono il quadro della bibliografia sulla località. Clinocloro Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI VALMALENCO - 53 IL CONTRABBANDO IN VALMALENCO, I n Valtellina gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso hanno visto il culmine del fenomeno del contrabbando con il territorio elvetico. La Valmalenco, come altre importanti valli, ne è stata fortemente interessata. In un articolo dell’annuario del CAI di Sondrio del 1989 (cui questa scheda è largamente debitrice), intitolato “Alte Vie del Contrabbando in Valmalenco”, il prof. Ivan Fassin ne ha tracciato un quadro di sintesi assai efficace, appoggiandosi a quanto emerso dalla testimonianza di alcuni protagonisti. Di solito si pensa alle attività degli “spalloni” come circonfuse di un alone di romanticismo, legandole alla poetica dell’avventura, del transito clandestino dei valichi di confine, di una partita sempre aperta con i militi della Guardia di Finanza, giocata con astuzia, prontezza, resistenza fisica. Ad uno sguardo più attento emerge, al di sotto di questa patina, una dimensione assai più prosaica e sofferta, quando non tragica. La redditività di questi traffici, innanzitutto, non era proporzionata agli sforzi ed ai rischi connessi. Ma, in periodi di stenti diffusi, anche una modesta integrazione del reddito delle magre economie contadine era di vitale importanza. Una certa incoscienza e la vigoria fisica della giovane età erano componenti essenziali di quelle traversate, che erano, spesso, autentici tour de force. Si procedeva in squadre di 10-12 persone, non solo nella buona stagione, ma anche in quella invernale, quando la neve spesso alta obbligava ad alternarsi ogni 7-8 passi nel tracciare la via, perché lo sforzo di chi batte traccia è assai maggiore di quello di chi segue. Provvidenziale l’ausilio degli sci, certo non moderni e tecnologici come gli attuali, ma rudimentali, spesso ricavati in casa da tronchi di frassino. Si procedeva con il cuore in gola, perché la sorpresa poteva sempre materializzarsi e diventare rischio mortale, primo fra tutti quello connesso con slavine e valanghe. Da non dimenticare, poi, le insidie del gelo e della tormenta che ti paralizza e rischia di farti perdere del tutto l’orientamento, perché anche il più esperto conoscitore dei percorsi montani sa che, quando la visibilità si riduce a pochi metri, non ci si rende davvero più conto di dove si è e di dove si sta andando. Il più delle volte filava tutto liscio, anche grazie ad un capillare sistema di segnalazione di alcuni “alpeggiatori complici” che, soprattutto d’estate, quando la vegetazione riduceva di molto la visibilità delle persone, avvertiva i contrabbandieri degli appostamenti dei finanzieri; qualche volta, però, al primo sentore di un possibile incontro-scontro con gli avversari di sempre, si doveva nascondere tutto in qualche anfratto o nella neve, battersela a tutta velocità, per tornare, poi, a recuperare la merce. Il prezioso carico, 25-30 kg se non più, consisteva in tabacco e sale dalla Svizzera, ma anche formaggi, burro, salumi, riso e lana d’angora dall’Italia, ben pigiati nello Agriturismo filippo 54 - LE MONTAGNE DIVERTENTI FRA POESIA E PROSA zaino per sfruttare al massimo le faticose maratone: un viaggio a vuoto sembrava un assurdo spreco di energie. I valichi più frequentati non erano quelli più agevoli, essendo questi maggiormente vigilati dai militi. Perciò lo storico passo del Muretto (m 2560) veniva utilizzato solo di rado, sia per l’elevato rischio di valanghe, sia per il costante appostamento della Finanza all’alpe dell’Oro, facilmente eludibile solo quando le condizioni della neve consentivano una scivolata unica fino all’alpe Forbicina, tanto rapida da vanificare l’intervento dei finanzieri. Più utilizzata la vicina sella del Forno (m 2775), a S-O, con successiva discesa in Val Bona. Circostanze particolari potevano indurre ad itinerari decisamente più lunghi, che toccavano il passo di Zocca od altri meno agevoli valichi in Val Masino, con rientro in Valmalenco attraverso la valle di Preda Rossa, il passo di Corna Rossa, la val Airale e la val Torreggio (itinerario oggi ben noto a coloro che percorrono il sentiero Roma). Ad E del passo del Muretto, invece, si colloca il passo dal Tramoggia, o delle Tremogge, ancora più alto (m 3014), al quale culmina l’elvetica Val di Fex. Anche questo veniva assai utilizzato, tanto che la guardia di Finanza costruì una piccola caserma nella zona dell’attuale rifugio Longoni, il cui nome è tristemente legato ad uno dei pochi episodi tragici, con alcune vittime. Spostiamoci, ora, ad oriente, considerando l’alta Val Lanterna, che era meno esposta al rischio di valanghe e maggiormente si prestava a varianti anche lunghe e tortuose per la sua stessa conformazione. La sezione centrale, con i giganti del gruppo del Bernina, appare del tutto invalicabile. Così non è, per il vero, poiché proprio ad O della triade Roseg-Scerscen-Bernina si colloca il più alto in assoluto fra i passi praticabili, quello di Sella (m 3270), assai poco utilizzato per la quota quasi proibitiva, ma non del tutto trascurato, come testimonia una storia S M. Dei Cas abbastanza nota: una volta un gruppo di contrabbandieri, che salivano dal versante italiano con il solito carico da smerciare in Engadina, vi incontrò un drappello di militari elvetici impegnati in una dura esercitazione. Quella volta, si racconta, i contrabbandieri si sgravarono anzitempo del carico, vendendolo, dietro pronto compenso in Franchi svizzeri, ai soldati provati dalla fatica e dalla fame. La “via maestra” del contrabbando solcava il passo di Canciano (m 2464), che si immette nella val Poschiavina; la sorveglianza dei finanzieri all’alpe di Gera veniva talvolta elusa mediante una traversata per il ghiacciaio di Fellaria fino all’alpe omonima. Assai praticati erano anche il vicino passo di Campagneda (m 2632), con accesso diretto alla conca delle alpi Campagneda e Prabello, e, più a N, il passo Confinale (m 2628), con discesa all’alpe Gembré, quando si supponeva che questi alpeggi fossero “liberi”. In periodi di sorveglianza intensificata, però, uscite e rientri potevano appoggiarsi anche a vie che gravitavano sul gruppo Scalino-Painale, e sui passi dell’alta Val Fontana, in particolare il passo del Forame, fra Val Fontana e Val Painale, ed il passo degli Ometti, fra quest’ultima valle e la Valmalenco, con discesa all’alpe Prabello. Anche la vedretta dello Scalino era praticata, se necessario, senza troppe precauzioni. Oggi ci rimane solo il ricordo poetico di un periodo che rischia di essere sentito come una sorta di epopea eroica, dimenticando povertà e sofferenze che inducevano a questi atti di “eroismo”. Resta, fra le iniziative che vogliono tener vivo il ricordo di questo pezzo di storia valtellinese, una skyrace internazionale che ogni anno, nella prima metà di giugno, propone un itinerario da Lanzada a Poschiavo, passando per i luoghi classici del contrabbando sul versante NE della Valmalenco. IL PANÀU i dice che un tempo, in Valmalenco, vivesse un uccello rapace notturno, oggi scomparso, il panàu, che si appostava di notte per ghermire di sorpresa le sue ignare vittime, le quali si accorgevano della sua presenza solo quando schizzava fuori dal suo nascondiglio, ed era troppo tardi. Ci sono diversi luoghi della Valmalenco il cui nome è legato a questo uccello. Si tratta dei sassi o delle baite prediletti dai finanzieri nei loro appostamenti, perché l’effetto della comparsa improvvisa dei militi sui contrabbandieri doveva essere simile alla comparsa di questo mitico uccello predatore. Nel comune di Chiesa in Valmalenco ce ne sono almeno tre, il Baitìgn di Panàu, piccola baita a monte della strada del Muretto, il Balùn del Ciaz o Balùn di Panàu, grosso masso a monte della strada per Chiareggio, ed il Casign di Panàu, piccola baita all’alpe d’Entova, presso il torrente Entovasco, che sorvegliava la zona a valle del passo delle Tremogge. Nel comune di Caspoggio si trova, poi, il Böc di Panàu, masso con una cavità nei boschi della località Castello. Nel comune di Lanzada, infine, ci sono almeno cinque Sas di Panàu, roccioni utilizzati per gli appostamenti, sulla mulattiera Dosso dei Vetti – alpe Campascio, sulla mulattiera di accesso alla Foppa sopra Campo Franscia, sul limite a monte dell’alpeggio di Campagneda, a monte della chiesa di S. Carlo a Vetto e sulla strada per la località Bruciata. A questi vanno aggiunti una Ca di Panàu, un rudimentale ricovero ricavato sotto una roccia sporgente nella piana della Val Confinale che precede il passo omonimo, e la Caserma di Panàu (o Ca di Panàu), la caserma della Guardia di Finanza costruita alla fine dell’Ottocento e abitata fino agli anni Sessanta, dalla quale partivano i servizi di pattuglia in particolare verso i passi di Canciano, Ur e Confinale. Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI VALMALENCO - 55 SASSA DI FORA (m 3363) A Beno & Elia Negrini 1 agosto 2007, la Sassa di Fora vista dalle pendici della Sassa d’Entova. Il toponimo Sassa di Fora deriva per contrasto con Sassa d’Entova che indica “roccia fra due fiumi”, il Forasco e l’Entovasco che racchiudono la Sassa e l’Alpe d’Entova. Per portare acqua all’Alpe di Fora i pastori dovettero fare una canalina di deviazione del torrente Forasco. L’ alpinista che arriva in Longoni non potrà fare a meno di desiderare una delle magnifiche vette che abbracciano il rifugio. Con questa breve relazione vi descriverò la bella e imperdibile ascesa alla Sassa di Fora. 28 luglio 2007 - Arrivo in Longoni che è già l’una passata. Un caldo infernale. Un drappello di escursionisti è raccolto attorno ai tavolini esterni per 56 - LE MONTAGNE DIVERTENTI ultimare il pranzo fra le solite storie lavorative. Nuvoloni scuri scorrono rapidi sulle imponenti cime delle Tre Mogge, sul Disgrazia e sulla Sassa d’Entova. L’afa è tale che le cime più lontane sembrano degli acquarelli. Dalla porta a vetri esce Elia, il gestore del rifugio. Il turno di cucina è finito, i clienti sazi e appagati, e ora possiamo chiacchierare di montagne. VA L P I N I S M O Lui è incuriosito dal Painale, quella sagoma scura e paurosa laggiù lontano a E. Ne ha letto sul numero d’estate di Le Montagne Divertenti e vorrebbe salirici quanto prima. Io, invece, avendo già fatto il Painale settimana scorsa, sono ora attratto dalla Sassa di Fora. La vedo qui dinnanzi a noi, col suo versante orientale. 1100 metri sopra la Piana di Fora all’apparenza verticali, poi una cresta rocciosa ondulata che corre da S a N, dalla quota 3300 alla massima elevazione (m 3363). Un piccolo ghiacciaio è appeso lassù in alto a sx, mentre a dx della vetta si scorge una lingua di neve che spunta dal versante settentrionale del monte. Il fianco S del Fora è un’immane parete rocciosa a picco su Chiareggio. Solo negli anni ‘50, e con l’ausilio di chiodi, lazzi e scale, una cordata è riuscita a risolverla. Elia mi dice che coi clienti di solito sale per ghiacciaio dalla Forcola dal Chaputschin, intaglio a O del Passo Tremogge. Il valico viene raggiunto per erbe e macereti anche grazie alla vecchia traccia dei contrabbanAutunno 2007 dieri. Poi, osservando la mia tenuta da spiaggia, aggiunge: ”Ma i servìss i rampùn”. L’unica soluzione praticabile senza ramponi è il versante E. Le persone iniziano a mormorare. “Devi scendere nella Piana di Fora,” spiega Elia “ attraversarla e quindi abbassarti per il sentiero fino al ponte sul Forasco, proprio ai piedi del costolone ESE della Sassa di Fora (m 2200 ca, ore 0:40). Di qui sali il crinale per ripido cerone. Incontrerai un canale che devia le acque del Forasco verso l’Alpe Fora, poi più in alto i resti di un secondo canale. Pensa che l’avevano costruito quelli di Chiareggio per carpire il torrente a m 2500, dove un tempo arrivava il ghiacciaio. Prosegui verso l’alto per rottami e, ai piedi della fascia rocciosa a metà versante, prendi il camminamento che si defila sulla sx verso la parete S. C’è qualche ometto segnaletico...”. Seguo le indicazioni di Elia e, senza problemi sono al camminamento. Sbaglio e m’affido a una falsa traccia che si trasforma in una cengia strettissima. Sono sulla parete S, sotto i miei piedi il vuoto, poi Chiareggio. Treman quasi le ginocchia. Capisco che questa non è la strada giusta, ma con ogni probabilità è il passaggio folle che usavano una volta i contrabbandieri diretti verso la vedretta di Fedox. Dietrofront fino a rivedere gli ometti e un angusto passaggio sotto un roccione (dx). Quindi, per tracce logiche e spesso segnalate, guadagno quota. Ecco le gande che orlano a S il ghiacciaio. La cresta è larga e poco pendente. Dopo aver costeggiato il ghiacciaio da sx, una rampa mi introduce nel caminetto per la quota 3300 (ore 3). Paesaggio sorprendente, vista magnifica in ogni direzione, Italia - Svizzera, Disgrazia - Glüschaint - Bernina- Scalino - Corna Mara e l’inaspettata sorpresa della grande vedretta di Fedox. Sono nel luogo in cui qualsiasi fotografo di montagna vorrebbe trovarsi, ma la vetta è ancora lontana. Continuo verso N sulla lunga cresta, instabile successione di prominenze e depressioni. Il primo tratto è il più pericoloso. Mi appoggio al verLE MONTAGNE DIVERTENTI L M A L E N C O Sassa di Fora versante E. In rosso l’itinerario di salita estivo, in verde quello scialpinistico, da affrontare solo con neve ben assestata. Foto e tracciati Elia Negrini. Foto Alfredo Corti - archivio CAI sez. Valtellinese. sante occidentale. Ai miei piedi alcune decine di metri di ripidi sfasciumi, quindi un saltone e la vedretta di Fedox, cimitero di tutti i sassi scalzati dalle mie scarpe. Foto antiche testimoniano che una volta questa era una cresta nevosa, il ghiacciaio saliva fin quassù. Pure Elia si ricorda che negli anni ‘80 c’era sempre neve, ma ora gli scenari sono cambiati e, come spesso accade, il caldo ha reso le montagne più pericolose: ai morbidi pendii nevosi si sono sostituite delle rocce pericolanti. Aggirando sempre le difficoltà da sx, supero vari testoni con colori che vanno dal rosso al bianco. L’ultimo tratto della cresta S della Sassa di Fora è largo. In poco tempo sono all’omone di vetta (m 3363, ore 1). Do un occhio in giro. In Svizzera diluvia e le nubi si stanno avvicinando velocemente. Se si bagnassero le rocce mi troverei nei guai, così alzo i tacchi e torno rapido verso la quota 3300. Puntuale la pioggia mi colpisce nel pezzo più brutto. All’improvviso inizia a soffiare un vento gelido. L’acqua si ribella alle leggi della fisica e corre dal basso verso l’alto. Scivolo a ogni passo, ma un po’ camminando e un po’ a gattoni arrivo sulla spalla E. Fuori pericolo. VALMALENCO - 57 ESCURSIONISMO Tirano - St. Moritz: IL TRENINO DEL BERNINA Luciano Bruseghini 5 L e Alpi, soprattutto quelle Svizzere, sono uno scenario di rara bellezza: dai prati fioriti del fondovalle, agli animali al pascolo negli alpeggi curatissimi, ai laghetti glaciali, fino alle cime maestose ricoperte da eterni ghiacciai. Ma ci sono anche delle opere costruite dagli uomini che possono essere annoverate tra le bellezze delle Alpi. Una di queste è sicuramente il “Trenino Rosso del Bernina” che collega Tirano a St Moritz passando per la Val Poschiavina e superando i m 2250 del Passo del Bernina, con qualsiasi condizione meteo. La costruzione iniziò nel 1906 e terminò nel 1910, ma la ferrovia venne subito aperta appena alcune tratte furono completate. Il suo unico binario è a scartamento ridotto, ossia la distanza tra le rotaie è di circa un metro, per meglio superare le asperità del terreno, anche grazie a curve di raggio molto ridotto e a pendenze fino al 7% senza l’uso di cremagliera. Uno dei passaggi più spettacolari è la curva elicoidale, nei pressi di Brusio, che permette al treno di superare diversi metri di dislivello compiendo un giro completo su se stesso. Nel 1942 il Treno del Bernina entrò a far parte della Ferrovia Retica, ferrovia a carattere cantonale che gestisce praticamente tutto il traffico ferroviario dei Grigioni, interamente a scartamento ridotto. Ciò permise di risolvere i vari problemi economici che gravavano sulla tratta, poco frequentata durante il secondo conflitto mondiale. Il viaggio inizia alla stazione di Tirano (m 430), dove, dopo aver sbrigato le formalità doganali (non scordatevi la carta d’identità!), si attraversa una parte dell’abitato di Tirano passando a fianco del Santuario della Madonna. Il trenino segue da vicino la strada carrozzabile e il torrente Poschiavino. Dopo aver salito la rampa elicoidale raggiungiamo il piccolo centro di Miralago e costeggiamo la riva sx del lago. Tra le case di Le Prese il trenino invade in parte la strada statale e inizia a inerpicarsi lungo i fianchi della valle di Poschiavo, seguendo un percorso ripido fatto di curve e tornanti. Giungiamo così al tranquillo piano dell’Alpe Cavaglia (m 1693) dove ammiriamo un folto bosco di larici, abeti e pini cembri. Procediamo ancora verso N e, con alcuni ripidi tornanti, risaliamo l’ardua Val di Pila. Raggiungiamo così i m 2091 dell’Alpe Grùm. Verso O si apre lo spettacolo del ghiacciaio del Palù e del Lag da Palù, che raccoglie le acque provenienti dal ghiacciaio stesso. Successivamente incontriamo il lago Bianco, percorriamo la riva dx e siamo in breve alla stazione del Passo del Bernina che, con i suoi m 2256 , rappresenta il punto più alto del percorso. Superiamo il piccolo Ley Nair e il Ley Pitschen e iniziamo la discesa lungo la valle del Bernina. Passiamo accanto alle stazioni sciistiche del Diavolezza e del Lagalp e arriviamo infine alla stazione di Morteratsch, da dove si ha una panoramica impareggiabile sul gruppo di monti che si estende dal Piz Bernina al Piz Palù. Lasciamo sulla dx della valle il centro turistico di Pontresina e dopo alcuni chilometri raggiungiamo la cittadina di St. Moritz (m 1775), punto finale della nostra escursione. I 30 treni che percorrono la tratta ogni giorno non si fermano nemmeno d’inverno. La linea viene costantemente tenuta pulita con degli appositi spazzaneve rotativi, grazie agli operai costretti spesso al lavoro notturno per non intralciare il traffico diurno. Nei mesi estivi alcuni treni circolano con una o più carrozze panoramiche scoperte che nelle giornate di bel tempo permettono di meglio ammirare le bellezze delle Alpi Retiche e di gustare l’aria frizzante dell’alta quota. Un importante progetto ha preso vita nel 2004, in Svizzera, quando si pensò di avviare la Candidatura della “Ferrovia Retica del Bernina” a Patrimonio UNESCO per l’Umanità, qualche anno dopo allargata a Candidatura della “Ferrovia Retica nel paesaggio culturale Albula/Bernina”. Il motivo è l’indubbia qualità di linea ferroviaria unica al mondo: si tratta della trasversale alpina più alta di tutta Europa e di una delle ferrovie ad aderenza naturale più ripide al mondo. Dopo nazionale, il maggio 2007 si è inaugurata la nuova stazione di Tirano della Ferrovia Retica con le nuovissime carrozze panoramiche e la nuova motrice UNESCO, messa sul binario per l’occasione. L’appartenenza ai beni dell’UNESCO sarebbe un importante volano per il turismo in tutto il Canton Grigioni. Infatti a livello mondiale solamente due ferrovie possono fregiarsi di tale titolo: la Semmeringbahn in Austria e la ferrovia indiana Darjeeling-Himalaya. Inizialmente la candidatura riguardava solamente il versante svizzero, ma successivamente grazie all’opera sostenitrice di Provinea è stata estesa anche al tratto italiano, consentendo alla Città di Tirano ed alla Valtellina di non restare esclusi da un progetto che potrebbe cambiare il futuro della zona. Provinea è un’associazione costituita nel 2003 per volontà dei produttori associati al Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina, con lo scopo di tutelare il territorio, il paesaggio e l’ambiente viticolo terrazzato della provincia di Sondrio ed è già responsabile della candidatura dei terrazzamenti vitati valtellinesi per il “Patrimonio Mondiale” Unesco. Purtroppo il comitato di 21 esperti riunitosi all’inizio di luglio a Christchurch, in Nuova Zelanda, con lo scopo di scegliere 22 nuovi siti da aggiungere alla lista di quelli dichiarati “Patrimonio dell’umanità” nel ‘Word Heritage Fund’, non ha inserito il Trenino Rosso del Bernina né i terrazzamenti Valtellinesi, dando la precedenza ad altre richieste. Ma non c’è da preoccuparsi, la candidatura verrà riproposta. Il trenino del Bernina a Brusio. Foto Luciano Bruseghini. la presentazione ufficiale del dicembre 2006, che includeva anche Tirano, formando così un importante obiettivo inter- 58 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI VALMALENCO - 59 Laghi M a quanti sono i Laghi Seroti? C ’è chi dice 13, chi 17. In effetti se si contassero tutti gli specchi d’acqua della Val Bighera il numero sarebbe addirittura superiore. Non esiste nessun anello convenzionale che li unisce tutti, ma sta all’intuito dell’escursionista trovare -mappa alla mano- un circuito conveniente. 1 P er visitarli si può partire a piedi da Sondalo o Grosio, ma la soluzione più breve è raggiungere in macchina il passo del Mortirolo, quindi abbassarsi leggermente a E verso l’Albergo Alto. Dove la strada si biforca, prendere a sx e, quando l’asfaltata supera il torrente Varadegna nel mezzo della valle omonima, lasciare l’automobile. T 2 ornando indietro di qualche metro si intercetta la pista militare (segnaletica n 73) che sull’orografica dx sale verso il passo di Varadegna (foto 2). A circa m 2100, in corrispondenza d’una fascia petrosa, si prende il sentiero sulla dx (n 73) e si punta alla selletta fra il Monte Varadegna a sx e la quota 2854 a dx (foto 1). G razie a tracce su macereti e chiazze d’erba, sempre in cresta, si guadagna la quota 2854 (ore 2). Per facili roccette si supera qualche spuntone (E poi S) e si raggiunge l’ometto di pietra sulla quota 2902 (ore 0:40), punto panoramico dove culminano 3 dorsali: il crestone che divide Val Bighera e Valle di Varadegna, la spalla occidentale del Monte Serottini e la dorsale da cui siamo venuti. Seroti O R T I R O L O Beno I l Monte Serottini (m 2967, ore 0:45), evidente in alto a E (anche grazie agli osceni ripetitori installati sulla sua cima), può essere raggiunto per la cresta O con facili passi d’arrampicata (foto 4, alpinistica f+: II+) e disceso per la cresta E e il versante SE (EE, ore 0:30), oppure evitato, portandosi direttamente per pietraie al grande Lago Storto (foto 3 e sullo sfondo, m 2700, ore 0:25). D ate ora sfogo alla vostra fantasia e inventatevi un percorso! 4 S i può considerare la pista segnalata che parte a SE del Lago Storto e va a levante verso il Lago Rotondo (foto 5) e quindi alcuni altri fratelli, oppure abbassarsi subito a S dove si trovano 2 begli specchi d’acqua, per poi risalire successivamente. Fatto sta, anche i lagofili più esigenti, troveranno pane per i loro occhi. A lcuni dei Seroti sono incassati fra le rocce, hanno acque fredde e aspetto severo, altri hanno le sponde erbose, o addirittura di muschio, alcuni hanno una traccia che vi arriva, altri sono completamente selvaggi e isolati. 5 C onclusa l’esplorazione bisogna riprendere il sentiero n 73 al Lago Serofi (m 2226, foto 6), il più a valle dell’intera costellazione. Lo si raggiunge o con un ampio giro in senso orario sui lati esterni della Val Bighera o lungo il sentiero sulla dx orografica (73). Ci si lascia infine trasportare dal 73A fino alla carrozzabile e, seguitando a O, senza grossi dislivelli si è di nuovo alla macchina (ore 2 dal Lago Serofi). 3 60 - LE MONTAGNE DIVERTENTI M 6 Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI LAGHI SEROTI - 61 Le Tre Signorie ESCURSIONISMO L’ Alta Via dei Formaggi commercio ai piedi del Pizzo dei Tre Signori che collegava la Valtellina alla Valle Brembana. Con questo percorso avremo modo di conoscere le vallate dove nascono il Bitto e il Furmai de Mut, i famosi formaggi che profumano le Prealpi Orobie. E, con una breve variante, toccheremo la vetta del Pizzo dei Tre Signori 62 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL GEROLA - 63 6 luglio 2006, vacche sui pascoli di Bomino. Foto Moiola. Un itinerario, un’antica via del Gli alpeggi di ‘Val del Bitt’ patrimonio dell’umanità Calècc’’ e mascherpere sono Dott. Michele Corti L a provincia di Sondrio e la Lombardia possiedono nelle Valli del Bitto e limitrofe un patrimonio unico di plurisecolare civiltà pastorale e casearia, (vivente, non fossile), ma sembra che pochi se ne accorgano. Valorizzando questo patrimonio si otterrebbero enormi benefici di immagine, a vantaggio di tutta la provincia, della sua economia agroalimentare e turistica e si supererebbero delle questioni che si trascinano da troppo tempo intorno al formaggio Bitto (ci riferiamo all’annosa querelle tra il Consorzio di Tutela – CTBC - e l’Associazione Produttori Valli del Bitto riguardo alla mai definita questione della differenziazione del Bitto prodotto nell’area storica, nonché all’uso dei mangimi e all’aggiunta di fermenti industriali al latte). Un Parco rurale/pastorale degli alpeggi di Val del Bitto con lo scopo di conservare – in modo dinamico si intende – le testimonianze culturali costituite dall’insieme del paesaggio degli alpeggi (con i bàrek, i calècc’, la capra orobica, le secolari casere a due livelli con la mascherpéra – locale per la stagionatura delle ricotte grasse ovvero maschèrpe - sottotetto) rappresenterebbe un fattore di attrazione formidabile perché fondato su realtà autentiche, che si sono conservate non per particolari interventi dall’esterno, ma per la forza e il radicamento non comuni di una cultura. Nell’ambito di questo Parco, il riconoscimento della produzione ottenuta sulla base di una fondamentale continuità e coerenza con la tradizione diventerebbe un fatto ‘naturale’, non qualcosa tale da dare fastidio a chicchessia. Cosa, dunque, ha creato il formaggio Bitto e la cultura pastorale di cui è l’espressione? Circostanze geografiche, storiche, politiche, che hanno fatto il loro corso sin dal medioevo o perlomeno sin dalla fine di esso. La natura (esposizione, orografia) delle valli orobiche occidentali e 1930. Pastore agli alpeggi di Trona. Foto archivio Nino Gianola. 64 - LE MONTAGNE DIVERTENTI beni culturali più preziosi di tante opere d’arte Calècc’ in Val Tronella. La casera di Pescegallo.. dell’alta val Brembana favorisce la pastorizia e la selvicoltura. Si tratta di un territorio poco favorevole all’insediamento umano permanente e alle attività agricole, ma favorevolissimo allo sfruttamento degli alpeggi, data l’abbondanza di pascoli alpini di grande estensione e qualità. A ciò si aggiunge un fattore determinante per lo sviluppo di una produzione casearia di eccellenza destinata alle mense dei ricchi: la possibilità di raggiungere in modo abbastanza agevole, attraverso il Lago di Como (vera ‘autostrada del passato’), il cuore della Lombardia occidentale, in particolare l’area comasca e milanese che era sede dei grandi enti ecclesiastici proprietari, tra tante altre risorse fondiarie, anche di alpeggi. In tempi più recenti la ripartizione del territorio tra i ‘tre signori’, cioè Stato di Milano, Grigioni e Serenissima, fece della via Priula un asse internazionale di transito commerciale, favorendo il trasporto del Bitto da Morbegno ai depositi di Como, da Branzi a quelli di Bergamo … e poi verso Milano, Venezia, Roma. Gli alpeggi orobici occidentali erano caricati con un grande copia di bestiame che, in inverno, doveva scendere fino nel milanese, nel cremasco, nel bresciano e che, in Valtellina, si distribuiva, oltre che nei vari centri dei Cèch, sin nel terziere di mezzo. Dunque un’economia che non si chiudeva in un ambito locale, ma che coinvolgeva una rete di scambi e rapporti di dimensioni interregionali. A questi si deve aggiungere il fattore umano: una vocazione pastorale, allevatoriale, casearia che ha radici antichissime. Il sistema di gestione dei pascoli e di lavorazione del latte della Val del Bitt rappresenta un vertice di perfezione che si è potuto raggiungere solo per la straordinaria coincidenza di tutti questi fattori culturali. Il Bitto, da secoli formaggio di eccellenza, formaggio da esportazione, doveva infatti essere perfettamente stagionato per affrontare lenti e lunghi viaggi. Oggi è possibile produrre un buon formaggio quasi ovunque, ma in passato le cose erano molto differenti. Le conoscenze e i segreti dei casari professionali (perché tali erano già nel medioevo) erano difficilmente ‘carpibili’ al di fuori di un ambiente ben preciso. Il contadino o la contadina facevano sì formaggio, ma ‘alla buona’ anche perché – molto spesso – era il burro che interessava maggiormente loro, in quanto prodotto da vendere per raciAutunno 2007 molare qualche soldino. A Bormio o altrove si faceva sì anche formaggio grasso, ma non sistematicamente. Nella Valle del Bitto, in Val Tartano, negli alpeggi dell’alta val Brembana si faceva solo formaggio grasso, con una professionalità, una continuità, una specializzazione altrove irraggiungibili. Su questo lasciamo parlare un testimonio autorevole e non sospetto di campanilismo: il grosino Francesco Visconti Venosta che, nelle sue Notizie statistiche intorno alla Valtellina, anno 1844, osserva come in diverse zone della provincia si confezionasse un ‘pessimo formaggio’. Si trattava di quelle zone a vocazione agricola dove il bestiame bovino era allevato per il lavoro e dove la produzione casearia era limitata all’autoconsumo. Erano formaggi che servivano solo per nutrimento, non dovevano essere conservati a lungo, non dovevano ‘presentarsi bene’; se c’erano difetti … si mangiavano ugualmente. «Bormio e Chiavenna invece, che alpeggiano le loro vacche nell’estate, danno buon buttiro, e buoni cacci, ma forse non tanto quanto l'ottima pastura ripromette, assai migliori riescono nella valle del Bitto sopra Morbegno, credo per il migliore metodo dì prepararli». Oltre alla professionalità dei casari ci sono altri elementi che vanno a definire quella che, a buona ragione, si può identificare come la ‘civiltà del Bitto’: le malghe (mandrie e greggi) di vacche e capre, la gestione del pascolamento, i già citati manufatti. Sin dal medioevo i formaggi realizzati nelle Valli del Bitto e limitrofe erano destinati al trasporto verso mercati lontani; erano prodotti di lusso. Dovevano essere perfetti ed in grado di sopportare il trasporto a dorso di mulo, sui carri, sui comballi che solcavano le acque del Lario. Solo una stagionatura idonea garantiva tutto questo. La caséra è il cuore dell’alpeggio, si tratta di solide costruzioni che richiedevano ingenti investimenti di capitale. E qui si nota la differenza. «La ‘casera’ per la prima stagionatura del formaggio, esistente quasi esclusivamente nelle alpi del settore occidentale, è più ampia e costruita con maggior cura perché vi si possa regolare l’areazione e la si possa chiudere ermeticamente. Può avere un secondo piano interno costituito da un assito orizzontale collegato con il terreno con scala a pioli: al pian terreno si conservano i formaggi, al primo le ricotte». Il geografo Cesare Saibene, autore di queste osservaLE MONTAGNE DIVERTENTI zioni sul versante orobico valtellinese (siamo alla fine degli anni ’50) osserva anche come la differenza tra i sistema di produzione del formaggio Bitto e dei formaggi magri e semigrassi si rispecchiasse in modo profondo nel paesaggio, nella toponomastica, nel lessico; tutti elementi culturali che si definiscono e si sedimentano nei secoli, non si inventano. Si pensi, a titolo d’esempio, alla differenza tra le valli orobie valtellinesi occidentali ed orientali dove l’edificio principale dell’alpeggio, e per estensione, il sito dove esso sorge, viene denominato in un caso caséra, nell’altro baita. D ire che Bitto è il figlio di un ben determinato territorio non è campanilismo, ma una basilare constatazione storico-culturale. Molto della ‘civiltà del Bitto’ è ancora vivo; di ciò va dato merito ai produttori delle Valli del Bitto e ai loro sostenitori che, in questi anni, hanno saputo realizzare iniziative molto importanti a partire dalla creazione del Presidio Slow Food e dalla realizzazione del Centro del Bitto (di prossima inaugurazione a Gerola Alta). Il Parco, cui abbiamo fatto riferimento, di contenuti economici e culturali ne avrebbe in abbondanza e potrebbe ambire ad essere riconosciuto dall’Unesco quale ‘patrimonio dell’umanita’. Ci sono da ripristinare (dove sono state barbaramente eliminate) le mascherpére, rimettere le piöde dove le casere e le baite hanno coperture di lamiera (non è solo un fatto estetico, ma funzionale!), sistemare le vecchie mulattiere, ma, soprattutto, si tratta di valorizzare le risorse umane e animare un’economia identitaria che si autosostenga attraverso la necessaria integrazione tra turismo, cultura, produzione zoocasearia. L’obiettivo: tornare ad utilizzare tutti gli alpeggi garantendo, anno dopo anno, che la carga del muunt avvenga con bestiame adatto e numericamente adeguato. A favore dell’economia, della cultura, della società locali, provinciali e regionali, ma anche di tanta gente che, per vedere e vivere tutto questo, è pronta a venire anche da molto lontano. VAL GEROLA - 65 ESCURSIONISMO Il sentiero delle Tre Signorie BASSA VALLE M. Dei Cas PARTENZA: Gerola Alta (m 1050). ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Morbegno si sale lungo la SP405 della Val Gerola fino a Gerola Alta (14 km). ITINERARIO SINTETICO: (giorno 1) Nasoncio - Passo Verrobbio (m 2026) - Il Forcellino (m 2050) - Rifugio Salmurano (m 1848) // (giorno 2) Rifugio Salmurano (m 1848) - Rifugio Benigni (m 2222) - Lago di Trona (m 1805) - Lago dell’Inferno (2085) - Pizzo dei Tre Signori (m 2554) - Rifugio Falc (m 2126) // (giorno 3) ritorno a Gerola Alta per la Bocchetta di Trona (m 2092) e la Valle della Pietra. TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 3 giorni (5 + 6 + 2:30 ore). ATTREZZATURA RICHIESTA: abbigliamento da trekking. DIFFICOLTÀ: 2 su 6. DISLIVELLO IN SALITA: 950 + 1100 m. DETTAGLI: EE, passeggiata priva di difficoltà e su sentieri segnalati. Qualche facile roccetta al Pizzo dei Tre Signori. 66 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL GEROLA - 67 ESCURSIONISMO CONSORZIO DEL BITTO 68 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 VAL GEROLA 11 luglio 2006, tramonto sulla testata della Val Tronella. A pag 66. Nasoncio il 26 ottobre 2006. L a valle del Bitto di Gerola ospita gli splendidi alpeggi dove nasce il formaggio più famoso della Valtellina: il Bitto. La Val Gerola, dopo la Val Lésina, è la seconda grande valle orobica che si incontra salendo da Colico. Nei secoli passati la Val Gerola è stata legata più al versante orobico bergamasco, alla Val Brembana, alla Valsassina ed alla Val Varrone, che alla bassa Valtellina. E ciò fin dai suoi primi insediamenti. Scrive Cirillo Ruffoni, nell’introduzione al volume su Gerola della raccolta dei toponimi Valtellinesi e Valchiavennaschi, “la tradizione orale vuole che i primi abitanti di Gerola siano venuti dagli opposti versanti della Val Brembana e della Valsassina, per l’estrazione e la lavorazione del ferro e per dedicarsi all’attività dell’allevamento. I legami con i paesi d’origine sarebbero stati saldi per parecchio tempo, tanto che i morti venivano portati là per la sepoltura”. Viva rimase per molto tempo anche la tradizione dei matrimoni che univano giovani dei due versanti orobici, e in particolare della Val Gerola e di Ornica. La storia politica poi si incaricò di dividere ciò che la storia delle genti aveva unito. Fra questi monti, dal secondo decennio del secolo XVI, correvano i confini di tre diversi domini: quello della Lega Grigia, in LE MONTAGNE DIVERTENTI terra di Valtellina, quello della Serenissima Repubblica di Venezia, sul versante della Val Brembana, quello della Spagna, signora del Ducato di Milano, in Valsassina e Val Varrone. I confini si incontravano sui 2554 metri della più alta delle cime della Val Gerola, che, per questo, prese il nome di Pizzo dei Tre Signori (ul piz di Tri Ségnùr, dove oggi si incontrano i confini delle province di Sondrio, Lecco e Bergamo). Nonostante la divisione politica, questo angolo delle Orobie rimase, almeno fino all’età napoleonica, profondamente unito per ragioni commerciali. Da qui passavano due importantissime e storiche vie di comunicazione e commercio fra Valtellina e milanese: l’antichissima via del Bitto, per la Val Gerola, e la via Priula, per la Valle di Albaredo - tracciata a partire dalla fine del Cinquecento. La via Priula, in particolare, prima dell’avvento del Passo del Brennero era stata la più importante via di comunicazione con il nord Europa, e aveva trasformato questo territorio in una specie di zona franca. Questi che oggi chiamiamo sentieri erano vere e proprie vie di comunicazione, e sono dunque un autentico patrimonio culturale e ambientale da riscoprire. Così come patrimonio non solo economico, ma anche storico e culturale è il prodotto simbolo di queste zone, il formaggio Bitto. Esso, già famoso nei secoli passati, veniva trasportato attraverso questi sentieri, per essere venduto nel più importante mercato di formaggi e bestiame delle Alpi, il mercato di Branzi, in Val Brembana. Il trasporto dagli alpeggi della Val Gerola passava dal Pizzo dei tre Signori, Ornica e San Giovanni Bianco, per concludersi a Branzi. Per le popolazioni locali la vendita del Bitto era il sostentamento economico più importante e garantiva una vita dignitosa per tutto l’anno, a differenza di altre zone della Valtellina costrette a un tenore di vita più precario e stentato. Il Sentiero delle Tre Signorie è al centro di un progetto di rilancio della valle voluto dall’ Associazione Produttori Valli del Bitto, che fa perno sul “Centro del Bitto” di imminente apertura a Gerola. Sono previsti diversi percorsi guidati su sentieri segnalati, che toccheranno gli alpeggi aderenti per consentire un incontro ravvicinato con la vita degli alpeggi e i processi di trasformazione del latte nelle due perle casearie del Bitto e del Furmai de Mut. Il Centro del Bitto a Gerola e l’Agriturismo Ferdy a Ornica fungeranno da punti di riferimento per partenze o arrivi. Lungo il percorso sarà possibile pernottare in rifugi convenzionati. Nei luoghi toccati, l’escursionista attento si troverà di fronte a molti segni di una civiltà millenaria, quali i leggendari calèc’, le baite di lavorazione itineranti, 70-80 delle quali sono ancora attive e operanti. La loro antichissima origine è legata alle leggende che attribuiscono l’invenzione del caglio alle pratiche magiche e religiose dei misteriosi Druidi (sacerdoti celti), grazie alle quali avvenne la trasformazione del latte in formaggio, il Bitto appunto, che deve il suo nome al termine celtico “Bitu”, “perenne” (è, infatti, l’unico formaggio al mondo che si conserva oltre i 10 anni). La valorizzazione del territorio montano legata alla riscoperta VAL GEROLA - 69 VAL GEROLA ESCURSIONISMO PRIMA GIORNATA: GEROLA - RIFUGIO SALMURANO R 27 agosto 2006, la Pozza Rossa in Val Tronella. delle sue arterie, cioè dei suoi sentieri storici, non è solo in funzione della promozione di un turismo intelligente, ma anche in funzione di un’efficace salvaguardia del territorio montano. Il sistema di pascolo in uso nelle Valli del Bitto è chiamato turnato o razionato, perché avviene in recinti mobili spostati via via dal calècc più basso fino a quello di cima, consentendo un perfetto riciclo della cotica erbosa. La vacca nel pascolo libero sceglierebbe le erbe migliori favorendo il proliferare degli infestanti; invece, dovendo stazionare nei recinti, le vacche consumano tutte le erbe a loro disposizione in egual maniera. Spostato il recinto, dunque, la vegetazione è libera di rigenerarsi. 70 - LE MONTAGNE DIVERTENTI E’ un sistema semplice, ma ingegnoso, dettato dall’esigenza di non sprecare erba preziosa, il modo migliore per preservare il delicato equilibrio che lega uomini, animali e ambiente alpino. Chi volesse scoprire questo mondo può in tre giorni percorrere integralmente il Sentiero delle Tre Signorie e visitare i luoghi più belli e suggestivi della civiltà del Bitto, da Gerola a Ornica. Il tracciato rinnova idealmente il legame fra le comunità dei due versanti orobici, riaffermando che le montagne, contrariamente a quanto si pensa, non dividono, ma uniscono. Noi proporremo una versione dell’itinerario leggermente diversa e che tocca i punti più panoramici della Val Gerola. aggiungiamo in macchina Gerola Alta (“giaröla”, da “gèra”, ghiaia, con allusione alle devastanti alluvioni del Bitto, m 1050), percorrendo la provinciale della Val Gerola da Morbegno. Il primo segmento dell’itinerario ci porta a risalire l’intera valle di Bomino, la più orientale delle quattro valli nelle quali l’alta Val Gerola si divide. Per farlo dobbiamo imboccare la strada asfaltata che, poco prima di Gerola, si stacca dalla strada statale in direzione S, raggiungendo, dopo Valle, la frazione di Nasoncio (Nasùnc, m 1080). Alcuni tornanti e la strada diventa sterrata e taglia per un lungo tratto il versante orientale dell’ampio dosso che scende dal monte Motta. Sempre sulla pista principale ci addentriamo nella valle fino alla prima baita dell’alpe Bomino Vago (m 1524, Bumìgn a vaga dove “vago” significa “ombroso”). Qui passiamo sulla dx idrografica, superiamo la baita inferiore del Solivo (m 1601, alpeggio privato denominato Bumìgn a sulìva) e, scavalcate due vallecole laterali, saliamo verso la depressione del passo di Verrobbio (m 2026, ore 3). Valico fra la Val Bomino e la Val Mora (Val Brembana), è chiamato sul versante bergamasco ul Pas de Véròbi mentre su quello della Val Bomino, la Buchéta de Bumìgn. Autunno 2007 27 gennaio 2007. Le cime della Val Tronella da Nasoncio. Nell’età moderna era il passaggio fra il territorio governato dalla Lega Grigia e quello della Repubblica di Venezia, che comprendeva Bergamo fra i suoi domini. Segni di una storia più recente sono le opere di fortificazione costruite durante la Prima Guerra Mondiale per volontà del generale Cadorna, quando si temeva che un eventuale sfondamento degli Austriaci sul fronte dello Stelvio (o dalla Valle di Poschiavo, con violazione della neutralità svizzera) avrebbe fatto assumere al crinale orobico un’importanza strategica per impedire che l’esercito austroungarico dilagasse nel milanese. Perlustrando l’ampia sella del passo si trovano i resti dei camminamenti, degli edifici fortificati e anche di una vera e propria grotta scavata nella roccia (lato E del passo), con feritoie per scrutare la valle di Bomino. Poi un grazioso laghetto ci suggerisce pensieri più ameni e pacifici. Al passo, sulla nostra sx (E), intercettiamo il sentiero che proviene dal passo San Marco e dall’omonimo rifugio e prosegue (O) per il passo del Forcellino: si tratta di un segmento della Gran Via delle Orobie denominata Sentiero Andrea Paniga nella sua sezione occidentale. Lo imbocchiamo e perdiamo quota per un centinaio di metri, per poi riguadagnarla e, superato un tratto assistito da corde fisse, raggiungiamo il passo del Forcellino (m 2050, “ul furscelìLE MONTAGNE DIVERTENTI gn”, ore 0:30), stretta porta scavata nel crinale roccioso che separa la valle di Bomino da quella di Pescegallo. Per cenge e balze scendiamo alla conca di Pescegallo. Il toponimo “pecegallo”, con le varianti “pezegallo” e “pexegallo”, è già citato nel secolo XIV; esso, come la voce dialettale “péscégàl”, designa la parte alta della Valle di Fenile (denominata anche Valle di Pescegallo) e non ha niente a che fare né con i pesci, né con i galli, in quanto deriva da “pesc”, abete, e “gal”, il gallo cedrone, simbolo del Parco delle Orobie Valtellinesi. Il sentiero porta allo sbarramento artificiale dell’Enel, che ha ampliato un preesistente laghetto. La conca è do- minata da una testata che, pur non proponendo vette elevate, si caratterizza per le forme gotiche e bizzarre. Da sx troviamo il pizzo della Nebbia (m 2243, denominato così perchè questa zona, come l’intero comprensorio delle montagne del Bitto, è frequentata volentieri da dense foschie che salgono dalla bergamasca), delle tre cime di Ponteranica (piz de li férèri, orientale, m 2378, meridionale, m 2372 ed occidentale, m 2370) e dell’inconfondibile dente del monte Valletto (ul pizzàl o ul valét, m 2371). Superata la diga (m 1865) per lo sbarramento, proseguiamo la discesa tagliando un bel prato e imboccando la pista sterrata che scende a Pescegallo (m 1454). Lasciamo la pista per un sentiero segnalato (sx) che attraversa un bellissimo bosco di radi larici (SO) e termina nei pressi del rifugio Salmurano (m 1848). Siamo sul limite dell’alpeggio comunale péscégàl li fopi (italianizzato in “Foppe di Pescegallo”). Il rifugio, collocato al termine della seggiovia che parte dal villaggio Pescegallo, è il punto di arrivo della prima giornata di questa traversata delle Tre Signorie (circa 6 ore complessive con 950 m di dislivello in salita). 26 ottobre 2006. Gli ultimi raggi di sole in Val Bomina. VAL GEROLA - 71 ESCURSIONISMO SECONDA GIORNATA: RIFUGIO SALMURANO - RIFUGIO L FALC a seconda giornata della traversata inizia con il passaggio dalla signoria delle Tre Leghe, entro i cui confini si è snodata l’intera prima giornata, a quella di Venezia. Dobbiamo risalire l’alpe per raggiungere il passo di Salmurano (buchéta de salmüràa, denominato anche, dai bergamaschi, pàs de selmürà, m 2017, ore 0:30), il cui incavo è già ben visibile sulla parte occidentale (dx) dell’ampia conca. Giunti al passo ci ritroveremo di fronte alla graziosa statua della Madonnina. Si apre ora di fronte ai nostri occhi, invece, la solitaria conca terminale dell’alta valle Salmurano, che, insieme alla valle dell’Inferno, confluisce nella valle di Ornica (Val Brembana, provincia di Bergamo). Lasciata la signoria delle Tre Leghe ci incamminiamo sul sentiero della Serenissima. Procediamo a dx (O), seguendo il sentiero che, perdendo leggermente quota, punta al piede di un grande intaglio nella parete rocciosa percorso da un ruscello e piuttosto ripido: il canalino del Forno. La sua risalita, che dal passo di Salmurano sembra decisamente inaccessibile, in realtà non è complicata. Giunti alla sommità del canalino, ci ritroviamo in un piccolo pianoro, quindi affrontiamo un ulteriore strappo, prima di guadagnare il secondo e ben più ampio pianoro roccioso del rifugio Benigni (m 2282) e del lago dei Piazzotti. Più a monte dell’omonimo lago glaciale, ce ne sono altri due, più piccoli. Proseguiamo a SO fino alla croce della Cima Occidentale di Piazzotti (m 2349, ore 1). Ora presentiamo due possibili varianti per effettuare la seconda parte della traversata, che si conclude al rifugio FALC. La prima, o variante bassa, passa per la stupenda Val Tronella, altro luogo forte della civiltà del Bitto; la seconda, o variante alta, passa per la selvaggia e lunare valle di 72 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Trona. In entrambi i casi, ci si ritrova alla diga di Trona, per salire, infine, al rifugio Falc. Variante bassa A poca distanza dal rifugio (N) si trova l’imbocco del canalino che immette in val Tronella. Un percorso segnalato lo percorre e discende l’intera valle, fino ad intercettare il sentiero Pescegallo - diga di Trona. Bellissima la cornice delle cime dolomitiche che ci circondano: a sx possiamo ammirare il Torrione della Mezzaluna, m 2333, il pizzo della Mezzaluna, m 2373 (li mezzalüni), il Torrione di Tronella, m 2311, ed il pizzo del Mezzodì, m 2116 (i “turiùn de pìich”); a dx si propone, invece, la formazione della Rocca di Pescegallo o dei Denti della Vecchia, m 2125 (filùn de la ròca o dénc de la végia). La testata della Val Gerola fa parte dell’anticrinale orobica, con un nucleo di duro gneiss rivestito di più friabili rocce sedimentarie, facilmente modellabili da vento ed acqua, che ne hanno cavato torrioni, guglie e pizzi, un frammento di Dolomiti perso in una landa troppo occidentale. Il sentiero scende, quindi, all’alpeggio privato di Tronella (trunèla). A quota 1808 troviamo la sorgente di Tronella, le cui acque sono raccolte in un piccolo invaso. Continuiamo a scendere per larici e radure fino ad intercettare, a 1600 metri circa di quota, il sentiero Pescegallo-Trona. Qui prendiamo a sx, raggiungendo il guado del torrente che scende dalla Val Tronella (ul bit de trunéla) e portandoci ad una bella conca di prati, dalla quale il sentiero prosegue attaccando deciso il fianco orientale del versante che separa la Val Tronella dalla Valle di Trona. Dopo un tratto di salita severa, il sentiero piega a dx e ci porta sul filo del dosso, occupato da una bella spianata prativa, da un’ amena pozza e dalla baita a m 1857. Aggirando il dosso ed addentrandoci sul fianco orientale della Valle di Trona, arriviamo allo sbarramento che contiene il lago di Trona (m 1805, ore 1:30). Variante alta Nei pressi del punto al quale giunge il sentiero che abbiamo percorso per salire al rifugio Benigni, ne parte un secondo verso SO (indicazioni per il rifugio Grassi). Dopo aver tagliato il roccioso versante SE della cima dei Piazzotti, il sentiero porta al solitario vallone che confluisce, da occidente, nell’alta valle di Salmurano. Incontriamo, sulla nostra strada, una nuova pozza, prima di accedere al breve corridoio che precede la bocchetta di Val Pianella (buchéta VAL GEROLA de la val pianèla, m 2224). Lasciamo definitivamente il sentiero 101 e torniamo in Valtellina discendendo in valle di Trona. Ci affacciamo così nella selvaggia Val Pianella, i cui fianchi sono chiusi a dx dal Torrione della Mezzaluna e dal Torrione di Tronella (m 2311) e a sx dall’inconfondibile profilo conico del Pizzo di Trona (piz di vèspui, m 2510). Scendiamo tenendo la dx della valle, fino a fiancheggiare gli splendidi laghi Zancone (lach sancùn) e di Trona (lach de truna), il primo naturale ed il secondo formato da uno sbarramento idroelettrico su un precedente lago naturale (ore 2). Le varianti bassa ed alta si incontrano al lago di Trona. Oltre lo sbarramento della diga riprendiamo a salire, superando alcune roccette e raggiungendo una larga fascia di detriti e sfasciumi scesi dal fianco occidentale del Pizzo Tronella. Qui dobbiamo fare attenzione alla deviazione a sx (segnata come Via direttissima al Pizzo dei Tre Signori, o anche, con abbreviazione, P.3S), che ci permette di raggiungere, con uno strappetto severo, lo sbarramento del lago dell’Inferno (lach l’infèren, m 2085), che attraversiamo su un comodo camminamento. Poi guadagniamo la sella che si affaccia sulla conca del rifugio FALC (Ferant Alpes Laetitiam Cordibus, cioè Arrechino le Alpi gioia ai cuori, ore 1:30). Il rifugio è nel territorio della terza signoria, che in età moderna era rappresentata dalla dominazione spagnola e che dal milanese raggiungeva il limite superiore del lago di Como. Il rifugio, a m 2120, è stato aperto il 18 settembre 1949 per iniziativa dell’omonima Società Alpinistica milanese, ed è punto di appoggio per il secondo pernottamento: lo abbiamo raggiunto dopo aver superato, in circa 6 ore, oltre 1100 metri di dislivello. Se, però, abbiamo sufficienti energie possiamo investire un’ora e mezzo di cammino per effettuare una puntata al Pizzo dei Tre Signori, la cima regina dell’intero comprensorio del Bitto, celebre per la bellezza del panorama che da essa si gode. In caso contrario, possiamo rimandare l’ascensione alla terza ed ultima giornata. Ma vediamo come salire. Seguiamo le abbondanti segnalazioni, che ci portano alla bocchetta di Piazzocco (m 2224) ed al fianco roccioso SO del pizzo. Qui dobbiamo compiere qualche elementare passo di arrampicata, fino ad un pianoro erboso dal quale la grande croce della vetta appare ormai vicina. Osservati probabilmente dallo sguardo stupito di qualche stambecco, affrontiamo l’ultimo sforzo, risalendo un pendio che ci conduce alle ultime roccette, e ai m 2554 della vetta, dove, accanto alla grande croce, troviamo anche un piccolo altare. Se la giornata è limpida e se abbiamo uno sguardo d’aquila, scorgeremo il luccichìo della Madonnina del Duomo di Milano. Probabilmente troveremo anche compagnia, perché questa è una vetta molto frequentata da escursionisti, che salgono soprattutto dal versante bergamasco o lecchese. Per tornare a Gerola il terzo giorno ci aiuterà Matteo Tarabini: “Lasciato alle spalle il rifugio FALC si prosegue in direzione N fino a raggiungere la bocchetta di Trona (m 2122, ore 0:15), uno dei tanti valichi alpini che mette in comunicazione la Valgerola con la Valvarrone. Proseguiamo sul sentiero che discende il versante NE (n. 147) e che costeggia per tutta la sua lunghezza la “Valle della Pietra”. Il sentiero è di facile percorrenza e ci permette di raggiungere il centro abitato di Gerola Alta (m 1053, ore 2)”. 2 dicembre 2006. La testata della Pizzo di Trona vista dalla Cima Occidentale dei Piazzotti. A Nord del Pizzo di Trona si ergono due strani pinnacoli, i dentini di Trona. Un tempo erano tre, ma quello più a N è completamente crollato. Le sue rovine emergevano dalle cupe acque del Lago dell’Inferno. In seguito il lago fu sbarrato con una diga che ne alzò il livello delle acque e nascose per sempre le tracce di questa frana. Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI VAL GEROLA - 73 NATUR A Funghi Passione mortale Non vi è un fungo tanto prelibato da valere una vita. Eppure ogni anno... 74 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 A sinistra un ovolo buono, Amanita caesarea, il fungo più prelibato a detta degli esperti, a destra due esemplari di Amanita phalloides var. alba, fungo mortale. Ma l’ingerire un fungo velenoso non è il principale pericolo in cui s’imbattono gli appassionati di funghi... LE MONTAGNE DIVERTENTI FUNGHI: PASSIONE MORTALE - 75 prevenire è meglio che curare Funghi e 118... N Maurizio Torri grip. In molti, poi, perdono completamente l’orientamento e la cognizione del tempo: dicono di andare in un posto e invece stanno procedendo verso tutt’altra direzione. Il tutto senza rendersi conto che sono passate diverse ore. Perso il sentiero, l’essere in una zona sconosciuta, può portare a scelte improprie e rischiose: chi sceglie di scendere tentando la sorte rischia davvero grosso». on vi è un fungo tanto prelibato da valere una vita. Eppure ogni anno in molti la mettono a repentaglio, e a volte la perdono, avventurandosi in zone a dir poco impervie. Tra i cosiddetti “fungiatt” vi è infatti la convinzione che tanto più un posto è difficile da raggiungere, tanto meno a qualcun altro sarà venuto in mente di passarvi. E allora via, a discapito di qualsiasi norma di buon senso e sicurezza. Il numero di morti per aver ingerito funghi velenosi è, al contrario di quanto si crede, di gran lunga superiore ai morti per averne cercato di buoni. P er quanto vi riguarda, qual è la procedura d’intervento? Q uando accade l’irreparabile, o anche per un semplice infortunio, i primi ad accorrere sono gli uomini del 118. All’aviosuperfice di Caiolo abbiamo incontrato il direttore del servizio soccorso sanitario urgenza/ emergenza Dott. Paolo Della Torre: quale migliore interlocutore per parlare a 360° di questa problematica? Q ual’è lo staff che compone un’ équipe di pronto intervento? «Quando arriva una chiamata d’emergenza, si valuta con quale mezzo intervenire – ha esordito -. Il nostro è un servizio dell’azienda ospedaliera Valtellina - Valchiavenna a valenza provinciale, che ha sede logistica a Sondrio con risorse equamente distribuite su tutto il territorio. Per quanto riguarda l’elisoccorso, una squadra è solitamente composta dal personale di volo, e da una triade che poi scende a terra: medico anestesista rianimatore, infermiere e tecnico del soccorso alpino». 76 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Il Dott. Della Torre e l’equipe del 118. P arliamo “fungiatt”: quante chiamate ricevete in un anno per infortuni correlati alla ricerca dei funghi? «Vi sono tanto di statistiche, ma anche senza numeri alla mano posso dire che vi sono anni più o meno tranquilli. Nel 2002, dopo una buttata di funghi considerevole, si è arrivati ad avere 10 persone decedute in soli 15 giorni. Ovviamente si fanno molti meno interventi quando di funghi non ce ne sono». Q ual è il caso tipo che vi viene proposto? «Di solito veniamo allertati dai compagni di raccolta che hanno smarrito l’amico, o dai familiari preoccupati dal mancato rientro. Capita, però, che sia lo stesso “fungiatt” a contattarci. Il problema di fondo, che molti sottovalutano, è che il bosco è indubbiamente il territorio montano più insidioso: rispetto all’alta quota è maggiormente fruibile, ma miete anche molte più vittime. Anche se molto bello perché accogliente e ombreggiato, presenta spesso e volentieri salti di roccia; il terreno è per definizione instabile, umido e scivoloso. Anche la vegetazione, non sempre solida e assestata, trae in inganno». andiamo a raccogliere non sono minimamente attrezzate sia a livello di calzature che di abbigliamento: è un classico trovare quello che si avventura con gli stivali, pur sapendo che hanno un pessimo D ate tali premesse quali sono i suoi consigli per i “fungiatt” e cosa bisogna fare in caso di difficoltà e infortunio? O ltre alle insidie del terreno, vi sono altre concause? «Per esperienza posso dire che la maggior parte delle persone che Autunno 2007 «Il più delle volte non è semplice. Il mezzo sicuramente più veloce è l’elicottero, ma dall’alto non si riesce a vedere attraverso la vegetazione. Giunti sul posto gli operatori si calano grazie all’ausilio di verricelli, ma sono calate lunghe e non facili. In questi casi il primo a scendere è il tecnico del soccorso. A lui il compito di valutare la situazione e dare l’ok agli altri uomini dello staff. Già nel bosco si possono fare delle attività di emergenza sanitaria avanzata perché siamo dotati di apposite attrezzature. Dopo un primo intervento sul posto, sempre tramite verricello, il paziente viene recuperato. Molto più complicato è invece la ricerca di persone scomparse. In questi casi si elaborano vere e proprie strategie di ricerca dividendo il territorio in appositi settori anche con uomini da terra e cani». LE MONTAGNE DIVERTENTI «Innanzitutto bisogna partire con l’attrezzatura corretta: scarpe da montagna, zainetto e abbigliamento a strati. La ricerca dei funghi non andrebbe mai fatta in solitaria. Bisogna andare almeno in due e tenersi in contatto visivo. La zona di ricerca deve essere individuata, segnalata e mai variata. Cosa importantissima, bisogna perdere il vizio di frequentare zone “infami” solo perché gli altri non le frequentano. Certe “furbate” si possono pagare con la vita. Se dovesse succedere qualcosa, in caso di non copertura telefonica, non sarebbe una brutta idea avere con se dei fumogeni che aiuterebbero notevolmente i soccorritori nel rintracciare la zona d’intervento». I n Italia l’intervento di soccorso è gratuito. Renderlo a pagamento in determinati casi, potrebbe a suo avviso scoraggiare comportamenti azzardati? «Nel nostro Paese questo servizio rientra tra le prestazioni del servizio sanitario nazionale. In altri stati è invece pagato dalla copertura assicurativa. Per tale motivo da noi alcuni ne abusano, ma il problema è un altro. Pensando di dovere pagare, una persona in difficoltà, ma non in pericolo, potrebbe non telefonare, rischiare e poi farsi male davvero. Sotto questo aspetto l’assessorato alla sanità lombardo è molto prudente: personalmente preferisco fare un servizio in più, magari non necessario, ma togliere le persone da una situazione di potenziale pericolo. In tali situazioni, intervenire vuol dire anche prevenire». U na volta istruiti su come effettuare la ricerca di boleti in tutta sicurezza, dobbiamo imparare a riconoscerli ed evitare le specie velenose. In ciò ci aiuteranno gli amici dell’Associazione Micologica Retica di Sondrio, presente dal 1991 con attività divulgativa e di studio rivolta agli appassionati esperti come ai semplici raccoglitori. FUNGHI: PASSIONE MORTALE - 77 Come riconoscerlo Boletus edulis È una delle quattro specie rag- gruppate sotto il nome volgare di porcino insieme a Boletus aestivalis, Boletus pinophilus e Boletus aereus, ma anche il fungo più conosciuto ed apprezzato in tutti i continenti fin dai tempi antichi. Scovarlo a spasso per i boschi è sempre una sorpresa! Gli antichi romani lo conoscevano con il nome di Suillus (ecco perché si chiama porcino), mentre con il nome boletus era designata l’Amanita caesarea. Il termine “porcino” è attestato in italiano dalla fine del XIII secolo, “boleto” compare due secoli più tardi come traduzione dal latino boletus, a sua volta derivato dal greco bolétes, che significa “a forma di zolla” in quanto i giovani porcini spesso appaiono come rigonfiamenti del terreno. Quando le condizioni climatiche di temperatura ed umidità sono ottimali, B. edulis può crescere copiosamente e stupire tutti per l’abbondanza di esemplari che si possono raccogliere, nonostante il numero sicuramente elevato di cercatori più o meno incalliti, spesso anche poco rispettosi delle norme legislative che permettono una raccolta non superiore a 3 kg. È un fungo micorrizico (= simbionte), che vive cioè in associazione con un altro organismo vegetale in un rapporto vantaggioso per en- trambi, scambiandosi acqua, sostanze nutritive e sali minerali. Cresce in simbiosi con numerose essenze arboree e, in particolare, in Valtellina lo si ritrova nei boschi, sia puri sia misti, di abete, pino, castagno e faggio. Preferisce un clima relativamente fresco e può ritrovarsi anche fino ai primi geli autunnali. Il cappello è carnoso ed emisferico, la cuticola, grassa e untuosa, con il tempo umido è scivolosa come il sapone, ed il suo colore varia da bruno castano a bruno scuro, sempre più carico al centro e via via più chiaro verso il margine, che è bianco e leggermente eccedente. L’imenio è costituito da tubuli e pori e si presenta prima bianco latte poi giallastro ed infine olivastro; non cambia colore al tocco o alla pressione. Il gambo è generalmente obeso e con un reticolo a fini maglie dello stesso colore del fondo. Nel fungo giovane la carne è soda e compatta e l’odore e il sapore sono gradevoli. Scambiato spesso per un boleto è il Tylopilus felleus, o porcino del fiele, talvolta molto simile come aspetto ma che negli esemplari adulti possiede tubuli e pori colorati di rosa. Inoltre il reticolo sul gambo è grossolano, più scuro e a maglie allungate. Anche se cucinato con altri funghi, Tylopilus felleus rende tutto immangiabile per l’amarezza. Il porcino è Boletus edulis Bull.: il fungo com- 78 - LE MONTAGNE DIVERTENTI mestibile più “famoso” in Valtellina. Autunno 2007 Amanita phalloides (Vail.: Fr.) Link Amanita phalloides Fungo buono o matto? È uno degli otto funghi mortali che dovremmo imparare per primi a riconoscere! In italiano “Amanita” si usa da circa due secoli; il riferimento etimologico è il monte Amanòs, in Asia Minore, da cui ragionevolmente derivò il greco antico amanîtai, che sta ad indicare i funghi commestibili in generale. Si sa che Greci e Romani conoscevano ed apprezzavano le amanite, ma non sappiamo con quali nomi le designassero esattamente. Il latino Amanita è un termine reso disponibile dai naturalisti e dai micologi di fine ‘700 e di inizio ‘800 per indicare il genere che oggi intendiamo. Phalloides significa “a forma L’ di fallo” per la somiglianza al genere Phallus. Amanita phalloides ha un cappello prima emisferico poi appianato che, nonostante le colorazioni assai variabili (giallo, verde, bianco, bruno), è percorso da fibrille che le conferiscono una caratteristica lucentezza metallica. L’imenio è costituito da lamelle fitte e sottili ma larghe e bianche. Il gambo è decorato da bande a zig zag concolori al cappello, ma più pallide, su fondo bianco. Alla base si presenta bulboso, ricoperto da una volva (residuo del velo generale cioè di quella membrana che ricopre il fungo prima di crescere), a sacco, aderente al bulbo ma libera all’orlo, di colore Amanita phalloides (come pure i suoi fratelli Amanita virosa ed Amanita verna) contiene delle tossine che si chiamano amanitine (alfa, beta, gamma ecc.) che agiscono bloccando la sintesi proteica delle cellule di fegato e reni e causando sintomi che partono dopo 8-12 ore dall'ingestione: si comincia con dolori allo stomaco, diarrea e vomito: in seguito si evidenziano maggiormente i danni al fegato con un ingrossamento di quest'ultimo accompagnato da itterizia e sanguinamento a livello di stomaco ed intestino; nel 30% dei casi la morte sopraggiunge dopo 4-7 giorni durante coma epatico. Nonostante la somministrazione contemporanea di antibiotici della famiglia delle penicilline insieme ad un estratto del frutto del cardo mariano (la silibina) abbia dato buoni risultati nel trattamento degli avvelenamenti da amanita, non esistono antidoti specifici e l’unica terapia al momento con risultati è la diuresi forzata. (dott. Giordano Gusmeroli) LE MONTAGNE DIVERTENTI bianco. Sul gambo è presente un anello disposto a gonnellino, bianco. La carne è bianca. L’odore è sgradevole. L’habitat ideale è il bosco di latifoglie (castagni, faggi e, ad altitudini più elevate, nocciòli). Specie comune e diffusa, in Valtellina si può trovare di solito fino a 1000-1200 m di quota. Talvolta viene purtroppo scambiata con le russule verdi, ma ad un attento micofilo non sfuggirà il fatto che queste ultime hanno carne gessosa, non hanno volva, né zebratura sul gambo, né anello. Importantissimo è raccogliere esemplari interi, completi di tutti i caratteri (immergere le dita nel terreno, ruotare il fungo ed estrarlo; mai tagliarlo!) i quali, come in questo caso, sono determinanti e necessari per il sicuro riconoscimento. Altra possibile confusione è con le amanite commestibili (Amanita caesarea e altre) quando gli esemplari delle varie specie si trovano allo stato di ovolo ancora chiuso. In queste condizioni la raccolta è assolutamente da escludere. Si badi, inoltre, che la legge vieta di raccogliere gli ovoli giovani (chiusi), in quanto essi non hanno ancora partecipato al ciclo riproduttivo non avendo liberato le spore. FUNGHI: PASSIONE MORTALE - 79 NATUR A La Russula emetica è velenosa, ma in genere non mortale... Russula emetica (Schaeff.: Fr.) Persoon Armillaria mellea (Vahl: Fr.) Kummel Il chiodino, se non cucinato correttamente, è tossico! Armillaria mellea I chiodini dei parassiti, cioè organismi che sfruttano altri esseri viventi e ai quali causano danni sino, al limite, a condurli a morte. Sono i più temibili per le piante forestali, ma al contempo sono i funghi più diffusi e ricercati in autunno. Quando si incontrano esemplari molto giovani, sembra di vedere dei chiodi: da qui il loro nome volgare. Armillaria, a sua volta, deriva da armilla (=braccialetto), che in questa specie indica l’anello. Il cappello prima emisferico poi disteso convesso, con tinte variabili dal bruno giallastro al color del miele (mellea), presenta delle squamette brunastre. Le diverse colorazioni sono dovute alle differenti condizioni ambientali e di umidità 80 - LE MONTAGNE DIVERTENTI e, soprattutto, vanno riferite all’albero parassitato (robinia, castagno, betulla, pioppo...). Tra gli elementi di riconoscimento di A. mellea adulta, è da ricordare la caratteristica sporata bianca che si ritrova sui cappelli di livello inferiore. Le lamelle bianche fitte e strette decorrono sul gambo per mezzo di un dentino. Il gambo è cilindrico e legnoso, da crema carnicino fino a concolore al cappello. L’anello (residuo del velo parziale che in questo caso si chiama armilla) è membranoso, persistente e striato al margine inferiore. L’habitat preferito è rappresentato dai boschi di latifoglie, dove A. mellea cresce su legno o sulle radici delle piante formando ! Russula emetica Appartiene al genere Russula, in cui l’aspetto generale degli esemplari solitamente ne consente il ricono- cespi anche con molti esemplari. Il bollino verde indica che è un fungo commestibile, ma da vari anni a questa parte, in Italia, il chiodino è causa del maggior numero di intossicazioni a carico del sistema gastrointestinale. Spesso infatti viene cucinato in modo non corretto, mentre necessita di una pre-bollitura di venti minuti con eliminazione dell’acqua e poi di una successiva cottura. Inoltre il gambo deve essere eliminato. I possibili errori di riconoscimento avvengono con diversi generi e talora anche con specie velenose (Galerina, Hypholoma). Autunno 2007 LE MONTAGNE DIVERTENTI scimento poiché hanno tutti un portamento caratteristico: gambo bianco cilindrico con base arrotondata, lamelle da bianche al giallo arancio, cappello prima rotondeggiante poi disteso e vivacemente colorato, assenza di latice e particolare struttura della carne che permette di rompere il gambo con una frattura netta (come un gessetto). Molte russule sono caratterizzate da colori vivaci, talora tendenti al rosso: da qui il nome del genere, che significa “rosseggiante”. In alcune zone d’Italia sono dette “colombine”. La Russula emetica attira la nostra attenzione per il colore rosso vivo (rosso sangue arterioso) del cappello, in contrasto con il bianco candido FUNGHI: PASSIONE MORTALE - 81 N. INTERVENTI N. DECEDUTI 2005 25 5 2006 18 6 2007 (al 30/08) 7 4 ore 15.00 - 19.00 Domenica 23 settembre: ore 9.30 12.30 e 15.00 - 19.00 presso la Sala “Ligari” (Palazzo della Provincia) Sondrio Mostra micologica provinciale Per imparare e avere Seii ill più ù velo oce?? ANNO Sabato 22 settembre: risposte alle proprie domande sui funghi. Sei un seegugio? Per l’anno in corso il bilancio è purtroppo ancora provvisorio, perchè la stagione dei funghi è proprio l’autunno, e deve ancora iniziare. Sotto: una composizione di funghi porcini, i più ambiti dai fungiatt nostrani. I L T ESORO DI V ETTA Abbiamo nascosto 3 bottigliette in giro per i monti, proprio lungo alcuni itinerari di questo numero. Prepara lo zaino e parti per le nostre cime. Devi essere il più veloce e seguire gli indizi riportati qui sotto per trovare la tua bottiglietta. In palio splendidi premi in attrezzatura tecnica offerti dai nostri sponsor. IL TESORO DELLE OROBIE (SOLO PER ALPINISTI!) Dove? Sulla Punta di Scais, vedi mappa e itinerario a pag. 21 10 passi a N della croce di vetta troverai un mucchietto di sassi chiari sotto cui è seppellita la bottiglietta. Prendila e vai da Sport Side a Sondrio, via Tonale 27 e ritira direttamente il tuo premio! IL TESORO DELLA VALMALENCO Dove? La grande cascata alla Piana di Fora, Seei scaalttro? Autunno 2007 PALIO IN PALIO Pile tecnico Lafuma Polartec + Un best seller a tua scelta di Mauro Corona vedi mappa e itinerario a pag. 47 Vai ai piedi della cascata e sali la lista d’erba e muschio sulla dx della cascata (E) fino a una netta crepa obliqua a circa 4 metri d’altezza. Il tesoro è appoggiato al suo interno. Prendi la bottiglietta e vai da Maiuk e dall’Angolino del Libro a Chiesa V.co, via Milano 48 e 7, e ritira direttamente i tuoi premi! IL TESORO DELLA VALCHIAVENNA 82 - LE MONTAGNE DIVERTENTI IN Braccaiale satellitare NAVMAN R300, studiato appositamente per la corsa, con misuratore di velocità, distanza percorsa e altimetro. Dove? Monumento agli alpini all’ Angeloga, vedi mappa e itinerario a pag. 3 Nascosto ai piedi del monumento troverai il tesoro. Prendi la bottiglietta, vai da Effetre Sport a Chiavenna e ritira direttamente il tuoi premio! LE MONTAGNE DIVERTENTI IN PALIO Zaino tecnico con coprizaino MARSUPIO LION 15 - Dorso MESH BACK C SYSTEM - Spallacci imbottiti e sagomati - Cintura a vita e cinturino pettorale - Tasche laterali in rete porta borraccia - Tasca sul cappuccio - Attacco funzionale - Porta bastoni CONCORSI - 83 Trovaree un ago in unn paggliaioo peer te è cossa di tuutti i gioorni? Imparare a riconoscere le russule commestibili è fonte di soddisfazione per il cercatore: gli esemplari sono spesso abbondanti e coprono l’intera stagione. Esse, inoltre, sono considerate i funghi più digeribili e dal gusto più delicato: le migliori, di norma, sono ritenute R. aurea, dal cappello aranciato e dalle lamelle gialle, R. cyanoxantha, colorata di blu-violetto e con le lamelle lardose al tatto, R. virescens, dal cappello verdeggiante e spesso screpolato, e R. mustelina, dalla tinta simile a quella del porcino, con il quale non di rado a prima vista viene confusa. delle lamelle e del gambo. Il cappello dapprima sembra un elmetto, poi si appiana, e possiede una cuticola che si separa fino a metà raggio. Le lamelle sono bianche, sottili e fragili. Il gambo è slanciato, poi più o meno cilindrico. La carne è fragile, il sapore pepato. L’habitat ideale è il bosco di conifere di montagna, dove spesso si nota il rosso brillante di R. emetica splendere su verdi tappeti di muschio. È detta emetica in quanto contiene una sostanza fortemente irritante per l’apparato digerente che provoca disturbi gastrointestinali, tra cui forti conati di vomito. LE RICETTE Damiano Miotti DELLA F RUTTA COTTA E LIQUORE AI SEMI DI MELA INGREDIENTI per frutta cotta: -1 kg di mele Golden (anche di quelle “battute”); -100 g di zucchero; -1 bicchiere di vino rosso; -3-4 prugne secche; -succo di un limone; -cannella in polvere; Sbucciate un chilo di mele gialle, (vanno benissimo anche quelle “battute” o quelle ben mature, poco presentabili esteticamente ma non per questo meno buone), liberandole anche dal torsolo. Riducete il frutto in spicchi non troppo sottili. Mettetele in una pentola, versando sul fondo un bicchiere di vino rosso. Cospargete il tutto con lo zucchero e una spolverata di cannella in polvere, aggiungendo le prugne secche. Lasciate sul fuoco LE MONTAGNE DIVERTENTI NONNA C ROCCANTE DI NOCI basso per circa 30 minuti, fino ad avere la consistenza desidetata. Spegnete ed aggiungete il succo di un limone, mescolando bene. Lasciate raffreddare fino a temperatura ambiente. INGREDIENTI: INGREDIENTI per liquore ai semi di mela: Mettete gli ingredienti in un tegame. Fateli cuocere finchè il tutto diventa dorato. Versate in un tegame possibilmente di alluminio leggermente unto con un velo olio. Rendete lo strato a spessore omogeneo (mezzo centimetro abbondante) spalmando con una fetta di mela. Quando è tiepido tagliatelo in quadretti. Lasciate quindi terminare il raffreddamento. -150 grammi zucchero; -300 ml acqua; -200 ml alcool; -1 tazzina da caffè di semi di mela; Con pazienza togliete tutti i semini dai torsoli avanzati ad esempio dalla frutta cotta. Fate bollire l’acqua con lo zucchero per un minuto circa, quando sarà fredda unite l’alcool e i semi di mela e mettete il tutto in un vaso ermetico. Agitate quotidianamente per quaranta giorni dopodicchè filtrate il tutto. -2 etti di noci; -2 etti di zucchero; -un goccio di olio; -una fetta di mela; RICETTE - 85 Vincitori & Vinti Nonostante già 3000 persone avessero acquistato la rivista ad una settimana dalla sua uscita, ci sono volute ben 3 settimane prima che la Testata Misteriosa avesse un vincitore. Il suo nome è Roberto Piazza, un lettore di Monza. Gli altri due abbonamenti in palio sono andati a Nicola Della Maddalena di Tresivio e Fabio Bardea di Lanzada. Questa è la soluzione dell’enigma, molto complicato perchè le cime erano imbiancate di neve primaverile e perciò difficilmente riconoscibili. Foto panoramica scattata dalle pendici del Monte Masuccio (m 2816),. E’ una bella montagna sopra Tirano. 1. 2. 3. 4. 5. 6. Pizzo Cancano (m 2435) Pizzo Combolo (m 2902) Pizzo Malgina (m 2887) Vetta di Ron (m 3136) Pizzo Calino (m 3022) Pizzo Painale (m 3248) 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Monte Disgrazia (m 3678) Pizzo Scalino (m 3323) Pizzo Canciano (m 3103) Sassa d’Entova (m 3239) Pizzo Tremogge (m 3441) La Sella (m 3584) Ma Pizzo Roseg (m 3936) Pizzo Argient (m 3945) Pizzo Bellavista (m 3922) Pizzo Palù (m 3906) Pizzo Cambrena (m 3606) Pizzo Ometto (m 2795) ch’el ?? I nostri avi avevano grande fantasia e abilità nel riciclo di utensili per produrne degli altri. Questo gioco conclude il numero d’autunno di Le Montagne Divertenti e mette alla prova il nostro senso pratico. Si tratta di capire che cos’è l’utensile fotografato e a cosa potesse servire..... S e sei un attento osservatore, rispondi correttamente alle tre domande su questo oggetto e vincerai un abbonamento annuale alla rivista. Che cos’è? A cosa serve? Da cosa e come è stato ricavato? Manda le tue risposte a [email protected]. 86 - LE MONTAGNE DIVERTENTI Autunno 2007 waltellina