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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI
LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO
NEL CINEMA
RELATORE
Chiar.mo Prof. CAMPARI ROBERTO
CORRELATORE
Chiar.mo Prof. PAPAGNO GIUSEPPE
LAUREANDA:
BOZZI ELISA
Matr. n°° 106302
ANNO ACCADEMICO 2002 - 2003
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Ringraziamenti:
la mia famiglia, Valter Severgnini per la grafica, i gestori e i collaboratori del sito
internet www. dalvolturnoacassino. it e in particolare Mauro Lottici, Nadia Ziliani per la
consulenza linguistica, Maximiliano Morsia per l’aiuto tecnico, le amiche che mi hanno
aiutato nel recupero del materiale.
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INDICE
INTRODUZIONE
p. 9
1. IL CINEMA E LA STORIA
1.1. Che cos’è un film storico?
13
1.2. L’uso dei film come documenti storici
15
1.3. Dal documentario alla fiction
19
1.4. La nuova storia del cinema
23
2. IL CINEMA DI GUERRA
2.1. Che cos’è il cinema bellico?
25
2.2. Il rapporto tra immagine e guerra
28
2.3. Il cinema hollywoodiano e la guerra
30
2.4. Il cinema di guerra italiano dopo il secondo conflitto mondiale
41
2.5. Il cinema di guerra tedesco dopo il secondo conflitto mondiale
48
3. LA CAMPAGNA D’ITALIA ( 1943 – 1945 ): GLI SBARCHI
3.1. La svolta del 1943
53
3.2. Le decisioni di Casablanca
54
3.3. Gli sbarchi alleati in Italia
56
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4. LA CADUTA DEL FASCISMO
4.1. La fine del governo Mussolini
61
4.2. Il governo Badoglio
62
5. LA SITUAZIONE ITALIANA
5.1. La Repubblica di Salò
64
5.2. La linea Gustav
65
6. GLI ALLEATI VERSO ROMA
6.1. L’area dei combattimenti
67
6.2. L’inizio della prima battaglia ( 17 gennaio – 7 febbraio 1944 )
68
6.3. Lo scontro di Sant’ Angelo in Theodice e il fiume Rapido
69
6.4. La resistenza delle difese tedesche
71
7. IL BOMBARDAMENTO DI MONTECASSINO
7.1. Il bombardamento dell’Abbazia ( 15 – 18 febbraio 1944 )
73
7.2. La seconda battaglia ( 15 – 23 marzo 1944 )
76
8. L’OPERAZIONE DIADEM
8.1. La terza battaglia ( 11- 19 maggio 1944 )
79
8.2. Lo scontro finale
80
6
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9. ESERCITI COBELLIGERANTI
9.1. Gli Italiani e le truppe alleate
83
9.2. I Polacchi a Cassino
85
9.3. I reggimenti Gurkha
86
9.4. Altre immagini della guerra
87
9.5. Il salvataggio delle opere d’arte dell’abbazia di Montecassino
94
10.L’ORDINE BENEDETTINO
10.1. Vita di San Benedetto da Norcia
10.2. Diffusione del monachesimo benedettino
99
102
11.LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO NEL CINEMA
11.1. Introduzione ai film principali
109
11.2. The story of G.I. Joe
111
11.2.1. Gli Stati Uniti alla fine del secondo conflitto mondiale
114
11.2.2. Analisi del film
118
11.3. Montecassino
161
11.3.1. L’Italia del dopoguerra
162
11.3.2. Analisi del film
165
11.4. Die Gruenen Teufel von Montecassino
235
11.4.1. La situazione tedesca dopo il secondo conflitto mondiale e fino
agli anni Cinquanta
236
7
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11.4.2. Analisi del film
242
11.5. Pellicole secondarie
317
12.APPENDICI
12.1. Appendice 1: L’abbazia di Montecassino
321
12.2. Appendice 2: Il volantino del 14 febbraio 1944
329
12.3. Appendice 3: La dichiarazione dell’Abate Diamare
331
12.4. Appendice 4: The death of Captain Waskow
333
12.5. Appendice 5: Riley Tidwell ’ s homecoming
337
CONCLUSIONI
347
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INTRODUZIONE
Gli studi specifici sul rapporto tra cinema e storia, che risalgono agli anni Sessanta,
hanno dato un contributo fondamentale allo studio del cinema e soprattutto alla
comprensione di quanto il film può essere utile nello studio della storia.
Il film storico infatti non offre solo una rappresentazione dell’epoca nella quale è
ambientato, ma è anche profondamente legato all’epoca che lo ha prodotto.
Per quanto riguarda nello specifico i film di guerra, essi erano normalmente utilizzati
per creare un’opinione pubblica riguardo ad una questione. In periodi di guerra erano
utilizzati come strumenti di propaganda fruibili dalle masse, in tempo di pace facevano
riflettere su certi episodi accaduti o cercavano di creare un nuovo modo di vedere il
passato.
Per quanto riguarda la Seconda Guerra mondiale, la cinematografia di tutto il mondo ha
prodotto una quantità immensa di pellicole, che hanno più o meno affrontato tutti gli
episodi del conflitto, dal 1939 al 1945. Alcuni fatti sono trattati in numerosi film, come
per esempio lo sbarco in Normandia, altri invece sono stati trascurati per vari motivi,
come la battaglia di Montecassino.
La battaglia di Montecassino fu un fatto tragico della Seconda Guerra Mondiale in
Italia.
Si svolse tra il gennaio e il maggio del 1944 e faceva parte di una serie di combattimenti
su quella che veniva definita la Linea Gustav, il fronte più lungo della guerra in Italia,
dove furono impegnati eserciti delle più svariate nazionalità: Indiani, Nepalesi,
Neozelandesi, Polacchi, Nordafricani, Canadesi,…
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La lotta fu influenzata da diversi fattori, come il territorio montagnoso, il maltempo, la
preparazione dei soldati tedeschi, ma alla fine divenne l’anticamera della liberazione di
Roma da parte degli Alleati anglo – americani.
E’ da sottolineare il fatto che questa battaglia fu caratterizzata da un episodio
drammatico che ebbe rilevanza internazionale: il bombardamento dell’abbazia di
Montecassino, fondata nel 529 d.C. da San Benedetto da Norcia. Era in questo luogo
che il Santo aveva creato la Regola Monachorum, fondamento di tutto il monachesimo
occidentale.
Essendo il monachesimo benedettino diffuso in ogni angolo del pianeta, il
bombardamento ebbe una eco enorme, perché con lui se ne andava un monumento di
inestimabile valore storico, artistico e morale.
Nonostante l’importanza che ebbe la battaglia di Montecassino dal punto di vista
storico, il cinema è stato avaro di pellicole sulle sue vicende.
Esistono in tutto tre film che parlano diffusamente della battaglia e la cosa più
interessante è che fanno parte di tre cinematografie differenti. Il più vicino agli eventi,
cronologicamente parlando, è The story of G.I. Joe, girato a Hollywood da William
Wellman nel 1945, quindi a meno di un anno di distanza dai fatti narrati; seguono
Montecassino di Arturo Gemmiti del 1946, sempre molto vicino all’episodio, e ,infine,
Die gruenen Teufel von Monte Cassino, film tedesco del 1958 girato da Harald Reinl.
In realtà la prima pellicola non tratta interamante della battaglia in questione, ma parte
dalla guerra in Africa per arrivare alla campagna d’Italia e, in particolare, alla battaglia
di Cassino.
Ogni film affronterà quindi la storia dal suo punto di vista, poiché diverse sono le loro
nazionalità e il contesto storico in cui sono stati realizzati.
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Per gli Americani il fatto fu un errore di calcolo quando presero la decisione di
bombardare il monastero, un fatto increscioso che, insieme alla lungaggine dei
combattimenti e alle tante vittime, probabilmente contribuì a far sì che la battaglia non
venisse più affrontata in altri film.
Per gli Italiani fu una perdita enorme nel patrimonio nazionale e una tragedia che costò
la vita a migliaia di persone rifugiate nel monastero.
Per i Tedeschi uno degli episodi più felici di tutta la guerra, poiché il patrimonio
artistico di Montecassino esiste ancora grazie al loro intervento, e perché sulla linea
Gustav diedero filo da torcere all’esercito alleato.
Lo scopo di questo lavoro è di capire in che modo i tre film in questione affrontino la
battaglia dal punto di vista storiografico, scoprendo fino a che punto la finzione
cinematografica sia influenzata dalla verità storica.
Sarà interessante osservare i punti di vista così differenti delle tre pellicole, i fatti su cui
si soffermano di più e quelli, invece, che vengono falsati o modificati, e soprattutto il
perché di queste operazioni.
Per fare questo è stato di vitale importanza l’apporto dei diari di guerra dei monaci che
hanno vissuto all’interno del monastero fino a dopo il bombardamento e i diari degli
ufficiali, sia tedeschi che alleati, che tante pagine hanno scritto su questo periodo.
Allo stesso modo è stata indispensabile la visione dei documentari d’epoca, che
mostrano le immagini reali di quegli scontri, e che spesso vengono montate in questi
film insieme al girato del regista per la rappresentazione delle scene di guerra vera e
propria.
Si è cercato, nella raccolta del materiale, di non tralasciare i diversi punti di vista che
riportano i fatti, attingendo dalle tre storiografie in questione, mentre nella prima parte il
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lavoro è stato svolto soprattutto sulle cinematografie dei Paesi di produzione dei film
nei periodi in cui questi sono stati prodotti.
Nel testo, per meglio mostrare i fatti, sono state riprodotte sia fotografie dell’epoca che
immagini tratte dalle pellicole con macchina fotografica digitale, mentre in appendice si
trovano alcuni documenti di grande importanza nell’economia del discorso, alcuni
proprio dal punto di vista storico, altri da quello filmico.
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1. IL CINEMA E LA STORIA
1.1. Che cos’è un film storico?
Molti studiosi hanno provato a definire il genere cinematografico del film storico, che
tanta importanza ha avuto fin dalla nascita del cinema e che continua ad averne ai giorni
nostri.
Per Pierre Sorlin, importante storico francese che si è dedicato allo studio dei film come
documenti, il concetto di film storico, con le sue peculiarità, è un accordo tra chi lo
produce e il pubblico che ne fruisce; la caratteristica principale dei film storici “ è che
vengono definiti in base a una disciplina del tutto esterna al cinema;infatti non esiste un
termine specifico per definirli, e quando ne parliamo ci riferiamo allo stesso tempo al
cinema e alla storia”1.Il passato nel film deve essere storico,non vago, riconoscibile, dal
pubblico che lo guarda , che, appartenendo alla stessa società, ha in comune una cultura
e un patrimonio storico.
Guido Fink, storico del cinema che ha preso parte al dibattito sul rapporto tra cinema e
storia , afferma che “ la verità- e non la pedestre rassomiglianza o la prigione avvilente
dell’accaduto – rimane la sola via feconda…Il film storico costituisce un doppio viaggio
nel passato- nell’epoca messa in scena e nell’epoca nella quale il film fu realizzato”2.
La leggenda cavalca al fianco della storia, nella luce magica e diffusa di
un’aureola; ma la verità segue un sentiero solitario…
Quando si voglia portare sullo schermo la storia, occorre seguire il solitario
sentiero della verità, che non sempre è comodo…
1
P.Sorlin, La storia nei film.Interpretazioni del passato, p.19
Il dibattito tra gli storici francesi è raccolto nel libro Passato ridotto.Gli anni del dibattito su cinema e
storia, a cura di G.M.Gori (citazione di Fink p. 121 )
2
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Parlo ai lettori europei, e soprattutto italiani, che so scaltriti in questo problema
dalle grandi discussioni che nel periodo romantico ebbero luogo sul tema del
romanzo storico. L’Italia soprattutto possiede il magistrale trattato di Alessandro
Manzoni sui componimenti misti di storia e invenzione. Il dissidio è sempre lo
stesso e si perpetua nel caso del film storico: fino a qual punto l’artista possa,
con la propria libertà di creatore, lasciar spaziare la fantasia, a fin dove invece
debba sottostare al rigore della verità.
Queste parole di Cecil B. DeMille sono citate da Claudio Montesanti nel congresso
tenutosi a Roma dal 22 al 24 giugno 1962 sul tema “Il film storico italiano e la sua
influenza sugli altri Paesi”, per iniziativa della FIAF ( Federazione internazionale degli
archivi del film), organismo che raggruppa le cineteche di tutto il mondo3.
Nello stesso convegno Yvette Biro, cineasta ungherese, affermò:
Riconducendo la storia sul piano della vita quotidiana e dando alla vita
quotidiana prospettive storiche , il cinema, attraverso la sua nuova
drammaturgia,esprime una tendenza nuova e interessante, quella di collegare nel
modo più naturale l’evoluzione storica ai drammi individuali. In tal senso forse
non è esagerato affermare che, nel nostro linguaggio quotidiano, abbiamo
attribuito al concetto di film storico, un’accezione un po’ riduttiva. In realtà la
storicità non consiste obbligatoriamente nell’evocare il tempo passato,
nell’esprimersi “al passato”, ma piuttosto nell’esprimere questo nuovo rapporto
tra l’universo e l’individuo.4
Queste sono solo alcune delle definizioni date dai critici che si sono interessati
all’argomento.
3
4
Gli atti del convegno sono riportati sul numero speciale 1-2 1963 della rivista Bianco e nero.
Il passo è tratto da P.Pintus, Storia e film .Trent’anni di cinema italiano( 1945 – 1975 ), p. 9.
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Il genere storico fu linfa vitale per il cinema delle origini, che giocava sulla fascinazione
del “realmente accaduto”. Soprattutto avvenne nel cinema italiano degli anni Dieci,
quando si poterono sfruttare i paesaggi bellissimi e le masse di disoccupati come
comparse. In realtà per questi film fu coniata la definizione di “film in costume”, valida
per tutti i film che piegano la storia a semplice pretesto adatto al massimo sfruttamento
delle possibilità sceniche del cinema5.
1.2. L’uso dei film come documenti storici
Il primo a sollevare il problema dell’archiviazione dei film e del loro possibile uso come
documenti storici fu il cineasta polacco B. Matuszewski, che già nel 1898 pubblicò a
Parigi un opuscolo dal titolo: “ Une nouvelle source pour l’ histoire. Création d’un
dépôt de cinématographie historique”, che in seguito ampliò nel volume “ La
photographie animée, ce qu’elle est, ce qu’elle doit être”. Secondo la sua teoria gli
archivi fotografici e cinematografici sarebbero stati gli storici del futuro.6
Lo stesso sogno fu ripreso da diversi cineasti, tra cui David W. Griffith, che auspicava
che nel futuro i film avrebbero preso il posto dei libri di storia.7
Nel 1947 fu la volta di Kracauer, che pubblicò “ Cinema tedesco. Dal “Gabinetto del
Dottor Caligari” a Hitler.”8con il sottotitolo “Storia psicologica del cinema tedesco”.
Egli sosteneva che attraverso la storia del cinema si potevano ricavare le disposizioni
psicologiche profonde di un popolo in una fase specifica della sua storia.9Secondo
Kracauer c’era un rapporto profondo fra l’evoluzione del cinema e l’evoluzione della
società.Affronta quindi il problema della periodizzazione in modo più preciso di quanto
5
In G.M.Gori, Passato ridotto, p. 12.
In P.Ortoleva, Cinema e storia. Scene dal passato,p. 1
7
P.Sorlin, op.cit., p.XLVII.
8
Pubblicato in Italia da Mondadori nel 1977.
9
P.Ortoleva, op.cit., p.44.
6
15
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era mai stato fatto, mettendo in parallelo la produzione cinematografica con la storia
della Germania, a partire dalla Repubblica di Weimar per arrivare al nazismo, cercando
anche di isolare i generi narrativi più ricorrenti. Fu ,in sostanza, uno dei primi studiosi
di cultura di massa che, nonostante le critiche ricevute, innovò profondamente il
rapporto tra cinema e storia.
Gli anni Cinquanta videro altri teorici confrontarsi con nuovi metodi di visione dei film.
Warshow teorizzò la necessità da parte dei critici di vivere in primo luogo l’esperienza
spettatoriale come atto conoscitivo complesso, fondendosi con il pubblico a cui un certo
film è indirizzato10.
Morin , dal canto suo, cerca di limitare il divario che esiste tra fiction e documentario,
teorizzando la doppia natura reale e fantastica del cinema, da cui deriva che un’analisi
del film dal solo punto di vista della realtà uccide l’effetto cinema11.
E’ finalmente negli anni Sessanta che il film comincia ad essere usato come documento
storico. Le diffidenze riguardo alle fonti filmiche cominciano a cadere, si inizia a
considerare anche la testimonianza storica non verbale, che dapprima veniva scartata
per la difficoltà che si incontrava a tradurre le immagini in testo senza banalizzare e per
la consapevolezza che la verità proposta poteva essere incerta a causa della
manipolazione dovuta al montaggio e alla messa in scena.
Il primo tentativo di usare il film come fonte storica fu di Antonio Mura, che nel 1967
pubblica Film, storia e storiografia12, ma la sua esperienza è limitata ai film di
documentazione, soprattutto al materiale grezzo, in cui cerca i frammenti di realtà.
10
R. Warshow, The Immediate Experience, Atheneum, New York 1971, citato in P. Ortoleva, Cinema e
storia, p.54.
11
E. Morin, Sociologia del cinema ( 1954 ) , citato in P. Ortoleva, p.75
12
In P. Ortoleva, op. cit., p.9.
16
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Parallelamente in Inghilterra inizia tra gli studiosi britannici un dibattito sul tema,
raccolto da P. Smith e pubblicato nel 1976 con il titolo The Historian and film.
Ma è in Francia che, sempre negli anni Sessanta, questo dibattito viene
approfondito13.La svolta metodologica e teorica avviene grazie a due fattori
fondamentali: la nascita della Nouvelle Histoire e della mode- rétro.
Ad aprire la strada alla Nouvelle Histoire è la pubblicazione delle Annales di Bloch e
Febvre, due storici che considerano le fonti tradizionali inadeguate per documentare
l’esistenza umana. Secondo la loro teoria tutte le fonti sono lecite quando lo storico le sa
interrogare, anche la fonte filmica14. Dall’ altra parte “ il ripiegamento più o meno
nostalgico su tutto quanto è passato, è del passato”,15la cosiddetta mode-rétro appunto,
fenomeno tipico dei momenti di crisi che si manifesta qui in due modi: nei film che si
fanno a partire dagli anni Settanta ( Novecento , L’albero degli zoccoli,…)e nella gran
quantità di rassegne, retrospettive appunto, che portarono a un largo consumo del
cinema del passato.
Il convergere di questi due elementi favorisce una crescita di interesse verso il rapporto
tra cinema e storia. Purtroppo il ricorso di fonti audiovisive nello studio della storia
rimane, la maggior parte delle volte, semplice dichiarazione d’intenti, salvo poche
eccezioni, di cui fanno parte Marc Ferro e Pierre Sorlin.
Ferro è uno storico divenuto cineasta e responsabile dei film prodotti dalla Hachette –
Paté ( Immagini della storia). Secondo lo studioso “ il primo compito dello storico è di
restituire alla società la storia di cui gli apparati istituzionali la espropriano”.Deve
ascoltare e filmare la gente comune e aiutare la società a prendere coscienza della
13
G.M.Gori (a cura di), Passato Ridotto.Gli anni del dibattito su cinema e storia.
Sull’argomento sono da tenere in considerazione anche i volumi di M. Bloch, Apologia della storia o
mestiere di storico, e di F. Braudel, Storia, misura del mondo.
15
G.M.Gori ( a cura di), Passato Ridotto, p.10.
14
17
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mistificazione operata a apparati monopolizzatori che hanno la facoltà di essere l’unica
fonte della storia16. Ferro teorizza il cinema come “agente” della storia in quanto “ i suoi
pionieri intervengono nella storia con film documentari o narrativi che, […] sotto la
copertura della rappresentazione, indottrinano e glorificano”.
Il cinema e la storia per Ferro si potrebbero coniugare su tre terreni solamente: film
come fonte; film come “agente”, cioè soggetto storico degno dell’attenzione della
ricerca, in particolare storico- politico; film come strumento di narrazione del passato.
Inizia nel 1967 la sua lettura storica del film e la lettura cinematografica della storia.
Ferro teorizza inoltre diversi modi per guardare il film storico: una positivista, in cui il
film viene controllato da un’équipe di esperti che ne verificano l’attendibilità e
l’aderenza alle fonti; un’altra in cui si considera permesso ogni tipo di compromesso e
sovversione che sia funzionale all’ideologia del film; un’ultima che propone l’uso del
supporto romanzato, e dove l’ordine delle riprese sorge dall’immaginario storico.
Sorlin, dal canto suo, vuole fornire gli strumenti di lettura del genere cinematografico
del film storico per analizzare l’autorappresentazione della società . Ma il passato per
Sorlin è più che altro un pretesto per riorganizzare il presente: il film storico proietta nel
passato problemi attuali, in altri casi costruisce una storia immaginaria; in altri ancora il
passato è il rifugio delle contraddizioni del presente. Ritorna quindi la concezione di
duplice viaggio nel passato, quello messo in scena e quello in cui il film è stato
prodotto.
Il film storico, per poter essere considerato tale, deve essere un film di finzione, con un
passato riconoscibile e una base comune nel pubblico, che deve conoscere
l’avvenimento di cui si parla, questo deve appartenere al patrimonio storico del gruppo.
16
M.Ferro, Cinema e storia.Linee per una ricerca, p.87.
18
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Sorlin cerca di proporre un tipo di analisi che consideri i vari elementi che compongono
il film. Dai diversi tipi di voce narrante, che spesso compare in questo genere di
pellicole, al tempo narrativo, che deve essere simbolico, ovvero deve contenere date
importanti, al tempo di montaggio, alle prove che il regista sparge per il film per
renderlo collocabile in un determinato momento storico ( giornali, lettere, foto,…).
Il visibile è quel che appare fotografabile e presentabile sugli schermi in
un’epoca data…Il cinema[…] mostra non già “il reale”, ma i frammenti del reale
che il pubblico accetta e riconosce. Per un altro verso contribuisce ad allargare il
territorio del visibile, a imporre immagini nuove.17
Grazie a questi storici il film storico ha conquistato sempre più importanza per lo studio
e l’insegnamento della storia nelle scuole18.
1.3. Dal documentario alla fiction
La grande invenzione del cinema risale alla fine del XIX secolo. Con esso nascono i
cinegiornali, filmati brevi che mostravano al pubblico fatti importanti e personaggi.
Fino al 1910, infatti, le sale cinematografiche non avevano una vera e propria
programmazione: il pubblico entrava in sala per vedere una serie di filmati che di volta
in volta proponevano eventi diversi. Erano per lo più eventi annunciati, come parate,
feste, discorsi, mai fatti improvvisi, in quanto il cineoperatore, con tutta la sua
attrezzatura non avrebbe potuto in un tempo ragionevole documentare episodi che
iniziavano e finivano nel giro di poco tempo ( come, per esempio, una rivolta ), si
potevano al massimo scattare delle fotografie. Nel 1908, essendo quello degli Stati Uniti
il mercato più prolifico, le società che detenevano i brevetti si accordarono e fondarono
17
18
P.Sorlin, Sociologia del cinema,p. 253-254, citato in P.Ortoleva ,p. 40.
P. Ortoleva, op.cit., cap.V.
19
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la Motion Picture Patents Company, che aveva il monopolio della produzione e delle
vendite in quel Paese.19
Il modello di questi cinegiornali non cambiò mai fino al 1960.
Nel 1913, in Inghilterra, le prime associazioni decisero di darsi un regolamento di
autocensura, per evitare qualsiasi eccesso che potesse nuocere all’affluenza di pubblico
verso le sale: era il British Board of Film Censors.
Dopo la prima Guerra Mondiale, le società europee non resistettero, e quelle americane
conquistarono anche questo mercato. Già allora si producevano anche i cosiddetti film
storici, ovvero film di finzione che proponevano fatti storici. E’ noto infatti che nel
1914 D.W.Griffith girò The birth of a nation ( Nascita di una nazione), che percorreva
la vita di due famiglie americane durante la guerra civile, e che aprì le porte a quello che
fu l’argomento più battuto dalla cinematografia statunitense. In Europa invece gli
argomenti preferiti erano, per la Francia, la Rivoluzione Francese, mentre per l’Italia, il
Risorgimento. In quel periodo però il pubblico italiano non aveva molto interesse per le
battaglie per l’unificazione, essendo l’opinione pubblica contraria all’intervento
dell’Italia nell’imminente guerra.20L’Inghilterra invece fu un caso a parte, con la sua
grande industria documentaristica.
Durante i regimi totalitari si sperimentano le grandi potenzialità che i film, sia fiction
che documentari, hanno sulle masse. Diceva Trockij nel 1923:
Il fatto che fino ad ora non abbiamo messo le mani sul cinema, prova fino a che
punto siamo inetti, incolti, per non dire stupidi. Il cinema è uno strumento che si
impone da sé, il miglior strumento di propaganda.21
19
P. Sorlin, La storia nei film, p.10.
P. Sorlin, op.cit., p.38-39.
21
M. Ferro, op. cit , p.26.
20
20
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I film di propaganda sono anche quelli che interessano di più gli studiosi, che ne
analizzano il carattere politico e le ideologie, l’estetica con la quale certe tematiche
vengono affrontate, le semplificazioni e le forzature.
Le classi dominanti conoscono bene queste qualità del cinema e lo utilizzano per
mostrare al popolo la realtà così come dovrebbe essere e per riscuotere il massimo
consenso.
Agli inizi degli anni Quaranta negli ambienti politici e cinematografici italiani si
diffonde il grido d’allarme: “ Troppi film storici!”.Nel 1941 alla Camera il ministro
della cultura popolare Pavolini e nel 1943 il suo successore Polverelli lamentano troppi
film sull’Ottocento e auspicano una svolta verso l’attualità.22
Con la seconda Guerra Mondiale i film storici continuano ad essere prodotti. Già i film
sulla guerra cominciano a presentarsi a guerra appena conclusa o addirittura ancora in
corso ( nel caso specifico Montecassino di A. Gemmiti esce nel 1947 ,mentre del 1945 è
The story of G.I.Joe di W. Wellman ), dando luogo a una storiografia nel suo farsi.
Dice Sorlin : “ I film sono documenti di prima qualità, perché mostrano come gli
Italiani vedevano se stessi, come consideravano che il mondo li vedesse” , e questo
accade sempre nel film storico, che usa il passato per evocare il presente23.
La nascita e lo sviluppo del neorealismo nell’immediato dopoguerra dà grande impulso
a questo genere di film, che mettono, sullo sfondo di grandi storie, le vite comuni di
persone semplici e vere. L’influenza è immediata e si fa sentire all’estero, fino negli
Stati Uniti, dove si sviluppa negli anni Cinquanta il fenomeno delle teleplays: qui il
neorealismo zavattiniano è ripreso per dare luce a storie che cercano di rendere
22
G.M.Gori, Insegna col cinema, p.143. L’autore riferisce le parole di questo dibattito: “ Il nostro cinema
si è troppo rifugiato nell’Ottocento, cioè in un mondo lontano che non rappresenta più la nostra
sensibilità.”, a cui fa riferimento anche J. Gili, Film storico e film in costume, in R. Redi, Cinema italiano
sotto il fascismo , Marsilio, Venezia, 1979.
23
P. Sorlin, op. cit, p.169.
21
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spettacolare la vita di tutti i giorni ( Chayefsky, Mosel, Rose, Seding, sono alcuni dei
registi specializzati in questo genere ) .24
Negli anni Sessanta c’è l’incontro di questo genere cinematografico con la storia, come
già ricordato. La storia comincia ad entrare in modo massiccio nella televisione, poiché
i documentari storici occupano in modo economico e vantaggioso la programmazione,
con la conseguenza che gli storici non sono più gli unici a disporre di questo tipo di
materiale, ma anche che aumenta il costo dei documentari audiovisivi per l’alta
richiesta25.
Anche le fiction a carattere storico continuano ad essere prodotte, ma con diversi
problemi, poiché i governi sanno benissimo che la rappresentazione cinematografica
rispecchia le idee del cineasta che la realizza e di chi vi lavora, e, pur non essendo
asserviti a un regime come in passato, l’autore agisce comunque al servizio di una
causa26.
Esemplare per questo discorso si rivela la censura preventiva in Italia attuata dalla
Legge Andreotti del 1949, con la quale l’allora sottosegretario allo spettacolo cercò di
frenare soprattutto i film neorealisti e storici. Sul finire degli anni Quaranta e con
l’inizio dei Cinquanta Andreotti attaccò in particolar modo Ladri di biciclette ( 1948 ) e
Umberto D. ( 1952 )27, entrambi di Vittorio De Sica, e lo fece con una frase molto
semplice: “ I panni sporchi si lavano in casa”, il che voleva significare che era meglio
evitare di ricordare che in Italia esistevano ancora sacche di povertà e disperazione.
24
P.Pintus, op. cit., p.18.
P. Sorlin, op. cit., p.5.
26
M. Ferro, op. cit, p.10
27
Andreotti, nell’attacco su Libertas a Vittorio De Sica, diceva: “E se è vero che il male si può
combattere anche duramente mettendo a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà
indotti – erroneamente – a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del secolo ventesimo, De
Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di
una progredita legislazione sociale.” , in P. Pintus, op. cit., p 43.
25
22
E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore.
Fino ai giorni nostri il genere storico è stato molto battuto dai cineasti, con la differenza
che oggi gli storici si interessano ad esso come a qualsiasi altro tipo di documento da
studiare e con la consapevolezza che “un periodo storico non può essere rappresentato
se il pubblico non è disposto ad interessarsi ad esso.28
1.4. La nuova storia del cinema
Gli studiosi di storia sociale individuano nel fenomeno- film la mentalità collettiva, il
pensiero medio della società.
Anche Sorlin afferma che per capire un film è indispensabile considerare sempre la
storia della mentalità della società che lo produce. 29
Il film costruisce il suo pubblico, definisce a chi vuole rivolgersi, anche se ogni opera
può essere letta in vari modi, non solo da gente con cultura diversa, ma anche da gente
che appartiene allo stesso ambito culturale a distanza di tempo.30Per questo è importante
per lo storico fondersi col pubblico a cui un certo film è indirizzato, per capirlo.
Il film inoltre è sempre realizzato da un’équipe di maestranze che si unisce, anche
ideologicamente, per dar vita a un prodotto, e ha una sua storia, che si compie durante la
lavorazione31.
La nuova storia del cinema ha ridefinito l’oggetto dell’analisi.
Al centro di questi studi non ci sono più soltanto il film in sè e il suo “autore”,
ma i fenomeni sociali che precedono e accompagnano la produzione e la
28
P.Sorlin, op.cit., p.38.
P.Ortoleva, op.cit., p.31.
30
M. Ferro, op. cit, p.16.
31
M. Ferro, op. cit., p.15.
29
23
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ricezione del testo: l’apparato produttivo, la macchina distributiva, la pubblicità
e la creazione di aspettative, l’accoglienza.32
Per collocare un film concretamente nel suo tempo è importante metterlo a confronto
con altri che si accomunano per le condizioni di produzione e di distribuzione. Ortoleva
a riguardo costituisce due “serie”di film: una “orizzontale” costituita da testi coevi
connessi fra loro da omogenee condizioni produttive, convenzioni espressive, pubblico
a cui si rivolgono; una “verticale” che mette a confronto testi filmici prodotti a distanza
di tempo fra loro, ma sulla base di luoghi e convenzioni comuni.33
Di enorme importanza inoltre è il tentativo di insegnare la storia col cinema,
introducendolo nelle aule scolastiche come oggetto di studio, alla stregua di qualsiasi
altro documento storico.34 Esistono già notevoli risultati in questo senso, soprattutto
dopo il decreto di riforma n° 682 del 4 novembre 1996, che modifica a tutto vantaggio
del Novecento la scansione dei periodi storici affrontati nei programmi scolastici.35
32
P. Ortoleva, op. cit., p.17.
P. Ortoleva, op. cit., p.119.
34
P.Ortoleva, op. cit, capitolo V.
35
Interessante per questo discorso l’esperienza di molte scuole, per citarne una l’istituto Pacioli di Crema,
che con il progetto Cinema 2000 ha costituito una sua cineteca storica, grazie al professor Massimo Lori,
e utilizza i film per lo studio degli avvenimenti storici. Il sito web di riferimento è www.pacioli.net.
33
24
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2. IL CINEMA DI GUERRA
2.1. Che cos’è il cinema bellico?
Il termine guerra deriva dalla parola germanica “werra” , che significa lotta, mischia,
contesa, ma collettiva e organizzata1.
Sul piano giuridico è l’uso delle forze armate da parte di uno Stato per raggiungere un
fine imposto o permesso dal diritto internazionale, che non definiva quando una guerra
era vietata, portando alla conclusione che ogni guerra poteva essere legittima.
Sono generalmente definiti film di guerra quelli che trattano di battaglie per lo più
contemporanee, del XX secolo , con qualche puntata alle guerre dell’Ottocento.
Il cinema ha parlato delle guerre avvenute fin dall’antichità, ma film che narrano le
vicende dell’Impero Romano o del Medioevo vengono piuttosto definiti film storici, o
storico- epici, con fatti e personaggi ormai consacrati alla storia.
Si parla di film bellici quando i conflitti narrati, poiché relativamente vicini ai nostri
giorni, possono trasmettere un ideale o un’emozione che per gli altri casi si ferma alla
semplice constatazione di spettacolarità2.
I film di guerra sono sostanzialmente di quattro tipi:
•
i film a carattere interamente documentario;
•
i film a soggetto di guerra, dove grande importanza acquisisce il contenuto
ideologico;
•
i film di rievocazione o ricostruzione;
•
i film a sfondo bellico, dove la guerra non si vede, ma crea l’atmosfera e
determina gli eventi.
1
2
L.L.Ghirardini, Il cinema e la guerra, p.11.
L.L.Ghirardini, op. cit. , p. 22.
25
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Nei periodi di guerra il cinema diventa strumento di propaganda, soprattutto nei Paesi a
regime totalitario, dove l’iniziativa privata viene del tutto soppressa e l’unica forma di
cinema è quella che cerca di convincere il pubblico della necessità della guerra,
installando l’odio per il nemico. Nei Paesi non a regime totalitario l’iniziativa privata
rimane, ma bloccata pesantemente dalla censura, che riflette le direttive degli organi del
governo. Tra i film di guerra hanno importanza particolare quelli cosiddetti patriottici o
nazionalistici, che esaltano la nostra guerra, non la guerra in generale, come necessaria
per la salvezza della civiltà.3
In entrambe le situazioni politiche , comunque, ebbero vita difficile i film a istanza
pacifista, perché mostravano il lato tragico della guerra, denunciavano gli orrori e le
stragi, anziché fornire epiche immagini sull’eroicità dei soldati che sacrificavano la loro
vita per la patria.
Già durante la prima Guerra Mondiale si poteva distinguere fra film bellicisti e pacifisti,
in quanto sia le nazioni belligeranti che i pacifisti avevano capito l’importanza del
cinema come strumento di propaganda. Dice Samuel Fuller, regista esperto di film di
guerra, in un suo intervento su “American Film” del novembre 1976:
“ Il film muto divenne l’agente pubblicitario della guerra. Surclassando i
giornali, le riviste, i discorsi, i film commossero il mondo, facendo sì che
il pubblico ridesse, piangesse, impazzisse, si aggregasse, combattesse. La
magia del cinema rese la morte eroica, le mutilazioni autentiche, le
mezze verità Vangelo.”4
3
L.L. Ghirardini, op. cit. , p.28.
F. Montini, E il cinema prese il fucile contro la guerra, da Cineforum, mensile di cultura
cinematografica,anno 22 num. 9 settembre 1982, p. 13. La citazione è tratta da “ Guerra da filman”
apparso sulla rivista “American Film”.
4
26
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Progressivamente il cinema pacifista si è diversificato da quello bellicista , ha smesso di
esserne semplicemente il negativo. Francesco Rosi , per esempio, reputa pacifista tutto
il Neorealismo italiano, in quanto i film di Visconti, De Sica e Rossellini cercavano di
affratellare gli uomini e, attraverso la critica delle ingiustizie sociali, stimolavano
un’azione pacifica e costruttiva.
Da un punto di vista quantitativo, i film di guerra superavano abbondantemente i film
sulla pace, e questo probabilmente perché il cinema preferisce raccontare lo
straordinario ( la guerra ) piuttosto che il normale ( la pace ).
Ma la guerra è anche fatta di immagini che vengono trasmesse alle generazioni che non
l’hanno mai vissuta, e queste immagini derivano principalmente dal cinema. Per questo
il ruolo della cinematografia è fondamentale e di grande responsabilità, come rileva il
critico Pietro Pintus:
“ In un mondo mediologicamente omogeneizzato, lo spettro della guerra
finisce con l’assumere, in immagini, il fascino sinistro dell’alta
sofisticazione tecnologica e dà spazio all’amplificazione competitiva di
un apocalittico quanto dissennato war game”.5
I film di guerra sono documenti necessari per capire un periodo storico, in quanto
riflettono le tendenze del pubblico e le direttive dall’alto, sono il corrispettivo
ideologico del governo. Il pubblico in particolar modo influenza anche i film di
propaganda, che vengono modificati a seconda di chi dovrà guardarli.
5
F. Montini, art. cit., in Cineforum, anno 22 num. 9 settembre 1982, p. 16. Sempre in questa pagina è
riportato un altro intervento di Fuller su “American Film”: “ Se ogni nazione facesse i film di guerra che
indicassero i veri motivi che l’hanno spinta a entrare nel conflitto, ciò farebbe comprendere ad ogni
soldato perché combatte. Questa comprensione non salverebbe la sua vita , ma c’è da sperare che
qualcosa di essa potrebbe trasmettersi alle generazioni future, fino al punto che l’uomo non sarà più così
facilmente e rapidamente indotto a farsi sparare in testa, plagiato da dittatori, politici, bandiere, tamburi,
parate.”
27
E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore.
Non è quindi il punto di vista estetico che deve interessare principalmente chi studia un
film di questo genere, poiché, come dice Balàsz “ nel cinema non è l’arte la cosa più
importante.6
2.2. Il rapporto tra immagine e guerra
E’ bene ricordare ora com’è nato il sodalizio tra mezzi di comunicazione e guerra, e per
fare questo bisogna tornare indietro al 1854, ai tempi della guerra di Crimea e
all’assedio di Sebastopoli.
In quella città russa, tenuta sotto scacco dalle truppe anglo- francesi, è presente un noto
testimone, Lev Tolstoj, capitano in seconda. E’ tra una pausa e l’altra dei vari
combattimenti, direttamente sul campo di battaglia, che egli scrive i suoi Racconti di
Sebastopoli, rivelando per la prima volta “in diretta” la drammaticità della guerra.
Anche sull’altro fronte vi è una grossa novità: a bordo di un carro coperto che reca sulla
facciata l’insegna “Photografic van”, arriva l’inglese Roger Fenton, attrezzato per il
procedimento a lastre umide e fornito di una tenda da adibire a camera oscura. Sarà il
primo fotografo di guerra. Purtroppo non c’è ancora la possibilità di documentare la
battaglia vera e propria, a causa dei lunghi tempi di posa e delle apparecchiature
complicate.
Da quel momento in avanti non ci saranno guerra o conflitti senza la presenza dapprima
di fotografi, in seguito di cineoperatori, infine di troupes televisive.7
La prima guerra ad avere una documentazione fotografica quasi esauriente fu la guerra
di Secessione americana ( 1861- 1865 ). Non vengono ancora documentate le battaglie, i
fotografi si tengono alla larga, ma il loro contributo iconografico sarà indispensabile per
6
7
L.L.Ghirardini, op. cit. , p. 30.
L’immagine va alla guerra, in Cineforum , anno 22-num. 9 settembre 1982, p.17.
28
E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore.
la realizzazione di film hollywoodiani che trattano l’argomento, primo fra tutti Via col
vento di Victor Fleming del 1939.
Da allora una schiera di fotografi itineranti andranno a documentare gli orrori della
guerra, talvolta creando anche falsi che spesso fanno il giro del mondo ( per esempio
durante la breccia di Porta Pia non ci sono fotografi a documentare, ma le foto circolano
lo stesso, grazie agli operatori che nei giorni successivi hanno vestito e istruito
comparse per creare la scena).8
Durante i conflitti Mondiali del Novecento i cineoperatori sono già sul fronte a
documentare la vita dei soldati, le battaglie, le crudeltà, nei cosiddetti Combat film,
come quello realizzato da John Huston durante la Campagna d’Italia ( 1943- 1945 )
della Seconda Guerra Mondiale, e intitolato The battle for S. Pietro, girato durante i
combattimenti sulla linea Gustav. Negli Stati Uniti la produzione cinematografica era
seguita con attenzione dall’alto comando militare quando lo stesso Pentagono non
diventava produttore e distributore di film.9
Da allora in avanti ogni conflitto è documentato dalle immagini che le troupes televisive
catturano per diffondere al grande pubblico. Infatti con la guerra totale si passa dal
segreto militare ( verità differita dal campo di battaglia ) alla sovraesposizione della
diretta, poiché con i bombardamenti strategici, tutto è ormai nelle vicinanze delle città, e
non sono più in pochi ad essere spettatori sopravvissuti dai combattimenti, ma la massa.
Le reti televisive americane diffondono informazioni 24 ore su 24, ma senza commento,
solo immagini, che sono la materia prima della visione, il più affidabile possibile.10
8
Cineforum, anno 22 – num. 9 settembre 1982, p.18- 19.
P.Virilio, Guerra e cinema.Logistica della percezione, p. 20.
10
P. Virilio, op. cit. , p. 93.
9
29
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2.3. Il cinema hollywoodiano e la guerra
Nel corso del secondo conflitto mondiale, il cinema hollywoodiano trattò moltissimo il
tema bellico o antinazista. Il governo e gli interventisti ritenevano che film di questo
genere avrebbero potuto spronare la gente a combattere e cercarono perciò di
incoraggiarli in ogni modo. Si calcola che fra il 1942 e il 1945, Hollywood, la più
importante "fabbrica cinematografica" del mondo, abbia prodotto circa cinquecento
lungometraggi a tema bellico, per non parlare poi di quelli che, sullo stesso argomento,
vennero girati anche negli anni a venire.
La proliferazione di film sul tema è imputabile in parte al desiderio degli Americani di
capire di più su questo conflitto, in cui si erano trovati a combattere, loro malgrado, dal
1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor. Le sofferenze e i disagi che la
popolazione era costretta a sopportare erano numerosi e riuscire a trovare una risposta ai
propri quesiti era desiderio comune; il cinema poteva essere un valido aiuto: le case
produttrici non si lasciarono sfuggire l’occasione che per loro era pochissimo umanitaria
e molto economica e cominciarono a trattare la guerra in tutte le sue sfumature.
Nel 1934, Hollywood, sotto la pressione di molti addetti ai lavori e di molti cattolici,
dopo i disagi della Grande Depressione, era arrivata a stilare un codice di
autoregolamentazione, in base al quale dovevano essere girati solo film di evasione: il
cinema, d’ora in poi, avrebbe dovuto essere esclusivamente occasione di divertimento.
Le tematiche sociali subirono una brusco calo di interesse da parte di produttori e
registi: la gente aveva il diritto di divertirsi, almeno al cinema.Non potendo considerare
la guerra un soggetto leggero o spensierato, per affrontarlo Hollywood andava contro
le disposizioni di qualche anno prima, ma, questa volta, precisi ordini vennero dall’alto;
governo e studios si accordarono: Roosevelt e gli interventisti, decisi a prendere parte al
30
E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore.
conflitto mondiale, capirono che il cinema era un mezzo insostituibile per trascinare
l’America a combattere e fecero di tutto per sfruttarlo a dovere. 11
Del resto, pare che il presidente avesse una dote innata di comunicare e fosse abilissimo
ad utilizzare i mass media a suo vantaggio. Non bisogna scordare poi che negli anni
Trenta
e
Quaranta
il
cinema
aveva
un
potere
unico
sulle
masse.
La gente veniva influenzata dal cinema e Roosevelt dimostrò di averlo compreso
benissimo. Il presidente decise di circondarsi di una valentissima équipe di
collaboratori, che avrebbero dovuto svolgere una funzione di mediazione fra la sua
politica e Hollywood, tra cui i famosi e apprezzati giornalisti : Elmer Davis,
commentatore radiofonico (messo a capo dell’Ufficio di Informazioni militari), Lowell
Mellett (a guidare l’Ufficio pellicole dell’OWI (Office of War Information).
Con l’aiuto dell’OWI che, per trattare di cinema, si appoggiava al "Bureau of Motion
Pictures", il governo cominciò a plasmare il contenuto dei film; gli ufficiali responsabili
imponevano determinati soggetti, ne proibivano altri, pretendevano di leggere tutte le
sceneggiature, intervenendo e apportando modifiche. Spesso nascevano equivoci e
incomprensioni con gli scrittori dei dialoghi e con i registi, ma il governo esigeva piena
libertà di azione: prima che si iniziasse la lavorazione di qualsiasi lungometraggio, il via
libera doveva venire dall’OWI.
E’ da ricordare fra l’altro, che nel corso del conflitto molti sceneggiatori si unirono,
dando corpo alla "Hollywood Writers’ Mobilization", un organismo indipendente
animato dall’unico desiderio di vincere la guerra; il governo era contento di potere
contare sempre sul loro appoggio: essi scrivevano discorsi, opuscoli, sceneggiature di
film, tutti di netto orientamento interventista e militarista. Nel frattempo, gli equilibri
11
C.Koppes e G.Black, La guerra di Hollywood. Politica, interessi e pubblicità nei film della Seconda
Guerra Mondiale, p. 21-26.
31
E’ vietato ogni tipo di riproduzione dei contenuti se non autorizzato in forma scritta dall’autore.
politici e le prese di posizione naziste cominciavano a creare dei problemi ai produttori
hollywoodiani che, fino alla fine degli anni Trenta, dipendevano economicamente dal
mercato
mondiale
(il
40%
degli
incassi
proveniva
infatti
d’oltreoceano).
I nazisti iniziarono col chiedere che tutti gli impiegati non ariani venissero licenziati: gli
studios obbedirono in parte, licenziando solo i loro dipendenti in Germania. Seguirono
poi, nel Reich, le "Leggi di Norimberga" : furono proibiti i film interpretati da attori
ebrei e si stabilì che solamente venti lungometraggi americani potessero essere proiettati
in Germania. Il 17 agosto 1940, vietarono del tutto i film americani nel territorio sotto il
loro controllo.
Man mano che questi provvedimenti aumentavano e che il pericolo della guerra per
l’America cresceva, gli studios assunsero un netto atteggiamento interventista, in linea
con la politica del Presidente. Oltretutto, l’OWI rilasciava i permessi di esportazione
delle pellicole e controllava la loro proiezione nelle zone libere o liberate dall’invasione
nazista: visto che dall’estero, come già ricordato, arrivava una notevole parte del
guadagno, i produttori trovavano utile obbedire alle direttive governative.
L’OWI non si limitava a dare dei consigli generici a Hollywood. Nel 1942 infatti, stilò
addirittura un "Manuale informativo del governo per l’industria cinematografica". I
produttori di film, prima di cominciare la lavorazione di un’opera, si sarebbero dovuti
quesiti12,non proprio cinematografici:
soffermare su questa lunga serie di
"1-Questo
film
ci
aiuterà
a
vincere
la
guerra?
2-Quali informazioni belliche si richiedono per chiarire, drammatizzare o interpretare il
problema?
3-Se si tratta di un film d’evasione, danneggerà lo sforzo bellico creando una falsa
12
Koppes- Black, op. cit., p 78.
32
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immagine dell’America, dei suoi Alleati, o del mondo in cui viviamo?
4-Il film usa semplicemente la guerra come sfondo solo per incassare più soldi, non
contribuendo con alcunché di significativo allo sforzo bellico e magari riducendo gli
effetti
che
potrebbero
avere
altri
film
di
maggiore
impegno?
5-Contribuisce con qualcosa di nuovo alla nostra comprensione del conflitto mondiale e
delle varie forze che vi sono coinvolte, o il soggetto è già stato sufficientemente
sfruttato?
6-Quando il film raggiungerà la massima distribuzione, rifletterà le condizioni così
come saranno e riempirà un bisogno di quel preciso momento, o sarà già superato?
7-Il film è veritiero o hanno ragione i giovani d’oggi di dire che sono fuorviati dalla
propaganda?”
Le polemiche sollevate dagli isolazionisti, arrivarono rapide e pesanti: accusarono
Hollywood di produrre film propagandistici e incolparono il governo di plagiare gli
studios.Per gli oppositori non c’era ragione di intervenire in questa guerra. Comunque,
fino all’attacco di Pearl Harbor, non si può ancora parlare di film di guerra veri e propri,
con uomini impegnati in imprese belliche, su campi di battaglia e in operazioni di prima
linea, a meno che non si tengano in considerazione quei pochissimi film (come I
fucilieri delle Argonne –The Fighting 69th- di William Keighley del 1940 o Il sergente
York ( Sergeant York) di Howard Hawks del 1941) in riferimento però alla prima guerra
mondiale.
Fino al 1941 compaiono piuttosto opere antinaziste: Confessione di una spia nazista
(Confessions of a Nazy Spy), del 1939, di Anatole Litvak, è al proposito un film molto
significativo, che racconta la storia di agenti del governo a caccia di nazisti. Litvak, con
questo film, innescò nel pubblico un vero e proprio incubo da spia.
33
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La palma al merito, nel genere antinazista, va però a The great dictator (Il grande
dittatore) di Charlie Chaplin.13 L’attore e regista inglese scelse di prendere Hitler a
soggetto di un suo film sul finire degli anni Trenta, quando gli mostrarono alcune
fotografie con il capo dei nazisti durante un discorso. Chaplin riconobbe in Hitler alcuni
tratti somatici tipici del suo personaggio. Decise dunque di girare un film interpretando
il doppio ruolo di oppresso e oppressore, un barbiere ebreo e il capo dei nazisti.
Come è tipico di Chaplin, il soggetto è trattato in chiave comica, una comicità però,
venata di satira pungente e di riflessioni drammatiche e dolorose,e il discorso vale
soprattutto per quanto riguarda la critica del nazismo e del razzismo. La guerra, infatti,
combattuta in nome della salvaguardia della democrazia, è sacrosanta e doverosa, i
soldati non sono invitati a gettare le armi, bensì a combattere in nome della libertà.14
Alcune sequenze sono puramente "comiche",altre invece più angoscianti. Alcuni
cammei rimarranno sicuramente nella memoria del cinema, come quando il dittatore
balla, lento ma esaltato, sul preludio del Lohengrin di Wagner, facendo volteggiare in
aria un pallone che rappresenta il mondo, che alla fine gli scoppia fra le mani;
significativamente contrapposta a questa danza, c’è quella del barbiere ebreo, sulla
marcia ungherese di Brahms. Chaplin, fin dall’inizio del film, prende delle posizioni
chiare contro il nazismo; questa infatti è la didascalia di apertura: "Questa storia si
svolge tra le due guerre mondiali, in un periodo in cui la pazzia prese il sopravvento, la
libertà fu calpestata e l’intera umanità gravemente bistrattata ".
La chiave comica fu utilizzata in altri film sull’argomento, in modi diversi: Lubitsch
tentò di ridere dei nazisti con Vogliamo vivere ( To Be or not To Be )del 1942,
13
Già nel 1918 Chaplin aveva fatto una feroce satira della guerra con Shoulders arms (Charlot soldato),
in cui criticava sia il Kaiser Guglielmo che gli alleati Poincarè e il re d’Inghilterra. In L. L. Ghirardini, op.
cit. ,p. 269.
14
L.L.Ghirardini, op. cit., p.270.
34
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ricostruendo ironicamente la presa della Cecoslovacchia, ma sollevò delle polemiche;
molti infatti sostenevano che era immorale ridere di una situazione che stava mietendo
migliaia di vittime. Walt Disney poi realizzò un’opera antinazista nel 1943, Il volto del
Fürher, in cui compariva Paperino nelle insolite vesti di un oppositore del nazismo.
L’idea di immettere l’antinazismo in film di divertimento, fu del resto sempre sostenuta
anche dall’OWI: "La via più facile per instillare un’idea propagandistica nelle menti di
molte persone è di contrabbandarla attraverso film d’intrattenimento, perché chi li vede
non si rende conto che le state propagandando".
Anche Alfred Hitchcock, arrivato ad Hollywood dall’Inghilterra, realizza con Il
prigioniero di Amsterdam ( Foreign Correspondent )del 1940, un interessante film
antinazista. Questo ed altri del periodo (come ad esempio Maschere e pugnali – Cloak
and Dagger- del 1946 di Fritz Lang, o La casa della novantaduesima strada –The
House on 92nd St.-di Henry Hathaway) si avvicinano molto al genere poliziesco,
attraverso intrighi e trame di spionaggio (del resto sono gli anni in cui il genere noir
prende piede). Il soggetto bellico compariva perciò con una frequenza sempre crescente:
il governo lo imponeva, la gente lo gradiva e i produttori, incassando, lo mettevano un
po’ ovunque. La guerra poteva fare da sfondo ad una storia d’amore, o accompagnare le
vicissitudini di qualche eroe solo contro tutti. Perfino Tarzan nel 1942, si trovò a
combattere a fianco degli alleati, in Il trionfo di Tarzan ( Tarzan Triumphs) 15
Talvolta la guerra era vista dall’angolazione di chi ne subiva le conseguenze senza
prenderne parte, come in Da quando te ne andasti ( Since You Went Away)di John
Cromwell del 1944, dove sono messe in luce le difficoltà di alcune donne che attendono
il ritorno dei loro uomini. Anche La signora Miniver (Mrs Miniver ), di W. Wyler del
15
Koppes- Black, op. cit.,p.72.
35
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1942 si inserisce nello stesso genere, trattando di una famiglia inglese che subisce i
disagi del conflitto. Altre volte capita che elementi fantastici entrino in film di guerra,
come in Joe il pilota ( A Guy Named Joe ) di Victor Fleming del 1943, dove il
protagonista, morto durante un combattimento, ritorna come fantasma, visto dal
pubblico ma non dagli altri personaggi. Spesso l’intento persuasivo è implicito (ma
proprio per questo più sottile e incisivo), perché alcuni film sono ambientati in anni
antecedenti a quelli del conflitto mondiale; come ad esempio in Il sergente York
16
di
Howard Hawks, del 1941, in cui Gary Cooper interpreta la parte di un contadino del
Tennessee obiettore di coscienza, che sentendo il dovere di combattere diventa un eroe:
un chiaro messaggio rivolto a tutti i giovani esitanti ad imbracciare le armi. Altri film
privilegiano maggiormente il tema della resistenza, come Il giuramento dei forzati
(Passage to Marseille, 1944) di Michael Curtiz, Anche i boia muoiono (Hangmen Also
Die, 1943) e Il prigioniero del terrore (Ministry of Fear,1945), entrambi di Fritz Lang.
17
Ma il film più noto, a tema resistenziale, è sicuramente Casablanca18( M. Curtiz , 1942
): facendo leva sul fascino di Humphrey Bogart e Ingrid Bergman e sul romanticissimo
leit-motiv al pianoforte, ottenne un successo davvero notevole . Questo film, incentrato
sulla resistenza, voleva dimostrare che, anche se il nemico è forte, le coscienze degli
oppressi possono restare salde e vigili. Una delle scene più toccanti è al proposito quella
in cui, nel locale gestito da Rick (il gelido Humphrey), tutti si alzano in piedi a cantare
La Marsigliese, sfidando l’ira dei tedeschi: lo spirito di libertà e indipendenza dei popoli
16
L.L.Ghirardini, op. cit., p.220-221.
Lang , di nazionalità austriaca, inizia la sua carriera di regista in Germania per l’UFA.Nel 1934 si
trasferisce negli Stati Uniti, come molte altre personalità della cultura tedesca.
18
Koppes- Black, op. cit., p. 318- 321.
17
36
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non si può sopraffare. Messaggi dunque, di incitamento, di rafforzamento delle
coscienze, di spinta ad agire.
Quello che emerge limpido e chiaro, però, è che almeno fino alla fine del decennio, non
compaiono film di critica alla guerra, o per lo meno antimilitaristi. L’intento di
convincere il pubblico sulla necessità del conflitto era evidente. Anche l’esercito , e non
solo il governo, cercava di utilizzare il cinema per sostenersi. Decise quindi di affidare a
Frank Capra19 la regia di sette film da mostrare alle reclute, che documentassero la presa
di potere nazista e fascista in Europa, e militarista in Giappone. Capra, già celebre per
Accadde una notte ( It Happened One night)e Mr. Smith va a Washington (Mr. Smith
Goes to Washington), era entrato nell’esercito americano dopo Pearl Harbor ed era
riuscito ad ottenere il grado di colonnello. In questi documentari, strutturalmente un po’
schematici e ripetitivi, emergono tratti tipici della sua produzione: il didascalismo per
esempio, ossia il desiderio di insegnare, di trasmettere soprattutto alla gioventù, valori
positivi. Interessante è l’excursus storico che Capra compie di ogni nazione trattata, dal
punto di vista del popolo. Il primo dei sette film che girò,Why we fight- Vigilia di
guerra, vinse nel 1942 un Oscar come migliore documentario e Roosevelt, visto
l’enorme successo, decise di distribuirlo nelle sale.
Ci sono delle caratteristiche che emergono comuni, in quasi tutti i film sulla guerra
realizzati nel periodo bellico: l’immagine del nemico per esempio; i lungometraggi
furono sempre molto critici nei confronti del nazismo. Importante è però sottolineare
come Hollywood tenesse a distinguere tedeschi buoni da tedeschi cattivi.20 L’OWI
cercò sempre di separare il concetto di nemico ideologico, da quello di nemico razziale:
non erano una razza o un paese intero a comportarsi male, ma alcune persone fedeli di
19
20
Koppes- Black, op. cit., p.318- 319.
L.L. Ghirardini, op. cit, p. 240
37
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un’ideologia sbagliata. Non aveva senso quindi ispirare odio nei confronti delle masse.
Ben diversamente il cinema si comportò con i nemici giapponesi, che non erano trattati
come uomini, individualmente, ma nella loro totalità, come una razza spietata e crudele.
In Little Tokyo, USA21 ( Twentieth Century Fox, 1942 ) si cercava addirittura di
giustificare l’arresto di tutti i discendenti giapponesi. In Gung Ho! 22( Universal, 1943) i
giapponesi venivano rappresentati come orde di selvaggi.
Frank Capra in Know Your Enemy- Japan (1945)23 paragonava i giapponesi a delle
"copie ottenute da uno stesso negativo". Gli americani non sopportavano i loro nemici
asiatici: nel 1944 un sondaggio accertò che il 13 % degli americani voleva uccidere tutti
i giapponesi e nel 1945, dopo Hiroshima e Nagasaki, il 22 % disse che avrebbe preferito
che fossero state sganciate più bombe atomiche sul Giappone. Koppes e Black hanno
avanzato l’ipotesi interessante che questa differente rappresentazione, nei film, dei
nemici europei e asiatici, sia dipesa dalla diversità dei luoghi in cui la guerra venne
combattuta: in Europa ci si batteva in zone civilizzate, in città e campagne abitate e
quindi
anche
i
nemici
erano
visti
come
uomini.
Sul versante Pacifico invece, la guerra si svolgeva in luoghi inospitali, che facevano
considerare i nemici alla stregua di selvaggi. Pure l’immagine degli americani risulta
piuttosto statica, anche se, come è ovvio, diametralmente opposta a quella dei
giapponesi; quando sono in guerra, questi bravi ragazzi pensano spesso a moglie e figli
(frequenti i flashes back e i sogni), combattono conservando nel loro cuore l’ideale della
famiglia, per lasciare un mondo migliore alle generazioni future. Vengono sottolineati
valori
tipicamente
americani
come
la
semplicità,
la
lealtà,
il
coraggio.
Altri film vogliono insistere invece sulle imprese valorose ed eroiche compiute dai
21
Koppes- Black, op. cit., p. 87.
Koppes- Black, op. cit., p.293- 294
23
Koppes- Black, op. cit., p. 279- 280.
22
38
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soldati americani, pronti, con coraggio e temerarietà, anche a rischiare la vita: così è per
I forzati della gloria ( The Story of G. I. Joe ) del 1945 di Wellmann, I sacrificati (
They Werw Expendable )del 1945 di Ford e Montgomery, Forze aeree/ Arcipelago in
fiamme ( Air Force )del 1943 di Hawks.
C’è chi poi ha voluto criticare l’immagine delle donne nei film di guerra, spesso dipinte
come totalmente dipendenti dall’uomo, soprattutto psicologicamente, prive di desideri e
aspirazioni. Frustranti erano anche i ruoli interpretati dai neri durante questo periodo- e
non solo nei film di guerra -,sempre gli stessi: donne robuste addette ai lavori domestici
(tipo la Mami di Via col vento), braccianti occupati nelle faccende più umili, abili
ballerini di tip tap. "In generale i neri sono presentati come fondamentalmente diversi
dalle altre persone, senza alcuna parte di rilievo nella vita della nazione, persone che
non offrono nulla, non contribuiscono, non s’aspettano nulla": questo compare in
un’analisi dell’OWI del 1943.24 Il governo cercò di opporsi a tale rappresentazione delle
persone di colore, controproducente per la guerra: anche i neri, che comunque
costituivano una percentuale importante della popolazione americana, dovevano essere
stimolati
dal cinema a combattere; dovevano quindi essere impiegati in ruoli
significativi.
C’era dunque un preciso interesse politico nel tentativo di migliorare l’immagine dei
neri nei film: rendere più valido il loro apporto alla guerra.
Di fatto però non si riuscì, negli anni della guerra, a proporre delle modifiche
significative; uno studio della Columbia University del 194525 rilevò che, nei film usciti
durante la seconda guerra mondiale, il 75% dei neri erano figure stereotipate, il 13%
prive di rilievo e solo il 12% erano positive. L’unica soluzione, se così si può dire, che
24
25
Koppes-Black, op. cit., p. 201
Koppes- Black, op. cit., p. 207.
39
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si riuscì a trovare, fu quella di eliminare i ruoli interpretati dai neri, riducendo però in
questo modo le possibilità di lavoro agli attori di colore: ossia, per evitare di vedere i
neri nella stesse parti trite e ritrite, li si toglieva del tutto. Nei lungometraggi girati
durante il periodo bellico, si possono dunque riscontrare dei messaggi costanti, delle
caratteristiche comuni che rimbalzano identiche di film in film. Non mancarono casi in
cui la personalità del regista riuscì comunque ad esprimersi in modo netto e deciso ( Il
grande dittatore, per esempio); più frequentemente però si assistette alla produzione di
opere schematiche e ripetitive, animate unicamente dallo scopo di presentare quella
guerra
come
un
evento
positivo,
40
portatore
di
bene.
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2.4. Il cinema di guerra italiano dopo il secondo conflitto mondiale
Il primo film italiano di qualche rilievo fu La presa di Roma di Filoteo Alberini del
1905, pellicola di genere storico che narrava le gesta del 1870. Già da allora si capì che
la guerra era un elemento dotato di grandi capacità spettacolari.
Si produssero film bellici durante la prima Guerra Mondiale ( La guerra e il sogno di
Momi del 1916, Maciste alpino del 1917),ma il pubblico di allora voleva vivere la
guerra come esperienza sentimentale e culturale. Sull’opposto versante della
documentazione molti furono gli operatori mandati al fronte26.
Con l’avvento del fascismo si celebravano le guerre coloniali ( Kiff Tebby di Mario
Camerini del 1928 ), e arrivando in prossimità del secondo conflitto mondiale la
produzione di pellicole di genere bellico aumentò ( Le scarpe al sole di Marco Elter del
1935, Il grande appello di Camerini del 1936, dello stesso anno Squadrone bianco di
Augusto Genina e del 1938 Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini) , fino a
toccare il suo culmine durante la guerra.
Nell’immediato periodo postbellico e per tutto il decennio successivo, l’Italia produsse
una buona quantità di film di questo genere, tra di loro divisibili in vari filoni che
toccano ogni aspetto del conflitto appena concluso, e non solo quelli che riguardano da
vicino le vicende vissute dal popolo e dagli eserciti italiani.
Per vent’anni dopo la guerra vengono realizzati film di montaggio, ovvero opere che
trattano l’argomento bellico assemblando spezzoni documentari provenienti da tutto il
mondo , come nel caso del primo di questi film, Guerra alla guerra di Romolo
Marcellini e Giorgio Simonelli del 1946. Prodotto dalla Orbis Film, società legata alla
Chiesa, il documentario dimostra come l’assemblaggio delle immagini rifletta la volontà
26
G. P. Brunetta, Storia del cinema italiano 1895- 1945, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 190- 191.
41
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dei cineasti di mettere in buona luce la figura di papa Pio XII non citando neppure
l’olocausto, che si svolse sotto il suo pontificato27. Altre volte, invece, non si ha una
vera e propria presa di posizione, come nel caso di Continenti in fiamme, realizzato da
Cesare Rivelli nel 1955 con materiale derivante dai cinegiornali di tutta Europa.
Ma questo genere di film trova la scarsa adesione del pubblico, che è restio a rivivere
quei momenti, e preferisce i film di fiction, che cominciano ad affrontare le diverse fasi
della guerra.
Il primo film del dopoguerra che tratta delle battaglie combattute sul fronte africano è
Teheran, una coproduzione italo- inglese del 1946 realizzata da William Freshman e
Giacomo Gentilomo. Affrontando il tema dell’attentato progettato dai nazisti contro
Roosevelt, inaugura un filone che avrà seguito negli anni Sessanta con film come
Attentato ai tre grandi e Uccidete Rommel!.
Le pellicole degli anni Cinquanta sulla guerra in Africa riprendono le velleità eroiche
dei film di guerra fascisti, creando una continuità ideologica col passato: si tratta di La
pattuglia dell’Amba Alagi ( Flavio Calzavara, 1953), Divisione Folgore ( Duilio Coletti,
1954), El Alamein ( Guido Malatesta, 1957).
Solo negli anni Sessanta ci sarà un cambiamento di rotta verso gli aspetti più personali
dei personaggi, che trasformano i combattimenti in una sorta di guerra privata, e questa
influenza arriva dagli Stati Uniti, che con la Guerra Fredda e la fine del maccartismo,
danno una svolta al cinema bellico.28
Per quanto riguarda il fronte greco e quello orientale, rimane a livello di progetto
L’armata Sagapò, che denuncia il comportamento delle truppe italiane nei confronti
delle donne greche, e che costa a Renzo Renzi, critico che scrive per la rivista “ Cinema
27
Il saggio di M. Flores contenuto in La cinepresa e la storia, dal titolo Storia e falsificazione filmica ( p.
74 ) offre un approfondimento sulla non oggettività dei film di montaggio.
28
L.L.Ghirardini, op. cit., p. 16.
42
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Nuovo” , una denuncia, un arresto e un processo da parte del Tribunale Militare di
Milano solo per averne parlato in un suo articolo29.
Nel 1956 Osvaldo Langini, su questo argomento, realizza Ciao Pais!, che richiama Le
scarpe al sole di Marco Elter del 1935, mentre della fine della cavalleria italiana nelle
steppe della Russia parla Carica Eroica, di Francesco De Robertis del 1952.
La campagna d’Italia, iniziata con gli sbarchi alleati del 1943 e conclusa con la
liberazione dell’intera penisola nel 1945, fu trattata con continuità nei film dagli anni
Quaranta in avanti, con i primi esempi già nelle pellicole della Repubblica di Salò.
Il primo film del dopoguerra su questo argomento è Montecassino di Arturo Gemmiti
del 1946. Prodotto dalla Pastor Film, altra società legata alla Chiesa, affronta l’episodio
del bombardamento della celebre abbazia benedettina
con intenti neorealistici e
documentari30.
Dello stesso anno è Ultimo amore di Luigi Chiarini, che risulta però essere un film
sentimentale ambientato durante la guerra, mentre del 1948 è La grande strada di
Vittorio Cottafavi, che apre la via al melodramma di ambientazione bellica.
Durante gli anni Cinquanta vengono prodotti, sempre riguardo ai combattimenti in
Italia, Trieste mia ( Mario Costa, 1951), Penne nere ( Oreste Biancoli, 1952), e Napoli
’43, episodio diretto da Roberto Rossellini per il film Amori di mezzo secolo del 1953,
mentre gli anni Sessanta vedono il già citato spostamento di punto di vista dall’aspetto
corale della guerra agli episodi personali31.
Mentre lo sbarco in Normandia e l’occupazione della Germania sono argomenti
affrontati solo a partire dagli anni ’60, già dagli anni ’40 trova larga diffusione quel
filone di film che affrontano la guerra sui mari. Punto di forza della propaganda
29
R.Renzi, L’armata Sagapò, in “ Cinema Nuovo”, n. 4, 1 febbraio 1953, p.73.
G. Casadio, La guerra al cinema , p. 47, e AA.VV, La cinepresa e la storia , p.129.
31
Il primo film di questo genere è Tiro al piccione, di Giuliano Montaldo del 1961.
30
43
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cinematografica durante il fascismo, nel periodo postbellico ritorna con la stessa enfasi
nei “ film di propaganda militarista legata alla politica imposta dalla Guerra Fredda”32.
Questo filone è inaugurato nel 1941-42 da Roberto Rossellini e Francesco De Robertis
con i film La nave bianca, Uomini sul fondo, e Alfa Tau! ,e nel dopoguerra le pellicole
di questo tipo servivano ad esaltare gli atti eroici e a giustificare la guerra, ponendo la
Marina Militare al di sopra di tutte le Forze Armate. Furono soprattutto Francesco De
Robertis e Duilio Coletti a portare avanti questo discorso, il primo con Fantasmi del
mare del 1948 e Mizar del 1953, il secondo con I sette dell’Orsa Maggiore nel 1952 e
La grande speranza nel 1954. Il ciclo si chiude nel 1963 con Finché dura la tempesta
di Bruno Vailati.
Influenzato dalle “spy stories” del cinema americano ( La casa della 92^ strada,di
Hathaway del 1946; Maschere e pugnali di Fritz Lang dello stesso anno ), anche il
cinema italiano cominciò a parlare di servizi segreti negli anni Cinquanta: sono di De
Robertis Uomini ombra del 1954 e La donna che venne dal mare del 1957, mentre
Coletti nello stesso anno gira Londra chiama Polo Nord.
Un capitolo a parte è occupato dai film che trattano dei campi di prigionia tedeschi e
alleati, ben distinti dai campi di sterminio nazisti. I primi sono descritti in film che
hanno anche momenti divertenti e spettacolari, pur non arrivando alla commedia pura,
come Natale al campo 119 di Pietro Francisci del 1947 e Gli Italiani sono matti di
Duilio Coletti del 195833.
Per i campi di sterminio, invece, il discorso è del tutto differente, in quanto i film che ne
parlano, rigorosamente drammatici, servono per tenere viva la memoria dell’olocausto.
32
G. Casadio, op. cit., p.81.
Il tema che affronta, cioè gli scherzi perpetrati dai prigionieri italiani in un campo di prigionia
americano, era già in Stalag 17 di Billy Wilder. In G. Casadio, op. cit., p.103.
33
44
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Il primo fu L’ebreo errante di Goffredo Alessandrini del 1948, ma bisognerà aspettare
fino al 1960 per vederne un secondo, Kapò di Gillo Pontecorvo.
Il gruppo di film più consistente del dopoguerra è però quello che tratta della
Resistenza.
I registi del dopoguerra appartengono per lo più alla generazione formatasi in epoca
fascista, cresciuta con la rivista “ Cinema” di Vittorio Mussolini; ma se prima i
problemi di libertà d’espressione erano consistenti, adesso questa libertà è maggiore.
Vengono prodotti quindi film dichiaratamente antifascisti, sia di fiction che
documentari.
Il primo documentario , girato a ridosso del 25 aprile 1945, è Aldo dice 26x1 di
Fernando Cerchio e Carlo Borghesio, che integra materiale autentico e ricostruzioni, che
hanno per protagonisti gli stessi partigiani negli stessi luoghi in cui si sono svolte le
azioni, a cui seguono Giorni di gloria del 1945 di Visconti- Pagliero- Sarandrei- De
Santis e Tragica alba a Dongo di Vittorio Crucillà del 1949- 50.
Per quanto riguarda i film di finzione, con la nascita del film resistenziale inizia una
nuova cinematografia italiana, che sfocia nel 1945 nel neorealismo, una vera e propria
rivoluzione per quanto riguarda i soggetti, la recitazione, le ambientazioni; è la gente
della strada questa volta a recitare la sua tragedia, non più gli attori professionisti.
I nuovi registi iniziano a proporre film diversi dalle solite commedie di stampo
statunitense, per parlare della Resistenza in modo più realista ( Roma città aperta di
Rossellini del 1945, che inaugura ufficialmente il neorealismo) o meno realista ( Due
lettere anonime di Mario Camerini, già famoso per le sue commedie sotto il regime, del
194534).
34
R Campari, Fascismo e Resistenza: i generi filmici, in La cinepresa e la storia, p.91.
45
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Del 1945 è anche il primo film che cerca di unire il musical al tema resistenziale, cioè O
sole mio di Giacomo Gentilomo, ispirato probabilmente ad alcuni musical di guerra
americani35.
La maggior parte delle pellicole sulla Resistenza risalgono al 1946: Avanti a lui tremava
tutta Roma di Carmine Gallone, Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti, Pian delle
stelle di Giorgio Ferroni, Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, Caccia tragica di
Giuseppe De Santis, Il bandito di Alberto Lattuada ( già famoso in epoca fascista per le
sue prove calligrafiche ), Il corriere di ferro di Francesco Zavatta, Vivere in pace di
Luigi Zampa, fino ad arrivare a Paisà di Rossellini, l’unico vero prototipo di film
neorealista. Il cinema neorealista nasce dalla Resistenza e finisce quando la spinta ideale
ed emotiva che la sosteneva si affievolisce, travolta dai giochi della politica36.
Nel 1948 si ha una svolta nei film del genere: i temi sono diversi, meno rievocativi e
rivolti a ricercare spunti e riflessioni su tematiche particolari. Di quell’anno Lo
sconosciuto di San Marino di Waszynski e Cottafavi, e Gli uomini sono nemici di Ettore
Giannini. Il filone continua con La fiamma che non si spegne ( primo film che parla di
Salvo D’Acquisto ) di Vittorio Cottafavi del 1949 , Ombre su Trieste di Flavio Bianchi
del 1951, Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani dello stesso anno, e nel 1952 Nessuno ha
tradito di Roberto Bianchi Montero e Gli ultimi dieci minuti di Lionello De Felice (
episodio del film Cent’anni d’amore ).
La stagione delle rievocazioni fatte all’indomani degli avvenimenti raccontati è ormai
finita : la sconfitta elettorale delle sinistre nel 1948, la svolta politica su un fronte
centristico e conservatore che rende inattuali i temi resistenziali e la Guerra Fredda, che
suggerisce agli intellettuali di dedicarsi ad altro, fanno passare l’entusiasmo per il
35
36
R. Campari, op. cit., p.91.
G. Casadio, op. cit., p. 180.
46
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genere che per un lungo periodo viene dimenticato. Bisognerà infatti aspettare il 1959
per avere un nuovo film sulla Resistenza, Il generale Della Rovere ancora di Rossellini.
47
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2.5. Il cinema di guerra tedesco dopo il secondo conflitto mondiale
Il cinema del dopoguerra in Germania rimane ancorato a quello del III Reich,
soprattutto perché la maggioranza degli operatori cinematografici avevano già lavorato
dal 1933 al 1945, cioè sotto il regime nazista.
Con la sconfitta della Germania ebbe fine anche l’esperienza della casa produttrice
unitaria UFI, che era dapprima vicina allo Stato e in seguito di sua proprietà. Era questo
il maggior strumento di intrattenimento e propaganda dello Stato fascista.
Nella Repubblica Federale Tedesca ( BDR – Bundesrepublik Deutschland), ovvero la
parte della Germania rimasta in mano agli Alleati, si notò, già subito nell’immediato
dopoguerra, una rinascita del cinema, che aveva principalmente fini economici,
propagandistici e didattici, puntava cioè alla “rieducazione e alla democratizzazione
antifascista”.37
Dal 1946 si iniziò la ricostruzione di sale e studi, e si stabilì che le licenze per la
produzione dei film non potevano essere concesse alle società, secondo i criteri in uso
per la rieducazione antinazista e per la sicurezza politica. I film proiettati dal 1946 al
1948 sono 312 stranieri, 84 riedizioni di film tedeschi del Reich giudicati non
pericolosi, e solo 38 nuove produzioni delle due Germanie.
Il cinema tedesco è incapace di combattere con la concorrenza delle altre
cinematografie, non ci sono regole che favoriscano la produzione nazionale; i film sono
prodotti solo per il mercato interno e cominciano a svilupparsi dei generi
cinematografici in grado di captare gli stati d’animo degli spettatori in modo abbastanza
immediato.
37
G.P. Brunetta, Storia del cinema mondiale, volume III: l’Europa, Cinema tedesco 8occidentale) 19451960, di Imbert Schenk, p 652.
48
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Nella Repubblica Democratica Tedesca ( DDR – Deutsche Demokratische Republik)
,ovvero la porzione di territorio in mano all’Unione Sovietica, l’amministrazione
militare favorisce la riedizione e il doppiaggio dei film russi, solamente a fini didatticoideologici.
Nel 1945 a Berlino viene fondato il “Filmaktiv”, formato da cinque Tedeschi emigrati a
Mosca e dal regista Wolfgang Staudte, che ha come fine la creazione di una casa di
produzione tedesca autonoma, la Deutsche Film – AG (DEFA) , l’unica ad avere la
licenza nella zona di occupazione sovietica.
Il primo lungometraggio tedesco del dopoguerra fu proprio un film di critica al nazismo,
Gli assassini sono tra noi, girato da W. Kautner nel 1946.
Nel 1947 il Ministero sovietico per la produzione cinematografica si impadronisce della
DEFA con la conseguenza che la ripresa in questo ambito fu fortemente rallentata.
Ritornando al discorso sui generi cinematografici, la Germania produce, prima e dopo la
sua divisione, numerosi Heimatfilm ( film di contenuto patriottico- sentimentale),
Problemfilm, Arztfilm ( film di argomento medico), film storici, di guerra, di denuncia
sociale, commedie e film gialli, con un unico periodo di calo verso la fine degli anni
Cinquanta e l’inizio dei Sessanta per la diffusione della televisione.
I film di guerra sono in aumento verso la metà degli anni Cinquanta, in quanto negli
anni precedenti la situazione era ancora talmente precaria e legata ai traumi della guerra
da non ispirare nei cineasti alcuna speranza da poter accendere nel proprio pubblico.38
La rinascita avviene in corrispondenza del riarmo ed è favorita dalla sovranità nazionale
della BDR, coinvolta nella Guerra Fredda. Finora il cinema e i Tedeschi hanno sempre
cercato di prendere le distanze dalla storia, che diventa per loro fonte di colpe e
38
U. Barbaro, Il cinema tedesco.
49
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vergogne, ma nonostante tutto i cineasti tedeschi provano a fare cadere tutte le
responsabilità di quanto è accaduto, prima e durante la guerra, su Hitler e sulle alte sfere
dello Stato e del partito nazionalsocialista, falsando abbondantemente la realtà39.
Nel 1954- 55 viene prodotto 08/15 Kaputt di Paul May , sul romano di Hans Helmut
Kirst , di cui protagonista è il soldato semplice Asch , che rispecchia la mentalità
razionale tedesca degli anni ’50, e rappresenta l’immagine diffusa dalle nuove forze
armate federali. La tendenza di questo e altri film è pacifista, si accusa la crudeltà della
guerra cercando di mascherare un forte antibolscevismo e anticomunismo, soprattutto
nelle pellicole ambientate sul fronte orientale.Insieme a quest’opera si può citare,
sempre nello stesso filone antimilitarista, Der Hauptmann von Koepenick ( Il capitano
Koepenick) di H. Kautner del 195640.
Nel 1959 viene realizzato Die Bruecke (Il ponte) di Bernhard Wicki, in cui si presenta
l’accusa più radicale dello stereotipo nemico-amico e la descrizione dell’ambiente
cittadino in epoca nazista.
Molti film di questi anni lasciano da parte la fedeltà storica per far sì che lo spettatore si
scrolli di dosso il peso degli incubi del passato. Sono film di denuncia contro le barbarie
della guerra che riversano tutta la colpa “su quel Fuehrer il cui nome ieri i tedeschi
usavano persino per salutarsi ( Heil Hitler! Anziché Guten Morgen)”41.Fanno parte di
questo filone Die gruenen Teufel von Monte Cassino ( I diavoli verdi di Monte Cassino)
di Harald Reinl del 1958, dove i soldati tedeschi vengono presentati sotto una nuova
luce positiva; Soldatensender Calais ( Ferro e fuoco in Normandia) del 1961 di Paul
May, con lunghi brani autentici sullo sbarco; ancora la pellicola di Frank Wisbar
Stalingrad ( Stalingrado) del 1958.
39
L. L. Ghirardini, op. cit. ,p.102- 103.
U. Barbaro, op. cit.
41
L. L. Ghirardini, op. cit. , p. 105.
40
50
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Alcuni film rimangono ambigui, sospesi tra l’atto di accusa e la sottile esaltazione:
Kirmes ( La storia di un disertore) , di W. Staudte del 1960, realizzato nella BDR dopo
molti anni di lavoro nella DDR, dove aveva già girato nel 1950 Der Rat der Goetter ( Il
consiglio degli Dei), rimane il più rappresentativo.
Si producono pellicole sulla resistenza contro Hitler ( episodi per lo più inventati),
soprattutto a livello militare, operata dagli alti ufficiali dell’esercito: Division
Brandenburg ( Canaris) di Alfred Weidenmann, del 1954-55 e Der Teufels General ( Il
Generale del diavolo), di H. Kautner
del 1955. Sono esperienze individuali che
rappresentano l’impotenza degli eroi: ogni tentativo di resistenza è vano, se anche questi
uomini potenti hanno fallito.
Ancora L’antinazismo è presente in altre pellicole:Kinder, Mutter und ein General
(All’est si muore) di Laslo Benedek del 1955; Nachts wenn der Teufel kam ( Ordine
segreto del Terzo Reich) di Robert Siodmak del 1958, dove il nazismo rappresenta
l’espressione umana delle forze diaboliche; U-Boot 55 di Frank Wisbar del 1958, velata
accusa all’antisemitismo e al militarismo.
In alcune opere il tema dell’antifascismo è politicamente motivato, in particolare nella
descrizione degli ultimi giorni di Hitler e del suo attentato, compiuto il 20 luglio 1944.
Il primo film su questo soggetto è Der letzte Akt ( L’ultimo atto) di Georg Wilhelm
Pabst del 1953, cui fanno seguito due pellicole uscite entrambe nel giugno 1955, Es
geschah am 20 Juli ( Accadde il 20 luglio) di G. W. Pabst, che ricostruisce la giornata
dell’attentato, e Der 20 Juli ( Operazione Walkiria) di Falk Arnach, che critica il
comportamento della Wermacht, tema che risultava provocatorio nel 1955, perché si
tendeva a dare la colpa di tutto a Hitler e a ai suoi gerarchi nazisti.
51
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Con l’arrivo degli anni Sessanta i film di guerra continuavano ad essere prodotti, con un
boom negli anni Settanta. Dal 1962 il cinema tedesco comincia a slegarsi dal passato. E’
proprio il 28 febbraio del 1962 che i giovani cineasti riuniti al festival Oberhausen
pubblicano la loro dichiarazione : è necessario creare un nuovo cinema tedesco di
lungometraggio con libertà proprie, senza convenzioni , indipendente dalla
commercializzazione. E’ da questa data che si può finalmente parlare del Nuovo
Cinema Tedesco.
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3. LA CAMPAGNA D’ITALIA (1943-1945) : GLI SBARCHI
3.1. La svolta del 1943
Tra il 14 e il 24 gennaio 1943, il presidente americano Franklin D.Roosvelt e il primo
ministro inglese Winston Churchill, assieme ai massimi responsabili militari dei loro
Paesi, si incontrarono a Casablanca1, in Marocco, per definire le strategie militari da
adottare nell’anno appena iniziato.
Il 1942 aveva infatti visto un grande mutamento nel corso della guerra: le truppe Alleate
avevano conseguito le prime decisive vittorie sulle truppe dell’Asse2 e miravano a
spostare i fronti di combattimento in Europa e nella stessa Germania. Nel novembre
dello stesso anno 100.000 soldati angloamericani sbarcarono sulle coste dell’Africa
francese portando a termine la prima impegnativa operazione di assalto anfibia della
guerra ( operazione Torch), con lo scopo di eliminare ogni influenza dell’Asse su quella
zona e farne la base per le future operazioni in Europa. L’intera operazione fu affidata al
comando del generale Dwight D. Eisenhower, che considerava l’invasione dell’Italia il
primo passo per indebolire Hitler e minacciare da sud la stessa Germania, e permise agli
angloamericani di cementare la loro alleanza e di preparare la strada all’invasione dell’
Italia. Nelle intenzioni di Roosvelt e Chrchill l’operazione Torch avrebbe anche
mostrato allo stesso Stalin la solidità dell’alleanza, dimostrando che le truppe
1
Liddle Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, pp. 616 – 617.
Nel novembre 1942 le truppe tedesche, stremate dal freddo, subirono la controffensiva sovietica e
l’armata del maresciallo Von Paulus, che occupava Stalingrado, fu sacrificata dagli ordini di Hitler di
resistere ad oltranza fino a quando non capitolò (2 febbraio 1943) e fu ricacciata al di là del Don, in
Liddle Hart, op. cit., pp. 350 – 378.
In Africa le truppe inglesi del generale Montgomery, il 23 ottobre 1942, ebbero la meglio sulle truppe
italo-tedesche, ad El Alamein, che iniziarono a ritirarsi in Libia dall’inizio di novembre, in Liddle Hart,
op. cit., pp. 415 – 425.
Sul fronte del Pacifico gli Stati Uniti riuscirono ad arrestare l’espansione del Giappone riportando
importanti vittorie nel Mar dei Coralli, nei pressi delle isole Midway e a Guadalcanal, nelle isole
Salomone, in Liddle Hart, op. cit., pp. 485,489 – 496 e 501 – 509.
2
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angloamericane avevano aiutato l’Unione sovietica, impegnata all’interno del proprio
paese in durissime battaglie, costringendo Hitler a trasferire uomini e mezzi verso il
fronte mediterraneo.
3.2. Le decisioni di Casablanca
A Casablanca i capi delle potenze alleate, Churchill e Roosvelt, si riunirono per
pianificare una possibile spinta delle azioni militari verso il territorio tedesco. Alla
conferenza non partecipò Stalin, impegnato- ufficialmente - a combattere contro i
tedeschi all’interno dei confini della sua nazione, desideroso- in realtà- di studiare le
mosse degli alleati per presentare in seguito una proposta politica più vicina agli
interessi sovietici.
La decisione che caratterizzò maggiormente questo incontro africano tra i capi di Stato
fu quella di portare la guerra in Europa passando per la Sicilia. L’isola infatti distava
solo 145 Km dalle coste tunisine e rappresentava una via di comunicazione naturale tra
l’Africa e l’Europa e una importante testa di ponte per il controllo di buona parte del
Mediterraneo. Mentre il governo inglese non ebbe alcuna riserva su questa strategia, gli
americani, guidati in questa occasione militarmente dal capo di Stato Maggiore George
C.Marshall, avrebbero preferito attaccare direttamente la Germania, senza perdere
tempo con la conquista di avamposti periferici.
Ebbero comunque la meglio le posizioni di Churchill, seguito anche da Roosvelt: era
necessario distogliere le truppe tedesche dal fronte russo e preparare l’ingresso alleato in
Europa, sfruttando anche l’euforia degli eserciti per la vittoria sul fronte africano e la
disponibilità di uomini e mezzi a poca distanza dal nuovo teatro dei combattimenti.
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I capi di Stato Maggiore scelsero il generale Dwight D. Eisenhower come comandante
supremo dell’operazione siciliana, il generale Harold Alexander sarebbe invece stato il
vicecomandante delle operazioni di sbarco. Il suo XV Gruppo di armate aveva alle
dipendenze la VII Armata americana del generale Patton e la VIII Armata inglese del
generale Montgomery. L’inizio dell’operazione Husky, come fu chiamato in codice lo
sbarco in Sicilia, fu fissato per il 10 luglio.
Figura 1. Propaganda fascista contro gli Alleati
Figura 2. Porto di Sousse (Tunisia): preparativi per l'invasione dell'Italia
55
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3.3. Gli sbarchi alleati in Italia
Figura 3. Gli sbarchi alleati in Italia (1943 – 1944)
L’invasione della Sicilia ebbe inizio sulle spiagge di Gela, con gli americani di Patton, e
di Pachino e Siracusa per le truppe inglesi. Il 10 luglio, giorno dello sbarco, furono
occupate Gela e Siracusa, cinque giorni dopo Augusta cadde in mano agli Inglesi, il 22
luglio gli Americani entrarono a Palermo e si misero in marcia verso Messina per
aggirare le truppe tedesche che tenevano impegnati gli Inglesi nella piana di Catania e a
ridosso dell’Etna . Il 17 agosto l’evacuazione dei tedeschi e degli italiani dall’isola era
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fatto compiuto. Il dilagare degli Alleati fu favorito dalla scarsa combattività delle truppe
italiane, convinte che la lotta fosse inutile, soprattutto dopo il 25 luglio, quando il
fascismo si dissolse e si diffuse l’aspirazione alla pace immediata. I tedeschi erano
giunti in Sicilia da un paio di mesi, quando il capo di Stato Maggiore Ambrosio si
decise ad accettare il loro incomodo aiuto. Giunsero in Sicilia la divisione corazzata
delle SS , Hermann Goering3 , ed il terzo Panzergrenadier, ma il loro ruolo fu poco più
di un ostacolo rallentatore.
A Salerno lo sbarco alleato avvenne il 9 settembre 19434. Mentre in Sicilia non si trovò
una resistenza organizzata sulle spiagge, qui la quinta armata5 fu accolta da un fuoco di
sbarramento. Il comandante in capo Eisenhower aveva ritenuto inopportuno
ammorbidire la zona con bombardamenti aerei e navali preliminari sui centri abitati: da
poche ore era stato annunciato l’armistizio con l’Italia e gli Anglo-americani facevano
grande affidamento sulle truppe italiane e non volevano irritare le popolazioni con
bombardamenti. Purtroppo le cose non andarono come previsto: l’esercito italiano si
dissolse dopo l’armistizio dell’8 settembre e fece mancare totalmente la sua presenza sul
campo, mentre non ci fu la sorpresa dello sbarco e la quinta armata americana fu
costretta per giorni a rimanere sul litorale salernitano e sulle vie litoranee sotto il fuoco
dei tedeschi che bombardavano dai quartieri alti e dalle colline impedendo l’arrivo di
nuove truppe e di rifornimenti.
Mentre tra il 9 e il 15 settembre i combattimenti imperversavano sul litorale, l’armata di
Montgomery risaliva velocemente la penisola dalla Calabria. Il 16 settembre il corpo di
sbarco salernitano e le truppe provenienti dal sud si unirono: fu la fine della battaglia.
3
La Divisione fu fondata nel 1933 dal reparto di controllo poliziesco per la repressione delle attività
comuniste, fu poi ampliata e motorizzata. Fu sempre costituita solamente da volontari.
4
Operazione Avalanche (valanga), in I grandi fatti, p.1 e in Liddle Hart, op . cit., pp.645 – 654.
5
Armata americana guidata del generale Mark Clark, che nel suo libro Calculated risk (trad. V Armata
Americana) definisce questo sbarco “ quasi un disastro”
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Nei giorni successivi, dopo aver riorganizzato i vari corpi, le truppe alleate proseguirono
verso Napoli. La città venne liberata il giorno 1 ottobre, i tedeschi si erano già ritirati,
non senza però prima mettere a ferro e fuoco tutto, “fecero tutto il possibile per
distruggere i servizi pubblici, compresi l’elettricità, i trasporti e la rete idrica…l’acqua
era stata deliberatamente inquinata, i preziosi archivi della città dati alle fiamme e molti
edifici pubblici minati…in modo da causare le massime perdite alla popolazione
civile”.6
Il 9 ottobre fu raggiunto il fiume Volturno, ma occorse fino al 17 gennaio per arrivare al
confine tra Lazio e Campania. Iniziava il logoramento del fronte Garigliano-Cassino.
Per alleggerire questa situazione statica venne organizzato, il 22 gennaio 1944, un
nuovo sbarco ad Anzio di tre Divisioni americane e una inglese. L’obiettivo
dell’operazione7 era quello di tagliare la via Appia e la via Casilina alle spalle delle
truppe tedesche obbligandole a ritirarsi a nord, con il fine ultimo di raggiungere Roma8.
Il generale Lucas diresse lo sbarco preferendo consolidare le posizioni piuttosto che
andare alla conquista del vuoto di fronte a lui. Anzio risulta essere un episodio anomalo
nell’economia della campagna in Italia: per occupare la Sicilia furono necessari 37
giorni, solamente 21 per cacciare i Tedeschi a Salerno, 132 per risolvere la situazione ad
Anzio. Il controspionaggio tedesco non era a conoscenza dell’avvenimento e dalle 2 di
notte all’alba del 22 gennaio il porto di Anzio si riempiva di natanti americani mentre la
6
Il passo è tratto da G.A.Shepperd, La campagna d’Italia 1943-1945, p. 179.
Anche il generale Clark , nella sua opera già citata, racconta l’episodio e la strana sensazione provata
dalle truppe che in pochissimo tempo riuscirono a liberare la prima grande città italiana (p.214-215 ).
7
Operazione Shingle ( spiaggia ). In 14 giorni la marina alleata sbarcò ad Anzio 70000 uomini, 380 carri
armati, 4000 autocarri e 13900 automezzi leggeri. Il generale Lucas, duramente criticato da Churchill per
l’eccessiva prudenza, fu sostituito il 27 febbraio con Truscott, in I grandi fatti, p.4 e in Liddle Hart, op.
cit., p. 739.
8
In un telegramma di Churchill a Stalin si legge : “Abbiamo lanciato contro le forze tedesche che
difendono Roma una grande offensiva”( in Marcello di Falco, Gli sbarchi in Italia, p.3 )
58
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spiaggia di Lavinio accoglieva una Divisione dell’esercito inglese. Solo gli abitanti di
Anzio e Nettuno erano a conoscenza del fatto, contrariamente ai comandi tedeschi, ai
carabinieri di Roma e agli abitanti dei paesi limitrofi, che nel giro di poche ore
cessarono di esistere sotto il fuoco del bombardamento alleato. I bombardamenti
preventivi infatti questa volta ci furono, per evitare l’errore dello sbarco precedente, e
Cisterna ,Velletri e Lanuvio furono in poche ore rasi al suolo, lasciando le popolazioni
completamente allo sbando. Il 16 febbraio sferrarono l’attacco alla Hermann Goering,
senza però alcun risultato. Gli scontri avvennero soprattutto corpo a corpo, senza la
possibilità di impiego di armi a lunga gittata. L’attacco dell’ 11 maggio fu quello
risolutivo per le truppe alleate: costrinsero i Tedeschi ad arretrare sotto il fuoco che
diede il colpo di grazia ai pochi muri rimasti in piedi di Cisterna (occupata il 24
maggio) , Lunuvio e Velletri (occupate il 31 maggio ). L’esercito si unì finalmente con
le truppe che , passato il Garigliano, avevano occupato e superato Terracina. I Tedeschi
si ritirarono in Abruzzo. Nel pomeriggio del 4 giugno l’ 88^ Divisione corazzata
americana entrava nei quartieri a sud di Roma, mentre le zone oltre il fiume Tevere
caddero in mano agli alleati nelle prime ore del giorno seguente.
Figura 4. Flotta alleata davanti alla Sicilia
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Figura 5. Manifesto di propaganda tedesca che ironizza sulla lentezza dell'avanzata alleata in Italia
Figura 6. Propaganda fascista su "Il Tempo"
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4. LA CADUTA DEL FASCISMO
4.1. La fine del governo Mussolini
Il 1943 fu l’anno della svolta politica in Italia. Gli alleati avevano cominciato dalla
Sicilia la loro marcia di liberazione della penisola dalle forze nazifasciste.
Al fine di tutelare la monarchia e limitare i danni del tracollo militare, il re Vittorio
Emanuele III decise che era giunto il momento di liberarsi del duce1. Già dal gennaio di
quell’anno il re prese la decisione di riportare i poteri supremi nell’ambito delle
prerogative reali, valendosi della collaborazione di un ristretto gruppo di persone, tra cui
il duca Pietro d’Acquarone , Galeazzo Ciano e Dino Grandi2.
Il duce , dopo aver incontrato Hitler a Feltre il 19 luglio, si recò a Roma , dove il re gli
chiese un più consistente impegno militare dei tedeschi in Italia , pena l’uscita del Paese
dalla guerra . Il duce convocò il Gran Consiglio del Partito nazionale fascista il 24
luglio, per discutere sulla condotta politica da adottare. Avvertito da Roberto Farinacci
della volontà di Dino Grandi di redigere un ordine del giorno contro di lui, Mussolini
decise di non scendere a compromessi, affermando che non avrebbe mai lasciato la
carica di supremo comandante militare e politico dell’Italia .
Il Consiglio nazionale fascista si riunì in un clima di grande tensione3 e , quello che era
stato in passato uno strumento di amplificazione e diffusione delle decisioni
incontrastate del duce, fece per la prima volta valere il suo peso politico, decretando la
morte politica di Mussolini, l’elezione di un nuovo capo del governo e la reintroduzione
del re nella vita politica del Paese.
1
Liddle Hart, op., cit, p. 633.
Già stretti collaboratori di Mussolini.
3
G. Cavallotti, La caduta del fascismo, in I grandi fatti, pp. 9 – 14.
2
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4.2. Il governo Badoglio
Figura 1. Il proclama di Vittorio Emanuele III rivolto agli Italiani il 25 luglio 1943
Nel corso della seduta Dino Grandi prese l’iniziativa di sfiduciare Mussolini, mozione
che fu approvata il giorno dopo a maggioranza4. Il re, di fronte alla crisi di regime,
nominò il maresciallo Pietro Badoglio capo del governo e fece arrestare Mussolini.
La caduta del fascismo fece gravare sull’Italia la minaccia della reazione tedesca e ,
nonostante Badoglio ribadisse la lealtà italiana verso l’alleato tedesco, il Fuehrer maturò
immediatamente l’intenzione di assumere il controllo militare della penisola. Badoglio,
che il 26 luglio aveva formato il suo governo, iniziò a rimuovere gli apparati della
dittatura: il suo doveva essere un regime conservatore ma non fascista.
I tedeschi iniziavano ad assumere il controllo militare in Italia5, mentre Badoglio avviò
trattative segrete con gli Alleati .
L’armistizio fu chiesto , firmato il 3 settembre e annunciato ufficialmente la sera dell’8
settembre 19436.
4
5
19 sì, 7 no, una astensione e , fra i sì , anche quello del genero del duce, Galeazzo Ciano.
Operazione Walkiria
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I capi militari italiani videro disgregarsi il loro esercito per mano dei Tedeschi7 e in
pochi giorni le truppe hitleriane invasero l’Italia e ne presero possesso dalle Alpi a
Napoli, dove gli Alleati non erano ancora arrivati, nonostante avessero già cominciato
l’attacco alla “inespugnabile fortezza Europa”8.
Il 9 settembre il re e Badoglio abbandonarono Roma e si rifugiarono a Pescara e poi a
Brindisi, in zona occupata dagli Alleati, dove si insediò il governo.
Figura 2.Firma dell'armistizio tra truppe italiane e
alleate. Cassibile (Siracusa), 3 settembre 1943.
Figura 3. Manifesti di propaganda fascista contro il tradimento dell'8 settembre
6
In I grandi fatti, pp. 17 – 24
Operazione Achse. Le truppe italiane che si trovavano sotto il controllo tedesco furono disarmate e
internate, mentre altre si disciolsero autonomamente. Solo la flotta navale riuscì a consegnarsi nelle mani
degli Alleati nell’isola di Malta, ad eccezione della corazzata Roma affondata dai Tedeschi, in Liddle
Hart, op. cit., pp. 653 – 654.
8
Così la propaganda nazista definiva il continente europeo prima degli sbarchi alleati in Italia (cfr.
Valentino Rossetti, Attacco alla fortezza Europa, in www. dalvolturnoacassino . it )
7
63
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5. LA SITUAZIONE ITALIANA
5.1. La Repubblica di Salò
Di fronte alla defezione italiana , la reazione tedesca fu immediata: i soldati del Reich
occuparono Roma combattendo contro l’esercito italiano, a cui si unirono elementi
popolari, dando vita al primo atto armato della resistenza. Le truppe italiane all’estero
ebbero una sorte tragica: internate nei campi di concentramento o sterminate in massa,
come avvenne nei presidi delle isole dell’Egeo.
Hitler diede ordine di arrestare a Roma il nuovo capo del governo , il re e il principe
ereditario che, però, fuggirono. Il Fuehrer, in gran segreto, elaborò anche un piano per
liberare il duce dalla prigionia. Questi, prelevato da Villa Savoia a Roma, era stato
trasferito a Ponza, alla Maddalena e, i primi di settembre, sul Gran Sasso. Il colonnello
delle SS Herbert Kappler, capo dei servizi di polizia nella Roma occupata, apprese la
notizia e la passò al generale Kurt Student, responsabile delle operazioni di liberazione
di Mussolini.
L’11 settembre i paracadutisti tedeschi occuparono senza difficoltà Campo Imperatore e
liberarono l’ostaggio che, accusando la monarchia di tradimento, proclamò la
Repubblica Sociale Italiana ( RSI ), che comprendeva i territori occupati dai nazisti. La
sede del governo fu stabilita a Salò, sul lago di Garda, mentre il cosiddetto “regno del
sud” di Vittorio Emanuele III, ottenuto lo stato di cobelligeranza dagli alleati, dichiarò
guerra alla Germania.
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5.2. La linea Gustav
L’Italia si trovava spaccata in due: a nord i nazifascisti, che furono antagonisti nella
guerriglia partigiana, a sud gli Alleati, che iniziarono, dopo gli sbarchi in Sicilia, la
risalita dello stivale con l’obiettivo di liberare Roma. A metà agosto del 1943
l’invasione della Sicilia era stata ultimata. Il 3 settembre le truppe angloamericane
sbarcarono in Calabria e in seguito nel golfo di Salerno. Il 17 settembre 1943 la linea
del fronte correva da Salerno e la costa campana fino a Sapri, per ripiegare a nord lungo
le coste del golfo di Taranto e fino a Bari.
Il I ottobre buona parte dell’Italia a sud della linea Napoli-Foggia era sotto il controllo
alleato. I tedeschi cercarono quindi di fermarne l’avanzata verso nord all’altezza della
linea Invernale1. Furono realizzati anche due raddoppi: la linea Gustav, in
corrispondenza della valle del Liri2, e la linea Hitler 3. Il ripiegamento dei tedeschi sulla
linea Gustav fu completato ai primi di gennaio del 1944, dopo lo sfondamento alleato
della prima linea4. In queste circostanze si tenne la lunga lotta di logoramento intorno a
Cassino (gennaio- marzo 1944) ,che vide la piena vittoria degli Alleati solo nel mese di
maggio.
1
Linea Sangro-AltoVolturno-Garigliano
Monte Morrone- riva destra del fiume Rapido- Sant’Ambrogio- Bosco di Castelluccio
3
Monte Cairo- Piedimonte San Germano- Aquino- Pontecorvo- Formia
4
In questa fase dei combattimenti fu definita linea Gustav quella segnata dai fiumi Sangro- RapidoGarigliano. In Cassino, 1944: un Abbazia all’inferno.
2
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66
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6. GLI ALLEATI VERSO ROMA
6.1. L’area dei combattimenti
La città di Cassino si trovava sulla via Casilina, nel punto in cui essa attraversa il fiume
Rapido. La strada costeggiava la collina di Montecassino, alta 516 metri, sulla cui cima
era situato l’imponente monastero fondato da San Benedetto da Norcia nel 529, per poi
curvare verso nord- ovest lungo la valle del Liri in direzione Piedimonte San Germano e
Arce. Prima della ricostruzione del centro abitato cittadino, avvenuta dopo la guerra, la
collina di Montecassino penetrava a cuneo nella struttura urbana1, formando con
l’abitato un’unica linea difensiva.
In questo scenario si svolse, tra gennaio e maggio 1944, il complesso di combattimenti
che prese il nome di battaglia di Cassino (o di Montecassino ).
Gli Alleati avevano deciso di attaccare i Tedeschi in questo settore , per togliere forze
alla loro difesa in previsione dello sbarco di Anzio, e di sfondare la linea Gustav
all’imbocco della valle del Liri , per arrivare a Roma dopo il ricongiungimento con le
forze sbarcate ad Anzio.
Più di ogni alta battaglia, quella di Montecassino fu combattuta nelle condizioni delle
battaglie della Prima Guerra mondiale: attacchi frontali, logoramento delle forze, trincee
piene di fango, una difesa costantemente avvantaggiata rispetto alle forze
dell’invasione, mitragliatrici e artiglieria pesante al posto di aerei e carri armati. Tutto
questo dovuto a diversi elementi: errori di valutazione dei comandanti alleati, il
1
La forma ricordava lo scafo di una nave, la cui prua era costituita dalla Rocca Ianula, un castello
medievale che nel 1944 era ancora in buono stato di conservazione. F. Majdalany, Cassino. Ritratto di
una battaglia, pp. 5 – 10.
67
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persistente maltempo2, la particolare conformazione geologica della zona e la tenacia
dei difensori tedeschi.
6.2. L’inizio della prima battaglia ( 17 gennaio – 7 febbraio 1944 )
Figura 1. LA PRIMA BATTAGLIA. L'offensiva generale sul fronte principale combinata con lo
sbarco sul litorale di Anzio. (Da F. Majdalany, "Cassino. Ritratto di una battaglia", p. 61
Nel primo tentativo di sfondare il fiume Rapido, gli Alleati condussero due attacchi
diversificati sui lati del fronte: mentre la V Armata americana attaccava a nord della
strada Colli a Volturno- Atina , tra l’11 e il 12 gennaio, all’altra estremità del fronte , il
2
Il generale Clark (op.cit. ) descrive così la situazione: “ Era una strada aspra da capo a fondo. La pioggia
che rigava il parabrezza della jeep non contribuiva a rendere più piacevole il quadro che avevo in mente.
Sarebbe stata anche una strada fangosa.”
68
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17 gennaio, scattò l’attacco del 10° Corpo d’armata britannico.3 Dopo un
bombardamento di artiglieria durato quattro ore, alle 21 le fanterie si mossero in avanti.
Lungo la costa tirrenica, la 5^ Divisione inglese, spostata dal settore adriatico, doveva
conquistare Minturno e proseguire per la valle dell’Ausente. Altri obiettivi alleati nella
parte centrale del fronte erano Castelforte e un ponte presso Sant’Ambrogio, per
predisporre le postazioni di copertura per l’attacco del 20 gennaio , che sarebbe stato
guidato dal 2° Corpo americano.
6.3. Lo scontro di Sant’Angelo in Theodice e il fiume Rapido
La 5^ Divisione inglese riuscì senza difficoltà ad occupare gli avamposti tedeschi.
Il 18 gennaio furono conquistati i paesi di Minturno e Tufo. La difesa tedesca si era
consolidata e gli Alleati rinforzarono le teste di ponte già conquistate. Il feldmaresciallo
Kesselring, preoccupato per i progressi nemici, inviò il 5° Corpo paracadutisti del
generale Kurt Student nello stesso settore del Garigliano. Lasciò il settore di Cassino
sotto la responsabilità del 14° Panzerkorps comandato dal generale Frido von Senger
und Etterlin.4
Il 20 gennaio la 29^ Panzergrenadier contrattaccò lungo la direttrice Ausonia – Coreno
e nel pomeriggio riuscì a spingere la 56^ Divisione inglese oltre Castelforte. La sera
stessa la 36^ Divisione del 2° corpo statunitense attaccò le posizioni tenute dalla 15^
Panzergrenadier intorno al paese di Sant’Angelo in Theodice. Il terreno si rivelò subito
difficoltoso: Il fiume Rapido toccava in quel punto i 10 metri di larghezza e le sue acque
3
Generale McCreery. In F. Majdalany, op. cit. , pp.59 – 62.
Le azioni belliche a cui prese parte il generale Etterlin sono narrate nel suo libro Combattere senza
paura e senza speranza, Longanesi. Per quanto riguarda invece il generale Student, furono poste alle sue
dipendenze la 29^ e la 90^ Panzergrenadier Division e la 94^ Divisione di fanteria.
4
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veloci e il letto di rocce e sassi ne rendevano problematico l’attraversamento. I tedeschi
erano posizionati sull’altra riva e tenevano la situazione perfettamente sotto controllo.
Le acque impetuose ruppero le imbarcazioni d’assalto americane e le artiglierie
tedesche spazzarono via le passerelle, facendo strage dei nemici che arrivavano a riva.
La 36^ Divisione perse non meno di 16815 uomini fallendo completamente il proprio
obiettivo.
Il 22 gennaio fu il giorno dello sbarco ad Anzio, ma la situazione sulla linea Gustav
rimaneva difficile: gli angloamericani impegnati a Cassino , stabilita una stretta testa di
ponte sul Rapido, non riuscirono comunque a progredire, né l’afflusso delle truppe
tedesche verso Anzio cambiò la situazione favorendo l’avanzata alleata verso nord.
Questi sferrarono un altro attacco il 24 gennaio: il Corpo di spedizione francese del
generale Alphonse Pierre Juin6 avrebbe dovuto conquistare il monte Cairo e la 3^
Divisione algerina espugnò, con gravi perdite, la vetta del monte Belvedere,
fondamentale per la conquista del Cairo.
La sera del 24 la 34^Divisione americana 7cercò ancora di stabilire una testa di ponte
oltre il Rapido, ma i tedeschi allagarono l’intera valle con la distruzione di una diga.
.Il 30 gennaio la Divisione Ryder riuscì finalmente a far costruire una testa di ponte
oltre il Rapido8 e ad occupare il villaggio di Caira.
5
La cifra è riportata dal generale Clark in Maximum risk, dove specifica che 141 sono i morti, 663 i feriti
e 877 i dispersi. Le due Compagnie che riuscirono ad oltrepassare il fiume furono affrontate dai veterani
del 104° reggimento Panzergrenadier, che ne respinsero l’attacco.
6
I suoi uomini, sfondata la linea Gustav, si resero protagonisti di atti di violenza e soprusi contro la
popolazione civile.
7
Divisione Ryder, dal nome del suo comandante. Solo due Compagnie, il 25 gennaio, attraversarono il
fiume, mentre il 4°Reggimento tunisino della 3^ Divisione algerina fu spazzato via dal colle Abate da
poco conquistato. In F. Majdalany, op. cit., p.85.
8
Dal 168° Reggimento.
70
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La battaglia continuò per diversi giorni in mezzo alla nebbia, al fango, al freddo e sotto
una pioggia battente. Gli attacchi erano condotti a livello di compagnia, per conquistare
una collinetta dopo l’altra.
6.4. La resistenza delle difese tedesche
La prima battaglia di Cassino si concluse in febbraio: all’inizio del mese il 133°
Reggimento americano arrivò alla periferia della cittadina di Cassino e tentò di
penetrarvi, ma senza successo. Due punti chiave, a nord dell’abbazia benedettina,
furono conquistati dagli Alleati e ripresi dai tedeschi dopo scontri furibondi9 . Il 5
febbraio una truppa d’assalto del 135°Reggimento di fanteria avanzò fino alle mura del
Monastero di Montecassino: la 34^ Divisione americana si trovava quel giorno a soli tre
chilometri di distanza dalla via Casilina. Il giorno stesso il 133°Reggimento si avventò
dalla valle del Rapido contro la città di Cassino e Quota 193 ( Rocca Ianula ), ma senza
successo.
Il generale inglese Harold Alexander dispose il trasferimento della 2^ Divisione
neozelandese , della 4^ Divisione indiana10 e della 78^Divisione fanteria inglese dal
fronte adriatico, ormai fermo, a quello tirrenico, dove si ricongiunsero con il
neocostituito Corpo d’armata neozelandese. La 34^ Divisione americana, ormai
esaurita, lasciò il campo.
Benché l’artiglieria e i mortai avessero provocato morti in entrambi gli schieramenti, la
prima battaglia di Cassino si concluse con un netto successo difensivo tedesco.
9
Colle Sant’Angelo e il monte Calvario, meglio conosciuto come Quota 593, punto chiave tattico del
massiccio di Montecassino, che fu di nuovo perso il 7 febbraio. In F. Majdalany, op. cit., pp. 86 – 89.
10
Indiani e Neozelandesi facevano parte del 2° Corpo d’armata neozelandese del generale Bernard Cyril
Freyberg e si erano già distinti per la loro combattività sul fronte africano. In F. Majdalany, op. cit., p. 97.
71
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7. IL BOMBARDAMENTO DI MONTECASSINO
7.1. Il bombardamento dell’Abbazia ( 15 – 18 febbraio 1944 )
Figura 7. Attacco a tenaglia da nord e da sud della 4^ Divisione indiana e della 2^ Neozelandese
L’assalto decisivo al monte del monastero fu previsto dal generale Freyberg per il 15
febbraio. I tedeschi avevano rispettato l’accordo di lasciare l’abbazia fuori dalle
operazioni militari, ma la mole grandiosa e sinistra dell’edificio incuteva nelle truppe
che avrebbero dovuto attaccare l’altura, un vero timore reverenziale. Di fronte alla
nuova impresa sia il comandante Tucker della 4^ Divisione indiana, che i generali
Freyberg e Alexander, si trovavano d’accordo sul fatto che un bombardamento aereo
preventivo andava fatto. Non c’erano infatti prove che i tedeschi si nascondessero
all’interno del sacro edificio, ma la collina pullulava comunque di soldati della
Wehrmacht. La psicosi di Montecassino era aumentata da una serie di cartelli che i
Tedeschi avevano lasciato in giro, che recitavano: “voi siete sotto l’osservazione del
nemico, non siate sciocchi”.1 Oltretutto un aereo di ricognizione alleato, sorvolando
1
Da Valentino Rossetti, Il bombardamento del monastero, www. dalvolturnoacassino. it
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l’Abbazia, aveva asserito di aver visto sul convento delle antenne radio, che invece
erano parafulmini2.
Anche un’intercettazione radio male interpretata potrebbe essere stata une delle cause
del bombardamento. Il controspionaggio alleato colse la frase di uno dei militari di
guardia presso il monastero che disse : “ Wo ist der Abt? Ist er noch im Kloster?”. Un
ufficiale alleato tradusse così: “ Dov’è il gruppo? E’ ancora nel convento?”,senza tenere
conto del fatto che “Abt” ,abbreviazione abitualmente usata per “Abteilung” (gruppo o
battaglione ) è femminile (“die Abt” ), mentre “der Abt” ,essendo maschile, non poteva
che significare “abate”. Il soldato chiese quindi semplicemente al commilitone se
l’Abate si trovava ancora nel monastero o no.
I tedeschi avevano già provveduto nel tardo autunno del 1943 a portare in salvo
l’inestimabile patrimonio artistico che era conservato all’interno dell’abbazia. Il
colonnello Schlegel, ex comandante di brigata nella divisione Hermann Goering,
provvide a far imballare e trasportare dai suoi uomini a Castel Sant’Angelo, in territorio
Vaticano, gli insostituibili tesori d’arte, dell’Archivio di fama mondiale e della
millenaria Biblioteca di Montecassino3. Al fatto venne data notevole enfasi e grande
rilievo propagandistico.4
La decisione di bombardare il monastero ormai era stata presa, nonostante il parere
contrario di Clark, che poi fu colui che, a malincuore, dovette dare materialmente
l’ordine del bombardamento. Il 14 gli Alleati cercarono di informare sia i profughi che i
monaci dell’imminente bombardamento, attraverso una pioggia di manifestini sia in
italiano che in inglese.
2
Ibidem.
Citazione dal settimanale Die Oesterreichische Furche ,Vienna, 3 novembre – 1 dicembre 1951.
4
Sul salvataggio delle opere d’arte del monastero sono interessanti i diari di guerra degli ufficiali tedeschi
e dei monaci, nonché gli scambi epistolari riportati nel volume di E.Grossetti e M.Matronola, Il
bombardamento di Montecassino,diario di guerra.
3
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Nella mattina di giovedì 15 febbraio 1944 cominciò l’attacco dei bombardieri alleati.5 Il
bombardamento si protrasse per buona parte della giornata e , alla fine, dell’edificio non
rimanevano che i contrafforti dell’ala occidentale, i sotterranei e la cripta, con il suo
intricato labirinto di cunicoli. Non si poté stabilire con certezza quanti civili rimasero
vittime dell’azione, perché purtroppo non si conosceva il numero degli sfollati che
avevano cercato asilo nell’edificio sacro.
Il bombardamento si rivelò del tutto inutile, poiché i Tedeschi si appostarono tra le
rovine del colle, martoriato a tal punto che i carri armati alleati non poterono proseguire
con un attacco deciso. L’unico battaglione che tentò un attacco dopo il bombardamento
fu il Royal Sussex 6, ma senza ottenere risultati. Un’altra offensiva si svolse fra il 17 e
il 18 febbraio, quando i neozelandesi e gli indiani superarono il fiume Rapido. Il 18
febbraio il 28°Battaglione Maori arrivò fino alla stazione di Cassino ma fu ricacciato
indietro.La stessa sorte ebbero anche gli attacchi al monte Calvario e al colle
dell’abbazia benedettina.
Figura 8. L'abbazia di Montecassino dopo il bombardamento
5
Il cielo sopra l’abbazia si popolò di 142 aerei B-17,le temibili fortezze volanti, e 82 bombardieri medi
B-52 e B-26, che sganciarono 500 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. A parte la divisione
indiana, che corse seri rischi, tutti i soldati alleati accolsero i bombardieri con applausi e scene di giubilo:
era la soluzione che serviva per sconfiggere i soldati tedeschi che pensavano fossero annidati al l’interno
dell’edificio. In Cassino 1944. Un’abbazia all’inferno, pp. 99 – 105.
Per una visione interna ai fatti si possono leggere i diari dei monaci che si trovavano nell’edificio, in
Grossetti – Matronola, op. cit.
6
7^ Brigata, 4^ Divisione indiana. F. Majdalany, op. cit., p.104.
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7.2. La seconda battaglia ( 15 – 23 marzo 1944 )
Figura 9. La seconda battaglia di Cassino. (Da F. von Senger und Etterlin, "Combattere senza
paura e senza speranza")
Cinque settimane di durissimi combattimenti avevano procurato modesti vantaggi agli
Alleati che non erano ancora riusciti a penetrare nella valle del Liri: la città di Cassino e
il monte del monastero erano ancora nelle mani dei Tedeschi.
Il generale Alexander decise un nuovo attacco, articolato in bombardamenti aerei e
incursioni di artiglieria, per spianare meglio la strada alla fanteria e ai mezzi corazzati.
Il 2°Corpo americano fu ritirato e trasportato nella zona di Alife, rinforzato dall’88^
Infantry Division, arrivata direttamente dagli Stati Uniti. Le sue posizioni furono
rilevate dal Corpo di spedizione francese e i Neozelandesi assunsero tutta la
responsabilità del settore del monte Calvario. Per quanto riguarda i Tedeschi, la 90^
Panzergranadier Division fu sostituta dai paracadutisti della 1^ Divisione, coperti a nord
dalla 44^ Divisione Hoch und Deutschmeister.
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A partire dalle 8,30 del 15 marzo 1944 i bombardieri alleati rasero al suolo l’abitato di
Cassino e la Rocca Ianula. Non tutti i lanci però andarono a segno e si contarono morti e
feriti anche tra le fila degli Alleati. In seguito iniziarono anche le artiglierie a far fuoco
sulla città e sulla collina. Dopo questo fuoco di preparazione Neozelandesi e Indiani
scattarono all’attacco: i primi riuscirono a conquistare Rocca Ianula (Quota 193 ) ma
non ad attraversare la via Casilina e avanzare in direzione sud.
Cassino divenne una enorme barriera anticarro, per le condizioni in cui si trovava il
terreno, ci volle l’intervento dei bulldozer per aprire un varco verso il centro cittadino. I
combattimenti avvenivano metro per metro per strappare al nemico posizioni che poi,
nel giro di poco tempo, venivano perse. Il 16 marzo le truppe indiane, aiutate dai
fucilieri Gurkha, avanzarono, anche se di poco, sul colle dell’abbazia. I Neozelandesi
combattevano ferocemente contro i paracadutisti tedeschi per il controllo della stazione
di Cassino, che cadde in mano alleata il 19. Ci furono scontri nei pressi di Rocca Ianula
e i Maori riuscirono ad avanzare lungo la via Casilina. La sera del 19 gli Alleati
avevano compiuto discreti progressi all’interno di quello che una volta era centro
abitato, ma dopo due giorni di stallo e il fallimento del tentativo neozelandese di
cacciare i Tedeschi, il generale Alexander decise di sospendere le operazioni e di
aspettare la primavera per sferrare l’attacco decisivo alla linea Gustav.7
7
Harold Alexander elogia la resistenza dei paracadutisti tedeschi in una lettera al primo ministro Winston
Churchill, che desidera avere spiegazioni sulla mancata risoluzione delle operazioni militari. In Valentino
Rossetti, La seconda battaglia, www.dalvolturnoacassino.it.
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8. L’OPERAZIONE DIADEM
8.1. La terza battaglia ( 11 – 19 maggio 1944 )
Figura 1. LA TERZA BATTAGLIA. La V e l'VIII armata sfondano le linee e iniziano la vittoriosa
avanzata su Roma.
Nei circa due mesi di pausa dalle operazioni, gli Alleati diedero il via all’operazione
Strangle, un’ offensiva aerea che aveva come scopo lo sconvolgimento delle linee
tedesche colpendo strade, ponti , ferrovie e basi logistiche di varie città ( Firenze, Pisa,
Arezzo, Terni, Perugia e Viterbo). Alla fine di aprile le Divisioni alleate erano 21,
contro le 14 tedesche. Anche gli Italiani si unirono agli Alleati, trasformando il Primo
raggruppamento motorizzato nel Corpo italiano di liberazione.
Il generale John Harding1 assegnò, in previsione della battaglia finale, il settore di
Cassino a tre Corpi d’armata: il 1°canadese, il 2°polacco e il 13°britannico. Il fronte del
1
Capo di Stato maggiore del 15°Gruppo d’armate.
79
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Garigliano avrebbe dovuto essere attaccato dai Francesi2 e il settore costiero dagli
Americani3. Il compito più importante di quella che fu chiamata operazione Diadem fu
affidato all’8^ Armata britannica del generale Oliver Leese4, che avrebbe dovuto
sfondare la valle del Liri e creare disturbo in un’area a est e nord-est di Roma, mentre
altri reparti avrebbero contemporaneamente agito attraverso i monti Aurunci, i colli
albani e Anzio.
L’attacco prese il via alle ore 23 dell’11 maggio 1944, cogliendo di sorpresa le truppe
tedesche. Più di 2000 pezzi di artiglieria aprirono il fuoco su tutta la linea e allo
spuntare del giorno stormi di bombardieri alleati attaccarono in modo massiccio le
retrovie nemiche. I Polacchi conquistarono il monte Calvario, ma solo per un giorno,
mentre i Francesi avanzarono sugli Aurunci, guadagnando lentamente posizioni ai danni
dei nemici.
8.2. Lo scontro finale
Il 13 maggio l’88^ Divisione americana entrò a Santa Maria Infante, mentre i Francesi
conquistarono l’importante posizione di monte Maio e i Polacchi continuarono l’assedio
al monte Calvario.
Il lato a sud di Cassino era saltato e le truppe di Juin sboccarono nella valle del Liri,
aprendo una breccia nella linea Gustav. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio i Tedeschi
cercarono di riorganizzarsi , ma l’artiglieria alleata ebbe il sopravvento, anche grazie
alle buone condizioni meteorologiche che permisero l’utilizzo dei bombardieri
americani.
2
Comandati dal generale Juin.
2 ° Corpo d’armata americano.
4
Sostituì alla guida di questo raggruppamento il generale Montgomery, impegnato a preparare e
comandare le truppe anglo-canadesi per lo sbarco in Normandia ( Operazione Overlord , 6 giugno 1944 ).
3
80
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Il 16 maggio i canadesi avanzarono dalla testa di ponte sul fiume Gari e si spinsero oltre
Pignataro. Gli Inglesi si avvicinarono ad Equino e gli Americani avanzarono in
direzione di Itri. I Polacchi sferrarono un altro violento attacco alla collina del
monastero, questa volta però con successo: la battaglia durò dieci ore e alla fine il
generale Wladyslaw Anders5 gettò nella mischia anche un battaglione di meccanici,
furieri e autisti, ma senza risultati. I Tedeschi furono indotti alla ritirata in seguito a
cedimenti su tutto il fronte, alle 10,30 del mattino del 18 maggio 1944 il 12°
Reggimento lanceri Podolskich arrivò sulla sommità della collina del monastero e issò
la bandiera polacca e la Union Jack britannica. La linea Gustav era definitivamente
sfondata e la lotta per Cassino terminata.6
Figura 2. Autocolonna alleata verso Roma
5
Capo delle truppe polacche
Dopo la fine dei combattimenti i Marocchini, con il consenso del generale Juin, si abbandonarono ad
ogni genere di violenza ai danni della popolazione civile, che non era mai stata ostile nei loro confronti.
Testimonianza di questi fatti è recata nel libro di Alberto Moravia La Ciociara. Secondo l’associazione
vittime civili di guerra , più di 25000 persone subirono angherie di questi soldati. In Arcese – Mortari, Lo
sfondamento della linea Gustav, www. dalvolturnoacassino.it.
6
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9. ESERCITI COBELLIGERANTI
9.1. Gli Italiani e le truppe alleate
Dopo l’8 settembre 1943 le autorità militari italiane cercarono di raccogliere truppe da
affiancare agli angloamericani che stavano risalendo la penisola. Il 28 settembre dello
stesso anno gli Alleati autorizzarono la creazione di un’unità motorizzata di 5000
uomini, che prese il nome di 1° Raggruppamento motorizzato, sotto il completo
controllo alleato. Per la prima volta furono chiamati l’8 dicembre ad affiancare gli
americani1. L’assalto fallì con numerose perdite, ma fu portato a termine con successo
qualche giorno più tardi, il 16 dicembre.
Ritornò al fronte il 10 febbraio presso la linea Gustav con il Corpo di spedizione
francese e in seguito,il 26 marzo, passò sotto le dipendenze della 5^Divisione polacca
Kresova del 2°Corpo d’armata polacco. Il 31 marzo le truppe italiane conquistarono il
monte Marrone, nell’alta valle del Volturno, e furono indispensabili alle poche truppe
alleate che restarono in Italia nonostante la prospettiva dello sbarco in Normandia.
Il 1°Raggruppamento, dopo la riorganizzazione in Corpo italiano di liberazione (CIL ),
fu trasferito sul fronte adriatico. Le ottime prove che stavano dando i soldati italiani
convinsero gli Alleati a permettere un nuovo rafforzamento con la creazione dei Gruppi
di combattimento, non dotati però di mezzi corazzati ne’ organizzati in divisione.2
1
36^Infantry Division del 2°Corpo d’armata americano che andava all’attacco della postazione di monte
Lungo, vicino alla statale 6 che conduce a Cassino. In Valentino Rossetti, La terza battaglia,
www.dalvolturnoacassino.it.
2
Il Gruppo Cremona liberò Adria il 26 aprile 1945 e subito dopo Caverziere, Chioggia, Mestre e
Venezia. Anche i Gruppi Folgore, Legnano e Mantova si distinsero in operazioni pericolose che diedero
risultati positivi.
83
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Gli Alleati affidavano però soprattutto alle truppe italiane compiti di gestione e
organizzazione degli approvvigionamenti, non fidandosi completamente della loro
fedeltà , anche se il loro contributo fu spesso prezioso.
Figura 3. Soldati italiani fatti prigionieri
Figura 4. Soldati italiani
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9.2. I Polacchi a Cassino
Un contributo fondamentale per la buona riuscita delle operazioni alleate sulla linea
Gustav fu dato anche dalle truppe polacche del 2°Corpo, costituito da reparti addestrati
e organizzati in URSS dopo il trattato di amicizia che fu firmato dallo Stato sovietico
per arginare l’avanzata tedesca ad oriente.
Era per la maggior parte costituito da ex prigionieri di guerra e dipendeva dall’autorità
militare sovietica, che l’ aveva finanziato e equipaggiato, ma i rapporti con la nazione
furono sempre difficili. I suoi uomini furono ripartiti tra la 5^ e la 6^ Divisione di
fanteria sovietica . Nel 1941 il suo utilizzo divenne motivo di tensione tra il governo
polacco in esilio e Stalin. 33000 uomini passarono sotto il comando britannico e nacque
così il 2° Corpo polacco che si distinse a Cassino.
Nel novembre 1943 fu trasferito in Palestina, quindi in Egitto ed infine in Italia, dove
restò fino alla fine della guerra , per poi tornare in Gran Bretagna , dove fu smobilitato.
Figura 5. Fanti polacchi su Montecassino
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9.3. I reggimenti Gurkha
I primi reparti Gurkha entrati a far parte delle forze britanniche furono quelli arruolati
nella campagna himalayana ( 1814 – 1815 ), ma fu solo nel 18163che gli inglesi
acquisirono il diritto pieno di arruolare i soldati nepalesi. Il loro status nell’esercito
anglo-indiano fu da subito particolare: il Nepal infatti non faceva parte dell’impero e
queste truppe erano a tutti gli effetti mercenarie. Provenivano dalle tribù delle montagne
e già nel 1816 fu possibile trasformare in reggimenti i tre battaglioni arruolati l’anno
precedente. Nel 1857 contribuirono alla soppressione della rivolta delle forze native
della Compagnia delle Indie orientali, dando prova di fedeltà, e dopo il 1860 presero
parte a tutte le più importanti campagne belliche inglesi. Durante il primo conflitto
mondiale combatterono in Francia, Turchia, Persia e Palestina, mentre nel secondo
operarono su tutti i fronti: Birmania, Medio Oriente, Nordafrica, Grecia e Italia.4 Nel
1947 i dieci reggimenti Gurkha vennero ripartiti tra le neonate forze armate indiane e
quelle britanniche.
Figura 6. Due soldati Gurkha
Figura 7. Fregio da basco: due kukri
3
Trattato di Sagauli.
I soldati Gurkha erano caratterizzati dalla divisa inglese e, sul fianco, portavano un coltello denominato
Kukri.
4
86
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9.4. Altre immagini della guerra…
Figura 1. Abitato di Cassino sotto le bombe
Figura 2. Gli Alleati entrano a Cassino
Figura 3. Il Generale Clark a Roma
Figura 4. Colle e abitato di Cassino
Figura 5. Cassino e i resti dell’abbazia
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Figura 6. Soldati tedeschi
Figura 7. Soldati Gurkha
Figura 8. Goumier marocchino
Figura 9. Soldato canadese
Figura 10. Prigionieri tedeschi a Castelforte
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Figura 11. Bandiera polacca su Montecassino
Figure 12 e 13. Abbazia dopo le bombe, lato ovest.
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Figura 14. Chiostro d’ingresso dopo il bombardamento
Figura 15. Resti della basilica
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Figura 16. I soldati tedeschi occupano le macerie di Montecassino dopo il bombardamento
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Figura 17. Soldato tedesco sotto i resti dell’abbazia
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Figura 18. Soldato davanti a Montecassino
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9.5. Il salvataggio delle opere d’arte dell’abbazia di Montecassino.
Figura 19. L’Abate Diamare col colonnello Schlegel e altri monaci. Da destra si riconoscono Don
Tommaso Leccisotti e don Martino Matronola
Figura 20. L’Abate Diamare con i suoi monaci benedice e saluta il primo gruppo di partenti
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Figura 21. Don Eusebio Grossetti tra i soldati che confezionano le casse
Figura 22. Casse con i libri della biblioteca pronte per la partenza
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Figura 23. 8 dicembre 1943 – Arrivo dei camion tedeschi con l’archivio di Montecassino a Castel
Sant’Angelo, provenienti da Spoleto
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Figura 24. Consegna dell’archivio di Montecassino a Castel Sant’Angelo. Il colonnello Schlegel
consegna simbolicamente una pergamena a Don Atanasio Mueller
Figura 25. Un mappamondo secentesco e alcuna capsule dell’archivio di Montecassino vengono
introdotti a Castel Sant’Angelo
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Figura 26. Un camion tedesco entra a Castel Sant’Angelo
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10. L’ORDINE BENEDETTINO
10.1. Vita di San Benedetto da Norcia
Prima e pressoché unica testimonianza sulla vita di San Benedetto costituita dai
Dialoghi che papa Gregorio Magno scrisse tra il 593 e il 5941.
San Benedetto nasce a Norcia, in Umbria , nel 480, da nobile famiglia2. Da ragazzo
viene mandato a Roma per intraprendere studi di lettere e diritto, ma, sconvolto dalla
perversione che attanagliava la città, fuggì per servire Dio dapprima in solitudine e, in
seguito, nel recinto di diversi monasteri. Si ritira all’inizio in una grotta a 50 km da
Roma, a Enfile ( oggi Affile ),e, in seguito,a Subiaco, in quello che da allora prende il
nome di Sacro Speco, dove sperimenta la vita ascetica di stile orientale. E’ aiutato
solamente da un monaco dei dintorni, Romano, che provvedeva al suo sostentamento. Il
suo ritiro dura tre anni, alla fine dei quali ricomincia ad inserirsi nel mondo.
Cominciano infatti ad accorrere da lui numerosi uditori e viene convocato dalla
comunità monastica di Vicovaro per sostituire l’abate appena deceduto. Dopo lunghe
esitazioni accetta il compito, con la speranza di riformare la vita e i costumi fin troppo
liberi di quei monaci. Ma il ritorno forzato a un monachesimo di tipo primitivo costò a
Benedetto il tentativo di avvelenamento da parte di quei monaci che avevano tanto
insistito per averlo come guida3.
Ritornato a Subiaco raccoglie attorno a sé numerosi discepoli, che gli chiedono “ l’abito
e il favore di vivere la sua vita”4. Non costituisce un vero monastero, ma forma nella sua
caverna i primi tredici monaci che vengono poi mandati nelle vicinanze a costituire un
1
Secondo libro dei Dialoghi. La difficile situazione che sta vivendo l’Italia e la Chiesa a causa
dell’invasione longobarda fa si che papa Gregorio decida di mostrare ai fedeli una serie di personaggi,
vescovi, monaci o laici, capaci di far indietreggiare le forze del male appoggiandosi su una fede totale
nell’onnipotenza di Dio.
2
La Gens Anicia che vive tra Roma e Norcia, di cui parla Ivan Gobry, Storia del monachesimo, pag. 667.
3
Ivan Gobry, Storia del monachesimo, pag. 672.
4
Ivan Gobry, op.cit.
99
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eremitaggio. Con questo procedimento Benedetto si trova nel giro di poco tempo a capo
di dodici piccoli monasteri.
Ma la persecuzione nella zona non cessa, soprattutto a causa di un sacerdote del luogo, e
Benedetto decide di trasferirsi nelle vicinanze di Cassino, assieme ai più fidati tra i suoi
discepoli, tra cui i fanciulli Mauro e Placido, che si distingueranno anche per i loro
miracoli . Sulla cima della collina di Cassino, forse donata ai monaci dal proprietario
Tertullo, si trovava un bosco consacrato a Venere e due templi dedicati a Giove e ad
Apollo5. I monaci distruggono tutto e iniziano a costruire al posto del tempio di Apollo
un oratorio di San Martino, padre del monachesimo occidentale, e sulle rovine
dell’altare sacrificale innalzano un altare a San Giovanni, modello degli eremiti.
Scrive Dante Alighieri, parafrasando Gregorio Magno:
“ Quel monte a cui Casino è ne la costa
fu frequentato già in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui che ’ n terra addusse
la verità che tanto ci sublima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch’io ritrassi le ville circunstanti
da l’empio colto che ’l mondo sedusse.”6
Al monastero accorrono personalità di vario genere, ansiose di entrare in contatto con la
santità del suo fondatore, tra cui il re Totila, probabilmente nell’ottobre del 546, che fu
5
6
Secondo Gobry “ questo luogo era la vestigia pagana più celebre e più tenace di tutta la regione”.
Paradiso, Canto XXII, v. 37- 45.
100
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rimproverato da Benedetto per il male compiuto e a cui fu predetta l’entrata nell’Urbe e
la sua morte.
Ben fu seguito nella sua opera evangelizzatrice dalla sorella gemella Scolastica, che
fondò un monastero nell’agro aquinate a Piumarola e che incontrava il fratello a
Montecassino una volta l’anno. Dopo l’ultimo incontro Benedetto vede lo spirito di
Scolastica dirigersi verso il cielo sotto forma di candida colomba , così si rende conto
della sua morte.
E’ nel monastero di Montecassino che San Benedetto redige la Regola Monachorum,
che caratterizzerà la vita di molte delle comunità monastiche nate dopo di lui. La regola
probabilmente era un adattamento di una regola precedente, detta Regola del maestro7,
ma la sua intuizione fondamentale fu quella di capire che era necessario non di
preparare i monaci alla vita solitaria, ma a quella comunitaria. La Regola di San
Benedetto è divenuta celeberrima col motto “ ora et labora” ( prega e lavora ), che ben
illustra le caratteristiche principali del nuovo monachesimo.
San Benedetto muore il 21 marzo 547 nell’oratorio di San Martino, attorniato dai suoi
monaci, alzando le braccia al cielo.
Nel 1947 papa Pio XII chiamò San Benedetto “Padre d’Europa” e il 24 ottobre 1964, in
occasione della consacrazione della basilica di Montecassino, ricostruita dopo la
distruzione della guerra, papa Paolo VI lo proclama “Patrono d’Europa”.
7
San Gregorio Magno non fa accenno a questo fatto per non sminuirne l’importanza.
101
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10.2. Diffusione del monachesimo benedettino
Il fenomeno monastico ha origine due secoli prima di San Benedetto e nasce in Egitto e
in Palestina.
In Occidente si diffonde con figure come San Martino di Tours, San Girolamo,
Cassiano, San Patrizio e con ideali che rispecchiano il genere di vita condotto da
Sant’Antonio nel IV secolo, tutto dedicato a preghiera e penitenza, in forma eremitica o
cenobitica.
La copiosa produzione letteraria di vite, sermoni, regole e dialoghi influenzerà anche
San Benedetto nella stesura della sua Regola.
La comunità monastica, secondo la regola benedettina, è unica, indipendente e
autosufficiente8.I monaci provvedono al sostentamento della loro comunità attraverso
lavori di tipo artigianale e, solo di rado, coltivando la terra . Grande importanza assume
anche, all’interno delle Sante Case, l’opera di raccolta, copiatura e diffusione dei grandi
classici della letteratura greca, latina e cristiana, al fine di formare adeguatamente i
confratelli.
In un primo periodo la Regola risulta poco conosciuta, è il periodo delle cosiddette “
regulae mixtae”, formate da norme desunte da diverse regole.
Nel 577 il monastero di Montecassino fu abbattuto per la prima volta dai Longobardi e i
monaci si rifugiarono a Roma, iniziando la diffusione della Regola dapprima nel
territorio ristretto di Lazio e Umbria (esistevano ancora i dodici cenobi fondati da San
Benedetto), in seguito in tutta Italia e nel resto del mondo.
La Regola varca i confini della penisola nel 596, quando San Gregorio manda in
Inghilterra quaranta monaci romani del monastero del Celio, insieme a Sant’Agostino,
8
Gregorio Penco, L’ordine benedettino in Roberto Bosi ( a cura di ), Gli ordini religiosi: storia e
spiritualità.
102
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per convertire quei popoli. Da questo momento la diffusione della Regola di San
Benedetto e del Vangelo procedono di pari passo, mediante i monasteri fondati nel nord
dell’Europa, che si adoperano per la diffusione della Regola e per l’evangelizzazione
delle popolazioni germaniche, soprattutto grazie ai monaci celti e anglosassoni.
Fino al Mille le consuetudini utilizzate nei vari conventi erano delle più varie; nel sud
Italia dal VI secolo i monasteri osservano la tradizione cenobitica greca di San Basilio il
Grande9.
Negli ultimi decenni dell’VIII secolo Carlo Magno comincia ad imporre a tutti i monaci
la Regola benedettina, al fine di favorire la disciplina e l’uniformità, attuando
un’unificazione dapprima religiosa e poi anche politica del suo impero. La riforma
monastica fu severa soprattutto in Aquitania, regno di Ludovico il Pio, figlio di Carlo
Magno. L’opera di unificazione delle regole conventuali fu affidata al monaco visigoto
Benedetto di Aniane, che nell’817 convocò ad Acquisgrana un sinodo di abati e monaci
per imporre a tutti i monasteri una normativa generale, insieme alla Regola
benedettina.10
Alla metà del IX secolo la crisi politica e militare dell’impero porterà disordine anche
nel mondo monastico: fallisce la riforma di Benedetto d’Aniane ma non si dimenticano i
suoi principi ispiratori. Continua infatti, soprattutto nelle campagne, l’opera dei monaci
per strappare ai culti idolatrici i contadini e il desiderio di sottrarsi all’autorità vescovile
attraverso l’istituto giuridico dell’esenzione si fa sempre più forte.
Per il momento il monachesimo benedettino non riesce a raggiungere l’Irlanda , che ha
una sua tradizione monastica legata a San Colombano, e la Spagna. In Inghilterra ,
invece, come si è già detto, la regola arrivò e probabilmente fu proprio là ad essere
9
G. Tabacco, Il cristianesimo latino altomedievale, in G. Filoramo e D. Menozzi, Storia del
cristianesimo, p.66.
10
G. Tabacco, op.cit.
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fondato il primo convento benedettino fuori dall’Italia, ad opera di Sant’Agostino, che
divenne anche il primo arcivescovo di Canterbury.
Continuano le fondazioni in Francia e in Belgio. In Germania la figura principale è
quella di san Bonifacio, nominato dal papa “Episcopus Germaniae” e evangelizzatore di
Baviera, Assia ,Turingia e Sassonia. A lui si deve la fondazione del monastero di Fulda.
In Italia, nel frattempo, era risorto il monastero di Montecassino ( nel 717 ), mentre
grande importanza acquistarono le contemporanee abbazie di Farfa, Nonantola, San
Vincenzo al Volturno e Novalesa.
In tutto questo fiorire di abbazie spicca, nel 910, la fondazione del monastero di Cluny,
di stampo benedettino, in Borgogna, a opera del duca d’Aquitania Guglielmo il
Pio11.Questa fondazione aveva la grossa particolarità di dipendere direttamente dalla
sede Apostolica romana, instaurando un rapporto privilegiato tra papa e abate di Cluny,
che veniva definito “re dei monaci”12.
A partire dal secolo XI si ha il più grande sviluppo dei centri monastici, con una
compenetrazione sempre più stretta tra vita monastica e strutture feudali13. Alla crisi del
cenobitismo, dovuta ai troppi interessi economici dei monasteri, si contrappone la
diffusione delle correnti eremitiche e di movimenti monastici rigoristici e riformati. Il
punto di riferimento per questo rinnovamento è ancora la Regola di San Benedetto, che
viene ripresa e riportata al suo rigore iniziale.
Appartiene a questa corrente San Romualdo, che, con il suo eremitismo itinerante, parte
dai Pirenei e arriva in Italia, fondando eremi e monasteri lungo il tragitto, tra cui il più
11
G. Tabacco, op. cit.
I primi abati furono San Bernardo, Sant’Odone, San Maiolo ,Sant’Odilone, Sant’Ugo, figure
importantissime che diffusero l’ “Ordo cluniacensis” in tutta Europa, consolidando la cristianità
medioevale e rafforzando l’autorità papale. Un approfondimento a riguardo è dato da G.M.Cantarella nel
volume I monaci di Cluny.
13
G. Penco, op.cit.
12
104
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importante quello di Camaldoli. Da qui proviene la comunità dei camaldolesi, che aveva
la particolarità di unire eremo e cenobio.
Tendono a nascere organismi supernazionali, veri e propri Ordines, che seguono
osservanze proprie.
Si completa l’evangelizzazione dei popoli germanici, cui si aggiunge la conversione dei
popoli slavi, ad opera di Sant’Adalberto da Praga e dei discepoli di San Romualdo.
Questa è anche l’epoca in cui raggiunge il suo apogeo la cosiddetta “teologia
monastica”, ossia la riflessione sapienziale sui misteri della fede che porta a
compimento il precedente sviluppo del pensiero cristiano, ad opera di personalità come
Sant’Anselmo d’Aosta, Giovani di Fécamp, San Pier Damiani, ma soprattutto San
Bernardo.14
Accanto ai movimenti eremitici nascono altri nuovi filoni monastici: in Francia quello
fondato da Guglielmo da Volpino, in Italia quello di Vallombrosa, fondato da San
Giovanni Gualberto, quello di Montevergine, fondato da San Guglielmo da Vercelli, e
quello fondato in Puglia da San Giovanni di Matera e detto congregazione di Pulsano.
Ma il più importante movimento nato in questo periodo è quello Cistercense, che trae
origine da San Roberto15 che, al fine di ripristinare la Regola benedettina originale,
fonda nel 1098 il monastero di Citeaux.16Gli insegnamenti di San Benedetto tornano ad
essere quelli dell’origine, grazie ai monaci bianchi di Citeaux che si contrappongono
anche nel colore del saio ai neri di Cluny. Lungo tutto il XII secolo la congregazione
ebbe enorme diffusione e con essa anche la Regola benedettina.
14
G.Penco, op.cit.
Al fondatore succedono San Bernardo, Sant’Alberico e Santo Stefano Harding, autore della Carta
caritatis,testo base della legislazione cistercense.
16
G.G.Merlo, Il cristianesimo latino bassomedievale, in G.Filoramo e D.Menozzi, op.cit.
15
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Il Basso Medioevo vide la crisi dei centri monastici, anche a causa dello sviluppo dei
nuovi ordini mendicanti, ma non scomparvero, anzi, fra ‘200 e ‘300 le congregazioni
continuarono comunque a pullulare un po’ dappertutto.17
Tra ‘300 e ‘400 il male peggiore fu il decadimento morale, a cui cercarono di porre
rimedio movimenti monastici su scala regionale o nazionale. I più importanti: Santa
Giustina da Padova, Valladolid in Spagna e Bursfeld in Germania. Il primo in
particolare, attraverso una riforma cattolica monastica, precorse di un secolo le
deliberazioni del Concilio di Trento ( 1545 – 1563 ). Salvato dalla decadenza dal nobile
abate veneziano Ludovoico Barbo, la sua rinascita portò grande affluenza di monaci e la
formazione di una federazione di conventi di pari diritti. Fu punto di riferimento per
tutte le Congregazioni monastiche riformate tra ‘400 e ‘500, rimanendo però
esclusivamente italiano. Con l’annessione di Montecassino del 1504 prese il nome di
Congregazione Cassinese.
Ma l’epoca moderna vede anche il monachesimo benedettino indebolito in alcune zone
d’Europa dalla Riforma Protestante18, anche se tutelato dalle deliberazioni del Concilio
di Trento, che attuò un consistente rinsaldamento della disciplina.
Le Congregazioni benedettine tendono ad aumentare, dando impulso agli studi sacri:
nascono i Maurini nel 1621 ( Congregazione francese di San Mauro ) a cui si
contrappongono i Trappisti dell’abate Rancé, ramo riformato dell’Ordine cistercense. A
Venezia, invece, il venerabile Pietro Mechitar19 nel 1700 fonda la Congregazione dei
Mechitaristi, adottando la Regola di San Benedetto e dando vita a un attivo focolaio di
cultura armena.
17
Silvestrini nelle Marche, Celestini in Abruzzo, Olivetani in Toscana.
P.Christoph, La storia della chiesa, p.406
19
Di provenienza armena, cerco invano di fondare un monastero anche a Costantinopoli, in G.Penco,
op.cit.
18
106
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Nel ‘700 i monasteri prendono parte alle dispute dottrinali, come quella del
Giansenismo.
Con la Rivoluzione francese quasi tutte le comunità monastiche vennero soppresse o
disperse, e con loro il patrimonio culturale e artistico di cui erano in possesso.
La restaurazione dell’epoca post-napoleonica invece diede nuova vita alle
Congregazioni monastiche. Il processo fu favorito anche dalla cultura romantica
dell’epoca, caratterizzata dal recupero del medioevo con la sua tradizione cristiana e
monastica. In Francia importante fu l’esperienza di Prospero Guéranger, che si stabilì
nel monastero di Solesmes e diede vita alla nuova Congregazione solesmense. A questa
si ispirarono anche altre nuove Congregazioni benedettine nate nell’Ottocento: quella di
Beuron, fondata dai fratelli Wolter in Germania, che diede vita a numerosi monasteri in
tutta Europa e si occupò della ripresa della Congregazione benedettina brasiliana. Alla
fine del XIX secolo fu fondata anche la Congregazione tedesca di Sant’Ottilia per le
missioni in Asia e in Africa. L’abate Pier Francesco Casaretto riformò la Congregazione
Cassinese che divenne dapprima Congregazione Cassinese “di prima osservazione” e in
seguito Congregazione Sublacense.
Nel 1855 e 1866 il governo italiano impose nuove soppressioni .
Grande novità dell’inizio dell’800 fu l’espansione del monachesimo benedettino negli
Stati Uniti d’America, dapprima con i Trappisti francesi e in seguito con i Benedettini
bavaresi e svizzeri. Il loro scopo era fornire assistenza ai connazionali emigrati.
Nello stesso periodo l’Ordine raggiunge anche l’Australia, dove viene fondata l’abbazia
Nuova Norcia.
Alla fine dell’800 ci fu un nuovo moto di ripresa anche in corrispondenza del XIV
centenario della nascita di San Benedetto ( 480 – 1880 ), quando tutti gli abati del
107
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mondo si riunirono per la prima volta a Montecassino, dando origine a una
Confederazione Benedettina guidata da un abate primate.
Il numero dei monaci e delle monache crebbe rapidamente passando dai 2000 del 1880,
ai 6500 nel 1940, agli 11400 del 195520.
Nel nostro secolo, segnato dalla distruzione nel 1944 , durante la Seconda Guerra
Mondiale, dell’abbazia di Montecassino, da parte delle truppe angloamericane, il
monachesimo di San Benedetto ha raggiunto veramente un’espansione mondiale,
contribuendo alla rinascita religiosa e alla celebrazione del Concilio Vaticano II
“mediante l’apporto al movimento liturgico, biblico, patristico, ecumenico”21.
In questo modo si spiega l’ampia eco che ebbe l’infausto bombardamento del ’44 in
tutti gli angoli del mondo, e il perché soprattutto, subito dopo la guerra, il monastero fu
ricostruito ( al 1945 risale la posa della prima pietra ) “dov’era, com’era”, secondo la
volontà dell’abate ricostruttore Idelfonso Rea. Finanziato esclusivamente dallo Stato
Italiano e con il contributo degli italiani all’estero, fu assunto a simbolo nazionale di
cristianità e nel giro di un decennio risorse in tutto il suo splendore, secondo il motto
“succisa virescit”, che aveva caratterizzato ogni ricostruzione dello sfortunato
monastero, che dalla sua fondazione fu abbattuto ben quattro volte.
20
21
G.Penco, op. cit.
G.Penco, op. cit.
108
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11. LA BATTAGLIA DI MONTECASSINO NEL CINEMA
11.1. Introduzione ai film principali
Il mondo cinematografico è stato avaro di produzioni sulla battaglia di Montecassino.
La sterminata filmografia sulla seconda Guerra Mondiale, sia italiana che straniera,
affronta gli avvenimenti accaduti durante la campagna d’Italia (1943- 1945) in
numerose pellicole, alcune delle quali si avvicinano anche al luogo e al periodo della
battaglia di Montecassino ( S. Pietro Infine, Volturno, Anzio, la presa di Roma) .
Ma i film che trattano diffusamente della battaglia in questione sono solamente tre e
appartenenti a filmografie diverse. In ordine cronologico si possono ricordare:
•
The story of G.I. Joe ( I forzati della gloria ), Di William Wellman, USA, 1945 ;
•
Montecassino , di Arturo Gemmiti, Italia , 1946 ;
•
Die gruenen Teufel von Montecassino ( I diavoli verdi di Montecassino), di
Harald Reinl, Germania ( ex Repubblica Federale Tedesca) , 1958.
Mentre il film italiano e quello tedesco sono totalmente incentrati sulla battaglia, il film
americano tratta in generale della Campagna d’Italia , ma soffermandosi anche sulla
battaglia di Montecassino. Infatti, se sia gli Italiani che i Tedeschi avevano buoni motivi
per ricordarsi di quel tragico fatto, gli Americani, analizzando storicamente gli
avvenimenti, ebbero maggiori vittorie su altri fronti, e qui inoltre si macchiarono
dell’inutile bombardamento del monastero.
Per quanto riguarda la pellicola di Gemmiti il fatto storico è rivissuto attraverso gli
occhi di monaci e profughi che subirono la tragedia, mentre i Tedeschi si fecero vanto
nella pellicola di Reinl di aver salvato l’immenso patrimonio artistico della storica
abbazia benedettina.
109
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110
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11.2. THE STORY OF G.I. JOE
( I forzati della gloria – William Wellman, 1945 )
Locandine della edizione originale americana del film
Il film The story of G.I. Joe fu girato nel 1945 da William Wellman, regista
hollywoodiano, nel periodo in cui la guerra stava volgendo al termine. Il momento
storico dava al regista la possibilità di realizzare un’opera realistica, poiché si poteva
rappresentare quello che realmente era stato e le condizioni talvolta disperate in cui i
soldati erano costretti a combattere.
111
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La pellicola si basava sui reportage di Ernie Pyle1 ( Ernest Taylor Pyle), giornalista del
Washington Daily News, che ottenne un premio Pulitzer nel 1944 proprio per le sue
storie sui semplici fanti, che sostenevano l’urto della guerra nelle peggiori condizioni.
Seguiva le truppe nei loro spostamenti, viveva come i soldati semplici, accompagnato
però dalla sua macchina da scrivere, e morì come uno di loro, ucciso da un cecchino
giapponese nel 1945 a Okinawa.2
Wellman lavorò sul materiale di Pyle e ne fece una grandiosa opera, con un notevole
grado di realismo, a cui si aggiungono diversi spezzoni documentari tratti dal
documentario The battle for San Pietro3, girato da John Huston durante la battaglia di
San Pietro Infine, sulla linea Gustav, montati in modo magistrale.
Il film fu prodotto da Lester Cowan e interpretato, nei ruoli principali, da Robert
Mitchum (capitano Walker) e Burgess Meredith (Ernie Pyle). Molti erano gli attori
sconosciuti, tra cui circa centocinquanta veterani, che la produzione utilizzò per sei
settimane, prima che partissero per il Pacifico.4
1
Nato il 3 agosto del 1900 a Dana, nell’Indiana, Pyle cominciò a scrivere le storie dei militari ancora
prima della seconda guerra mondiale. Partì poi per il fronte insieme all’esercito americano e viaggiò in
Africa e in Europa. Nel 1945 decise di partire per il Pacifico, dove trovò la morte il 18 aprile 1945 a Ie
Shima (Ryukyu Islands). Le informazioni sono tratte da diversi siti che trattano del giornalista ed in
particolar modo: www. americanwriters. org, www. duff. net, www. outwestnewspapers. com.
2
C. Koppes e G. Black, La guerra di Hollywood. Politica, interessi e pubblicità nei film della seconda
guerra mondiale, p. 336.
3
Le Forze armate americane chiesero la collaborazione di registi di Hollywood, tra cui Frank Capra,
William Wiler e John Huston, poiché le truppe alleate stavano risalendo velocemente la penisola italiana.
Huston fu inviato in Italia per girare un documentario su quella che doveva essere l’imminente
liberazione di Roma, ma la situazione cambiò. I Tedeschi bloccarono gli Alleati sul fiume Liri e Huston
ricevette un nuovo ordine: fare un lavoro che spiegasse agli Americani perché la guerra si era fermata tra
Roma e Napoli. Fu arruolato nel 143°Reggimento fanteria del Texas , trascorse un periodo in Gran
Bretagna per poi arrivare a Napoli. Infine giunse a San Pietro Infine con la sua troupe cinematografica,
dove, dopo quindici giorni di combattimento, furono i primi ad entrare. Il documentario, nella versione in
cui si vide all’epoca, era modificato da un taglio di circa venti minuti imposto dal Capo di Stato maggiore
dell’esercito americano George C. Marshall, poiché ritenuto troppo crudo. Furono tolti tutti i militari
americani morti e riconoscibili e le sequenze che si dilungavano troppo sui civili italiani, perché ritenute
poco interessanti
4
Koppes – Black, op. cit., p. 336.
112
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I forzati della gloria venne distribuito negli USA il 6 ottobre del 19455 ( in Italia solo
nel 1949 ) ed ebbe quattro nomination all’Oscar, senza vincerne nessuno: sceneggiatura
( Leopold Atlas, Guy Endore, Philip Stevenson ), canzone ( “Linda” di Ann Ronell ),
musica ( Ann Ronell, Louis Applebaum ) e Robert Mitchum come attore non
protagonista6.
All’epoca Mitchum aveva vent’otto anni, ventidue film alle spalle e grazie a questa
produzione riuscì a far slittare la sua chiamata alle armi fino a quando ormai la guerra
era quasi finita. Grazie anche alla regia di Wellman, questa produzione indipendente
distribuita dalla United Artists fu il suo trampolino di lancio.7
Il film narra le vicende di una compagnia di fanteria dalla Tunisia allo sbarco in Sicilia,
alle battaglie di liberazione nel sud Italia, fino ad arrivare a Montecassino e, in seguito,
a Roma. C’è quindi una grande diversità rispetto agli altri film che parlano della
battaglia di Montecassino, poiché qui il discorso è più vasto, affronta buona parte della
campagna d’Italia, ma comunque interessante, soprattutto nella parte in questione.
Inoltre è l’unico film prodotto negli Stati Uniti che tratti in modo abbastanza diffuso di
questo episodio, ma questa volta solamente dal punto di vista dei soldati americani, cioè
dei G.I., i fanti semplici.
Quello di Wellman è considerato uno dei migliori film hollywoodiani di guerra usciti
nel 1945.
Lo scrittore James Agee, all’epoca critico cinematografico, lo definì “a tragic and
eternal work of art” e in termini altrettanto entusiastici ne parlò Samuel Fuller, che
5
J. Basinger, The World War II combat film. Anathomy of a genre, p. 294.
I dati sono tratti dall’articolo di Morando Morandini I forzati della gloria, apparso nella pubblicazione
Eroi, duri e avventurieri. Il cinema d’azione, supplemento alla rivista Ciak n. 6, giugno 2002.
7
Ibidem
6
113
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riteneva brutta la maggior parte dei film di guerra, ma che apprezzava invece gli antieroi
di questa pellicola8.
Il film , introvabile in lingua italiana, è stato analizzato nella versione originale in lingua
inglese.
11.2.1. Gli Stati Uniti alla fine del secondo conflitto mondiale
Gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1941, dopo l’attacco Giapponese a Pearl Harbor,
e condussero le sorti della guerra fino alla vittoria definitiva del 1945.
Gli ultimi anni di guerra furono segnati da una serie di importanti vittorie su tutti i
fronti. Alleati di Gran Bretagna e Unione Sovietica nel comune tentativo di debellare il
male fascista che imperversava in Europa, nel 1944 sbarcarono in Normandia e
liberarono la Francia. In quegli anni il presidente degli Stati Uniti era Franklin Delano
Roosvelt, che insieme a Stalin e Churchill era alla guida dell’alleanza.
I tre grandi si incontrarono a Mosca nell’ottobre del 1944, per decidere sulle sorti
dell’Europa dopo la guerra e in seguito, nel febbraio 1945 a Yalta, in Crimea, dove fu
decisa la suddivisione della Germania in quattro zone di influenza (una era riservata alla
Francia) e la sua massiccia denazificazione.
Mentre si svolgeva questa conferenza, era già scattata l’offensiva finale, che nel giro di
pochi mesi avrebbe portato al crollo del Terzo Reich. Il 7 maggio 1945 fu firmato l’atto
di capitolazione delle forze armate tedesche, che decretò la fine della guerra in Europa.
8
“Odio l’eroismo fasullo,quel genere di eroismo ipocrita che inventiamo per i nostri ragazzi affinché i
loro genitori, rientrati in casa, si sentano rassicurati sulla guerra gentile e pulita che il loro figlio sta
combattendo…Faccio film di guerra perché ho incontrato uomini meravigliosi e attraverso di loro posso
raccontare la mia avversione per la guerra.” In M. Morandini, art. cit.
Samuel Fuller riprende anche una scena di questi film, in cui i civili italiani escono dai loro rifugi er
ringraziare i G.I. di aver liberato il loro paese, nel suo The big red one. In J. Basinger, op. cit., p. 141.
114
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Ma i combattimenti proseguivano nel Pacifico9, dove il Giappone resisteva ancora e gli
Stati Uniti avevano cominciato una lenta riconquista delle posizioni perdute. I nemici si
rifiutavano di arrendersi e la drastica decisione per cessare i combattimenti fu dettata dal
nuovo presidente degli Stati Uniti (Roosvelt era morto il 12 aprile 1945) Harry Truman,
che decise di impiegare la nuova arma totale, la bomba atomica. Il 6 agosto fu sganciato
il primo ordigno su Hiroshima, tre giorni dopo una nuova bomba colpì Nagasaki. Il 15
agosto l’imperatore Hiroito offrì agli Alleati la resa senza condizioni10.
Gli Stati Uniti divennero in questo periodo la guida materiale e “spirituale” di tutto
l’occidente, poiché cominciava a prendere forma il cosiddetto “mito americano”.
Di matrice soprattutto americana fu l’ispirazione di base dell’Organizzazione della
Nazioni Unite, creata nella conferenza di San Francisco (aprile – giugno 1945) con
l’obbiettivo di salvare le generazioni future dal flagello della guerra e di impiegare
strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i
popoli.11
Il problema principale che toccava gli Stati uniti subito dopo la guerra non era quello
della ricostruzione, poiché il loro territorio non era stato flagellato dai combattimenti,
ma della riconversione: occorreva cioè riconvertire il sistema economico, indirizzato
negli ultimi anni alla produzione bellica, a scopi di pace.
Truman cercò di portare avanti la politica riformista roosveltiana, con un atto chiamato
Fair Deal, ma con poco successo. Egli mirava a mantenere saldo il legame tra operai ed
agricoltori per dare al paese una dinamica democrazia sociale ed economica. Ma i prezzi
9
Liddel Hart, op. cit., p.700.
Ibidem, p. 970.
11
Giardina – Sabatucci – Vidotto, Manuale di storia.3.L’età contemporanea, pp. 691 – 694.
10
115
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agricoli cominciarono a scendere e i salari continuavano ad aumentare12. L’abolizione
dei controlli sulle attività industriali e il forte deficit del bilancio statale (gravato dalle
spese militari e da quelle per gli aiuti all’estero) provocarono un forte aumento dei costi
della vita e sfociarono in una serie di manifestazioni sindacali.
La fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della Guerra Fredda modificò
notevolmente il clima politico e sociale negli Stati Uniti. Il secondo “Red Scare”
cominciò a diffondersi pochi anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale.
La “questione comunista” provocò nel corpo sociale degli Stati Uniti la lacerazione e la
frattura
etico-psicologico-politica
più
grave
dal
tempo
della
guerra
civile;
l’anticomunismo e il timore di infiltrazioni, congiure e atti di spionaggio contro la
sicurezza del paese raggiunsero toni molto marcati che ricordavano quelli del primo
dopoguerra, l’epoca appunto della “prima paura rossa” ma che, diversamente da allora,
avevano adesso qualche giustificazione; le condizioni di libertà e il processo di
svolgimento della vita pubblica in una democrazia tradizionale come gli Stati Uniti
permisero l’affermazione e il successo di demagoghi che arbitrariamente si servirono
del potere così acquisito per cercare di conculcare le libertà che pretendevano di
difendere. Durante il New Deal, nel fervore riformatore e nella necessità di una sia pur
preliminare programmazione, l’accesso di comunisti a posti di responsabilità del
governo federale non era stato impedito, e così era avvenuto anche negli anni di guerra
in cui era stata stabilita l’alleanza con l’URSS, in una sorta di solidarietà morale e
ideologica antifascista. Questo clima si deteriorò rapidamente con la morte di Roosevelt
e la fine della guerra. Gli sviluppi della politica internazionale che portarono alla Guerra
Fredda furono accompagnati, se non addirittura preceduti, da fatti interni agli Stati Uniti
12
Allan Nevis e Henry Steele Commager, Storia degli Stati Uniti, Einaudi, Torino, 1980, pp.548 – 549.
116
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e al semicontinente nordamericano che dimostrarono la realtà dell’infiltrazione
comunista-sovietica. 13
L’America aveva prodotto film bellici durante tutto il conflitto a scopi principalmente di
propaganda, per elogiare le imprese militari e il coraggio dei suoi soldati.
In un clima politico come quello descritto, un film come I forzati della gloria risulta
essere una particolarità. Infatti, seppur raccontando storie di vittorie, si presenta
anomalo per il suo antiideologico e spesso desolato ritratto della guerra. Non si è trovato
nessun documento dell’OWI (Ministero dell’informazione bellica) riguardo a questo
film, ma sembra improbabile che sia stato approvato da un ente che riteneva
l’esperienza militare un esercizio di autoperfezionamento e che glorificava le imprese
eroiche dei militari. Non avrebbe potuto accettare il fatto che questi militari non
morivano in modo eroico, ma in maniera del tutto casuale.14
13
14
Francesco Cappella, Il mondo fra due blocchi, www. cronologia. it.
Koppes – Black, op. cit., pp. 338 – 340.
117
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11.2.2. Analisi del film
Locandine del film: la prima è dell’edizione italiana, la seconda di quella tedesca.
I titoli di testa del film sono su uno sfondo nero con al centro la stella che caratterizza
l’esercito americano.
La musica, che molta importanza ha in questa produzione, e che, come già detto, ha
avuto anche la nomination ai premi Oscar, parte da subito, dapprima con un coro
maschile che canta a cappella, poi con un pezzo strumentale di impronta tipicamente
militare, con delle percussioni che ricalcano il tono di una marcia.
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La campagna in Africa
Le vicende del film iniziano in Africa, in un paesaggio desertico, dove una colonna di
camion carica di soldati sta per partire. Da subito si crea un’atmosfera amichevole tra i
giovani, anche grazie a un piccolo cane che vorrebbero portare con loro. L’animale è
stato ribattezzato A-Rab , il contrasto è stridente tra la situazione dura della guerra e
l’atteggiamento dolce che hanno i militari verso di lui.
L’umanità di questi uomini è una delle caratteristiche principali di questo film, che dà
grande spazio ai personaggi. Infatti i militari, che affrontano i combattimenti contro i
Tedeschi dall’Africa all’ Italia, sono i soldati semplici della fanteria americana, quelli
che hanno vissuto la guerra nel modo più terribile. Come sottolinea Ernie Pyle in una
battuta del film parlando del G.I., cioè del soldato di fanteria: “ He lives so miserable
and dies so miserable”15.
I visi dei ragazzi si rattristano quando il loro comandante cerca di portare loro via il
cucciolo, ma alla fine anche lui si intenerisce e decide di tenerlo come mascotte della
truppa. Il cane, in quadrato dall’alto, passa fra le mani di tutti i soldati, in una specie di
trionfo.
Il comandante in questione è Robert Mitchum nel ruolo di Walker, che passa di grado
nel corso del film, e diventa “captain” dopo essere stato “lieutenant”.
Il personaggio su cui è ricalcato il capitano Walker si chiama in realtà Henry T.
Waskow, comandante della 36^ Divisione di fanteria americana, di cui parla Pyle in
alcuni dei suoi famosi articoli16. Esisteva nella 36^ Divisione un comandante di nome
15
Trad: il soldato semplice vive miseramente e muore miseramente.
Il capitano Waskow era di Belton, nel Texas e le notizie su di lui sono ricavate dal sito www. west. net.
In particolare sono interessanti i due articoli che lo riguardano scritti da Pyle che lo riguardano ( riportati
in appendice): The death of Captain Waskow e Riley Tidwell ’s homecoming. Nel primo si narra della
morte del capitano, che viene ripresa fedelmente nel film I forzati della gloria, il secondo invece è
16
119
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Fred L. Walker17, un generale messo a capo della divisione nel 1941, che guidò le
operazioni del gruppo per tutta la Campagna d’Italia, ma dai racconti dello stesso Pyle
non ha niente a che fare con il protagonista del film.
In questa prima sequenza si incontra subito anche il personaggio di Ernie Pyle,
interpretato da Burgess Meredith (figura 1), cioè il cronista americano inviato al fronte
che affronta tutta la campagna con i ragazzi e che sarà la voce narrante dell’intero film.
Si capisce che il rapporto è stretto fra questi personaggi, perché all’arrivo del giornalista
i ragazzi lo salutano, lo chiamano per nome e iniziano a scherzare con lui, come se fosse
uno di loro.
Figura 1. Burgess Meredith è Ernie Pyle
Inizia un breve viaggio nel deserto, dove l’atmosfera è allegra e rilassata e dove anche i
due protagonisti hanno la possibilità di confrontarsi in un breve dialogo, dove anche
Walker dice a Pyle che è contento di riaverlo con lui.
Le immagini dei soldati sui camion sono spesso controluce, come qui ad esempio, come
se si cercasse di cancellarne l’identità, che si fa invece viva e ben definita nelle scene
che li riguardano più da vicino.
un’intervista ad un reduce della 36^ Divisione, che parla, fra le altre cose, del suo incontro con Robert
Mitchum e Burgess Meredith che stavano realizzando il film in questione.
17
Thirty – Sixth Infantry Division, www. rra. dst. tx. us.
120
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La sequenza successiva si svolge di notte, in un accampamento dove i soldati stanno
riposando. L’elemento fondamentale della sequenza è la musica, diffusa da una radio
accesa da uno dei soldati.
Si parte con uno swing, che accompagna un lungo piano sequenza sulle tende dei
ragazzi, inquadrate una per una, dove a coppie si riposano e parlano tra di loro a bassa
voce. Il soldato che ha acceso la radio è l’unico seduto ad ascoltare, con la coperta sulle
spalle nella fredda notte del deserto. A lui si avvicina Pyle, mentre alla radio inizia a
parlare la voce suadente di una donna, che il giovane chiama “actress Sally”.
La macchina da presa passa in rassegna i visi dei soldati, mentre la voce della radio fa
corrispondere a ciascuno il nome di una donna, incoraggiando poi proprio la 18^
Infantry Division18, conosciuta da tutti, “ French, British…” , e augurando loro buona
fortuna. Ora la vista sull’accampamento è totale e si alza un grido di ringraziamento per
le parole dell’attrice, che conclude dicendo di sconfiggere i Tedeschi e di farlo anche
per le loro donne, che sono a casa ad aspettarli.
Inizia in sottofondo la canzone candidata all’oscar Linda di Ann Ronell, mentre
continuano ad essere inquadrati i visi dei soldati, che iniziano ora a parlare di donne.
La musica è qui un elemento infradiegetico importante, perché ha una forte influenza
sullo stato d’animo dei ragazzi, che sembra essere un misto di malinconia e speranza,
ben espressa dall’ultima battuta di un soldato: “I dream in technicolor”.
Inizia poi una sequenza di guerra. E’ giorno e i soldati sono ripartiti sui loro camion. Si
odono degli spari e tutti si girano per guardare. Nessuno parla, ora la loro espressione è
preoccupata, molto diversa da quella serena che si respirava durante la notte appena
18
Come già accennato la Divisione in questione è la 36^, non la 18^, secondo proprio gli articoli di Pyle.
Il numero della divisione e il nome del comandante sono di pura finzione filmica, ma fedelmente ricalcati
su persone reali. In www. west. net. Inoltre analizzando la storia militare della guerra, non risulta di una
18^ Divisione di fanteria che abbia compiuto le azioni qui descritte, che appartengono invece alla 36^
Divisione Texas. In Liddel Hart, op. cit.
121
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trascorsa. Si sentono degli aerei, tutti scendono dal camion, mentre Walker resta a bordo
a sparare.
Gli aerei se ne vanno, tra la gioia dei soldati che iniziano con gesti e parole contro il
nemico che è appena fuggito. Ma ad un tratto la musica diventa drammatica e fa capire
che in realtà qualcosa è successo. Tutti si girano per guardare nella stessa direzione, i
loro visi si fanno tristi e si può capire che qualcuno è morto, ed in particolare il ragazzo
che veniva sempre inquadrato con il cagnolino, poiché ora A-Rab viene consegnato ad
un altro fante.
Il cadavere non viene mostrato dalla cinepresa, se non da molto lontano quando
l’autocolonna riparte seguita da un’ambulanza che si ferma a raccoglierlo.
Significativa è la battuta di Walker, che fa capire la rassegnazione di chi in vita sua di
morti ne ha già visti tanti: “The first is always the worst”19, rivolto a Pyle, mentre il
cane continua a piangere.
Una nuova sosta permette alla macchina da presa di inquadrare tutti gli uomini in
panoramica, mentre scendono da un costone per guadare un fiume. Sono tantissimi, e
dall’alto danno l’idea delle formiche brulicanti in un formicaio. La musica è ancora
quella trionfale dell’inizio.
Con loro c’è ancora Pyle, che abbandona un po’ del suo bagaglio e si unisce alla fila,
ma stando all’esterno, in una posizione vicina al gruppo ma differente, che rappresenta
la sua condizione: nonostante la sua vita sia con i fanti non è uno di loro, è diversa la
considerazione che la gente ha di lui.
19
Trad: il primo è sempre il peggiore
122
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Cambia improvvisamente il paesaggio. Ora la pioggia è scrosciante , ai bordi delle
strade ci sono infinite file di palme ( quindi dobbiamo supporre di essere ancora in
Africa ) e i soldati camminano a piedi.
Ad un certo punto smette di piovere e Pyle si siede un momento per riposarsi. Si
avvicina un soldato di nome McLuskie, che, pieno di speranza, gli dice che vinceranno
la guerra con una mano sola. Parte allora la voce fuori campo di Pyle, che commenta la
battuta del ragazzo: “Winning the war single handed – continua con un elenco di nomi
dei soldati, raccontando come tutti abbiano dovuto lasciare la loro vita normale per
andare in guerra – here they are, guns in their hand facing a deadly enemy in a strange
faraway land. This was their baptism of fire.”20 Continua poi con un elenco delle attività
dei soldati prima di essere mandati al fronte.
Come si può intuire le condizioni climatiche sono sempre molto difficoltose, al limite
della resistenza umana, e questo rende ancora di più l’idea della durezza della guerra.
Inizia poi una battaglia. E’ notte, all’interno di una grotta dove sembra sia situato il
comando americano non c’è comunicazione. Pyle è seduto davanti ad una cartina e
ancora una volta la sua voce fuori campo commenta quello che sta accadendo: “ In was
chaos, at final. Crawling by the brink of possible death, in the night, afraid. Each boy
facing the worst moment of his life. Alone. It was a battle without a land, and it was
going against us.”21
Da una scala sta scendendo il capitano Walker con due uomini. All’improvviso scoppia
un ordigno e la perfetta coordinazione in cui i tre si muovono fa capire che per loro
ormai è all’ordine del giorno mettere in pericolo la loro vita. Il luogo in cui si trovano è
20
Trad: Vincere la guerra con una mano sola. Eccoli, pistola tra le mani fronteggiando un nemico mortale
in una terra straniera. Questo era il loro battesimo del fuoco.
21
Trad: Alla fine arrivò il caos. Sul punto di poter morire da un momento all’altro, di notte, spaventati.
Ogni ragazzo fronteggiava il peggior momento della sua vita. Da solo. Era una lotta senza quartiere, ed
era contro di noi.
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molto buio, completamente isolato dal mondo esterno, e questo dimostra ancora le
pessime condizioni in cui vivevano i soldati.
Purtroppo devono abbandonare il rifugio per ritirarsi, bruciano le carte geografiche per
ordine di un anziano generale e abbandonano il rifugio. La guerra è più difficile di
quanto pensassero, infatti lo stesso generale dice: “I wonder when we’re gonna start
wining this war.”22, mentre un altro soldato ritorna sconvolto da una missione e con gli
occhi sbarrati dice: “Captain Walker, never seen anything like in my life.”23
Dopo aver inquadrato il rifugio vuoto è ancora il momento dei fanti per strada. Le
condizioni climatiche ora sono ottime, c’è il sole, ma il loro morale è a terra per l’ultima
sconfitta. La musica, che continua ad essere un elemento importantissimo, è triste, il
loro passo è lento e la voce di Pyle commenta ancora: “American boys beaten, beaten
badly. One of the few times in our history. It was a bitter humiliating experience and
Joe McLuskie was wondering what the folks back in Cleveland were thinking of him
now.”24
L’avventura in Africa è terminata e la truppa si appresta a sbarcare in Italia.
A proposito della situazione in Africa Pyle scrive diversi reportage che ne spiegano la
grande e inaspettata difficoltà.25
Inoltre spiega il perché di queste sconfitte. I motivi sono principalmente due secondo
Pyle: il primo era che le truppe americane mandate in Africa erano truppe in erba, senza
22
Trad: mi piacerebbe sapere quando cominceremo a vincere questa guerra.
Trad: Capitano walzer non ho mai visto niente di simile in vita mia.
24
Trad: i ragazzi americani erano stati battuti, duramente battuti. Una delle poche volte nella nostra storia.
Era un’esperienza amara ed umiliante e Joe McLuskie si chiedeva cosa avrebbe pensato di lui ora la gente
di Cleveland.
25
“Merchant Marine officers who have been here a couple of days are astonished by the difference
between what they thought the situation was and what it actually is. They say people at home think the
North African campaign is a walkway and will be over quickly; that our losses have been practically nil;
that the French here love us to death, and that all German influence has been cleaned out. If you think
that, it is because we newspapermen here have failed at getting the finer points over to you.” Il passo è
preso dall’articolo Political situation in Africa was ticklish and confusing, www. private – art. com.
23
124
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esperienza, che dovevano scontrarsi contro militari esperti; il secondo era che non si
conosceva con precisione quanti soldati i francesi avrebbero mandato per resistere.26
La trentaseiesima Divisione Texas, a cui fa riferimento il film, pur chiamandola 18^, fu
mandata in Algeria nell’aprile del 1943, ad Oran, dopo pochi mesi di addestramento.27
In un passo molto bello e significativo di Ernie Pyle scritto in Tunisia, proprio quando si
trovava insieme ai ragazzi della 36^ divisione Texas, si legge un vero e proprio elogio
per questi uomini comuni, che combattevano nelle peggiori condizioni. Amavano
chiamarsi “the God – damned28 Infantry”, la fanteria maledetta da Dio, e vengono
descritti proprio come i derelitti, come i ragazzi del fango, del gelo e del vento. Non
hanno comodità, e imparano continuamente a vivere senza il necessario. Ma alla fine
sono proprio i ragazzi senza i quali la guerra non può essere vinta.
A proposito ancora della 36^ Divisione, lasciarono l’Africa nel settembre del 1943,29
quando furono accorpati alla V Armata Americana del generale Clark per sbarcare a
Salerno tra l’8 e il 19 di quel mese, continuando in seguito i combattimenti proprio sul
fronte di Cassino.
Come si noterà in seguito, quando Pyle parla della Divisione, dirà che spera di
ricongiungersi al più presto ai ragazzi di Walker, già sbarcati in Sicilia e in altri luoghi,
26 “In Tunisia, for instance, we seem to be stalemated for the moment. The reasons are two. Our Army is
a green army, and most of our Tunisian troops are in actual battle for the first time against seasoned
troops and commanders. It will take us months of fighting to gain the experience our enemies start with.
In the second place, nobody knew exactly how much resistance the French would put up here, so we had
to be set for full resistance. That meant, when the French capitulated in three days, we had to move
eastward at once, or leave the Germans unhampered to build a big force in Tunisia”. In www. private –
art. com.
27
La Divisione precedente era stata catturata presso Java, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor il 7
dicembre 1941 , ed aveva trascorso tutta la guerra nei campi di prigionia giapponesi. Molti dei soldati
morirono durante la costruzione della ferrovia che portava a Burma. Thirty – Sixth Infantry Division,
www. rra. dst. tx. us.
28
“ I love the infantry because they are the underdogs. They are the mud-rain-frost-and-wind boys. They
have no comforts, and they even learn to live without the necessities. And in the end they are the guys
that wars can't be won without.” In E. Pyle, God damned Infantry, www. journalism. indiana. edu.
29
Thirty – sixth Infantry Division, www. rra. dst. tx. us
125
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commettendo un errore storico. Ma nell’economia della storia il fatto di accrescere le
loro imprese aumenta la loro dimensione eroica.
La campagna in Italia
La scena successiva mostra Pyle nell’azione di scrivere alla sua macchina. L’atmosfera
è tragicomica, poiché risulta buffo vedere il giornalista che scrive in continuazione,
anche mentre mangia o mentre si lava, ma allo stesso tempo ci mostra anche un uomo
provato dalla guerra, con gli abiti sporchi, che cerca di dare sollievo ai suoi piedi,
stremati dalla fatica di lunghe marce, immergendoli in una bacinella colma d’acqua, che
diviene anche un toccasana per le loro condizioni igieniche. Durante queste azioni si
sente la sua voce fuori campo, come se stesse leggendo ad alta voce quello che scrive:
“As we look back on our first defeat, and the bloody victories which followed,
we realize that only battle experience can make a combat soldier. Killing is a
rough business. Man live rough and talk rough. In a year I’ve been in a lot of
places, learned to love a lot of men, but I always reserved one special place in
my heart for the boys that I have started with. Everybody else have a company, I
feel I had one too: Company C 18 23 […] I haven’t seen ‘em in a long time and
now I’ll set up to find them again. They have been through a lot by now,
conquest of Sicily, murderous landings. Now they’re part of the force
hammering down the long hard road to Rome.”30
30
Trad: Se guardiamo indietro alla nostra prima sconfitta, e alle sanguinose vittorie che sono seguite,
comprendiamo che solo l’esperienza in battaglia può formare un soldato da combattimento. Uccidere è un
compito violento. Gli uomini vivono violentemente e parlano violentemente. In un anno sono stato in
molti posti, ho imparato a voler bene a molti uomini, ma ho sempre riservato un posto speciale nel mio
cuore per i ragazzi con cui ho cominciato. Chiunque altro ha una compagnia, anch’io credo di averne una:
la Compagnia C 18 23… Non li ho visti per molto tempo e adesso cercherò ancora di trovarli. Saranno
lontani adesso, avranno conquistato la Sicilia, avranno affrontato sbarchi massacranti, ora fanno parte
delle forze che si stanno battendo lungo la difficoltosa strada per Roma.
126
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In seguito tornano ad essere protagonisti gli uomini di Walker, in una sequenza che
cerca di enfatizzare la dimensione umana dei ragazzi, lontani per un momento dal
pensiero della guerra e vicini ai loro affetti più cari.
In una lunga strada ombreggiata dagli alberi i soldati chiacchierano, si siedono per
riposarsi e si sente la musica di un’armonica a bocca che suona allegramente. E’ il
momento in cui arriva la posta per i soldati. Tutti si assiepano attorno alla jeep che la
porta, impazienti di avere tra le mani un segno che li leghi ancora al loro mondo.
Alcuni ricevono lettere, altri doni (figura 2), come il soldato che scartando il pacco si
trova fra le mani un paio di pantofole, ma il momento più significativo è quello vissuto
dal sergente Steve Warnicki: alla lettura della sua lettera segue l’urlo “I’m a father!” e
nel pacco allegato trova un disco con la voce del figlioletto che lo chiama papà. Ma
sorge un problema: lui non ha un giradischi per ascoltarlo. Da questo momento per lui
la guerra sarà anche la ricerca di un apparecchio che gli permetta, attraverso la voce del
figlio, di ristabilire un contatto con casa.31
Figura 2. Un soldato riceve in dono per posta una cravatta
31
J. Basinger, op. cit., p. 141.
127
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Lo sconforto invece si legge sul viso del capitano quando gli viene detto che non c’è
posta per lui. In seguito, alla domanda di Pyle se è sposato, lui risponde: “Sì e no. Io
volevo una cosa, lei ne voleva un’altra, se n’è andata. Capitolo chiuso.”
E proprio in questo frangente infatti Pyle giunge alla sua compagnia, dov’è come
sempre circondato da tutti i ragazzi che lo considerano uno di loro.
Ricomincia la marcia (figura 3), che li conduce in un paese dove si svolge una delle
sequenze di combattimento più belle dell’intero film.
Figura 3. Pyle si riunisce alla sua compagnia in Italia
I soldati sembrano combattere contro un nemico invisibile32 e si spostano di casa in
casa, tra edifici già bombardati, dove la presenza dei Tedeschi si nota solo a causa dei
loro spari.
E’ significativo il modo in cui è stata ricostruita in studio la città (figura 4), con
caratteristiche che danno proprio l’idea dell’italianità, come la chiesa romanica
diroccata e il grande monumento di stampo romano che domina la piazza (sembrerebbe
una statua di Giulio Cesare).
32
Koppes – Black, op. cit., p. 337.
128
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Figura 4. La città ricostruita in studio dove si svolge la battaglia
Walker, Pyle e Warnicki stanno nascosti nella loro postazione (figura 5), mentre un
altro soldato, entrando in un edificio, incontra una ragazza italiana (figura 6). Anch’egli
è italo- americano, con compiti principalmente di interprete, e la scena d’amore che
segue fra i due è un’altra tappa della ricerca continua dei rapporti umani da parte di
questi giovani33.
Figura 5. Walker e Pyle nascosti
33
Figura 6. La ragazza italiana
J. Basinger, op. cit., p. 141.
129
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Walker e il sergente entrano in una chiesa diroccata ( il secondo appoggia il suo disco su
una mensola prima di entrare), mostrata per intero dalla cinepresa in piano sequenza in
tutta la sua desolazione. La musica extradiegetica accresce la suspense della scena.
Il capitano inizia a urlare: “Schifosi crauti maiali!” nel tentativo di far uscire allo
scoperto i nemici nascosti. Il trucco funziona e un Tedesco esce alla luce, ucciso subito
dai due in una bella sparatoria che ricorda molti film western.
Il simbolismo della scena è forte, poiché il nemico, cadendo, porta con sé la statua di un
angelo, e forse è un modo per paragonare i Tedeschi a degli angeli caduti e divenuti
diavoli.
“Strano posto per ammazzare della gente, vero?” dice il sergente, e si inginocchia a
pregare davanti all’altare. Un tedesco gli spara e colpisce il suo elmetto, cerca di
scendere per la cella campanaria ma Walker lo uccide. Come fa notare il testo di
Koppes e Black, nessuno parla, non ci sono discorsi istrionici sul cancellare i selvaggi
dalla faccia della terra.34
Lo schermo si oscura e si sente la voce di un bambino che grida “W gli Americani !”, le
campane suonano a festa e riparte la musica trionfale dell’inizio, seguita da un mix di
altre musiche sempre gioiose. Il paese è stato liberato, i civili escono per le strade e
parlano in italiano. Alcuni guardano le loro case distrutte, altri si avvicinano alla tavola
in cui i soldati distribuiscono loro il cibo. Un uomo viene catturato e linciato dalla folla
inferocita, ma i soldati intervengono. Un bambino cerca delle sigarette ad un soldato
americano, che però gli da solamente una stecca di cioccolato, ma questo basta per
avere la sua riconoscenza: il bambino lo prende per mano e si allontana con lui.
34
Koppes – Black, op. cit., p. 337
130
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Sono ancora le vicende umane a farla da protagoniste, quelle stesse scene che verranno
riprese in seguito dal già citato regista Samuel Fuller in un omaggio a Wellman nel suo
film The big red one ( Il grande uno rosso, 1980)35.
La scena successiva sotto le docce serve solo per accrescere i sentimenti di cameratismo
tra i ragazzi.
Segue la ricerca da parte di Warnicki di un fonografo per ascoltare la voce di suo figlio.
Si imbatte in un gruppo di italiani che non capiscono quello che chiede e finiscono per
cantare tutti in coro quando il sergente accenna qualche nota per far capire che gli serve
un giradischi. Ne trova uno in una casa abbandonata (figura 7), mentre si trova fuori col
cane, col quale parla come se fosse una persona. Non funziona, ma lo prende lo stesso, è
l’unica speranza che ha di ascoltare le prime parole del suo bambino.
Figura 7. Warnicki, col cane A-Rab, trova un fonografo in una casa abbandonata
Non lontano da loro Pyle viene trasportato a forza davanti ad un sacerdote, che sta
celebrando il matrimonio fra due soldati (figura 8). Anche la sposa porta la tuta
mimetica, ma tutta la sequenza, interrotta da una raffica di colpi di un aereo che passa, è
un inno all’umanità., che si conclude con il bel gesto dei soldati di riservare alla nuova
coppia un carro con l’iscrizione Bride suite.
35
J. Basinger, op. cit., p. 142.
131
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Figura 8. Il matrimonio
Il giorno dopo la compagnia è di nuovo in marcia e questa volta la destinazione è
Cassino. Nessuno si aspetta gli eventi drammatici che stanno per succedere e la
lunghezza dei combattimenti, tant’è che uno dei soldati dice: “At this rate we’ll be in
Rome in three days!”36.
Montecassino
L’arrivo dei soldati nei pressi di Montecassino è scandito dal suono delle campane del
monastero, che conferiscono subito un’aria di sacralità alla zona.
La prima inquadratura sembra incorniciata da un albero ricurvo in primo piano, mentre
dietro ad esso passano i soldati a piedi e sullo sfondo, in lontananza si nota subito la
collina con l’abbazia benedettina.
La fila dei soldati è guidata dal capitano Walker, che, vedendo l’edificio sul colle si
ferma e lo indica ai suoi ragazzi (figura 9), che si siedono subito dopo per riposarsi.
36
Trad: a questo ritmo saremo a Roma in tre giorni.
132
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Figura 9. La Compagnia arriva davanti alla collina di Montecassino
Segue un dialogo con Pyle riguardo al monastero:
Walker: “Good old monastery up there, so peaceful. They don’t think there was a war
within a thousands miles.”
Pyle: “ In a thousand years.”
Walker: “Maybe you’re right about the crooks pulling all back way to Rome. I don’t get
though. If they wanted to slug it up here, they could make it plenty though.”37
Ma subito l’ipotesi che i Tedeschi si siano ritirati verso Roma fatta da Walker viene
smentita dall’inizio delle esplosioni, che si pongono in contrasto anche con quanto
affermato nel dialogo tra i protagonisti sulla pace di quel luogo.
I ragazzi si gettano a terra e vengono colpiti dai sassi sollevati dalle esplosioni .
Ovunque c’è fumo e polvere, e il capitano Walker cerca di mettersi in contatto con il
posto di comando per avere disposizioni (figura 10). La scena mostra i due ai capi
estremi della linea telefonica in una serie di primi piani dal ritmo concitato, che ben
rappresentano l’agitazione che coglie gli uomini i quei momenti.
37
Trad: Walker: “Che bel monastero antico là in alto, così ricco di pace. Non possono credere che ci sia
una guerra più vicina di mille miglia.”
Pyle: “ E prima di mille anni”
Walker: “ Forse avevi ragione, i Tedeschi sono arretrati fino a Roma. Eppure non capisco: se
avessero voluto attaccare quassù, non avrebbero avuto problemi.”
133
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Figura 10. Walker si mette in contatto col Comando. In alto a destra si intravede il monastero
Walker: “[…]You know that building up on top of the mountain?”
Soldato: “The monastery?”
Walker: “ You can call it that if you want to, but I call it in military terms an
observation post. If you want to get us killed, you’d better give up the business.”
Soldato: “I’ve an order about it: religious shrine.”
Walker, dopo l’ennesima esplosione: “Do you call religion what they do?”38
Si fa già strada quindi l’idea che tra le mura del monastero, culla del monachesimo
occidentale, si annidino i soldati Tedeschi. Walker fa capire subito la sua opinione a
riguardo, che risulta essere quella di tutti i soldati alleati che, credendo erroneamente a
quanto già detto, preferivano salvare la loro vita piuttosto che l’edificio.
Il periodo raccontato in questa parte del film è l’inverno del 1943, quando gli uomini di
Clark stavano già combattendo da mesi per raggiungere la strada statale numero 6
Casilina, che attraversava la valle del Liri e portava direttamente a Roma. I Tedeschi dal
38
Trad: Walker: “Conosci quella costruzione sulla cima della montagna?”
Soldato: “Il monastero?”
Walker: “ Puoi chiamarlo così se vuoi, ma in termini militari io lo chiamerei un posto di
osservazione. Se vuoi che ci uccidano tutti, puoi anche rinunciare al lavoro.”
Soldato: “Ho un ordine a proposito: monumento religioso.”
Walker: “ E lo chiami religioso quello che stanno facendo?”
134
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canto loro si erano arroccati i quel territorio impervio e rallentavano con tutte le loro
forza l’avanzata degli Alleati.39
Il 20 ottobre dello stesso anno il comando alleato, sotto precise istruzioni delle autorità
museali italiane, decisero di evitare a ogni costo il bombardamento dell’antica abbazia
di Montecassino, e il messaggio via radio non fu criptato, di modo che anche i Tedeschi
potessero sentirlo.40 Infatti il monastero fu dichiarato zona neutrale, fino al 5 gennaio,
quando ormai i combattimenti erano troppo vicini per poter rispettare il divieto assoluto
di attaccare l’edificio.
La sequenza successiva, come la maggior parte di tutte quelle ambientate a Cassino che
seguiranno, si svolge sotto la pioggia (figura 11). Questa particolare condizione
atmosferica si protrasse per lungo tempo e costrinse le parti in causa a sospendere i
combattimenti fino a gennaio del 1944, quando iniziò la vera e propria battaglia di
Montecassino.
Figura 11. Soldati sotto la pioggia battente
A proposito di questo maltempo, scrive Pyle sulle condizioni dei soldati:
“Le nostre truppe stanno sopportando sofferenze inconcepibili. Le valli di terra
nera e fertile sono piene di fango, ci si sprofonda fino al ginocchio. Migliaia di
39
40
F. Ficarra, Cassino, 1944. Un’abbazia all’inferno, p. 62.
Ibidem, p. 28.
135
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uomini non sono stati asciutti per settimane. Altre migliaia si buttano a dormire
di notte, in montagna, alla diaccio, con temperature sotto zero e la neve fine fine
che gli cade addosso. Cercano riparo tra le pietre e dormono negli anfratti, dietro
le rocce e nelle cavità. Vivono come gli uomini della preistoria, e nelle mani,
invece della mitragliatrice, sarebbe più giusto che stringessero una clava.”41
Gli uomini della 36^ Divisione Texas, nel gennaio del 1944, presero anche parte alla
prima battaglia di Cassino, dove combatterono sul Fiume Rapido. Questo episodio, che
si svolse tra il 20 e il 22 di gennaio, fu una vera e propria tragedia per i soldati americani
della Divisione Texas. Furono decimati dalla corrente, dalle barche che affondavano e
dai nemici che aspettarono i pochi sopravvissuti al varco, cioè sull’altra sponda. Si
calcola che in due giorni le vittime della battaglia ammontavano a 1681, tra morti, feriti
e dispersi.42
Il già citato generale Walker, a capo della 36^ divisione espresse fin da subito i suoi
dubbi sull’operazione, ma fu costretto comunque ad obbedire agli ordini.43
Gli uomini di Walker - Mitchum, sotto una pioggia battente, scavano delle trincee, in
mezzo al fango, completamente bagnati. Ma per Pyle la pioggia non è un ostacolo alla
ricerca di un appoggio dove sedersi e riposarsi, anche a costo di bagnarsi
completamente.
Alcuni soldati tornano da un giro di ricognizione, in un momento in cui la pioggia non
scende.
Uno di loro si lamenta delle continue pattuglie e esprime nella sua battuta quello che i
soldati provavano nei confronti del monastero. La sua mole incombeva minacciosa
41
In F. Ficarra, op. cit., pp. 62 – 63.
La cifra è quella riportata dal generale Clark nel suo libro Maximum risk.
43
“Non conosco un solo caso nella storia militare in cui sia riuscito un attacco che comporti
l’attraversamento di un fiume incorporato nella linea principale di resistenza del nemico.” In F. Ficarra,
op. cit., pp. 73 – 74.
42
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(figura 12), piena di pericoli, e i soldati ne avevano paura: “Patrol, patrol, patrol. One
more patrol and I get nuts! I’d feel lot happier if that monastery wasn’t looking down
my throat.”44
Figura 12. La mole minacciosa di Montecassino
E nel medesimo momento, mentre camminano tra le macerie, si sentono le campane di
Montecassino.
Inizia un’altra serie di deflagrazioni e gli uomini tornano tra il fumo, barcollanti. Si
infilano in piccole grotte, coricandosi per terra in mezzo al fango per entrare. Quello è il
loro rifugio, come la tana di un animale selvatico, che riporta alle parole di Pyle nella
pagina precedente.
Il sergente Warnicki si infila nella grotta di Walker per riferire della ricognizione. Come
si può notare, nonostante sia il comandante del gruppo, Walker vive esattamente come i
suoi soldati. Nella grotta l’uomo è seduto dietro ad un piccolo tavolo, il soffitto è
bassissimo, non consente di alzarsi in piedi. L’unico “privilegio” che ha nei confronti
dei suoi ragazzi è di essere da solo.
Nella sequenza successiva il sergente entra nel rifugio dove si trovano anche gli altri
soldati (figura 13). E’ una grotta buia, fatta di terra, con una piccola tenda di fortuna
44
Trad: pattuglie, pattuglie, pattuglie. Ancora una pattuglia e vinco le noccioline! Sarei molto più felice
se quel monastero non mi stesse col fiato sul collo.
137
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all’ingresso per non far entrare troppa pioggia. I giacigli dei soldati sono lungo le pareti
(figura 14) e l’illuminazione è molto scarsa.
Figura 13. Warnicki nel rifugio dei soldati
Figura 14. Un altro soldato si riposa
Warnicki si lamenta per il mal di schiena e poi prende il giradischi. Pone il disco con la
voce di suo figlio, che porta letteralmente sul cuore avvolto in un pezzo di stoffa, ma
l’apparecchio non funziona. Sul suo viso si legge una grande delusione, che ancora una
volta mostra la grande umanità dei personaggi. La descrizione data in questo modo del
distacco di un padre dalla sua famiglia è molto più credibile di tanti dialoghi
sentimentali e verbosi.45
Si sentono ancora delle esplosioni all’esterno, la grotta trema e i soldati cercano di
ripararsi come possono. Inizia un dialogo importante tra due di loro proprio sulla sorte
del monastero. Il primo dice: “There goes that monastery again. Every one knows it’s
being used for an observation post, why in the devil don’t they bomb it?”, e l’altro gli
risponde: “I’m a catholic, and I say bomb it. I’ve got a wife and a kid. Think I wanna
die for a piece of stone?”46
45
Koppes – Black, op. cit., p. 337.
Trad: Soldato 1 “ E’ ancora quel monastero. Sanno tutti che lo stanno usando come posto di
osservazione, perché, per Dio, non lo bombardano?
Soldato 2 “ Io sono cattolico e dico: bombardatelo! Ho una moglie e un figlio. Pensate che voglia
morire per un pezzo di pietra?
46
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Questo è lo stato d’animo con cui affrontano la situazione i soldati di Walker. Ed è
comprensibile che preferiscano che venga bombardato il monastero piuttosto di
rischiare la vita. Dopotutto le voci che i Tedeschi fossero rifugiati là si facevano sempre
più insistenti, ed avevano più ragione di crederci e di temere i soldati che si trovavano
sul campo di battaglia piuttosto che gli alti ranghi che decisero di farlo.
Quella di questi ragazzi è una reazione più che naturale, poiché in pericolo è la loro vita,
cioè la vita di mariti e padri di famiglia, che hanno come unica consolazione il pensiero
dei loro cari in America.
All’esterno della grotta molti soldati sono seduti per terra e si guardano impauriti
quando sentono le bombe che esplodono. Sono i rinforzi appena arrivati per supportare
il gruppo di Walker, che li sistema nei vari plotoni e li manda subito in ricognizione.
Se si pensa che alla fine di gennaio la 36^ Divisione Texas è stata decimata durante la
prima battaglia di Cassino sul fiume Rapido, in quello che veniva ormai definito “two –
day nightmare”, si può dedurre che i nuovi arrivati siano stati mandati per rimpiazzare i
morti e i dispersi. Quindi l’azione che si sta svolgendo in questo momento si potrebbe
collocare tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, se non fosse per il fatto che una
delle prossime sequenze racconta il Natale al fronte.
E’ meglio quindi non azzardare l’ipotesi del Rapido, se si cerca la linearità cronologica
della storia.
Inizia una nuova missione. I soldati, sotto la pioggia, sincronizzano gli orologi e si
incamminano in mezzo al fango. Pyle resta da solo con il cane e augura loro buona
fortuna.
Dopo di che l’azione torna al chiuso, nella grotta dei soldati, la stessa dove dormiva
anche Pyle. Il giornalista è all’interno quando cominciano a rientrare i primi soldati. Ne
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manca uno, ma nessuno parla di lui. Nonostante tutto l’atmosfera e una serie di gesti dei
suoi commilitoni fanno capire la situazione. Il cane inizia a piangere, viene inquadrata
sul muro la foto della moglie di Murphy (la coppia che si è sposata al fronte), Pyle la
stacca e un soldato cancella il suo nome dall’elenco dei pagamenti e assegna i suoi soldi
alla vedova. Nonostante sia passato molto tempo dall’inizio della guerra i ragazzi di
Walker non si sono ancora abituati a veder morire i loro compagni.
Pyle esce per andare in una sorta di redazione, dove lo aspettano festanti tre colleghi
giornalisti che si complimentano con lui per aver vinto il premio Pulitzer47. Ma l’uomo
da poca importanza alla cosa e si dirige subito verso la sua macchina da scrivere (figura
15). Quello che gli importa di più in questo momento è di comporre il necrologio per
Murphy, perché la morte di un amico è più importante di un premio giornalistico. Un
altro segno di profonda umanità. E’ interessante notare come il giornalista non nomini
neanche Montecassino, ma collochi il suo pezzo semplicemente “somewhere in Italy”.
Figura 15. Pyle davanti alla sua macchina da scrivere
47
Vinto da Pyle realmente nel 1944.
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Infatti, potendo leggere alcuni dei pezzi originali di Pyle dall’Italia, si nota che la
collocazione risulta sempre molto vaga, parla solamente dell’Italia, ma senza specificare
paesi o città.48
La macchina da presa riprende il particolare delle sue mani che battono sui tasti, del
foglio che sta scrivendo e termina con una dissolvenza che introduce una nuova
sequenza.
Nella sequenza successiva la musica è ancora importante per creare l’atmosfera, ma
soprattutto fa capire la collocazione temporale dei fatti che stanno succedendo.
E’ Natale e la radio sta mandando una canzone tipica (musica infradiegetica). Alla fine
della canzone la solita voce suadente di donna fa gli auguri ai soldati.
In un momento come questo si fa sentire ancora di più la nostalgia di casa: i militari
sono rintanati nel loro rifugio, consumano il loro povero rancio e parlano di come
vorrebbero essere a casa per festeggiare il Natale con le rispettive famiglie.
Warnicki riprova a far andare il giradischi con la voce di suo figlio, ma invano.
Il capitano Walker è il personaggio principale della sequenza, perché è grazie a lui che i
ragazzi potranno essere felici per un momento in un Natale così triste.
Si dirige dai suoi superiori fucile alla mano e minaccia in modo scherzoso il soldato che
mantiene i contatti. I due sono vicini ad un tavolo, Mitchum punta l’arma al ragazzo e
avanza una semplice pretesa: che anche i suoi uomini abbiano del tacchino da mangiare.
Se lo mangiano gli ufficiali, perché loro non potrebbero mangiarlo? Pyle segue la scena
rimanendo sulla porta, e una volta ottenuto il tacchino, insieme a vino e sigari, sarà lui a
48
Alcuni passaggi si possono trovare in lingua originale sul sito www. journalism. indiana. edu.
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consegnarli agli uomini facendo una graditissima sorpresa49. I soldati si gustano il pasto
di Natale, ma il capitano Walker riceve l’ordine di organizzare un’altra ricognizione.
Walker: “Captain Walker speaking…I see…We have just one prisoner or two and,
naturally Sir, we’ll try to get as many as we can. Replacements? No, they’re not here
yet. Yes Sir. Another patrol.”50
Subito si offre volontario Warnicki, ma Walker è contrario perché di pattuglie ne ha già
fatte abbastanza. Ma il sergente insiste con una spiegazione molto semplice che rivela
anche la mancanza delle persone care: “Every step forward is a step closer, Sir, to
home.”51 A questa spiegazione Walker cede, capendo la volontà del soldato e
l’importanza che per lui ha la missione, e gli ordina di portargli dieci prigionieri.
Il prigioniero col quale la pattuglia ritorna è soltanto uno, e nel frattempo arrivano anche
i rinforzi richiesti.
La sequenza successiva si svolge di sera. Nella grotta dei soldati l’atmosfera è rilassata,
anche grazie al tacchino del capitano, che ha fatto provare loro per un momento la
sensazione di avere una vita normale. Infatti c’è una brusca differenza tra quanto
succede all’interno e quanto all’esterno. Fuori le esplosioni sono continue e fanno
tremare le pareti del rifugio, mentre dentro i soldati scherzano. Lo scoppio degli ordigni
49
In alcuni scritti dei reduci della campagna in Italia si può trovare proprio qualche episodio legato alla
cena a base di tacchino, che nella tradizione americana si consuma soprattutto il giorno del
Ringraziamento. Per questi ragazzi doveva essere un ritorno ad una parvenza di normalità. Ecco alcuni
spezzoni: “The company was provided with some frozen turkeys for the traditional Thanksgiving Day
meal. The frozen birds arrived and we set them out to thaw. Well, a strong Italian wind blew in and
scattered our turkeys everywhere. After reclaiming them from the Italian countryside, the cooks got down
to the business at hand. We decided to make dressing to go along with the meal; however, several key
ingredients were missing. So, we improvised. We had to make do with what we had, so cornmeal,
powdered eggs, and several other substitutes ended up making the dressing to make the Thanksgiving
Day meal complete.” E ancora un altro reduce dice: “Fortunately, we were relieved from our position on
what was called at the time, "Million Dollar Mountain" and were served a hot turkey meal when we
reached the bottom.” In Thanksgiving in Italy, www. ezboard. com.
50
Trad: Parla il capitano Walker…ho capito…abbiamo solo uno o due prigionieri e naturalmente Signore
cercheremo di prenderne il più possibile. Rinforzi? No, non sono ancora qui. Sì Signore, un’altra
pattuglia.
51
Trad: Ogni passo in avanti è un passo che ci avvicina a casa, signore.
142
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è un’occasione per ridere di uno di loro che ogni volta che cerca di parlare viene
ammutolito dal frastuono. Un’altra scena comica è quella in cui la grotta si satura di un
terribile odore e i ragazzi si guardano a vicenda per capire da dove provenga.
Non si perde di vista quindi la normale vita militare, che è quella vissuta dai soldati al di
fuori della battaglia. E nonostante sia alquanto misera, i militari non si lasciano
scoraggiare e riescono ancora a trovare dentro di loro la forza di continuare a sorridere.
Nel frattempo l’azione si sposta nella grotta di Walker, per una scena tanto bella quanto
commuovente. Pyle entra con una coscia di tacchino per il capitano (figura 16), che non
ne ha tenute per sé.
Figura 16. Pyle porta a Walker la coscia di tacchino
Walker ha sul tavolo una bottiglia di grappa, che offre a Pyle, e sta scrivendo qualcosa.
Sta cancellando i nomi dei caduti e aggiungendo quelli dei nuovi arrivati. Ironizza
dicendo a Pyle che non è l’unico scrittore, ma quello che scrive lui sono le lettere alle
famiglie dei caduti in battaglia, alle mogli, alle madri, alle fidanzate.
Walker è leggermente alterato dall’alcol e inizia a commentare anche sui nuovi arrivati,
così giovani e inesperti, hanno la barba appena accennata.
E ancora parlano di casa, di come deve essere bello il clima in New Mexico in quel
periodo e della condizione famigliare di Walker e di quello che farà dopo la guerra.
143
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La battuta che segue del capitano è importante: “Why don’t you create something good
out of all this energy? All these men, they’re the best Ernie, the best”52
Ma Pyle non risponde, non ce n’è bisogno di fronte ad un uomo così umano e legato ai
suoi ragazzi. Risponde dopo un po’, ma ha lasciato passare troppo tempo, Walker è già
addormentato . E’ comunque utile notare la sua battuta, che diventa una delle più
significative dell’intero film: “Even the Air force, up there they approach death
differently. When they die, their clean shaven, well fed. But the G.I., he lives so
miserable and he dies so miserable.”53 La vita miserabile dei G.I. viene messa sul piatto
della bilancia da Pyle, la loro vita è tanto desolante come la loro morte, di fronte alla
quale sono persone di serie B. Qualsiasi altro soldato ha più onore di loro, anche nella
morte.
Il discorso è importante per capire la realtà dei personaggi e per frenare qualsiasi
eccitamento riguardo alla guerra e all’eroismo dei combattenti.54 La guerra è questa,
vissuta tra il fango e gli stenti, non quella dei film di propaganda pieni di retorica e di
eroismo.
Anche se per certi versi questo è un film di propaganda, ma si capirà il perché solo dopo
aver visto il bombardamento del monastero.
Concludendo il discorso sulla vita miserabile dei soldati semplici Pyle aspetta la
risposta di Walker, che però si è già addormentato, perché anche lui fa parte di quella
schiera di uomini che ogni giorno deve affrontare l’inferno.
Ma ecco arrivato il giorno del bombardamento. Per i soldati di Walker inizia come tutti
gli altri giorni.
52
Trad: Se potessimo solo creare qualcosa di buono da tutta questa energia. Tutti questi uomini, Ernie,
sono i migliori.
53
Trad: Guarda l’aviazione, loro hanno un approccio diverso con la morte. Quando muoiono sono puliti,
rasati e ben nutriti. Ma i fanti, vivono miseramente e muoiono miseramente.
54
J. Basinger, op. cit., p. 141.
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E’ l’alba e un soldato fa ritorno da solo da non si sa dove. Walker lo vede e lo
rimprovera per essersi allontanato senza dire nulla e per di più da solo. E’ protettivo nei
confronti dei suoi ragazzi, è quasi un padre per loro, anche se ha praticamente la loro
età55. Ed è un genitore severo, visto che ordina a quel soldato di mettersi subito a
scavare una trincea, sotto lo sguardo ironico dei sui compagni.
Ma la giornata cambia improvvisamente, si sentono gli aerei passare e la voce fuori
campo di Pyle spiega la situazione da subito.
Pyle: General Eisenhower made this decision: “Bomb the monastery”, he said, “if we
must choose between destroying a famous building and sacrificing our own
men’s lives, then our own men’s lives count infinitely more”
Here was one of the grand ironies of war. The very rubble of the monastery
became a fortress for the enemy. They Stuck us cold. We were right back where
we’d started from.56
Quindi è il 15 febbraio 1944 e il generale Eisenhower, capo delle forze armate alleate,
decide di bombardare il monastero.
Infatti i comandanti alleati, cosi come i semplici soldati, si erano convinti ormai da
tempo che il tiro dell’artiglieria tedesca era talmente preciso da far supporre che si
trovasse in una posizione privilegiata. E quale posizione era migliore dell’abbazia
benedettina, che già nel XIX secolo era stata utilizzata come fortezza e che quindi
55
Pyle, nel testo riportato in appendice sulla morte del capitano Waskow, dice che è in his middle
twenties , quindi ha circa 25 anni. www. kwanah. com.
56
Il generale Eisenhower prese la sua decisione: “Bombardare il monastero. Se dobbiamo scegliere tra
distruggere un famoso edificio e sacrificare le vite dei nostri stessi uomini, le vite dei nostri uomini sono
infinitamente più importanti”.
Questa era una delle grandi ironie della guerra. Le macerie del monastero erano diventate una fortezza per
i nemici. Eravamo in trappola. Ci trovavamo ancora al punto di partenza.
145
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probabilmente ne conservava le caratteristiche? In realtà la posizione dei Tedeschi era sì
rialzata, ma le loro postazioni si trovavano sul monte Cifalco, non a Montecassino.57
Le varie fanterie degli eserciti alleati avevano già provato a risalire la collina, ma senza
risultati, anzi, con grosse perdite. Il generale Freyberg, che comandava il contingente
neozelandese, sosteneva che non si potesse sostenere un attacco frontale contro una
posizione così avvantaggiata, bisognava prima ammorbidire la zona tramite un
bombardamento. Fece così la sua richiesta al generale Clark della V Armata, che
conduceva le operazioni di guerra in Italia.58 Per Clark la decisione non fu facile da
prendere. Il generale Eisenhower il 29 dicembre aveva dichiarato che le operazioni di
guerra si sarebbero svolte nel rispetto delle istituzioni culturali e la propaganda tedesca
stava cercando in tutti i modi di far risultare quella alleata una battaglia contro la cultura
occidentale. Inoltre i giornali Inglesi e americani iniziarono una campagna di
sensibilizzazione verso la vita dei soldati, a costo di sacrificare un monumento.
Clark si trovò così alle strette. Freyberg ebbe anche il consenso del generale Alexander,
e il capo della V Armata si trovò sulle spalle il peso di future perdite umane.
La sicurezza che i Tedeschi fossero nel monastero non era assoluta, ma ormai bastava
anche un “ragionevole dubbio” per decidere di bombardare.59
Il generale Clark autorizzò il bombardamento il 12 febbraio e solo tre giorni dopo
l’abbazia fu rasa al suolo da tonnellate di bombe sganciate da fortezza volanti e
bombardieri medi, senza che al suo interno ci fosse l’ombra di un Tedesco.
Ritornando al film, i soldati sentono il rumore dei velivoli, alzano la testa incitati dal
soldato che stava scavando all’aperto (figura 17), iniziano ad urlare , a ridere, ad
imprecare, in una serie di primissimi piani che sottolineano tutta la loro gioia. Anche la
57
F. Ficarra, op. cit., pp. 87 – 89.
Ibidem.
59
Ibidem, p. 97.
58
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vista collettiva risulta significativa, poiché tutti si trovano nella stessa posizione (figura
18), come se stessero assistendo ad uno spettacolo.
Alle immagini dei ragazzi vengono alternate immagini documentarie del monastero
sotto le bombe, tra il fumo e la polvere, che nel giro di qualche inquadratura muta il suo
stato da caposaldo del monachesimo occidentale a cumulo di macerie e cadaveri.
Figura 17. Il primo soldato a vedere gli aerei
Figura 18. Altri soldati guardano l'attacco aereo
Per quanto riguarda il discorso sulla propaganda è facile pensare che questa scena cerchi
di legittimare un’azione insensata e folle come quella del bombardamento facendo sì
che il pubblico si immedesimi con i soldati. Infatti quei ragazzi avevano forse ragione
ad esultare, poiché il monastero era per loro sinonimo di covo di Tedeschi e molti G.I.
avevano già perso la vita a causa loro.
La reazione sorpresa dei fanti è giustificata dal fatto che i reparti di fanteria non furono
avvisati dell’anticipazione del bombardamento, che doveva avvenire il giorno 16
febbraio, e molti di loro rischiarono la vita, primi fra tutti gli Indiani, che si trovavano
già in posizione avanzata.60
60
F. Majdalany, Cassino. Ritratto di una battaglia, p. 143. Il colonnello Glennie, comandante in capo del
Royal Sussex esclamò: “L’hanno detto ai monaci, l’hanno detto al nemico, ma non a noi!”.
147
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La scena così com’è impostata può risultare un facile invito al pubblico perché
applaudisse e gioisse insieme a quei ragazzi.61
L’azione fu drammatica e si seppe da subito che era uno sbaglio colossale, ma
bisognava in qualche modo affrontarla, magari ottenendo il consenso del pubblico.
Comunque il bombardamento fu mostrato in America solamente in questo film.
Il Capitano Walker passeggia solitario e non prende parte alla gioia dei suoi militari.
Alcuni lo guardano da dentro la grotta e l’inquadratura che ne esce, con i rami di un
albero intrecciati in primo piano, sembra la vista di un prigioniero dentro la gabbia..
Si ritorna alla vita normale. Tre soldati sono appostati su una roccia. Sono sporchi,
stanchi e balza agli occhi il viso di uno dei tre, poco più che ragazzo. Anche Warnicki
torna dall’ultima missione. E’ stremato e barcollante, sullo sfondo ha l’abbazia distrutta
e la musica diventa drammatica e fa presagire qualcosa di brutto.
Entra nella grotta e come sempre, dopo essersi lamentato per il mal di schiena, prende il
giradischi. I soldati all’interno non parlano, sono anche loro stanchi e coperti di fango.
Questa volta il giradischi funziona, la cinepresa lo riprende in primo piano, e il sergente
riesce a sentire la voce di suo figlio. Ma la sua condizione psicologica ormai logorata
dalla guerra non gli permette di sopportare l’emozione: l’uomo sembra impazzire, i suoi
occhi diventano spiritati, inizia a ripetere la parole del figlio e a dire altre frasi
sconnesse ( “I kill him!”). Scappa di corsa verso l’esterno ma gli altri lo raggiungono.
Lui cerca di picchiare tutti fino a quando non arriva ancora Walker a risolvere la
situazione. Lo atterra con un pugno e lo fa portare in infermeria, preoccupandosi ancora
una volta del bene dei suoi uomini ( “All right men, let’s do something about it.” 62 ).
61
62
Koppes – Black, op. cit., p. 338.
Trad: Ok ragazzi, facciamo qualcosa per lui.
148
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I ragazzi imbracciano il fucile di nuovo e si allontanano di schiena (figura 19).
L’immagine è caratterizzata da un chiaroscuro molto contrastato, spesso i giovani
rimangono in controluce. Sullo sfondo Montecassino sta ancora fumando e i soldati si
nascondono tra le piante della collina, si vedono solo le loro teste. Stanno andando alla
conquista del colle.
Figura 19. Soldati si incamminano alla conquista del colle del monastero
Analizzando i fatti storici, non fu certo la 36^ Divisione a salire verso la cima della
collina per liberare la zona dai Tedeschi. Infatti la Divisione Texas, insieme con la 34^
Divisione, perse buona parte dei suoi uomini durante la battaglia sul Rapido e per il 6
febbraio gli attacchi americani erano già terminati. 63
Il generale Alexander decise quindi di spostare l’VIII Armata dall’Adriatico a Cassino,
per venire in aiuto della V del generale Clark.
Dell’VIII Armata facevano parte la 2^ Divisione Neozelandese del generale Freyberg e
la 4^ Divisione Indiana di Glennie.
Nel frattempo sia la 36^ che la 34^ Divisione americane decisero che dopo la guerra si
sarebbero rivolte al Congresso per il trattamento che avevano ricevuto al fronte.
Avevano affrontato solo due settimane e mezzo di combattimento, poiché furono
63
F. Majdalany, op. cit., p. 97.
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mandate al macello sul fiume Rapido. E visto lo stato d’animo delle truppe, avvilito
dalla guerra, non si poteva passare sopra a tutto questo, soprattutto per il fatto che la 36^
Divisione era in rivolta ed era ben convinta a fare valere le sue ragioni.64
La 36^ Divisione Texas, interpretata dalla 18^ Divisione di fanteria del capitano Walker
del film, uscì in realtà di scena, non continuò a combattere sul fronte di Cassino.
Prima di liberare la collina del monastero passarono ancora tre mesi di duri
combattimenti.
Nella seconda battaglia di Cassino (15 – 23 marzo) ci provarono Indiani e Neozelandesi,
ma senza risultati importanti. Gli scontri furono poi interrotti fino a maggio per volere
del generale Alexander, che fece della terza e ultima battaglia di Montecassino (11 – 19
maggio) la sua opera d’arte. Al contrario di quanto fece Freyberg, che cercò di colpire
il nemico frontalmente per risparmiare tempo65 , Alexander circondò l’ostacolo con
l’intento di far sì che i tedeschi utilizzassero il maggior numero di forza in Italia, in vista
dello sbarco in Normandia.66
Schierò il I Corpo d’Armata Canadese, il II Polacco e il XIII Britannico, mentre il II
Americano fu utilizzato sul settore costiero.
La prima breccia nella linea Gustav fu opera delle truppe del generale Juin e risale al 13
maggio, mentre l’occupazione del colle dell’abbazia fu compiuta solo il 18 maggio dal
Corpo polacco dei lanceri Podolskich del generale Anders.67
Tornando al film, inizia ora una sequenza di guerra, la seconda per importanza, ricca
però questa volta di immagini documentarie.
64
F. Majdalany, op. cit., pp.110 – 111.
Tattica assolutamente inefficace a causa delle posizioni avvantaggiate e ben arroccate dei Tedeschi. F.
Majdalany, op. cit., p. 216.
66
F. Majdalany, op. cit., p. 221.
67
F. Majdalany, op. cit., p. 251
65
150
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I cannoni sparano, ci sono scene di combattimento, i soldati si nascondono tra gli alberi.
Molti sono i primissimi piani dei protagonisti, chiaramente non documentari, che
rendono intensa l’azione e danno importanza agli uomini che la stanno compiendo.
A tutte queste scene si alternano le immagini della collina del monastero bersagliata dai
colpi, che colloca tutta la fase dei combattimenti alla conquista del colle.
La voce off di Ernie Pyle è presente anche in questa occasione: “Machines had done
their best and it wasn’t enough. Now came the time, as it comes in every war, the
greatest fighting machine of them all, the infantry soldier, had to go in and slug it up.”68
Dalle parole di Pyle si capisce che i soldati della fanteria erano veramente quelli che si
buttavano nella mischia per risolvere la situazione. Erano meglio della macchine, e
questo paragone fa riflettere, in quanto si capisce come durante il combattimento la loro
umanità debba quasi essere negata.
Continuano i combattimenti, gli unici soldati ad essere ripresi in primo piano sono i
protagonisti del film, che si cerca di camuffare tra le sequenza documentarie, ed in
modo eccellente. Walker ed un altro soldato spuntano dalle rocce e lanciano delle
granate, nella scena ripresa sulla prima locandina originale su sfondo blu.
La granata scoppia, tutta la sequenza è caratterizzata dal solo rumore dei colpi..
Altri soldati sono tra le rocce e lanciano delle granate e sparano col fucile. Il capitano
Walker è inquadrato dal basso sulla collina, sta risalendo arrampicandosi tra le rocce.
L’inquadratura enfatizza la risalita degli uomini sulle pendici della collina rese ancora
più impraticabili dalla guerra. Ad un certo punto l’uomo alza un braccio e fa segno ai
suoi ragazzi di seguirlo. Parte la musica iniziale del film, che rassicura lo spettatore sul
68
Trad: Le macchine avevano fatto del loro meglio ma non era abbastanza. Adesso era arrivato il
momento, come succede in ogni guerra, in cui le migliori macchine da guerra, i soldati di fanteria, devono
partire all’attacco.
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trionfo della missione, anche se non è mostrata realmente. La musica è ancora
importantissima, quindi, perché fa intuire qualcosa che le immagini non mostrano.
La sequenza successiva conferma quanto è avvenuto, poiché mostra i soldati già sulla
strada per Roma. L’inquadratura è particolare, perché il cartello che indica Roma è
molto basso, dei soldati vengono inquadrati solo dalle gambe in giù mentre passano
davanti all’indicazione, ma la musica ci conferma ancora che sono i protagonisti.
La fila prosegue per un po’, Pyle è con loro (figura 20), altri militari sono già accampati.
La musica è ancora quella dolce dell’armonica a bocca e dalla luce fioca si può dedurre
che sia il tramonto. Pyle cerca un’altra volta la sua compagnia, probabilmente è rimasto
indietro, e trova i ragazzi già seduti per terra a riposare.
Figura 20. Pyle e i soldati sulla strada per Roma
Mentre passano tutti lo salutano e un soldato gli da il benvenuto dopo Cassino. E’ la
prima volta che si sente nominare durante il film.
Trova i suoi compagni, tra loro c’è ancora il cane, e si siede con loro. Come sempre la
conversazione è amichevole e si passa subito alle battute.
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Ad un certo punto l’atmosfera festosa si annulla di colpo e tutti ammutoliscono. La
cinepresa inquadra la collina davanti a loro, dalla quale cominciano a scendere i muli
che trasportano i cadaveri dei caduti in battaglia.
La scena è solenne, la musica extradiegetica è malinconica e accompagna la processione
dei muli, che scendono a valle, vengono scaricati da due soldati e ripartono.
Ad un certo punto la musica cambia, diventa carica di suspense. La cinepresa inquadra
la collina e in controluce il mulo con il cadavere. Si intuisce dalla tensione
dell’immagine che è uno dei protagonisti del film..
Sullo sfondo i soldati sono già in marcia, ma si fermano per vedere chi arriverà questa
volta. Il mulo giunge a valle, due soldati della compagnia sollevano l’uomo, e ancora
prima che venga inquadrato, la macchina da presa inquadra la soldatessa vedova di
Murphy che dice con voce bassa e tremante: “He’s the Captain”
Nell’inquadratura successiva Walker è sorretto da due soldati per essere tolto dal dorso
del mulo. L’immagine richiama certe “deposizioni di Cristo” cinquecentesche, ed in
questo caso il paragone con il personaggio di Gesù può essere calzante. Anche Walker è
morto giovane e ha avuto la sua passione durante la guerra, mentre i suoi ragazzi
sembrano i suoi discepoli, che vanno a piangere sul suo cadavere.
Inizia la struggente processione di soldati che si avvicinano al corpo del capitano per
dargli l’ultimo saluto e una lunga serie di primi piani (figura 21) segue il primo dedicato
al volto di Walker coricato per terra (figura 22).
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Figura 21. Un soldato guarda triste il cadavere
Figura 22. Il capitano Walker morto
Pyle arriva per primo, insieme ad un altro soldato. Non dice niente, ma i suoi occhi si
avvicinano al pianto. Si fermano in piedi, mentre altri si alzano da dov’erano e si
avvicinano. Alcuni scuotono solamente la testa, altri gli parlano come se fosse ancora
vivo (“ I’m sorry old man”), mentre il soldato italo – americano si siede vicino a lui e
gli prende la mano (figura 23). A mano a mano che i soldati finiscono di salutarlo si
rimettono in marcia verso una nuova battaglia.
Figura 23. Il gesto di affetto di un soldato
Pyle ha gli occhi pieni di lacrime e presto si allontana seguendo la fila.
Un altro soldato inizia a fare le veci del capitano e da l’ordine di mettersi in marcia, e
tutti ripartono, passando da parte al capitano e mandandogli l’ultimo saluto con uno
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sguardo triste. Il soldato italo – americano è ancora seduto vicino a lui, gli lascia la
mano, lo guarda per un po’ con occhi tristi e alla fine si china sopra di lui (figura 24).
Prima gli sistema il colletto della giacca, poi gli accarezza dolcemente il viso,
mostrando tutto il suo affetto verso quell’uomo, fatto insolito in un film di guerra, che
normalmente esalta la virilità dei soldati.69
Figura 24. Lo stesso soldato ancora con Walker
Come già accennato, la sequenza della morte di Walker è ripresa da un passo di Ernie
Pyle che descrive la morte del Capitano Waskow, ovvero il personaggio sul quale è
ricalcato l’ufficiale interpretato da Mitchum70.
Secondo quanto scrive Pyle, la scena si svolse esattamente nello stesso modo, con il
corpo di Waskow che arriva sul dorso di un mulo e i suoi ragazzi che si avvicinano per
dargli l’ultimo saluto. Dal testo si evince quanto quest’uomo sia stato importante per i
69
70
Koppes – Black, op. cit, p. 339.
The death of Captain Waskow, il testo integrale è riportato in appendice.
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suoi soldati. Un sergente disse a Pyle: “After my own father, he came next”.71"He
always looked after us," disse un altro, "He'd go to bat for us every time."72
L’unica incongruenza che si riscontra, al di là del nome, sta nel fatto che l’articolo di
Pyle è datato 10 gennaio 1944, mentre invece nel film il capitano è morto dopo la fine
dell’ultima battaglia di Cassino, cioè non prima del 19 maggio 1944.
La morte del capitano si ricollega al discorso di Pyle sul fatto che i G.I. vivono
miseramente e muoiono miseramente. Il trasporto della salma avviene assolutamente
senza cerimonie, su un mulo, e quando arriva nessuno sa com’è morto, è successo e
basta. 73
Ecco la grande tragedia della guerra vissuta da soldati semplici, che danno la vita per
una causa, che magari non scelgono neanche, e se muoiono nessuno se ne accorge,
tranne i più cari amici. Vivono come un numero e muoiono nello stesso modo.
La morte del leader fa parte del genere bellico e avviene sempre alla fine del film.
Quando fu girato The story of G.I. Joe Robert Mitchum era ancora un esordiente, quindi
la sua morte nella storia risulta veramente una morte comune, non si carica di quella
dimensione di personaggio che caratterizza gli attori hollywoodiani nel pieno della
gloria.
L’ultima sequenza del film vede i soldati di nuovo in marcia verso nuove battaglie
(figure 25 e 26).
71
Trad: veniva subito dopo il mio vero padre.
Trad: Si è sempre preso cura di noi, avrebbe anche combattuto per noi ogni volta.
73
J. Basinger, op. cit., p. 141.
72
156
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Figura 25. Il soldato italo- americano in marcia
Figura 26. Altri soldati verso l'orizzonte
Pyle è inquadrato in primissimo piano sullo sfondo di un grande cimitero militare, con
le sue croci bianche che si stagliano contro il cielo sereno (figura 27).
Figura 27. Pyle sulla strada per Roma
La visione rende drammatico il finale, se si aggiunge poi lo sguardo intenso e triste di
Burgess Meredith, alla cui voce fuori campo è lasciata l’ultima battuta:
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This is our war and we will carry it with us we go from one battleground to
another, until it’s all over. We will win. I hope we can rejoice with victory but
humbly, and all together we will try, try out of the memory of our anguish, to
reassemble our broken world into a place so firm and so fair that another Great
War can never again be possible. And for those beneath the wooden crosses,
there is nothing we can do except, perhaps, to pause and murmur: “Thanks, pal,
thanks”.74
Niente eroismi quindi, o esaltazione della vittoria. Si gioirà, certo, ma ricordandosi
sempre di quelli che sono morti e con l’unica volontà di costruire un mondo nuovo,
senza guerre. L’angolo di visuale risulta molto differente rispetto a tanti film che
Hollywood produsse in questo periodo, tesi soprattutto all’esaltazione della forza e delle
vittorie dei soldati americani. Un discorso come quello di Pyle, dove si può gioire, ma
con umiltà, non fu sicuramente molto apprezzato a livello di propaganda.
La figura del corrispondente di guerra – voce narrante, da a tutta la storia un taglio
particolare e ci introduce in un doppio salto nel passato: quello in cui Pyle narra e quello
in cui scrive, che corrisponde allo svolgersi delle azioni.
La sua voce tranquilla e il suo linguaggio informale creano una sorta di distanza tra lo
spettatore e i personaggi, crea una sorta di filtro attraverso il quale le azioni possono
essere viste da una distanza che permette di capirne l’importanza storica. E’ la voce
della storia, sempre presente coni suoi commenti per tutta la durata del film.
74
Trad: Questa è la nostra guerra e ce la fatichiamo da un campo di battaglia ad un altro fino a quando
non sarà finita. Alla fine vinceremo. Mi auguro che gioiremo della vittoria, ma con modestia. E tutti
insieme proveremo ad uscire dalla memoria del nostro dolore, per ricostruire il nostro mondo spezzato in
un posto così bello e tranquillo che non sarà mai più possibile un’altra grande guerra. E per quelli sotto le
croci di legno non c’è niente che possiamo fare, tranne, forse, fermarci e mormorare “grazie, amico,
grazie.”
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The story of G.I.Joe affronta la battaglia di Montecassino quindi con un taglio
particolare.
E’ solo una delle tante citate durante il film, che si confondono le una con le altre,
poiché non vengono mai specificati i nomi di paesi o città.
Nemmeno Montecassino è citato, ma risulta comunque inconfondibile per la presenza
del monastero e per l’importante episodio del suo bombardamento.
L’esperienza è qui vissuta solo ed esclusivamente attraverso gli occhi dei soldati. La
loro vita in mezzo al fango e al gelo dell’inverno sulla linea Gustav, la gioia di veder
abbattere l’abbazia, l’impegno nella battaglia.
Sono semplici fanti, non hanno a che fare con nessuno se non con i loro nemici. I pochi
Tedeschi che si vedono compaiono solo in combattimento o come prigionieri, mentre
non c’è nessun contatto con chi si trovava nel monastero, come fu anche in realtà.
I soldati vedono solo l’abbazia dal basso, è una specie di spauracchio, di luogo
inquietante in cui il nemico si rifugia. Fa sentire la sua voce con il rintocco delle sue
campane e aggredisce i soldati a colpi di artiglieria.
E’ già stato appurato che quei colpi provenivano da un'altra posizione, ma non per i
soldati, che continuamente sentivano la minaccia del nemico, accresciuta anche dalle
voci sempre più frequenti che i Tedeschi fossero là dentro.
Dal punto di vista storico non c’è grande aderenza ai fatti accaduti, le vicende si
scambiano o vengono taciute75.
Anche se senza troppi riferimenti, l’episodio di Montecassino assume un’importanza
particolare nel film. E’ quello più lungo e più toccante, quello in cui la forza dei soldati
75
Si vedono per esempio i soldati della 18^ ( 36^) Divisione combattere nell’ultima battaglia di Cassino
per la liberazione del monastero, quando invece l’unica da loro combattuta fu la prima, quella sul Rapido.
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viene messa alla prova, sia fisicamente per le dure battaglie, sia moralmente per il
logoramento psicologico ( è qui che il sergente Warnicki perde la ragione).
Il film risulta quindi meno interessante dal punto di vista storico piuttosto che dal punto
di vista umano. Anche se, storicamente parlando, è interessante la rappresentazione
dello stato di euforia dei soldati di fronte al bombardamento di Montecassino, che in
tanti libri sulla battaglia è descritto. Vederlo rappresentato è comunque più toccante,
soprattutto per il contrasto che si crea tra la tragedia e la reazione gioiosa.
Anche se, alla fine, non si può che capire i soldati, che dopo tutto erano solo le vittime
del sistema, la cosiddetta “carne da cannone”. L’espressione è ricorrente nei libri che
parlano di questa battaglia, con questo film però se ne capisce a fondo anche il
significato.
Figura 28. Meredith - Pyle in abiti da soldato
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11.3. MONTECASSINO ( Arturo Gemmiti, 1946 )
Figura 1. La locandina del film Montecassino
Il film Montecassino è stato realizzato da Arturo Gemmiti nel 1946, quindi poco tempo
dopo i fatti narrati. Noto anche come Montecassino nel cerchio di fuoco, è tratto dal
libro di Don Tommaso Leccisotti1 , monaco benedettino del monastero di Montecassino
che visse la storia in prima persona, come testimone e superstite del bombardamento.
La critica dell’epoca scriveva riguardo al film :
Realizzazione tecnicamente molto accurata che fonde in un insieme suggestivo
le fasi ora sentimentali ora drammatiche ora documentarie della vicenda.
1
Montecassino, Montecassino 1983. Il diario di guerra di Tommaso Leccisotti, che comprende il periodo
che va dal 14 ottobre 1943 al 20 febbraio 1944, è contenuto anche nel volume Il bombardamento di
Montecassino di Grossetti e Matronola, Montecassino 1997,p. 109.
161
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Il finale invito all’amore, alla bontà, alla fede, riassume l’atmosfera morale del
film che è ricco di elementi positivi. La visione è ammessa anche in sale di
oratori, collegi e scuole.2
Prodotto dalla Pastor, casa di produzione legata alla chiesa, e distribuito dalla Scalera, il
film è infatti un’accurata ricostruzione che parte dall’ottobre del 1943 e continua fino al
bombardamento del febbraio 1944. Molte sono le particolarità di questa pellicola: i fatti
narrati sono ripresi con estrema cura e precisione dal documento di Leccisotti, i
personaggi del film in molti casi assomigliano fisicamente a quelli reali3, le immagini
del film sono alternate e montate con spezzoni di documentari nei punti che mostrano
l’uso delle armi, e questo è ben riconoscibile ad occhio nudo, in quanto la grana delle
due pellicole è molto diversa.
11.3.1. L’Italia del dopoguerra
L’ambiente politico in cui il film viene prodotto è, come già detto, quello dell’Italia del
dopoguerra. 4
Dopo la Liberazione il ministero Bonomi fu sostituito dal gabinetto presieduto da
Ferruccio Parri, del quale fecero parte i sei principali partiti nazionali: alla sinistra i
socialisti del PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria) e i comunisti del PCI,
guidati dal segretario Palmiro Togliatti; l’altro grande partito di massa era la
Democrazia Cristiana. Forte soprattutto nel mondo rurale (grazie all’azione
fiancheggiatrice della Federazione Italiana coltivatori diretti ), la DC si presentava poi
2
“ Segnalazioni cinematografiche” del CCC, 1947, vol. XXIV/12, p. 136, in AA.VV.,La cinepresa e la
storia, p. 129.
3
Per esempio il personaggio dell’ Abate Diamare, interpretato da Alberto Carlo Lolli, è preciso fin nei
particolari, come i nei che ha sulla guancia destra e che ben si riconoscono nelle numerose fotografie del
volume di Grossetti – Matronola.
4
A. De Bernardi- S. Guarracino, Storia del mondo contemporaneo, pp.472 – 473.
162
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agli imprenditori e ai ceti medi come baluardo contro il comunismo, sostenuta anche
dall’appoggio di Papa Pio XII e delle parrocchie. Il governo Parri era completato dal
Partito Liberale, dal Partito d’azione e da esponenti del Partito repubblicano. La destra
era rappresentata invece dal movimento dell’ “Uomo qualunque” a cui si aggiunse, nel
1946, il Movimento sociale italiano.
Nel novembre del 1945 divenne presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, la figura di
maggior spicco della DC, che formò un governo di coalizione, con il segretario
socialista Pietro Nenni vicepresidente e Palmiro Togliatti ministro della giustizia.
Durante il ministero De Gasperi si tennero, il 2 giugno 1946, le votazioni per
l’Assemblea costituente e quelle per il referendum istituzionale, che fu favorevole alla
repubblica.
Le elezioni per la Costituente assegnarono il ruolo di primo partito alla DC, che
spinsero De Gasperi a formare un gabinetto monocolore democristiano, allargato solo in
seguito.
Era in questa situazione che si stava sviluppando in Italia il movimento cinematografico
del Neorealismo, che già nel 1945 aveva dato i natali a quel capolavoro di Roberto
Rossellini che è Roma città aperta5. Una delle caratteristiche principali di questo filone
è proprio l’estremo realismo con cui i fatti realmente accaduti vengono trattati e
vengono spesso affrontati dalla gente comune, che trova in questi prodotti per la prima
volta, una propria eroicità. Sono i drammi della gente comune ad interessare i registi
neorealisti, inseriti però nel contesto di sofferenza che rappresenta la guerra.6
5
6
AA.VV., La cinepresa e la storia, p. 119.
G. Casadio, La guerra al cinema, p. 180.
163
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Ma il governo democristiano, varando nel 1949 la legge Andreotti, tentò anche su
queste produzioni una censura preventiva, poiché era contrario alla diffusione di
un’immagine “sbagliata” della condizione nazionale.7
Su uno sfondo di questo tipo è facile capire come un film come Montecassino di
Gemmiti possa essere stato prodotto.
Innanzitutto la tematica cristiana, tanto cara alla classe governante, assicurava un
prodotto fruibile da tutti, e dava inoltre lo spunto per riflettere sull’immane tragedia
dell’abbazia benedettina, la cui ricostruzione si deve totalmente ai fondi dello Stato
italiano, che già nel 1945 pose la prima pietra.
I protagonisti dell’opera, accanto ai monaci, sono i profughi che si ritirarono nel Sacro
recinto per ripararsi dalla guerra, ma che proprio qui trovarono la morte. Sono persone
dei più differenti ceti sociali, che trovano un punto di unione in questa terribile
esperienza, ed è grazie alle loro vite che viene costruito il film. E’ la gente comune,
insieme ai monaci benedettini, a raccontare i fatti dall’interno. E la ricostruzione
filmica, come già accennato, è molto fedele alla realtà di chi è sopravvissuto ed ha
potuto raccontarla.
Il film è quindi un omaggio alle vittime di questa tragedia, e un messaggio di guerra alla
guerra e di speranza per il futuro.
E’ da notare che i soldati tedeschi rappresentati nel film, sono comunque ritenuti in
parte responsabili del disastro, se non come esecutori materiali del bombardamento,
come coloro che hanno “deciso” la morte di tutte quelle persone con il continuo
rimando dello sgombero. Il film assume quindi una visione piuttosto imparziale dei fatti
ad ogni parte viene assegnata la sua porzione di colpa, che è costata la vita a migliaia di
7
P. Pintus, op. cit., p.43.
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persone, secondo quanto si può verificare nei diari dei monaci sopravvissuti al
bombardamento.8
11.3.2. Analisi del film
Il film è facilmente divisibile in un’ introduzione e in nove parti scandite dalle date che
compaiono sullo schermo e che chiariscono lo svolgersi dei fatti.
Introduzione
Mentre la cinepresa inquadra le rovine del convento dopo il bombardamento, in seguito
ai titoli di testa, sullo schermo scorrono queste parole:
Dalla documentata storia di ieri e dalla tragica realtà vissuta, narrata dai
superstiti dell’Abbazia, è tratto questo film.
Ai personaggi di cui intravediamo i volti, Marco, Maria, Carmela, Alfredo e
cento altri, di cui non si ricordano i nomi, ma che furono coinvolti nell’immane
tragedia di Montecassino, è dedicato questo film.
Il film parte quindi da subito con l’intento di rassicurare il pubblico sulla veridicità dei
fatti narrati, attraverso un’area semantica di verità: la storia di ieri è “documentata” e la
realtà è “vissuta”
Mentre la cinepresa si allontana e si inizia ad udire distintamente una musica religiosa,
sempre sullo schermo inizia un breve riassunto storico delle vicissitudini del monastero,
che dalla sua fondazione nel 529, ha subito più di una distruzione. Da subito si ha
8
Grossetti – Matronola, Il bombardamento di Montecassino, Edizioni Cassinesi.
165
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l’impressione di trovarsi in un luogo tanto sfortunato quanto prodigioso, che grazie alla
forza della sua cristianità è riuscito ogni volta a rinascere più forte9:
Da quattordici secoli il Monastero di Montecassino diffonde la sua luce sul
mondo.
Due volte distrutto e saccheggiato da milizie longobarde e saracene prima del
1000, crollato nel terremoto del 1349, fu sempre riedificato dalla pietà degli
uomini a simboleggiare, con crescente splendore, la civiltà cristiana.
Raso al suolo il 15 febbraio 1944 dalla furia devastatrice della guerra, risorge
ancora perché immortale è il suo spirito10: quello stesso spirito di carità e
fraternità che illuminò la vita del suo fondatore, S. BENEDETTO DA NORCIA,
e che, dopo tanto sangue e dolore, dovrà illuminare la vita dei popoli
nell’espiazione e nella ricostruzione.
La sequenza successiva inizia con la vista delle macerie sullo sfondo. La cinepresa
passa ad inquadrare una collina con delle croci che indicano delle sepolture.
Osservandole si può notare che una è pulita e dritta, mentre la seconda è storta, ricoperta
di vegetazione e ad essa è legata una bandiera nera con una croce bianca al centro. Da
subito si può quindi intuire la varietà dei personaggi che su quel colle sono sepolti, e che
, nonostante tutto, sono degni di carità cristiana e quindi di sepoltura gli uni accanto agli
altri. Nella realtà le vittime della battaglia, fossero essi soldati, civili o monaci, sono
state sotterrate in cimiteri ben distinti e l’unico cimitero militare che si trova vicino
all’abbazia è quello polacco, poiché i soldati di questa nazione hanno liberato, dopo
9
Secondo il motto Succisa virescit, oggi rappresentato dall’immagine simbolica di una quercia secolare,
che benché schiantata dalla bufera, rinasce sempre con intatto vigore. In Abbazia di Montecassino,
Montecassino, Pubblicazioni cassinesi, 2002.
10
La posa della prima pietra della ricostruzione risale al 1945.
166
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lunghi combattimenti, il colle con il sacro edificio, ormai divenuto nascondiglio dei
paracadutisti tedeschi.11
Un movimento di macchina sposta lo sguardo verso il precipizio sul cui ciglio si
trovano le croci (figura 2), sul fondo una strada percorsa da una processione di monaci.
Una voce fuori campo inizia a parlare: “ I miei fratelli ritornano…”. Si capisce subito
che chi sta parlando è un monaco, ma è il dialogo successivo che ne rivela l’identità: “
Vedi Capitano Richter, sulla mia tomba sono nate le primule”, la cinepresa inquadra la
prima croce con ai piedi i fiori appena sbocciati. Una seconda voce, con forte accento
tedesco gli risponde: “ Le tue primule Don Eusebio, io non so se qualche fiore potrà
nascere sulla mia”. Le due voci fuori campo svelano la loro identità, sono del Capitano
Richter e di Don Eusebio, i due defunti a cui appartengono le croci inquadrate all’inizio
della sequenza.
Figura 2. Le due croci e sul fondo del precipizio la processione
Fin da questo inizio, quindi, si capisce che, nell’economia della storia, monaci e soldati
tedeschi hanno grande importanza, come si dimostrerà nel seguito del film. Nello
11
Oltre mille furono i soldati polacchi che persero la vita nei combattimenti precedenti alla liberazione di
Montecassino, avvenuta il 18 maggio 1944. Sul monte, a loro memoria, s’innalza un obelisco in travertino
con la seguente iscrizione: Noi soldati polacchi abbiamo dato il corpo all’Italia, il cuore alla Polonia e
l’anima a Dio per la nostra e altrui libertà. In Abbazia di Montecassino, op. cit.
167
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specifico Don Eusebio è Don Eusebio Grossetti, monaco benedettino del monastero di
Montecassino. Dall’inizio di novembre del 1943 il religioso tenne un diario degli
avvenimenti, dietro raccomandazione di don Angelo Pantoni prima della sua partenza
per Roma, fino a pochi giorni prima della sua morte, che avvenne per malattia il 13
febbraio 1944. Don Martino Matronola, oggi Abate di Montecassino, lo continuò fino al
giorno dei bombardamenti. Il quaderno rimase sepolto sotto le macerie ma fu
fortunatamente ritrovato, trascritto e integrato con nuovi particolari da don Martino
stesso, che in quel periodo era segretario dell’Abate Diamare e quindi più al corrente di
quello che succedeva in quel periodo.12
Per quanto riguarda invece il capitano medico Richter, non c’è traccia dell’esistenza di
un personaggio reale con questo nome, anche se, dall’analisi dei fatti che seguono, si
può evincere che si trattasse in realtà del capitano medico Becker, che grande
importanza ebbe anche nelle operazioni di salvataggio del patrimonio storico – artistico
dell’abbazia.13
Cambia l’inquadratura, ora il monastero è visto dal punto di vista della prima croce –
personaggio, che assume il ruolo di narratore della storia. Suonano le campane, ma la
musica è solo immaginata, si dimostra essere, contro la prima sensazione,
extradiegetica: “ Nei nostri cuori non hanno mai smesso di suonare a mattutino”.
Con un flashback l’inquadratura ora si sposta all’interno di un cortile del monastero, ma
prima della distruzione, tutto è ancora integro, e mentre la voce di Don Eusebio
continua la sua narrazione, la cinepresa si sposta inquadrando diversi angoli del
monastero. Riprende il dialogo fra i due, parlano questa volta della guerra, “ la tragedia
che qui abbiamo vissuto, milioni di donne, uomini, bambini di tutto il mondo.” Il
12
Grossetti – Matronola, op. cit., p.6.
Il suo memoriale sullo sgombero di Montecassino, viene pubblicato per la prima volta, nella traduzione
italiana che egli stesso fece fare in Germania, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.235.
13
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dramma di Montecassino non è quindi un fatto esclusivo, perché la guerra ha colpito le
popolazioni di tutto il mondo essendo anche questo conflitto definito appunto
“mondiale”. Il riferimento alle sofferenze della popolazione civile è quindi più che
esplicito.
Dalla scalinata che sovrasta il cosiddetto chiostro del Bramante14 scendono i monaci e la
voce fuori campo torna a narrare da prima del bombardamento ( “la vita qui scorreva
tranquilla…”). Da questo momento il susseguirsi dei fatti sarà quello che va
dall’autunno del 1943 al febbraio del 1944.
La cinepresa passa all’interno del monastero, dove un monaco sta dipingendo il ritratto
di un bambino (figura 3), e sempre la voce fuori campo rivela di essere quel monaco ( “
io stavo dipingendo quando la voce della guerra fugò la nostra pace”). Un altro monaco
sta scrivendo uno spartito davanti all’organo. Il monastero, sede di un immenso tesoro,
continuava ancora ad essere un punto di associazione per quei monaci che amavano
l’arte e in esso potevano studiarla e ricrearla, seppure a livello amatoriale, come appunto
Don Eusebio15.
Figura 3. Don Eusebio davanti al suo dipinto
14
Abbazia di Montecassino, op. cit.
F. Ficarra, op. cit., p. 37, conferma che don Eusebio si dilettava di pittura e fu incaricato di scegliere le
opere d’arte da mettere in salvo.
15
169
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Si ode forte il rumore delle bombe, la macchina da presa inquadra un sismografo che si
muove rapidamente, mentre Don Eusebio si avvicina a controllare. L’atmosfera è tesa.
E’ la prima avvisaglia della battaglia che si sta combattendo e che non lascerà indenne il
monastero.
I parte : 16 ottobre 1943
La scena si svolge all’interno di una stanza del monastero. E’ il 16 ottobre, giorno in cui
le operazioni di salvataggio delle opere d’arte ebbe inizio. In quel giorno cominciò ad
arrivare anche il materiale per costruire le casse in cui sarebbero state riposte le opere, e
per svolgere questo compito furono reclutati soldati, monaci ( alcuni diffidenti non
aiutarono nell’operazione dicendo apertamente: “Io non voglio aiutare a depredare il
monastero”) e civili. Il film mostra un monaco e un soldato tedesco che parlano di
portare le opere d’arte a Roma.16 La passeggiata dei due tra le stanze del convento
mostra il lavoro che si sta svolgendo proprio in quel momento: la cinepresa allarga e
inquadra alcuni soldati tedeschi mentre impacchettano dei quadri (figura 4).
Figura 4. I militari tedeschi impacchettano i quadri
16
Secondo il diario di Tommaso Leccisotti i tedeschi iniziarono le operazioni di spostamento del
patrimonio culturale del monastero proprio sabato 16 ottobre ( in Grossetti – Matronola, op. cit. , p. 110 ).
170
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Don Eusebio ferma un soldato che sta portando via il quadro fatto da lui, che si rivela
essere una Madonna con bambino. Il militare si sposta verso destra per andare a
chiedere istruzioni, poiché il battaglione Goering cercò di portar via il più possibile,
ovvero tutto ciò che era trasportabile, pur non sapendo che i monaci, non fidandosi
completamente di loro, nascosero in loco molti oggetti preziosi.17 Seguendo lo
spostamento del soldato, la cinepresa inquadra in primo piano una donna col suo
bambino, lo stesso del ritratto dipinto dal monaco: si capisce da subito che saranno due
personaggi importanti della storia. Ma si crea anche un alone di inquietudine, come se
quel ritratto nelle vesti di Gesù fosse un presagio delle sofferenza di quel bambino.
Don Eusebio rientra in scena. Alla domanda della donna di poter rimanere nel
convento, il monaco risponde che solo i malati gravi possono restare, mentre gli altri
civili devono andare via. Poi invita la donna a seguirlo per mostrarle qualcosa
all’esterno.
Nella seconda sequenza un cortile interno del monastero è inquadrato dall’alto, sotto il
portico delle persone stanno camminando mentre si sente la voce di un soldato tedesco.
Dal basso viene inquadrata una balconata, i tre personaggi entrano in scena da destra su
di essa. E’ il loro il punto di vista sul cortile, la posizione privilegiata di chi guarda
dall’alto: al di sotto le persone che devono lasciare il monastero, al di sopra chi può
invece rimanere, cioè Don Eusebio, che invita la donna e il bambino a seguire i coloni
che stanno lasciando il monastero, dove rimarranno solo l’Abate, cinque monaci e
qualche fratello converso.
Nella terza sequenza la cinepresa inquadra la gente che sale sulla collina precedendone
la fila. La visione è dall’alto e crea un senso di oppressione, come se quelle persone
17
Secondo il diario di don Eusebio Grossetti furono nascoste nei sotterranei le casse di S.A.R. il Principe
del Piemonte, le cassette contenute nella cassa del Museo Numismatico di Siracusa e il “Tesoro” di San
Gennaro., in Grossetti – Matronola, op. cit., p. 19.
171
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fossero schiacciate dal peso degli eventi. Lo sgombero avvenne il 29 novembre18,
giorno in cui tutti i civili furono costretti a lasciare gli edifici adiacenti al monastero,
dopo che avevano in essi trovato rifugio in seguito al bombardamento che colpì la città
di Cassino il giorno 10 ottobre. Ad aggravare la situazione dei profughi si aggiungeva
anche la pioggia incessante che, dalla metà di novembre colpì quelle zone rendendole
simili ad un acquitrino.19
Torna la voce fuori campo che spiega la situazione: “ Come se millenni di civiltà
fossero scomparsi, la gente era costretta a rifugiarsi nelle caverne, nei boschi, nelle
capanne – la macchina da presa inquadra una capanna circondata da alberi - , negli
anfratti del monte, illudendosi che l’esodo avrebbe avuto la durata di pochi giorni. E
vennero invece le piogge e i freddi autunnali a rendere ancora più dura quella vita”. Qui
la cinepresa inquadra una pozzanghera illuminata dal sole con una barchetta di carta
spinta dal vento, una mano entra in scena e la raccoglie. L’immagine ha un forte
richiamo a certi film espressionisti della tradizione tedesca, che riuscivano a rendere il
senso di malessere anche solo con un particolare del corpo.
La quarta sequenza è ambientata in una modesta casa, entra un uomo dalla porta e viene
in avanti verso la cinepresa, guarda verso la donna che si trova alla sua destra, la stessa
del monastero, vicino al letto del suo bambino ammalato. L’uomo va a sedersi vicino al
fuoco, dove si trovano altri uomini. “ Maledetta la guerra” dice, mentre un uomo più
anziano gli risponde che lui ha fatto “quell’altra”, riferendosi alla prima guerra
18
La data dell’evacuazione non risulta precisa nei diari dei monaci, ma viene comunque riportata da
Matronola, che la trova nel diario di un ragazzo che ha aiutato proprio in quei giorni. Solo nel 1985 don
Martino scoprirà che quel giovane malato sarebbe diventato Governatore della Banca d’Italia: era il Dott.
Paolo Baffi, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.35.
19
F. Majdalany, Cassino, ritratto di una battaglia,p.30.
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mondiale, “ma era diversa”20. La donna viene inquadrata in primissimo piano,
l’illuminazione è contrastata, drammatica come la scena che si sta svolgendo, abbassa
gli occhi e guarda il suo bambino, anch’esso in primissimo piano, che tossisce. Nella
battuta che segue la donna rispecchia lo stato d’animo dei profughi in quei momenti
difficili: “ Credevo che fosse qualche giorno di rimanere qui, ora sono delle settimane”.
La gente vicino al fuoco la guarda, tra di loro si alza l’uomo di prima e si dirige verso di
lei. Segue un’alternanza di primi piani tra i personaggi in questione, si parla di riportare
il bambino malato al monastero, mentre un altro uomo esprime un altro parere comune
tra i profughi, come si vedrà in seguito, e cioè come faccia comodo ai frati starsene lì,
“si sono fatti persino mandare le guardie tedesche.”
La donna ha il suo bambino in braccio mentre si appresta accompagnata dall’uomo
(Marco) ad uscire per andare al monastero.
La prima parte termina con una dissolvenza.
II parte : 12 dicembre 1943
Sotto all’indicazione della data si configura della gente che cammina nel bosco, mentre
riprende la musica di sottofondo. La voce fuori campo spiega che i profughi stanno
tornando al monastero. Fuori dal portone inizia il dialogo tra alcuni di loro e i soldati
tedeschi posti a guardia dell’entrata (figura 5), mentre Marco critica il fatto che i
monaci se ne stanno a cantare mentre fuori c’è la guerra. Questo tipo di battute è molto
diffuso lungo soprattutto la prima metà del film, quando i civili sono ancora all’esterno
20
Secondo i diversi testi consultati, da Clark a Majdalany, da Etterlin a Liddle Hart, le battaglie che si
svolsero nei pressi di Cassino erano in tutto e per tutto simili a quelle della prima Guerra Mondiale,
soprattutto per il grande utilizzo della fanteria, dovuta anche alle condizioni ambientali che non
permettevano l’utilizzo di mezzi pesanti.
173
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del monastero e sentono la loro condizione di pericolo molto distante da quella dei
monaci, al sicuro dentro le spesse mura dell’Abbazia di Montecassino.
Figura 5. Civili e soldati tedeschi davanti al monastero
La scena si svolge davanti alle spesse mura del convento, che risultano in questo caso
essere una vera barriera tra la salvezza e la morte, una sorta di dimora divina illuminata
da una luce molto forte che la fa sembrare ancora più irreale.
La cinepresa inquadra in primo piano un monaco che guarda fuori dalla porta e rientra.
La macchina da presa si sposta alle spalle dei personaggi, assiepati davanti alla porta, e
non smette di inquadrare il portone, da cui esce Don Eusebio, che si dirige verso il
bambino malato. La madre lo informa che suo figlio Gianfranco sta male, il monaco lo
riconosce e lo chiama “ il piccolo Bambin Gesù”, riferendosi al quadro che stava
dipingendo all’inizio, dove Gianfranco era stato ritratto nelle vesti di Gesù bambino in
braccio alla Madonna. La mamma alla fine lo porta dentro, ma questa volta l’immagine
è molto più simile ad una pietà con Maria che tiene fra le braccia il figlio morente.
La seconda sequenza è ambientata vicino alle mura del monastero, dove Marco e Don
Eusebio parlano della guerra. I due hanno chiaramente una visione opposta su come
affrontarla, per il religioso è importante solamente pregare, mentre per Marco questo
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non basta, anzi, rientra tra le attività considerate comode e poco pericolose, soprattutto
ora che in cielo cominciano a vedersi gli aerei21.
La terza sequenza si apre proprio con gli aerei di cui parlava Marco: volano in cielo e
sono ripresi a loro volta da un aereo. Il rombo è forte, i velivoli volteggiano in cielo,
inizia la battaglia: vengono inquadrate le mitragliatrici davanti agli aerei e un aereo
colpito mentre in fiamme precipita. L’inquadratura si sposta poi all’interno di un aereo,
dove un uomo è intento a sparare e rimane di spalle, e alternativamente la macchina
riprende la terra vista dall’aereo con i colpi che cadono dall’alto. Immagini di questo
tipo sono frequenti durante il film e sono sicuramente tratte da filmati documentari, non
girate appositamente per la fiction. La pellicola usata sembra infatti diversa e
riconoscibile ad occhio nudo. Inoltre sono sempre le stesse immagini che tornano per
tutto il film, montate in modo diverso, quelle immagini che caratterizzano i documentari
dell’epoca.
Le immagini di guerra montate in questo punto della storia non sono ancora riferibili
alla battaglia di Montecassino vera e propria, che inizierà solo a gennaio, ma a uno dei
tanti attacchi che si svolgevano quotidianamente sulla linea Gustav, anche molto vicino
al monastero. Per questo motivo il giorno 12 dicembre un capitano tedesco, inviato dal
Comando Supremo del Sud ( generale Kesselring ), giunse al monastero con la notizia
che era stata decisa una zona di 300 metri al di fuori del monastero interdetta a qualsiasi
militare.22Anche i tre gendarmi posti a guardia del monastero avrebbero dovuto riparare
nelle grotte circostanti23. La richiesta era stata fatta dalla Santa Sede ed accettata di
buon grado dal comando tedesco, che in questo modo manteneva agli occhi di tutti la
21
Don Eusebio, nel suo diario, scrive di quel giorno: “ La solita azione di artiglieria: aviazione assai
limitata per il tempo non buono”. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 39.
22
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 39.
23
Fatto che irritò profondamente i militari in questione, che minacciavano i monaci di rappresaglie poiché
li incolpavano della decisione. In Grossetti – Matronola, op. cit., p.40.
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facciata di difensore dell’edificio, ma che in realtà pensava che, se gli Alleati avessero
distrutto l’abbazia, sarebbe stato un errore ancora più grande, non essendo postazione
militare tedesca.24
Nella quarta sequenza viene inquadrato il monastero dal basso, in quella posizione di
superiorità che tanto spaventava gli eserciti angloamericani. La voce fuori campo spiega
che all’interno si trovavano solo i malati, mentre la popolazione era tutta intorno.
L’alternanza di primi piani è ancora tra il piccolo Gianfranco e sua madre. La donna
piange mentre una mano accarezza il bambino coricato: è la mano di Don Eusebio. Un
bambino che guarda la scena in penombra dietro le sbarre del letto di Gianfranco, la
mamma piange sul figlio mentre una dissolvenza ci porta al ritratto fatto da Don
Eusebio: si passa dalla realtà fisica del piccolo a quella spirituale racchiusa
nell’immagine dipinta. L’atmosfera è rarefatta, quasi irreale, il bambino sembra
dormire, ma si intuisce la sua morte ancora prima che la voce narrante la confermi.
“Forse quel ritratto non era stato dipinto invano”, Don Eusebio prende un taglierino
aggiusta una sfumatura, taglia la parte di tela col viso del bambino e lo regala a “quella
madre disperata che era soltanto una delle tante”, per tornare un'altra volta al tema della
guerra come tragedia umana e universale.
Nella quinta sequenza la cinepresa inquadra la scalinata interna dell’Abbazia, è buio.
Buona parte dell’inquadratura è occupata dalla statua di San Benedetto, che si trova alla
base di una scalinata e sovrasta con la sua magnificenza soprattutto spirituale i piccoli
uomini che salgono le scale.
In un interno un monaco è inquadrato di spalle davanti a un leggio, le persone sono già
sedute, altre ancora entrano, mentre la voce off dice che quello era il più triste Natale
24
F. Ficarra, op. cit., p.59. Allo scopo di immortalare l’abbazia e di testimoniare su una possibile barbarie
da parte delle truppe alleate, furono mandati, il 19 dicembre, due fotografi dell’ufficio di propaganda
tedesco.
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mai vissuto da quella gente. La storia è quindi avanzata fino al 25 dicembre. Nella
cripta, riconoscibile dai mosaici raffiguranti San Benedetto e Santa Scolastica, l’abate
sta celebrando la messa25, mentre il coro continua a cantare e la voce fuori campo
sottolinea questo fatto.
Nella sesta sequenza un’autocolonna di soldati tedeschi con camionette, moto,
artiglieria, viene inquadrata da diverse angolazioni mentre passa sulle strade fuori e
dentro all’abitato. La voce off racconta: “Un’agguerritissima divisione tedesca giungeva
a dare il cambio alle stanche truppe che avevano fino ad allora presidiato Cassino.
L’infernale rumore delle armi toglieva a quel giorno sacro tutta la sua gloria.” Mentre
comprendiamo che è ancora Natale, vengono inquadrati i mezzi che passano tra le case,
sulle strade, tra gli alberi, alcuni soldati a piedi sono ripresi dal basso all’alto, mentre il
sottofondo è sempre quello degli spari. Anche in questa sequenza soldati e armamenti
sono sicuramente tratti da filmati documentari.
Oltre a questo episodio è da ricordare, negli stessi giorni, lo sgombero dei civili
dell’abbazia, ordinato da Senger, che, mentre rassicurava i monaci sul rispetto che
avrebbero avuto verso la zona neutrale, disponeva i suoi uomini fin sotto le mura
dell’abbazia.26
III parte : 5 gennaio 1944
Mentre compare sullo schermo la scritta con la data, un soldato toglie a colpi di canna di
fucile un cartello che reca scritto NEUTRALE ZONE. Nel diario di guerra di Don
Eusebio Grossetti e di Don Martino Matronola, il giorno mercoledì 5 gennaio leggiamo:
25
26
Notizia confermata in Grossetti – Matronola, op. cit., p. 46.
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 47.
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Tristissima fra tristi giornate. Stamane è ritornato verso le 8.30 il solito
interprete della nuova Divisione. Ha chiesto di parlare col P. Abate, cui ha
comunicato penosissimi ordini. Ha dichiarato che per il Comando Supremo del
Sud la zona di 300 m. non esisteva più; che tutti i civili senza alcuna eccezione
dovranno evacuare; a tale scopo sarebbero venuti in giornata i camion
tedeschi…27
La decisione fu presa perché ormai la battaglia si faceva sempre più prossima al
monastero e diventava sempre più pericoloso sostare in esso. Infatti nel diario del
giorno 4 gennaio di don Eusebio si legge: “ In un minuto sono passate almeno 25 palle
sibilanti solo su Montecassino senza contare il resto del fronte.”28
La prima sequenza si svolge in interno, in una stanza del monastero. La luce è fioca ma
diffusa. I personaggi in scena sono l’Abate, seduto, e quattro monaci ai suoi lati, in una
disposizione che si vede spesso durante il film, come a voler proteggere il loro padre
abate. Oltre la scrivania davanti a loro stanno in piedi due soldati tedeschi, che leggono
le nuove regole: tutti i civili e i monaci devono lasciare il convento, la zona neutrale è
caduta, ed è necessario inoltre vendere il bestiame (figura 6).
Figura 6. Incontro fra i monaci e i militari tedeschi
27
28
E. Grossetti – M.Matronola, op. cit., p. 52
E. Grossetti – M.Matronola, op. cit., p. 52
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La cinepresa passa su un primo piano intenso dell’Abate, che protesta perché altri
ufficiali superiori avevano garantito il 12 dicembre la protezione ai monaci rimasti a
custodire il sepolcro di San Benedetto29. I due soldati, si scoprono essere un interprete e
un ufficiale inferiore.
La seconda sequenza è girata in esterno. Marco si avvicina a un muro e sente una voce
che parla tedesco, la cinepresa si sposta verso il soldato che sta parlando: è inquadrato
dal basso in primo piano, come per rendere l’idea della sua forza prevaricatrice, opposta
alla ragazza che sta percuotendo, che tiene in braccio un agnello, da sempre considerato
uno dei simboli della pace, quindi in una situazione come quella rappresentata diventa
animale simbolico. Essa è ripresa dall’alto, trovandosi in una posizione di sottomissione
rispetto al primo. L’alternanza dei primi piani sui due personaggi finisce quando Marco
interviene per soccorrere la ragazza. Si azzuffa con il soldato e cadono per terra. I
soldati tedeschi vengono quindi caratterizzati in senso negativo, sono crudeli con ogni
genere di persone, anche le più deboli e indifese.
Nella sequenza successiva inizia lo sgombero dei profughi, ordinato il giorno 5 gennaio
dal comando tedesco. In questo momento quindi si può stabilire che la data è 6 o 7
gennaio, poiché in quei giorni sono avvenuti gli sgomberi e nel diario di don Eusebio si
trova un valido motivo a questo atto compiuto in fretta e furia: “Pare che il fronte sia
ormai vicino. Oggi molti intensi combattimenti e bombardamenti su Cervaro –
Aquilone – Trocchio. La smania di evacuazione dimostra che i tedeschi hanno dovuto o
devono cedere terreno.”30
Un camion è sulla sinistra e un militare tedesco fa salire la gente con i bagagli, poi si
dirige verso un altro camion . Un automezzo parte, viene ripreso il suo interno con i
29
30
La notizia è confermata ancora dal diario di Grossetti – Matronola, p. 39
Sono località nelle vicinanze di Montecassino. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 57.
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profughi seduti, tra di loro un uomo ben vestito viene inquadrato in primo piano.
Normalmente quando ad un personaggio vengono dedicate inquadrature così dettagliate
si sa che diventerà importante nell’economia della storia.
La macchina da presa torna ad una finestra del monastero, dove viene scostata una
tenda, segno che qualcuno è rimasto all’interno del convento. Infatti i monaci hanno
ottenuto di poter rimanere a loro rischio e pericolo e con loro i malati dell’infermeria e
tre famiglie di questi.31 In seguito si vede ancora la ragazza con l’agnello, che non è
partita. Un autocarro è davanti al convento e parte, mentre la ragazza lo segue di corsa.
Ora il paesaggio è quello di una strada alberata, percorsa da un camion. La visione passa
all’interno e la cinepresa assume il punto di vista del conducente, che vede un posto di
blocco di soldati e gli si avvicina. Sul retro i soldati fanno scendere a forza la gente, con
la solita crudeltà che li contraddistingue, uomini e donne, mentre l’uomo elegante
avvicina un Tedesco per mostrargli un foglio di un’organizzazione di cui fa parte, è un
avvocato. Questo personaggio viene in questo modo caratterizzato in modo piuttosto
negativo, con l’atteggiamento tipico di chi usa la sua posizione per ricevere un
trattamento di favore, ma con i soldati tedeschi non funziona, perché sembrano odiare
tutti indistintamente. Il militare seccato gli dice, nella sua lingua madre, che deve
raggiungere i suoi “colleghi” e lo spinge insieme alle altre persone.
La quarta sequenza torna ad occuparsi della ragazza con la pecora, in un’alternanza di
storie di gente vera che mostra la guerra dal suo punto di vista, con le sue esperienze
personali, perché la guerra non è solo costruita da grandi fatti, e Gemmiti pare averlo
capito, cogliendo la lezione del Neorealismo. Viene inquadrato uno zaino per terra,
passa la giovane e lo raccoglie, la cinepresa la precede fino a quando non si ferma per
31
E. Grossetti – M. Matronola, op. cit., p. 55.
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leggere il nome del proprietario scritto su una targhetta, “Soldato Marco Silveri”.
L’oggetto ritrovato spezza la tristezza di quei momenti, ridona nuova gioia al volto della
giovane. Alle sue spalle arriva un monaco che la chiama Carmela e la avvisa che
portano via la gente anche dall’infermeria. Quindi possiamo intuire che la ragazza
faceva parte di quelle tre famiglie che erano rimaste insieme ai malati.
La quinta sequenza si svolge all’interno dell’infermeria. I personaggi sono un soldato
tedesco, due monaci, un uomo e un bambino. I due religiosi, tra cui Don Eusebio,
restano fermi mentre il militare cammina tra i letti e incita i malati ad alzarsi, con
estrema crudeltà, senza rispetto alcuno per la gente che sta soffrendo. Questi soldati
tedeschi sono stereotipati e vengono rappresentati nello stesso modo in cui si vedono in
tutti i film in cui compaiono: il passo deciso, la voce alta e lo sguardo freddo. Lascia
subito dopo la stanza sul fondo, seguito da Don Eusebio.
La sequenza successiva è preceduta da una dissolvenza che sta a indicare il trascorrere
del tempo tra l’episodio precedente e l’arrivo di un nuovo personaggio - chiave
all’infermeria. L’azione ha inizio in un grande interno semibuio, una porta aperta sul
fondo fa entrare un po’ di luce. Arriva un militare che subito si presenta, trovandosi
davanti a Don Eusebio: è il Capitano medico Richter, la seconda voce fuori campo
ascoltata all’inizio del film. Don Eusebio gli fa strada, si avvicinano alla cinepresa e la
sorpassano. L’inquadratura passa all’interno della camerata, un’infermiera è seduta sul
letto e il fondo della stanza è chiuso da una parete di vetro spesso, oltre la quale si
delineano le sagome dei due, che subito entrano, mentre la donna si alza di scatto.E’
interessante notare lo spostamento che fa la cinepresa tra esterno ed esterno della
camerata e il modo in cui i due uomini vengono inquadrati davanti e dietro la vetrata,
quasi un gioco di ombre cinesi.
181
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La musica diventa drammatica e concitata, come se stesse per succedere qualcosa di
molto grave.
I due passano tra i letti e si fermano vicino ad alcuni di essi (figura 7).
Figura 7. Don Eusebio e il capitano medico Richter nella camerata
“ La guerra, padre, non permette sentimentalismi” dice l’ufficiale tedesco, confermando
da subito l’indole comune a questi militari.
Una dissolvenza ( che indica ancora il salto temporale ) introduce la settima sequenza,
con Don Eusebio e il Capitano Richter che passeggiano nei cortili, inquadrati in un
lungo piano sequenza. I due iniziano a parlare della guerra, inutile per il primo,
inevitabile per il secondo, e vengono a trovarsi sotto la statua di San Benedetto, dove si
fermano. Ancora una volta la statua sovrasta i personaggi, ma mentre prima i profughi
passavano lontani da essa, qui i due personaggi sono proprio sotto, come se la statua
volesse proteggerli e illuminarli. Infatti in seguito si scoprirà che Richter è ben diverso
dagli altri suoi connazionali.
La cinepresa continua il suo percorso tra scalinate, cortili, porticati e giardini interni, in
una sequenza di pura documentazione estetica del sacro edificio, mentre la voce di Don
Eusebio, fuori campo, inizia una lunga battuta sull’inutilità della guerra: “Solo gli spiriti
senza fede credono nella forza materiale. Il forte che vince rimane solo e intristisce,
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vede tutto nemico intorno, e opprime. Non ricorda che uccidere un nemico è anche
uccidere un uomo e che ogni scintilla è parte della vita del mondo e di ciascuno, così
come ogni opera d’uomo è ricchezza di tutti. E anche chi distrugge paga poi per
ricostruire, non vi è scelta.” E’ ancora presente nelle sue parole il tema della
ricostruzione, che qui a Montecassino era cominciata già nel 1945 ad opera dello stato
italiano.
“ Sì padre, ma c’è chi a volte dimentica anche il comune destino e la fratellanza
umana” risponde Richter, parlando di argomenti che difficilmente si sentono nelle
parole di ufficiali nazisti. Si nota quindi che il personaggio, che all’inizio si è presentato
con modi alquanto bruschi, ha di fondo un’indole positiva.
L’ottava sequenza riporta la cinepresa fuori dal monastero. Un soldato è in piedi vicino
a una scarpata, si dirige verso sinistra mentre la cinepresa si sposta a destra e in piano
sequenza inquadra il paesaggio e altri soldati sulla scarpata, mentre sul fondo ci sono
delle persone (prigionieri) che lavorano le pietre. L’immagine è nebbiosa, l’atmosfera
rarefatta e quasi sospesa nel tempo. Ancora una volta i Tedeschi – oppressori sono
collocati in una posizione di superiorità sia morale che materiale: sono sopra la rupe
mentre i prigionieri sono sotto, e sono i “padroni” mentre i profughi italiani sono i servi
– prigionieri (figura 8)
.
Figura 8. Soldati tedeschi sulla scarpata
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La cinepresa si sposta sul fondo del burrone e ci mostra che i personaggi al lavoro sono
gli stessi portati via col camion dal monastero, in particolare Marco e l’avvocato, che in
mezzo a tutti hanno un ruolo di rilievo. Il primissimo piano alternato dei due ci
introduce al dialogo cruciale con il quale decidono di fuggire all’alba, tornando poi
subito al lavoro.
Con un'altra dissolvenza parte la nona sequenza : è l’alba e due persone sono inquadrate
dall’alto mentre scappano, il punto di vista è quello dei soldati sulla scarpata. La voce
off parla dell’annullamento del rapporto tra esseri umani a causa della guerra, proprio
mentre la cinepresa inquadra i soldati dal basso che si affacciano al precipizio e iniziano
a sparare: sono proprio loro i principali artefici di questo annullamento.
L’atmosfera è buia e nebbiosa ed è interessante il continuo spostamento di punto di
vista, tra quello dei soldati e quello dei fuggitivi, che mantiene alta la suspense e il ritmo
concitato della scena. I fuggiaschi sono ora dietro a dei cespugli mentre in alto a destra,
in lontananza, restano i tre soldati che sparano, nella ormai consueta posizione di
superiorità. I due uomini iniziano a correre nella palude, e Marco viene colpito proprio
mentre passa davanti alla macchina da presa. La musica è concitata. Marco cade e la
cinepresa stacca sull’avvocato, che va avanti oltrepassando una barriera di piante e
cespugli. La continua alternanza tra i due personaggi aumenta il ritmo della sequenza.
I soldati scendono dalla collina, mentre altri soldati, radunati sotto un albero e ripresi
solamente in controluce, quindi non riconoscibili, si mettono alla caccia dei fuggiaschi.
La scena resta vuota e dominata solo dal grande albero al centro, che sembra evocare
proprio la quercia simbolo del monastero di Montecassino con il motto “Succisa
virescit”.
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Nel frattempo la cinepresa inquadra l’avvocato in piano americano, che è tornato a
soccorrere Marco, che a sorpresa non è morto.Con un’azione del genere viene
contraddetto quello che la voce narrante ha dichiarato poco fa, cioè che con la guerra
viene meno il rapporto tra esseri umani. L’avvocato infatti rischia la vita per tornare
indietro e salvare Marco.
L’immagine è molto scura e la musica si interrompe. L’avvocato in primo piano esce
dal buio e chiama qualcuno. Viene inquadrato in primissimo piano un uomo e poi un
altro che lo riconoscono ( “Ma è l’avvocato!”), la camera li inquadra leggermente dal
basso mentre l’avvocato chiede loro aiuto. Anche in questo caso i due uomini appena
incontrati sono in posizione di superiorità rispetto all’avvocato, che ha bisogno di loro.
Il ferito è ora nascosto dietro ad un muro, oltre il quale passano i Tedeschi. Uno si ferma
ma nessuno lo vede, quindi procedono tra gli alberi inquadrati stavolta dall’alto, perché
adesso è qualcun altro che li sta guardando per potersi muovere.
All’interno della casa, dove i due fuggiaschi hanno trovato rifugio, la gente è molta,
l’atmosfera è tesa, sono in arrivo i soldati, tutti corrono, si spegne l’unico fuoco che
illuminava la stanza , escono dalla porta.
Nella decima sequenza gli aerei alleati volano in cielo, a indicare una svolta nelle
operazioni belliche. E’ proprio nell’intervallo che intercorre tra il 5 e il 22 gennaio, date
che delimitano questa parte del film, che inizia la battaglia di Montecassino, e
precisamente il 17 gennaio. In questa data le truppe inglesi del decimo Corpo d’Armata
tentarono di oltrepassare il fiume Rapido, che nasce sui monti dell’Abruzzo, fiancheggia
il costone di Montecassino da est, scende nella piana e confluisce nel Liri. Da questa
confluenza prende il nome di Garigliano e l’attacco in questione avvenne proprio alla
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sua foce.32 Purtroppo l’operazione non diede i risultati sperati: i Tedeschi ostacolarono
in tutti i modi le truppe alleate, che durante questi primi giorni di battaglia ebbero una
notevole perdita di vite umane.33Ma il film di Gemmiti non si sofferma sull’episodio
della battaglia, continuando piuttosto ad interessarsi ai profughi e ai monaci che, in
qualche modo, sono legati al monastero di Montecassino.
La cinepresa inquadra una scena concitata che ha per protagonisti i militari tedeschi,
che reagiscono alla vista degli aerei alleati in cielo. Un ragazzo italiano si nasconde
sotto una scala, ma viene subito trovato da un militare.Tra i due c’è un breve ma
significativo scambio di battute. Il soldato chiede al giovane: “Quanti anni hai?”, in
italiano con accento tedesco, e il giovane gli risponde: “16”, al che l’altro gli fa notare: “
Io a 16 anni combattevo già, tu no.” E’ eloquente il fatto che i militari tedeschi
cominciassero prestissimo a combattere, il regime toglieva loro anche la possibilità di
essere ragazzi. Lo spinge avanti nella direzione in cui correvano gli altri, dopo aver
visto due aerei.
Su una collina con due alberi, gli spari si infrangono sul suolo. Due soldati si buttano a
terra urlando, il ragazzo fa la stessa cosa ed è inquadrato più da vicino, si copre la testa
con le braccia e si gira verso la cinepresa. Quella guerra che non era ancora arrivata a
toccare materialmente i profughi dell’abbazia ora è presente, con il suo carico di paura e
di violenza.
La macchina da presa riprende poi un soldato semisdraiato che cerca di tenere a bada
un cagnolino bianco; nel frattempo il ragazzo si alza e scappa in mezzo a degli alberi. Il
cane, prende il bastone con la bocca, mentre il militare estrae una pistola e gliela punta:
la violenza non risparmia nessun essere vivente. Il ragazzo continua ad arrampicarsi, si
32
F. Ficarra, op. cit., pp. 69 – 70.
Le cifre sono riportate nel libro Maximum Risk del generale Marc Clark, comandante della Quinta
Armata Americana.
33
186
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sente uno sparo e inizia ad urlare poiché si accorge che il suo cane è stato ucciso,
scivola ma continua a salire, mentre dall’alto è inquadrato il soldato che si alza e corre
verso di lui con la pistola in mano. Il ragazzo continua ad arrampicarsi allontanandosi
sempre di più, il punto di vista è quello del soldato che sta sotto di lui, che si arrampica
a sua volta ed è visto con gli occhi del ragazzo che lo precede. Le bombe continuano a
scoppiare nel campo vicino a loro, ma il giovane non si ferma e si nasconde dietro un
masso dal quale può vedere più sotto il soldato che si avvicina. Ancora una volta è da
notare l’alternanza di punti di vista tra i due personaggi della scena, che crea, grazie al
montaggio veloce, un ritmo serrato e incalzante. Il giovane spinge la pietra dietro alla
quale si sta riparando, questa rotola e uccide il militare sotto di lui. In preda alla
disperazione urla forte per aver ucciso quell’uomo, perché l’umanità è rimasta in queste
persone, nonostante tutto.
La undicesima sequenza offre uno spaccato della guerra vera e propria, probabilmente
un collage di scene tratte da filmati documentari. La prima inquadratura è per un
lanciafiamme, subito dopo un soldato si prepara a sparare, si passa ad una postazione da
mortaio e in seguito a dei soldati che scendono di corsa da una collina e ancora mortai
nascosti dalla vegetazione. Alcuni soldati si arrampicano, vengono di nuovo ripresi dei
mortai e poi dei carri armati che scendono dal colle. Altri soldati corrono, altri sparano,
altri sono a terra. Di nuovo la cinepresa posa la vista sui mortai, una bomba esplode e
altri mortai iniziano a sparare tutti assieme. Durante tutta questa sequenza il solo rumore
che si sente è quello della battaglia, mortai che sparano e bombe che scoppiano, mentre
il ritmo rapido delle immagini lascia solo il tempo di capire che la situazione si fa
sempre più pericolosa e la guerra sempre più cruenta, e il tutto è confermato dalla voce
off, che per la prima volta parla della battaglia di Cassino in modo specifico: “ Nella
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valle di Cassino la guerra stava assumendo forme sempre più aspre e violente, erano
senza dubbio le prime azioni che precedevano una grande offensiva. Quasi per miracolo
fra le mura del monastero le creature umane sembravano ancora tali. I loro pensieri e le
loro azioni erano ancora conformi alla vita normale”. Qui la cinepresa torna ad
inquadrare il monastero di Montecassino (figura 9), prima da un aereo, poi da terra, da
sotto il suo colle, dove si ha una visione completa dell’edificio.
Figura 9. Monastero di Montecassino
La dodicesima sequenza torna a svolgersi tra le mura dell’ abbazia. Una donna è seduta
dietro ad una scrivania e si guarda in un piccolo specchio, la cinepresa inquadra la sua
immagine riflessa. Carmela entra nella stanza , si toglie il foulard, viene inquadrato lo
specchio e l’immagine della ragazza che si riflette, ma appena si vede tutto il viso l’altra
donna gli ruba lo specchio. L’azione in sé è molto comune, ma in un contesto come
questo è interessante vedere come le persone cerchino di continuare a mantenere una
vita pressoché normale e un aspetto umano.
Nella stanza entra una persona, se ne sente dapprima la voce, le due si girano verso la
porta dalla quale vedono entrare il capitano Richter34 insieme a don Eusebio. I due si
34
Leggendo i diari di guerra dei monaci i questione non si hanno tracce di queste visite del capitano
medico Richter – Becker. Il capitano Becker infatti ha avuto un ruolo importante nello sgombero del
patrimonio artistico dell’abbazia, ma non in altre occasioni. Questo lato del capitano Richter quindi, così
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trovano nell’anticamera dove già c’erano le donne, mentre la cinepresa li precede in una
seconda stanza, nella quale entrano da una porta situata sul fondo. L’inquadratura questa
volta mostra in campo totale l’intera camerata dell’infermeria, per poi iniziare con una
serie di primi piani dei personaggi presenti. La cinepresa si sofferma sull’ufficiale a
vicino al letto, che allunga la mano per offrire del cibo al piccolo malato, ma questo non
accetta subito il dono. E’ evidente il sentimento di astio e diffidenza che animava questi
profughi nei confronti dei soldati tedeschi. Si alternano i primi piani del ragazzo, del
religioso e del militare, che si guardano a vicenda, poi il giovane abbassa lo sguardo
verso il bambino, che finalmente accetta l’offerta dell’ufficiale. Don Eusebio allora dice
al Capitano Richter la stessa battuta che questi a sua volta gli aveva detto: “La guerra
non permette sentimentalismi, Capitano.”, ma anche l’ufficiale sembra aver cambiato
idea, visto che sta portando del cibo ai malati. I due camminano tra i letti :“ E’
cominciata una grande offensiva, padre, e presto la guerra sarà qui”, “Qui?” risponde
allarmato Don Eusebio, “No, qui no, a Cassino!” lo rassicura il Capitano Richter, che si
china su un altro letto per dare del cibo al un'altra malata. La sequenza si chiude con una
dissolvenza.
IV parte : 22 gennaio 1944
Il 22 gennaio 1944 è il giorno dello sbarco di Anzio. Le truppe alleate combattevano
ormai da tre mesi
35
sulla linea Gustav, ma le operazioni andavano a rilento e i risultati
tardavano ad arrivare. Venne per questo motivo organizzato uno sbarco ad Anzio, che si
affine e legato a don Eusebio, pare essere del tutto inventato, poiché neanche nel suo diario, dove annota
qualsiasi visita compiuta al convento, se ne trova accenno.
35
Era il 9 ottobre 1943 quando raggiunsero il fiume Volturno
189
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trovava a nord della Gustav e che, oltre a creare una testa di ponte in territorio tedesco,
avrebbe distolto l’attenzione nemica da quel fronte, tenendo occupati uomini e mezzi.
Purtroppo ci vollero ben 132 giorni per risolvere la situazione ad Anzio, che risultò un
episodio del tutto anomalo nell’economia della campagna in Italia.
Tornando al film, nella prima sequenza alcune persone si dirigono verso il monastero:
esse sono convinte che alle sue soglie la guerra si sarebbe fermata. Dei bambini sono
inquadrati mentre si staccano dal gruppo per salire su una piccola altura dalla quale si
vede il monastero, che da lontano risulta una sorta di terra promessa per la popolazione
“esiliata” dalla propria città.
Montecassino, nella seconda sequenza, viene colpito al suo esterno da alcune bombe ed
è qui ripreso in campo totale. Secondo il diario di Don Eusebio dovrebbe trattarsi del
giorno 23 gennaio, quando alcune granate colpirono il monastero sia all’interno che
all’esterno. La voce off commenta: “ La prima offensiva sul fronte di Cassino fu di tale
violenza ed i colpi così numerosi che anche il monastero subì i primi danni”.
Intanto nel cortile esplode un ordigno e i monaci sono indaffarati a preparare le loro
cose per rifugiarsi nei sotterranei. Tutta la scena è commentata dalla voce fuori campo e
accompagnata da una musica dal ritmo concitato.
Viene inquadrato un porticato sotto il quale passano di spalle i monaci, ognuno con in
mano qualcosa. Cambia l’inquadratura e si vede una porta in fondo al portico, i monaci
entrano e nonappena l’ultimo ha varcato la soglia una bomba scoppia vicino all’uscio.
Si comincia veramente a capire che anche quell’edificio sacro e gli uomini al suo
interno sono in serio pericolo.
Nella terza sequenza si torna a narrare la vita dei civili all’interno del monastero.
Carmela e l’altra donna (Maria) sono in un interno, le due si girano al rumore dello
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scoppio e subito dopo viene inquadrata una finestra che va in frantumi. Entrano nella
stanza sia Marco che l’avvocato, insieme ad un uomo ferito. Nella stanza è presente
anche Don Eusebio36.
La quarta sequenza torna a mostrare le immagini della guerra in modo documentario.Si
parte con le bombe che cadono sulla collina, i cannoni vengono inquadrati da diverse
distanze e la cinepresa si muove ogni volta che sparano, poi altre bombe sul paesaggio,
alberi in fiamme, e di nuovo i cannoni con le stesse immagini già viste, alberi in
fiamme, bombe che scoppiano e l’immagine di Montecassino in una coltre di fumo.
Queste sequenza documentarie diventano sempre più frequenti, proprio per significare
che la guerra stava diventando sempre più violenta e sempre più vicina a Montecassino.
Il susseguirsi a breve distanza di queste scene crea la tensione che si scioglierà nel
successivo bombardamento dell’edificio.
“ Il 23 gennaio si seppe dello sbarco ad Anzio37, la guerra si chiuse ancora di più attorno
a queste mura, Montecassino è la terra di nessuno. Non più gendarmi o guardie dal
monastero, ma un ordine, che nessuno all’infuori dei monaci vi si potesse rifugiare – la
cinepresa è fissa sul portone chiuso del convento - , ma la porta si apriva sempre, per la
continua opera di assistenza alle spaurite creature che vivevano nelle grotte lì intorno”.
La porta si apre, escono quattro monaci, di cui il primo è Don Eusebio e ultimi due
portano in mano grosse ceste di vimini. Il portone dell’abbazia è un elemento essenziale
dell’edificio dal punto di vista simbolico, in quanto rappresenta l’entrata dei rifugiati
verso la speranza di sopravvivenza, e reca inoltre l’iscrizione latina PAX (pace). Oltre a
questo bisogna ricordare che questo portone fu uno dei pochi elementi rimasti in piedi
dopo il bombardamento.
36
All’epoca dei fatti Don Eusebio era già gravemente malato.
Nessuno si aspettava questo sbarco, né le truppe tedesche né gli abitanti della zona, che videro
semplicemente la spiaggia di Anzio riempirsi di natanti Angloamericani. In Liddle Hart, op. cit., p. 739.
37
191
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Nella quinta sequenza è inquadrato l’esterno di una grotta, sulla cui soglia si notano due
figure: sono una donna con suo figlio. La madre si gira dapprima verso la cinepresa e
poi verso il figlio, che le dice : “Mamma, quando ci andiamo dentro?”, la mamma di
spalle gli risponde: “E chi lo sa?”.
In questa scena i profughi sono rappresentati alla stregua di animali feriti, che escono
dal loro rifugio solo per procurarsi il cibo necessario alla sopravvivenza. Sono tornati ad
uno stile di vita primitivo, con le grotte come uniche case.
Molte persone iniziano ad uscire dalla caverna mentre la madre resta seduta al suo
posto, la cinepresa riprende la scena in lontananza, poi si avvicina e inquadra delle
persone che passano tra gli alberi e altre tra le rocce. Alle loro spalle si trova uno
spiazzo tra gli alberi dove i profughi hanno già raggiunto i monaci. La cinepresa
continua a seguire queste persone in piano sequenza. Si parte con un primo piano dei
monaci che distribuiscono del pane per passare poi ad una donna, sempre in primo
piano: è da notare la differenza delle espressioni tra quella serena e rassicurante dei
monaci e quella diffidente e piena d’astio della donna e di altri personaggi in
seguito.Essa racchiude nelle sue parole un pensiero, già trovato nel corso del film,
molto diffuso fra la gente: “ Loro se ne stanno al sicuro e noi qui ci pigliamo le
granate”, rivolta ai monaci, mentre un altro uomo, che entra in scena di spalle, dice:
“Nel monastero sai quanti sotterranei sicuri ci saranno!”. Don Eusebio sente quelle
parole e mostra il suo viso attonito in primissimo piano, poi china il capo e si volta per
allontanarsi; è ancora l’espressività dei volti che domina la scena. L’atmosfera è
soleggiata, il cielo è pulito e si crea un specie di contrasto tra la bellezza del paesaggio e
la condizione della popolazione. Il religioso incontra un bambino (figura 10), il primo
visto nella grotta con sua madre, gli da un pezzo di pane, ma questo gli dice: “Abbiamo
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paura qua”, Don Eusebio lo accarezza sulla testa per rassicurarlo e fargli coraggio, e se
ne va di spalle con un altro monaco.
Figura 10. Don Eusebio dona un pezzo di pane ad un bambino
La sesta sequenza parte dalla dissolvenza di quella precedente che con un salto spaziotemporale mostra i monaci già nel cortile dell’abbazia mentre tornano e, passando sotto
ad un porticato, Don Eusebio e un altro religioso parlano tra loro, e dal dialogo si
capisce che il primo non sta bene, ma non accetta il fatto che la gente debba rimanere
fuori dal monastero e continua a fare di tutto per aiutare quegli sventurati. La scena
termina con una dissolvenza. Consultando i diari dei monaci si può dedurre che questo
episodio dev ’ essere avvenuto prima del 27 gennaio, giorno in cui Don Eusebio
Grossetti iniziò la sua permanenza a letto fino alla morte, avvenuta il giorno 13
febbraio.38
La settima sequenza mostra la malattia di Don Eusebio, inquadrato nel suo letto. Apre
gli occhi, ruota il capo e la visuale si allarga all’Abate (figura 11), che è seduto al suo
capezzale.39 Fra i due inizia un dialogo e i primi piani si alternano. Don Eusebio chiede
38
Grossetti – Matronola, op. cit., p.70.
Secondo il diario di Don Eusebio Grossetti la sua malattia si mostra in modo più grave dal 29 gennaio,
data nella quale la scrittura del documento passa nelle mani di Don Martino Matronola, in Grossetti –
Matronola, op. cit., p. 71.
39
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all’Abate se non si possono fare entrare i civili, ma questi dice che “ l’ordine dei
tedeschi è di non fare entrare nessuno”. Il campo si allarga e la cinepresa mostra Don
Eusebio coricato e l’Abate vicino a lui, circondato da tre monaci, uno dei quali precisa
che quello che si rischia è un nuovo sgombero o una deportazione, mentre l’Abate
Diamare conferma che la guerra minaccia ormai le mura del monastero. L’atmosfera
malinconica della sequenza è accresciuta dalla luce soffusa, che illumina dolcemente le
figure e da una musica particolarmente drammatica.
Figura 11. L'Abate Diamare al capezzale di don Eusebio
Nell’ottava sequenza tornano le immagini della guerra vera e propria. Una collina è
sotto il bombardamento, una fila di carri armati percorrono una strada, viene inquadrato
un carro armato alleato che si appresta a sparare, vari cannoni in diverse posizioni fanno
partire i colpi su tutti i lati, il cielo in lontananza si popola di aerei, un altro cannone
inizia a far fuoco, di nuovo gli aerei e dall’alto si inquadrano le scie dei proiettili che
vengono esplosi verso terra. Vengono qui per la prima volta inquadrati due cadaveri,
dopo di che si passa ad una strada ripresa dall’alto, dal punto di vista degli aerei, dai
quali vengono sganciate le bombe che cadono sulla pianura sottostante. Poi ancora dei
cannoni e la pianura in fumo dopo l’esplosione degli ordigni, si sente solo il loro
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rumore, il fischio dei proiettili e il rombo dei bombardieri ( la sequenza è poi ripetuta
altre due volte con le stesse immagini).
Nei giorni che interessano questa parte del film si stava ancora combattendo la prima
battaglia di Montecassino. La 3^ Divisione algerina del comandante Juin conquista il
monte Belvedere per arrivare al monte Cairo, mentre gli americani, dopo un altro
tentativo fallito di creare una testa di ponte oltre il Rapido, vi riuscirono, occupando il
villaggio di Caira.40
Come nei casi precedenti, anche qui le immagini della guerra sono immagini di
repertorio, non c’è nessun riferimento specifico alle battaglie che si stanno
combattendo. Solo la voce narrante riesce a collocare delle immagini così generiche in
momenti così precisi, ma non ci sono elementi che facciano capire che quegli spezzoni
siano davvero stati girati a Cassino.
Per di più è da considerare che il film in questione è del 1946, quindi probabilmente i
filmati originali di quei fatti non erano ancora in circolazione.
Ma nonostante il dubbio che possano non essere riprese di Cassino, resta comunque il
fatto che il primo interesse del regista non è quello di rappresentare la battaglia passo
passo, ma far rivivere il dramma del monastero. Quindi ogni immagine di guerra è
efficace, anche perché sono caratterizzate da una certa somiglianza e senza elementi
veramente caratterizzanti è difficile capire a quale battaglia si riferiscano.
Dai filmati d’epoca consultati potrebbero anche essere riferiti alla battaglia specifica,
ma sono troppo generali per averne la certezza.
Il fatto che per la prima volta vengano mostrati corpi senza vita significa che ormai il
conflitto aveva raggiunto proporzioni e violenza incredibili.
40
F. Majdalany, op. cit., p.85.
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Si presentano ancora gli alberi in fiamme, l’atmosfera fumosa, mentre la voce fuori
campo spiega la situazione : “ Giù nella valle si combatteva con ferocia senza pari, ogni
mezzo era messo in azione per distruggere, uccidere, annientare. Sotto il tiro delle
artiglierie che cercavano di annullarsi a vicenda, i profughi erano ridotti al limite
estremo della resistenza umana e un giorno un gruppo di donne si presentò alla porta del
monastero”.41 Quest’ultima immagine introduce già la quinta parte del film.
V parte : 5 febbraio 1944
La prima sequenza è ripresa fuori dal portone del monastero, l’aria è piena di fumo e un
gruppo di donne corrono verso l’ingresso, di spalle, urlano e bussano per farsi aprire.
Intanto una ordigno esplosivo cade vicino al monastero. La cinepresa torna sulle donne,
inquadrate solo dalle spalle, mentre continuano a bussare (figura 12). Il portone si apre e
spunta un monaco. Ancora la volta il portone assume un compito essenziale, dare la
salvezza.
Figura 12. Le donne bussano al convento
La cinepresa inquadra la collina sotto al monastero con una lunga fila di persone in
controluce che vi si dirigono per trovare protezione, mentre dietro di loro due bombe
41
Grossetti – Matronola , op. cit., p. 78.
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sono esplose e il fumo persiste (figura 13). La scena è tranquilla, sia il vociare delle
persone che gli spari sono in lontananza, al contrario della situazione reale, dove le
bombe ormai arrivavano ovunque, fin dentro il monastero, non lasciando un attimo di
pace. Ma questo silenzio potrebbe essere letto in senso simbolico dal punto di vista dei
profughi, che vedono il monastero come una sorta di rifugio privilegiato e intoccabile e
non odono nessuna guerra nei suoi pressi.
Figura 13. I civili risalgono verso il monastero
Questa volta il padre Abate, secondo don Martino, è stato ben felice di accoglierli,
anche se tra di loro si nascondevano certamente “persone di dubbia fama e
saccheggiatori”42, e anche se purtroppo c’era ormai la consapevolezza che il monastero
non era più un luogo sicuro.
In quei giorni la battaglia si stava facendo sempre più prossima al monastero, per questo
anche quei civili rifugiati nelle grotte chiesero asilo ai monaci, che in quel giorno videro
anche un altro episodio particolare succedere vicino alle mura dell’edificio: per la prima
42
Grossetti – Matronola, op. cit., p.78.
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volta una pattuglia di soldati americani43 arrivò lì vicino e prese prigionieri dei militari
tedeschi, ma fu poi costretta ad allontanarsi sotto i colpi della difesa tedesca.44
Viene inquadrato il portone, la gente entra di corsa, mentre altri salgono lungo il
sentiero del colle. Si passa all’interno del monastero, dove i profughi continuano a
correre.
Ora la scena si sposta sulla gradinata davanti alla Basilica, dove otto monaci stanno
scendendo: l’Abate è l’unico ben in luce e il più avanti come posizione, perché
rappresenta la più alta autorità del convento, qui evidenziata anche in senso simbolico.
Ma anche gli altri, scendendo, entrano in luce.
Attraverso un loggiato i profughi raggiungono il chiostro alla base di questa gradinata e,
oltrepassando la statua di Santa Scolastica, salgono e di nuovo vengono inquadrati dal
basso i monaci a figura intera. Se pensiamo al tipo di inquadrature che durante tutto il
film ha girato il regista, anche in questo caso i monaci sono ripresi dal basso verso l’alto
perché si trovano in posizione di superiorità rispetto ai profughi, che sono lì per
chiedere il loro aiuto.
La gente si assiepa attorno a loro, la cinepresa inquadra da lontano tutti i civili che
salgono, poi si allontana ulteriormente lasciando sempre meno spazio ai monaci, che
vengono relegati in un angolo a sinistra in alto dello schermo, quasi schiacciati e
sopraffatti dal numero di civili arrivati: da questa inquadratura così significativa si può
capire da subito che per i religiosi sarà un’impresa assai ardua aiutare tutti quei
profughi. All’esterno del monastero cade una bomba e all’interno la gente comincia a
correre e libera la scalinata.
43
Scambiati dai monaci per soldati italiani a causa dell’elmetto simile che portavano, in Grossetti –
Matronola, op. cit., p.77.
44
F. Ficarra, op. cit., p. 82.
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La seconda sequenza è ambientata in interni. La cinepresa è posizionata davanti ad una
porta e le persone che corrono dentro la stanza vengono inquadrate di spalle, mentre un
monaco a sinistra dà loro indicazioni su dove dirigersi. Attraverso un arco si vede un
corridoio e la situazione è la stessa, i profughi lo percorrono velocemente per trovare
riparo. Sul lato opposto all’arco c’è una grande finestra che fa entrare molta luce, alcune
persone si introducono nella stanza attraverso l’arco. La macchina da presa inquadra
infine una grande ambiente con il soffitto a volte, molto buio, dove i profughi si
sistemano per terra. Si tratta sicuramente dei sotterranei, dove sia i civili che i monaci
hanno trovato rifugio in quel periodo45, e, precisamente, della falegnameria, sotto alla
biblioteca, della portineria, della posta e del corridoio della curia.46
La terza sequenza si svolge di notte, si sente una musica di sottofondo, sicuramente
extradiegetica, e la cinepresa inquadra diversi particolari del monastero.
All’interno della camerata è buio, una luce fioca sulla destra fa intravedere una figura
umana sul fondo, mentre in primo piano si accende una candela che illumina tre persone
coricate per terra, una donna e due uomini, uno dei quali ha acceso la candela. Il film
ritorna sulle vicende della gente comune quelle che fin qui hanno interessato di più il
regista, insieme a quelle dei monaci, trascurando invece le ricostruzioni belliche vere e
proprie.
Uno di questi uomini comincia una breve conversazione con gli altri, dicendo che i carri
armati stanno sparando proprio davanti all’abbazia, mentre il secondo sostiene che i
carri si trovano davanti al monastero ma stanno sparando in un’altra direzione. La realtà
45
Secondo il diario di Don Martino Matronola le persone che hanno trovato rifugio quel giorno tra le
mura del monastero erano almeno 800, e altre 200 circa si erano riparate nella conigliera, in Grossetti –
Matronola, op. cit., p.78.
46
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 78.
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storica è che i carri armati tedeschi si trovavano davvero sotto le mura del monastero e
da lì attaccavano gli Alleati che si trovavano invece più in basso.47
In seguito vengono inquadrate in primo piano una donna con la sua bambina, solo i loro
visi sono in luce, rischiarati dalla candela. La bambina chiede cosa siano i carri armati e
la mamma le risponde che sono dei mostri. Questa breve scena è di gusto prettamente
espressionista, sia per la luce livida che illumina drammaticamente i visi delle due, sia
per la battuta che viene detta, dove i carri armati vengono accostati a delle creature
mostruose che uccidono le persone innocenti.
Una breve inquadratura è poi dedicata ai carri armati che sparano nel buio. Inizia la
narrazione della voce fuori campo: “Dopo un breve periodo di innaturale calma le notti
si erano riempite di incubi per i poveri rifugiati. Favoriti dal buio, i carri armati
germanici salivano fin sotto le mura del monastero e, spostandosi rapidamente tra colpo
e colpo, davano agli Alleati l’impressione che la montagna fosse difesa da innumerevoli
batterie, protette dalle sacre mura del monastero.”
La scena si è spostata ancora all’interno dell’enorme sala di rifugio dei profughi e il
sottofondo è sempre musicale extradiegetica. La musica accresce proprio la
drammaticità del fatto.
La gente è seduta per terra, viene inquadrato un gruppo familiare come una sorta di
sacra famiglia rinascimentale e carica di simbologia, con il padre in piedi, la madre
seduta e il bambino in braccio, messi in relazione da un preoccupato gioco di sguardi, e
quando tutti e due guardano il piccolo, questo viene inquadrato in primo piano, ma solo
il viso è illuminato. Una sorta di Gesù bambino che avrà la sua fine segnata a breve
distanza di tempo.
47
F. Majdalany, op. cit., p. 87.
200
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Vengono poi ripresi due uomini che parlano, a loro si aggiunge un terzo che commenta:
“ Dall’altra parte crederanno che qui ci sia un sacco di cannoni”.La quarta sequenza si
apre con una scena di battaglia: nel buio si vedono i bagliori degli ordigni esplosivi, i
cannoni sparano in penombra, si sente solo il loro rumore, altre bombe esplodono sulla
collina, una raggiunge il muro del monastero.
Segue un’altra immagine di cannoni, un nuovo ordigno cade vicino al monastero. Si
passa all’interno dell’abbazia, dove la deflagrazione della bomba spalanca una finestra
nella stanza da letto dove si trova un malato, coricato sotto un grande crocifisso, e altre
due persone.La guerra ormai è pienamente arrivata al monastero.
La persona più a sinistra in piedi, un monaco, sobbalza per l’esplosione, arriva un
bambino e subito richiudono la finestra. La cinepresa inquadra la persona a letto: è Don
Eusebio, vicino a lui è seduto il Capitano medico Richter (figura 14). Nella realtà dei
fatti un ufficiale medico tedesco arriva al monastero due giorni dopo la data indicata nel
film per occuparsi dei malati, è un Tenente medico che si occupa del posto della Croce
Rossa di S. Agata per i militari tedeschi, ma non se ne conosce il nome.48
Figura 14. Don Eusebio e il capitano medico Richter
48
Grossetti – Matronola, op. cit, p. 80.
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L’ufficiale lo informa che “tra le macerie di Cassino si combatte ancora casa per
casa”49. I due iniziano a dialogare. Richter (figura 15) dice non hanno mezzi per aiutare
la gente che muore, mentre la constatazione del religioso è che un medico è in fondo
simile a un monaco, non deve coltivare odio o desiderio di vendetta, e il Capitano è
d’accordo con tutto questo. Subito dopo Don Eusebio (figura 16) lascia cadere la testa a
destra e un altro monaco corre vicino al suo letto. Don Eusebio ricomincia a parlare,
dicendo che i carri armati tedeschi sono pericolosi perché salgono di notte fin sotto le
mura, ma il Capitano, il cui primo piano è alternato a quello del monaco, dice che
questo non è possibile. Nega quindi quella che sappiamo essere la verità, perché già
dichiarata dalla voce off e mostrata dalle telecamere. La sequenza si chiude con Richter
che si gira e se ne va, lasciando lo spazio ad una ennesima dissolvenza.
Figura 15. Il capitano medico Richter
Figura 16. Don Eusebio a letto
49
Gli alleati arrivarono nella città di Cassino solo nei primi giorni di febbraio, ma la lotta fu
estremamente dura e tenne impegnati i vari schieramenti fino a maggio. Quando il capitano dice che a
Cassino si combatteva casa per casa si riferisce al fatto che i pesanti bombardamenti sulla zona, già resa
difficoltosa dal persistente maltempo, avevano reso impossibile l’utilizzo, per gli alleati, dei mezzi
corazzati, a causa dei crateri formatisi nel suolo e delle macerie che impedivano qualsiasi tipo di
passaggio. Era in questi anfratti che si rintanavano i paracadutisti tedeschi, che portarono la lotta su un
livello di corpo a corpo, per conquistare la zona metro dopo metro. In F. Majdalany, op. cit., pp. 89 – 93.
202
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Nella quinta sequenza si vedono e sentono nuove esplosioni, mentre una macchina si
ferma davanti al portone del convento e, circondato dal fumo, il Capitano sale, sparendo
inghiottito da esso. L’immagine è resa particolarmente inquietante da questa coltre di
fumo che cela buona parte dell’inquadratura e il presagio che qualcosa stia per
succedere si fa sempre più vivo. Dopo una dissolvenza che ci fa intuire il passare del
tempo, l’automobile è inquadrata mentre percorre una strada tra le bombe, poi si ferma e
l’ufficiale scende (figura 17). Un cannone spara e la macchina, colpita, esplode. Un
uomo in primo piano viene sbalzato dallo scoppio, ma l’atmosfera è fumosa e non si
riconosce l’identità. Un albero viene inquadrato mentre cade, nello stesso momento
l’uomo casca per terra e il primo piano rivela che si tratta del Capitano Richter. L’albero
si schianta sul suo viso e rimane in primo piano. La suspense è mantenuta fino alla fine,
sia grazie alla nebbia che grazie all’inquadratura che non mostra mai, fino all’ultimo, il
personaggio in questione. L’episodio, essendo il personaggio del Capitano Richter
inesistente, risulta inventato.
Figura 17. L'automobile del capitano Richter
203
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Una dissolvenza ci introduce nella sesta sequenza, dove la cinepresa torna ad occuparsi
della situazione all’interno del monastero, sono ancora i profughi a fare da protagonisti
alla vicenda.
Si sentono degli spari. Due uomini stanno parlando tra di loro e il primo dice di aver
ucciso della gente sul Carso50, l’inquadratura passa in primissimo piano sul viso di suo
figlio ( il ragazzo a cui i tedeschi hanno ucciso il cane), che gli chiede se ne ha uccisi
tanti; si alternano poi i primi piani dei due, con il padre che dice al giovane che non ha
provato alcun fastidio a togliere loro la vita. Il figlio abbassa la testa: anche lui ha ucciso
un soldato tedesco, ma la reazione non è stata sicuramente fredda e distaccata ( III parte,
X sequenza ).
VI parte : 13 febbraio 1944
Nella prima sequenza una voce recita una preghiera, la scena è illuminata da una luce di
ispirazione espressionista: una scala sulla destra è rischiarata da una porta che riflette il
suo chiarore sul muro, un’ombra entra nel rettangolo illuminato, poi una persona accede
a sinistra. La visione è drammatica e inquietante e la preghiera fa supporre da subito che
sia successo qualcosa.
La voce off avvisa che il monastero è stato colpito da un’epidemia di tifo e anche la sua
stessa condizione si è aggravata51. L’inquadratura ora si sposta su Don Eusebio, coricato
a letto, mentre i monaci e l’Abate recitano le preghiere (figura 18).
50
51
Probabilmente si riferisce alla prima guerra mondiale.
Notizia confermata da Grossetti – Matronola, op. cit., p.87.
204
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Figura 18. I monaci pregano per don Eusebio
Dalle scale scende il solito ragazzo del cane, che si preoccupa per lui. La cinepresa si
avvicina al letto: in scena sono rimasti Don Eusebio, l’Abate e due monaci che si
preparano per l’eucaristia (figura 19). La dissolvenza che segue non cambia la
situazione, la macchina da presa resta ferma su Don Eusebio in primissimo piano, che si
volta a sinistra e guarda il ragazzo. Don Eusebio inizia a parlare e dice che il monastero
è in rifugio di anime e prima o poi la gente ci tornerà in pellegrinaggio. In primo piano
l’Abate si toglie gli occhiali, il ragazzo, sempre in primo piano dietro alla balaustra,
inizia a piangere (figura 20): Don Eusebio è morto, la scena è avvolta dal buio
completo.
Figura 19. L'abate e i monaci con don Eusebio
205
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Figura 20. Il ragazzo piange per don Eusebio
La seconda sequenza inizia con degli spari che illuminano appena con il loro bagliore la
notte. Questi sono i giorni che precedono il bombardamento. Le operazioni belliche si
sono notevolmente placate. Il 13 febbraio un violento temporale colpì la zona, ma gli
esperti garantirono il giorno dopo che il tempo si sarebbe mantenuto bello per almeno
24 ore. Fu così fissato il momento del bombardamento, che richiedeva cielo sereno, alla
mattina del 15 febbraio.52
Anche all’interno del monastero è buio, una stanza è illuminata solo da poche candele,
Marco prepara lo zaino per partire. Entra Carmela dal fondo e si avvicina all’uomo. I
due si trovano faccia a faccia, e la ragazza cerca di convincerlo a non partire o, al limite,
a portarla con sé; dopo il secco rifiuto dell’uomo, Carmela si gira verso la cinepresa, ma
senza guardarla. Marco rivolge lo sguardo invece alla ragazza e le dice: “la vita è fatta
per viverla, non per morire, Dio l’ha fatta così…Maledetta guerra! Se prima o poi il
mondo sarà diverso, potrebbe anche essere bello.” Marco si alza e se ne va, la cinepresa
rimane fissa, in scena resta Carmela, il suo viso è triste come triste è la musica di
sottofondo. Sequenza di questo tipo servono a mantenere vivo l’interesse verso le
52
F. Majdalany, op. cit., p.130.
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piccole storie dei personaggi principali, che nonostante la guerra riescono ancora ad
avere il coraggio di provare dei sentimenti.
La terza sequenza si svolge all’esterno del monastero. E’ inquadrato il muro con il
portone d’ingresso, la scia dei proiettili si taglia nell’oscurità da sinistra a destra, mentre
un altro mortaio è inquadrato, sempre al buio, nell’atto di sparare. Marco è accucciato,
si sposta e quando sente gli spari si butta a terra ; immediatamente la cinepresa riprende
l’arma che sta sparando.53 Marco striscia nell’erba in uno spazio leggermente
illuminato, ma restando comunque controluce. La musica crea suspense. Raggiunge la
tenebra. Carmela corre fuori dal Monastero e va verso la cinepresa, si ferma, guarda giù
dalla collina. La macchina da presa inquadra ora la vegetazione, dove Marco è nascosto
e invisibile agli occhi della ragazza. E’ molto buio e la musica ha un ritmo concitato.
Mentre Carmela, fuori scena, grida il nome di Marco, questo è inquadrato in piano
americano e, udendo la voce, si ferma e si volta. Carmela corre verso di lui, un mortaio
fa fuoco, la ragazza sobbalza e poi cade a terra. Il mortaio spara ancora e,
nell’inquadratura successiva, Marco è già vicino a Carmela, coricata per terra. La serie
di inquadrature appena descritta ha un ritmo serrato e veloce, indispensabile per rendere
la drammaticità del momento e il susseguirsi rapido degli eventi.
Viene illuminato il viso di lei, Marco la solleva ed escono di scena. La deposita a terra
in silenzio e la mano della ragazza si muove sulla spalla di lui, è ancora viva e facendosi
forza si solleva. La cinepresa inquadra i due in primo piano mentre si abbracciano e la
ragazza pronuncia ancora il nome di Marco. La giovane che chiede all’uomo: “Marco,
hai visto morire molta gente?”, Marco ha tra le braccia Carmela, la sua testa resta di
spalle. Il capo si rovescia, cambia l’angolo di visuale e la cinepresa li inquadra di
53
Immagine documentaria.
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profilo. Carmela è morta e Marco alza gli occhi al cielo. La sequenza si chiude con una
dissolvenza. Le battute che riguardano la morte sono sempre più frequenti, come
auspicabile in un momento così drammatico, in cui la morte è sempre più vicina ai civili
e ai monaci del monastero. In esse si parla sia della morte provocata che della morte
subita e diventa uno dei punti fissi delle conversazioni tra gli uomini, insieme alle
supposizioni sulle operazioni belliche. Chiaramente nei diari dei monaci non si parla
nello specifico di questi personaggi, ma essi si fanno emblemi e rappresentanti di tutte
le persone che si sono trovate a combattere con la morte a Montecassino.
VII parte : 14 febbraio 1944
Nella prima sequenza la cinepresa inquadra il cielo, popolato di aerei, si sente solo il
loro rumore. D’un tratto il cielo comincia a riempirsi di volantini sganciati dall’alto,
piovono ovunque sul colle e uno viene inquadrato in particolare su una grossa pietra
ancora fumante (figura 21).
Figura 21. Un volantino caduto su una pietra
Il 14 febbraio, infatti, gli Alleati cercarono di avvisare i nemici e i residenti nel
monastero, che avrebbero bombardato l’edificio, ma non furono creduti. Contro la
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popolazione preoccupata si schierarono i militari tedeschi, che ritenevano quel
messaggio un semplice bluff. Invece i comandanti alleati, primi fra tutti Freyberg,
responsabile del Corpo di spedizione neozelandese, Tucker, della IV Divisione indiana,
e Alexander, capo delle truppe inglesi54, decisero seriamente di attaccare l’abbazia,
commettendo innumerevoli errori di valutazione, primo fra tutti il fatto che al suo
interno non si trovavano soldati tedeschi.55
Dopo una dissolvenza ritroviamo il volantino, ma questa volta in primo piano, nelle
mani di un uomo che lo sta leggendo (figura 22): “Amici Italiani, finora abbiamo
cercato di evitare il bombardamento di Montecassino, ma i Tedeschi hanno saputo
trarne vantaggio. Ora la battaglia si è ancora più stretta intorno al sacro recinto; noi, a
malincuore, siamo costretti a puntare le nostre armi contro lo stesso monastero.
Abbandonate subito il monastero; il nostro avviso è urgente ed è dato per il vostro bene.
56
LA V ARMATA” . Durante la lettura del volantino viene inquadrato l’avvocato che lo
sta leggendo, la cinepresa è fissa su di lui, dopo inizia ad allontanarsi, pur non
cambiando inquadratura, e mostra tutta la gente riunita attorno all’uomo. La fine del
comunicato57 coincide con una nuova dissolvenza.
54
F. Majdalany, op. cit., pp. 119 – 127.
Alle 21.30 del 12 febbraio il tenente generale John Harding, capo di stato maggiore di Alexander, riferì
per telefono la decisione del suo stato maggiore: “Il generale Alexander ha deciso che il monastero debba
essere bombardato se il generale Freyberg ritiene che sia una necessità militare. Si rammarica che il
monastero venga distrutto, ma ha fiducia nel giudizio del generale Freyberg. Se vi sono ragionevoli
probabilità che l’edificio venga usato a scopi militari, il generale ritiene che la sua distruzione sia
giustificata.”Non servivano più le prove, bastavano ragionevoli probabilità, secondo il giudizio di
Freyberg. In F. Ficarra, op. cit., pp. 96 –97.
56
L’apparato iconografico di Grossetti – Matronola contiene anche la fotografia di uno di questi
volantini. Il testo è qui leggermente modificato, ma non in modo sostanziale. La copia del documento
originale è riportata in appendice.
57
Nel diario Grossetti – Matronola, questa è la reazione dei monaci: “Il nostro cuore è pieno di sgomento
nel leggere tale volantino lanciato dai … Liberators. Anch’essi hanno gettato giù la maschera.”, p. 88.
55
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Figura 22. Il volantino nelle mani dell'avvocato
La seconda sequenza è ambientata all’esterno del monastero, sul colle. Si sente una
voce fuori scena: “ Die Italiener von Kloster” (trad. gli Italiani del monastero), e spunta
la canna di una mitragliatrice. Alcune persone scendono dal colle, il primo della fila è
l’avvocato, che porta in mano una bandiera bianca, simbolo di tregua e della volontà di
dialogare con l’oppressore. Sullo sfondo, ma più in alto rispetto a loro, il monastero li
sovrasta, quasi li domina, con le sue mura che sono già pesantemente danneggiate. Una
voce tedesca li ferma, l’avvocato alza le braccia e passa la bandiera bianca all’uomo che
sta dietro di lui. L’avvocato cammina in avanti con le braccia alzate: “Parlare, zu
sprechen”, ma la richiesta non è stata accolta ed un’altra mitragliatrice è inquadrata in
dettaglio nell’atto di sparare, anche se non si vede chi la sta usando. L’avvocato è
riuscito a ripararsi e subito spunta la sua testa da un cespuglio. Anche gli uomini che
erano con lui sono salvi, al riparo coricati per terra, il terreno è ancora fumoso a causa
delle munizioni esplose. E’ uno di questi uomini ora a prendere la parola: “Non sparate,
parlare Kommandatur, importante!”. Ma da parte tedesca c’è un netto rifiuto: un’altra
volta la minaccia è rappresentata dal particolare della canna del fucile, pronta a
ucciderli, se necessario. Ma il soldato che lo imbraccia risponde: “Nicht parlare,
kaputt”. La cinepresa torna sull’avvocato, che abbassa gli occhi e fa per girarsi, più in
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alto, sulla collina, si trovano gli altri uomini. I tre si alzano, lasciano per terra la
bandiera bianca e poi se ne vanno: la tregua ormai è irraggiungibile e la bandiera può
essere abbandonata, e con lei tutte le speranze.
La voce fuori campo commenta l’accaduto: “La bandiera bianca, simbolo di tregua,
ormai era inutile, e Cassino era stretta in un cerchio di fuoco. La strategia militare
imponeva che la tragedia dei civili avesse un epilogo sensazionale e di grande
rilevanza.”, nel frattempo sono inquadrati i tre uomini che scappano, alternati ad una
mitragliatrice che fa fuoco. La sequenza termina con una dissolvenza.
La seconda sequenza è ambientata fuori dalle mura del monastero, dall’interno,
attraverso le numerose finestre, arrivano le voci dei profughi, che cercano di fare capire
ai soldati lì fuori di leggere i manifestini, non vogliono morire lì dentro e soprattutto
vogliono poter parlare con il comando.58 Le spesse mura del monastero sembrano in
questa immagine quelle di una prigione, ed in effetti i profughi erano entrati per salvarsi
la vita, ma ora non possono più uscire, pena l’uccisione da parte dei tedeschi.
Il militare inquadrato al buio si alza, guarda verso le finestre e dice che l’ufficiale è
stato avvertito, arriverà il giorno successivo, solo allora il monaco che parla tedesco
potrà uscire. I profughi chiedono di poter uscire tutti, c’è pericolo di bombardamento,
ma il Tedesco : “ Domani, nicht uscire, senò sparare.”
58
A proposito del manifestino, ci fu chi mise in giro la voce che i monaci erano d’accordo con i Tedeschi
e attraverso quel finto volantino alleato volevano disfarsi della presenza dei profughi nell’abbazia.( In
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 90.) Chiaramente non era vero. Ma è vero invece che i civili di
Montecassino, incapaci di resistere all’ansia che li assaliva, urlarono di rabbia per tutta la notte verso le
postazioni tedesche, che erano a portata d’orecchio. Ma i soldati non risposero. In F. Majdalany, op. cit.,
p.132.
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VIII parte : 15 febbraio 194459
La prima sequenza si apre con un’immagine di Montecassino all’alba quando dalla notte
si entra nel giorno e la luce sul monastero diventa più forte. L’aspetto del monastero
risulta qui irreale, sospeso in un’atmosfera rarefatta.
All’interno i monaci hanno incontrato i soldati (figura 23): la scena è composta da due
religiosi, l’Abate seduto e di fronte a loro due militari tedeschi (sullo sfondo si nota una
Madonna con bambino). Mente l’ufficiale germanico parla, Don Martino traduce: per i
Tedeschi i volantini sono stati fatti solo per intimorire e per propaganda, far uscire i
civili è pericoloso perché potrebbero essere decimati per strada, e in tal caso i Tedeschi
lascerebbero tutta la responsabilità ai monaci. I personggi principali vengono inquadrati
tutti, uno alla volta, in primo piano, i loro gvolti sono tesi, poi la cinepresa allarga
nuovamente su tutto il gruppo. Continua il colloquio, il soldato dice che sono disposti a
fare passare tutti per una mulattiera dietro il convento da mezzanotte alle cinque del
mattino. L’Abate protesta: “E se fosse troppo tardi? Bisognerebbe approfittare di questo
momento di calma.”. Questa volta il Tedesco gli risponde in italiano: “ Il comando
tedesco non prende responsabilità”. Il primo piano di un orologio da taschino appeso
segna le ore 5:10 circa.60
59
Tutta questa parte è trattata con grande precisione storica, ogni cosa che accade è verificabile nel diario
di Don Martino Matronola alla data Martedì 15 febbraio, anche gli orari che scandiscono l’intera parte del
film in modo chiaro e preciso corrispondono a quelli in cui si sono svolti i fatti, in Grossetti – Matronola,
op. cit., p. 91 – 95.
60
Anche Majdalany conferma questi orari, op. cit., p. 134.
212
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Figura 23. Colloquio tra l'Abate, don Martino e due militari tedeschi
Nella seconda sequenza i profughi sono seduti a terra e Don Martino, in mezzo a loro in
piedi (figura 24), dice: “I Tedeschi sostengono che questo grande pericolo minacciato
dagli anglo- americani non esista, suppongono si tratti di una manovra di
intimorimento…”. In un’altra sala un altro monaco sta parlando ai civili, è in mezzo a
loro, in piedi: “…allora da mezzanotte alle cinque si potrà uscire, abbiamo ancora
diciotto ore davanti a noi durante le quali ognuno si potrà comportare come meglio
crede. Figliuoli, siamo in una situazione nella quale non si può dare nemmeno un
consiglio.” Il continuo specificare gli orari non fa che aumentare la tensione del
momento, perché i personaggi credono di avere ancora diciotto ore prima di essere
finalmente salvi, ma lo spettatore che conosce la storia è invece a conoscenza del fatto
che il bombardamento inizierà quella mattina stessa.
Figura 24. Don Martino parla ai profughi
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La terza sequenza si apre con il primo piano di una sveglia che segna le 7:32, il senso di
attesa si fa sempre più pesante. La stanza è gremita di gente, tutti sono seduti per terra
senza parlare, la paura e la tensione sono palpabili e ancora più accresciute dalla
mancanza totale di dialogo. La scena è commentata solamente da una musica
extradiegetica di sottofondo e dal ticchettio della sveglia, che crea un forte senso di
attesa. Ritornano in queste scene collettive tutti i personaggi principali che sono
comparsi durante il film. La cinepresa stacca su Maria, vicino ad un bambino coricato, il
suo sguardo è perso nel vuoto. Dalla porta entra lentamente l’avvocato, con le mani in
tasca. La donna gira il capo per guardalo e il suo viso è ben illuminato dalla luce di una
candela proprio da parte a lei (figura 25). Vicino a lui, seduto per terra, c’è il ragazzo
del cane, che cerca con gli occhi l’uomo e gli chiede che tempo fa, l’uomo lo guarda ma
non risponde. Lo spettatore invece è informato di questa notizia grazie ad una ripresa
esterna, dove le cime delle montagne spuntano dalle nuvole, ma all’orizzonte si vede la
luce del sole.La musica ora è più forte. Come si è già detto, il discorso sul tempo in un
occasione come questa è molto importante, perché il bombardamento era possibile solo
in caso di bel tempo.61
Figura 25. Maria e l'avvocato
61
F. Majdalany, op. cit., p. 130.
214
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Dopo questo intermezzo al di fuori del monastero, la cinepresa ritorna nella stessa
stanza e inquadra un’altra mamma con lo sguardo assente, vicino al suo bambino che sta
scrivendo. La piccola mano tocca il braccio della mamma, che si china per leggere cosa
ha scritto il figlio. Il quaderno è ripreso in primo piano e si legge Paolo Domani,
potrebbero essere il nome e il cognome del bambino, ma la parola “domani” dà
comunque un sentimento di speranza nel futuro, per un domani migliore, che
risulterebbe profetico se il bambino scampasse alla tragedia. La mamma si riappoggia al
muro e continua a guardare nel vuoto (figura 26).
Figura 26. Una madre col suo bambino
Il silenzio è l’elemento principale di queste scene, che crea l’attesa di qualcosa che sta
per accadere. Probabilmente quei profughi continuano a credere nel volantino degli
Alleati, più che alle parole dei Tedeschi, e non potendo lasciare il convento, attendono
in silenzio che qualcosa succeda.
Nella stanza semibuia, affollatissima di profughi, la voce fuori campo torna a parlare:
“Nel cuore degli uomini la rassegnazione operava lentamente – primo piano di due mani
che sgranano la corona del Rosario (figura 27) mentre in sottofondo se ne odono le
parole – sentimenti di bontà assopiti dal tempo rifiorivano, preghiere dimenticate
venivano spontanee alle labbra – inquadratura della stanza piena -, l’una per chiedere un
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miracolo – la cinepresa dall’alto inquadra una sezione di stanza -, l’altra ad offrire la
propria anima, attimi quelli in cui più di una coscienza venne toccata dalla grazia del
Signore”.
Figura 27. Il Rosario
La cinepresa inquadra vari gruppi di persone sedute nella stessa stanza, in cui sono
individuabili i personaggi già conosciuti durante il film, si passa ad un primo piano della
mamma di Gianfranco, il suo viso è illuminato e dietro di lei, appeso al muro, è
riconoscibile la porzione di ritratto del figlio fatto da Don Eusebio. In seguito vengono
ripresi il ragazzo del cane e suo padre inginocchiati in preghiera (figura 28). Il
sottofondo è di musica sacra, una voce femminile continua a recitare le preghiere, in
cielo si comincia a sentire il rombo degli aerei. I personaggi inquadrati guardano verso
l’alto, le mani smettono di sgranare il Rosario, la cinepresa torna su padre e figlio e da
qui le inquadrature iniziano a farsi sempre più collettive, dal particolare al generale, fino
ad inquadrare tutta la stanza. Sono le stesse immagini proposte subito dopo la vista
esterna delle cime, ma montate al contrario, non più dal generale al particolare, ma dal
particolare al generale, come in un cerchio che si chiude.
216
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Figura 28. Il ragazzo del cane e suo padre in preghiera
La sequenza successiva (la quarta) si apre con la vista di aeroplani nel cielo sopra
l’abbazia. All’interno del rifugio i profughi sono seduti per terra e nessuno di loro
proferisce parola. La sveglia, che viene inquadrata ancora in primo piano, indica le 9:40,
e sappiamo dal diario dei monaci che il bombardamento iniziò alle 9.45, quindi il
momento si avvicina e la tensione si fa sempre più acuta. Nella stanza l’avvocato è
vicino a Maria, si guardano a vicenda, poi viene inquadrato un bambino in primo piano,
si guarda un po’ intorno e tocca il braccio di sua madre per avvertirla: “Mamma, gli
aeroplani”.
Inizia il bombardamento che dal 15 febbraio segnerà la fine del monastero di
Montecassino e delle persone in esso rifugiate. Nel cielo si vedono gli ordigni che
vengono sganciati dai bombardieri.62 Il primo piano dell’orologio da taschino indica che
sono trascorsi dieci minuti, sono le 9:50, mentre sulla destra rimane la candela accesa. Il
rombo degli aerei è sempre più forte, la gente è seduta, si sente un’esplosione e tutti si
62
Il cielo sopra l’abbazia si popolò di 142 aerei B-17,le temibili fortezze volanti, e 82 bombardieri medi
B-52 e B-26, che sganciarono 500 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. A parte la divisione
indiana, che corse seri rischi, tutti i soldati alleati accolsero i bombardieri con applausi e scene di giubilo:
era la soluzione che serviva per sconfiggere i soldati tedeschi che pensavano fossero annidati al l’interno
dell’edificio. In Cassino 1944. Un’abbazia all’inferno, pp. 99 – 105.
217
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alzano, iniziano ad urlare e si spostano vicino alle pareti. In un’altra stanza quattro
monaci inginocchiati e l’Abate in piedi pregano tra il fumo e la polvere della
deflagrazione.
Nella quinta sequenza la cinepresa si sposta in esterno, nel chiostro del Bramante, e da
sotto un portico inquadra il cielo, che si popola di bombardieri. In un giardino interno
scoppiano delle bombe, non si sente più nessun altro rumore se non quello delle
esplosioni. La cinepresa passa al cortile davanti alla Basilica: anche qui esplode un
ordigno. La vista ora è dagli aerei, che inquadrano gli ordigni esplosivi che fanno cadere
(sequenza documentaria) o che vengono inquadrati da vicino da altri aerei. All’interno
dell’abbazia viene abbattuta la Torretta e lo schermo viene completamente invaso dal
fumo e dalla polvere. La distruzione viene mostrata con dovizia di particolari, tanto da
rendere ancora più drammatica la scena e ancora più penosa la distruzione a cui si sta
assistendo.
La sesta sequenza si svolge in interno: nell’infermeria si trovano un monaco e due civili
seduti vicino al letto di un malato, si alzano di scatto. In primo piano un uomo alza gli
occhi al cielo e, tremando, avvicina la mano al viso. Uno scaffale con degli uccelli
impagliati inizia a tremare, un uomo si sveglia di soprassalto, sul soffitto si forma una
crepa. L’accumulazione di tutti questi elementi serve a mostrare fatti e reazioni della
gente nel modo più completo possibile.
Vengono poi inquadrate due donne, una è la madre di Gianfranco, che con lo sguardo
sperso nel vuoto sorride impazzita (figura 29): non ha superato il dolore della perdita del
figlio, soprattutto in momenti difficili come questi di guerra.
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Figura 29. La madre di Gianfranco impazzita
La gente cerca di ripararsi mentre dai muri e dai soffitti si staccano i calcinacci, i
profughi si schierano vicino alle pareti e danno le spalle al centro della sala. In primo
piano la sveglia, simbolo del tempo che passa, caduta per terra, segna le 10:45.
L’edificio trema, l’avvocato e la donna si abbracciano, e lei gli accarezza il viso. Anche
un uomo abbraccia suo figlio, che viene inquadrato dopo mentre prega in silenzio
inginocchiato, muovendo solo la bocca. Sempre per contraddire ciò che era stato detto
in precedenza dalla voce narrante, anche qui non sembrano annullati i rapporti umani fra
le persone.63
Un altro intermezzo ci mostra che la situazione in cielo non è cambiata, vengono
inquadrati gli aerei da vicino, e da essi le bombe che precipitano al suolo.64
All’interno una madre abbraccia il suo bambino e prega, altre due donne si stringono
forte con le bocche spalancate in un urlo silenzioso, molto espressionista, mentre nel
soffitto si apre una crepa e poi un grosso buco. La gente si mette al riparo, la cinepresa
inquadra il soffitto caduto e poi una anziana donna coricata a cui crollano addosso dei
calcinacci. Vengono ripresi due bambini che piangono e si abbracciano. Di nuovo aerei
63
Parte III, p. 20.
La prima sosta nel bombardamento avviene solamente alle 11.15 e “grazie a Dio tutta la piccola
comunità è salva”. In Grossetti – Matronola, op. cit., p. 91.
64
219
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nel cielo e piccoli gruppi di persone cercano di scappare chinati tra fumo e polvere, non
si vede più nient’altro. Una donna viene scaraventata a terra da un’esplosione ed è
travolta da uno scaffale che la schiaccia. I soffitti continuano a cedere, si aprono grosse
aperture e i detriti cadono a terra con enorme violenza (figura 30). Viene inquadrata una
donna che urla terrorizzata. Continua l’accumulazione di particolari, che alterna le scene
di distruzione delle parti del convento alle espressioni e reazioni della gente che sta
vivendo momenti di terrore.
Figura 30. Crolla un soffitto
Figura 31. I detriti invadono la scalinata
La settima sequenza torna a svolgersi in esterno. Tutto è ridotto ad un cumulo di
macerie, da dietro degli archi ancora in piedi viene ripresa la scalinata centrale,
anch’essa invasa dai detriti (figura 31). La gente scende urlando. Ma la statua di San
Benedetto è rimasta miracolosamente in piedi, quasi un miracolo visto il livello di
distruzione raggiunto dall’edificio. Sembra un eterno messaggio di fede anche in quel
momento doloroso, come se stesse a indicare che Montecassino, culla del monachesimo
benedettino, non morirà, almeno moralmente, nemmeno dopo una simile sciagura.
In primo piano i profughi fuggono e la cinepresa si avvicina e li riprende singolarmente
mentre scappano, urlano, chiamano qualcuno.
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Da un arcata escono lentamente i monaci (figura 32), preceduti dall’Abate, la cui bocca
è tremante e la sua espressione è prossima al pianto, chiude gli occhi e china la testa. I
civili continuano a scendere dalle gradinate, si intravedono anche i monaci. Dietro la
statua acefala di San Benedetto un grosso masso viene inquadrato da vicino: anche i
monaci possono constatare che la statua è salva per miracolo.
Figura 32. L'Abate e i monaci nel monastero distrutto
Don Martino: “ Don Diamare, la Torretta è in piedi!” e subito l’Abate gli risponde: “ Il
Santissimo!”, perché era nella torretta che i monaci tenevano il contenitore con le ostie,
il corpo di Cristo.Un terzo monaco65 si offre di andarlo a prendere. I civili stanno ancora
scappando tra polvere e macerie, da cui escono l’avvocato e la donna. Un uomo dice
che ci sono dei feriti, l’avvocato sente e fa per andare ad aiutarli. L’Abate è in piedi con
Don Martino, vengono verso la cinepresa e si avvicinano sempre di più, fino
all’inquadratura del particolare della croce sulle loro vesti, ancora un simbolo di fede
dove tutto ormai è distruzione.
Nell’ottava sequenza Don Agostino si trova nella cappella della pietà e si avvia verso il
contenitore delle ostie. Il monaco si inginocchia (figura 33) mentre estrae “il
65
E’ don Agostino, che va a recuperare il SS.mo nella Cappella della Pietà ( torretta ). In Grossetti –
Matronola, op. cit., p. 91.
221
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Santissimo”. Si sente ancora il rumore dei bombardieri che stanno ritornando. Il monaco
copre il calice, come per proteggerlo, e si appresta ad uscire.
Figura 33. Don Agostino recupera il Santissimo.
Nella nona sequenza sono ancora inquadrati in lontananza una grande quantità di
aeroplani, un monaco esce da un arco e li vede: “Presto, ritornano!”66. La gente torna
indietro per rientrare, la donna con l’avvocato si guardano intorno, mentre un monaco
chiede notizie dei suoi confratelli. I civili continuano a fuggire in ogni direzione. In
primo piano è ancora inquadrata la madre di Gianfranco, sorridente e con lo sguardo
inebetito, mentre fuori campo un bambino chiama la mamma. L’immagine si allarga e si
scopre che il bambino è tenuto per un braccio proprio dalla donna, strattona un po’
mentre dice che vuole andare via. Tra la folla una madre chiama suo figlio Paolo, il
bambino è ancora trattenuto dalla donna, continua a chiamare sua madre, poi si libera e
corre via. Le bombe cadono, la mamma di Paolo corre contro corrente, arriva a un
varco, il suo bambino gli corre incontro e si abbracciano. Sono ancora scene che
riguardano le persone che per ora sono rimaste in vita, quelle scene che fanno
l’atmosfera di tutta questa parte del film.
66
Sono circa le ore 13.00 e il bombardamento questa volta prosegue fino alle 13.30. In Grossetti –
Matronola, op. cit., p. 91.
Per questo secondo bombardamento vengono usati bombardieri medi, che sganciano bombe più piccole
ma le fecero cadere in modo più preciso. Gli aerei attaccavano a bassa quota in piccole formazioni
compatte formate da dodici velivoli. In F. Majdalany, op. cit., p. 137.
222
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Nella decima sequenza i monaci, rinchiusi in una stanza, stanno maneggiando delle
carte. C’è un esplosione, le carte volano ovunque e in due trasalgono. Viene ancora
inquadrato un aereo che sgancia delle bombe, poi l’esterno del monastero, dove sta
crollando un muro. All’interno salta la porta di una stanza, dove un monaco e l’Abate
restano rinchiusi. Viene poi inquadrata l’ apertura, fuori è tutto bloccato dalle macerie,
Don Martino dice: “Siamo bloccati”. Guardano verso una grata e sentono la voce di
Don Agostino, che ha recuperato il Santissimo: solo la grata li divide ed è proprio da
quella grata che i due riusciranno a salvarsi.
Nell’undicesima sequenza Don Agostino si gira, scopre il contenitore con le ostie e si
rivolge alle altre persone che sono nella stanza : vengono infatti inquadrati il ragazzo del
cane e un monaco, poi l’avvocato, Maria e una vecchia. In primo piano le persone si
avvicinano a Don Agostino che le assolve da tutti i peccati. Il monaco alza il
Santissimo: “Ecce Agnus Dei…” .Tra le persone alcune cercano di sollevare un malato,
mentre una donna piange. Don Agostino passa tra i fedeli inginocchiati per la
Comunione (figura 34).
Figura 34. Don Agostino tra i fedeli
Tutti i civili si voltano al rumore di un’esplosione. La macchina da presa riprende le
conseguenze dello scoppio: un soffitto si stacca e un muro perimetrale dell’abbazia
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crolla. Mentre ritorna il particolare delle bombe sganciate dall’aereo, Don Agostino
continua a distribuire le particole tra i fedeli. In primo piano una vecchia tremante prega
a testa bassa, mentre Don Agostino continua la sua opera. La cinepresa inquadra
l’interno del calice: sono rimaste solo due ostie. La mano del monaco le prende, poi la
cinepresa stacca sul suo viso e, dopo il segno della croce, le mette in bocca.
Queste sequenze sono in pieno stile neorealista e affrontano la situazione dal punto di
vista della gente comune, intrappolata tra le macerie.
La dodicesima sequenza si svolge in esterno: la cinepresa inquadra l’esplosione e il
crollo di varie parti del monastero, ovunque si trovano solo macerie e fumo. Le bombe
continuano a cadere, ma sotto di loro non si vede più un paesaggio, solo grosse nuvole
di fumo e polvere. Si vedono poi altri ordigni che scoppiano dentro e fuori dal
monastero. In tutta questa sequenza la musica extradiegetica ha un volume molto alto e
il ritmo è concitato, che accentua la drammaticità della situazione. Resta il buio.
La tredicesima sequenza inizia nel silenzio più assoluto. L’immagine è buia, ma si apre
uno spiraglio di luce, come un barlume di speranza: è un uomo, in primissimo piano di
profilo, che riesce ad aprire con le mani un piccolo varco, spinge un po’ le macerie e il
pertugio si allarga. La cinepresa si sposta all’esterno e riprende il masso che scivola
dopo la spinta di quell’uomo. L’immagine è surreale, dappertutto solo macerie e fumo.
La gente comincia ad uscire dai nascondigli e la voce fuori campo ricomincia a narrare:
“Nell’innaturale silenzio che aveva seguito il fragore delle esplosioni soltanto il vento
levatosi improvviso e violento sembrò per un attimo far parte dell’apocalittico
paesaggio, dove, ovunque si volgesse lo sguardo, il terreno appariva seminato di morti;
Don Oderisio li benediva uno per uno – durante questa battuta si ha un piano sequenza
con Don Oderisio (figura 35) e gli altri monaci che, camminando lentamente,
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benedicono i cadaveri e questo tipo di ripresa rende tutto più inquietante, poiché mostra
la terra cosparsa di corpi, non serve un montaggio per averne la continuità, essendocene
comunque un numero impressionante -.Gli occhi spalancati di quelle creature
continuavano a fissare il cielo dal quale era venuta improvvisa la morte. Forse essi
vedevano più in su, in alto, là dove c’è per ognuno la vera pace. Ai superstiti sembrava
che gli altri, quelli che se n’erano andati, avevano finalmente trovato ciò che
cercavano.”
Figura 35. Don Oderisio
Don Oderisio si china e si mette le mani tra i capelli, l’avvocato non si muove. Il
religioso va avanti e continua a benedire. L’avvocato esce dal fumo e, abbassando lo
sguardo, vede un corpo tra le macerie (la cinepresa lo mostra) con una catena al collo.
L’avvocato in ginocchio toglie le pietre che lo ricoprono, porta le mani al viso e dice:
“Maria”, alzando gli occhi al cielo, si preoccupa per la donna che potrebbe aver subito
la stessa sorte.
Sullo sfondo rimangono le macerie degli edifici diroccati. L’inquadratura ora è vuota,
non ci sono personaggi in scena, dappertutto ci sono solo macerie e un silenzio di morte.
L’avvocato, camminando sulle pietre, attraversa tutto il campo, continuando a cercare
Maria. La cinepresa indugia sui soliti fabbricati distrutti, mentre l’avvocato continua a
gridare lo stesso nome.
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Due donne a destra sono inquadrate in primo piano dietro ad un muro, mentre a sinistra,
più lontano, degli uomini in mezzo alla polvere spostano delle pietre, ma si intravedono
appena. Si sente ancora urlare il nome di Maria, fuori scena, e una delle due donne si
gira verso la cinepresa e con un filo di voce dice: “Mario”, poi chiude gli occhi e si
accascia. E’ la donna che durante tutto il film è stata accanto all’avvocato.
Vengono poi inquadrate due persone che escono da un buco, sono due monaci che
stanno aiutando l’Abate a risalire. Le persone cominciano a ritrovarsi nella gran
confusione del dopo – bombardamento.
Nella quattordicesima sequenza ritorna il commento musicale. Tra le macerie ancora
fumose del monastero i sopravvissuti escono dai nascondigli e camminano nella
desolazione di quel luogo. Tra di loro la cinepresa inquadra Mario che porta in braccio
Maria, come in tutti gli altri momenti anche qui si cerca la consolazione nel mostrare i
personaggi principali del film sani e salvi. La fila dei civili, guidata dai monaci e
dall’Abate, sorretto da questi, si ferma per scrutare le macerie da cui iniziano ad
affiorare superstiti. L’Abate annuncia che lui resterà per aiutare i feriti e i malati, un
monaco si avvicina, si inginocchia ai suoi piedi e gli chiede la benedizione. E’
probabilmente uno di quei monaci che decidono di lasciare immediatamente l’edificio
per passare il fronte.67 Segue una dissolvenza.
La quindicesima sequenza è ambientata nella Cappella della Pietà, che non è stata
distrutta dal bombardamento. I monaci si sono rifugiati in questa stanza subito dopo il
secondo bombardamento, trovando anche qualcosa da mangiare, ma completamente
sprovvisti d’acqua.68
67
68
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 93.
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 93.
226
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Sono in piedi attorno all’Abate che, seduto, riceve un soldato tedesco, lo stesso ufficiale
che era già giunto al monastero quella mattina stessa: “ Io, soldato tedesco, provo
profonda indignazione, non capire?”. L’Abate in primo piano abbassa il capo: “Eh sì,
capisco”, alza la testa e guarda il soldato, che resta in scena solo nel particolare di un
braccio sul quale si distingue uno stemma cucito sulla divisa (figura 36). In questo
modo, non mostrando il viso del soldato ma solo questo particolare così caratterizzante
si cerca di generalizzare, passando da quel soldato a tutti i soldati tedeschi: la
responsabilità della perdita di tante vite umane, se pur indirettamente, è anche la loro,
che non hanno ascoltato le suppliche dei profughi e che non hanno ordinato un piano di
sgombero immediato, come avevano invece già fatto in altre occasioni molto meno
gravi.
“Ci sono stati molti morti e si potevano evitare, saranno pochi ora quelli che passeranno
le linee da mezzanotte alla cinque, e non già perché cinque ore siano poche, sono anche
troppe ormai. Solamente un centinaio di persone sono rimaste.” Dice l’Abate.
Figura 36. L'Abate Diamare parla con un soldato tedesco
In primo piano il Tedesco guarda l’Abate Diamare: “Io non capire, Feldmaresciallo
Kesselring ha chiesto per ordine del nostro Fuehrer tregua a angloamericani”. La tregua
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fu realmente chiesta da Adolf Hitler in persona su richiesta del Papa, per permettere
all’Abate, ai monaci e ai civili di lasciare Montecassino. 69
L’Abate è seduto e vicino a lui si trova Don Martino in piedi, il soldato tedesco invece è
ancora davanti a loro, mentre un altro resta in lontananza: “E la possibilità di sgombero
per questa notte esiste ancora?”, dice l’Abate, e il militare risponde “Ora è tutto nelle
mani degli angloamericani, bisogna attendere la loro risposta.70 Per giustizia potete voi
dichiarare di non essere neanche un soldato tedesco in monastero durante il terribile
bombardamento?”. L’Abate è inquadrato di tre quarti in primo piano, guarda il soldato,
di cui si ode ancora la voce: “Io domandare, essere soldati tedeschi in monastero
durante il bombardamento?” , “No - risponde secco l’Abate – dentro no”. Ma la sua
risposta è seccata e fa intuire che se all’interno non si trovavano militari tedeschi,
tutt’intorno al monastero ce n’erano in gran numero.
La visione è ancora sull’intero gruppo di personaggi, il Tedesco chiede: “Potete voi
scrivere questo?”. L’Abate annuisce con la testa, il soldato gli passa carta e penna e
l’Abate si volta verso la cinepresa per scrivere (figura 37): il momento è ufficiale e
importante e l’immagine dev ’ essere ben documentata dalla ripresa. Diamare è in primo
piano ed è inquadrato mentre scrive: “ Appena angloamericani daranno la tregua noi
mandiamo autocarri per i monaci, i malati e i feriti”.
69
F. Majdalany, op. cit., p. 138.
Secondo quanto sostiene Don Martino, “ il Comando tedesco voleva , con le mani nette, liberarsi
dell’Abate e dei monaci onde prendere possesso delle rovine del monastero per fini bellici: ed anche per
farsi rilasciare la dichiarazione” di cui si parlerà. In Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 93 – 94.
70
228
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Figura 37. L'Abate Diamare nell'atto di scrivere il documento
Torna la voce fuori campo: “ Lo scritto dell’Abate Diamare (figura 38) divenne un
documento storico sulla tragica distruzione del monastero, nella più perfetta buonafede
egli scriveva: Attesto per la verità che nel recinto di questo sacro Monastero di
Montecassino non vi sono stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo
tempo tre gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale, che si era stabilita
intorno al Monastero, ma questi da circa venti giorni furono ritirati.”71 , la sua voce
accompagna l’Abate che riconsegna il foglio al soldato e viene inquadrato in primo
piano nel momento in cui la voce off ne legge il contenuto. Il soldato tedesco accenna
un sorriso: “ Danke…voi aspettare, io ritorno”. Saluta in modo militare e se ne va
uscendo di scena. Secondo l’accordo i monaci avrebbero dovuto aspettare ancora uno o
due giorni per avere la risposta degli alleati alla concessione della tregua, dopo di che
avrebbero dovuto percorrere un tratto di strada a piedi, fino ai mezzi di trasporto
tedeschi, che non riuscivano ad arrivare alla cima di quel colle così disastrato.72
71
Il documento, estratto dall’apparato iconografico del libro di Grossetti – Matronola, è riportato in
appendice.
72
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 94.
229
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Figura 38. Il documento dell'Abate Diamare
In quello stesso 15 febbraio le truppe della Quarta divisione
indiana stavano
affrontando il loro terzo giorno sulla disagevole china della montagna, dopo aver dato il
cambio alle truppe americane. L’obbiettivo era quello di conquistare una collina
denominata Quota 593 che si trovava proprio davanti a Montecassino, ma l’operazione
fallì poiché i soldati si trovarono sotto il fuoco dei tedeschi, che in quella zona avevano
molte postazioni. Va ricordato anche che nessuno avvisò questi soldati indiani del
bombardamento, che era stato dapprima fissato per il giorno 16, e questa dimenticanza,
oltre a mettere in pericolo le loro vite, dimostrava anche la poca collaborazione che
esisteva tra esercito e aviazione.73
IX parte : 17 febbraio 1944
Nella prima sequenza il monastero, inquadrato dall’esterno, è ridotto ad un cumulo di
macerie. Nella cripta si trovano i monaci in piedi sotto ad un mosaico raffigurante la
Madonna, una delle poche parti dell’abbazia ancora in piedi. Sono disposti ai lati
dell’Abate, che ha deciso di lasciare l’edificio nonostante i consigli del soldato. Alla
73
Il colonnello Glennie sottolineò: “ L’hanno detto ai monaci, l’hanno detto al nemico, ma no a noi!”. In
F. Majdalany, op. cit., pp. 140 – 143.
230
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loro destra un malato è coricato nel suo giaciglio74. La cinepresa si avvicina e passa in
rassegna i religiosi in primo piano, parla l’Abate: “Avvertite i civili che si preparino per
la partenza, che aiutino i feriti e i malati che possono muoversi, portino chi si può
portare, e per quelli che non ci sono più solo Dio può averne cura”. La cinepresa
inquadra un mosaico raffigurante la Madonna con bambino, poi scende sull’avvocato
che copre un malato, Maria abbraccia il suo bambino, Don Martino benedice i fedeli.
Tutta la scena si svolge in piano sequenza, che da la continuità dell’azione che si svolge
tra la gente.
Due uomini scoprono un ferito che geme, viene inquadrato un monaco mentre lo
solleva, poi lo copre. Tre uomini sono al lavoro per togliere i detriti e liberare un
passaggio per i superstiti, il buco è molto grande e la luce che entra aumenta a mano a
mano che viene allargato, come aumenta la loro speranza di uscire vivi dall’edificio.
Viene inquadrata una grande stanza con il soffitto a volta, dove tutti si preparano a
partire. I monaci sono con l’Abate, alla loro sinistra una croce è appoggiata al muro,
segno della cristianità e della fede, che nonostante quanto è successo, non ha
abbandonato questa gente.
In seguito vengono riprese in primo piano tutte quelle persone già incontrate nel corso
della pellicola ( come il ragazzo del cane), come per volersi congedare da loro. L’Abate
ora conferisce ai fedeli l’assoluzione in articulo mortis (figura 39). I fedeli si
inginocchiano, poi si alzano, l’Abate prende la croce e si gira.
74
Potrebbe essere un certo fra Giacomo, febbricitante, disteso su un materasso, secondo quanto riportato
da Grossetti – Matronola, op. cit., p. 93.
231
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Figura 39. L'Abate e i monaci tra i civili
La seconda sequenza parte al di fuori del monastero, di cui si vedono le mura distrutte.
Viene inquadrata l’uscita che stanno varcando l’Abate con la croce in mano, i suoi
monaci e i civili sopravvissuti. Il cielo è coperto di nuvole, passa la croce della mesta
processione (figura 40).
Figura 40. La croce della processione
La vista poi torna sull’intero monastero, con la fila dei superstiti che scende lungo il
colle recitando le preghiere. Dopo un primo piano dell’Abate e di Don Martino, tornano
le due voci fuori campo: “Così si concluse la tragedia dei monaci e di coloro che
cercarono rifugio a Montecassino” . “ E questo perché gli uomini hanno voluto la
guerra”. Vengono inquadrati dei soldati tedeschi, sulla strada davanti a loro passa il
232
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corteo e la voce off di Don Eusebio torna a narrare. I soldati coprono le mitragliatrici
(figura 41) quando davanti a loro passa la croce,75 la cinepresa segue il corteo alle
spalle, poi viene inquadrato dall’alto, dallo stesso punto di vista con il quale si è aperto
il film, mentre in primo piano si ritrovano le due croci che hanno aperto il film, quella
di Don Eusebio e quella del Capitano medico Richter.76 La voce off conclude:”
Bastano… poche parole per entrare nel cuore degli uomini: amore, bontà, fraternità e
fede.”
Figura 41. I soldati tedeschi coprono le armi al passaggio della processione
La terza ed ultima sequenza mostra la città di Cassino ricostruita, una panoramica
riprende il colle del monastero, si avvicina, la musica è alta e trionfante, il monastero è
ripreso da diverse angolazioni. Compaiono in trasparenza delle lanterne con la fiamma
accesa e su di loro le ultime parole pronunciate da Don Eusebio: amore, bontà, fraternità
e fede.
75
Questo particolare è confermato nel diario di Don Martino, in Grossetti – Matronola, op. cit., p.98.
Durante tutto lo svolgimento del film la figura del Capitano medico Richter è stata fondamentale nello
sviluppo dei fatti, in realtà non si trova nei diari presi in esame il suo nome. Esiste nel diario di Don
Eusebio un Capitano medico che corrisponde in tutto e per tutto ad ogni dettaglio della storia, ma il suo
nome è Becker.
76
233
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Il film si conclude quindi con la partenza dei sopravvissuti del monastero e non affronta
le ulteriori fasi della battaglia, che hanno visto impegnati i vari schieramenti fino al 18
maggio 1944, quando le truppe polacche arrivarono alla sommità del colle di
Montecassino e la linea Gustav fu finalmente sfondata, dopo mesi di violenti
combattimenti.
Montecassino di Gemmiti affronta quindi solamente la prima parte delle vicende legate
a Montecassino, dando accenno al salvataggio delle opere d’arte compiuto dai Tedeschi
della divisione Hermann Goering e soffermandosi sulle fasi successive di sgombero dei
civili, per arrivare a trattare in modo più diffuso del bombardamento e dei giorni che lo
precedettero e che lo seguirono. E’ questo quindi l’episodio cardine trattato dal film di
Gemmiti, che lo affronta i modo molto preciso e con dovizia di particolari, verificabili
soprattutto dai diari dei monaci di Montecassino. Il documento, infatti, è stato prezioso
per la ricostruzione della vita di monaci e civili prima, durante e dopo il fatto, poiché
tutta la vicenda è trattata dal loro punto di vista. E’ la loro la sofferenza mostrata dalla
cinepresa di stampo neorealista, che ha analizzato le vicende specifiche di alcuni
personaggi, ma non senza farne un emblema della sofferenza universale provocata dalla
guerra.
Il film sfrutta appieno le potenzialità di questo avvenimento per commuovere, ma anche
per mostrare quello che è realmente successo all’interno delle mura dell’abbazia,tema
che era logico affrontare visto che la produzione era legata alla Chiesa. E nel complesso,
per quanto riguarda il periodo trattato, non si trovano errori sostanziali dal punto di vista
storico, solo piccole storie inventate, per quanto riguarda la vita dei profughi, delle quali
non c’è una testimonianza scritta, ma che sono del tutto verosimili.
234
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11.4. DIE GRUENEN TEUFEL VON MONTE CASSINO
( I diavoli verdi di Montecassino – Harald Reinl, 1958 )
Due locandine dell’edizione tedesca del film “ Die gruenen Teufel von Montecassino”.
Tratto dal libro “ Monte Cassino” di Rudolph Bohmler, Die gruenen Teufel von Monte
Cassino, diretto dal regista Harald Reinl, fa parte di quei pochi film di genere bellico
prodotti in Germania ( allora suddivisa in Repubblica Federale Tedesca e Repubblica
Democratica Tedesca) nei decenni immediatamente successivi al secondo conflitto
mondiale. Questo genere di film serviva innanzitutto per rivalutare la Wehrmacht
tedesca dopo i disastri della guerra e per far ricadere la colpa di tutto quello che di
sbagliato c’era stato su Hitler e la sua cerchia.1 E per portare a nuova vita il tema bellico
niente era più indicato di un film che mettesse in luce un episodio in cui i soldati
1
L.L. Ghirardini, op. cit., pp. 102 – 103.
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tedeschi si distinsero per capacità e serietà, Montecassino appunto. I Tedeschi amavano
ricordare questo periodo: i tesori dell’abbazia distrutta dagli alleati furono portati in
salvo da loro e inoltre sul fronte si comportarono molto bene, tenendo a distanza per
molto tempo gli Anglo- americani.
Una particolarità: gli abitanti di Caprile e della zona vecchia di Roccasecca furono
mobilitati come comparse per girare alcune scene.2
11.4.1. La situazione tedesca dopo il secondo conflitto mondiale e fino agli anni ‘50
Al termine della II Guerra Mondiale uno dei principali problemi che gli stati Alleati
vincitori si trovarono ad affrontare fu come ridisegnare la struttura geopolitica ed
istituzionale della Germania ritenuta ormai come la responsabile dell'instabilità in
Europa e come la causa prima sia della Grande Guerra del 1914, sia della II Guerra
Mondiale.3
La decisione di dividere la Germania in distinte zone di occupazione da parte delle
truppe dei Paesi vincitori fu presa a Yalta già prima della fine formale del conflitto nella
conferenza tenutasi tra Stalin, Roosevelt e Churchill svoltasi nella località sovietica tra
il 4 e l'11 febbraio del 1945. Nel maggio dello stesso anno la Germania guidata da
Doenitz ( Hitler si era nel frattempo suicidato ) si arrende sia agli angloamericani ( 7
maggio ), sia ai sovietici ( 8 maggio ), che durante la conferenza di Postdam
stabiliscono i termini dell'occupazione della Germania, divisa in quattro zone, ognuna
assegnata
ad
un
differente
Stato
alleato
vincitore
del
conflitto.
Nel 1946 comincia a caratterizzarsi marcatamente la divisione tra le due aree di
2
3
R. Molle, Storie della seconda guerra mondiale. Caprile in guerra, in www. digilander. libero . it.
L. Molinari, Breve storia dei territori tedeschi, in www. cronologia. it .
236
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influenza, quella occidentale da cui nascerà, nel 1949, la Repubblica Federale Tedesca e
quella orientale da cui avrà origine, sempre nel 1949, la Repubblica Democratica
Tedesca.
Nella conferenza di Mosca (marzo-aprile 1947) " venne stabilito sia pure senza fissare
una scadenza, che si dovesse andare verso elezioni politiche che preludessero ad una
costituente nazionale e ad un governo nazionale"4. A partire da questa data gli Alleati
occidentali rinunciarono ad ogni idea di riunificazione dei territori tedeschi, mentre i
sovietici cullarono fino al 1953 il sogno di una Germania unificata e neutrale sotto
l'egida
protettiva
e
la
conseguente
influenza
di
Mosca.
La rinascita dei partiti politici fu lenta anche se le prime elezioni a livello
amministrativo si ebbero a ovest nel gennaio 1946: si affermarono come maggiori forze
politiche i democristiani, i socialdemocratici ed i liberali: saranno questi gli unici
protagonisti della scena politica tedesca per quasi il successivo mezzo secolo. 5
Per quanto riguarda il partito democristiano, va notato che era molto simile allo stesso
partito presente in Italia. Elemento comune tra i due partiti fu il forte ruolo della Chiesa,
anzi, nel caso tedesco, delle Chiese (cattolica e protestante), nel fornire i quadri dirigenti
e la dottrina sociale di base alle due esperienze democristiane. Per fare del partito
democristiano tedesco la forza politica egemone della scena politica occorreva che esso
non risultasse solamente come un partito cattolico.
Su questi presupposti di partito non confessionale, sostenitore di un libero mercato, ma
con forti ammortizzatori sociali, viene costituita in tutta la Germania l’Unione cristianodemocratica (Cdu) che, raggruppando le formazioni di ispirazione democristiana e
conservatrice sorte in molte località del Paese subito dopo la sconfitta, guiderà la Rft
4
5
P. Pombeni, Partiti e sistemi politici nella storia contemporanea, il Mulino, Bologna ,1994, p. 441
L. Molinari, Partiti politici tedeschi dal secondo dopoguerra, in www. cronologia. it.
237
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ininterrottamente dal 1945 al 1969 (con i cancellieri Adenauer6, Erhard e Kiesinger) e
dal 1982 al 1998 (con la lunga ed ininterrotta cancelleria di Helmut Kohl).
Anche i sovietici avevano di fatto permesso la rinascita di partiti politici nella zona da
loro influenzata perché speravano di guidare la riunificazione nazionale in una
Germania neutralizzata e a loro favorevole. I sovietici pensavano che la responsabilità
del nazismo fosse da far risalire ai “capitalisti”: soppressi questi
i vecchi partiti
potevano risorgere nel quadro di una “alleanza antifascista del fronte popolare”7.
Nell'aprile 1946 i sovietici impongono nella zona da loro controllata la fusione tra
socialdemocratici e comunisti che da i natali al Partito socialista unitario (Sed). Nel
bimestre settembre-ottobre 1946 si tengono tornate elettorali amministrative.
Nel 1948 scoppia la prima crisi di Berlino (divisa anch’essa in quattro parti controllate
dagli Alleati) sintomo della sempre maggiore tensione derivante dall'ormai inevitabile
Guerra fredda8: i sovietici isolano la vecchia capitale tedesca volendo impedire la
circolazione del marco occidentale nei territori di loro competenza. Le truppe di Mosca
avevano realizzato una reale "cintura sanitaria" a quella parte di Berlino controllata
dagli occidentali rendendole difficile il rifornimento alimentare e sanitario. Si era
sull'orlo di un nuovo conflitto che, anche per la minaccia degli Stati Uniti d'America di
fare ricorso all'arma atomica, quando le potenze occidentali (tra cui gli stessi Usa)
realizzarono un "ponte aereo" che permise la sopravvivenza di Berlino fino al maggio
1949
quando
i
sovietici
posero
fine
alla
loro
azione
repressiva.
Il 23 maggio 1949 si promulga la Legge fondamentale della Repubblica federale
(Grundgesetz): non si tratta di una vera e propria costituzione, che i tedeschi decidono
di redigere solo quando saranno di nuovo uniti
6
E. J. Hobsbawn, Il secolo breve – 1914/1991 -, p. 333.
P. Pombeni, op. cit., p. 441.
8
E. J. Hobsbawn, op. cit. ,p. 298.
7
238
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Il 14 agosto del 1949 si svolgono le prime elezioni nella Rft che vedono la vittoria dei
democristiani di K. Adenauer che, il 15 settembre dello stesso anno, forma i suo primo
gabinetto di centrodestra (con i liberali e altri partiti conservatori come quello degli
immigrati) relegando i socialdemocratici di K. Schumacher all'opposizione: la Rft
comincia ad essere inserita nel blocco economico e militare occidentale proprio grazie
all'azione del cancelliere democristiano.
Nella Ddr si forma un governo guidato dal comunista Grotewohl con la partecipazione
in forma di partner di minoranza (e di rappresentanza simbolica) di democristiani,
liberali e contadini: la Ddr viene inserita nel blocco orientale.
La separazione della Germania è sancita ufficialmente dai fatti e la storia interna dei
due
paesi
sarà
differenziata
fino
al
1990,
anno
della
riunificazione.
Uno dei principali problemi della nuova Germania post-bellica fu rappresentato dalla
denazificazione9,ottenuta anche attraverso una diffusione di un senso di colpa collettiva;
questo è un aspetto peculiare della vicenda post bellica tedesca che differisce con
quanto avvenuto in altri paesi (si veda la rimozione della colpa come è avvenuto per
molti
casi
in
Austria
o
facili
revisionismi
come
in
Italia10).
Nella Rft si assiste ad un forte rilancio dell'economia grazie all'azione del ministro
democristiano L. Erhard. Adenauer e Erhard agiscono all'insegna del classico
interclassismo dei partiti cristiano-democratici basata sul rilancio dei consumi e
caratterizzato da una rilevante attenzione agli aspetti solidaristici e sociali.
La politica estera della Rft, invece, fu segnata per tutti gli anni cinquanta dalla
cosiddetta "dottrina Hallstein"11 che, teorizzata dall'omonimo sottosegretario agli Esteri
Walter Hallstein, prevedeva che la Repubblica Federale fosse l'unico stato autorizzato a
9
P.Collotti, Le due Germanie 1945-1968, Einaudi, Torino 1968, p. 293
P. Ignazi, L'Estrema destra europea, il Mulino, Bologna 1994, p. 131 e pp 170-171.
11
L. Molinari, art. cit., in www. cronologia. it.
10
239
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rappresentare "il popolo tedesco nella sua pienezza ", da ciò derivava "il non
riconoscimento della Ddr e la rottura con i Paesi che invece avessero riconosciuto la
Germania Est ." Tale sarebbe rimasta la politica estera tedesco-federale fino all'ascesa
della
leadership
socialdemocratica
di
W.
Brandt.
Nel 1961, anche a seguito delle rivolte avvenute nel 1953 nella Ddr e la "Seconda crisi
di Berlino" (1957) causata da contrasti tra occidentali e sovietici sulla dislocazione delle
truppe occidentali nell'ex capitale della Germania, la parte sovietica di Berlino viene
isolata con la costruzione del famoso e famigerato "Muro" che, fino al suo abbattimento
(1989), ha rappresentato al divisione dell'Europa a causa della "cortina di ferro."
Per quanto riguarda la cultura che si sviluppa nel dopoguerra in Rft, importante è la
nascita del Gruppo 47, gruppo letterario fondato appunto nel 1947.Il gruppo ha avuto un
certo potere editoriale, ma è sempre stato guardato con sospetto dalla politica ufficiale
della Bundesrepublik di Adenauer, per la quale era estremismo anche la semplice
volontà di rinnovare l’aria stagnante ereditata dall’esperienza del dodicennio nazista.12
I primi tentativi di affrontare il passato nazista e la realtà della guerra compiuti dai
drammaturghi e dai narratori non avranno seguito: quelle realtà sono socialmente e
sistematicamente rimosse. L’inizio della guerra fredda dispensa poi i tedeschi
dall’obbligo morale di riflettere sul loro coinvolgimento nel nazismo.13
Negli anni Cinquanta si inizia anche nel cinema ad affrontare la storia passata con i suoi
fantasmi. Quasi nessuna pellicola cerca di ricostruire un’unità nazionale, né tantomeno
affronta direttamente il disagio collettivo dovuto dalla colpa imposta dai vincitori14.
12
La Germania dell’ovest ( Repubblica federale tedesca ) nel 1945 – 1989, in www. girodivite. it.
ibidem
14
Imbert Schenk, Cinema tedesco occidentale 1945 – 1960, in G. P. Brunetta (a cura di), Storia del
cinema mondiale, pp.651 – 679.
13
240
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Una pellicola come quella presa in analisi è il risultato ovvio di tutti questi processi: è
prodotta da un governo democristiano e affronta proprio un episodio legato alla Chiesa
in cui i Tedeschi si sono particolarmente distinti. C’è il vanto di aver messo in salvo
l’immenso patrimonio morale e artistico di Montecassino, di aver condotto al meglio le
battaglie sul fronte. Ma i soldati qui proposti sono trattati come vittime della crudeltà
della guerra e del governo nazista. Non esiste una responsabilizzazione delle truppe
tedesche in tutta questa vicenda, ma solamente il tentativo di far ricadere tutta la colpa
della violenza sugli alti ranghi germanici, trattando i soldati della Wehrmacht come del
tutto estranei agli ideali nazisti e, come si vedrà nel film, assolutamente contrari alla
guerra.
E’ naturale quindi che in un periodo come quello degli anni ’50 in Germania, mentre si
stava compiendo il cosiddetto “miracolo economico” e il riarmo postbellico, un film
come I diavoli verdi di Montecassino potesse essere utile per risollevare l’opinione sulle
responsabilità della guerra e per far capire che i soldati tedeschi erano capaci anche di
gesti estremamente nobili.
Copertina della scatola della pellicola in super 8
241
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11.4.2. Analisi del film
Introduzione
Il film parte con l’inquadratura di aerei in primo piano, inseriti tra il titolo del film e i
titoli di testa, che sganciano una grande quantità di paracadutisti. L’immagine, ripresa in
lontananza, continua anche sotto alla lunga lista di titoli.
Sono proprio i paracadutisti tedeschi ad essere soprannominati “Diavoli verdi”, e si
capisce fin dall’inizio che saranno loro i protagonisti dalla storia che sta incominciando.
Sotto il regime nazista, due organizzazioni paramilitari, la Flieger – HJ e la NSFK,
addestravano molti giovani, con la copertura di attività sportive. Nel 1935 il
Landespolizeigruppe Herrman Goering fu annesso alla Luftwaffe, mentre nel 1937
l’esercito tedesco formò la prima compagnia di fanti paracadutisti (Fallschirm Infanterie
Kompanie) mentre nel 1938 la compagnia si allargò a battaglione.15
I paracadutisti tedeschi presero parte a buona parte delle battaglie durante tutta la
seconda guerra mondiale e furono lodati anche dai comandanti nemici per a loro
preparazione.16
Ritornando al film, subito viene inquadrata la città di Avignone e una voce fuori campo
introduce e spiega la situazione: “ Nell’estate del 1943 il I Reggimento paracadutisti fu
trasferito dal fronte russo ad Avignone per un periodo di riposo, un riposo che preludeva
l’invio del reggimento su quello che sarebbe stato il fronte più tragico della guerra
italiana.”
15
J.Y. Nasse, Diavoli verdi. Paracadutisti tedeschi 1939 – 1945, pp. 6 – 14.
IL generale alleato Alexander, commentando lo spirito combattente dei parà tedeschi, scrisse : “ Al
mondo non vi è altra truppa che difenderebbe le proprie posizioni con tanto coraggio e ostinazione. Questi
sono uomini audaci e ben addestrati, temprati da numerose missioni e campagne militari.” In J.Y. Nasse,
op. cit., p. 113.
16
242
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Analizzando storicamente i fatti, si può apprendere che il I Reggimento paracadutisti
combatté in Russia a Leningrado (settembre – dicembre 1941), a Smolensk (ottobre
1942 – aprile 1943)17, per poi essere trasportato in Francia per un periodo di riposo,
dapprima in Normandia, poi nella zona di Avignone18.
I parte : Avignone
Nella prima parte, come già annunciato durante l’introduzione, i militari tedeschi del I
Reggimento19 si trovano ad Avignone(figura 1) in attesa di ripartire per un nuovo
fronte. I soldati passano il loro tempo tra dovere e piacere.
Figura 1. Veduta di Avignone
La prima sequenza parte con due militari tedeschi ( uno è un tenente ) che guardano
verso l’alto. La cinepresa segue il loro sguardo e riprende nel cielo prima molti
paracadutisti, poi alcuni aerei. Si passa poi all’interno di uno di questi velivoli, dove i
paracadutisti sono seduti al loro posto e passati in rassegna da una serie di primi piani.
17
J.Y. Nasse, op. cit., p. 56.
J.Y. Nasse, op. cit., p. 83.
19
Il I Reggimento di cui si parla faceva parte del I Battaglione, detto Battaglione Bohmler, guidato dal
Maggiore Generale Ludwig Sebastian Heilmann, che parla delle vicende dei paracadutisti tedeschi in I
paracadutisti tedeschi, tratto da “Der Deutsche Fallschirmjager”, Aprile 1952, in www.
dalvolturnoacassino. it.
18
243
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La scena è caratterizzata dal solo rombo degli aerei, i soldati si alzano, si preparano al
lancio e si gettano attraverso il portellone.
Le immagini di questi uomini che si lanciano nel vuoto sono probabilmente immagini
documentarie, in quanto la pellicola usata risulta diversa ad occhio nudo, mentre una
sola inquadratura è girata per il film in analisi e montata in mezzo alle altre: si tratta di
un personaggio che si rivelerà molto importante nell’economia della storia e che qui è
ripreso a figura intera mentre si appresta a lanciarsi nel vuoto.
Un paracadutista scende senza aprire il paracadute, il punto di vista è quello di chi è
rimasto sull’aereo e l’uomo diventa sempre più piccolo a mano a mano che si avvicina
al suolo, creando la suspense e l’attesa per la sua caduta.
I due militari a terra con un binocolo assistono alla scena.
La seconda sequenza è ambientata in un ospedale militare. Due ufficiali scendono le
scale, uno è il tenente, l’altro è un medico, chiamato da un terzo uomo, in cima alla
scalinata, per fare una radiografia ad un paracadutista che si è impigliato nelle corde del
suo paracadute: si chiama caporale Christiansen. Avvisa l’infermiera Inge. Il medico le
presenta il tenente Reiter e, dopo entrano nella stanza dove il caporale li aspetta (figura
2).
Figura 2. Il primo incontro fra l'infermiera Inge e il caporale Christiansen
244
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E’ lo stesso soldato inquadrato sul bordo dell’aereo per lanciarsi. Inizia un dialogo tra
medico e paziente: il primo chiede come mai un caporale era in mezzo alle reclute in
esercitazione, il secondo risponde che era già stato in fanteria e comandava un reparto,
essendo allievo ufficiale.
Da subito quindi si configura la pericolosità delle azioni di questi uomini, che mettono a
repentaglio la loro vita ad ogni lancio.
La stanza è buia, la cinepresa inquadra il particolare del torace illuminato dai raggi x, in
una scena che riprende molto lo stile espressionista tedesco.
Le vicende di questa prima parte sono tutte storie comuni di uomini che per poco tempo
possono assaporare un po’ di tranquillità, prima di ripartire per un fronte a loro ancora
ignoto.
Nella terza sequenza Inge nota in un ristorante il caporale Christiansen in difficoltà nel
tagliare del cibo nel piatto. Si avvicina a lui e dopo averlo salutato si siede e lo aiuta. In
un vicolo lì vicino un gruppo di soldati ubriachi cercano di abbordare una prostituta.Dal
buio arriva un altro gruppo di militari che rimproverano i primi e ordinano loro di
ritornare subito in caserma
Il tenente Reiter arriva in automobile ed illumina con i fanali i due gruppi, in
un’immagine molto contrastata, quando un soldato del secondo gruppo giunto in loco si
avvicina e gli dice che sono stati mandati per far rientrare tutti in caserma, in vista della
partenza per il fronte, il giorno successivo alle 4.00. L’ufficiale chiede se si sa la
destinazione, ma l’altro uomo informa che tutto è ancora imprecisato, solo una soffiata
ha ventilato l’ipotesi che la destinazione fosse l’Italia.
Nel frattempo prosegue il dialogo dei due al ristorante. Christiansen spiega ad Inge che
è stato declassato perché si è rifiutato di obbedire all’ordine di uccidere una persona a
245
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sangue freddo, alla stregua di un assassino. Per questo non gli importa nulla di quello
che succederà, paragona se stesso all’orologio rotto che porta nel taschino, ma
l’infermiera gli chiede di darlo a lei per portarlo ad aggiustare.
E’ importante notare come da subito il soldato tedesco abbia una caratterizzazione
positiva agli occhi di chi guarda. Egli dichiara di trovarsi in contrasto con le richieste
più crudeli e ingiustificate del Reich, a costo di compromettere la propria carriera e la
propria sicurezza.20
Nella quarta sequenza il tenente Reiter si affaccia a una finestra. Guarda giù e vede, su
una scalinata di fianco ad una chiesa, tre bambini in costume di scena che cantano una
canzone tipica, “…tre giovani tamburini tornarono dalla guerra…”, che diventerà il
leitmotiv di tutto il film. La canzone popolare francese parla della guerra ma si crea un
forte contrasto in quanto a cantarla sono dei bambini.
Nello stesso momento passano Inge e il caporale, si fermano vicino ad un banchetto che
vende bambole e carillon. L’uomo ne regala uno alla donna, dichiarando subito i suoi
sentimenti, in un gesto romantico e simbolico, che neanche una situazione estrema come
la guerra riesce a cancellare. La serata è tranquilla, il cielo è limpido, e tutto questo crea
contrasto con quello che sta succedendo sui vari fronti e che tra poco toccherà anche i
protagonisti della storia.
Viene poi di nuovo inquadrato il tenente alla finestra mentre li guarda, una donna arriva
alle sue spalle. L’ufficiale rientra ed inizia un dialogo con la donna. Lui sembra
preoccupato mentre lei non vuole lasciarlo partire e si getta fra le sue braccia.
Dopo una dissolvenza viene inquadrato un fiume , è buio, e Inge e il caporale
passeggiano mentre in sottofondo resta la musica dei tre tamburini.
20
L.L. Ghirardini, op. cit., pp. 102 – 103.
246
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La quinta sequenza si svolge in caserma. Un militare in piedi chiama per nome tutti i
soldati e da loro indicazioni su dove devono recarsi per partire. Entrano Inge e il
caporale, subito viene detto a lui dove deve andare, “si parte per il fronte”. Inge
domanda: “Si sa dove ci mandano?” ( anche lei quindi partirà per il fronte ), mentre la
voce fuori campo del militare risponde: “ Lo Stato Maggiore vuole farci una sorpresa” .
La sequenza si chiude con i primi piani alternati di Inge e Christiansen, che si guardano,
lui la ringrazia ma subito viene spinto via da un altro militare di fretta.
II parte : Italia
La prima sequenza parte con una voce fuori campo che spiega la situazione: “ Così il
Primo Reggimento giunse in Italia, coprì la ritirata alle forze dell’Asse dalla Sicilia alla
Calabria. E infine, quando il fronte si stabilizzò sul Volturno sotto la spinta degli
Alleati, il Primo Reggimento costituì il primo velo di resistenza sul fiume.”
I paracadutisti tedeschi furono infatti protagonisti delle battaglie in Sicilia e un
reggimento inviato dalla Francia meridionale fu lanciato a sud di Catania per correre in
aiuto delle forze già presenti sul luogo a combattere l’avanzata alleata, che proseguì
però senza troppi indugi fino ad arrivare a quella che sarà la linea Gustav.21
Le immagini che scorrono sullo schermo sono di chiara origine documentaria. La
sequenza inizia con la vista del cielo popolato di aerei che sganciano un gran numero di
paracadutisti, uno dei quali viene inquadrato fino a quando non giunge a terra. Il
territorio tutto intorno è montagnoso e caratterizzato dallo scoppio di numerosi ordigni,
che influenzano il movimento di macchina. Subito dopo un soldato è in una buca del
terreno e si appresta a sparare, altri militari sono coricati per terra. Un militare spara,
21
. Una particolarità: a Catania i Diavoli verdi si trovarono di fronte ai paracadutisti inglesi della I
Parachute Brigade, che venivano soprannominati Diavoli rossi . J.Y. Nasse, op. cit., p. 99
247
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mentre vicino ad una strada si notano delle esplosioni che provocano fumo e polvere.
Altri soldati in primo piano sparano, inquadrati da diverse angolazioni, mentre in
sottofondo si ode solo il frastuono di bombe e proiettili. Due soldati, questa volta a
figura intera, corrono verso la cinepresa. Viene poi inquadrato un caseggiato circondato
da alberi vicino al quale scoppia un ordigno. Viene ripresa un’azione tra le vie di un
centro abitato, dove i soldati corrono e cercano riparo tra le macerie delle case che sono
appena state bombardate. 22
Un soldato alza la testa in primo piano, mentre il territorio in lontananza si vede
continuamente martoriato dalle deflagrazioni, che in una inquadratura successiva si
fanno più vicine. In un piano sequenza la macchina da presa segue la successione delle
bombe che esplodono e si ferma su due soldati nascosti tra le rocce. Nel momento in cui
i due alzano la testa si può notare che il montaggio delle immagini documentarie è
terminato, perché si riconoscono il caporale Christiansen e un altro militare, che
esordisce dicendo: “ E pensare che qui ci si viene in viaggio di nozze!”. E’ una battuta
ironica che serve però a delineare la gravità della situazione. La guerra si mostra da
subito in tutta la sua violenza, sia nei filmati documentari che nel film vero e proprio
Un soldato accosciato chiede ai due se tutto è a posto, i due annuiscono e uno di loro si
alza e inizia a correre. Sullo sfondo il paesaggio è montagnoso, tipico della zona
intorno alla città di Cassino, si avvicina per soccorrere un suo commilitone che sembra
ferito (Hugo), mentre alle loro spalle si notano altri soldati.
In un’altra inquadratura tre soldati saltano da un muretto e si nascondono dietro di esso.
Un tenente chiede se il cavo è stato danneggiato, una voce off risponde negativamente,
allora un soldato da ordine al di là del muro di ripararsi, mentre il tenente ordina:
22
Questo tipo di immagini, molto utilizzate nei film di genere bellico, sono in realtà abbastanza
generiche, non si può provare che siano realmente riferite alla battaglia in questione.
248
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“Contatto!”, dando il via con un movimento del braccio. In primo piano vengono
inquadrate due mani che ruotano una manopola e subito dopo un grande ponte con archi
viene distrutto dalle cariche esplosive. Il rumore dell’esplosione è forte e molto fumo si
solleva con lo scoppio. Le immagini si susseguono veloci e il ritmo sostenuto crea un
senso di drammaticità, mostrando in un breve arco di tempo una sequenza di numerosi e
tragici avvenimenti. I soldati sono al riparo tra le rocce e la vegetazione, le loro voci e i
loro commenti restano in sottofondo, come se il fragore delle bombe avesse attenuato
qualsiasi altro rumore, mentre i tre in primo piano aspettano a parlare. Poi il soldato che
si trovava con il caporale dice: “Sopra di noi lo splendido cielo d’Italia, davanti a noi la
verdeggiante valle del Volturno – la cinepresa fa una panoramica sulla vallata (figura 3)
-. Ho il presentimento che ci resteremo per un pezzo qui.” Ancora ironia, che crea però
il senso del dramma che i soldati stanno vivendo e un presagio sulla lunghezza delle
azioni che avverranno in questa zona.23
Figura 3. Panorama sulla valle del Volturno
In un’altra inquadratura due soldati a figura intera camminano passando dietro ad una
pianta e uno dice, riferendosi alle parole dell’altro militare: “Questa volta l’ha detta
23
Solo per quanto riguarda la battaglia di Cassino, i combattimenti durarono da Gennaio a maggio del
1944, ma i combattimenti sulla linea Gustav durarono molto più a lungo. V. Rossetti, La battaglia di
Cassino, in www. dalvolturnoacassino. it.
249
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giusta, al punto in cui siamo non c’è dubbio…” L’immagine si oscura e lascia il
discorso non finito.
La seconda sequenza si svolge in un interno, in un palazzo antico. Molti ufficiali sono
riuniti in una sala24 e chi parla riprende le parole interrotte del soldato che chiude la
sequenza precedente. Inizia infatti dicendo: “ … che le nostre posizioni lungo il
Volturno potranno essere mantenute, dovremo fortificarle rapidamente, con tutti i mezzi
a nostra disposizione.” La cinepresa inquadra un ufficiale di spalle vicino alla porta.
Raggiunge un gruppo di graduati tedeschi, chi parla ha dietro di sé una grande carta
geografica. Viene in seguito inquadrato un anziano ufficiale25 (figura 4) che inizia in
primo piano un lungo discorso: “ Signori, gli ordini dello Stato Maggiore sono di
resistere ad oltranza su questa linea fino all’impossibile – l’uomo si dirige verso un
gruppo di ufficiali che lo ascoltano vicino ad una carta geografica-. Motivo: dobbiamo
impedire che gli Alleati occupino la capitale italiana e inoltre, cedendo su questo
fronte,- la cinepresa inquadra la carta geografica all’altezza dei luoghi di cui si sta
parlando, dando anche allo spettatore la possibilità di collocare nello spazio l’azione che
si sta svolgendo - dovremo ritirarci sulla pianura padana.26 Qui, con caposaldo a
Cassino, che verrà presto evacuata da tutta la popolazione civile27, farà perno la linea
fortificata Gustav
28
. In tal modo bloccheremo la via Casilina, la strada per Roma, al
24
Nell’Articolo del Colonnello Schlegel per Die Osterreichische Furche ( Vienna, 3 Novembre – 1
Dicembre 1951 ) si legge che, ai primi di ottobre 1943, il generale Conrad, Comandante della divisione
Hermann Goering, chiamò a raccolta i capi di Reggimento e i comandanti di Brigata e, con una carta
topografica in mano, indicò i punti dove si sarebbe dovuto creare un fronte di resistenza. In E. Grossetti –
M. Matronola, op. cit., pp. 211 – 212.
25
E’ il generale Conrad.
26
Come avverrà in seguito con la costruzione della Linea Gotica. In Liddel Hart, Storia militare della
seconda guerra mondiale, pp. 754 – 759.
27
Il primo bombardamento sulla città di Cassino ebbe luogo già il 10 settembre del 1943, secondo la
relazione di don Angelo Pantoni, contenuta in Grossetti – Matronola, op. cit., p.10.
28
Grazie alla mobilità, all’audacia e all’ostinazione dei paracadutisti tedeschi, Kesselring riuscì a
costruire lentamente la Linea Gustav, che nell’inverno del 1943 bloccò gli Alleati mentre le forze
tedesche si ritiravano dall’Italia. In J.Y. Nasse, op. cit., p. 107.
250
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nemico. Questo sarà certamente l’epicentro della lotta, l’accesso alla vallata del Liri,
dove le armate anglo- americane sarebbero in grado di manovrare a largo raggio con i
mezzi corazzati – inizia una serie di primi piani di ufficiali che ascoltano chi parla, e di
altri soldati dietro di loro-. Inoltre al nord la vallata è dominata dal monastero di
Montecassino, che assume quindi un’importanza strategica di prim’ordine.” Viene
inquadrato un altro graduato in primo piano29 (figura 5), dietro a lui si trova una carta
geografica dell’Europa; l’uomo si mette gli occhiali e si gira a sinistra. La cinepresa va
ora ad inquadrare un disegno, appeso al muro, rappresentante il monastero sulla collina .
Il colonnello Schlegel avrà una grande importanza nelle vicende legate al monastero di
Montecassino, per questo il suo viso, già da subito, viene accostato all’immagine del
monastero.
Figura 4. Il generale Conrad
Figura 5. Il colonnello Schlegel
Un altro ufficiale replica: “ Luogo ideale per installarci un osservatorio per
l’artiglieria”.
Schlegel resta davanti al disegno in primo piano, in secondo piano l’ufficiale anziano
cammina mentre parla ,continuando il suo discorso: “ Sì, sarebbe molto utile, infatti, ma
29
E’ il colonnello Schlegel.
251
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gli ordini dello Stato Maggiore ci impongono di escludere il monastero dal nostro
sistema difensivo.” 30
Alle ultime affermazioni si leva una voce di protesta, allora l’uomo si gira verso chi ha
parlato e gli ricorda che il loro unico compito è quello di eseguire gli ordini senza
discutere (figura 6). Poi chiama un altro militare e gli ordina di leggere il comunicato
arrivato dallo Stato Maggiore. L’uomo prende il foglio tra le mani e legge: “ Dovete
inoltre ricordare che lungo il perimetro approssimato del monastero saranno
tassativamente proibiti lavori di fortificazione, non bisogna dare al nemico alcun motivo
per bombardare un luogo che rappresenta un monumento universale di civiltà, di cultura
e di arte31.” Ancora una volta il viso di Schlegel viene alternato al disegno raffigurata
l’abbazia, continuando a creare un senso di attesa, come se qualcosa stesse per accadere,
coinvolgendo sia l’uomo che l’edificio.
Figura 6. Il generale Conrad tra gli ufficiali tedeschi
30
Il 24 ottobre 1943 Hitler affidò il comando di tutte le truppe tedesche in Italia al Feldmaresciallo
Kesselring. Questo nominò Frido von Senger und Etterlin comandante del XIV Panzerkorps sul fronte per
la difesa di Roma, circa 75000 uomini inquadrati in cinque divisioni. Von Senger, fervente cattolico e
membro laico dell’Ordine di San Benedetto, ordinò da subito di costituire una zona neutrale intorno al
monastero, che non doveva essere coinvolto nei combattimenti. In Cassino 1944: un’abbazia
all’inferno,p. 47 – 51.
31
Cassino, 1944: un’abbazia all’inferno, pp. 47 – 51.
252
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Fuori campo si ode la voce del generale Conrad, che termina il suo discorso: “Già,
dipende da voi, signori, mantenere le linee attualmente occupate finché la linea di
resistenza Gustav, ai lati di Montecassino, non sarà finalmente ultimata.”
Una dissolvenza chiude la sequenza.
Nella terza sequenza i profughi risalgono la collina verso il monastero. Nel diario di
Don Tommaso Leccisotti si apprende che l’afflusso di profughi verso il monastero
iniziò dopo il 10 settembre, quando fu presa di mira la città di Cassino 32.
Il paesaggio è soleggiato, la terra è secca e polverosa, l’atmosfera trasuda calore, che
rende ancora più duro il cammino di quelle persone.
Con una dissolvenza la macchina da presa si fissa su una coppia con un carretto trainato
da un asino: l’indugiare su di loro fa supporre che avranno un ruolo importante
nell’economia della storia (figura 7).
Figura 7. La coppia col carretto
All’arrivo al monastero la musica da cupa e carica di suspense diventa quella di un
organo che intona un Alleluia, come se il traguardo raggiunto fosse una sorta di terra
promessa dove il popolo degli sfollati può finalmente ripararsi e trovare asilo al sicuro.
Ancora una dissolvenza chiude la sequenza e sposta l’azione all’interno dell’ abbazia,
dove si svolge la quarta sequenza.Queste dissolvenze, come si può notare, servono
32
E. Grossetti – M.Matronola, op. cit., p.134.
253
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generalmente per passare da un luogo all’altro o da un momento all’altro, ma senza un
taglio netto.
I profughi entrano in una grande sala, tutta a volte e colonne. In avanti vengono le
donne e i bambini, i soggetti più deboli e indifesi, dalla parte opposta gli uomini. Una
donna con due bambini sbagliano direzione, poi un monaco li recupera e li manda nel
luogo giusto. Lo spaesamento delle persone all’arrivo è evidente e lascia trasparire il
senso di paura e confusione che provano.
Viene inquadrata la fila delle donne con i loro bambini, un monaco è alla fine della
coda, e giunge poi ad un tavolo dove un’infermiera, di spalle, aiutata da un altro
monaco, sta vaccinando dei bambini. In primissimo piano due mani si scambiano una
siringa. L’inquadratura passa davanti al tavolo, l’infermiera è Inge,33 qui sta facendo
un’iniezione ad un bambino che piange, aiutata da un religioso, e per consolarlo gli
offre del cioccolato (figura 8).
Figura 8. L'infermiera vaccina i bambini
Dietro di loro c’è una grande folla di civili, dietro ancora le arcate del monastero. Il
bambino tocca l’orologio che Inge porta al collo, quello donatole dal caporale
Christiansen. La donna inquadrata all’esterno col carretto fa un balzo in avanti, spinge
33
Nei testi consultati, specialmente i diari dei monaci di Montecassino, precisi e ricchi di particolari
anche per quanto riguardava i loro rapporti con i militari tedeschi, non si trova nessuna annotazione
riguardo al fatto che i detti soldati si occuparono di vaccinazioni o altre distribuzioni di farmaci.
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Inge e inizia ad accusarla: “ Voi maledetti, siete tutti maledetti,vi siete intrufolati
dappertutto, siete entrati nelle nostre case e ci avete buttati come cani in mezzo alla
strada…” Alla fine va a calmarla l’uomo che c’era con lei. La donna ruba l’orologio ad
Inge e la accusa di averlo a sua volta rubato, mentre alle sue spalle arriva l’uomo,
riprende l’orologio e lo riconsegna all’infermiera. Anche quando non si vedono più,
continua a sentirsi la voce della donna che strilla.
Questa scena è importante per delineare il carattere dei personaggi: l’infermiera si
dimostra subito un personaggio estremamente positivo, che aiuta i disperati accorsi al
monastero, e di riflesso ci si può aspettare che anche i soldati tedeschi arrivati in Italia
con lei siano altrettanto buoni. Per contro l’altra donna si dimostra come un elemento di
disturbo, carattere che manterrà nel corso di tutta la pellicola.
La cinepresa torna ad inquadrare Inge, che continua nella sua opera. La bottiglietta
mezza vuota contenente quel che resta del vaccino fa intuire che la donna ha lavorato
tutto il giorno per aiutare i bambini sfollati da Cassino. Inge, per volere del maggiore
medico, regala la bottiglietta al monaco che si trova con lei, continuando ad accrescere
l’aspetto positivo dei militari tedeschi.
All’esterno, nella loggia del Bramante, Inge, di spalle, ammira il luogo, mentre il
monaco la segue guardandola. Entrano in una porta (figura 9), sulle pareti della stanza ci
sono nicchie con statue e quadri. Montecassino è un importante centro artistico, si
capisce da subito, e la donna resta ammirata da tanta bellezza.
Il frate si chiama Don Emanuele34 e dice di essere da quattro anni a Montecassino,
prima era in Germania a Beuron. La donna commenta: “Una milizia anche la vostra,
eh?”, facendo probabilmente riferimento al fatto che sia i militari che gli ecclesiastici
34
E’ don Emanuele Munding, monaco beuronense di stanza a Montecassino da qualche anno, che
compare nei diari dei monaci già citati e che grazie al fatto di parlare la lingua tedesca, fu molto utile
come interprete . Grossetti – Matronola, op. cit., p. 24.
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hanno una precisa missione da compiere e in questo caso la missione è la stessa: aiutare
i profughi di Cassino.
Figura 9. L'infermiera Inge e don Emanuele Munding
Guardano fuori dalla finestra, dove è tornato il sole. Inge si volta e guarda in avanti con
aria stupita: ci sono dei quadri accatastati vicino ad una parete. Inge fuori campo
riconosce un bozzetto di un quadro di Rubens (figura 10)che si trova a Monaco (la
donna si è dimostrata fin dall’inizio, durante il soggiorno ad Avignone, appassionata di
arte).
Figura 10. Il bozzetto del quadro di Rubens
Don Emanuele le dice che, se ci tiene, può chiedere ai suoi superiori di mostrarle tutti i
tesori del monastero. Quelli presenti nella stanza sono quadri del museo di Napoli
portati lì per salvarli dal vento del sud, ma al monastero giunsero anche le casse di Sua
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Altezza Reale il Principe di Piemonte, quelle del Museo Numismatico di Siracusa e il
“Tesoro” di San Gennaro35.
La quinta sequenza si svolge in una trincea, dove alcuni soldati stanno lavorando (figura
11). Altri arrivano e si abbassano sotto il fuoco nemico. L’uomo che arriva è un
maggiore e dice che ha dovuto fare un baccano d’inferno per avere il materiale
adeguato, e che “da quando hanno affidato il comando al vecchio Schlegel funziona
benone”, dopo aver appreso che anche le munizioni arrivano in abbondanza. 36
Figura 11. Scena in trincea
I soldati che lavorano alla costruzione delle trincee, essendo l’azione ancora ferma
all’autunno del 1943, sono probabilmente impegnati nella costruzione della linea
Gustav. Già all’inizio di ottobre infatti le truppe alleate si trovarono di fronte nella loro
risalita verso Roma ad una barriera insormontabile che correva per lo più lungo la valle
del fiume Volturno. E in questa zona si combatté proprio la cosiddetta battaglia del
35
Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 19 – 20.
In realtà Il colonnello Schlegel era un ex comandante di brigata della Herrman Goering, ma al
momento in cui si svolgono i fatti non lo era già più.
36
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Volturno, a cui presero parte anche le truppe tedesche del battaglione Herrman
Goering37, ma non i paracadutisti.
La sesta sequenza inizia con l’inquadratura di un braccio stretto dalla fascia di uno
sfigmomanometro, mentre un’altra persona sta manovrando l’apparecchio. La cinepresa
sale e inquadra i due uomini in questione: si scopre tramite il dialogo che il paziente è il
colonnello Schlegel (lo stesso uomo che, durante la riunione degli ufficiali, aveva
indossato gli occhiali per guardare il disegno raffigurante Montecassino). Il medico lo
avvisa che il responso è quello previsto e, dopo avergli chiesto se era lui a comandare il
reparto rifornimenti, passa alla sua destra e gli leva l’apparecchio.
Schlegel gli chiede più precisione sul suo stato di salute e il medico gli comunica di
presentare le dimissioni al generale, di fare gli auguri a chi lo sostituirà e di tornare a
casa. Schlegel con espressione felice si riveste. Guarda verso terra e subito viene
inquadrato il suo cagnolino. Il dottore si avvicina al colonnello, dietro di loro una porta
si apre improvvisamente: un uomo entra a chiamare il medico per un’urgenza.
Schlegel, sorridente, finisce di prepararsi mentre il suo cane lo guarda, poi abbassa lo
sguardo e in primo piano si rivolge all’animale: “Torniamo a casa!”. Fa cenno col capo
di uscire, il cane si alza ed esce, seguito subito dal suo padrone, dopo aver ripreso il suo
cappello.
La scena in questione si riferisce sicuramente ad un momento che precede l’inizio di
ottobre del 1943. Infatti in quel periodo il colonnello Schlegel si adoperò per salvare il
patrimonio storico – artistico dell’abbazia, che nella quarta sequenza si trova ancora nel
sacro edificio.38
37
AA.VV., La battaglia del Volturno, in www. dalvolturnoacassino. it. All’azione il battaglione Goering
si presentò con quattro battaglioni di fanteria, un nucleo corazzato, numerosi cannoni motorizzati e una
contraerea.
38
Grossetti – Matronola, op. cit.
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La sequenza continua in esterno: viene inquadrato un arco con davanti dei gradini. A
destra sale Inge, a sinistra esce dall’ombra il cagnolino. La donna si china per
accarezzarlo , nello stesso momento in cui anche Schlegel raggiunge il centro della
scena. Inge si rialza in piedi e alle sue spalle, sulla collina, si distingue il monastero di
Montecassino (figura 12).
Figura 12. Inge e sullo sfondo il monastero di Montecassino
I due iniziano a parlare: Schlegel dice che lui e il suo cagnolino sono felici perché
tornano a casa, Inge invece perché ha visto tutte le opere d’arte del monastero. Il
colonnello, con espressione tesa, sussurra: “Ma non le avevano portate via?”. Inge, nella
sua posizione accosciata, rivela all’uomo che si trovano in quel luogo anche delle opere
del museo di Napoli. Schlegel si fa serio. Schlegel guarda verso il monastero, poi
guarda il suo cane e gli dice che non partiranno, dopo di ché la macchina da presa
finisce con l’inquadrare il monastero.
In realtà non è ben chiaro il motivo della battuta di Schlegel riguardo al fatto che
qualcuno avrebbe già dovuto portare via il patrimonio del monastero. Infatti, secondo le
fonti analizzate, che riprendono sia il punto di vista dei monaci che quello del militare
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tedesco, lo stesso Schlegel si occupò totalmente dell’operazione, dai primi accordi presi
con l’abate, ai rifiuti iniziali, allo sgombero delle opere.39
La settima sequenza inizia con una panoramica del paesaggio poco illuminato, si nota
solamente qualche albero e terreno incolto. Un soldato tedesco è coricato a terra
nascosto e alza la testa per guardare l’orizzonte con un binocolo, si sente solo il rumore
degli aerei in lontananza. L’inquadratura successiva è ripresa dal punto di vista di
questo militare, ha infatti la forma delle due lenti del cannocchiale: si vede un fiume
(figura 13).
Figura 13. Il fiume osservato attraverso il binocolo
Ritorna quindi una nuova sequenza dedicata alla guerra vera e propria.
Due soldati coricati in una tenda al buio, si sente in lontananza il suono di un’armonica
(figura 14). Il caporale Christiansen parla con un soldato coricato per terra che sta male.
Un altro soldato lo manda via. Gli chiede cos’abbia, l’altro alza la testa e poi si alza in
piedi e dice: “A casa non hanno notizie di papà”. Gli accende la sigaretta e gli chiede:
“Dov’era ultimamente?”, “Sul fronte russo” risponde il giovane. Il secondo si alza e
dice: “Anche mio padre è stato lì, però tre mesi fa è tornato a casa”. Il suo viso è ben in
luce e pensoso, lo sguardo perso nel vuoto. Si sente il primo che piange.
39
Grossetti – Matronola, op. cit.
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Figura 14. Un soldato suona l'armonica
L’atmosfera fumosa e rarefatta della scena serve per creare un forte senso di attesa,
come se qualcosa stesse per succedere. Per quanto riguarda i personaggi è importante
notare come neanche la guerra riesca ad annullare i rapporti umani che intercorrono fra
di loro. In momenti di sofferenza come questo, dove si teme per la vita di una persona
cara, anche in trincea si trova un amico con cui parlare, una persona del tutto umana e
disponibile come risulta qui questo militare tedesco, assolutamente contro lo stereotipo
dei tipici militari tedeschi che il cinema ci ha abituato a vedere.
Nell’inquadratura successiva il caporale sale su delle rocce. L’altro soldato corre verso
quest’ultimo e gli dice di scendere subito per non farsi ammazzare. Poi lo afferra per le
spalle e gli dice: “Ficcati in testa che qui l’unica cosa che possiamo dire è signorsì e
sparare a qualche poveraccio che dall’altra riva tira fuori la testa, Karl”40.
Si sente urlare “Allarmi!” e i due si girano di scatto. Viene inquadrata in cielo una
bomba sganciata di cui si sente anche il rumore. Il soldato scappa tra le trincee mentre
dietro di esse si vede lo scoppio, altre esplosioni colpiscono il terreno a destra e a
sinistra. Altri soldati corrono nella stessa trincea.
La dissolvenza che segue introduce una serie di immagini documentarie della guerra
vera e propria.
40
In battute come queste si svela il vero intento del film, cercare cioè di sottrarre i soldati tedeschi da
qualsiasi colpevolezza riguardo al loro comportamento in guerra, teso solamente ad eseguire gli ordini
provenienti dall’alto.
261
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Viene inquadrato un fiume41, sulle sue rive le deflagrazioni sono numerose e si sente
solo il loro frastuono, una barca raggiunge la riva mentre la cinepresa trema per le
esplosioni. Vengono poi ripresi diversi mortai e cannoni, che sparano in altrettante
direzioni, con o senza soldati inquadrati. Un’altra esplosione avviene sulla sponda del
fiume, mentre una barca si sta avvicinando, poi un’altra ancora oscura completamente la
visuale con la polvere che produce e fa cadere per terra la cinepresa, che torna poi ad
inquadrare il fiume con un’altra imbarcazione. Sull’acqua ancora scoppi e una barca è
ancora nel mezzo e non viene distrutta dalla bomba che cade poco distante e raggiunge
la riva, inquadrata frontalmente (figura 15).
Figura 15. Una barca raggiunge la riva
Da questo punto riprende il girato del regista. Un soldato è nascosto dietro a dei massi,
mentre il caporale e un altro corrono nella trincea . Il caporale si avvicina a un militare
che sta sparando e gli dice di non sparare a casaccio. Oltre la trincea si vedono in
lontananza dei nemici che corrono verso di loro.
Il caporale compare in primo piano: “Fuoco a volontà!”. Segue poi una carrellata sui
suoi compagni che sparano e dall’altra parte i soldati alleati tra i proiettili. Al di là della
41
IL fiume inquadrato è il Rapido, presso il quale si svolse una violenta battaglia nel mese di gennaio del
1944, che costò la vita a circa 1680 uomini della 36^ Divisione Texas. Ma questa battaglia non fu
combattuta dai paracadutisti tedeschi, bensì dalla 15^ Divisione Panzergrenadier ( divisione di fanteria ).
Oltre all’errore sulle parti contrapposte nella battaglia si nota anche quello della collocazione temporale
all’interno del film, nel quale l’azione è ancora ferma all’autunno del 1943.
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trincea i nemici sono in lontananza. Altre inquadrature si susseguono all’interno e
all’esterno delle trincee, dove i nemici, urlando, cominciano a cadere sotto il fuoco
tedesco.
All’interno della difesa due uomini lanciano una bomba a mano e poi si mettono al
riparo. Quello di sinistra dice all’altro: “Hanno aperto un varco sulla sinistra, se
avanzano ritiratevi” e l’altro continua: “Ci spostiamo sul costone di ghiaia”. Dopo di
che il primo si muove per andare al comando.
Ancora una sequenza di guerra, quindi, che seppur non del tutto verosimile fa capire la
violenza e la crudeltà della guerra, dove ognuno fa quello che può per salvarsi la vita,
non senza però pensare anche ai suoi commilitoni.
Nella ottava sequenza l’azione si sposta in interno e inizia con l’inquadratura in
particolare di un dito che punta su una cartina geografica, poi la cinepresa allarga sul
generale anziano già menzionato, Conrad, e su un altro ufficiale. L’espediente della
carta geografica, come si è già notato,serve principalmente come aiuto allo spettatore,
che attraverso di essa riesce a collocare in modo più preciso gli eventi nei loro luoghi.
Il primo dice: “Ecco, qui è il punto nevralgico dove sta Zillert, se non manteniamo le
posizioni dopodomani avremo gli Inglesi a Cassino, davanti alle fortificazioni
incomplete, allora addio linea Gustav”. Anche questa battuta conferma il fatto che la
battaglia non è ancora arrivata a Cassino, anche se ormai i combattimenti si stanno
avvicinando sempre di più.
Sono vicini alla porta, quando entra un altro soldato dicendo: “Il tenente Reiter del
Primo42 chiama sulla linea due”; il generale chiede da dove parla e l’altro gli risponde
che si trova al comando di battaglione. Il generale prende in mano il ricevitore. Chiede
42
Primo reggimento paracadutisti
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subito se gli Inglesi hanno messo in azione i carri armati. L’inquadratura passa poi al di
là del filo, dove, in una postazione di fortuna, il tenente si trova assieme ad altri uomini
(figura 16). Il rumore è assordante e l’ambiente è molto buio, il tenente urla, siamo nel
pieno della battaglia: “Non ancora, generale, penso che non riusciranno a farlo43. Se mi
riesce stanotte tenterò un attacco di sorpresa per tagliare fuori la loro testa di ponte”.
Dopo queste parole la postazione viene raggiunta da un ordigno, il soffitto cade e i
soldati si abbassano per mettersi al riparo. Il tenente commenta: “Siamo di nuovo
isolati”, poi si voltano di spalle ed escono dalla porta.
Figura 16. il tenente Reiter al telefono con il generale Conrad
Si torna poi nella trincea, dove Karl sta sparando e un altro soldato lo raggiunge
dicendo: “Hei Karl, hanno acceso le stufe!”, indicando a sinistra, dove la macchina da
presa inquadra subito dopo nel buio i bagliori dei lanciafiamme. E’ sempre quel soldato
che ironizza sulla situazione altamente drammatica e pericolosa che stanno vivendo.
Nel trinceramento i soldati dapprima si nascondono, poi scappano, e l’ultimo, girandosi
verso la cinepresa, dice: “Qui finiamo arrostiti, via!”, poi toglie la sicura ad una bomba
43
I mezzi pesanti degli Alleati hanno avuto poco utilizzo durante le battaglie su questa linea, sia per la
natura del territorio, caratterizzato da aspri rilievi montagnosi, sia per le condizioni climatiche che si
svilupparono dall’autunno del 1943, quando una pioggia incessante iniziò a battere sui campi di battaglia.
Anche il Generale Clark, nel già citato libro Quinta armata Americana,fa una lunga descrizione delle
condizioni climatiche che si trovò a fronteggiare.
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e la lancia. La macchina da presa inquadra all’esterno la deflagrazione di questo
ordigno. All’interno si inquadra ancora un soldato che scappa, poi la cinepresa si
abbassa verso terra e inquadra, soffermandosi, un militare morto, e precisamente il
ragazzo che nelle sequenza precedenti temeva per il padre il Russia. L’immagine della
morte risulta essere, per i suoi toni contrastati e per il silenzio che la contraddistingue,
molto drammatica e realistica. La sequenza termina con una dissolvenza.
Nella nona sequenza molte persone sono inquadrate mentre percorrono a piedi una
strada in salita, passa una macchina e la cinepresa la segue, riprendendola da dietro, fino
alla fine della strada, dove si trova il monastero. L’automobile si allontana e la cinepresa
riprende tutto il piazzale antistante gremito di gente, poi si ferma davanti al portone
dell’abbazia (sopra all’arco la scritta PAX è riconoscibile).
Scendono dalla macchina il colonnello Schlegel e l’infermiera Inge, mentre l’autista
resta seduto. La ragazza alza gli occhi al cielo e dice: “Bombardieri”44, mentre la
cinepresa inquadra il cielo popolato di fortezze volanti, si sente solo il loro rumore, e
l’ufficiale nota che sono molto bassi. La conversazione fra i due continua giù dalla
vettura, mentre Schlegel si sistema la divisa, Inge decide di non entrare e di tornare con
l’autista. Il primo dice: “Se l’abate non decide entro oggi non faremo più in tempo;
forse ci siamo fidati troppo di padre Emanuele”45, Inge ribatte: “Ma mi aveva promesso
il suo appoggio” e l’uomo conclude: “Si vede che non è stata convincente”.
44
Nei diari dei monaci di Montecassino gli avvistamenti di aerei sopra al monastero, in questo periodo,
sono quotidiani. Grossetti – Matronola, op. cit.
45
La visita all’abbazia del colonnello Schlegel non è la prima. Secondo l’articolo da lui scritto e già citato
e secondo i diari dei monaci, Schlegel è giunto per la prima volta al monastero il 14 ottobre, ottenendo un
secco rifiuto dall’abate sulla possibilità di mettere in salvo il patrimonio artistico del monastero; è
ritornato il giorno dopo per parlare con don Emanuele Munding, la cui origine tedesca gli avrebbe creato
meno difficoltà nello spiegare la situazione e presso il quale avrebbe chiesto intercessione presso gli altri
monaci. Ma il via libera definitivo fu concesso solo il 16 ottobre dall’abate, dopo una lunga consultazione
con i suoi monaci.
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Secondo le cronache dell’epoca, con la visita del colonnello Schlegel al monastero, si
possono collocare i fatti intorno alla metà del mese di ottobre, anche se come già
accennato il film non è chiaro riguardo alla successione dei colloqui del militare al
convento. Chiaramente è da considerare di pura invenzione filmica la presenza
dell’infermiera, in quanto, se Schlegel andò a Montecassino con qualcuno, quel
qualcuno era il Capitano medico Becker, anch’esso interessato allo sgombero del
patrimonio artistico del monastero.46 Entrambi interessati alle opere d’arte, si
dichiararono inviati dal generale Conrad, comandante della divisione corazzata Goering
e con l’intesa del Ministro dell’Educazione Nazionale.47
Inge guarda in alto ed è poi richiamata dall’autista: “Se quelli prendono di mira la via
Casilina qui siamo proprio sotto tiro”. Inge sale e la macchina parte. Di nuovo la vista
torna sul piazzale davanti al convento, dove la gente corre verso l’alto, verso il
monastero, mentre in senso contrario arriva l’automobile, che viene verso la cinepresa e
frena bruscamente proprio quando si trova quasi a contatto. La macchina da presa
inquadra una donna, proprio davanti alla macchina, che li ha bloccati. E’ ancora la
donna che aveva accusato Inge durante le vaccinazioni, e anche in questa occasione la
sua rabbia esplode verso i Tedeschi: “Dove andate? Vi squagliate sotto le bombe!”.
Ancora una volta arriva suo marito e la porta via. I due vengono inquadrati mentre
scappano, poi si fermano e si girano a guardare la macchina, ma subito dopo riprendono
la fuga insieme agli altri profughi verso Montecassino. Si sente solo il rumore delle
bombe e degli aerei. Ancora una volta il fatto che ci sia una protesta contro i militari
tedeschi è un caso isolato che viene sempre dalla stessa persona, come se tutte le altre
46
F. Ficarra, Cassino 1944. Un’abbazia all’inferno, pp. 31 – 35 e Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 19 –
24 e 134 – 141.
47
Gli avvenimenti riguardanti i mesi di settembre e ottobre del 1943 sono trattati soprattutto nel diario di
don Tommaso Leccisotti, in Grossetti – Matronola, op. cit, pp. 134 – 141.
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fossero invece dalla loro parte. La donna continua ad essere l’elemento di disturbo del
film.
La decima sequenza racconta il colloquio tra Schlegel e i monaci di Montecassino.
L’abate Diamare è in piedi insieme ad un altro monaco, entrambi in silenzio. Il primo si
va a sedere dietro alla scrivania, poi la cinepresa allarga e inquadra altri quattro monaci
intorno a lui , mentre Schlegel è di spalle, di fronte all’abate (figura 17). Sul muro dietro
ai frati è appeso un grande crocifisso, che nella fattispecie può essere considerato un
simbolo della passione che stanno vivendo i monaci dell’abbazia durante la guerra.
Figura 17. Incontro tra i monaci e Schlegel
Schlegel inizia a parlare: “Le truppe alleate attaccano, la situazione si fa grave, volete
insistere ancora nel vostro rifiuto?”48. Successivamente è la volta dell’abate: “Siamo
convinti che, come fate voi, anche gli Alleati non toccheranno il monastero”. Schlegel
ha il viso preoccupato: “Gli sviluppi di una battaglia sono imprevedibili e
incontrollabili. Tutto può succedere perché gli uomini non conoscono ostacoli ne’ pietà
quando infuriano i combattimenti.Una bomba potrebbe cadere, cadere qui, sia pure per
sbaglio, casualmente, e questo provocherebbe la distruzione di numerose opere d’arte
che noi abbiamo il dovere di salvare. Di questo dovete convincervi”.
48
Quindi questa non è la prima visita del colonnello al monastero.
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L’abate è ancora seduto in primo piano: “Noi non neghiamo questa possibilità, ma ci
rimettiamo alla volontà del Signore”. Schlegel in primissimo piano: “Acconsentite
almeno di lasciarmi portare a Roma quelle opere che hanno maggior valore, lì saranno
al sicuro”. Ma l’abate sembra non sentire ragioni: “Ci abbiamo riflettuto su con la più
grande serietà tutta la notte, ma la nostra risposta rimane no”. 49
Schlegel replica: “Forse non vi fidate di me50, che possa dirottare i camion verso altri
luoghi – sorride - , perché non fare una prova con due camion facendomi accompagnare
da due sacerdoti? Loro potrebbero testimoniare dell’avvenuta consegna, no?”. L’abate
scuote la testa per negare, poi la cinepresa passa su un primissimo piano del colonnello:
“Non ho altro da dire”, ma mentre si sta allontanando si gira e torna a guardare l’abate:
“Vi sarei molto grato se non faceste parola con nessuno di questo colloquio”, l’abate
preoccupato chiede la ragione e Schlegel risponde: “Avrei dovuto sottrarre dei camion
indispensabili ai nostri rifornimenti per poter compiere quel trasporto a Roma, una
specie di alto tradimento”. La cinepresa inquadra poi due monaci in primo piano davanti
al crocifisso, un altro frate è vicino alla finestra, l’abate guarda ancora il colonnello, che
a sua volta lo guarda. Lo scambio di sguardi tra i presenti nella stanza fa capire
l’importanza della dichiarazione, che in realtà non ci fu, perché i monaci si sentirono
quasi i obbligo verso i militari tedeschi, non potevano disubbidire ai loro ordini.51
Schlegel si inchina, si volta e va via, sempre più lontano. L’abate chiede al colonnello di
aspettare un momento e di avvicinarsi a lui; l’ufficiale quindi si volta e l’abate esprime
le sue nuove decisioni: “Siete disposto ad accordare un altro termine al convento?”. Un
ultimo primissimo piano di Schlegel conclude il discorso e la sequenza: “Se ho imparato
49
Sui colloqui privati tra i monaci Grossetti – Matronola, op. cit., p.19.
Il problema e la sua soluzione vengono proposti dal colonnello all’abate e si possono leggere a p. 219
del già citato articolo scritto dal colonnello Schlegel. In E. Grossetti – M. Matronola, op. cit.
51
Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 19 – 21.
50
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qualche cosa sotto le armi è questa: è molto meglio agire un giorno in anticipo che un
minuto in ritardo. Gradirei una risposta al più presto.” E si conclude con una
dissolvenza. Durante tutta questa sequenza le battute principali del dialogo sono
pronunciate dai personaggi ripresi in primissimo piano, e questo aiuta a creare
l’importanza e la solennità del momento.
L’undicesima sequenza è ancora tutta dedicata alla battaglia, che continua però a
rimanere imprecisata. Il fatto che si combatta sulle rive di un fiume fa comunque
pensare a due episodi particolari: la battaglia del Volturno52, combattuta tra il 7 ottobre
e il 15 novembre 1943 e lo scontro sul fiume rapido avvenuto tra il 17 e il 22 gennaio
1944 già nel contesto della battaglia di Cassino53. La prima troverebbe migliore
collocazione temporale, dopo aver appurato il fatto che il colonnello Schlegel incontrò i
monaci di Montecassino alla metà di ottobre del 1943, ma ambedue le battaglie sono
forzate dal punto di vista storico. Infatti i paracadutisti tedeschi non presero parte a
nessuna delle due.54
Quattro soldati sono su una barca, è buio e uno di loro dice: “Io penso che se il
colonnello porta a casa la pelle, quando torna andrà ai pellegrinaggi”, ma subito un altro
lo zittisce per non farsi sentire dal nemico. Le barche presenti nell’operazione sono in
realtà due, e vengono inquadrate in controluce in un paesaggio nebbioso, mentre remano
silenziosamente (figura 18).
Il tenente avverte i suoi uomini: “Siamo vicini, tenetevi sulla destra quando saremo
sulle vecchie posizioni”. La cinepresa passa poi ad inquadrare il caporale Christiansen,
la barca anteriormente e due soldati, uno dei quali alza gli occhi al cielo, preoccupato,
52
AA.VV. , La battaglia del Volturno, www. dalvolturnoacassino. it.
F. Majdalany, op. cit., p. 65. e F. Ficarra, op. cit., pp. 69 – 75.
54
J.Y. Nasse, I diavoli verdi. Paracadutist5i tedeschi 1939 – 1945. Tutte le missioni dei paracadutisti
tedeschi sono riportate nel testo, ma nessuna delle due è verificabile.
53
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come per far presagire la pericolosità della missione. La cinepresa segue il suo sguardo
e inquadra il bagliore di un razzo sparato nel buio della notte.
Figura 18. Soldati a bordo delle barche
Si avvicinano silenziosamente alla riva e i militari iniziano a scendere. Dal loro punto di
vista viene inquadrata la barca seconda barca con cinque uomini a bordo, mentre il
punto di vista si ribalta quando dalla barca si vedono gli stessi soldati scesi a terra che
corrono a nascondersi; il punto di vista in questa scena è quindi quello dei protagonisti
dell’operazione, e la cinepresa assume il loro sguardo interno, per capire il loro angolo
di visuale.
Si nota in questa scena che in realtà le barche sono delle zattere. Sulla sponda del fiume
i soldati si coricano dietro a costoni di terra, che attraversano all’ordine del tenente di
seguirlo. L’azione si svolge in controluce e l’immagine contrastata crea suspense e
tensione. La cinepresa passa ora al di là dell’altura, è buio, e gli uomini strisciano per
terra per avanzare, i nemici si trovano oltre il nuovo riparo raggiunto.
Si sente la voce fuori campo del tenente che da disposizioni su come nascondere i
candelotti esplosivi tra i cingoli dei carri armati e poi fuggire verso la riva. Il tenente
posiziona il mitragliatore e la cinepresa si unisce al suo sguardo, che osserva i suoi
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uomini avvicinarsi alla postazione nemica. La lotta tra i due gruppi nemici si fa corpo a
corpo, come il più classico dei combattimenti e questo dimostra che la superiorità
tedesca viene alla luce anche senza l’utilizzo delle armi. Il primo soldato alleato si
sposta, mentre uno dei Tedeschi assale quello rimasto fermo. Quando vengono uditi il
primo si gira , ma viene aggredito dal secondo soldato tedesco. Segue una scena di lotta
a terra tra questi ultimi due. I due nemici vengono inquadrati già senza vita, il dramma
aumenta ed è accresciuto dalla vista dei cadaveri.
La cinepresa passa sul tenente: “Ora avete un minuto, via!” e si alza. Ora tutti i soldati
sono di fronte alla cinepresa con le armi in pugno pronti ad attaccare, come una vera
carica eroica che ricorda i film western della Hollywood classica.
Un portellone del carro ad un certo punto si apre e un soldato alleato esce con la testa.
Un Tedesco si inginocchia per sparargli e la macchina da presa si fonde con il suo
sguardo, che comprende, oltre al nemico, anche la canna del suo fucile. Lo sparo
provoca subito la morte dell’uomo. Dietro ad un secondo carro armato invece scoppia
una bomba. Le deflagrazioni si susseguono numerose e l’inquadratura degli uomini che
scappano ripresi da chi guarda oltre la canna del suo fucile è molto simile a quella di
poco precedente. Alcuni soldati si trovano sulla traiettoria dei colpi, e uno di questi,
colpito, cade nell’acqua. Le immagini che seguono sono ancora di sparatorie, fughe e
tentativi di nascondersi. Lo stesso soldato rialza la testa dall’acqua, ma dalla sua bocca
esce del sangue e la morte arriva inevitabile.
La battaglia continua e si sente la voce del tenente che dice ai suoi uomini di mettersi al
riparo. La cinepresa segue la sua corsa insieme al caporale, il tenente trova un riparo e,
in primo piano, posiziona l’arma per sparare. Nello stesso momento il caporale continua
a scappare, quando sul fiume vengono inquadrate le imbarcazioni. L’uomo sale su una
271
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barca a motore e la mette in moto, scende per mollare gli ormeggi e risale rapidamente,
mentre il tenente, cosciente del fatto, non smette di chiamarlo per nome. Ma Karl,
chinato nella barca, se ne va da solo, tra gli spari che colpiscono l’acqua. La sequenza è
chiusa dall’oscuramento totale dello schermo.
Il ritmo di tutta la sequenza è incalzante, veloce, le immagini si susseguono
velocemente e tutto questo crea drammaticità e mostra la velocità con cui si compiono
gli eventi che possono decidere la vita o la morte di un uomo.
Come si verrà ad apprendere più avanti la battaglia appena narrata è quella del
Volturno, combattuta lungo quel fiume tra il 7 ottobre e il 15 novembre 194355, quindi
nello stesso periodo in cui il colonnello Schlegel compiva le sue operazioni di sgombero
del tesoro dell’abbazia. Se la collocazione temporale del fatto questa volta potrebbe
essere verosimile nel contesto del film, è già stato appurato che i paracadutisti tedeschi
non parteciparono alla battaglia, dove il battaglione Goering utilizzò solo mezzi e corpi
di terra.56
La dodicesima sequenza vede protagonista l’infermiera Inge, che è in divisa nello studio
medico e guarda fuori dalla porta a vetri. Si sente bussare alla porta, Inge si gira e si
dirige in quella direzione. Entra un soldato e riferisce alla ragazza che il dottore è ancora
in sala operatoria, ma che lui stesso ha parlato al medico per lasciarla riposare. Inge
spiega all’uomo che non può riposarsi perché il colonnello Schlegel ha bisogno di lei
per fare quello che ha in mente e per questo motivo ha sottratto uomini e mezzi ai loro
impegni primari. La ragazza si riferisce al trasporto delle opere d’arte dell’abbazia fino
a Roma.
55
56
AA.VV., La battaglia del Volturno, www. dalvolturnoacassino. it.
Ibidem
272
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La tredicesima sequenza si apre con l’inquadratura delle ruote di un camion in
movimento; la cinepresa allarga e passa a riprendere tutto il mezzo che ad un certo
punto le passa davanti e continua il suo viaggio inquadrato da dietro, mentre in alto a
sinistra dello schermo compare il monastero di Montecassino57. Visto il discorso della
precedente sequenza si può intuire che i camion tedeschi stiano arrivando al monastero
per caricare le opere d’arte.
Dei soldati tedeschi su un camion passano delle casse di legno ai civili che stanno giù
perché hanno sbagliato a caricarle (figura 19), poi viene inquadrato l’altro camion e un
uomo fuori campo dal primo urla che quelle casse devono trasportarle loro. La gente
sotto al primo camion continua a parlare, la cinepresa resta fissa in questa scena, anche
quando inquadra il militare sul primo camion che si lamenta del fatto che a lui la pittura
non è mai piaciuta, poi gira le spalle e torna all’interno.
Figura 19. Militari e civili lavorano al trasporto delle casse
Per la costruzione delle casse fu utilizzato del materiale trovato in una fabbrica di bibite
nelle vicinanze58, mentre le braccia necessarie furono reclutate tra i militari e tra i
profughi del monastero, che Schlegel convinse con vari stratagemmi a collaborare.59
57
I primi camion con il materiale da utilizzare per la costruzione delle casse che dovranno contenere le
opere, arrivano al monastero domenica 17 ottobre.
58
Dall’articolo del colonnello Schlegel Il mio rischio a Montecassino, in Grossetti – Matronola, op. cit.,
p.220.
59
Ibidem, p. 219 – 220. Schlegel riunì tutti i profughi e disse loro che un’epidemia stava colpendo il
monastero a causa delle precarie condizioni igieniche. Ognuno era quindi invitato a darsi da fare per
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La macchina da presa si muove poi verso sinistra e inquadra un portico sullo sfondo,
davanti al quale due uomini trasportano una cassa con un quadro. L’attività è frenetica.
Al centro del piazzale due camion partono uno di seguito all’altro, mentre le persone
presenti si muovono in continuazione trasportando casse e oggetti vari. Il montaggio è
frammentato e il ritmo veloce, proprio per indicare la frenesia di quei preparativi,
condotti nel minor tempo possibile per evitare qualsiasi possibile attacco alleato che
avrebbe provocato la distruzione di quel patrimonio.
Arriva una macchina e parcheggia davanti al porticato, si sente il rumore della radio, e
dei bambini, attirati un po’ dalla trasmissione e un po’ dalla vettura, si avvicinano
immediatamente (figura 20).
Figura 20. I bambini incuriositi si avvicinano all'automobile
La cinepresa riprende la scena successiva dall’alto, quando l’autista prende un pezzo di
pane, lo spezza e lo distribuisce tra i piccoli. La radio annuncia: “ I paracadutisti del
Primo Reggimento, al comando del tenente Reiter, decorato con la croce di ferro, hanno
riordinare la situazione, anche per rispetto ai padri che li avevano accolti, pena l’espulsione dal
monastero. In questo modo molti se ne andarono e quelli più volenterosi che rimasero furono poi utilizzati
per la costruzione delle casse. I monaci tuttavia non si espressero in modo molto tenero verso i modi
adottati dal colonnello verso i profughi. Nelle parole di don Tommaso Leccisotti si legge : “Requisirono
gli operai per formare le casse fra i rifugiati in monastero…” (p. 136), mentre don Eusebio Grossetti
scriveva : “Degli operai furono rastrellati tra i civili rifugiatisi a Montecassino.”(p. 20).
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eliminato una testa di ponte nemica sul Volturno60.” Arriva un soldato a mezza figura
vicino all’auto: “E dov’è la vittoria finale?”, l’autista risponde: “ C’è ma ce la tengono
nascosta”. Il nuovo arrivato chiede del colonnello Schlegel, l’altro gli comunica che è
andato al monastero ma che è inutile cercarlo, perché in tutti quei chilometri di corridoi
non lo troverebbe. I due uomini sono inquadrati in piano americano, mentre di spalle, in
primo piano, si vedono ancora i bambini. L’autista scende dalla macchina e la cinepresa
lo segue mentre si allontana, poi torna ad inquadrare la macchina vuota, e un attimo
dopo la vettura è popolata dai bambini che giocano all’interno.
Un gruppo di donne stanno parlando vicino al porticato. Tra di loro, a sinistra, la donna
già protagonista di diversi episodi contro i Tedeschi, guarda verso la macchina e vede i
piccoli. La cinepresa rimane ferma sul gruppetto mentre la donna si allontana correndo
per raggiungerli. L’automobile viene inquadrata anteriormente quando i bambini
vengono cacciati. E’ lei adesso a sedersi sulla macchina, commentando: “Ci mancava
anche la radio per fare confusione.” Poi casualmente sente un comunicato importante
(figura 21) e, inquadrata in primo piano, chiama le altre donne.
Figura 21. La donna sente il comunicato alla radio
La radio avvisa: “Amici Italiani, i soldati tedeschi stanno trafugando le opere d’arte che
si trovano nell’abbazia di Montecassino per trasportarle in Germania. Italiani ascoltate!
60
Ancora una volta i paracadutisti prendono il posto delle truppe di terra che hanno combattuto realmente
la battaglia del Volturno. In AA.VV., La battaglia del Volturno, www. dalvolturnoacassino.it.
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Dovete impedire ad ogni costo il saccheggio dei beni della nostra patria, ribellatevi,
collaborate con i patrioti”61.
La donna si alza e si allontana di corsa. Questa volta è protagonista di un episodio che
giustifica la sua ostilità verso i Tedeschi.
La macchina da presa passa all’interno del monastero, dove, in una grande stanza, gli
uomini stanno costruendo delle casse di legno62.
La donna entra, si avvicina al marito Paolo e lo avverte di aver sentito del tentativo di
saccheggio dei soldati tedeschi, pregandolo di andare ad informarsi. Lui se ne va
aggirando il tavolo su cui sta lavorando. Subito arriva un uomo a chiedere informazioni,
ma da dietro arriva un soldato che intima alla donna di lasciar lavorare la gente.
Si torna poi all’esterno, dove nuovamente viene inquadrata la parte anteriore
dell’autovettura. Entra in scena Inge, che si avvicina in primo piano per ascoltare le
notizie della radio (figura 22).
Figura 22. Inge sente lo stesso comunicato alla radio
61
Secondo l’articolo scritto dal colonnello Schlegel e già citato, la radio alleata diede un annuncio che
allarmò tutto il mondo: “ La divisione Hermann Goering sta saccheggiando il monastero di
Montecassino”. In Grossetti – Matronola, op. cit., p.222.
A proposito del possibile tentativo di saccheggio, il giorno 14 ottobre Schlegel non fu il solo a visitare il
monastero nel tentativo di far uscire le opere. Anche il capitano medico Becker , della divisione Hermann
Goering come Schlegel, all’insaputa di questo si recò a Montecassino con lo stesso intento. Becker era un
colto tedesco appassionato di arte che aveva cercato realmente di mettere in salvo il patrimonio artistico
del luogo, col permesso del colonnello Jacobi, che aveva autorizzato l’utilizzo dei camion italiani. Ma
Schlegel era arrivato prima di lui, mandato probabilmente per accontentare il maresciallo Hermann
Goering, che per quel tesoro avrebbe fatto follie. Schlegel inoltre era ex titolare di un’impresa di trasporti
a Vienna, quindi era in grado di organizzare lo spostamento. In Cassino 1944, pp. 31 – 42.
62
I profughi dell’abbazia erano stati costretti a lavorare se non volevano lasciare il rifugio. In Grossetti –
Matronola, op. cit., p. 220.
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La cinepresa passa oltre la macchina e inquadra Paolo in lontananza, uscito per
informarsi sulla situazione. Poi Inge torna in primo piano mentre ascolta la notizie alla
radio: “Impedite ai soldati della Wehrmacht di saccheggiare l’abbazia di
Montecassino”63. Scende dall’auto e corre via. Si avvicina a Paolo e gli chiede se per
caso ha visto il colonnello Schlegel, ma l’uomo alza le spalle.
Inge si trova nel chiostro del Bramante, si guarda un po’ attorno e poi esce di scena
sulla destra accompagnata da una musica concitata. E’ la seconda volta che Inge si trova
nel chiostro, ma la prima volta era solo per ammirare la bellezza del posto e la sua era
una passeggiata, mentre qui è una corsa contro il tempo, per informare i suoi superiori
sulla situazione.
Entra in un interno ripreso dall’alto, una biblioteca (figura 23), dove delle persone
stanno riempiendo degli scatoloni,64 raggiunge il centro della scena e chiede a degli
uomini se hanno visto Schlegel, ma gli uomini negano e lei se ne va di nuovo correndo.
Figura 23. Inge entra nella biblioteca
La scena successiva si svolge in un chiostro, le colonnine che si stagliano in primo
piano sono su due file parallele: davanti, verso la cinepresa, c’è una bambina seduta, al
63
La Hermann Goering si rese protagonista del saccheggio di tutta l’Europa occupata dai tedeschi, ma in
questo caso riuscì a sfruttare l’episodio a suo vantaggio, con un grande miglioramento della sua immagine
pubblica. In Cassino 1944, pp.31 – 42.
64
70000 preziosi volumi della biblioteca furono salvati dal bombardamento, tra l’altro furono le prime
opere messe al sicuro dai Tedeschi. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 221.
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di là delle colonne un soldato tedesco e Inge, che arriva correndo, gli chiede ancora di
Schlegel ma senza risultato. In primo piano passano due uomini, uno con fra le mani un
prezioso reliquiario, l’altro subito dietro di lui lo ferma per avvisarlo che “non è vero
che i Tedeschi portano tutto a Roma, saccheggiano il convento, l’ha detto la radio.”
La macchina da presa si trasferisce all’interno, dove in una stanza si trovano l’abate, un
monaco e il colonnello Schlegel (figura 24). L’ufficiale non sta bene, ma pensa
comunque alle opere: “Pensavo se durante il tragitto per Roma ci bombardassero e
distruggessero quelle opere che forse qui erano al sicuro”. Entra Inge sullo sfondo e si
avvicina al gruppo: “La radio nemica ha trasmesso che i Tedeschi stanno saccheggiando
il monastero”. Il monaco è allarmato: “A quest’ora tutto lo Stato Maggiore tedesco sarà
al corrente di questa faccenda.”65 La cinepresa fa una carrellata in primo piano sul viso
dei personaggi, fino ad arrivare a quello visibilmente teso del colonnello, quando la
voce fuori campo del monaco continua a parlare: “Ormai non si può più nasconderla, i
vostri piani rischiano di andare in fumo.” La cinepresa resta fissa su Schlegel, che
esprime il suo dissenso.
Figura 24. Schlegel con l'Abate e un altro monaco
65
Secondo le informazioni date da tutti i testi consultati, Schlegel non agì di nascosto, ma con il consenso
dei suoi superiori e in particolar modo del generale Conrad.
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All’esterno, in un cortile, entrano una jeep con dei soldati e un militare in motocicletta.
Uno di questi si informa su cosa stiano facendo e il soldato sul camion gli dice che
stanno caricando dei quadri. Chiede poi chi comanda, il suo primo piano è alternato a
quello dell’altro militare, che gli fa il nome di Schlegel. Il primo piano del soldato
appena arrivato è ripreso dall’alto, con lo sguardo di quello sul camion, che a sua volta è
ripreso dal basso, visto con gli occhi di quello a terra. La sequenza si chiude sulla
domanda del primo di essere accompagnato dal comandante.
Nella quattordicesima sequenza il generale Conrad, che ha appena saputo la notizia, si
trova di spalle davanti alla finestra, mentre guarda all’esterno, poi si gira per parlare con
un militare ripreso di spalle sulla destra: “Se questa storia è vera, i responsabili
finiranno di filati sotto processo. Sentite se ci sono altre novità.” Il soldato si gira per
uscire, mentre l’ufficiale rimane fermo per un attimo, poi si sente il rumore di una porta
che si apre. La cinepresa inquadra il tenente Reiter del Primo Battaglione e davanti a lui
il generale: “Siete arrivati con tutto il plotone?”, il tenente risponde che stanno cercando
un alloggio e allora il comandante dice: “Vi ho richiamati dalla linea perché ritengo che
meritiate un riposo, dopo quello che avete fatto”66. Il generale comunica al giovane che
il loro riposo potrebbe durare una settimana ma anche un giorno solo.
Il luogo di riposo decretato per il battaglione era probabilmente nel paese di Caprile,
nelle vicinanze del quale si trovava anche il comando dei paracadutisti del generale
Heidrich.67Per la sua particolare posizione Caprile si prestava ad essere un’oasi di pace
a pochi chilometri dal fronte di Cassino, riparata da eventuali attacchi aerei; infatti il
66
Secondo le notizie della radio il battaglione in questione aveva eliminato una testa di ponte nemica sul
Volturno, notizia non veritiera.
67
W. Nardini, nel libro Cassino fino all’ultimo uomo parla di una “polverosa grotta a Castrocielo, vicino
a Roccasecca”. La posizione era infatti molto sicura, poiché si trovava a 15 chilometri da Cassino, sotto
una montagna coperta a nord est. In R. Molle, Il comando di Baade e Heidrich, www.
dalvolturnoacassino. it.
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borgo fu sede di alcuni comandi tedeschi ed anche di truppe poste in riposo dal logorio
del fronte, prima di essere ributtate nella battaglia. Nel dicembre del 43 sino al 22
gennaio del 44 nelle campagne innanzi il paese sostarono mezzi corazzati della
divisione "Hermann Goering", prima di essere inviati a tamponare la falla di Anzio. Tali
mezzi si mimetizzarono nella campagna tra Caprile e Castrocielo, sfruttando la ricca
vegetazione, per essere al riparo da attacchi aerei, pronti comunque ad un impiego in
combattimento in caso di sfondamento della linea Gustav. Vi erano sicuramente anche
reparti di paracadutisti in avvicendamento dal fronte di Cassino e sostavano in
particolare nel palazzo Bruni; facevano parte della I Divisione del Generale Heidrich.
Molte location del film furono proprio a Roccasecca e a Caprile, di cui si possono ben
vedere gli uliveti antistanti il borgo e la piazzetta del paese con le scalinate che
conducono nei vicoli.68
Figura 25. Immagine documentaria dei Diavoli Verdi a Caprile
Tornando al film, una porta d’improvviso si apre. Entrambi si voltano all’ingresso del
soldato che annuncia l’arrivo di Schlegel a rapporto. Il militare si gira ed esce. Il
generale va verso Reiter e gli dice: “Un ultimo avviso a voi e ai vostri uomini e riguarda
68
Le informazioni qui raccolte si trovano nell’articolo di Roberto Molle Storie della seconda guerra
mondiale. Caprile in guerra, www. digilander. libero. it
280
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la popolazione civile: il nemico è troppo vicino per poterci fidare di chicchessia e
allentare la vigilanza.” Il tenente ringrazia il superiore per aver fatto il suo nome nel
bollettino, il generale gli da un’amichevole pacca sulla spalla, dopo la quale il tenente si
muove per uscire. Arriva vicino alla porta, Schlegel sta entrando, Reiter saluta il
colonnello, poi il generale ed infine esce.
Fuori dalla stanza un soldato sta aspettando il tenente, che gli dice che per qualche
giorno si daranno alla bella vita. La porta sul fondo si apre, i due si girano di spalle:
“Caporalmaggiore Bauman dell’ospedale da campo III/57 a rapporto, medicine per il
comando di divisione”. Tiene in mano, sull’attenti, un grande contenitore di vetro con
un liquido trasparente. Bauman si gira e se ne va, mentre i due restano. Il soldato dice
che quello è alcol per preparare dei liquori. Questa breve scena leggera e scherzosa
serve per alleviare la tensione del film e per far meglio comprendere il carattere dei
personaggi, che nonostante la situazione drammatica che si trovano a viver, non
perdono la loro voglia di divertirsi e di stare gli uni con gli altri.
Dentro alla stanza il generale ha le mani sui fianchi, è ripreso a mezzobusto e si muove
agitatamente69. Va verso il colonnello: “E naturalmente lo Stato Maggiore, dopo
l’annuncio del nemico relativo al saccheggio, mi ha dato ordine di aprire una severa
inchiesta , e perché? Perché uno dei miei ufficiali…- poi scandisce bene le parole
guardando Schlegel, il suo tono è da paternale – Il comando aveva dato precise
istruzioni di non avvicinarsi al monastero, perché se il nemico lo bombardasse farebbe
la figura dell’idiota, mi sono spiegato? E voglio anche dire, colonnello Schlegel, che la
69
L’incontro tra Schlegel e il Generale Conrad, secondo quanto afferma il colonnello, fu tappa obbligata
dopo le notizie diffuse per radio. Ma nella realtà Conrad non era ancora al corrente dell’iniziativa del
colonnello e la accettò subito di buon grado. Mandò infatti con loro anche alcuni membri della
Compagnia di propaganda, per fare riprese fotografiche documentarie delle operazioni di salvamento. In
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 223 – 224. Secondo invece altre fonti il colonnello Schlegel agiva
proprio per volontà dei suoi superiori ( F. Ficarra, op.cit., p. 35; Grossetti – Matronola, op. cit., p. 19).
281
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guerra che stiamo combattendo non si vince portando a spasso delle opere d’arte, è
chiaro o no?”. Il generale, in piano americano, è inquadrato vicino ad un tavolo, sul
muro ci sono delle carte geografiche dell’Europa e un disegno del monastero di
Montecassino. La collocazione della scena è ancora nella stessa stanza in cui il generale
era comparso la prima volta all’incontro con gli ufficiali. Si tratta probabilmente della
villa di Colle – Ferreto a Spoleto, dove si trovava il comando generale della Herrman
Goering e dove in seguito furono trasportate le casse contenenti le opere d’arte prima di
essere portate a Roma.70
Il film infatti non specifica questo particolare, ma le opere, con poca fiducia da parte dei
monaci,71 furono trasportate non a Roma come era stato detto. Si cercò di convincerli
che era meglio portare il tesoro verso nord, per sfuggire agli Alleati, ma l’unico risultato
fu che molte opere presero il volo verso la Germania. Prima che fosse troppo tardi prese
in mano la situazione il barone von Tieschowitz, professore di storia dell’arte e
rappresentante civile della Kunstschutz, l’unità che si occupava della protezione delle
Belle Arti nei paesi occupati dall’esercito tedesco. Questi cercò in tutti i modi di
impedire che tutto venisse portato in Germania, rivolgendosi allo stesso Kesselring, che
ordinò di rendere il tesoro alle autorità vaticane. Il carico giunse a Castel Sant’Angelo
l’8 dicembre.72
Ha in mano un foglietto, lo legge e poi lo getta sul tavolo: “Qui siamo tutti impegnati in
una resistenza ad oltranza – viene in avanti e guarda verso il colonnello – per cui ogni
uomo è indispensabile, ogni litro di benzina, ogni metro quadrato dei nostri camion è
70
F. Ficarra, op. cit., p. 38.
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 23. Don Eusebio Grossetti ironizza sulle motivazioni del trasporto a
Spoleto : “I camion trasportanti l’Archivio e la Biblioteca Monumentale , come pure quelli che
trasportavano le casse dl Museo di Napoli, andarono, come sapemmo più tardi, a Spoleto, e le casse
furono riposte nella villa “ Marignoli”; esse, secondo la stessa testimonianza degli ufficiali tedeschi venuti
ad ordinare lo sgombero,dovevano salire sempre più a Nord, a misura che saliva il fronte, per salvare quei
cimeli dalla… ingordigia degli Anglo – Americani.”
72
F. Ficarra, op. cit., pp. 39 – 40.
71
282
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prezioso. Ma vi rendete conto di aver messo in gioco la vostra vita?” Lo guarda da capo
a piedi più volte (figura 26). Il generale gli gira intorno, mentre il colonnello, immobile,
dice: “Me ne rendo conto perfettamente”. “Voi siete rimosso dall’incarico, Schlegel!”.
La macchina da presa segue tutti gli spostamenti del generale, mentre Schlegel resta
fermo, nella posizione di inferiorità di chi deve solamente eseguire gli ordini .“Io però
non volevo solo portare a spasso delle opere d’arte. Spesso si è ridotti a dimenticare che
dopo la guerra torna la pace, dopo di che ogni uomo torna a dare il giusto posto ai valori
umani”. Il generale resta di spalle davanti al disegno dell’abbazia e si gira poi verso
l’uomo. “Lo Stato Maggiore, voi stesso, i generali nostri nemici, siete forse in grado di
garantire che l’imminente battaglia non finirà per portare alla distruzione del
monastero? – la cinepresa si avvicina al colonnello fino a inquadrarlo in primissimo
piano, la sua espressione si fa intensa e questo avvicinarsi della macchina da presa
rappresenta proprio l’importanza del momento – Se questo dovesse avvenire, salviamo
quello che ci è possibile, per quella pace che tutti noi desideriamo dopo anni di sacrifici.
Perciò volevo portare a Roma quelle opere d’arte, con pochi camion, un numero
ridicolo e insufficiente. Bene, è tutto generale.”
Figura 26. Il generale Conrad rimprovera il colonnello Schlegel
Il comandante, in primo piano, guarda in terra e poi guarda Schlegel. Si muove in
continuazione il generale, che, accennando un sorriso, gli dice: “Ma veramente non
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vedo la necessità di urlare in questo modo, Schlegel – il colonnello è inquadrato in
primo piano – se quei camion non sono sufficienti prendetene di più.” Schlegel sorride,
il generale ha cambiato idea sulla questione. Un’altra battuta di tono leggero allevia la
tensione e mostra la grande umanità dei personaggi.73
Nella quindicesima sequenza la cinepresa, sul ciglio della strada, inquadra una fila di
camion che passano (figura 27). Tre uomini sono in mezzo alla strada, poi passano altri
due mezzi e da sinistra entra in scena un altro uomo. Uno dei tre uomini è ripreso in
primissimo piano (figura 28), e l’indugiare sul suo viso fa presupporre che diventi un
personaggio importante nel contesto della narrazione. La musica è drammatica e crea
suspense.
Figura 27. Camion tedesco
Figura 28. Primo piano di uno degli uomini
inquadrati per strada
Un autocarro entra in una città distrutta, e più precisamente, come si vedrà in seguito,
nella città di Cassino; gli edifici diroccati sono dietro di lui, un cartello con una freccia
indica la sinistra, mentre sulla destra un gruppo di soldati in lontananza si avvicina a
piedi, passano vicino ai resti degli edifici nascosti, di tanto in tanto, dal passaggio dei
camion. I soldati chiacchierano dei loro desideri in questo momento di riposo, si
avvicinano un po’ di più alla cinepresa: sono quelli del Primo Battaglione del tenente
73
Come già detto l’incontro tra i due è controverso, non si sa se realmente si sia svolto, e anche in questo
caso risulta difficile credere che il generale Conrad fosse così ostile.
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Reiter. Indicano un cartello, la macchina da presa lo inquadra “E’ vietato alla
popolazione civile il soggiorno nella città di Cassino e questo senza nessuna
eccezione”74,
sotto
si
leggono
delle
parole
aggiunte
a
mano
“Erotisches
Notstandsgebiet” (figura 29), che un soldato traduce: “E’ proibito fare l’amore”. Tutti
ridono e ripartono. E’ un altro momento di ironia all’interno della situazione
drammatica. I soldati non hanno ancora perso il loro senso dell’umorismo.
Figura 29. Il cartello letto per strada
In scena resta poi solo il caporale Christiansen, che va verso altri cartelli. La cinepresa,
inquadrandoli, ne mostra uno in particolare “Krieglazarett III/ 57”, l’ospedale in cui
lavora l’infermiera Inge. Il caporale sorride, in primo piano, poi raggiunge gli altri che
lo chiamano e si allontanano in una strada. La musica, extradiegetica, è ancora quella
dei tre tamburini sentita ad Avignone da Karl e Inge. E’ l’unione di cartello e musica
che fa capire al pubblico la presenza della donna poco lontana, seguita dal sorriso
dell’uomo. La canzone in questione è un vero e proprio leitmotiv che caratterizza la
storia d’amore fra i due personaggi.
La sedicesima sequenza si apre con Inge che cammina lungo un corridoio e si ferma a
parlare con il caporalmaggiore Bauman: l’argomento è la carenza di farmaci.
74
Lo sgombero avvenne dopo il primo bombardamento della città, avvenuto il 10 settembre. Grossetti –
Matronola, op. cit., p. 134.
285
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In fondo al corridoio compare il tenente con il viso sorridente. Inizia il dialogo tra lui e
l’infermiera, ma vengono interrotti da Bauman, che avvisa la donna che il dottore la sta
attendendo in sala operatoria. La conversazione è interrotta, ma prima di andarsene Inge
chiede se anche il caporale Christiansen è con loro a riposo e esprime il desiderio, non
troppo celato, di incontrarlo. Poi corre via, mentre il tenente rimane in primo piano con
la delusione sul viso.
Inge entra nella sala operatoria. In scena è già presente il dottore, mentre Inge, sempre
di fretta, passa davanti a lui per andare a prepararsi. Apre una porta all’arrivo del ferito
da operare, trasportato su una barella da due militari. L’infermiera prepara gli strumenti,
ma è distratta, il suo viso è sognante e la sua mente non è lì in quel momento: si capisce
chiaramente che sta ripensando al fatto che l’uomo che ama è lì vicino. E’ indicativo il
fatto che questi personaggi, oltre ad essere totalmente positivi, riescano anche a crearsi
situazioni amorose nel contesto duro della guerra.
La cinepresa si fissa sul tavolo operatorio: a sinistra Bauman sistema il ferito, mentre a
destra si trova il dottore e un’altra infermiera dietro di lui. Il medico cerca di rassicurare
il malato, la macchina da presa si muove fino ad inquadrare Inge, ancora sorridente,
mentre prepara l’anestesia e dice che quello è anche un giorno fortunato. Si crea un
grande contrasto all’interno della sala operatoria: alla felicità spensierata di Inge si
contrappone la sofferenza del ferito sul tavolo operatorio. Inge gli somministra
l’anestesia. Il dottore è inquadrato di nuovo in primo piano, mentre parla con il suo
paziente: “Qualche partigiano ti ha sparato nella boscaglia, vero?”. Il ferito, anch’esso
in primo piano, annuisce col capo, mentre si sente ancora la voce del dottore: “Eh già,
quegli altri non fanno che rifornirli di armi.” La battuta è indicativa per caratterizzare la
situazione e resa ancora più importante dal fatto che entrambi i personaggi siano ripresi
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in primo piano mentre parlano. Da subito tornano alla mente i tre uomini che, in mezzo
alla strada, guardavano con astio il passaggio dei camion tedeschi: erano con tutta
probabilità partigiani.
Le formazioni partigiane nacquero in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Si
raccolsero sulle montagne dell’Italia centro – settentrionale e nacquero dall’incontro fra
piccoli nuclei di militanti antifascisti già attivi nel paese e gruppi di militari sbandati
che, dopo l’armistizio, non avevano voluto consegnarsi nelle mani dei Tedeschi.
Agivano soprattutto lontani dalle città, ma spesso anche al loro interno, con i Gruppi di
azione patriottica, piccole formazioni di tre o quattro uomini che compivano attentati
contro militari o personalità tedesche o fasciste. A ogni atto i Tedeschi rispondevano
con pesanti rappresaglie (esemplare la strage compiuta alle Fosse Ardeatine). Ma la
lotta antifascista divenne anche la linea programmatica di diversi partiti di governo, che
sempre nello stesso periodo diedero vita al Comitato di liberazione nazionale (Cln)75.
La cinepresa si muove per esplorare il ferito, scende sul suo braccio, dove Inge sta
praticando l’anestesia in vena, poi la coperta si sposta e scopre le bende dell’addome
sporche di sangue. Il procedere lento della macchina da presa si sofferma analiticamente
sui particolari del corpo dell’uomo, il che crea ancora più contrasto con la felicità della
donna. La sequenza si chiude con una dissolvenza.
Nella diciassettesima sequenza il viso di un uomo è inquadrato in primissimo piano, si
volta al rumore di un camion: è uno degli uomini che all’inizio della quindicesima
sequenza si trovavano sulla strada al passaggio dei camion tedeschi.
Si può quindi subito capire, dopo la battuta del medico, che quest’uomo è un partigiano.
Anche Paolo e sua moglie si girano quando passa l’autocarro. Un soldato fa cenno al
75
Giardina – Sabbatucci – Vidotto, Manuale di storia. Volume 3. L’età contemporanea, Bari, Laterza,
2000, pp. 676 – 677.
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camion di avanzare. Scendono tre uomini, mentre sullo sfondo si nota un portone dal
quale escono tre monaci, che si dirigono verso dei militari tedeschi ma non si fermano
con loro. Questi ultimi si stanno dividendo i compiti, stanno decidendo chi deve portare
cosa. Nel chiostro, in controluce torna ad essere inquadrato il già citato partigiano, che
entra in luce solo quando si sposta sotto al porticato. La luce è molto contrastata e crea
una certa drammaticità, fatta di ombre molto buie e di luci accecanti, è quasi irreale. La
musica crea la suspense, mentre l’uomo guarda davanti a sé e vede Paolo e sua moglie
(figura 30). Si viene a conoscenza del nome dell’uomo dalle parole dei due: si chiama
Fausto.
Figura 30. Il partigiano Paolo
I partigiani si stanno quindi preparando all’azione, Fausto fa cenno a Paolo con la testa
di andare e questi annuisce. Va di spalle vicino a due uomini: “Ditelo agli altri, stasera
nell’orto, e attenti a non farvi beccare .” I due se ne vanno, Paolo si avvicina alla moglie
ed insieme escono dal portico, mentre la macchina da presa torna ad inquadrare dei
soldati che caricano le opere dell’abbazia in alcune casse di legno.
Davanti a loro passano Schlegel e un monaco . Il primo dice: “E’ la mia immaginazione
o vi è una certa elettricità tra i profughi?”, il monaco risponde: “Probabilmente in
seguito a quel comunicato inglese circa il saccheggio”. Il colonnello chiama un soldato:
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“Ho fatto disporre degli uomini in circolo a guardia del cortile e del resto c’è posto solo
per dieci camion”.76 La cinepresa inquadra poi in primo piano la moglie di Paolo,
mentre la voce di Schlegel continua: “Se l’autocolonna all’alba si trovasse ancora in
viaggio, portare la distanza a trecento metri per allargare il raggio.” L’ufficiale se ne va,
lei rivela ciò che ha sentito e il marito le chiede di tornare a casa per prendere un fucile:
ci sono i tedeschi, ma lei sarà più credibile se per caso deve inventare un scusa. Tutta
questa parte si svolge sotto al portico, quindi poco illuminata.
Nella diciottesima sequenza il Primo Battaglione è riunito in una stanza e un lungo
piano sequenza mostra le attività dei soldati: alcuni sono seduti e bevono, Hugo sfida
altri commilitoni alla morra per avere la possibilità di dormire su un vero letto: infatti
c’è un solo letto matrimoniale e chi perde la sfida viene mandato a prendere della paglia
come giaciglio. L’atmosfera è festosa e rilassata.
Hugo trova nella borsa di Karl il carillon di Inge. Quest’ultimo è notevolmente alterato
e intima all’amico di rimettere quell’oggetto al suo posto. Il motivo musicale del
carillon è sempre quello dei tre tamburini. Hugo lo prende in giro e inizia a cantare una
canzone russa accompagnato da tutti quanti. Hugo è sempre al centro della scena con la
bottiglia in mano (figura 31).
Figura 31. Hugo si ubriaca
76
Per tutto quanto riguarda la partenza delle opere d’arte il film falsa la verità storica. Nella realtà i
camion partirono pochi alla volta dal monastero per dirigersi, per la maggior parte verso Spoleto, mentre
nel film l’autocolonna parte da Montecassino direttamente per Roma. Inoltre è taciuto il fatto che sui
primi camion furono caricate anche una comunità di monache Benedettine che trovarono asilo per un po’
a Montecassino. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 139.
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Viene poi nuovamente inquadrato Karl e in seguito Hugo, che fa cadere a terra tutto
quello che si trovava sul tavolo, poi monta sopra e continua a ballare e cantare, mentre
gli altri sono disposti tutt’intorno.
La cinepresa si sposta poi rapidamente sulla porta, dove sta entrando il tenente Reiter.
Hugo, sempre sul tavolo e ubriaco, mima una sparatoria contro di lui e lo accusa di
essere fascista (è inquadrato dal basso). Il tenente passa in mezzo ai soldati:
“Evidentemente il fronte fa brutti scherzi, non è vero Hugo?”. Hugo è ancora sul tavolo.
L’ufficiale fa i complimenti a tutti da parte del generale77, poi si ferma e sente la musica
del carillon di Carl e Inge. Si volta e la cinepresa inquadra l’oggetto, che rende subito
cupa l’espressione dell’uomo, poiché anche lui è innamorato di Inge. Viene poi
inquadrato il caporale, il tenente va verso di lui: “Caporale Christiansen, la divisione ha
chiesto cinque uomini di scorta ad un’autocolonna diretta a Roma 78– prima i due sono
uno di fronte all’altro, poi il tenente passa in primo piano e il caporale resta dietro di lui,
e la loro posizione rende proprio l’idea del fatto che il tenente, davanti, comanda,
mentre il caporale, dietro, esegue gli ordini – partenza ore 2.30, via Casilina uscita
nord.” Il caporale protesta, perché in mattinata voleva andare all’ospedale militare.
Reiter gli ordina di scegliersi quattro uomini, uno con la moto, e il caporale non può che
obbedire agli ordini. Il tenente sorride, mentre in sottofondo resta la musica del carillon.
Si congeda dai suoi soldati e va a dormire, entrando in una porta sul fondo. La stanza è
ancora popolata di militari e la macchina da presa si alterna su di loro.
77
Evidentemente sta tornando dall’incontro col generale Conrad.
In realtà il trasporto delle opere dall’abbazia non avvenne in un’unica soluzione, come sostiene il film.
Dal 17 ottobre al 3 novembre i camion andavano e venivano da Montecassino. Le casse furono dapprima
trasportate a Spoleto, poi, l’8 dicembre, con 12 camion, tornarono a Roma. La merce, secondo il diario di
padre Pontoni, venne consegnata a Castel Sant’Angelo, per essere poi mandata in Vaticano.
Sembra quindi che il film si riferisca più a quest’ultimo viaggio che a quelli compiuti direttamente dal
monastero.
78
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Nella diciannovesima sequenza il solito dottore entra in una stanza poco illuminata,
dove Inge è ancora in piedi. L’uomo dice: “Ho saputo che domani mattino alle 2.30
partirà l’autocolonna di quel pazzo di Schlegel diretta a Roma”, Inge risponde: “Sì,
grazie a Dio il generale ha abbaiato senza mordere”. L’inquadratura dell’orologio da
taschino in mano al dottore indica che sono le 9.38. Il medico passeggia per la stanza:
“Quelli di là sono tutti allegri, per quanto non so come ci riescano senza un braccio o
senza una gamba o solo con mezza testa, – il rumore di una bomba attira l’uomo alla
finestra – quelli di là cercano con gli ultimi ritrovati della tecnica di massacrare la
gioventù che noi di qua cerchiamo di rabberciare con gli ultimi ritrovati della tecnica.
Sembrerebbe quasi una barzelletta.” I due sono in primo piano: “Fra qualche ora
partirete con l’autocolonna e andrete a protestare alla direzione sanitaria…abbiamo
bisogno di morfina e quelli ce la mandano col contagocce. Roma inoltre è una splendida
città ed è una buona occasione per darle un’occhiata.” I primi piani dei due si alternano,
il dottore è sorridente, mentre Inge è triste, perché l’indomani deve incontrare il
caporale Christiansen: non sa ancora che anche lui è stato mandato a Roma dal tenente,
nel tentativo di allontanarlo dalla donna. C’è quindi un parallelismo tra le condizioni dei
due giovani e le loro emozioni.
La ventesima sequenza inizia con il tenente Reiter che apre una finestra, al di fuori della
quale si vede un paesaggio ventoso con delle palme. Si avvicina ad un tavolo, si
accende una sigaretta e inizia a passeggiare nervosamente per la stanza. Si avvicina ad
un muro, si volta e viene inquadrato un quadretto con il viso di una donna ( figura 32 - è
la moglie di Paolo, quindi si deduce che i militari tedeschi hanno trovato alloggio nella
sua abitazione ormai vuota). Spegne una candela e come unico sottofondo si ode il
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rumore degli aerei, che lo costringe ad entrare nella camera dei suoi soldati ad ordinare
di spegnere qualsiasi luce per non essere intercettati.
Figura 32. Il quadretto col viso della donna
La cinepresa inquadra dapprima Reiter a mezza figura, poi passa al letto dove si trovano
Hugo e Karl. Il primo si alza e, camminando tra gli amici stesi per terra, va a spegnere
una candela.
Una dissolvenza porta la scena all’interno della camera del tenente. Il posacenere è
pieno di mozziconi, mentre la mano dell’uomo sta spegnendo l’ennesimo, segno della
tensione che ha preso il sopravvento su di lui. Vicino alla finestra della stanza si staglia
una sagoma umana in controluce. Il tenente mette una mano sotto il cuscino, dove si
intravede una pistola. Si siede e segue con gli occhi la persona che sta entrando, è una
donna, presumibilmente la partigiana, che non si accorge della presenza di Reiter,
nascosto dal buio ( si intravedono solo gli occhi, illuminati da un raggio di luce che
arriva sulla sponda del letto ), che invece la sta guardando. La donna è ora davanti ad un
armadio e si gira di scatto spaventata, il suo volto viene illuminato dalla torcia del
tenente. Seguono i primi piani alternati dei due personaggi, il tenente guarda verso il
muro e si accorge che la donna è la stessa raffigurata sul ritratto. Il suo viso è poi
inquadrato nel buio più completo, l’unica macchia chiara di un’immagine di ispirazione
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espressionista. Si gira di nuovo verso l’armadio a mezza figura, lo apre e tira fuori
qualcosa. Il tenente si avvicina e la blocca.
La macchina da presa passa di nuovo nella stanza vicina dove i militari sono ancora
svegli, vengono inquadrati Hugo e Karl.
Poi si ritorna al tenente che nota che la donna dall’armadio ha preso un macinino per il
caffè, che gli fa sorgere molti dubbi: perché un donna sola, di notte, dovrebbe rischiare
così tanto per un oggetto del genere? Reiter la afferra, lei si divincola, poi va a sedersi,
sempre minacciata dall’arma dell’uomo, con il suo macinino in mano.
Un rumore improvviso arriva dalla camera dei soldati e la ragazza si alza di scatto. E’
Hugo, in piedi, che fa confusione per svegliare coloro che devono unirsi all’autocolonna
di Schlegel. In primissimo piano ritornano il tenente e la donna: “Probabilmente sono
un idiota a non farti arrestare subito, ci vedo poco chiaro in te.”, dice lui, e questo
riconferma i buoni sentimenti dei soldati tedeschi. Tra i due c’è poi una colluttazione, la
donna aggredisce Reiter, che la scaraventa sul letto. I due lottando finiscono coricati sul
letto e si baciano, mentre al di là del muro qualcuno sta chiamando il tenente. I due
restano in primissimo piano, mentre il caporale dice al suo comandante che sono pronti
per partire e chiede se ci sono ordini, ma Reiter dice loro di andare.
La ventunesima sequenza vede protagonista Inge, che esce da un arco79 insieme a
Bauman. La donna lo incarica di scoprire dove potrà trovare il Primo Battaglione
quando tornerà da Roma. Sale su un camion che la sta aspettando, mentre Bauman
rimane dietro di esso. Il camion parte.
79
L’ospedale militare dell’inizio.
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In un esterno anche i soldati stanno andando a raggiungere il convoglio, scendono da
una scalinata80 (figura 33) e attraversano la strada, mentre si vede arrivare
l’autocolonna.
Figura 33. I soldati scendono da una scalinata a Caprile
Figura 34. La stessa scalinata in un'immagine storica di Caprile Vecchia
Il caporale Christiansen ordina agli altri di disporsi uno ogni due camion, poi raggiunge
il centro della strada e indica ai mezzi di fermarsi. La cinepresa inquadra l’autocolonna
che si avvicina, mentre i soldati, di corsa sulla sinistra, raggiungono la posizione
stabilita. Su nessun camion si nota la presenza di monaci, che invece furono trasportati
dagli stessi camion che contenevano le opere d’arte.81 Karl è ancora in mezzo alla strada
e il primo camion è ormai davanti a lui, gli gira intorno per salire dalla parte del
80
La scalinata appena percorsa è quella di Caprile, frazione di Roccasecca, di cui si è già parlato a pag.
39.
81
Grossetti – Matronola, op. cit..
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passeggero. Viene inquadrato dall’interno del mezzo, mentre sulla destra si intravede
già parte del viso di Inge. Il caporale apre la portiera e subito segue una serie di primi
piani dei visi dei due ragazzi sorridenti. Nel momento in cui si ritrovano riparte il
leitmotiv dei tre tamburini, che caratterizza la loro storia d’amore.
All’interno del primo camion, dove sono seduti l’autista, Inge e il caporale (figura 35),
l’autista inizia il dialogo: “ Credo che verrà anche il comandante Schlegel, vuole esserci
lui quando avverranno le consegne”. Tra gli altri due invece c’è uno scambio di
tenerezze.
Figura 35. I tre all'interno del camion
La ventiduesima sequenza torna ad occuparsi di quello che avviene nella camera del
tenente Reiter. L’uomo e la donna che giacciono nello stesso letto, poi lui si rimette la
camicia. La cinepresa passa sul pavimento in piano sequenza, dove si trovano i vestiti
sparsi dei due. Il tenente si alza, la macchina da presa si abbassa sui suoi piedi che,
camminando, danno un calcio al macinino per il caffè, che in questo momento diventa
elemento simbolico del tradimento della partigiana.
In primo piano Reiter, pensoso, guarda verso l’oggetto, poi si dirige verso l’armadio,
mentre la donna si siede di scatto sul letto. La donna ha il viso spaventato e si copre con
il lenzuolo, come per difendersi. Il tenente trova un fucile, che cade per terra, inquadrato
dalla cinepresa, che passa poi sulla donna seduta con il viso sempre più terrorizzato.
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Reiter la guarda furibondo, prende la pistola, si avvicina alla donna, che in primo piano,
per la prima volta, fa sentire la sua voce con un urlo: “No, no!”.La sequenza si chiude
con una dissolvenza che tiene all’oscuro lo spettatore sulle sorti della donna: è stata
uccisa?
La ventitreesima sequenza si svolge di notte. La cinepresa è su una strada sulla quale
passano i camion dell’autocolonna di Schlegel con i fari accesi. Il soldato sulla moto
guarda in alto e la macchina da presa inquadra un albero che cade dalla scarpata verso di
lui, poi allarga e inquadra la pianta caduta e lui che finisce per terra. I camion sono
ancora lontani e continuano a passare sulla strada. Il soldato riprende la motocicletta e
torna indietro. Qualcuno spara verso di lui, ma ogni colpo finisce ai lati della strada.
All’interno del primo automezzo il caporale guarda l’autista: “Ma sono spari!”, ma
l’altro risponde: “Macché, sono i motori degli altri camion”. La cinepresa si stabilizza
ora all’interno del camion, l’immagine è traballante e al di là del vetro anteriore si nota
la luce della motocicletta che sta tornando verso di loro. La moto cade e il camion
sbanda leggermente. Il caporale urla: “Ci sono i partigiani!”82 . I tre lasciano il camion e
subito dopo il vetro viene infranto da una pallottola. L’autocolonna si ferma e i colpi dei
partigiani coprono l’inquadratura con la polvere che sollevano. Karl e Inge si
nascondono sotto al camion, ma la donna si allontana subito dopo, sollecitata dal
militare. La macchina da presa inquadra poi il paesaggio cosparso di alberi, in mezzo ai
quali si intravedono delle persone che sparano. Sul retro del camion anche il caporale
sta per andarsene. Altri due soldati si nascondono dietro le ruote di un autocarro, uno di
loro spara e davanti un uomo viene colpito. Segue ancora la vista sul paesaggio, dove
82
Nell’articolo già citato scritto dal colonnello Schlegel non si fa menzione di attacchi compiuti dai
partigiani italiani contro l’autocolonna in viaggio per Roma. Il fatto di aver inserito un episodio del
genere nel film potrebbe dar corpo un’altra volta al discorso sul valore dei soldati tedeschi, che per
portare a termine questa operazione persero anche la vita. Per la parte riguardante il tragitto Spoleto –
Roma , v. Grossetti – Matronola, op. cit., p. 233.
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alcune persone, molto lontane, stanno scappando. Sotto un altro autocarro hanno trovato
riparo Karl, Inge e un altro soldato, che però esce subito. Ora i soldati sono inquadrati
tra le piante mentre si gettano a terra per sparare. Un soldato scende dalla riva (è Hugo)
a bordo strada, inquadrato a figura intera sulla destra. Raggiunge altri due, si chinano su
un soldato rimasto a terra, poi due se ne vanno, mentre Hugo rimane e gli solleva la
testa (figura 36). Il ferito parla ancora a stento: “I partigiani hanno…”, ma, mentre la
cinepresa lo inquadra a mezza figura, l’uomo si mette a sedere e inizia ad urlare. Hugo è
inquadrato in primo piano con il commilitone tra le braccia, i due si trovano in
controluce e l’umico chiarore che si vede è quello degli spari dietro di loro. Lo depone
al suolo e lo guarda per qualche secondo, poi anche la cinepresa si ferma ad inquadrare
il suo dolore e la sua morte.
Figura 36. Hugo soccorre il soldato in fin di vita
Durante tutto questo passaggio le inquadrature si susseguono rapidamente, il montaggio
è molto frastagliato e si crea in questo modo la concitazione e la drammaticità del
momento. Hugo avvicina la mano al cadavere e cerca la targhetta di metallo con le sue
generalità, poi ne stacca la metà. Si avvicina al tenente, gli consegna la targhetta
dell’amico e gli dice: “E tutto per questi maledetti quadri! Non basta il fronte, non basta
crepare lì.” Esprimendo il suo dissenso e la sua rabbia.
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Un terzo soldato arriva dietro di loro e dice: “Signor tenente, Christiansen ha fatto un
prigioniero.” Il tenente si volta leggermente e il soldato si allontana.
Karl punta il fucile verso il prigioniero davanti a lui, che procede con le mani alzate.
L’uomo si ferma e si gira verso di loro: “Vigliacchi farabutti, l’ha detto la radio che
state rubando tutto. Banditi! Banditi! Ladri!”. Inge entra in scena di spalle: “E’ vero,
l’ho sentita anch’io l’emittente inglese dire che i tedeschi saccheggiano il monastero.
Non si può dare torto a questa gente!”. Ma il tenente interviene subito: “Christiansen,
ammazzalo!”.
Il caporale guarda Reiter in un intenso primo piano, la musica ricompare e crea
drammaticità. Karl gira la testa verso il prigioniero: è Paolo, che si guarda in giro
spaurito (figura 37). Il tenente, a mezza figura: “ Sgombrate la strada!”. Inge, da
sinistra, lo afferra per un braccio e lo supplica di non farlo, ma il tenente la manda via in
malo modo. Resta solo Inge, che si gira verso la cinepresa e si avvicina in primo piano,
poi resta immobile, creando un senso di attesa di qualcosa che sta per succedere.
Figura 37. Paolo impaurito dopo la cattura
Nella boscaglia Karl segue Paolo con il fucile puntato, è buio e i due si vedono a
malapena. Il caporale intima all’uomo di fermarsi e di voltarsi a guardarlo. Il prigioniero
si gira, tiene sempre le mani in alto, il suo viso è impaurito. Dopo una serie di primi
piani dei due uomini, viene inquadrata Inge, anch’essa in primo piano, che chiude gli
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occhi al rumore degli spari. Ma la macchina da presa torna su Christiansen, che abbassa
il fucile: Paolo è salvo, il soldato ha sparato in alto83. Paolo ha il viso stupito: “Vai via
scappa!”, gli ordina Karl. La cinepresa allarga e lo inquadra mentre corre velocemente
giù per la collina. Il caporale risale dalla parte opposta, mentre Paolo torna indietro e si
ferma: “Hei tu, aspetta, guarda che ci sono altri partigiani più avanti, stai attento!”. Il
caporale è inquadrato dal basso, in una posizione di superiorità che ha appena
dimostrato: “Non sento, vattene”, poi corre via. Anche Paolo se ne và. Inge raggiunge il
caporale che sta tornando.
Schlegel arriva e scende dalla macchina, e chiede a Reiter quando potranno proseguire.
Reiter gli risponde: “Ho sistemato i miei uomini a difesa sui lati”, ma Schlegel
interviene subito: “Ritirateli, abbiamo già perso tempo e voglio approfittare
dell’oscurità.” La macchina da presa si avvicina al tenente: “Se permettete, signor
colonnello, ritengo che sia un grosso sbaglio proseguire in questo momento. I partigiani
si sono ritirati, ma la strada per Roma è ancora lunga e rischiamo di trovarceli addosso
ad ogni curva.” Ma Schlegel non è disposto ad accettare il consiglio: “Se aspettiamo
all’alba gli aerei distruggeranno le opere d’arte.” E il tenente infuriato, in primo piano,
ribatte: “ Arte, arte, due dei miei uomini sono morti, signor colonnello. Volete rischiare
altre vite umano per un carico di nessuna importanza?”, anch’egli manifesta il suo
disappunto e la battuta è importante sempre dal punto di vista della rivalutazione
dell’esercito tedesco, che anche qui dimostra di tenere alla vita umana più di qualsiasi
altra cosa. Schlegel è seduto in macchina e ripreso in primo piano: “Non vi ho chiesto di
assumervi responsabilità, tenente, o di esprimere dei giudizi su questa operazione. Siete
83
Tra i personaggi di Christiansen e Reiter sembra esserci una contrapposizione: il primo è il buon
soldato tedesco che salva la vita al suo nemico ( è la seconda volta, dopo quella già raccontata ad Inge
all’inizio del film ), mentre il secondo non esita a voler uccidere il partigiano catturato a sangue freddo,
anche se la sua reazione è dovuta più probabilmente all’odio verso il caporale che ha conquistato il cuore
della donna che anche lui ama.
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un soldato e comportatevi come tale, il vostro dovere si limita ad eseguire gli ordini.
Voi proteggete la colonna ai lati, io vado in testa.”
La macchina parte, mentre Reiter , in primo piano lo saluta e lo guarda andare via. La
macchina da presa allarga, il tenente è ripreso in piano americano e da destra arriva un
altro soldato: “Lasciatelo fare, tenente, se ci tiene tanto a crepare. E’ un ottimo bersaglio
lì davanti e farà da paravento.” E il tenente risponde semplicemente: “Gli piace fare
l’eroe.”
In un’altra inquadratura il caporale Christiansen è insieme all’infermiera Inge, lei sale
su un camion, mentre lui le dice che andrà in testa. L’autocolonna è ferma e Karl corre
lungo la strada.
Ora l’inquadratura è davanti alla macchina di Schlegel. Karl dice: “Col vostro permesso
vorrei salire con voi.”, e Schlegel: “No, torna indietro”, ma il caporale insiste: “Quattro
occhi vedono meglio di due, signore” , il colonnello è stupito dall’insistenza dell’uomo
e gli risponde: “Dì, non sarai mica impazzito?”. Ma il caporale, in primo piano, è pronto
a spiegare: “Ho salvato la pelle a uno dei partigiani invece di fucilarlo e lui per
ringraziarmi mi ha gridato da lontano qualcosa che non ho capito, forse un
avvertimento”. Dopo un’alternanza di primi piani il colonnello decide di farlo salire.
L’autocolonna parte, la musica diventa drammatica, come se qualcosa stesse ancora per
succedere, e inizia una lunga sequenza di primi piani alternati dei protagonisti: i loro
volti sono tesi e si intervallano con immagini della strada davanti ai mezzi (figura 38),
dapprima di notte, poi l’immagine si fa chiara, quando arriva l’alba.
300
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Figura 38. Vista della strada davanti alla macchina di Schlegel
Ad un tratto la vista dalla collina cambia, è Schlegel il primo a notarla, che si gira con il
viso sorridente, seguito da tutti gli altri: l’autocolonna è arrivata a Roma. La città è
inquadrata in panoramica dall’alto, dalla strada su cui si trovano i camion, mentre la
musica diventa un trionfale Alleluia. Il cambiamento sia di atmosfera che di musica fa
intuire che ormai la missione è compiuta e non succederà più niente di spiacevole.
La ventiquattresima sequenza è quasi interamente composta da immagini documentarie,
tranne le poche in cui compaiono i personaggi del film di Reinl. Inizia con
un’inquadratura dall’alto al basso di Castel Sant’Angelo a Roma, luogo in cui i tesori di
Montecassino hanno trovato rifugio prima del bombardamento84. Davanti ad un portone
arriva un camion. Sul ponte che conduce all’edificio la macchina da presa inquadra
l’autocolonna di Schlegel che giunge a destinazione e subito dopo le casse vengono
scaricate dai camion tra la folla di curiosi. Proprio tra queste comparse, riprese ora più
da vicino, si fa strada il partigiano Paolo sorridente.
84
Alcune di queste immagini documentarie sono riprese direttamente dal cinegiornale tedesco Die
Deutsche Wochenschau, prodotto dall’Archivio di Stato di Coblenza, in cui si mostrano i passaggi del
salvataggio delle opere d’arte, dall’imballaggio alla solenne consegna davanti al Castel Sant’Angelo. Gli
Alleati, in questi cinegiornali di propaganda, vengono visti solamente come profanatori della cultura
europea, dopo il gesto sconsiderato del bombardamento di Montecassino.
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Figura 39. Paolo assiste alla consegna delle opere
Ancora documentaria è l’immagine dell’ufficiale tedesco che stringe la mano ad un
monaco e si inchina davanti a lui, mentre il colonnello Schlegel del film, subito dopo, in
primo piano, ripete la scena stringendo la mano ad un monaco di spalle (figura 40).
Figura 40. Schlegel stringe la mano ad un monaco
Civili e militari trasportano delle casse all’interno dell’edificio: contengono pergamene
arrotolate, opere d’arte e grandi mappamondi. 85
Per i Tedeschi questa operazione fu un grande vantaggio in fatto di immagine, ma se il
loro scopo era quello di portare prima o poi i tesori in Germania, non fu positivo per
loro far sapere a tutto il mondo cosa stavano facendo per salvare il patrimonio culturale
di Montecassino. La loro immagine comunque ne uscì fortificata a discapito di quella
85
Le immagini documentarie presenti in questa sequenza si possono vedere a pag. 94 , nella sezione Il
salvataggio delle opere d’arte di dell’abbazia di Montecassino.
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degli Alleati, barbari distruttori.86Alla cerimonia dell’8 dicembre presero parte il
comandante tedesco della città di Roma, Maggiore Generale Maelzer, e dignitari
ecclesiastici e civili italiani, e ne seguì un banchetto in onore dello Schlegel, organizzato
da don Fedele von Stotzingen, Abate Primate dei Benedettini.87
La venticinquesima sequenza solleva il tono del film con un episodio quasi comico.
Quattro soldati tedeschi passano davanti ad un edificio trasportando una barella con un
corpo coperto da un telo. Ma il loro passo è veloce e il sottofondo musicale è una marcia
scandita dal battito dei tamburi, quindi niente di drammatico nonostante la barella. Si
trovano davanti a due persone che stanno avanzando nella loro direzione. La musica
cambia di colpo, si fa solenne e da esequie, e i quattro rallentano il passo. Tra di loro si
distingue Hugo, mentre le due persone che vengono verso di loro sono l’anziano
generale Conrad e un altro ufficiale, che salutano la salma. Gli altri allora proseguono la
loro processione, inquadrati da dietro, e dalla barella scendono le zampe di un maiale. I
due ufficiali che le notano hanno un espressione sorpresa e chiedono di scoprire il
“defunto”. Segue una conversazione tra Hugo e il generale. Il soldato fa notare al suo
superiore che: “….tra poco è Natale” , donando anche una connotazione temporale
piuttosto precisa agli avvenimenti.
In questo periodo non si può ancora parlare di battaglia di Montecassino vera e propria,
che inizierà invece in gennaio, ma le truppe tedesche e alleate combattevano nella zona
circostante a Cassino già da molto tempo. All’inizio di dicembre si stava infatti
combattendo la battaglia del Sangro, che si svolgeva nei pressi dell’omonimo fiume,
mentre la V Armata americana riprese l’offensiva sulla breccia di Mignano, e in
particolare su Monte Camino, una montagna importante che costò però alle truppe
86
87
F. Ficarra, op. cit., p. 41.
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 233.
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anglo- americane, una forte perdita di uomini e mezzi ( avevano usato talmente tante
munizioni in quel luogo che fu soprannominato “la Collina da un milione di dollari”).
Rimaneva infine ancora il Monte Trocchio da conquistare, l’ultima cima prima di
Cassino. Ai tedeschi non era mai importato di mantenere quelle posizioni, ma riuscirono
in questo modo a prendere il tempo necessario per completare al meglio la loro vera
linea di difesa, la Gustav.88
La ventiseiesima sequenza riprende ancora la tematica temporale. Bauman entra in una
stanza con due piccoli sempreverdi in mano, mentre Inge è seduta ad un tavolo e
prepara le decorazioni natalizie. Inge dice: “Combatteranno anche oggi laggiù?” e
chiude questa breve sequenza con una dissolvenza.
La ventisettesima sequenza si svolge all’interno del monastero di Montecassino. Inizia
con un’inquadratura dell’abbazia e con il suono delle campane a festa. Una dissolvenza
sposta l’azione all’interno della basilica, si sente la voce di un monaco che canta. La
cinepresa si muove ad inquadrare il particolare di un cappello militare portato
sottobraccio dal suo proprietario e si alza fino a mostrare la persona in questione: è il
colonnello Schlegel.89 Viene poi inquadrato un monaco in piedi, nel quale si riconosce
don Emanuele Munding di Beuron. Un’inquadratura svela la navata della basilica , con i
due cori di monaci e tra di loro l’abate in preghiera (figura 41). La voce che si sente è
proprio quella dell’abate Diamare. L’atmosfera è solenne, ma la cupezza
dell’illuminazione fa intuire la situazione drammatica vissuta dai monaci in quel
periodo.
88
F. Majdalany, op. cit., p.32
L’ultima visita di Schlegel al monastero risale a un giorno compreso tra il 4 e l’8 di novembre, quando
le messe già si svolgevano nella cappella del collegio. In quell’occasione l’Abate Diamare chiese al
colonnello di firmare un documento secondo il quale il monastero è sotto la protezione militare e quindi
che è assolutamente vietato requisire qualsiasi cosa senza l’ordine della Divisione. Grossetti – Matronola,
op. cit., p. 26
89
304
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Figura 41. Il coro dei monaci
Il colonnello guarda l’orologio ed esce dalla sala, seguito dal monaco tedesco. Entra in
una porta, sulla parete si trova collocato un grande crocifisso di legno, che già si è visto
in altre scene del film. E’ l’unica opera d’arte che realmente si vede, ed è indicativo
della Passione che stanno attraversando i seguaci di San Benedetto durante la guerra,
una sorta di elemento simbolico.
Schlegel comunica al monaco che fra poco tornerà a casa. Il religioso gli dice che è
stato Dio a mandarlo90, ma il colonnello sostiene di aver fatto tutto quanto solo per se
stesso, poi si salutano e il militare se ne và. Il coro dei monaci ora canta un Alleluia,
quasi fosse un ringraziamento all’ufficiale che ha salvato il loro patrimonio. La
macchina da presa si avvicina a loro e finisce con l’inquadrare l’abside ed il catino
absidale della basilica, decorato da un mosaico di Cristo in gloria, mentre su una trave
sospesa si trovano le statue di Gesù in Croce fra due santi, ancora la stessa immagine
ricorrente.
Nella sequenza appena descritta si notano alcune incongruenze temporali. L’ultima
visita del colonnello Schlegel risale all’inizio di novembre. Qui la messa è celebrata
all’interno della basilica, quando a quel tempo già si celebrava nella Cappella del
90
Anche questa conversazione compare nell’articolo del colonnello Schlegel già citato. In Grossetti –
Matronola, op. cit., p.234.
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Collegio91. La messa a cui assistette il colonnello nella basilica risale invece al giorno 1
novembre92, quando, con tanto di troupe cinematografica, l’Abate consegnò delle
pergamene miniate all’ufficiale, come dono di ringraziamento: una per il generale
Conrad, una per sé e una per il capitano medico Becker, ovvero coloro che avevano
lavorato per mettere in salvo il patrimonio dell’abbazia. I due episodi sono stati quindi
visibilmente uniti: si narra della visita dello Schlegel, non della messa filmata, ma nel
luogo in cui era avvenuta la suddetta messa, non nella cappella.
Inoltre questo episodio è avvenuto circa un mese prima della consegna delle opere
salvate in vaticano da parte dell’autocolonna del colonnello, che il film invece ha
collocato precedentemente, pur risalendo all’8 dicembre.93
La ventottesima sequenza rappresenta un salto temporale notevole rispetto a quella
precedente. Il cielo è popolato di aeroplani, di cui si sente il rumore (l’immagine è
documentaria), mentre subito dopo la macchina da presa inquadra il monastero da
lontano e sullo schermo compare la data 15 FEBBRAIO 1944, giorno del
bombardamento.
Il film passa quindi in modo repentino al centro della battaglia di Montecassino,
tralasciando completamente tutta la prima parte, cioè quella che si svolge tra il 17
gennaio e il 7 febbraio, dove ebbero luogo gli scontri di sant’Angelo in Theodice e del
fiume Rapido. In realtà la battaglia sul Rapido era già stata mostrata nel corso della
pellicola, ma in modo molto approssimativo e non veritiero.94
I fatti che si svolsero tra il quindici e il 18 febbraio creano un certo disaccordo tra le
storiografie delle due parti: gli storici tedeschi tendono a considerarli solamente come
91
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 26.
Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 24 – 25.
93
Grossetti – Matronola, op. cit., p. 233.
94
Infatti non furono i paracadutisti tedeschi a combattere in quella occasione, ma le truppe di terra.
92
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bombardamento dell’abbazia, mentre la storiografia alleata parla di una battaglia.
Quindi per i tedeschi ci furono tre battaglia di Montecassino, mentre per gli alleati
quattro, e la seconda è proprio quella che si svolse tra il 15 e il 18 febbraio, e che il film
sta narrando in questo momento.
Le bombe iniziano a cadere su Montecassino, si vede un’esplosione al suo interno e i
profughi scappano scendendo una scala. Si sente solo il rumore delle deflagrazioni e
delle persone che urlano. Un monaco è ripreso in primo piano in preghiera (figura 42),
ed è un’immagine di fede e speranza nel caos regnante. La gente si mette al riparo,
franano i soffitti.
Figura 42. Monaco in preghiera durante il bombardamento
Ancora dall’esterno, nelle vere immagini della guerra95, Montecassino è visto
dall’esterno, da lontano, colpito da una grande quantità di ordigni. Gli aerei popolano
ancora il cielo sopra di esso e la cinepresa ne inquadra in particolare uno di essi, con il
simbolo dell’esercito americano. In primo piano il caporale Christiansen e il tenente
Reiter guardano la scena (figura 43): “Scaricano bombe come se ci fosse tutto l’esercito
tedesco”. I due attori, in questo frangente, recitano la loro parte davanti ad uno schermo
che proietta le immagini documentarie della distruzione dell’edificio. In cielo sono
95
Immagini documentarie.
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rimaste solo le scie degli aerei, mentre il monastero, ad un certo punto, scompare tra il
fumo e la polvere. Sull’ edificio già gravemente colpito continua la pioggia di bombe,
mentre la macchina da presa si sposta all’interno dei suoi cortili e, in piano sequenza,
mostra le rovine ancora in fiamme96. La distruzione si chiude con una dissolvenza.
Figura 43. Il caporale Christiansen e il tenente Reiter durante il bombardamento osservano il colle
del monastero
La ventinovesima sequenza si svolge all’interno del monastero. In piano sequenza passa
una barella con un ferito, trasportata da due uomini e seguita da un bambino. Un
monaco è in piedi e sta pregando, mentre altri suoi confratelli benedicono un ferito
deposto sul pavimento. Questi ultimi, tra cui si nota l’abate Diamare, si alzano e si
dirigono verso una scalinata, salgono qualche gradino per raggiungere una posizione
elevata, poi si fermano. I profughi e i monaci sotto la scalinata si inginocchiano, mentre
l’abate, in primo piano, li benedice.
All’esterno i profughi camminano sulle macerie (figura 44), mentre più lontano i
monaci escono in preghiera (figura 45). La musica è un drammatico Alleluia, che ben
accompagna la visione apocalittica della distruzione. Arriva un mezzo di trasporto
96
239 bombardieri pesanti e medi avevano colpito l’abbazia i otto ondate, sganciando un totale di oltre
450 tonnellate di bombe, di cui 66 incendiarie. F. Ficarra, op. cit., pp. 103 – 104.
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tedesco della croce rossa97. Da una motocicletta munita di sidecar scendono Inge e
Bauman. Il film rincara ancora la dose sulla bontà e disponibilità dei militari tedeschi
nel tempestivo aiuto delle persone colpite dal bombardamento.
Figura 44. Una donna esce dalle macerie
Figura 45. I monaci tra le macerie
Tra le macerie è rimasta molta gente, i monaci sono in fila all’interno di un cortile, dove
arrivano davanti ad una croce e si inginocchiano, mostrando così di non aver perso la
loro fede neanche in momento così terribile. L’abate bacia la terra e si rialza aiutato dai
suoi monaci, poi avanza e gli altri lo seguono. Torna don Emanuele, figura importante
nel film per i suoi rapporti con i tedeschi, che si guarda intorno e non va con gli altri.
Attraverso i suoi occhi la cinepresa mostra un paesaggio desolato di fumo e macerie. La
visione desolata si fa qui più coinvolgente grazie al punto di vista interno che assume
attraverso gli occhi del monaco di Beuron.
97
La sequenza dei fatti non è esatta. Secondo i diari dei monaci, e in particolare quello scritto da don
Martino Matronola, i monaci e i profughi in grado di muoversi lasciarono il monastero il giorno 17
febbraio, ma nessun mezzo di soccorso tedesco si era ancora recato al monastero per aiutare i feriti. I
monaci raggiungono a piedi una casetta della croce rossa, poco più in basso del monastero, dove alcune
ambulanze dovrebbero essere pronte per soccorrere i feriti, e i monaci se ne raccomandano a più riprese.
In Grossetti – Matronola, op. cit., pp. 96 – 108.
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I monaci si allontanano, mentre da lontano arrivano altri uomini: sono i soldati del
Primo Battaglione98. Il tenente Reiter manda Hugo a prendere l’acqua per i profughi.
Tra le macerie i militari sono annidati e il tenente tiene fra le mani una carta geografica.
Alla sua destra arriva un uomo (figura 46): “Signor tenente, c’è un messaggio qui. Il
comandante del Terzo Battaglione a quota 59099 è morto, dovete rimpiazzarlo al più
presto.” Ma il tenente risponde: “Come faccio, tra noi e quota 590 c’è un mucchio di
americani”. Sotto un portico Reiter ordina: “Christiansen, prendi la posizione con
quindici uomini”, un soldato corre fra le macerie e comunica al suo superiore che il
sotterraneo è pieno di feriti ed è arrivata la moto dei sanitari con l’infermiera che era
andata a Roma con il colonnello Schlegel.
Figura 46. Il tenente e un altro soldato tra le rovine di Montecassino
All’interno, in una stanza, Inge corre incontro a dei soldati per chiedere se hanno
dell’acqua. I militari scendono le scale e dei bambini si avvicinano a loro di spalle, Inge
sorride e dal fondo del locale Bauman entra dalla porta, comunicando di aver installato
98
I paracadutisti tedeschi hanno anche nella realtà sfruttato le macerie dell’abbazia per resistere
all’attacco alleato. F. Majdalany, op. cit., p. 153.
99
Probabilmente ci si riferisce, con più precisione, a Quota 593, che corrisponde alla posizione strategica
di Monte Calvario, a nord ovest di Montecassino, dove ci fu un duro scontro tra le truppe polacche e i
paracadutisti tedeschi. F. Majdalany, op. cit, pp. 154 – 155.
310
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il depuratore per l’acqua. Come già detto il fatto è di pura invenzione, ma accresce
l’aspetto positivo che si vuole dare ai militari del Reich.
All’esterno il tenente è ancora con lo stesso soldato e vuole tentare col buio di
raggiungere quota 590. Scoppiano delle bombe e i militari si buttano a terra. Reiter dice:
“Sembra che vogliano ricominciare il bombardamento. Fa preparare altri posti in
cantina.” Il soldato si alza e corre tra le bombe.
Una dissolvenza porta l’azione ancora in interni. Inge si trova in una camera buia, entra
il tenente e la bacia. Segue il primo piano della donna che mantiene però un’espressione
seria, poi quello dell’uomo. Entra dalla porta il caporale Karl: “Signor tenente, abbiamo
preso posizione”. Il tenente esce, mentre Karl si trova da solo con Inge. L’uomo,
inquadrato a mezza figura, le chiede: “Quanti sono i feriti che potrebbero essere
trasportati durante una notte? Casomai quelli interrompessero il bombardamento?”, ma
Inge non sa dire con precisione una cifra. Entrano due soldati, che riferiscono di aver
montato la radio nella stanza accanto a quella. Il caporale esce con loro e lascia la
donna, che urla il nome del caporale. In un’altra stanza una donna è in piedi di spalle
rispetto alla macchina da presa. Il tenente Reiter si avvicina e la guarda: è la moglie di
Paolo, Reiter non l’ha uccisa nella ventiduesima sequenza. La passa e sale le scale, lei lo
guarda. La tensione si fa palpabile anche fra i personaggi.
All’esterno il tenente corre fra le macerie e si avvicina alla cinepresa, arriva l’altro
soldato, che cerca di impedirgli di andare da solo a quota 590. Le bombe esplodono
ancora, il fumo è ovunque. Un corpo inquadrato a mezza figura, tra le macerie, si
muove e alza la testa, poi la fa ricadere: è ancora la moglie di Paolo, inquadrata questa
volta in fin di vita, anche se la sua morte è un fatto del tutto accidentale, non provocato
dalla crudeltà del tenente.
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Reiter e l’altro militare camminano tra le macerie. Il caporale Christiansen è seduto, in
primo piano, nella sala radio. Inge entra nella stessa stanza e va a sedersi su di una
branda piangendo, perché solo trentasette feriti possono essere trasportati (risponde ora
alla domanda che Karl le aveva fatto). I due sono di fronte in primo piano, poi Karl fa
sdraiare Inge. Ancora un momento di tenerezza fra i due.
Il tenente e l’altro soldato camminano ancora tra le macerie e si buttano a terra quando
sentono la voce degli Americani, che compaiono lontani a destra. La voce di uno di quei
soldati chiede chi c’è, i due Tedeschi si alzano nel buio e il tenente prova ad
imbrogliarlo parlandogli anch’esso in inglese. Inventa una storia ma il soldato di colore
(figura 47) non ci crede e gli ordina di alzare le mani (“Put your hands on!”). Il secondo
soldato prende da terra una pietra dietro al tenente, è ancora seduto, poi la scaraventa sul
nemico colpendolo vicino al volto. Quest’ultimo, a causa del colpo, spara e colpisce il
tenente Reiter, che cade. L’altro soldato tedesco va verso di lui, viene illuminato dagli
americani, cerca di arrampicarsi su una parete (sempre in luce), ma gli sparano e cade
vicino al tenente (figura 48). L’ultima immagine è per i due corpi ancora illuminati, in
un’immagine quasi surreale nel buio totale della scena.
Figura 47. Un soldato americano
Figura 48. il corpo di un soldato tedesco
Anche il caporale Karl illumina Inge con una torcia, creando un parallelismo tra le
scene, per svegliarla e le dice: “Cara, è ora, hanno interrotto il fuoco”. Seguono i primi
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piani alternati dei due, dopo di che il caporale se ne va, con il dubbio di non rivedere più
la donna, che prima di lasciarlo lo abbraccia.
La trentesima sequenza inquadra la città di Cassino sotto le bombe e in mezzo allo
schermo compare la scritta E IL BOMBARDAMENTO RIPRESE SENZA PIETA’
PER NESSUNO100. E’ un’altra sequenza documentaria. Le bombe scoppiano nelle
strade, il cielo è ancora popolato di aerei. La città è poi nuovamente ripresa da lontano.
Più da vicino invece i soldati sparano, le bombe esplodono, si inquadrano i cannoni e
nel cielo gli aerei che sganciano i paracadutisti. Le immagini della guerra sono quelle
molto comuni che compaiono in tutti i documentari, ma qui vengono intervallate con
quelle brevi dei protagonisti del film che si nascondono tra le macerie della città.
Il caporale corre, vede un cadavere e prende il suo fucile, dopo di che la cinepresa si
ferma a riprendere il morto e conclude la sequenza con una dissolvenza.
Conclusione
La macchina da presa si muove in panoramica sulla città distrutta, nel silenzio inizia a
parlare una voce fuori campo: “E fu la fine, la fine di una battaglia tremenda che vide
morire tra fuoco e sangue i migliori soldati dell’uno e dell’altro esercito – viene
inquadrato un campo con delle croci – come gli Americani, i Sudafricani e i Polacchi
della quinta Armata, e quei Tedeschi del Primo reggimento Paracadutisti – inquadratura
del cimitero di guerra tedesco, le croci sono diverse da quelle precedenti – che il
nemico, in omaggio al loro valore, battezzò “I Diavoli Verdi di Montecassino” – la
cinepresa continua la panoramica sul cimitero tedesco e inquadra Inge e Karl, poi
100
Il bombardamento che colpì con violenza la città di Cassino avvenne il 15 marzo, nel corso di quella
che viene definita la seconda battaglia di Montecassino. La città divenne un’enorme barriera anticarro,
per le condizioni in cui si trovava il terreno, che non permettevano l’utilizzo di mezzi pesanti. V. Rossetti,
La seconda battaglia, www. dalvolturnoacassino. it.
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continua sul cimitero polacco in panoramica - . Il rombo della battaglia è cessato da
tempo, ma in alto, sopra la valle, si ergono ricostruite le mura, le cupole e i campanili
del monastero di Montecassino – la cinepresa continua la sua strada dal cimitero
polacco fino al monastero, che si trova proprio sul colle di fronte -, un tempo
monumento del desiderio di pace degli uomini, oggi monumento terribile che non
consentirebbe riposo a chi ne dimenticasse l’atroce significato.”
Il film centra quindi la sua attenzione sull’episodio del salvataggio delle opere d’arte per
mano del colonnello Schlegel e della Herrman Goering, che tanto lustro diede
all’esercito tedesco durante la guerra. Infatti pellicole di questo genere servivano alla
Germania per rivalutare le loro implicazioni nella guerra e per mostrare, soprattutto,
quello che di buono avevano fatto. E l’episodio di Montecassino era l’ideale per
raggiungere lo scopo.
Se la prima parte del film, con le battaglie poco veritiere e le storie private dei
personaggi, serve di preparazione al fulcro del racconto, la parte centrale affronta la
storia in modo abbastanza preciso. Anche se chiaramente alcuni particolari sono falsati,
o meglio, visti solamente dal punto di vista del colonnello Schlegel. Non sfiora
chiaramente la possibilità che le opere d’arte potessero essere state veramente trafugate
per finire alla “corte” di Herrman Goering, poiché comunque la consegna avvenne, e in
grande stile, con tutto quell’apparato di propaganda che caratterizzava l’intero regime
hitleriano.
Solo nella seconda parte del film si affronta il tema vero e proprio della battaglia di
Montecassino, ma in modo del tutto sommario.
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Si parte dal bombardamento dell’abbazia, avvenuto il 15 febbraio, tralasciando
completamente la prima battaglia, che viene solamente accennata molto prima ed
estrapolata da ogni contesto, e che fissa nei paracadutisti i protagonisti di un’importante
battaglia sul fiume Rapido che in realtà si svolse tra la 36^ Divisione Texas e la 15^
Panzergrenadier Division (divisine di fanteria).
Il bombardamento rimane comunque un episodio favorevole alle truppe tedesche, che si
trovarono puliti di fronte all’onta che invece affliggeva le truppe alleate. Un altro punto
a loro favore, quindi.
Tutto il resto della battaglia è fatta di semplici accenni, che servivano principalmente a
provare il valore dei soldati tedeschi, che anche nella realtà si comportarono nel
migliore dei modi, soprattutto sulla linea Gustav.
E’ da notare infine la caratterizzazione che viene data ai personaggi, che in diverse
battute del film rivelano la loro generosità, la loro umanità, e la loro dissociazione verso
un regime che li rende assassini spietati.
I diavoli verdi di Montecassino è da ritenersi quindi un film profondamente legato al
suo tempo, in cui la Germania si stava risollevando dalla sconfitta della guerra e aveva
bisogno soprattutto di un riscatto morale verso il resto del mondo, che vedeva solo
quello che di negativo c’era stato.
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11.5. Pellicole secondarie
Come già ricordato in precedenza, la battaglia di Montecassino, pur rimanendo un
episodio fondamentale della seconda guerra mondiale combattuta sul suolo italiano, non
ebbe grande influenza sulla cinematografia italiana e straniera.
Oltre ai film analizzati, che trattano in modo approfondito questo episodio, esistono
altre pellicole che hanno in qualche modo a che fare con la battaglia in questione.
Il primo in ordine cronologico è La vita ricomincia, che il regista Mario Mattioli diresse
nel 1946. Nel film un reduce sbarca a Napoli e, sulla strada per Roma, passa a Cassino.
Essendo la pellicola girata subito dopo la guerra, quello che si vede di questo luogo è un
cumulo di macerie e il personaggio in questione si sofferma a guardare inorridito quello
che rimane della città. La durata delle scene interessate al tema trattato è in tutto di una
decina di minuti.
Figura 1.Gli attori osservano il paesaggio lunare attorno alla Rocca Janula nel film La vita
ricomincia, di Mario Mattioli, 1946
Nel 1948 negli Stati Uniti veniva girato Key Largo ( L’isola di corallo ) dal regista John
Huston. L’unico riferimento alla battaglia di Montecassino è una frase detta da
Humphrey Bogart quando gli viene chiesto dove aveva fatto la guerra: “ Ero in Italia, su
una collina vi era un monastero…”. Key Largo è un’isola vicino alla Florida dove il
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protagonista va a fare visita ai familiari di un suo commilitone caduto a Cassino. E’
anche da ricordare che il regista John Huston fu veramente mandato sul fronte di
Cassino, arruolato nel 143° Reggimento fanteria del Texas, dapprima per documentare
l’imminente liberazione di Roma, ma quando i tedeschi bloccarono gli alleati sul fiume
Liri, il suo compito divenne quello di spiegare agli americani perché la guerra si era
fermata tra Roma e Napoli. Il prodotto di questo lavoro fu un combat film dal titolo The
battle for San Pietro, girato nel paese di San Pietro Infine, dove John Huston entrò per
primo, insieme alla sua troupe cinematografica, dopo quindici giorni di combattimenti.
Nel 1968 Duilio Coletti e Edward Dmytryk dirigono Lo sbarco di Anzio, una
produzione internazionale di Dino De Laurentiis che narra dello sbarco omonimo
attraverso gli occhi di un corrispondente di guerra a Napoli, della resistenza tedesca a
Cassino ( si vede qualche immagine di battaglia in un territorio collinoso ) e dell’arrivo
a Roma degli Alleati.
Figura 2. Locandina del film Lo sbarco di Anzio di Duilio Coletti e Edward Dmytryk, 1968
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Una curiosità caratterizza invece La battaglia dell’ultimo panzer, film italo – spagnolo
diretto da Josè Luis Merino nel 1968. Tutta la storia è ambientata dopo lo sbarco in
Normandia, quindi in tempi diversi da quelli delle battaglie sulla Linea Gustav, ma la
particolarità sta nel fatto che il film, nella distribuzione tedesca, ha come titolo
Montecassino. Probabilmente fu un modo per attirare nelle sale il pubblico tedesco,
molto sensibile all’episodio.
Figura 3. Locandina della versione tedesca del film La battaglia dell'ultimo panzer di Josè Luis
Merino, 1968
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12. APPENDICI
12.1. APPENDICE 1: L’ ABBAZIA DI MONTECASSINO
Figura 1. L'abbazia di Montecassino oggi
L’abbazia di Montecassino, fondata da San Benedetto da Norcia verso l’anno 529 d.C.,
sorse sulla base di una preesistente fortificazione romana del municipium di Casinum.
Su questo monte si esercitava ancora il culto pagano con un tempio dedicato ad Apollo
e un boschetto sacro con annessa area per i sacrifici.
Montecassino lungo i secoli ha vissuto una feconda storia di santità, di cultura e di arte,
per cui è celebre nel mondo intero.
Distrutto verso l’anno 577 dai Longobardi del duca beneventano Zotone, il monastero
rinasce agli inizi del secolo VIII per opera del bresciano Petronace su mandato di papa
Gregorio II. Già in questo secolo l’abbazia si affermava come centro importante di
cultura e Paolo Diacono vi fondava uno scriptorium, dove furono trascritte molte opere
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antiche e che divenne uno dei principali centri di diffusione della scrittura beneventana.
Per l’abbazia cassinese è un periodo di grande splendore: vi accorrono il monaco
sassone Villibaldo, il monaco Sturmio discepolo di San Bonifacio, fondatore di Fulda e
del monachesimo tedesco, il duca Gisulfo II di Benevento, Carlomanno fratello di
Pipino, Ratchis re dei Longobardi, Anselmo futuro abate di Nonantola. Nel 787 vi
giunge Carlo Magno, che rilascia ampi privilegi.
Nell’883 i Saraceni invadono il monastero, lo saccheggiano e lo danno alle fiamme. Vi
trova la morte il santo abate Bertario, fondatore della Cassino medievale. I monaci
superstiti riparano prima a Teano, poi a Capua, e solo verso la metà del X secolo la vita
monastica riprenderà in pieno grazie all’abate Aligerno.
Durante il secolo XI si succedono grandi abati: Teobaldo, Richerio, Federico di Lorena,
che sarà poi papa con il nome di Stefano IX. Essi elevano Montecassino a livelli di
grande prestigio in campo ecclesiastico e politico, che trova il suo apice nella
personalità dell’abate Desiderio.
Amico e collaboratore di papa Gregorio VII nella lotta per la libertà della Chiesa,
Desiderio abate e cardinale ne diverrà il successore con il nome di Vittore III: durante il
suo abbaziato viene ricostruita la Basilica, consacrata nel 1071, e il monastero si
arricchisce di codici miniati, mosaici, smalti, oreficeria liturgica di fattura orientale.
Alla grandiosa opera di ricostruzione furono chiamati architetti lombardi e amalfitani
oltre a pittori provenienti da Bisanzio. La presenza e l’attività di questi ultimi a
Montecassino sono all’origine della scuola cassinese di pittura, sviluppatasi appunto nel
corso del secolo XI.
Nel 1349 avviene la terza distruzione a causa di un terremoto: dell’edificio fatto
costruire dall’abate Desiderio non restano che poche mura. Ricostruito dal secolo XVI
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al secolo XVIII, accolse nel suo ultimo aspetto caratteri del tardo Rinascimento, ma nel
prosieguo dei lavori si configurò come monumento architettonico dell’età barocca .
In questa
ricostruzione varie sono le aggiunte e gli abbellimenti, che danno al
monastero la grandezza conservata fino al 15 febbraio 1944, quando, nella fase finale
della seconda Guerra Mondiale, Montecassino vene a trovarsi sulla linea di scontro
degli eserciti: luogo di preghiera e di studio, divenuto in circostanze così eccezionali
anche asilo di centinaia di civili rifugiati, fu, nello spazio di tre ore, ridotto a un cumulo
di macerie, sotto le quali trovarono la morte molti dei rifugiati.
Figura 2. Interno della basilica prima del bombardamento del 15 febbraio 1944
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Figura 3. Interno della basilica dopo la ricostruzione del dopoguerra
Quanto si vede oggi è stato riedificato sull’antico modulo architettonico, con la sua
pianta rettangolare aperta sul disegno dei tre chiostri, dei secoli XVI e XVIII, con la
grandiosa basilica a tre navate , secondo il programma dell’abate ricostruttore Ildefonso
Rea: “ dov’era, com’era”.
Le varie opere di ricostruzione e di decorazione hanno avuto la durata di un decennio e
sono state esclusivamente finanziate dallo Stato italiano.
Nel 1950 sono state ritrovate le reliquie di San Benedetto e di Santa Scolastica, ora
sistemate nell’altare maggiore. Pressoché integra si è conservata la cripta, decorata nel
1913 dagli artisti della scuola tedesca di Beuron.
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L’abbazia conserva tuttora la sua preziosa biblioteca, pur gravemente compromessa
dalle distruzioni belliche: del ricchissimo patrimonio , frutto di un immenso lavoro
culturale, oggi si conservano ancora oltre 1000 codici, 40000 pergamene e tutto il fondo
delle opere a stampa con 250 incunaboli.
Il primo documento ufficiale in volgare, conservato nella biblioteca di Montecassino, è
del 960. Si tratta del cosiddetto Placito Capuano, un atto giudiziario nel quale tre
testimoni garantivano l’appartenenza di certe terre al monastero di Montecassino con la
seguente formula:
SAO KO KELLE TERRE, PER
KELLE
FINI QUE KI CONTENE,
TRENTA ANNI LE POSSETTE PARTE SANCTI BENEDICTI ( So che
quelle terre , con quei confini che qui si descrivono, le possedette trenta anni
l’ordine di San benedetto ).
La biblioteca è stata dichiarata monumento nazionale e rientra nel novero delle
biblioteche pubbliche statali, mentre nel museo sono conservate opere di vario genere
salvate dal bombardamento. Si possono ricordare tra queste: i resti del pavimento della
basilica realizzata sotto l’abate Desiderio; le oreficerie altomedievali, che documentano
l’antichità dell’insediamento cristiano a Montecassino; i tre portali della basilica
dell’abate Desiderio; i bozzetti di scuola napoletana che documentano quasi
completamente la decorazione pittorica della distrutta basilica, realizzati tra gli altri da
L. Giordano, F. Solimena, De Mura, S. Conca; sculture dei secoli XV, XVI, XVII che
decoravano gli ambienti del monastero; statue lignee di varia epoca; legature ricche e
variegate che dimostrano l’amore dei monaci per i libri; stampe e disegni che
documentano il complesso monumentale del monastero e lo svilupparsi delle sue
fabbriche; corali, manoscritti, regole, libri d’ore, per un totale di oltre 100000 volumi
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che i monaci hanno raccolto dal VI secolo a oggi; marmi provenienti dalla basilica;
paramenti sacri destinati a liturgie solenni e preziosamente ricamati; merletti, avori e il
Tesoro, la suppellettile in uso per le celebrazioni liturgiche; reperti etruschi e romani
trovati sul luogo che testimoniano la vita sul colle già dal VI secolo a. C. Per finire una
serie di quadri dal secolo XV raffiguranti San Benedetto nel suo tradizionale abito nero
e bianco dalle ampie maniche, con pastorale e libro della Regola.
Figura 4. Chiostro del Bramante
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Figura 5. Statua di San Benedetto
Figura 6. Statua di Santa Scolastica
Figura 7. Altare maggiore della basilica
Figura 8. Altare maggiore della basilica
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12.2. APPENDICE 2: IL VOLANTINO DEL 14 FEBBRAIO 1944
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Il 14 febbraio 1944 gli aerei Alleati lanciarono sul Monastero di Montecassino molti
volantini, per avvisare la gente che aveva trovato rifugio in esso che il sacro recinto
sarebbe stato bombardato. Purtroppo per i militari tedeschi doveva trattarsi solo di una
sorta di trappola o di propaganda e i civili non furono lasciati uscire in tempo utile,
prima cioè che l’Abbazia non venisse realmente presa di mira dal bombardamento
angloamericano.
Il film Montecassino di Arturo Gemmiti mostra questo volantino, che però è
leggermente modificato. Il volantino preparato per il film recita:
Amici Italiani, finora abbiamo cercato di evitare il bombardamento di
Montecassino, ma i tedeschi hanno saputo trarne vantaggio. Ora la battaglia si
è ancora più stretta intorno al sacro recinto; noi a malincuore siamo costretti a
puntare le armi contro lo stesso Monastero. Abbandonate subito il Monastero; il
nostro avviso è urgente ed è dato per il vostro bene.
LA QUINTA ARMATA
Come si può notare di seguito, osservando la copia del volantino originale1, il testo è
stato leggermente modificato nel contesto cinematografico, ma non stravolto nella
sostanza.
1
L’immagine del volantino è stata presa dall’apparato iconografico del libro già citato di Grossetti –
Matronola.
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12.3. APPENDICE 3: LA DICHIARAZIONE DELL’ABATE DIAMARE
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Qualche ora dopo il bombardamento l’Abate Diamare rilasciò, sotto richiesta dei
militari tedeschi una dichiarazione autografa scritta sull’altare della Torretta. 1
Questo è il testo della dichiarazione:
Attesto per la verità che nel recinto di questo sacro Monastero di Montecassino
non vi sono stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo tempo tre
gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale che si era stabilita
intorno al Monastero, ma questi da circa venti giorni furono ritirati.
Montecassino, 15 febbraio 1944
Gregorio Diamare
Vescovo Abate di Montecassino
Come si può notare nel documento originale riportato di seguito, il foglio su cui è stato
scritto il documento di pugno dell’Abate è diviso in due parti. Nella parte inferiore
infatti si trova una traduzione in tedesco sommaria del documento, che recita : “io
attesto per la verità che nel Monastero di Montecassino non si trovavano e non si
trovano soldati tedeschi”, controfirmata dall’Abate Diamare.
1
L’immagine e il testo sono tratti dall’apparato iconografico del libro di Grossetti – Matronola.
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12.4. APPENDICE 4 : THE DEATH OF CAPTAIN WASKOW (Ernie
Pyle)
AT THE FRONT LINES IN ITALY, January 10, 1944 — In this war I have known a
lot of officers who were loved and respected by the soldiers under them. But never
have I crossed the trail of any man as beloved as Capt. Henry T. Waskow of Belton,
Texas.
Capt. Waskow was a company commander in the Thirty-Sixth Division. He had led
his company since long before it left the States. He was very young, only in his middle
twenties, but he carried in him a sincerity and gentleness that made people want to be
guided by him.
"After my own father, he came next," a sergeant told me.
"He always looked after us," a soldier said. "He'd go to bat for us every time."
"I've never knowed him to do anything unfair," another one said.
I was at the foot of the mule trail the night they brought Capt. Waskow's body down.
The moon was nearly full at the time, and you could see far up the trail, and even part
way across the valley below. Soldiers made shadows in the moonlight as they walked.
Dead men had been coming down the mountain all evening, lashed to the backs of
mules. They came lying belly-down across the wooden packsaddles, their heads
hanging down on the left side of the mule, their stiffened legs sticking awkwardly
from the other side. bobbing up and down as the mule walked.
The Italian mule-skinners were afraid to walk beside the dead men, so Americans had
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to lead the mules down that night. Even the Americans were reluctant to unlash and lift
off the bodies at the bottom, so an officer had to do it himself, and ask others to help.
The first one came early in the morning. They slid him down from the mule and stood
him on his feet for a moment, while they got a new grip. In the half light he might
have been merely a sick man standing there, leaning on the others. Then they laid him
on the ground in the shadow of the low stone wall alongside the road.
I don't know who that first one was. You feel small in the presence of dead men, and
ashamed at being alive, and you don't ask silly questions.
We left him there beside the road, that first one, and we all went back into the cowshed
and sat on water cans or lay in the straw, waiting for the next batch of mules.
Somebody said the dead soldier had been dead for four days, and then nobody said
anything more about it. We talked soldier talk for an hour or more. The dead men lay
all alone outside in the shadow of the low stone wall.
Then a soldier came into the cowshed and said there were some more bodies outside.
We went out into the road. Four mules stood there, in the moonlight, in the road where
the trail came down off the mountain. The soldiers who led them stood there waiting.
"This one is Captain Waskow," one of them said quietly.
Two men unlashed his body from the mule and lifted it off and laid it in the shadow
beside the low stone wall. Other men took the other bodies off. Finally there were five
lying end to end in a long row, alongside the road. You don't cover up dead men in the
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combat zone. They just lie there in the shadows until somebody else comes after them.
The unburdened mules moved off to their olive orchard. The men in the road seemed
reluctant to leave. They stood around, and gradually one by one I could sense them
moving close to Capt. Waskow's body. Not so much to look, I think, as to say
something in finality to him, and to themselves. I stood close by and I could hear.
One soldier came and looked down, and he said out loud, "God damn it." That's all he
said, and then he walked away. Another one came. He said, "God damn it to hell
anyway." He looked down for a few last moments, and then he turned and left.
Another man came; I think he was an officer. It was hard to tell officers from men in
the half light, for all were bearded and grimy dirty. The man looked down into the
dead captain's face, and then he spoke directly to him, as though he were alive. He
said: "I sure am sorry, old man."
Then a soldier came and stood beside the officer, and bent over, and he too spoke to
his dead captain, not in a whisper but awfully tenderly, and he said:
"I sure am sorry, sir."
Then the first man squatted down, and he reached down and took the dead hand, and
he sat there for a full five minutes, holding the dead hand in his own and looking
intently into the dead face, and he never uttered a sound all the time he sat there.
And finally he put the hand down, and then he reached up and gently straightened the
points of the captain's shirt collar, and then he sort of rearranged the tattered edges of
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his uniform around the wound. And then he got up and walked away down the road in
the moonlight, all alone.
After that the rest of us went back into the cowshed, leaving the five dead men lying in
a line, end to end, in the shadow of the low stone wall. We lay down on the straw in
the cowshed, and pretty soon we were all asleep.
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12.5. APPENDICE 5: RILEY TIDWELL’S HOMECOMING
Riley Tidwell1 non sapeva che il suo capitano era stato il protagonista di un
apprezzato articolo di Ernie Pyle fino all’estate del 1945, quando Tidwell tornò a casa
dall’ Europa. Il seguente testo è la trascrizione di una conversazione registrata il 18
gennaio 1995, nella quale Tidwell raccontava il suo ritorno a casa e l’impegno nella
trasposizione cinematografica dell’articolo di Pyle. Parla anche del suo incontro con
il padre di Pyle e con gli attori Burgess Meredith e Robert Mitchum.
I got hit coming down the mountain there with Waskow. I'd got hit in the wrist. In fact, I
still wear a brace now on my left arm, from my knuckles in my hand, plumb up to my
shoulder on my left side. I'd got hit in my wrist, but it didn't bother [me] much, and I'd
also got hit upside the head, up by the left ear. Right in front of the left ear. And I did
take 15 stitches at the aid station, sewed that up. I was all right. It didn't hurt much.
Except for the blood, it didn't hardly bother me. Well, they sent me back to Naples, and
I was in the hospital there.
I stayed there a few days, and then they put me aboard a plane, a C-47, and I was a litter
patient. I wanted to walk, but they wouldn't let me. And they put me on this plane, and
there was one [patient] above me and one below me. . . . And on one side of this
airplane, that's what they had. And on the other side of this airplane, it was patients who
were wounded but could sit up. They had all the equipment up and down the aisle in
this plane. Somewhere, where we left Italy and went out over the water, into Sicily, we
1
Il testo dell’intervista è tratto dal sito www. kwanah. com. Riley Tidwell era un soldato appartenente
alla 36^ Infantry Division e comandato dal capitano Waskow. Nel testo la sua testimonianza sulla guerra
e il suo incontro con i protagonisti del film di Wellman, che si sono ispirati alle loro vicende.
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hit an air pocket. That's what they told me. I didn't know. That was the first airplane I'd
been on. We hit an air pocket and that airplane went down. Well, not all the way down,
it just dropped a long time. And I went up. I wasn't strapped in there; I don't know why.
And I hit this German litter with my head. Up above me was a German litter and a
German patient, I guess. But anyway, I hit that with my head and it busted my head
open. But like the other time, it didn't hurt much—it was just a lot of blood.
The pilot, I remember, came back after the plane kind of had settled down. Rain—man,
it was pouring down rain! And he asked if everybody was all right. . . . I said, "Who is
up there driving this thing?" and he said he had it on automatic pilot. And I told him, "I
think you ought to get back up there and get a hold of this thing. That was a bad bump
we had back there." We went ahead and landed in Sicily, but we couldn't leave. The
water was too deep on the runway, so we couldn't take off. We were there for two days,
and they had us in an old barn. And we stayed in that barn for two days, and they finally
took off with us, and I went back to Bizerte, North Africa.
I stayed in Bizerte all through the winter. I don't know just how many months it was. A
couple of months, I guess. And I [got] pneumonia right after I got back there. I got
between sheets in a warm bed. I had got sick. So, I [also] had these bad feet, and they
were telling me how bad—if I didn't do something with them, I'd lose my toes. They
told me what to do, and I started doing that, to try to get circulation back in my toes.
They even showed us some people who had lost their toes—they had them in [a jar].
We called 'em. pickled toes. Ha ha! So it scared me. Anyway, I went to work on my
feet, to try to get them back into shape. And I must have done a pretty good job, because
after that they let me out. I went to a replacement camp, up there. This is at the same
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time that [the Fifth Army] invaded at Anzio.
And there weren't any ships or planes—there wasn't any way to get back to Italy. You'd
just have to stay in this camp, and they were walking us about ten miles a day, getting
us back in shape. They said something about sending us back to England. And there was
a rumor going around that said, if we go back to England then we'll go home to the
States and stay a few days, and then we'll have to go on to Japan. That was the rumor.
And it just scared the daylights out of me. I said, "Man, I ain't gonna do that." So I hung
around there for a while, did this walking, and I got this pass and went to town. Into this
little old town there in North Africa. And I went to one of these bars where you get that
famous beer, whatever that mess is. Well, anyhow, I was drinking that stuff when a
captain from the Air Force came in. The officers from the Air Force would talk to the
enlisted men—they were just real friendly. And this man was from Texas. I forget his
name. Don't know if he ever told me. I guess he did, but I don't remember it. And he
said he was going to Naples, Italy, the next morning in a plane. I asked me if I could
ride with him. He said, "You got a pass?" I said, "Doctor, I be illegal. I be A.W.O.L."
He said, "Will you be responsible?" I said, "Sure will." And he said, "If you'll be at the
airport at four o'clock in the morning, we'll go."
And so I went back to my camp. . . . I had time to walk out to that airport. I went out
there the next morning, and had to crawl into the bottom of that airplane, and I kind of
lay down. We landed in Naples, and he let us out. Some way or another, some officer's
bag had gotten on my litter when I was wounded and was on that airplane [to Bizerte],
and it wasn't mine. I had kept it for two or three months, and never had even opened it
until I did, back there in that hospital, and found out there was a camera in there. The
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nurses around there had wanted that camera and electric razor, so I sold it to them. I got
a little extra money for that. And that's what I had when I got back to Italy.
That's all I had, because I hadn't been paid in I-don't-know-how-long. But I used that
money. I stayed there in Naples for three days. And I said, "I'm going to turn myself in
to the MPs," because I was afraid I'd get in trouble. I was already A.W.O.L., and I didn't
want to get in more trouble than I was already in. So I went down to the MP
headquarters, and walked in. I pulled my dogtags out and showed them to this man
sitting at the desk. And he was a sergeant. I never saw so many stripes in my life—man,
he was way up there. He had hash marks halfway up his elbow. And he was red-headed.
I'll never forget it. I walked in, handed him my dogtags and said, "Sir, I'm A.W.O.L."
And he said, "Where from?" and I said, "North Africa."
He said, "How'd you get here?" And I said, "I flew on an airplane." And he said, "What
are you trying to do, then? Where are you going? How come you're here?" And I said,
"I want to get back to my outfit."
He said, "Where is your outfit?" and I said, "On the front lines." And he said, "Man, you
got to be crazy." And I said, "Yes, sir, I guess I am. But this is what I want. All my
friends are up there, and I was afraid I was going to get shipped out to somewhere else,
to go somewhere where I didn't know anybody."
Go to Japan? I didn't want to do that. 'Cause I wanted to stay with my friends up there.
So I went "over the hill" to go back. His [the sergeant's] name was Tidwell, and he was
from Alabama. Man, you talk about treating me nice! He put me on patrol duty, and I
stayed on patrol duty. That was Friday, and I stayed on patrol duty Friday night and
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Saturday, and Saturday night he took me out to the stockade and I stayed in a building.
The next day, they loaded up a bunch of those A.W.O.L. soldiers that came in off the
front lines and got a pass and got drunk and didn't go back. They load 'em up in trucks
and take 'em back to the front lines. So, that Sunday night—actually, it was early
Monday morning—they loaded up a load of them, and they gave me a rifle, and I sat on
the back, and they told that driver, "Take all these to their outfit, and check them out,
and when you get through take this man to his outfit." So, I wound up back at my outfit.
I got back just before they was bombing the monastery [at Cassino on February 15,
1944]. I told [my new company commander] what I'd done. He asked me how come I'm
back there, and where I'd been, and I told him. I said, "I went over the hill from North
Africa. Caught me a plane and got back here. And I'm back." He said, "I guess there
isn't going to be anything done about it, because I haven't heard anything and nobody
ever sent me any papers. So I don't know, so everything's fine." It never went on my
record.
I went on up as far as . . . the Anzio beachhead. And then we went out through Anzio
and on through Rome.
We got relieved and pulled back in towards Naples. Then we were going in to southern
France. And right away, after we got there, they pulled me back, and sent me back to
Naples, Italy, and I got on rotation to come home. So it wasn't too long after that I got
on a boat and came on home.
Somebody in the news media, when we got back to . . . Camp Patrick Henry, Virginia, I
believe it was, somebody asked about Captain Waskow. I said, "Yeah, I brought him
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down the mountain." So they just said something about it, and wrote something down,
and I didn't even think any more about it. And I went on out of there, and into El Paso. .
. . I came back home and stayed for thirty days, and then went to Miami, and then from
Miami, I went back to New York. Long Island. I was on Long Island for a while, at the
hospital. And I did some work there. They sent me on special duty to drive a staff car
when Eisenhower's son graduated at West Point. And I went on up there and drove a
staff car for that. Then they sent me to Fort Dix, New Jersey. I was picking up cigarette
butts out there with a stick, and trash on the streets, when some sergeant drove up in a
car, and told me the colonel wanted to see me in the office. I couldn't imagine why. But
anyhow, I got in the car and went on up there with him, and that's the first time I knew
about Ernie Pyle's story.
Mike Sweeney: So this would be late 1944?
Riley Tidwell: No, I didn't get back until 1945. 1 got back in July, I believe it was. So,
he picked up some papers and told me they wanted me at Radio City in New York City,
I got travelling orders and expense money to use—whatever they give you, you know—
and packed my other uniform. I didn't have but two. So, I took off for Radio City, New
York, and I met the people there I was supposed to see. They talked about this deal that
they were going to have in Indianapolis, in Indiana, for Ernie Pyle [who died in April
1945]. And they wanted me to go. They didn't make the decision, that day, that I would
really be going. My wife at that time was out on Long Island. So I told them I’d like to
go out to where she was, if I could. And they said, "Well, take a couple of days and go."
I said, "Well, you have to make this all right with my company commander back there
at Fort Dix." So they did. I went on home, stayed a couple of days, and came back. And
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I got on the train there, and went into Indianapolis.
Riding those old coal-burners, you can imagine what I looked like, riding a train from
New York City to Indianapolis, with coal cinders blowing back in there. I was as dirty
as a pig. And I was supposed to report to the Lincoln Hotel, in Indianapolis. To a Mister
Brackett. So, I went into the hotel, with my little duffel bag, and told them I wanted a
room. They said, "What price?" and I said, "Whatever the Army pays." Three dollars a
night, I believe it was—three dollars and a half, whatever. And that got a room. And
they turned that book around for me to sign in, and I signed, and he asked me, "Are you
Riley Tidwell?" And I said, "Yes, sir, sure am." He said, "You don't need a room. You
got a suite here." I didn't know about that. So they took me upstairs, and I never saw
such a room in my life. Never been in a room like that. Oh, man, it was beautiful.
And my bathtub was iced down in beer. So I spent the night in the bathroom. I didn't
want to go in there and sleep in no bed. Not with all of that beer in there. So, the next
morning, this Mister Brackett came up and I found out what I was there for. He told me
that I was to do the Ed Sullivan Show—the Vox Pop program, at that time.
Mike Sweeney: From Indianapolis?
Riley Tidwell: Yeah, from Indianapolis. They were there for the premiere of The Story
of G.I. Joe. I went there for the Ed Sullivan Show. They had a deal, in Vox Pop, where
they had people in the audience, just lots of people—it was all radio, no television—and
they advertised for Bromo-Seltzer. They threw a handful of money out into the audience
for people to pick up. Now, what their gimmick was, I don't remember. But anyway,
they showed 'em a bunch of stuff that I got. A suit of clothes. They told me they thought
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I was fixing to get out of the service, so they were going to give me a suit of clothes to
wear when I got out. I never had a suit on in my life. But anyway, it was somebody
else's suit they hung up. I got luggage, and all kinds of good stuff, and then I went out to
see Ernie's—was it is mother, or his father?
Mike Sweeney: His dad. His mother had died.
Riley Tidwell: His dad and his Aunt Mary. I went and sat between them when the
movie came on, so I could tell them about the last time I saw Ernie Pyle. Now this was
all new to me. I didn't know what-all I was getting into. . . . After that, I got on a plane
and went to Washington, D.C. . . . and the MP's met me out there the next morning at
the airport. I didn't know what all that was about, either. I was scared to death. Not ever
having been in anything like that, I really was nervous about it.
But, they picked me up and took me to this place, and they wanted me to change
clothes, and get new clothes and all that. And I didn't know how to get new clothes-didn't have enough money to buy any. But they got me a new uniform, and they sewed
on all the patches, I'd never seen so many ribbons in my life. I had ribbons all over me!
So, anyway, they went to the National Press Club, that night, in Washington, D.C.
There's where I did the show with Burgess Meredith—he played Ernie Pyle in the
movie. He was there. And Dinah Shore was there. And the boys who raised the flag on
Iwo Jima. I met all them. And I did my part of that show.
They introduced me, and I came out and told them the story about picking up the
captain. And about the little bag of sand. That was when the Germans were pushing us
back on the beaches at Salerno. One of the boys had a little old Bull Durham full of
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sand that he'd brought from home with him. The Germans had us just about pushed into
the water there on Salerno, and he just poured that little old bag of sand out on the
beach, and said, "Now, we ain't going on no farther back than this. This is Texas."
The paratroop was landing behind us, and we pushed the Germans on out of there. What
that little old bag of sand had to do with it, I don't know, but it might have helped a
little. Anyway, I told that story.
And I had a long talk—I've still got the script, what I was supposed to say, and all. I told
Burgess Meredith, "Say, there's a lot of stuff in here about me that I didn't do. There's
too much stuff in here; I didn't do all this." And he said, "What you don't want to say,
you mark it out." So I got that script down, and I went through it. Things I didn't want to
have to say, and didn't want to do—that I didn't do—I marked it out.
Mike Sweeney: Was this script for radio, or was this just for inside the building where
the press club was?
Riley Tidwell: Well, it was in there at the press club, but they were doing it on radio.
And we had a big dinner there. And I met Governor Lee O'Daniel—I mean Senator Lee
O'Daniel, who used to be the governor of Texas. "Pappy" O'Daniel. We were in line,
kind of an L-shaped line, to get something to eat. And a lady behind me, you know, real
nice-looking lady, but an older lady, she said, "You Riley Tidwell?" And I said, "Yes,
ma'am." And she said, "How's it feel to become a hero overnight?" And I said, "Ma’am,
I don't know what you're talking about." And she said, "Well, I know more about you
than you know about yourself." And, uh, then she introduced herself. She said, "I'm
Lady Halifax from Great Britain." I didn't know Lady Halifax from Waxahachie. Much
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less Great Britain. Anyway, Lord Halifax and Lady Halifax were there, and a lot of the
big shots in Washington were there. So, it was quite a deal. . . .
I went back to New York. They interviewed me there. They wanted me to go on the
radio. The Army had a deal in radio—what'd they call, Armed Forces Radio?
Mike Sweeney: Right.
Riley Tidwell: The Army wanted me to join that, but I didn't want it. I could have told
them that. They said, "Well, what would you like to do?" And I said, "Well, if I had
enough points, I'd like to get out of the Army." My points were all overseas. I didn't
even know how many I had. But anyhow, I went back to . . . Fort Dix, and it wasn't any
time after I went back to Fort Dix that they sent me to San Antonio to be discharged.
I was back home just three or four days, when I got this notice to report to Dallas, to the
Adolphus Hotel. And I went to the Adolphus, and who was there but Robert Mitchum.
He played the [Waskow role] in the movie. And he and I had one of the greatest weeks
that anybody could ever have, I guess. He and I travelled all over Texas. One of the
nicest guys you could ever want to meet. We had one great time.
CONCLUSIONI
Dopo aver analizzato le tre pellicole che riguardano la battaglia di Montecassino si
possono avanzare alcune considerazioni riguardo alla differenza di punto di vista con
cui affrontano i fatti.
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Mentre in Montecassino e in Die gruenen Teufel von Monte Cassino il tema principale
del film è la battaglia e il salvataggio delle opere d’arte dell’abbazia, in The story of G.I.
Joe la battaglia di Montecassino è solo una parte della storia che riguarda i
combattimenti di una Divisione americana dall’Africa fino a Roma.
L’episodio del salvataggio delle opere d’arte da parte della Hermann Goering è il tema
chiave del film tedesco, che propone un resoconto delle fasi dell’episodio molto
dettagliato, che si snoda dai primi accordi con i monaci alla consegna della casse a
Castel Sant’Angelo. L’episodio ebbe grande importanza per l’immagine dell’esercito
tedesco, che ne fece uno dei punti di forza della sua propaganda. A questo punto si
capisce come il film tralasci il fatto che le opere di Montecassino fossero state in un
primo tempo trasportate a Spoleto con destinazione Germania.
Lo stesso tema apre il film Montecassino, ma rimane a livello di accenno. I soldati
Tedeschi vengono ripresi mentre mettono le opere nelle casse di legno e si svolge una
conversazione tra Don Eusebio Grossetti, protagonista del film, e un ufficiale tedesco
sull’ordine di portare tutto a Roma, ma il discorso si interrompe a questo punto, non si
prosegue su questo tema.
La battaglia di Montecassino vera e propria viene affrontata in modo molto diverso,
questa volta in tutti e tre i film.
Gemmiti affronta l’argomento dal punto di vista dei monaci e dei profughi che
trovarono asilo nell’abbazia dopo i primi bombardamenti sulla città di Cassino, essendo
il suo film in particolare ispirato al diario di don Tommaso Leccisotti, monaco di
Montecassino. Il film parte dall’autunno del 1943, cioè dalle fasi che precedono la
battaglia vera e propria, che viene invece rappresentata solo attraverso immagini
documentarie. I militari che compaiono nel film sono solamente quelli tedeschi, ma, a
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parte il capitano medico Richter, non hanno una caratterizzazione tale da richiedere la
loro presenza nelle immagini di battaglia. Per quanto riguarda invece l’esercito alleato,
nessun personaggio compare nel film. Le fasi della guerra sono quindi vissute
dall’interno del monastero, attraverso le vicende di monaci e profughi.
Reinl affronta la battaglia vera e propria, ma in modo abbastanza sommario e impreciso.
Alle scene documentarie di guerra si somma anche il girato, dove i protagonisti della
storia sono ripresi nell’atto di combattere. Essendo i protagonisti della vicenda i Diavoli
Verdi, cioè i paracadutisti tedeschi, si attribuiscono a loro anche imprese che in realtà
hanno compiuto le forza di terra, come per esempio la battaglia sul Fiume Rapido.
Wellman invece non fa mai riferimento al luogo dove si trova la Divisione capitanata da
Walker, ma la riconoscibilità è immediata, poiché da subito i soldati si trovano sullo
sfondo la collina del monastero. Le fasi della battaglia affrontate da questo gruppo di
militari rimangono spesso sconosciute, i soldati vengono più che altro ripresi nella loro
vita quotidiana. La battaglia principale che affrontano qui è la liberazione del
monastero, che si rivela essere però una falsa notizia storica, poiché non furono gli
Americani a condurre questa operazione. Al di là della veridicità del fatto, anche in
questo caso le immagini documentarie si uniscono a quelle dei protagonisti che
combattono, anche se qui l’operazione è assai più riuscita rispetto agli altri due film in
esame.
Un altro argomento di grande importanza è la caratterizzazione dei personaggi.
Sia nel film italiano che in quello tedesco compaiono i soldati della Wehrmacht, i
monaci dell’abbazia e i civili italiani, mentre i soldati alleati vengono sempre e solo
nominati. Solo i una scena di Die gruenen Teufel von Monte Cassino compaiono sullo
schermo due soldati americani, che uccidono due dei protagonisti, ma rimangono a
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livello di comparsa, mentre in Montecassino si parla di loro ma senza mostrarli.
Al contrario in The story of G.I. Joe compaiono solo i soldati americani nelle sequenza
su Montecassino, nessun accenno a monaci e civili, nemmeno nei discorsi, e il solo
soldato tedesco che si vede è un prigioniero, anch’esso lasciato a livello di comparsa.
Nel film di Reinl i Tedeschi sono incondizionatamente buoni: salvano le opere d’arte,
aiutano i profughi e i monaci dopo il bombardamento, piangono al pensiero di non poter
salvare tutti quanti i sopravvissuti. Il tentativo di riabilitazione della Wehrmacht agli
occhi del pubblico è visibile.
Nella pellicola di Gemmiti i militari tedeschi vengono invece visti con maggiore
imparzialità. E’ vero che non furono loro a bombardare l’abbazia provocando migliaia
di morti, ma è anche vero che organizzarono le deportazioni che nel film sono narrate e,
soprattutto, non permisero agli abitanti del monastero di lasciare l’edificio in tempo
utile. E il risentimento nei loro confronti si sente per tutto il film, chiaramente più nelle
reazioni dei civili che in quelle di monaci.
Wellman dà ai Tedeschi la caratterizzazione di spauracchi che minacciano i militari
alleati colpendoli a distanza, senza mai (o quasi) farsi vedere. Chiaramente in questa
pellicola i buoni sono i soldati americani, e la loro reazione di giubilo nei confronti del
bombardamento non appare sproporzionata nel contesto del film, poiché agli occhi dei
G.I. il monastero era una minaccia di morte certa.
Importante è anche il fatto che in due di questi film si abbia la presenza della voce
narrante.
In Montecassino è la voce di Don Eusebio Grossetti, che attraverso una particolare
operazione di flash back narra la storia nonostante la morte lo abbia colto nel febbraio
del 1944. In questo modo il personaggio può continuare a raccontare i fatti anche dopo
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la sua morte.
Nel film The story of G.I. Joe il narratore è Ernie Pyle, giornalista inviato al fronte dalle
cui colonne viene tratta la sceneggiatura. Pyle prende parte a tutta la storia, poiché
aveva seguito le truppe americane realmente dall’Africa all’Italia.
In entrambi i casi la voce off è quindi quella di un personaggio reale, che racconta
quanto accaduto dall’interno, creando però un certo distacco dall’azione, poiché il
tempo della narrazione è differente da quello in cui i fatti sono avvenuti.
Per concludere, il film che con più precisione affronta i fatti è Montecassino di Arturo
Gemmiti, che riprende i personaggi realmente esistiti, ad eccezione del capitano medico
Richter, a cui si cambia il nome ma che è ben riconoscibile nella persona del capitano
medico Becker che compare nei diari dei monaci.
Quasi tutti i particolari di questo film sono verificabili nei diari di chi ha vissuto quei
momenti, dai monaci, ai civili, ai militari. Anche fisicamente gli attori somigliano ai
personaggi reali, visibili nelle diverse fotografie dell’epoca.
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FILMOGRAFIA
THE STORY OF G.I. JOE
( I FORZATI DELLA GLORIA )
Anno : 1945 ; Origine : USA ; Genere : guerra ; Produzione : Lester Cowan ;
Distribuzione : Fincine ; Regia : William A. Wellman ; Interpreti principali :
Wally Cassel, Jimmy Lloyd, Burgess Meredith, Robert Mitchum, Freddie Steele;
Tratto da : romanzo autobiografico di Ernie Pyle ; Sceneggiatura :Joris Ivens ;
Durata : 109’
MONTECASSINO
Anno : 1946 ; Origine : Italia ; Genere : guerra ; Produzione : Pastor Film ;
Distribuzione : Scalera Film ; Regia : Arturo Gemmiti ; Interpreti principali :
Pietro Bigerna, Silverio Blasi, Dario Dolci, Pietro Germi, Ubaldo Lay, Alberto
Carlo Lolli, Rudolf H. Neuhaus, Zora Piazza, Gilberto Severi ; Tratto da : libro
di Don Tommaso Leccisotti ; Sceneggiatura : Arturo Gemmiti e Arnaldo
Marrosu ; Fotografia : Vittorio della Valle, Angelo Jannarelli, Piero Portalupi ;
Musiche : Adriano Lualdi ; Scenografia : Arrigo Equini ; Durata : 72’.
DIE GRUENEN TEUFEL VON MONTECASSINO
( I DIAVOLI VERDI DI MONTECASSINO )
Anno : 1958 ; Origine : Germania ( ex RFT ) ; Genere : guerra ; Produzione :
Seitz Film ; Distribuzione : Globe ; Regia : Harald Reinl ; Interpreti
principali : Joachim Fuchsberger, Antje Geerk , Elma Karlowa ; Durata : 100’.
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