Fenomeni di Inquinamento del Comparto Atmosferico

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Fenomeni di Inquinamento del Comparto Atmosferico
Università degli Studi di Salerno
Dipartimento di Ingegneria Industriale
Fenomeni di Inquinamento del
Comparto Atmosferico
Giovanni De Feo ([email protected])
www.greenopoli.it
Respirare
Da quando siamo nati, respirare è il
gesto più spontaneo e naturale che
compiamo ogni giorno.
Possiamo rimanere senza cibo per
delle settimane, senza bere per alcuni
giorni, ma non riusciamo a
sopravvivere se non respiriamo
anche solo per qualche minuto.
Il respiro è il modo più semplice
con cui il nostro organismo si nutre
per continuare a vivere e, inoltre,
circa il 70% del sistema di
disintossicazione del corpo umano
dipende dal respiro.
G. De Feo (2008), Fenomeni di inquinamento e controllo della qualità ambientale. Teoria, esercizi e aneddoti vari. Aracne
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Respirare
Un individuo medio adulto respira
mediamente 0,83 m3/h,
corrispondenti a circa 20 m3/d.
Alcuni grandi atleti, si pensi a
Fausto Coppi nel ciclismo, devono
le loro grandi performance proprio
alla capacità di respirare
maggiori quantitativi d’aria
rispetto ad un individuo normale.
Una maggiore portata d’aria
inalata, infatti, determina un più
elevato tasso di ossigeno nel
sangue!
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L’atmosfera
La massa d’aria che circonda la Terra.
Più in generale: l’involucro gassoso che circonda i corpi celesti.
Atmosfera = atmós (“vapore” in greco) + sfera.
Atmosfera, pertanto, stava originariamente ad indicare la sfera di vapore
che circonda la terra.
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Struttura, proprietà e composizione
Circa il 50% dell’aria atmosferica è concentrata nei primi 5-6 chilometri di
quota.
Nei primi 16 chilometri, invece, si trova il 90% di tutta l’aria.
L’aria che respiriamo è una miscela di gas.
I composti gassosi presenti in misura maggiore sono:
azoto
(78,08%),
ossigeno
(20,95%),
argon
(0,93%)
anidride carbonica
(0,0355%).
In misura minore sono presenti altri gas:
neon, elio, metano, cripto, idrogeno, xeno, ozono, ammoniaca,
biossido di zolfo, ecc.
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Struttura, proprietà e composizione
Composizione media dell’aria secca troposferica.
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Struttura, proprietà e composizione
Tracce d’aria atmosferica sono presenti anche oltre i 100 km di quota,
tanto che si può osservare che il limite superiore dell’atmosfera è stabilito
convenzionalmente dove la densità dell’aria rarefatta è uguale a quella della
corona solare (atmosfera esterna del Sole).
Le differenti caratteristiche di densità, pressione, temperatura e
composizione permettono la suddivisione dell’atmosfera in zone
concentriche più o meno omogenee, separate da intervalli di discontinuità,
detti pause.
Dal basso verso l’alto, si succedono:
Troposfera
Stratosfera
Mesosfera
Termosfera
Esosfera.
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I principali fenomeni di inquinamento
Schema concettuale di un fenomeno di inquinamento atmosferico.
portate massiche
(kg/d, t/anno, ecc.)
concentrazioni
(µg/m3, mg/m3, ecc.)
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I principali fenomeni di inquinamento
Principali problematiche di inquinamento atmosferico:
fenomeni di inquinamento atmosferico a scala urbana e regionale da
monossido di carbonio (CO),
ossidi di azoto (NOx),
ossidi di zolfo (SOx),
ozono troposferico (O3),
idrocarburi (CxHy),
composti organici volatili (COV),
particolato (PM), ecc.;
acidificazione (piogge acide) ed eutrofizzazione;
riscaldamento globale;
diminuzione del livello di ozono stratosferico.
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Le principali fonti d’inquinamento
Principali sorgenti di inquinamento atmosferico:
natura
trasporto su strada
altre forme di trasporto
combustione nell’industria manifatturiera
impianti di combustione non industriale
processi di produzione
combustione per la produzione di energia e industrie di
trasformazione
trattamento e smaltimento dei rifiuti
altri processi.
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Le principali fonti d’inquinamento
Principali sorgenti di inquinamento atmosferico:
natura
attività di trasporto
attività industriali
attività estrattive e di produzione energetica
trattamento e smaltimento dei rifiuti
altri processi.
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Le principali fonti d’inquinamento
Le sorgenti inquinanti si possono ulteriormente classificare in
sorgenti fisse e
sorgenti mobili
oppure in
sorgenti puntuali,
sorgenti lineari e
sorgenti areali (o diffuse).
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Sorgenti e Inquinanti
A ciascuna tipologia di sorgente (utenza), inoltre, sono legati uno o più
inquinanti caratteristici.
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I principali inquinanti atmosferici
Gli inquinanti atmosferici sono tipicamente suddivisi in:
inquinanti gassosi
inquinanti non gassosi (particolato sospeso).
(Alcuni tra i ) Principali composti gassosi:
monossido di carbonio
(anidride carbonica -> NON È UN INQUINANTE)
ossidi di azoto
ossidi di zolfo
idrocarburi
ozono troposferico
composti organici volatili
diossine e furani
policlorobifenili.
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Il monossido di carbonio
Il monossido di carbonio (CO) è un gas incolore e inodore.
In natura è prodotto da:
attività vulcaniche,
scariche elettriche nei temporali,
germinazione di semi
sviluppo delle piante.
Può derivare anche dalla combustione incompleta del carbonio:
2 CH4 + 3 O2 → 2 CO + 4 H2O
Proprio a causa di ciò, in particolare, nelle aree urbane, il traffico veicolare
è la sua fonte principale di produzione (90%).
Altre sorgenti di emissione di CO sono:
le industrie della lavorazione del legno, della carta, della ghisa e dell’acciaio
le raffinerie di petrolio.
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Il monossido di carbonio
La sua tossicità è essenzialmente legata alla sua affinità con l’emoglobina.
Il monossido di carbonio riesce a sostituirsi all’ossigeno nel legame con
l’emoglobina, formando la carbossiemoglobina e diminuendo, di
conseguenza, la capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti.
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L’anidride carbonica
L’anidride carbonica (CO2) è un gas incolore ed inodore, prodotto
naturalmente durante la respirazione e le eruzioni vulcaniche, nonché
dalla combustione completa di idrocarburi saturi
CH4 + 2 O2 → CO2 + 2 H2O
La CO2 non è considerata un inquinante.
L’anidride carbonica non influisce direttamente sulla salute dell’uomo.
Insieme con altri “gas serra” contribuisce in maniera significativa ai
cambiamenti climatici globali.
Negli ultimi 200 anni, le attività antropiche hanno contribuito ad aumentare le
concentrazioni di CO2 ben oltre il range naturale.
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Monossido e Biossido di azoto
Il monossido di azoto (NO) è un gas incolore, inodore e insapore.
Il biossido di azoto (NO2), invece, è un gas di colore arancio o marrone,
dall’odore forte e pungente.
L’NO2 è un energico ossidante, molto reattivo e corrosivo e svolge un ruolo
essenziale per la formazione di una serie di inquinanti secondari (l’ozono, in
particolare).
Gli ossidi di azoto, indicati complessivamente con la sigla NOx, provengono
principalmente da processi di decomposizione organica anaerobica, da
incendi, eruzioni vulcaniche e da combustioni ad alte temperature,
come quelle che avvengono nei motori degli autoveicoli (in particolare nei
motori diesel), negli impianti di riscaldamento e negli inceneritori.
Nel 2005, in Italia, ben il 65% di NOx è stato prodotto dal settore trasporti.
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Monossido e Biossido di azoto
Gli NOx, penetrati nell’apparato respiratorio, entrano nella circolazione
sanguigna, generando una forma inattiva dell’emoglobina, la
metaemoglobina, normalmente presente in percentuali minori dell’1%.
Gli effetti prodotti consistono in una diminuzione delle funzionalità
respiratorie e in un aumento della sensibilità nei confronti di infezioni
batteriche e virali.
L’NO2, in particolare, è irritante per le mucose e può contribuire all’insorgere
di bronchiti croniche e asma.
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Ossidi di zolfo
Gli ossidi di zolfo si indicano complessivamente con la sigla SOx: anidride
solforosa (SO2) e anidride solforica (SO3).
SO2 è un gas incolore, di odore intenso, solubile in acqua dove forma
l’acido solfidrico (H2SO3).
Anche l’SO3 è un gas solubile in acqua dove forma l’acido solforico
(H2SO4) famoso per la sua alta corrosività e pericolosità.
La natura produce i 2/3 degli SOx globalmente presenti in atmosfera
attraverso l’attività vulcanica ed i processi biochimici.
Le emissioni di origine antropica, invece, sono da attribuire alle centrali
termoelettriche, alle raffinerie di petrolio, alle fonderie e agli impianti di
riscaldamento.
Gli effetti sulla salute umana riguardano ancora l’apparato respiratorio e i
soggetti più esposti sono gli anziani e i soggetti affetti da malattie croniche
alle vie respiratorie.
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Idrocarburi
Gli idrocarburi (CxHy) sono i composti binari carbonio-idrogeno:
idrocarburi saturi con tutti legami C-C semplici, detti alcani o
paraffine;
idrocarburi insaturi con uno o più legami doppi C=C, detti alcheni o
olefine, o anche idrocarburi etilenici dal nome del termine più semplice
CH2=CH2 (etilene);
idrocarburi insaturi con uno o più legami C≡C tripli detti alchini o
acetilenici dal nome del termine più semplice CH≡CH (acetilene);
idrocarburi aromatici contenenti uno o più anelli esa-atomici con tre
insaturazioni del tipo del benzene.
Gli idrocarburi non aromatici si dicono genericamente alifatici.
Gli idrocarburi sono in genere emessi da industrie petrolchimiche,
inceneritori, produzione e uso di vernici, lavanderie a secco e dal traffico
veicolare.
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Ozono troposferico
L’ozono troposferico (O3) è prodotto per effetto delle radiazioni solari in
presenza di inquinanti primari quali NOx e COV.
L’O3 troposferico è un inquinante secondario (prodotto a seguito di una
trasformazione degli inquinanti direttamente emessi da altre fonti inquinanti).
L’ozono troposferico a sua volta reagisce con gli idrocarburi presenti in aria
per dare luogo alla formazione di una varietà di composti che comprendono
aldeidi e acidi organici.
L’ozono attacca le mucose e provoca forte tosse, irritazioni a occhi,
naso, gola e, ovviamente, all’intero apparato respiratorio.
Concentrazioni di pochi ppm possono produrre congestione (aumento
patologico del sangue) polmonare, edema (accumulo di liquido sieroso) o
emorragia polmonare.
Sintomi di un’eccessiva esposizione all’ozono sono gola secca, emicrania,
disorientamento e funzioni respiratorie alterate.
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Composti organici volatili
I composti organici volatili (COV) sono una serie di sostanze sotto forma di
vapore in miscele complesse, con punto di ebollizione variabile tra 50100°C e 240-260°C.
Tra i circa 300 composti che rientrano in questa categoria, i più noti sono
il benzene e derivati (toluene, clorobenzene, ecc.), alcoli, aldeidi, chetoni,
ecc.
Si trovano nei prodotti per la pulizia, pesticidi, disinfettanti, pitture e
prodotti associati, cosmetici, colle, adesivi, fumo di tabacco.
L’esposizione a questi composti può provocare effetti sia acuti sia cronici:
irritazione ad occhi, naso, gola, mal di testa, nausea, vertigini, asma,
cancro, danni ai reni, al fegato e al sistema nervoso centrale.
I soggetti maggiormente predisposti ad ammalarsi sono le persone giovani,
quelle con problemi respiratori (asma) e quelle sensibili ai composti chimici.
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Diossine e Furani
Le diossine ed i furani (PCDD/PCDF) sono microinquinanti organo
clorurati persistenti e non biodegradabili che si accumulano nei tessuti
degli organismi viventi.
L’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) e l’EPA (Environmental
Protection Agency, Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati
Uniti) hanno riconosciuto queste sostanze come tossiche e cancerogene.
http://www.who.int/en/
http://www.epa.gov/
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Diossine e Furani
L’OMS ha introdotto “limiti” di riferimento per tentare di “pesare” gli effetti
dell’esposizione umana a queste sostanze.
Il limite, inteso come livello di esposizione che, durante la vita media di
un individuo, non dovrebbe comportare – sulla base delle conoscenze
scientifiche – un rischio “apprezzabile”:
1 picogrammo di PCDD-PCDF/kg/giorno
(Indice di Tossicità Equivalente per kg di peso corporeo al giorno).
1 picogrammo corrisponde a 0,000000000001 g (10-12 g).
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Diossine
Le diossine sono composti aromatici formati da due anelli benzenici
(C6H6) uniti da due atomi di ossigeno ed in cui alcuni atomi di idrogeno
degli anelli benzenici sono sostituiti da atomi di cloro.
Secondo la posizione occupata dagli atomi di cloro si possono avere 75 diversi tipi di
diossine (policlorodibenzodiossine, PCDD).
Una delle diossine più famose, in quanto molto tossica, e per questo usata come
riferimento per esprimere la tossicità degli altri tipi, è la TCDD o 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina.
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Diossine
Rappresentazione schematica dei 75 isomeri
teorici delle poli-cloro-dibenzo-diossine (PCDD).
Rappresentazione schematica della TCDD o
2,3,7,8- tetracloro-dibenzo-p-diossina.
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Furani
I furani differiscono dalle diossine per il fatto che i due anelli benzenici
sono uniti da un solo atomo di ossigeno.
In questo modo, si possono avere 135 diversi tipi di furani policlorodibenzofurani,
PCDF).
Rappresentazione schematica dei 135 isomeri teorici dei poli-cloro-dibenzo-furani (PCDD).
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Policlorobifenili
I policlorobifenili (PCB) sono composti organici con una struttura assimilabile
a quella del bifenile ed i cui atomi di idrogeno sono sostituiti da atomi di
cloro, fino ad un massimo di dieci (decaclorobifenile).
La loro formula bruta generica è C12H10-xClx.
I PCB sono inquinanti persistenti e hanno una tossicità che, per alcuni
tipi, si avvicina a quella delle diossine.
La maggior parte dei PCB si presenta in forma di solidi cristallini incolori.
Le miscele di uso industriale sono liquidi viscosi.
Tutti i PCB hanno una bassa solubilità in acqua e una bassa volatilità.
Essi, inoltre, sono molto solubili nei solventi organici, negli oli e nei grassi,
sono molto stabili e possono essere trasformati solo per via termica o
attraverso processi catalitici.
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Policlorobifenili
Le miscele di PCB sono state usate in un’ampia gamma di applicazioni:
fluidi dielettrici per condensatori e trasformatori, fluidi per scambio termico, fluidi
per circuiti idraulici, lubrificanti e oli da taglio, nonché come additivi in vernici,
pesticidi, carte copiative, adesivi, sigillanti, ritardanti di fiamma e fissanti per
microscopia, ecc.
Il loro ampio uso è dovuto all’elevata stabilità chimica.
La tossicità dei PCB varia da composto a composto.
Gli effetti più comunemente osservati sulla salute umana sono la
cloracne e le eruzioni cutanee.
Studi su lavoratori esposti hanno mostrato alterazioni nell’analisi di
sangue e urine correlabili a danni a carico del fegato.
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Particolato
Il particolato sospeso (PM, particulate matter) è costituito da sostanze non
gassose di natura diversa.
La natura contribuisce alla sua produzione per effetto delle eruzioni
vulcaniche, gli incendi spontanei (anche quelli dolosi, ovviamente, ma in
questo caso non si tratta più di fenomeni ascrivibili alla natura!) e l’azione
del vento sul suolo.
Ogni processo industriale, ovviamente, è una potenziale fonte di
produzione di materiale particellare, come pure le attività agricole, di
costruzione e demolizione e, ovviamente, il traffico veicolare.
A tal proposito, nel 2005, in Italia, il 43% del PM10 è stato prodotto proprio dal
settore trasporti
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Particolato
Due sono i riferimenti più importanti: il PM10 ed il PM2.5.
Il PM10 esprime la concentrazione di tutte le particelle sospese che
hanno dimensioni non maggiori di 10 micron.
Il PM10, pertanto, si può definire come:
Il PM2.5, invece, rappresenta la concentrazione di tutte le particelle
sospese che hanno dimensioni non maggiori di 2.5 micron.
Anche il PM2.5, pertanto, si può definire come:
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Riscaldamento globale (effetto serra)
«L’effetto serra è un
fatto positivo o
negativo per il genere
umano?».
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Riscaldamento globale (effetto serra)
La maggior parte degli interrogati risponderà: «È un fatto negativo».
Nulla di più sbagliato.
Se non ci fosse l’effetto serra la stessa vita sulla Terra non sarebbe
possibile.
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Riscaldamento globale (effetto serra)
L’effetto serra è un meccanismo, alquanto delicato, che consente di
mantenere la temperatura del sistema Terra-atmosfera a livelli
compatibili con la vita degli abitanti del “pianeta azzurro”.
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Editrice, Roma. http://www.turistinelcosmo.it/wpimages/wp6317a6d6_14_1a.jpg
Riscaldamento globale (effetto serra)
La quantità di energia solare per unità di tempo e per unità di superficie
che raggiunge la parte superiore dell’atmosfera è pari a circa 1370
Watt/m2.
Di questa potenza specifica mediamente circa un quarto, e cioè 342
Watt/m2, raggiunge la superficie terrestre.
342 Watt/m2
1370 Watt/m2
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Editrice, Roma. Dx: http://www.latitudeslife.com/wp-content/uploads/Raggi-solari.jpg Sx: https://sites.google.com/site/tierravientos/fotos02/Foto147.jpg
Riscaldamento globale (effetto serra)
Circa il 30% della radiazione solare incidente (107 Watt/m2) è riflessa
verso lo spazio.
Tale fenomeno di riflessione globale media è noto come “albedo”.
107 Watt/m2
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Editrice, Roma. http://marineecology.wcp.muohio.edu/climate_projects_04/snowball_earth/media/albedo-1.jpg
Riscaldamento globale (effetto serra)
Approssimativamente circa i due terzi di questo fenomeno sono dovuti
alle nuvole e agli aerosol (“piccole particelle”) presenti in atmosfera (77
Watt/m2).
Il restante terzo di radiazione solare (circa 30 Watt/m2) è riflesso per
opera delle aree della superficie terrestre di colore chiaro
(principalmente la neve, i ghiacciai ed i deserti).
77 Watt/m2
30 Watt/m2
“albedo”
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Editrice, Roma. Sx: http://www.climatemonitor.it/wp-content/uploads/2012/03/nuvole.jpg Dx: http://www.rosssea.info/pix/big/Mt_McKellar_Beardmore.jpg
Riscaldamento globale (effetto serra)
La parte di energia solare incidente non riflessa (verso lo spazio) è
assorbita dalla superficie terrestre e dall’atmosfera (sistema Terraatmosfera): circa 235 Watt/m2.
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Riscaldamento globale (effetto serra)
La Terra, allo scopo di bilanciare l’energia incidente, deve irradiare nello
spazio all’incirca un’identica quantità di energia.
La Terra assolve questa funzione emettendo continuamente radiazioni ad
onda lunga.
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Editrice, Roma. http://www.aeronautica.difesa.it/RivistaMeteo/persapernedipiu/PublishingImages/Bilancio%20energetico%20della%20Terra%20e%20Clima/13%20copia.JPG
Riscaldamento globale (effetto serra)
Una generica superficie per emettere un quantitativo di circa 240 Watt/m2
dovrebbe avere una temperatura di circa -19°C.
Questa temperatura, evidentemente, è maggiore dell’attuale superficie
media globale della Terra, pari a circa 14°C.
La richiesta temperatura di -19°C, invece, si registra ad un’altitudine di circa
5 Km al di sopra della superficie terrestre.
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Riscaldamento globale (effetto serra)
Il motivo di questo “riscaldamento globale” della superficie terrestre è la
presenza di gas ad effetto serra (“gas serra”) che agiscono creando una
sorta di copertura parziale per le radiazioni ad onda lunga provenienti
dalla superficie terrestre.
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Editrice, Roma. http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/6f/Sun_climate_system_it.svg/790px-Sun_climate_system_it.svg.png
Riscaldamento globale (effetto serra)
Questo fenomeno è, appunto, noto come “effetto serra naturale”.
I più importanti gas serra sono il vapore acqueo e l’anidride carbonica.
I due componenti più abbondanti dell’atmosfera (azoto ed ossigeno),
invece, non producono nessun effetto serra.
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Editrice, Roma. http://www.cliccascienze.it/files/serra.jpg
Riscaldamento globale (effetto serra)
Le nubi, altresì, esercitano un’azione di copertura molto simile a quello
dei gas serra; questo effetto, tuttavia, è controbilanciato dalla loro capacità
di riflettere le radiazioni solari incidenti.
In definitiva, sebbene localmente si è portati a considerare l’effetto notturno
di riscaldamento della copertura nuvolosa, complessivamente le nubi
hanno un effetto di raffreddamento sul clima.
G. De Feo (2008), Fenomeni di inquinamento e controllo della qualità ambientale. Teoria, esercizi e aneddoti vari. Aracne
Editrice, Roma.
Riscaldamento globale (effetto serra)
Le attività antropiche intensificano l’effetto di copertura attraverso il rilascio
di gas serra.
Il quantitativo di anidride carbonica in atmosfera è cresciuto del 35%
nell’era industriale.
G. De Feo (2008), Fenomeni di inquinamento e controllo della qualità ambientale. Teoria, esercizi e aneddoti vari. Aracne
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Riscaldamento globale (effetto serra)
Secondo Finzi et al. (2001), i più importanti componenti atmosferici che
contribuisco all’effetto serra sono:
l’anidride carbonica (CO2)
il metano (CH4)
il protossido di azoto (N2O)
il vapor d’acqua
le nubi.
Ad essi bisogna aggiungere i principali gas serra di origine
esclusivamente antropica:
i clorofluorocarburi (CFC)
gli idroclorofluorocarburi (HCFC)
gli idrofluorocarburi (HFC)
i perfluorocarburi (PFC)
l’esafluoruro di zolfo (SF6).
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Riscaldamento globale (effetto serra)
I gas serra contribuiscono in modo diverso al riscaldamento globale.
A tal proposito si usa il Global Warming Potential (GWP):
rapporto tra il contributo all’effetto serra risultante dall’emissione di
1 kg di un gas e un’uguale quantità emessa di anidride carbonica in
condizioni stazionarie.
Il GWP, in pratica, rappresenta il potere radiativo cumulativo a partire dal
presente e su un orizzonte dato, causato dall’emissione di una massa
di gas ed espresso in funzione di quella della CO2.
G. De Feo (2008), Fenomeni di inquinamento e controllo della qualità ambientale. Teoria, esercizi e aneddoti vari. Aracne
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Riscaldamento globale (effetto serra)
Valore del potere radiativo (per unità di concentrazione e complessivo) e del Global Warming
Potential (GWP) su tre orizzonti temporali per i principali gas serra.
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“Il buco dell’ozono”
Nella stratosfera a quote fra circa 20 km (zone polari e alte latitudini) e
50 km (zone intertropicali e basse latitudini) esiste una elevata
concentrazione di ozono in una fascia denominata ozonosfera, in grado di
assorbire una quota rilevante della radiazione ultravioletta proveniente
dal sole.
L’eventuale aumento di tale radiazione UV-B (290-315 nm) risulta nocivo per
la salute umana (aumento del cancro cutaneo, di malattie degli occhi e
del sistema immunitario), per gli animali e per gli organismi acquatici, per la
vegetazione (piante terrestri e acquatiche), con rilevanti effetti negativi sui
cicli biogeochimici e sui materiali.
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“Il buco dell’ozono”
L’ozono viene prodotto nella stratosfera:
sia per l’azione delle radiazioni solari ultraviolette
che per concomitanti condizioni favorevoli di tipo fisico e chimico.
La principale causa di variazione dell’ozono stratosferico è legata all’attività
solare ed in particolare alle macchie solari, alle variazioni del vento
solare e soprattutto alle variazioni del flusso solare incidente sull’alta
atmosfera terrestre.
Altre cause sono legate a:
anomalie meteorologiche
interazioni energetiche tra stratosfera
alternanza di venti da est e da ovest nella stratosfera alle latitudini equatoriali con
periodicità comprese tra 24 e 30 mesi che influenzano il trasporto atmosferico.
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“Il buco dell’ozono”
Queste cause naturali non spiegano però la diminuzione marcata di ozono
stratosferico osservata negli ultimi decenni (a partire dal 1979):
sono state misurate, tramite strumenti di terra e via satellite, perdite
di ozono fino al 60% nella stratosfera antartica durante la primavera
dell’emisfero sud (settembre-ottobre), e del 20-25% nelle regioni
polari artiche da gennaio a marzo.
È stata riconosciuta, in seguito a studi e ricerche internazionali finalizzate alla
comprensione del fenomeno, l’importanza di cause legate alle attività
umane ed in particolare alle emissioni di composti chimici artificiali
quali gli idrocarburi alogenati, tra i quali i più dannosi per l’ozono
stratosferico sono quelli clorurati e fluorurati (Clorofluorocarburi CFC).
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“Il buco dell’ozono”
Una volta emessi in atmosfera, i CFC subiscono processi chimici di
fotodissociazione con liberazione di radicali liberi contenenti cloro e
fluoro, i quali attraverso i processi di diffusione atmosferica e di
trasporto raggiungono la stratosfera, dove avvengono altri processi
chimici e fotochimici complessi di distruzione dell’ozono.
Le maggiori emissioni di questi composti chimici provengono dai paesi più
industrializzati, principalmente nell’emisfero nord della terra.
Oltre ai CFC, esistono altre cause secondarie, ma non meno importanti, quali
le emissioni derivanti dal carbonio (CO, CO2 e CH4), le emissioni derivanti
dall’azoto (in particolare N2O) e le emissioni dei composti organici volatili
parzialmente o interamente alogenati.
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La dispersione degli inquinanti
Gli inquinanti, una volta emessi, si disperdono nell’atmosfera in funzione
delle modalità di circolazione dell’aria nella troposfera.
Il moto dell’aria è influenzato da:
radiazione solare
irregolarità della superficie terrestre che determinano un assorbimento
disomogeneo di calore da parte della superficie stessa e dell’atmosfera,
con conseguente formazione di zone ad alta e bassa pressione.
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La dispersione degli inquinanti
In una determinata area, la bassa pressione può essere determinata da
un aumento della temperatura atmosferica locale con conseguente
tendenza all’espansione dell’aria e successiva diminuzione della
pressione esercitata a livello del suolo.
Ad un fronte d’aria calda, quindi, segue un fronte d’aria fredda.
Se la temperatura diminuisce, le molecole gassose tendono ad addensarsi e
la pressione esercitata dall’aria a livello del suolo tende di conseguenza a
crescere determinando un aumento di pressione locale (zona di alta
pressione).
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La dispersione degli inquinanti
Un ruolo di grande importanza è giocato dall’umidità.
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La dispersione degli inquinanti
Localmente, inoltre, si possono produrre fenomeni legati ai movimenti di
masse d’aria: i venti.
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La dispersione degli inquinanti
Se in una certa zona, per esempio, la pressione si abbassa, mentre
intorno rimane alta, si viene così a creare un afflusso di aria dalle zone
periferiche verso il centro dell’area di depressione.
In questa situazione, nell’emisfero occidentale, il vento assume un moto
ciclonico, con rotazione in senso antiorario.
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La dispersione degli inquinanti
Se, invece, un’area di alta pressione è circondata da una fascia a
pressione decrescente, si origina un moto anticiclonico, in senso orario.
Gli anticicloni corrispondono a condizioni meteorologiche di alta
stabilità, nelle quali la dispersione degli inquinanti risulta ridotta.
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La dispersione degli inquinanti
Sx: http://digilander.libero.it/diogenes99/Meteorologia/Bowditch10.gif
Dx: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/96/Ciclone.jpg
La dispersione degli inquinanti
La circolazione dei venti è strettamente legata alla rotazione terrestre.
Se la terra, infatti, non ruotasse, i venti di superficie sarebbero diretti dai poli, dove il
riscaldamento dell’aria è minimo, all’equatore.
Poiché la rotazione terrestre espone al riscaldamento solare nuove superfici, la
circolazione dei venti risulta “spezzata”.
Essa, inoltre, è influenzata da una serie di fattori, quali la temperatura
stagionale e locale, le condizioni di pressione e nuvolosità, l’orografia
del luogo, ecc.
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La dispersione degli inquinanti
I dati relativi alle caratteristiche dei venti che soffiano verso un certo
punto sono raffigurati nella “rosa dei venti”.
Caratteristiche rappresentate:
orientazione di ogni segmento, che
mostra la direzione di provenienza del
vento;
ampiezza di ogni segmento, che è
proporzionale alla velocità;
lunghezza di ogni segmento, che è
proporzionale al tempo per cui il vento
proviene da quella particolare
direzione e con quella specifica
velocità.
La rosa dei venti varia in funzione del luogo
e del tempo e i valori che riporta sono dati
medi.
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La dispersione degli inquinanti
Un concetto molto importante per valutare la tendenza alla dispersione
verticale degli inquinanti atmosferici è rappresentato dal gradiente o
coefficiente adiabatico secco.
Esso rappresenta la diminuzione di temperatura che un “volumetto” di
aria subisce spostandosi con la quota, dal momento che, salendo, si
troverà in condizioni di pressione sempre minori e quindi tenderà ad
espandersi e, di conseguenza, a raffreddarsi.
Il coefficiente è adiabatico, poiché si assume che il volumetto d’aria
considerato non abbia scambi di energia termica con l’aria circostante;
secco, perché si considera privo di umidità.
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La dispersione degli inquinanti
Andamento della temperatura secondo il gradiente adiabatico secco.
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La dispersione degli inquinanti
Gradienti di temperatura e gradiente adiabatico secco.
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La dispersione degli inquinanti
Forma del pennacchio per condizioni superadiabatiche.
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La dispersione degli inquinanti
Forma del pennacchio per condizioni neutre.
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La dispersione degli inquinanti
Forma del pennacchio per condizioni subadiabatiche.
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La dispersione degli inquinanti
Forma del pennacchio per condizioni di inversione termica.
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La dispersione degli inquinanti
Forma del pennacchio per condizioni di inversione termica in quota.
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La dispersione degli inquinanti
Forma del pennacchio per condizioni di inversione termica in quota e “allungamento”
del camino.
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