conversioni al cristianesimo nell`islam odierno

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conversioni al cristianesimo nell`islam odierno
CONVERSIONI AL CRISTIANESIMO
NELL’ISLAM ODIERNO
“Nell’Islam c’è solo la porta d'ingresso, non quella d'uscita”
INTERVISTA A CAMILLE EID
Intervista al giornalista libanese Camille Eid apparsa sull’agenzia stampa
www.zenit.org del 18/12/2007.
Città del Vaticano, lunedì, 17 dicembre 2007.
Il giornalista libanese Camille Eid ha pubblicato insieme all’italiano Giorgio Paolucci
“Cristiani venuti dall’Islam” (Piemme, 220 pagine, 12,90 Euro), un libro che raccoglie le
testimonianze di musulmani convertiti al cristianesimo. Eid scrive sul quotidiano
cattolico “Avvenire” ed è autore di vari libri e studi sul mondo arabo e islamico.
Perché le conversioni all’Islam hanno tanta eco e quelle dei musulmani al
Cristianesimo molto poca?
Camille Eid: Mentre la conversione da altre religioni all’Islam è molto nota e i
convertiti diventano leader di organizzazioni musulmane (in Italia quasi tutte le
organizzazioni di musulmani sono guidate da convertiti), il fenomeno contrario è
sconosciuto e pericoloso, perché la conversione al Cristianesimo viene considerata in
molti Paesi musulmani un tradimento della tradizione e della fede islamiche.
Molte Costituzioni o leggi prevedono per queste conversioni la pena capitale, come
avviene in Arabia Saudita, Iran, Sudan, Mauritania, Afghanistan (qui è noto il caso di
Abdul Rahman, un afghano convertito e condannato a morte del quale la stampa ha
parlato circa un anno fa).
Non si parla delle conversioni al Cristianesimo in primo luogo perché vuol dire
mettere in pericolo la vita di questi convertiti, che sono migliaia, e poi perché si
trovano nei loro Paesi. Nel libro abbiamo scelto soprattutto musulmani convertiti che
vivono in Italia (alcuni convertiti nei loro Paesi di origine e altri che hanno conosciuto il
Cristianesimo in Italia).
Crede che ci sia una specie di “moda” nelle conversioni all’Islam?
Camille Eid: Convertirsi all’Islam, all’Induismo o al Buddismo è una moda, perché è
qualcosa di esotico, mentre per un musulmano convertirsi a un’altra religione è come
rimanere senza volto, visto che vuol dire trovare difficoltà in famiglia, nel Paese, con
lo Stato, e nessuno vuole perdere il lavoro, la tutela dei figli, ecc.. Per questo le
conversioni di musulmani sono davvero autentiche, non un semplice cambiamento.
Nel libro c’è una testimonianza che mi piacerebbe commentasse: “In Occidente
cambiare religione è una cosa normale, non costa niente, a volte ho l’impressione
che sia una moda. Per la nostra cultura, tuttavia, è un cammino accidentato, pieno
di ostacoli e di avversità, è come strapparsi la pelle perché ne cresca un’altra”.
Camille Eid: Sì, perché in Marocco, Algeria, Tunisia, ecc. vuol dire mettere in pericolo
anche le persone che aiutano i convertiti a intraprendere questo cammino. In Algeria
due anni fa è stata approvata una nuova legge che condanna i cristiani che aiutano i
convertiti, per cui è una situazione difficile per entrambi.
In questo contesto, padre Samir Kahlil scrive nel prologo del libro che l’immigrazione di
musulmani in Europa può rappresentare un’occasione storica, un segno divino,
perché sono costretti a incontrarsi con un cristianesimo, che non è quello “ufficiale”,
ma è la testimonianza dei cristiani che può essere di grande aiuto. Qui i musulmani
possono entrare in una libreria e comprare facilmente un Vangelo; nei loro Paesi non
è sempre semplice.
Da quanto afferma si deduce che la situazione dei musulmani convertiti, sempre
difficile, lo è maggiormente per quanti rimangono nei Paesi d’origine...
Camille Eid: Questo fattore non pone fine all’avventura del convertito. E’ vero che in
molti Paesi musulmani non c’è libertà di espressione religiosa, politica o di altro tipo,
ma vivere in Europa e non aver la libertà di manifestare la nuova fede cristiana
colpisce di più, e lo Stato non difende i convertiti, perché non può mettere un
poliziotto accanto a ciascuno.
In Italia, Francia, Germania o Inghilterra ci sono migliaia di convertiti. Nel libro molti
nomi sono fittizi perché non possono esibire la loro nuova fede, contrariamente –
come dicevo in precedenza – ai nuovi leader musulmani, ex cristiani, che parlano
apertamente con la stampa. “Canale 5” ha fatto un programma su questo tema e i
musulmani convertiti hanno dovuto parlare senza mostrare il volto. Perché? Non
sono più in Algeria, Tunisia o Marocco...
C’è una responsabilità da parte degli Stati e della comunità cristiana, che non sempre
accompagnano questi nuovi cristiani che hanno perso tutto, che hanno perso la loro
famiglia. Una scrittrice del Marocco ha raccontato trent’anni fa la storia di un convertito
che torna nel suo Paese, bussa alla porta di casa e quando risponde alla madre che
chiedeva chi fosse, “Sono tuo figlio Hassis”, lei replica: “No, Hassis è morto”.
Nei Paesi musulmani che non prevedono la pena capitale, ciò che attende i convertiti è
“la morte civile”, l’essere considerati morti; la loro eredità viene divisa tra i parenti.
Si può esigere una certa reciprocità dei Paesi islamici tenendo conto del fatto che
l’Islam gode di piena libertà in Europa per costruire moschee e professare
pubblicamente il culto?
Camille Eid: Il problema della costruzione di edifici religiosi nei Paesi islamici non è
uniforme, perché solo un Paese al mondo nega questo diritto: l’Arabia Saudita, che
considera la penisola arabica la terra sacra dell’Islam. In altri Paesi del Golfo, negli
ultimi anni, è stata permessa la costruzione di templi, ma i musulmani non possono
entrarvi; lo possono fare solo i cristiani immigrati che lavorano e vivono in quei
Paesi.
In Paesi come l’Egitto, la condizione per costruire templi è molto particolare, perché è
stata ereditata una legge ottomana che concede questo diritto al sultano, che
attualmente è il Presidente della Repubblica. Il Presidente egiziano deve quindi firmare
un decreto presidenziale per concedere il diritto di restauro o costruzione.
I copti, i cristiani egiziani, dovevano attendere anni e anni per ricevere questo
decreto presidenziale senza il quale non si possono eseguire restauri. Io ho un
decreto firmato da Mubarak che autorizza il restauro del bagno e della scala di una
chiesa, ed è molto umiliante. Nel 2005, Mubarak ha concesso questo potere ai
governatori delle province per snellire questo iter.
Quanto alla libertà religiosa, in generale è una questione molto complicata e varia da
Paese a Paese. Giovedì scorso, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione a
favore della libertà religiosa, senza citare il mondo islamico, anche se molti dei casi
menzionati nel testo riguardano Paesi musulmani: Iraq, Gaza, Turchia, Egitto, ecc. E’ la
prima volta che tutti gruppi politici del Parlamento – ad eccezione dei verdi – votano a
favore. Questo può essere un inizio per chiedere al mondo islamico di comprendere che
la libertà religiosa fa parte di altre libertà, e anche se la risoluzione europea non è
vincolante, si dice che in futuro se ne dovrà tener conto al momento di stabilire
relazioni commerciali con questi Paesi.
Quanto al concetto di reciprocità, per me, cristiano orientale, suona un po’ come
una offesa, perché in quanto cristiano non posso dire a un musulmano “se tu mi dai
questo io ti do quest’altro”, visto che significa islamizzare la fede cristiana,
trasformarla nell’“occhio per occhio, dente per dente”.
Nel libro abbiamo spiegato che molti versetti del Corano parlano di libertà religiosa,
ma l’interpretazione radicale non ne tiene conto. Questa interpretazione considera i
versetti abrogati da altri che parlano del jihad, della guerra santa, ecc. e dice che sono
stati prodotti in un contesto diverso, quando Maometto era a La Mecca e i musulmani
non erano abbastanza forti. Secondo questa teoria, quando è stato istituito lo Stato
islamico la tolleranza nei confronti degli infedeli è terminata e ora valgono solo i
versetti più duri. Ciò è molto pericoloso, perché significa far apparire l’Islam come se
fosse solo una fede di violenza.
Molti Paesi islamici hanno firmato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo,
ma con la riserva di un articolo che parla della libertà di coscienza (che prevede il
passaggio da una fede all’altra). In molti Paesi islamici esiste una libertà di culto: i
cristiani possono andare in chiesa, celebrare matrimoni o funerali, ma non possono
comunicare la propria fede. I testi cristiani non possono essere venduti nelle librerie
da musulmani e gli ispettori sono molto attenti.
Una cosa è la libertà di culto, in generale garantita, e un’altra molto diversa è la
libertà di coscienza, che è la vera libertà religiosa. I musulmani non impediscono a
un cristiano di entrare nel loro credo, ma una volta convertito all’Islam un cristiano
non può uscirne. Nell’Islam c’è solo la porta d'ingresso, non quella d'uscita; sei libero
di entrare ma non di uscire.
Il suo libro dimostra che il Cristianesimo suscita attrazione anche nei luoghi in cui
incontra più ostacoli. Perché crede che ciò avvenga?
Camille Eid: Per un musulmano è molto difficile capire la fede cristiana, perché il
Corano parla di Cristo, parla di Maria (nel Corano esiste un capitolo dedicato a Maria, si
parla di lei più che nel Vangelo), ma ha costruito una storia di Maria e di Cristo molto
diversa da quella del Vangelo: Cristo non è morto sulla Croce, la Trinità viene
criticata nel Corano, è considerata una specie di triade. Il Corano intende un Dio
Padre, un Dio Madre, che è Maria, e il Figlio nato da loro, come se Dio avesse incontrato
la donna Maria per generare Cristo.
Il musulmano ha informazioni non corrette, false sul Cristianesimo, e quando trova la
fede confessata dalla Chiesa e dai fedeli cristiani resta meravigliato. Un convertito
ha detto una volta: “Voi cristiani non avete il diritto di tenere la fede per voi, avete
il dovere di comunicarla”. Nei casi che presentiamo nel libro ci sono vari convertiti che
hanno trovato la fede ascoltando la radio per imparare l’italiano, sentendo “Radio
Maria”, ad esempio; altri hanno conosciuto fedeli cristiani che hanno influito con la loro
testimonianza; altri ancora hanno conosciuto movimenti apostolici...
Nel mio ultimo viaggio in Italia ho conosciuto una donna musulmana sunnita che ha
studiato all’Università della Mecca, la capitale dell’Islam nel mondo, e la sua tesi era
sulla figura di Cristo nel Corano. Attraverso il suo studio ha scoperto la fede cristiana e si
è confrontata con la teoria degli ulema sauditi sulla divinità di Cristo, perché partendo
dalle parole che il Corano esprime su di lui non è possibile che sia solo un profeta, deve
essere più importante.
Nel libro si vede che alla fine, dietro a ogni uomo, c’è la ricerca della verità. Da
questa prospettiva, crede che possa aiutare a spezzare pregiudizi, soprattutto nei
confronti dei musulmani?
Camille Eid: Può contribuire ad aprire una possibilità di dialogo con i musulmani, in
primo luogo come uomini, perché vedere nel musulmano un fedele dalla fede
impermeabile è una teoria da smontare, giacché in Italia e in altri Paesi d’Europa ci
sono molti convertiti, così come in alcuni Paesi islamici come la Malesia e
l’Indonesia. In quest’ultimo Paese, nell’isola di Giava, un milione di cristiani ha
origini musulmane.
Il giorno in cui il mondo islamico riconoscerà la libertà religiosa, molti altri potranno
entrare. Ora non è possibile perché convertirsi al Cristianesimo è come una lotteria,
può andare bene o male, perdo la famiglia, perdo il lavoro... tutti i diritti; ma
quando questi Paesi riconosceranno i diritti sarà molto facile, e molti musulmani (non
tutti, ovviamente) non vedono l’ora di abbandonare una fede che non risponde alle loro
aspirazioni.
Cosa significa per un musulmano scoprire Cristo non solo come profeta, ma come
Salvatore, come Dio Redentore?
Camille Eid: Nella dedica del nostro libro abbiamo riportato una frase scritta da un
convertito al Cristianesimo, per il quale “ogni meta è un nuovo inizio”. Noi autori
abbiamo dedicato il nostro lavoro a tutti i neoconvertiti che hanno incontrato Gesù come
risposta alla loro sete di felicità”, hanno scoperto che ogni meta è un nuovo inizio e lo
hanno fatto scoprire anche a noi.
Quando i convertiti raccontano la loro esperienza… noi, cristiani di nascita, abituati
ad essere cristiani, per i quali il Cristianesimo non rappresenta una novità, una
conquista... Quando i convertiti, dicevo, raccontano come hanno scoperto un tesoro
fanno qualcosa che muove le nostre corde interiori.
Tenendo conto della mancanza di sensibilità attuale nei confronti del trascendente
e della recente secolarizzazione, crede che queste storie possano aiutare i
cristiani, che hanno perso le loro radici, a riproporre a se stessi la religione
originaria?
Camille Eid: Molti musulmani criticano la società europea per la distruzione dei suoi
costumi e la considerano una società che ha rinunciato a Dio, invitando anche i
cristiani a interrogarsi sul significato della loro presenza. Gli immigrati non hanno la
colpa se arrivano in Europa e non vedono i cristiani.
Vedere con gli occhi di un musulmano in cosa consiste la fede cristiana può aiutare
quanti sono abituati alla fede. La riscoperta da parte di altre persone può aiutarci a
valorizzare il tesoro che abbiamo.
Traduzione di Roberta Sciamplicotti