Documento strategico finale 17 nov 2010

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Documento strategico finale 17 nov 2010
 Conservazione dei Cetacei in Italia inquadramento strategico G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 1 Citazione consigliata: Notarbartolo di Sciara G. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia: inquadramento strategico e linee guida. Documento preparato per il Centro Interdipartimentale di Bioacustica e Ricerche Ambientali (CIBRA) dell’Università di Pavia. 53 p. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 2 Sommario Premessa: scopo del documento ............................................................................................................... 4 1. Perché tutelare i cetacei ....................................................................................................................... 6 2. I cetacei nei mari italiani e il loro status ................................................................................................ 9 3. Quadro istituzionale ........................................................................................................................... 11 3.1. Strumenti giuridici vigenti .................................................................................................................... 11 3.2. Imminenti scadenze internazionali ...................................................................................................... 18 3.3. Principali attori nella conservazione dei cetacei a livello nazionale .................................................... 19 3.4. Il “Tavolo di Lavoro” ............................................................................................................................. 20 4. Aspetti gestionali ................................................................................................................................ 23 4.1. Aree marine protette ........................................................................................................................... 23 4.2. Interazioni con attività di pesca ........................................................................................................... 24 4.3. Qualità dell’ambiente marino .............................................................................................................. 26 4.3.1 Contaminanti ambientali .............................................................................................................. 26 4.3.2 Rumore ......................................................................................................................................... 28 4.3.3 Cambiamenti climatici .................................................................................................................. 31 4.4. Collisioni con naviglio ........................................................................................................................... 32 4.5. Whale watching ................................................................................................................................... 33 4.6. Patologie .............................................................................................................................................. 35 4.7. Procedure di emergenza ...................................................................................................................... 35 4.8. Cetacei in cattività e spiaggiamenti di animali vivi .............................................................................. 36 5. Monitoraggio e ricerca ........................................................................................................................ 39 5.1. Rete rilevamento spiaggiamenti .......................................................................................................... 39 5.2. Banche tessuti ...................................................................................................................................... 41 5.3. Censimenti per la determinazione di abbondanza, distribuzione e uso dell’habitat delle popolazioni
.................................................................................................................................................................... 41 5.4. Valutazione dello stato di conservazione delle specie dei cetacei nei mari italiani ............................. 45 5.5. Banche dati .......................................................................................................................................... 46 6. Sensibilizzazione, comunicazione, educazione e formazione ................................................................ 48 7. Bibliografia citata ................................................................................................................................ 50 G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 3 Premessa: scopo del documento Questo documento è stato redatto per conto del Centro Interdipartimentale di Bioacustica e Ricerche Ambientali (CIBRA) dell’Università di Pavia nell’ambito del progetto “Proposta integrata per attività di conservazione e monitoraggio dei cetacei in Italia”, finanziato a quell’Ateneo dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Scopo di questo documento è di presentare al suddetto Ministero suggerimenti e linee guida per un efficace raggiungimento degli obblighi assunti dall’Italia riguardo alla tutela dei cetacei, in materia di gestione coordinata degli accordi, protocolli e convenzioni internazionali di settore, contribuendo in tal modo a garantire a questi mammiferi marini uno stato “soddisfacente” di conservazione1 nelle acque italiane2, e che tale stato sia riferibile al “buono stato di conservazione” dei mari italiani così come atteso dalle più recenti normative comunitarie e nazionali. In particolare sarà possibile adempiere a tali obblighi, per lo meno in una prima fase, mediante le seguenti azioni prioritarie: •
La ricostituzione di una Rete Nazionale Spiaggiamenti, integrata con la Banca Tessuti e la Banca Dati Spiaggiamenti. •
La definizione di programmi di monitoraggio delle popolazioni di alcune specie individuate in via prioritaria (tursiope, delfino comune, zifio, balenottera comune e capodoglio) in porzioni selezionate dei mari italiani, e progettazione mirata di sistemi di monitoraggio sistematico su larga scala della totalità delle specie di cetacei presenti nei mari italiani. •
La creazione di meccanismi di pronto intervento in caso di eventi eccezionali, quali gli spiaggiamenti in massa. •
La valutazione di proposte e la promozione di studi concernenti la tutela dei cetacei mediante creazione e gestione di specifiche aree protette. •
La valutazione e la gestione di attività antropiche rilevanti ai fini della conservazione delle popolazioni di cetacei. In relazione alla complessità delle azioni sopra elencate, che necessitano di integrazione tra differenti settori di competenza e abilità (e.g., amministrativo, gestionale, scientifico, giuridico, di comunicazione), vengono fornite indicazioni circa la composizione e il funzionamento di un “Tavolo di Lavoro” che supporti il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nella loro attuazione. Questo documento si prefigge di aiutare a tracciare le linee di azione istituzionali necessarie a far si che i cetacei nei mari italiani possano raggiungere e mantenersi in uno stato favorevole di conservazione. A una succinta trattazione del contesto istituzionale all’interno del quale tali azioni dovranno articolarsi segue un 1
La definizione di stato soddisfacente di conservazione è qui derivata da quella fornita nell’Art. 1.i della Direttiva Habitat (92/43/CEE): “Lo stato di conservazione di una specie è considerato "soddisfacente" quando: 1) i dati relativi all'andamento delle popolazioni della specie indicano che essa continua e può continuare nel lungo termine a essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene; 2) l'area di distribuzione naturale delle specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro prevedibile; 3) esiste e continuerà probabilmente a esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano nel lungo termine.” 2
Per acque italiane si intendono qui non solo le acque interne e territoriali, ma anche in senso più lato le acque dell’Alto Mare che circondano il Paese, che contengono habitat importanti per tutte le specie di cetacei regolari in Mediterraneo. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 4 elenco di azioni di gestione – brevemente descritte – suggerite come indispensabili al conseguimento dello scopo, completate da attività di monitoraggio e ricerca, e da attività di sensibilizzazione, comunicazione, educazione e formazione. Nella preparazione di questo documento ho beneficiato dei consigli e suggerimenti di Bruno Cozzi, Sandro Mazzariol, Gianni Pavan e Simone Panigada, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 5 1. Perché tutelare i cetacei I mari del mondo, e il Mediterraneo in particolare, sono popolati da un grande numero di organismi, che nel loro insieme costituiscono la biodiversità marina. La necessità di conservare la biodiversità è ormai un principio largamente accettato globalmente, sancito da numerosi accordi e convenzioni internazionali, in particolare la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), in vigore dal 1993 e ratificata da 193 nazioni, tra cui l’Italia. Vi sono chiari collegamenti tra la diversità di specie in un ecosistema e il suo funzionamento (Micheli e Halpern 2005), e pertanto tutelare la biodiversità ha effetti positivi sull’ambiente (Worm e coll. 2006). I mammiferi marini in particolare, situati ai vertici delle reti trofiche di cui fanno parte, sono una componente importante della biodiversità marina (Katona e Whitehead 1988, Bowen 1995), e la perdita di predatori di vertice può indebolire e danneggiare gli ecosistemi marini in cui vivono (Bascompte e coll. 2005). Sulla base di tali considerazioni, conservare i cetacei assume una validità intrinseca: i cetacei rivestono una notevole importanza ecologica, e per questo vanno conservati. Il fatto che la legislazione corrente e gli strumenti giuridici a tutti i livelli (nazionale, europeo, regionale mediterraneo, internazionale) prescrivano la tutela dei cetacei in Italia dimostra che la società civile ne ha adottato il concetto. Recenti stime collocano a 8.500 il numero di specie animali e vegetali macroscopiche che si trovano nel Mediterraneo (Bianchi e Morri 2000), cui se ne vanno aggiungendo costantemente in provenienza da mari più caldi. Di conseguenza, è lecito chiedersi come giustificare impegno e rilevanti risorse umane e finanziarie nella tutela di un singolo gruppo animale – i cetacei – le cui specie regolarmente presenti nella regione sono meno di una dozzina (Tab. 1 e 2). Ovviamente, considerando la sproporzione tra le risorse necessarie e quelle disponibili, non è possibile dedicare lo sforzo di conservazione in maniera uniforme in termini di specie: alcune dovranno essere favorite rispetto ad altre specie. Tuttavia, tale preferenza può essere veicolata per offrire copertura, in maniera indiretta, a un numero maggiore di specie. Azioni di conservazione in favore di balene e delfini possono avere benefici allargati ad altre specie e all’ambiente di cui fanno parte perché i cetacei sono sia specie ombrello, sia specie bandiera. Specie ombrello perché azioni rivolte alla conservazione dei cetacei possono avere effetti a cascata positivi anche nei confronti di altre specie che con esse convivono e del loro ambiente più in generale (Roberge e Angelstam 2004). Specie bandiera perché, trattandosi di specie fortemente carismatiche (flagship species3), i cetacei esercitano un forte fascino sul grande pubblico e si prestano quindi ad azioni di sensibilizzazione sul tema della conservazione dell’ambiente marino (Garibaldi e Turner 2004). Infine, in quanto predatori di vertice delle reti trofiche marine, molti cetacei sono degli utili indicatori dello stato di salute dell’ambiente in cui vivono (Wells e coll. 2004), e più facilmente soggetti a efficace monitoraggio per via della loro dipendenza dalla superficie e quindi visibilità. La questione della legittimità procedurale del conferire speciale importanza ai cetacei viene superata nel momento in cui la conservazione dell’ambiente marino viene affrontata sulla base di un approccio ecosistemico, come auspicato in maniera più o meno esplicita in un crescente numero di strumenti giuridici, a cominciare da UNCLOS fino alle più recenti decisioni adottate in seno alla Convenzione di barcellona. È chiaro che non ha senso pensare a un mare in cui i cetacei prosperano mentre tutto il resto è soggetto a progressivo degrado. I cetacei sono parte dell’ecosistema, e tutelare i cetacei, oltre ad avere valore in sé, può essere uno strumento per accrescere la tutela dell’ecosistema di cui fanno parte. Gli ecosistemi marini sono sistemi complessi in cui le diverse componenti sono collegate tra loro lungo svariate dimensioni spaziali dalla natura fluida del mezzo, dallo spostamento degli organismi e dalle loro complesse relazioni ecologiche, energetiche e comportamentali. Malgrado la ridondanza di tali collegamenti, gli ecosistemi marini sono vulnerabili e risentono rapidamente delle pressioni esercitate dalle attività umane, sia in termini di ricchezza in biodiversità che in termini di funzionalità. Pertanto, per una massima efficacia, le azioni di conservazione e gestione devono puntare non solo al mantenimento delle singole specie, ma 3
La traduzione in italiano del termine inglese flagship species in “specie bandiera” è errata; più correttamente dovrebbe essere “specie ammiraglia”. Tuttavia, tale dizione è ormai entrata nella pratica comune. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 6 anche e soprattutto al mantenimento della struttura e della funzionalità degli ecosistemi di cui tali specie fanno parte (Ruckelshaus e coll. 2008). Malgrado forti indicazioni che le popolazioni di molte specie di cetacei oggi presenti nelle acque italiane (e in genere nel Mediterraneo) siano ridotte rispetto al passato recente, anche di solo un secolo fa (e.g., Bearzi e coll. 2004, Lotze e Worm 2009), una notevole diversità di specie, con nuclei di rilevante abbondanza, si trova ancora nei mari italiani (v. Tab. 1), dove questi animali si alimentano e si riproducono. Pertanto, l’Italia è un’area importante per la conservazione dei cetacei nello scenario impoverito del Mediterraneo, il che giustifica il fatto che assicurarne la conservazione debba essere una priorità sia nazionale che internazionale. I cetacei sono animali dotati di alta mobilità, e molti sono grandi migratori. Salvo rare e trascurabili eccezioni, questi mammiferi non limitano la loro presenza alle acque territoriali e interne di un qualsivoglia Paese. In Mediterraneo, dove le aree fuori giurisdizione nazionale (di seguito ABNJ, areas beyond national jurisdiction) iniziano a 12 miglia nautiche (= circa 22 km) dalla linea di base, in attesa che vengano formalmente adottate Zone Economiche Esclusive, anche le popolazioni più costiere di cetacei difficilmente avranno il proprio habitat critico interamente all’interno della giurisdizione di un singolo Paese4. Pertanto, quando ci si rivolge a questioni di tutela di popolazioni di cetacei in chiave nazionale – come in questo documento – è necessario adottare un criterio flessibile e al tempo stesso precauzionale, considerando l’intero bacino mediterraneo come area rilevante per la conservazione dei cetacei di qualsiasi singola nazione, e tenendo conto che habitat critici di cetacei possono esistere tanto nell’alto mare quanto in acque interne di singole nazioni e bacini semichiusi. Quello dei cetacei del Mediterraneo è un caso esemplare di specie che necessitano di cooperazione tra Paesi per la loro conservazione (da cui scaturisce l’importanza di accordi internazionali quali ACCOBAMS e Pelagos). Per tale motivo in questo documento verranno enfatizzati i risvolti internazionali di tale conservazione, come testimoniato dal rilievo attribuito da ACCOBAMS alla operazione bi-­‐ e multilaterale su scala mediterranea per la tutela dei cetacei, e pertanto si raccomanda di considerare l’intero bacino mediterraneo come areale di rilievo per le azioni di tutela. L’imperativo di conservare i cetacei coincide integralmente con quello della protezione delle risorse naturali che costituiscono un importante retaggio e attrazione (anche turistica, quindi di rilevanza economica) del Paese. Un ambiente marino naturale ricco e diverso è un bene da tutelare a vantaggio delle generazioni presenti e future; il fatto che tale ambiente mantenga popolazioni di cetacei in stato favorevole di conservazione, in aggiunta a qualsiasi considerazione ambientale, contiene una valenza estetica e culturale, che si aggiunge ai ben noti elementi di richiamo turistico in Mediterraneo, e attira in numero crescente visitatori che vogliono godersi un luogo dove la grande fauna marina – in primo luogo balene e delfini – prospera ancora. Purtroppo, malgrado il fascino esercitato da questi animali sul pubblico, e ad onta della dovizia di provvedimenti legislativi nazionali e internazionali che li proteggono, il futuro dei cetacei in Mediterraneo continua a essere incerto. Malgrado gli sforzi di molti paesi (tra cui è doveroso ricordare in primo luogo le azioni intraprese dall’Italia negli ultimi anni), a livello regionale concreti successi di conservazione – in termini, ad esempio, di popolazioni che si sono riprese dal declino -­‐ non sono ancora stati rilevati (Notarbartolo di Sciara 2007b, 2008). Su undici specie presenti in Mediterraneo con popolazioni regolari (v. Tab. 1 e 2), le sette sinora valutate sono tutte risultate ascrivibili a una categoria di minaccia, più o meno grave, e per nessuna di esse sono evidenti segnali di miglioramento. Inoltre, non vi sono motivi di supporre che le altre quattro specie ancora non valutate (ci cui tre Data Deficient a una Not Assessed) debbano risultare in condizioni migliori una volta concluso il processo di valutazione. Forse un motivo di questo insuccesso è dovuto al fatto che ancora non c’è stata da parte della società allargata una chiara presa di posizione in difesa della biodiversità marina, apprezzandone compiutamente il valore e manifestando disponibilità a modificare anche minimamente comportamenti individuali in grado di 4
Occorre notare che il processo di dichiarazione delle Zone Economiche Esclusive è in atto nel Mediterraneo, e vi sono paesi che le hanno dichiarate, seppure unilateralmente. Inoltre, esistono paesi che hanno dichiarato Zone di protezione ecologica, e altri che hanno stabilito zone di pesca. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 7 compromettere l’integrità dell’ambiente marino. Per migliori risultati sarà forse necessario ottenere che la conservazione dell’ambiente si trasformi da opzione avente valenza più che altro estetica, da sostenere solo quando serve, a principio fondamentale che governa le nostre vite e il nostro futuro (Reynolds e coll. 2009). Per raggiungere un simile risultato occorreranno elementi di policy dai quali siamo ancora lontani: a) una chiara visione degli scopi della conservazione dell’ambiente e del ruolo della società nel raggiungerli, b) l’applicazione operativa su scala regionale e periferica, pianificata sul lungo termine, di norme, linee guida e metodologie che contempli adeguata disponibilità di risorse, c) una scienza rigorosa che sia in grado di risolvere le incertezze conoscitive ancora presenti, d) un approccio precauzionale alla tutela delle specie, degli habitat e degli ecosistemi di fronte alle incertezze tuttora irrisolte, e infine e) un approccio integrato e interdisciplinare alla conservazione che si avvalga anche delle scienze sociali, economiche e umanistiche per elevare il valore della conservazione al disopra del guadagno economico del breve termine e di tutte le altre considerazioni che con la conservazione competono (Reynolds e coll. 2009). Di tutti i paesi del Mediterraneo, l’Italia è tra quelli che nel recente passato ha dimostrato maggiore impegno, disponibilità e creatività nella causa della tutela dei cetacei. A tale impresa contribuisce tanto la comunità scientifica e delle associazioni, che ha coltivato la materia da decenni con passione adottando le tecniche di ricerca più appropriate e innovative, quanto la Pubblica Amministrazione con il finanziamento diretto di ricerche e programmi di monitoraggio e la fornitura di supporto in vari modi al funzionamento di ACCOBAMS. Se perseguito anche in futuro, il ruolo di esempio dell’Italia e il suo supporto alla conservazione del mare potranno avere grande importanza nel raggiungimento del fine comune anche su scala regionale e internazionale. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 8 2. I cetacei nei mari italiani e il loro status I mari che circondano l’Italia ospitano gran parte delle specie di cetacei che si trovano regolarmente nel Mediterraneo. Esistono numerose rassegne, più o meno dettagliate, della cetofauna nelle acque italiane e mediterranee (e.g., Notarbartolo di Sciara e Demma 1994, Bompar 2000, Cozzi 2005). Questo documento fa fede alla rassegna più recente, di Reeves e Notarbartolo di Sciara (2006), risultante dai lavori di una riunione organizzata da IUCN e ACCOBAMS a Monaco nel marzo 2006, per la valutazione dello status delle popolazioni di cetacei del Mediterraneo e Mar Nero. Le quattro tabelle seguenti riportano le specie presenti in Mediterraneo, suddivise in: specie rappresentate da popolazioni regolari nei mari italiani (Tab. 1), specie rappresentate da popolazioni regolari in Mediterraneo ma non nei mari italiani (Tab. 2), specie di cetacei a comparsa occasionale in Mediterraneo (Tab. 3), e specie di cetacei a comparsa rara in Mediterraneo (Tab. 4). Solo le specie elencate nelle Tab. 1 e 2 meritano una valutazione del loro stato di conservazione in Mediterraneo, essendo le altre rappresentate da popolazioni che vivono fuori dalla regione. L’unica popolazione mediterranea di cetacei per la quale sino a oggi è stata formalmente registrata una valutazione dello stato di conservazione nella Lista Rossa dell’IUCN è quella del delfino comune (Delphinus delphis). Tutte le altre valutazioni sono ancora allo stato di proposta, in corso di valutazione da parte dell’Autorità della Red List. nome volgare Balenottera comune nome scientifico Balaenoptera physalus Capodoglio Zifio Physeter macrocephalus Ziphius cavirostris Globicefalo Grampo Globicephala melas Grampus griseus Tursiope Tursiops truncatus Stenella striata Stenella coeruleoalba Delfino comune Delphinus delphis maggior presenza in Mar Ligure, Alto e Medio Tirreno, Stretto di Sicilia, Ionio, Adriatico meridionale Mar Ligure, Tirreno, Ionio Mar Ligure, Tirreno, Ionio, Adriatico meridionale Mar Ligure, raro nel Tirreno Mar Ligure, Tirreno, Ionio, Adriatico meridionale Mar Ligure, Tirreno, Stretto di Sicilia, Ionio, Adriatico Mar Ligure, Tirreno, Ionio, Stretto di Sicilia, Adriatico meridionale Medio e basso Tirreno (Ischia), Stretto di Sicilia stato di conservazione in Mediterraneo 5
Vulnerable 5 Endangered
5 Data Deficient
5 Data Deficient
5 Data Deficient
Vulnerable
5 Vulnerable
5 6
Endangered Tab. 1 – Specie di cetacei rappresentate da popolazioni regolarmente presenti nei mari italiani. nome volgare nome scientifico presente in Orca Orcinus orca Stretto di Gibilterra Steno Steno bredanensis Mar di Levante orientale (comparso sporadicamente in Francia e Italia) Focena comune Phocoena phocoena relicta Egeo settentrionale stato di conservazione in Mediterraneo
Critically 5
Endangered Not assessed 5
Endangered Note Aggiunto recentemente alla lista delle specie di cetacei regolari in Mediterraneo Tab. 2 – Specie di cetacei rappresentate da popolazioni regolarmente presenti in Mediterraneo ma non in mari italiani. 5
Stato di conservazione proposto nel corso di un workshop per l’iscrizione delle popolazioni di cetacei del Mediterraneo e del Mar Nero nella Lista Rossa dell’IUCN, organizzato a Monaco (marzo 2006) da IUCN e ACCOBAMS (Reeves e Notarbartolo di Sciara 2006), e successive revisioni, attualmente in corso di valutazione da parte della Red List Authority di Cambridge. 6
Formalmente iscritto nella Lista Rossa dell’IUCN (Bearzi 2003). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 9 nome volgare nome scientifico comparso in Balenottera minore Balaenoptera acutorostrata Spagna, Marocco, Francia, Italia, Tunisia, Grecia, Israele Megattera Megaptera novaeangliae Spagna, Francia, Italia, Tunisia, Slovenia, Grecia, Siria Pseudorca Pseudorca crassidens stato di conservazione in Mediterraneo
Note almeno 30 eventi certi negli ultimi due secoli Non applicabile Spagna, Francia, Italia, Malta, Croazia, Grecia, Turchia, Egitto, Siria, Israele almeno 17 eventi certi negli ultimi 120 anni almeno 30 eventi certi negli ultimi 150 anni Tab. 3 – Specie di cetacei a comparsa occasionale in Mediterraneo. nome volgare nome scientifico comparso in stato di conservazione in Mediterraneo
Balenottera boreale Balaenoptera borealis Spagna, Francia due spiaggiamenti e tre probabili avvistamenti dal 1921 a oggi Balena franca nordatlantica Eubalaena glacialis Algeria, Italia due eventi certi nel Sec. XIX Balena grigia Eschrichtius robustus Israele, Spagna Due avvistamento dello stesso individuo, nel 2010 Cogia di Owen Kogia sima Italia Non applicabile Iperodonte boreale Note due eventi certi dal 1988 a oggi Hyperoodon ampullatus Spagna, Francia due eventi dal 1880 a oggi Mesoplodonte di Blainville Mesoplodon densirostris Spagna un evento certo (1980) Mesoplodonte di Gervais Mesoplodon europaeus Italia un evento certo (2001). Un secondo evento in Turchia (2008) non ha potuto essere confermato. Susa indopacifica Sousa chinensis Egitto, Israele un evento certo 7
Tab. 4 – Specie di cetacei a comparsa rara in Mediterraneo. Si può concludere che appare particolarmente urgente per l’Italia una revisione dello stato di conservazione delle popolazioni di cetacei regolarmente presenti nei mari italiani (Tab. 1), che comprenda la determinazione dello status delle tre specie ancora Data Deficient (zifio, globicefalo e grampo), e la conferma/verifica della status delle altre cinque, alla luce di recenti cambiamenti occorsi tanto nell’ecologia delle specie in questione e nelle condizioni ambientali, quanto nella capacità nazionale di effettuarne il monitoraggio. 7
Vi furono in Mediterraneo anche alcuni altri rinvenimenti di Mesoplodon (in Francia e in Italia) che alcuni autori ipotizzarono essere M. bidens. Tuttavia, la presenza della specie nella regione non è mai stata confermata. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 10 3. Quadro istituzionale Non vi è alcun dubbio, sulla base delle leggi nazionali ed europee vigenti e degli accordi internazionali ratificati, che l’Italia abbia assunto un chiaro impegno a conservare le popolazioni di cetacei che vivono nei suoi mari e nelle acque limitrofe. Tutte le leggi e gli accordi rilevanti per la conservazione dei cetacei, brevemente descritti e commentati nelle pagine successive, non sono ovviamente in contrasto tra loro. Tuttavia, in considerazione della loro marcata eterogeneità (e.g., alcuni hanno carattere specifico in materia di conservazione di balene e delfini, mentre altri ricomprendono tali obblighi all’interno di un quadro più vasto di conservazione dell’ambiente delle specie considerate; alcuni hanno valore legale rigoroso, mentre altri fanno leva soprattutto su un impegno di tipo volontario), sorge il problema dell’armonizzazione delle politiche nazionali nell’ambito di una simile diversità di prescrizioni vigenti. Perché ciò possa avvenire in maniera efficace, è indispensabile che il Paese si doti di una strategia organica di conservazione in grado di ispirare il necessario indirizzo emanato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Scopo precipuo di questo documento è, appunto, favorire e facilitare questo processo. 3.1. Strumenti giuridici vigenti Nella prima metà del XX Sec., e fino agli anni ’70, uccidere i cetacei in Italia era non solo lecito ma addirittura oggetto di compensazione economica (Bearzi e coll. 2004). Questa condizione ha di certo avuto degli effetti negativi sulla consistenza delle popolazioni di molte specie, soprattutto costiere (e.g., delfino comune e tursiope), e probabilmente ha avuto un ruolo importante nel declino del primo – assai più confidente nei confronti delle imbarcazioni e vulnerabile del secondo – da gran parte dei mari italiani. La situazione mutò radicalmente negli anni ’80, sulla spinta di un cambiamento della pubblica sensibilità e opinione (Bearzi e coll. 2010), rispecchiata anche dall’evoluzione del pensiero giuridico internazionale (v. oltre, in questa Sezione). Significativi furono alcuni Decreti emanati dal Ministro della marina mercantile (21 maggio 1980 e 3 maggio 1989, “Disciplina della cattura dei cetacei, delle testuggini e degli storioni”) che espressamente vietarono la pesca, detenzione, il trasporto e il commercio dei cetacei, salvo autorizzazione del Ministero stesso. Successivamente, con la Legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, venne definitivamente sancito nella legislazione nazionale lo stato di specie protette dei cetacei. Di seguito vengono elencati alcuni strumenti giuridici internazionali o europei, entrati in vigore a partire da quegli anni, che sono particolarmente rilevanti per la tutela dei cetacei in Italia.  Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, detta “Direttiva Habitat”8. La Direttiva costituisce il cuore della politica comunitaria in materia di conservazione della biodiversità. Scopo della Direttiva Habitat è salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato (art 2). Per il raggiungimento di questo obiettivo la Direttiva stabilisce misure volte ad assicurare il 8
Il recepimento della Direttiva è avvenuto in Italia nel 1997 attraverso il Regolamento D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357 modificato e integrato dal D.P.R. 120 del 12 marzo 2003. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 11 mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente (vedi nota a piè di pag. n. 1), degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati. La Direttiva si appoggia su due elementi fondamentali: la rete ecologica Natura 2000, costituita da siti mirati alla conservazione di habitat e specie elencati rispettivamente negli allegati I e II, e il regime di tutela delle specie elencate negli allegati IV e V. L’allegato II (Specie animali e vegetali d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione) elenca due specie di cetacei, il tursiope (Tursiops truncatus) e la focena comune (Phocoena phocoena). Di queste, solo la prima è regolarmente presente in acque che interessano l’Italia (Tab. 1), mentre la seconda è presente, in forma più o meno regolare (ancora de definire; cfr. Frantzis e coll. 2001), nell’Egeo settentrionale. Pertanto, solo per queste due specie di cetacei il legislatore europeo nel 1992 ha ritenuto necessario prevedere la possibilità di istituire zone di protezione speciale (ZPS) per la loro conservazione. Presumibilmente tale decisione fu ispirata dal carattere costiero di tali due specie, e forse dalla considerazione di quei tempi che le ZPS potessero essere istituite solo in acque costiere. Se tale interpretazione è corretta, occorre notare con disappunto che il legislatore europeo, probabilmente consigliato da esperti non mediterranei, ha omesso di elencare tra tali specie il delfino comune (Delphinus delphis). Al contrario del Nord Europa, dove questa specie è prevalentemente pelagica oltre che abbondante, il delfino comune in Mediterraneo frequenta anche acque costiere ed è tra le specie che maggiormente necessitano di protezione (Tab. 1). Tale omissione pesa come un macigno sull’efficacia e sulla credibilità della Direttiva per quanto concerne la tutela dei cetacei. Gli Stati membri garantiscono la sorveglianza dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario, tenendo particolarmente conto dei tipi di habitat naturali e delle specie prioritarie (Art. 11). Al momento attuale non risulta che l’Italia abbia istituito ZPS specificamente per la tutela del tursiope. L’allegato IV (Specie animali e vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa) comprende tutte le specie di cetacei. Per tali specie vige il divieto di cattura, uccisione, disturbo, deterioramento dell’habitat (art. 12.1) e commercio (art. 12.2). Per esse è prescritta l’istituzione di un sistema di monitoraggio delle catture e uccisioni accidentali e l’attuazione di misure atte a mitigare eventuali impatti sulle popolazioni da parte di tali eventualità (art. 12.4).  Direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino). Questa recente direttiva si rivolge ai problemi derivanti dall’insieme delle pressioni esercitate dalle attività umane sulle risorse naturali marine e sulla domanda di “servizi” forniti dagli ecosistemi marini, e dall’urgente necessità di ridurre l’impatto della Comunità sulle acque marine. La direttiva intende salvaguardare il rispetto degli obiettivi definiti dalla legislazione ambientale dell’Unione Europea all’interno di un quadro allargato dell’imperativo di creare le condizioni ottimali per la crescita dell’intero settore marittimo e delle regioni costiere, definito nella “Politica marittima integrata per l’Unione Europea” (Commission of the European Communities 2007). Per perseguire questi scopi la direttiva stabilisce un quadro all’interno del quale gli Stati Membri dovranno adottare le misure necessarie a ottenere o mantenere il “buono stato ecologico”9 dell’ambiente marino entro il 2020. Ogni Paese dovrà 9
Art. 3.5: «buono stato ecologico»: stato ecologico delle acque marine tale per cui queste preservano la diversità ecologica e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi nelle proprie condizioni intrinseche e l’utilizzo dell’ambiente marino resta ad un livello sostenibile, salvaguardando in tal modo il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future, vale a dire: a) la struttura, le funzioni e i processi degli ecosistemi che compongono l’ambiente marino, assieme ai fattori fisiografici, geografici, geologici e climatici, consentono a detti ecosistemi di funzionare pienamente e di mantenere la loro resilienza a d un cambiamento ambientale dovuto all’attività umana. Le specie e gli habitat marini sono protetti, viene evitata la perdita di biodiversità dovuta all’attività umana e le diverse componenti biologiche funzionano in modo equilibrato; b) le proprietà idromorfologiche e fisico-­‐chimiche degli ecosistemi, ivi comprese le proprietà derivanti dalle attività umane nella zona interessata, sostengono gli ecosistemi come sopra descritto. Gli apporti antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nell’ambiente marino non causano effetti inquinanti. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 12 sviluppare e attuare una propria strategia marina, tra le altre cose, allo scopo di proteggere e preservare l’ambiente marino. In particolare la direttiva riconosce, per l’ottenimento del buono stato ecologico dei mari, l’importanza dell’istituzione di aree marine protette (AMP), tra cui aree designate o da designarsi sulla base della direttiva ‘Habitat’, e sulla base di accordi internazionali o regionali (e.g., nel caso del Mediterraneo la Convenzione di Barcellona e il suo Protocollo ASP/DB) di cui la Comunità Europea o gli stati membri sono parti contraenti. La direttiva dispone che ogni stato membro sviluppi una propria strategia per le acque marine di sua competenza, che culmini nell’esecuzione di un programma di misure atte a ottenere un buono stato ecologico. A tale scopo viene introdotto un piano d’azione con tempi ben definiti: la valutazione dello stato corrente e la definizione dei traguardi ambientali dovrà avvenire entro il 15 luglio 2012; la definizione e attuazione di un programma di monitoraggio entro il 15 luglio 2014; e lo sviluppo di un programma di misure per l’ottenimento del buono stato ecologico entro il 2015, che dovrà diventare operativo al massimo entro il 2016. Per determinare il raggiungimento della condizione di “buono stato ecologico” (GES = Good Environmental Status) sono stati definiti nell’Annesso I alla direttiva 11 descrittori qualitativi, alcuni dei quali (e.g., 1, 4, 7, 8, 10 e 11) sono rilevanti ai fini della conservazione dei cetacei.  Accordo per la conservazione dei cetacei del Mar Nero, Mar Mediterraneo e area atlantica contigua (ACCOBAMS). Strumento giuridico a livello regionale entrato in vigore nel 2001, dedicato specificamente alla tutela dei cetacei nell’ambito naturale delle loro distribuzioni (i cetacei sono grandi migratori in grado di spostarsi su tutto il Mediterraneo), stipulato sotto l’ombrello della Convenzione di Bonn sulle specie migratrici (CMS), ma dotato di organi autonomi (Riunione delle Parti, Segretariato, Bureau e Comitato Scientifico). A supporto delle sue attività si avvale di due “Unità di coordinamento sub-­‐
regionali”, di cui quella per il Mediterraneo è il Centro regionale per le aree specialmente protette (RAC/SPA) di Tunisi, del Piano d’Azione per il Mediterraneo dell’UNEP (il che facilita un collegamento funzionale, oltre che istituzionale, tra ACCOBAMS e Convenzione di Barcellona). Come tutti gli altri strumenti giuridici elencati di seguito, tuttavia, le sue deliberazioni non hanno valore vincolante bensì volontario, come invece è il caso delle direttive europee sopra ricordate, e l’inosservanza di tali deliberazioni non può essere pertanto oggetto di sanzioni o pressioni di alcun tipo. Di conseguenza, pur beneficiando formalmente di un notevole consenso politico a livello regionale (quasi tutti i Paesi rivieraschi del Mediterraneo e Mar Nero ne sono parte; fanno eccezione, al momento attuale, Bosnia ed Herzegovina, Israele, Russia e Turchia), la sua reale efficacia in termini di conservazione dei cetacei della regione è stata, finora, inferiore alle aspettative. Vi è notevole eterogeneità in termini di poteri decisionali dei delegati inviati dai Paesi in loro rappresentanza alle riunioni delle parti, il che non favorisce l’adozione di risoluzioni “forti” quando necessario; la mancanza di fatto di impegno fermo in materia di contributo economico da parte di molti Stati membri indebolisce il potere dell’Accordo; situazioni di conflitto tra tutela dei cetacei e attività umane in mare raramente vengono affrontate con la necessaria concretezza, e le raccomandazioni del Comitato Scientifico, pur seguite quasi sempre da risoluzioni con esse concordanti, rimangono per lo più sulla carta (Notarbartolo di Sciara 2007b). ACCOBAMS fino a oggi è stato supportato dall’Italia in maniera rilevante ( più di qualsiasi altro Stato membro dell’Accordo), sia in termini di risorse economiche, sia umane.  Accordo Pelagos per la costituzione del Santuario per i mammiferi marini nel Mediterraneo (detto “Santuario Pelagos”). Entrato in vigore nel 2002, ha come oggetto la concertazione e collaborazione operativa tra Francia, Italia e Monaco per la tutela dei mammiferi marini10 in uno degli habitat pelagici più 10
Malgrado all’interno dei confini del Santuario siano compresi tratti di zona costiera che contengono habitat della foca monaca mediterranea (Monachus monachus), dove tempo fa questo pinnipede era comune, oggi nella zona non esistono più colonie riproduttive o regolari di questo mammifero considerato criticamente in pericolo di estinzione. Pertanto, il Santuario Pelagos al momento attuale protegge di fatto soltanto cetacei. Ciò non impedisce che in futuro, nel caso dovesse arrestarsi e invertirsi G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 13 importanti del Mediterraneo, il bacino corso-­‐ligure-­‐provenzale. Sono disponibili dettagliate descrizioni della genesi, aspetti ecologici e giuridici, e potenziale di conservazione del Santuario Pelagos (e.g., Notarbartolo di Sciara e coll. 2008), che dal 2001 è stato iscritto nella Lista delle ASPIM del Protocollo ASP/DB della Convenzione di Barcellona (v. oltre). Il Santuario Pelagos è stata la prima area marina protetta del mondo istituita in gran parte in ABNJ, la prima istituita da un trattato internazionale per tutelare i cetacei, e l’innovazione giuridica, istituzionale e scientifica fa parte della sua genetica. Inoltre, il Santuario Pelagos è stato costruito intorno a una caratteristica oceanografica dell’ambiente pelagico mediterraneo, il fronte permanente del Mar Ligure (Jacques 1994), il che assicura il mantenimento nel tempo del suo valore e significato ecologico. Per questo suo carattere di originalità e innovazione il Santuario Pelagos possiede una grande valenza di laboratorio di sperimentazione ecologica e giuridica, che può e deve funzionare in armonizzazione con altri strumenti regionali, tra cui, in particolare: a) con ACCOBAMS perché le popolazioni di cetacei che trovano in Pelagos porzioni importanti del loro habitat passano comunque parte della loro esistenza fuori dai suoi confini, e pertanto per la loro tutela ACCOBAMS diviene molto rilevante; e b) con il Protocollo ASP/DB, nell’ambito del quale è in atto uno sforzo per costruire una rete (network) di AMP nell’Alto Mare mediterraneo che sia ecologicamente rappresentativa della biodiversità marina regionale da proteggere; di tale network il Santuario Pelagos rappresenta la prima pietra. L’impegno delle tre parti contraenti a dare significato al Santuario Pelagos si è manifestato in vari modi, tra cui la creazione di un segretariato permanente (con sede al Palazzo Ducale di Genova), l’istituzione di un comitato tecnico scientifico tripartito, l’istituzione di comitati di pilotaggio nazionali, l’adozione nel 2004 di un piano di gestione (che tuttavia necessita di aggiornamento), e l’organizzazione di quattro riunioni delle parti (di cui la quarta è avvenuta nel mese di ottobre 2009), nel corso delle quali vengono affrontati vari aspetti di rilievo quali l’adozione di Raccomandazioni operative e di possibili misure di mitigazione degli impatti derivanti ai cetacei e all’ambiente da attività umane (e.g., pesca, traffico, inquinamento, attività sportive, whale watching). Il principale problema che affligge il Santuario Pelagos è rappresentato da un grave equivoco riguardante la sua gestione. Trattandosi di un’area marina protetta (AMP), per di più un’AMP molto particolare e impegnativa, Pelagos non può fare a meno di un adeguato ente di gestione per funzionare correttamente. Tale necessità, del resto, è sancita in chiare lettere dal Protocollo ASP/DB della Convenzione di Barcellona (v. oltre), che stabilisce che una AMP, per essere inclusa nella Lista delle ASPIM, “deve essere dotata di un ente di gestione dotato di sufficienti poteri, mezzi e risorse umane per prevenire e/o controllare attività che possono essere contrarie agli scopi dell’area protetta” (Annesso I, D.6). Tale ente di gestione del Santuario Pelagos non è mai stato istituito, e tutte le azioni di gestione sono state decise dalle parti dell’accordo nel corso delle loro riunioni, sulla base di un piano di gestione da esse approvato, e sulla base di raccomandazioni del comitato tecnico scientifico tripartito, e demandate per la loro esecuzione in parte agli Stati membri, e in parte al segretariato dell’accordo stesso. Fatta salva, naturalmente, la prerogativa delle parti di fornire mediante delibere delle proprie riunioni l’indirizzo politico necessario a guidare la gestione del Santuario, risulta ovvio a chiunque abbia una minima conoscenza e pratica di conservazione dell’ambiente che il compito di gestione di un’AMP – e a maggior ragione di un’AMP innovativa e insolita come Pelagos – non possa non essere affidato a un “ente di gestione dotato di sufficienti poteri, mezzi e risorse umane” (come imposto dal Protocollo ASP/DB); compito che in nessun modo può essere svolto in maniera adeguata dal segretariato di un accordo, che non dispone né del ruolo, né di poteri, né di mezzi e risorse umane sufficienti (Notarbartolo di Sciara e coll. 2009). Gestire un’AMP come Pelagos significa affrontare le minacce e le pressioni sui cetacei con azioni ben definite. Occorre innanzitutto costruire un quadro chiaro e costantemente aggiornato delle pressioni (e.g., pesca, traffico marittimo, fonti di inquinamento, sviluppo costiero, attività militari, attività turistiche e ricreative, effetti dei cambiamenti climatici), e ottenere mediante adeguati e coordinati programmi di l’attuale trend di declino della foca monaca in Mediterraneo, la specie possa un giorno tornare a colonizzare il proprio habitat all’interno del Santuario Pelagos. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 14 monitoraggio misure degli impatti – sia singoli, sia cumulativi -­‐ di tali pressioni sull’ambiente marino e sulle popolazioni dei cetacei. In secondo luogo, un’efficace protezione dell’ambiente richiederà la regolamentazione coordinata tra i tre Paesi – sulla base di un approccio ecosistemico – dell’uso delle risorse marine (pesca, navigazione, turismo), delle fonti terrestri e marine di inquinamento, della gestione integrata della zona costiera e marina (e.g., tra i diversi governi; dell’interfaccia terra – mare; tra differenti gruppi di utenti; interdisciplinare). Il meccanismo di gestione deve essere in grado di adattarsi alle rapide variazioni delle modalità di utilizzo del mare da parte dell’uomo, ai cambiamenti tecnologici, ai cambiamenti socio-­‐economici e politici, e alla dinamicità dei sistemi naturali. La gestione del Santuario Pelagos rappresenta una grande sfida per via della complessità del suo territorio e della sua natura, della sua governance (combinazione tra acque interne, territoriali, alto mare, zona di protezione ecologica, AMP comprese nel suo interno, equilibrio tra poteri centrali e locali, ecc.), e della varietà e intensità delle pressioni esistenti. Gli strumenti di gestione disponibili sono molteplici (e.g., legislazione, piani di zonazione, permessi speciali, organi di sorveglianza, programmi di monitoraggio, programmi di educazione, informazione, coinvolgimento e sensibilizzazione). Il coordinamento tra le competenze sarà notevolmente complesso (basti pensare alla diversità degli organi e delle agenzie di governo dei tre Paesi che sono coinvolti in varia misura per rispettive competenze, e che dovranno interagire in maniera organica con la gestione del Santuario) e solo una chiara volontà politica fortemente coordinata tra i tre governi potrà venire a capo di una simile sfida. D’altro canto, i Paesi del Mediterraneo riuniti attorno al tavolo della Convenzione di Barcellona hanno già fatto la scelta politica di istituire non una ma bensì un network di AMP nell’Alto Mare; e dotare una qualsiasi AMP di capacità di gestione è assiomatico. Pertanto, in un simile quadro sembrerebbe incomprensibile non voler approfittare di sperimentare meccanismi innovativi di gestione sulla prima e per ora unica AMP di alto mare della regione. È per questi motivi che i Paesi del Mediterraneo non possono premettersi di fallire nella sfida posta dal Santuario Pelagos.  Protocollo della Convenzione di Barcellona sulle Aree Specialmente Protette e la Diversità Biologica (Protocollo SPA/DB). La Convenzione di Barcellona relativa alla protezione del Mar Mediterraneo dall'inquinamento (1978), di cui l’Italia è parte dal 1979, venne riformata nel 1995 diventando "Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo". Questa Convenzione funge essenzialmente da quadro di riferimento, mentre l’attuazione specifica dei principi in essa contenuti è demandata a una serie di protocolli, tra cui il Protocollo ASP/DB. Questo protocollo rappresenta la revisione di un precedente protocollo, effettuata a Barcellona nel 1995 e adottata a Monaco nel 1996. Recepito dall’Italia con la Legge 175 del 25.5.1999, si fonda su due pilastri: la tutela delle aree e la tutela delle specie. Della sua attuazione è demandato il RAC/SPA di Tunisi, che come riferito più sopra è anche istituito come Unità sub-­‐regionale di coordinamento di ACCOBAMS per il Mediterraneo. Ciò assicura il coordinamento e l’ottimizzazione degli sforzi tra i due organismi, minimizzando e rendendo più improbabili sovrapposizioni e duplicazioni. Nella prima parte del protocollo è prevista l’istituzione di aree specialmente protette e di aree specialmente protette d’importanza mediterranea (ASPIM), queste ultime iscritte in un’apposita lista. I criteri per la selezione e gestione delle ASPIM sono elencati nell’Annesso I del protocollo. Una volta adottata come ASPIM, i vincoli e le disposizioni vigenti per quella particolare area protetta valgono per tutti i paesi che sono parte contraente del Protocollo. Degno di nota il fatto che nella sua veste attuale il protocollo prevede che un’ASPIM possa essere istituita anche nell’Alto Mare mediterraneo, cioè in ABNJ – particolare di fondamentale importanza per consentire in futuro l’istituzione di un network di aree marine protette nell’ABNJ, come auspicato dal World Summit on Sustainable Development di Johannesburg del 2002 e successivamente dalla Convenzione sulla Diversità Biologica. Questo ha consentito al Santuario Pelagos, iscritto nella Lista ASPIM dal 2001, di estendere le proprie regole a tutti i Paesi parte del protocollo, anche nella sua porzione in ABNJ. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 15 La seconda parte del protocollo è dedicata alla tutela delle specie, di cui vengono fornite liste negli Annessi (nell’Annesso II la lista delle specie in pericolo o minacciate – purtroppo, senza che venga fornita una chiara definizione della differenza tra queste due condizioni – e nell’Annesso III la lista delle specie il cui sfruttamento deve essere regolamentato). Il protocollo stabilisce procedure in base alle quali le parti dovranno identificare le specie presenti nelle aree di loro competenza e attuare misure per la loro tutela. Il protocollo ha rilevanza per i cetacei in quanto ne elenca 18 specie nell’Annesso II. Inoltre, le parti contraenti della Convenzione di Barcellona hanno adottato nel 1991 un piano d’azione per la conservazione dei cetacei del Mediterraneo (UNEP MAP 1991). Tuttavia, il fatto di aver voluto designare le specie nome per nome, anziché indicando come comprese nella lista tutte quelle appartenenti all’Ordine Cetacea (come invece è stato fatto per ACCOBAMS e per l’Annesso IV alla Direttiva “Habitat”), fa sì che specie apparse nella regione in tempi successivi all’adozione dell’Annesso siano escluse (come nel caso, ad esempio, di Mesoplodon europaeus). Inoltre, il piano d’azione del 1991 è estremamente generico e reso obsolescente dall’entrata in vigore di ACCOBAMS, con il quale ha peraltro uno stretto collegamento funzionale.  Convenzione sulle specie migratorie (detta Convenzione di Bonn o CMS). Recepita dall'Italia con Legge n. 42 del 25 gennaio 1983, si prefigge la salvaguardia delle specie animali migratrici, siano esse terrestri o marine. Le specie considerate in pericolo di estinzione sono elencate nell’Appendice I della Convenzione, mentre quelle che necessitano di cooperazione internazionale per la loro tutela sono elencate in Appendice II. A questo scopo, la Convenzione incoraggia gli stati coinvolti a stipulare accordi – globali o regionali – per la loro conservazione. ACCOBAMS è, appunto, un accordo regionale stipulato sotto l’egida della CMS e sulla base dei principi e definizioni in essa contenute; e la quasi totalità della rilevanza che la CMS ha per l’Italia, in materia di cetacei, si risolve pertanto nel suo impegno per ACCOBAMS.  Convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e l'ambiente naturale in Europa (detta Convenzione di Berna). Adottata a Berna nel 1979, è stata ratificata dall'Italia con L. n. 503 del 5 Agosto 1981; è entrata in vigore nel 1984. Scopo principale della Convenzione è di proteggere la fauna e la flora selvatica europea e i loro habitat naturali (sulla base di elenchi riportati nelle Appendici I e II), di aumentare la cooperazione tra le parti contraenti, e di regolamentare lo sfruttamento di specie elencate nell’Appendice III. La Convenzione di Berna è stata all’origine della promulgazione sia della Direttiva Uccelli (79/409/EEC) sia della Direttiva Habitat (92/43/EEC) da parte dell’Unione Europea. La Convenzione ha pertanto in prevalenza un valore storico, anche se gli obblighi assunti dalle parti contraenti permangono tutt’oggi.  Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (detta CITES). Ratificata dall'Italia con la Legge n. 874 del 19 dicembre 1975, è entrata in vigore il 31 dicembre 1979. Regola non soltanto il commercio internazionale, ma anche la pratica di introdurre specie o parti di specie in Paesi parte della Convenzione da acque che si trovano in ABNJ (IFS, introduction from the sea, v. Meere e coll. 2007). Tale aspetto è rilevante ai fini di questo documento perché regolamenta attività scientifiche e di monitoraggio che comportino la raccolta di campioni biologici (e.g., biopsie) da cetacei a distanza superiore alle 12 miglia nautiche dalla costa e lo scambio di simili campioni tra laboratori situati in differenti Paesi. Nella Tab. 5 (pag. successiva) sono riportate le elencazioni nelle appendici dei sei principali strumenti giuridici sopra citati delle 10 specie di cetacei regolari in Mediterraneo, alla data attuale. A completamento di questa rassegna vengono ricordati di seguito altri strumenti giuridici che pur non riferiti specificamente alla tutela delle popolazioni di cetacei del Mediterraneo devono essere tenuti in considerazione per una loro rilevanza meno diretta. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 16  Convenzione delle Nazioni Unite per la Legge del Mare (detta UNCLOS o Convenzione di Montego Bay). È la convenzione che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la gestione delle risorse naturali. È entrata in vigore il 16 novembre 1994; l’Italia l’ha ratificata con legge n. 689 del 2 dicembre 1994. UNCLOS dedica un’attenzione particolare ai mammiferi marini, e in particolar modo ai cetacei, un’attenzione che non viene concessa a nessun altro gruppo di organismi esistenti. L’Art. 65 (a cui si aggiunge l’Art. 120 che ne estende la validità alle ABNJ) stabilisce; a) che gli Stati hanno il diritto, se lo vogliono, di proibire, limitare o regolamentare lo sfruttamento dei mammiferi marini in senso più restrittivo di quanto stabilito da UNCLOS; b) che gli Stati devono cooperare tra loro per la conservazione dei mammiferi marini, e c) nel caso dei cetacei, in particolare, si adopereranno attraverso le organizzazioni internazionali appropriate per assicurarne la conservazione, la gestione e lo studio. Convenzione di Berna CMS CITES EU Direttiva Habitat Ann. Ann. II IV Protoc. SPA/BD ACCOBAMS App. I App. II App. I Balaenoptera physalus tutte le aree tutte le aree tutte le aree tutte le aree Delphinus delphis tutte le aree Globicephala melas Grampus griseus tutte le aree tutte le aree Baltico e Mare del Nord Baltico e Mare del Nord Orcinus orca tutte le aree tutte le aree Phocoena phocoena tutte le aree Baltico e Mare del Nord, Atlantico nord-­‐occidentale, Mar Nero tutte le aree tutte le aree tutte le aree Physeter macrocephalus Mediterraneo Stenella coeruleoalba tutte le aree Tursiops truncatus tutte le aree Ziphius cavirostris tutte le aree Pacifico tropicale orientale, Mediterraneo Baltico e Mare del Nord, Mediterraneo occidentale, Mar Nero tutte le specie Baltico e Mare del Nord, Mediterraneo Mediterraneo, Mar Nero, Pacifico tropicale orientale Ann. II Ann. I App. II tutte le specie che si trovano nell’area dell’Accordo Specie Tab. 5 – Elencazione delle specie di cetacei regolari in Mediterraneo (v. Tab. 1 e 2) nelle appendici dei principali strumenti giuridici citati.  Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD). Firmata a Rio de Janeiro nel giugno 1992, è entrata in vigore nel dicembre 1993 ed è stata ratificata dall’Italia con Legge n. 124 del 14 febbraio 1994. I suoi principali scopi sono di conservare la diversità biologica su scala planetaria, di assicurare che l’utilizzo della biodiversità sia sostenibile, e di assicurare che i benefici della biodiversità siano condivisi in maniera equa. Tra le iniziative animate in ambito CBD un aspetto che può riguardare la tutela dei cetacei del Mediterraneo consiste nel recente impulso impartito dalla Convenzione alla creazione di network di AMP nelle ABNJ, che nel Mediterraneo occupano gran parte dell’area marina e degli habitat delle specie più pelagiche di cetacei. La Convenzione ha anche stimolato la messa a punto di importanti criteri per l’identificazione di tali AMP, oggi ampiamente utilizzati su scala planetaria.  Convenzione di Washington sulla regolamentazione della caccia alle balene (ICRW, o International Convention for the Regulation of Whaling). Questa rassegna non sarebbe completa senza G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 17 menzionare brevemente la convenzione sulla regolamentazione della caccia alle balene, ratificata dall’Italia nel 1998, e che di conseguenza ha portato il Paese a essere membro della International Whaling Commission (IWC) da quell’anno. La Convenzione e l’appartenenza alla Commissione non hanno speciale rilevanza ai fini della conservazione dei cetacei nel Mediterraneo, che non sono oggetto di interesse per la Convenzione per vari motivi. Tuttavia, questo documento fornisce uno spunto per auspicare un maggiore collegamento tra la gestione della partecipazione italiana ai lavori della IWC – la cui titolarità è a cura del Ministero delle politiche agricole in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente – e l’impegno nazionale per la tutela dei cetacei, che come noto è invece materia del Ministero dell’ambiente, del territorio e del mare. L’opportunità di tale collegamento, in particolare, appare evidente considerando che la partecipazione dell’Italia ai lavori della IWC e specificamente a quelli del suo comitato scientifico è supportata da un gruppo di esperti che largamente, se non totalmente, coincidono con gli esperti chiamati a costituire il “tavolo di lavoro” a supporto delle politiche di conservazione dei cetacei da parte del Ministero dell’ambiente. 3.2. Imminenti scadenze internazionali  Il traguardo 2010 per la biodiversità (2010 Biodiversity Target). Tale traguardo è stato adottato inizialmente dai capi di stato dell’Unione Europea al summit di Gothenburg nel giugno 2001, con la decisione di “arrestare il declino della biodiversità con lo scopo di raggiungere tale obiettivo entro il 2010”, e successivamente richiamato l’anno successivo dalla Convenzione sulla Diversità Biologica nel corso della 6a conferenza delle parti con la seguente decisione (VI/26): "Parties commit themselves to a more effective and coherent implementation of the three objectives of the Convention, to achieve by 2010 a significant reduction of the current rate of biodiversity loss at the global, regional and national level as a contribution to poverty alleviation and to the benefit of all life on earth." Infine, nel 2002 il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (World Summit on Sustainable Development) di Johannesburg richiamò ancora una volta il proponimento con simili parole. Nel corso della riunione della CBD tenutasi a Montecatini nel 2005, come si legge in un comunicato stampa del 13 giugno reperibile su internet, “… l’Italia ha aderito formalmente oggi all’iniziativa Countdown 2010 (“Conto alla rovescia 2010”), durante la riunione del gruppo lavorativo sulle aree protette della Convenzione sulla Diversità Biologica che si svolge a Montecatini fino al 17 giugno. Lo scopo del Countdown 2010 è che tutti i governi Europei, ad ogni livello, prendano le misure necessarie per fermare la perdita di biodiversità entro il 2010. A questo fine, l'iniziativa riunisce governi, ONG, il settore privato ed i cittadini in azioni per attirare l’ attenzione della pubblica opinione sugli obiettivi del Countdown 2010 e tener fede agli impegni presi per conservare la diversità biologica. … “. Per quanto riguarda i cetacei del Mediterraneo non è possibile affermare che i rischi di perdita di biodiversità siano in alcun modo diminuiti tra il 2001 e il 2010; semmai, essi sono aumentati. Le orche nello Stretto di Gibilterra che si basano sul passaggio di tonno rosso sono in declino per via dell’accesa competizione con pescatori artigianali e di una preda in forte crisi. Continua la mortalità di capodogli nelle reti pelagiche derivanti illegali utilizzate da flotte italiane. I delfini comuni continuano il loro declino in porzioni del Mediterraneo dove dieci anni fa erano abbondanti, e il piano di conservazione della specie messo a punto dal Comitato Scientifico di ACCOBAMS nel 2004 è rimasto lettera morta. Recenti dati sulla presenza di balenottere comuni nel Santuario Pelagos indicano un calo significativo di effettivi nell’area tra il 1992 e il 2010 (S. Panigada e G. Lauriano, comunicaz. personale), e malgrado tale calo può essere anche semplicemente imputato a spostamenti della popolazione verso altre aree, non vi sono elementi per escludere un declino di popolazione. Infine, per molte specie (Tab. 1) non è ancora possibile esprimersi sul loro stato di conservazione per via della carenza di dati; tuttavia un progetto promosso dal comitato G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 18 scientifico di ACCOBAMS per censire i cetacei del Mediterraneo e Mar Nero sembra non avere alcuna speranza di decollare per assenza dei necessari finanziamenti. Su tali basi sembra difficile non convenire che, per quanto riguarda i cetacei del Mediterraneo, l’iniziativa “2010 Biodiversity Target” possa evitare di rivelarsi un fallimento.  Il traguardo 2012 per i network di aree marine protette. Nel 2002 il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (World Summit on Sustainable Development) di Johannesburg impegnò i Paesi del mondo a costruire un network globale, ecologicamente rappresentativo, di aree marine protette entro il 2012 (Sezione IV, para. 32c). Più di recente, tale impegno venne riaffermato dalla CBD nel 2006. In Mediterraneo, malgrado gli sforzi messi in moto nel 2008 nell’ambito della Convenzione di Barcellona con il supporto della Commissione Europea, siamo ancora molto lontani dal risultato; situazione peraltro abbastanza diffusa anche altrove come graficamente illustrato da Wood e coll. (2008)(Fig. 1). Fig. 1 – Proiezione del raggiungimento di alcuni traguardi relativi alla tutela del mare, sulla base dei tassi finora osservati (da Wood e coll. 2008). 3.3. Principali attori nella conservazione dei cetacei a livello nazionale La responsabilità primaria delle azioni di governo per la tutela dei cetacei in Italia poggia sul Ministero dell’ambiente, del territorio e del mare. Per tali azioni il Ministero può avvalersi del supporto scientifico dell’ISPRA, ove le conoscenze scientifiche necessarie siano presenti all’interno di tale istituto, o inoltre ricorrendo a organismi e istituti di ricerca presenti e operanti sul suolo nazionale. Questi comprendono: •
Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) presenti nelle Regioni costiere; •
Istituti di ricerca pubblici e privati, università, musei; •
Enti gestori di aree marine protette; G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 19 •
ONG ambientali a vocazione scientifica. Si ritiene utile che il Ministero si doti di un inventario costantemente aggiornato di tali organismi e istituti, corredato da una banca dati delle pubblicazioni e produzioni scientifiche di ciascuno di essi, per poter ricorrere in caso di necessità e con tempestività al supporto delle migliori conoscenze disponibili nel Paese. In ragione della complessità delle attività umane in mare e della varietà di interazioni che possono verificarsi tra cetacei e tali attività, esistono altri settori dell’Amministrazione che si trovano ad avere a che fare con questioni di tutela dei cetacei. Tra questi i principali sono: •
Ministero delle politiche agricole e forestali per quanto concerne le interazioni tra cetacei e le attività di pesca11 e per la definizione delle politiche nazionali in materia di caccia alle balene; •
Ministero degli esteri per quel che riguarda gli aspetti internazionali della tutela dell’ambiente marino; •
Ministero della difesa (rischi derivanti alle popolazioni di cetacei dalle esercitazioni navali, ma anche collaborazione per quanto riguarda segnalazioni della presenza di cetacei e – ancora ipoteticamente – supporto al controllo in mare in ABNJ); •
Ministero dei trasporti (rischi derivanti alle popolazioni di cetacei dai trasporti marittimi: rumore, disturbo, sversamenti in mare di sostanze pericolose, collisioni con naviglio, controllo in mare attraverso le Capitanerie di Porto); •
Ministero della salute (aspetti sanitari degli spiaggiamenti, inquinamento in mare). Inoltre, occasioni di interazione saranno possibili tra Stato e Regioni nei casi di collaborazione per iniziative di conservazione dell’ambiente costiero, che coinvolgano questioni di tutela dei cetacei. Come intuibile, vi è una forte necessità di coordinamento tra i dicasteri sopra menzionati e il Ministero dell’ambiente per poter affrontare in maniera positiva ed efficace le questioni collegate alla conservazione dei cetacei. 3.4. Il “Tavolo di Lavoro” Come accennato nella Premessa, per fornire al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare un supporto costante e aggiornato nei campi scientifico, tecnico, gestionale e giuridico alle azioni di governo relative alla tutela dei cetacei, è stato costituito un Tavolo di Lavoro costituito da esperti nazionali e rappresentanti di enti competenti in materia di tutela e conservazione dei cetacei. Il Tavolo di Lavoro esplica le proprie mansioni mediante la fornitura di supporto scientifico al Ministero per l’attuazione delle azioni previste dal progetto “Proposta integrata per attività di conservazione e monitoraggio dei cetacei in Italia”. Dopo una prima riunione in dicembre 2009 dedicata specificamente ad alcuni aspetti legati al monitoraggio degli spiaggiamenti, il 29 marzo 2010 il Tavolo di Lavoro si è riunito a Milano per la prima volta in forma plenaria, presso la sede del Museo civico di Storia Naturale. Nel corso di tale riunione sono state 11
In particolar modo per quanto riguarda l’attuazione del Regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio del 21 dicembre 2006, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo, ad esempio per quanto concerne l’Art. 3 (specie protette). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 20 concordate e definite le funzioni del Tavolo 12, la sua composizione e la sua operatività. A tale proposito è stato proposto di costituire all’interno del Tavolo otto Gruppi di Lavoro (GdL: a. monitoraggio popolazioni; b. monitoraggio pressioni e impatti; c. spiaggiamenti; d. emergenze; e. aree marine protette; f. database nazionali e internazionali; g. valutazione dello status delle popolazioni; h. aspetti giuridici e normativi) che avranno l’incarico di stilare e mantenere aggiornate le Linee Guida riferite agli ambiti di ciascun GdL. Altre riunioni informali, approfittando della presenza di numerosi componenti del Tavolo di Lavoro, sono state tenute in occasione della riunione del Comitato Scientifico della IWC ad Agadir, Marocco, nel giugno 2010. Tuttavia, in una prospettiva temporale più ampia, si ritiene auspicabile che tale Tavolo di Lavoro possa presto essere trasformato in un Tavolo di Esperti permanente, che possa assicurare: a. Fornitura di supporto di eccellenza al Ministero per I'attuazione degli obblighi nazionali ed internazionali. b. Proposta e sviluppo di progetti a supporto di tali finalità. c. Redazione linee guida "ad hoc" sui temi di rilevo. Le professionalità rappresentate nel Tavolo di Esperti potranno in tal modo fornire al Ministero il loro supporto tanto nella fase cognitiva (raccolta, analisi e sintesi dei dati), quanto nell’identificazione di ipotesi operative di soluzioni adeguate e praticabili (ipotesi operative funzionali alla gestione). La selezione di tali professionalità potrà avvenire sulla base dei requisiti elencati nelle raccomandazioni CIVR (“Linee guida per la valutazione della ricerca”, CIVR, maggio 2003) che elencano i criteri di valutazione delle attività di ricerca orientata, cioè "I'attività originale svolta allo scopo di ampliare le conoscenze e volta principalmente verso applicazioni ed obiettivi pratici", che bene descrive I'attività precipua del Ministero in materia di conservazione e monitoraggio dei Cetacei. Ad esempio, i professionisti da considerare per la partecipazione al Tavolo dovranno: •
dimostrare la pertinenza, la coerenza e congruità delle proprie attività con le finalità del Tavolo, in particolare in relazione agli ambiti di ricerca, monitoraggio e gestione in materia di tutela dei cetacei; •
dimostrare un produttività minima pregressa nel settore (interventi pregressi dimostrabili sotto varie forme: interventi di natura tecnico-­‐scientifica, pubblicazioni, verbali; rapporti scientifici; attività divulgative; allestimento di mostre o iniziative equivalenti), in grado di apportare caratteri di innovazione e/o in grado di offrire informazioni chiare e fruibili al servizio pubblico, necessarie alla gestione e al monitoraggio dei cetacei ed utili ai fini della loro conservazione; •
dimostrare un minimo livello di qualità, rilevanza, validità e originalità nel lavoro svolto (sotto forma di diffusione nazionale o internazionale degli interventi o per la qualità certificata all’interno del sistema pubblico) che sottolinei le competenze presenti, utilizzabili nel contesto della tutela dei cetacei; •
dimostrare la capacità di poter operare in modo armonico, cooperativo e collaborativo, sia all’interno del Tavolo sia nel più allargato ambito di operatività della Pubblica Amministrazione, integrandosi sia con gli organismi rilevanti sia con altri gruppi di ricerca al fine di ottimizzare le risorse e le competenze esistenti e per produrre dati scientifici utili alla conservazione dei cetacei; •
essere disponibili a prestare la propria opera con continuità all’interno del Tavolo in maniera tale da permettere all’Amministrazione dell’ambiente di collaborare con le istituzioni nazionali e internazionali. 12
“Per quanto concerne le funzioni, queste si esplicano nella fornitura al MATTM di supporto di eccellenza per l’attuazione degli obblighi nazionali e internazionali nel campo della tutela dei cetacei, per esempio per quanto concerne il supporto allo sviluppo dei progetti legati alla conservazione dei cetacei e richieste di convalida di attività connesse alla conservazione dei cetacei, e in particolare nella predisposizione di linee guida ad hoc sui temi rilevanti nel campo della conservazione dei cetacei” (estratto dal Verbale della riunione del 29.03.2020). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 21 Si ritiene che per fornire all’Amministrazione dell’ambiente un reale supporto scientifico in materia di conservazione dei cetacei sia necessario l’apporto costante di un Tavolo di Esperti -­‐ in grado di ampliare, sviluppare e approfondire i temi di rilevo, quando necessario per una miglior gestione, e di offrire suggerimenti e raccomandazioni nelle questioni più delicate o più nuove, mano a mano che si presentano -­‐ al quale nessun documento, per quanto dettagliato, potrà sostituirsi all’efficacia di un Tavolo di Esperti. Quanto succintamente esposto nelle sezioni 4, 5 e 6 di questo documento, lungi dal voler fornire su tutte le materie trattate una trattazione esauriente delle questioni da affrontare e delle sfide da vincere per conseguire uno stato favorevole di conservazione dei cetacei dei mari italiani, offre semplicemente una serie di spunti e suggerimenti (v. riquadri al termine delle sezioni) che fungano da punto di partenza per la costruzione di Linee Guida nell’ambito del Tavolo di Lavoro. In particolare, le seguenti linee di attività appaiono prioritarie ai fini della conservazione: 1. Ricostituire, rafforzare e completare la Rete Nazionale Spiaggiamenti da porre in collegamento con il monitoraggio delle cause di mortalità, della presenza e diffusione di patologie nelle popolazioni, e con cui affinare le capacità di intervento in situazioni di emergenza. 2. Rafforzare il monitoraggio di abbondanza e distribuzione delle popolazioni di cetacei nei mari italiani (innanzitutto ultimando la prima copertura del territorio mediante il metodo “line-­‐trasect”, di cui è già programmata l’ultimazione nell’inverno 2010/2011), onde consentire l’identificazione di habitat critici e il collegamento tra loro tendenze e fluttuazioni e variazioni nelle condizioni fisico-­‐chimiche del loro ambiente causate da cambiamenti climatici. Tali inventari potranno anche consentire, sulla base di valutazioni della loro vulnerabilità, di proporre l’istituzione di aree protette qualora tale istituzione offra prospettive di tutela superiori a quelle offerte da misure “convenzionali”. Inoltre tali attività potranno supportare la valutazione su scala regionale mediterranea dello status delle varie popolazioni, e in particolare di quelle che sono ancora Data Deficient quali lo zifio, il globicefalo e il grampo. 3. Affrontare il problema delle interazioni tra cetacei e pesca a) censendo regolarmente il bycatch da parte delle marinerie italiane per una miglior valutazione dell’importanza del fenomeno sulle popolazioni di cetacei coinvolte e delle sue modalità, b) promuovendo approfondimenti per una maggior comprensione degli aspetti ecologici, etologici e socio-­‐economici dei fenomeni di depredazione e depauperamento alimentare, e c) assicurando che l’obbligo di adottare un approccio ecosistemico nelle attività di pesca venga rispettato, in primo luogo nel caso di attività esercitate all’interno di habitat critici di cetacei. 4. Assicurarsi che attività umane in grado di generare livelli di rumore acuto subacqueo rischioso per i cetacei non vengano condotte all’interno di habitat critici di queste specie; qualora ciò fosse inevitabile, assicurarsi che tali attività vengano condotte sotto il controllo di esperti di conservazione dei cetacei e utilizzando tutti gli espedienti mitigativi disponibili, come anche raccomandato nelle linee guida recentemente adottate in ambito ACCOBAMS. 5. Affrontare il problema degli effetti negativi sui cetacei derivanti dal traffico marittimo, sia in termini di collisioni, sia di rumore e disturbo. 6. Rafforzare le sinergie con linee di ricerca oceanografica (fisica, geofisica e acustica) che possano portare nuovi dati sullo stato dei mari e nuovi canali di acquisizione di dati utili per il monitoraggio dell’ambiente marino e la sua conservazione; ad esempio la rete europea di sensori ESONET, la rete EMSO, le reti di acquisizione dati acustici di INGV e INFN (ad esempio NEMO-­‐ONDE che ha operato una stazione acustica negli anni 2005 e 2006 e LIDO – Listening Into Deep Ocean – che installerà una stazione acustica analoga a ONDE a fine 2010) che possono fornire dati sulla presenza di cetacei nonché misure di rumore per l’implementazione del Descrittore 11 della Direttiva EU 2008/56 (Riccobene & al., 2007, Pavan & al., 2008). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 22 4. Aspetti gestionali Rappresentano la parte primaria della conservazione, perché sono gli aspetti che consentono di agire nel mondo reale e creare condizioni per il miglioramento dello stato delle popolazioni. Tutti gli aspetti trattati in questa sezione del documento necessitano di supporto scientifico, come descritto in dettaglio nella sezione successiva. Tuttavia, occorre notare come le conoscenze di cui siamo già in possesso sono sufficienti per l’attuazione di misure e azioni di conservazione e gestione efficaci, e che pertanto l’opzione di rimandare tali misure e azioni a un futuro in cui esisteranno maggiori conoscenze scientifiche non è più percorribile. 4.1. Aree marine protette  AMP esistenti. L’Italia è dotata di numerose AMP costiere e di una AMP pelagica (il Santuario Pelagos), che si estende in parte in ABNJ (v. discussione sul Santuario Pelagos, 2.1). Inoltre, alcune ZPS sono state istituite in acque marine. In virtù della distribuzione capillare del tursiope nelle acque costiere italiane, la specie è presente in tutte o quasi le AMP esistenti, e dove non è presente il motivo probabile è che questo cetaceo ne sia stato estirpato in epoca recente da fattori di degrado antropico. Esistono inoltre AMP che contengono habitat di altre specie di cetacei, come ad esempio l’AMP Ischia – Regno di Nettuno popolata da varie specie tra cui il rarissimo delfino comune. Sulla base di queste considerazioni, scaturiscono le raccomandazioni seguenti: •
Sarebbe opportuno determinare e mappare la presenza di habitat critici di cetacei all’interno di tutte le attuali AMP costiere, e di tutte le ZPS marine istituite. Questi saranno in massima parte ascrivibili al tursiope. •
Sulla base dei risultati della mappatura sopra citata, occorre assicurarsi che azioni di monitoraggio e conservazione delle specie interessate vengano incluse nei piani di gestione nelle AMP o ZPS in questione, come prescritto dalle varie normative europee e nazionali e da accordi internazionali. •
Sarebbe anche auspicabile richiedere agli organi di gestione delle AMP o ZPS in questione di relazionarsi con ACCOBAMS (e, quando appropriato, con l’Accordo Pelagos), onde inquadrare iniziative di tutela locali in un ambito di collaborazione a livello regionale.  Nuove AMP. Il progresso delle conoscenze sull’ecologia e lo stato di conservazione dei cetacei nei mari che circondano l’Italia progressivamente indicherà quali altre aree nelle acque costiere italiane e nelle ABNJ contigue contengono habitat critici di cetacei, la cui tutela potrebbe giovare dall’istituzione di AMP (e, nel caso del tursiope, di ZPS – il che aiuterebbe l’Italia ad adempiere agli obblighi assunti sulla base della Direttiva Habitat). Occorre anche ricordare in proposito che l’Italia ha istituito nel 2006 una Zona di Protezione Ecologica (Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 2006, legge 8 febbraio 2006 n. 61) oltre il limite esterno delle acque territoriali, in parziale applicazione della Zona Economica Esclusiva prevista ai sensi di UNCLOS, all’interno della quale sarà possibile esercitare giurisdizione nazionale in materia di protezione e di preservazione dell’ambiente marino. Per quanto riguarda l’istituzione di nuove AMP, di volta in volta sarà necessaria una valutazione critica delle minacce di cui sono oggetto le popolazioni di cetacei considerate, perché in alcuni casi tali minacce saranno più facilmente ed efficacemente affrontabili mediante misure di gestione convenzionali anziché mediante l’istituzione di AMP ad hoc (Notarbartolo di Sciara 2007). Una volta che si è stabilito che l’istituzione di una nuova AMP può contribuire significativamente alla tutela di una o più popolazioni di cetacei, occorre assicurarsi che gli aspetti istituzionali, sociali ed economici di tale istituzione vengano affrontati adeguatamente per consentire alla nuova AMP di funzionare al meglio. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 23 In tal senso grande interesse riveste l’attuale iniziativa intrapresa nell’ambito della Convenzione di Barcellona, con il supporto della Commissione Europea, per la costruzione di un network di ASPIM nelle ABNJ. Molte delle aree proponibili per tale iniziativa verosimilmente conterranno habitat critici di popolazioni mediterranee di cetacei, e andranno pertanto inquadrate in un contesto regionale di tutela di questi mammiferi. Suggerimenti: aree marine protette. 1. Una volta inventariata la presenza e ubicazione di habitat critici di cetacei nelle acque italiane (v. 5.3), sulla base di valutazioni della vulnerabilità di tali habitat proporre l’istituzione di aree protette qualora tale istituzione offra prospettive di tutela superiori a quelle offerte da misure “convenzionali”. 2. Verificare la presenza di habitat critici di cetacei nelle attuali AMP; assicurarsi che le misure di gestione esistenti includano la tutela dei cetacei e del loro habitat; ove necessario (p. es. se gran parte dell’habitat critico di una popolazione di cetacei è al di fuori dell’area) proporre opportune estensioni dei limiti dell’area. 3. Promuovere una maggior efficacia di conservazione del Santuario Pelagos in collaborazione con Francia e Monaco e sperimentare modelli gestionali plurilaterali in previsione della imminente istituzione di altre ASPIM in acque internazionali da parte della Convenzione di Barcellona. 4.2. Interazioni con attività di pesca Le interazioni tra mammiferi marini e attività di pesca vengono comunemente suddivise tra interazioni operazionali e interazioni ecologiche (Read, 2005). Le prime riguardano i fenomeni del bycatch (= catture accidentali) e della depredazione di reti da pesca (e in alcuni casi impianti di acquacoltura) da parte dei delfini, mentre le seconde riguardano la competizione per le risorse della pesca tra cetacei e attività umane, che spesso rappresentano un danno per queste ultime ma spesso anche causano il depauperamento delle risorse alimentari di specie protette (Plaganyi e Butterworth 2005, Bearzi e coll. 2006).  Interazioni operazionali. Bycatch. Numerosi tipi di attrezzi da pesca provocano catture accidentali di cetacei in Mediterraneo e in Italia, ma l’attrezzo di gran lunga più rischioso per balene e delfini è costituito dalle reti pelagiche derivanti, che nei passati decenni sono state responsabili di livelli molto alti di mortalità (Notarbartolo di Sciara 1990). Le specie maggiormente impattate sono la stenella striata e il capodoglio, anche se esistono informazioni su catture di zifio, globicefalo, grampo, tursiope e delfino comune (Bearzi 2002). Dispositivi acustici a bassa intensità (pingers) per allertare i cetacei della presenza delle reti in condizioni di scarsa visibilità sono stati sperimentati negli Stati Uniti su focene comuni nel New England (Dawson e coll. 1998) e su delfinidi in California (Barlow e Cameron 2003), e in entrambi i casi hanno dimostrato di essere in grado di causare una modesta riduzione delle catture accidentali di questi mammiferi. La scarsa utilità delle tecnologie acustiche (che peraltro hanno dimostrato effetti, seppure moderati, solo su mammiferi marini) ha contribuito alla definitiva messa al bando delle reti derivanti a livello internazionale, europeo, regionale mediterraneo e inoltre da parte di numerose nazioni. Tuttavia, malgrado tali reti siano state dichiarate fuorilegge da parte della Commissione Europea dal 2002, in Italia perdura questa pratica senza che lo Stato sia riuscito fino ad oggi a intervenire in maniera incisiva (malgrado un impegnativo programma di riconversione e compensazione attuato anni fa). Per questo motivo l’Italia è stata purtroppo condannata dalla Corte Europea di Giustizia. Le reti pelagiche derivanti G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 24 vengono usate o in quanto tali con il nome di spadare, in aperta sfida alla legge, oppure utilizzando lo stratagemma delle ferrettare, che dovrebbero essere più piccole (sia in termini di lunghezza che di maglia) e utilizzate unicamente in acque costiere; di fatto, molti armatori continuano a usare le spadare sostenendo di utilizzare ferrettare, oppure utilizzano ferrettare per la pesca in acque pelagiche, e i controlli, quando non inesistenti, sono oggettivamente difficoltosi. Di conseguenza, esiste abbondante evidenza che la mortalità di cetacei causata da questo attrezzo da pesca continua, anche se il carattere criminoso dell’attività non consente alcuna valutazione del suo impatto reale sulle popolazioni di cetacei perché il bycatch viene accuratamente occultato. Il perdurare di questa situazione costituisce, al di là della minaccia di dimensione ignota alle popolazioni di cetacei coinvolte, un attentato allo stato di diritto oltre a essere causa di perdita di credibilità per l’autorità dello Stato tanto all’interno quando al di fuori dei patri confini. Altri attrezzi da pesca possono essere causa occasionale di mortalità accidentale di cetacei in Italia (e.g., tonnare fisse, tonnare volanti, reti da posta di fondo, strascico di fondo e pelagico, palangari)(Bearzi 2002), tuttavia non vi è evidenza che tale mortalità, anche combinata, possa costituire un rischio di conservazione. La direttiva Habitat prescrive agli Stati Membri il monitoraggio delle catture accidentali di tutte le specie di cetacei (in quanto elencate nell’Allegato IV), nonché l’adozione di misure atte a mitigare gli impatti di tali catture sulle popolazioni. Tale prescrizione non risulta essere adeguatamente seguita dall’Italia. Interazioni operazionali tra delfini costieri e piccola pesca artigianale. Il fenomeno è diffuso nella regione mediterranea e molte marinerie, anche italiane, ne sono affette (Lauriano e coll. 2009). Si tratta di un problema di conservazione per i cetacei perché il forte astio che genera nei pescatori induce rappresaglie, spesso indiscriminate, nei confronti dei delfini, che vengono di conseguenza perseguitati in vario modo (Bearzi 2002, Notarbartolo di Sciara e Bearzi 2002). Il problema è tuttora irrisolto perché gravido di difficoltà scientifiche (non sono noti i meccanismi ecologici ed etologici coinvolti) e oggettive (le risorse scarseggiano e la competizione tra delfini e pescatori non accenna a diminuire). Accorgimenti tecnologici quali dispositivi acustici (Acoustic Deterrent Devices, o ADD: originariamente progettati per tenere lontani pinnipedi da impianti di acquacoltura) sembrano funzionare inizialmente, ma non esistono indicazioni che siano mai riusciti a superare l’ostacolo dell’assuefazione (Brotons e coll. 2008). ACCOBAMS sta affrontando il problema a livello regionale avvalendosi dei migliori esperti europei; pertanto, si raccomanda di sostenere lo sforzo internazionale correntemente condotto nell’ambito di ACCOBAMS, se possibile affiancando tale sforzo con iniziative nazionali, opportunamente coordinate per evitare duplicazioni e sprechi di risorse.  Interazioni ecologiche. L’overfishing e il conseguente depauperamento di specie pescate che costituiscono le principali prede di popolazioni di cetacei può causare problemi di conservazione, come nel caso dei delfini comuni della Grecia ionica la cui presenza è diminuita di 25 volte nel corso di un decennio (Bearzi e coll. 2008); una situazione simile è stata ipotizzata in Spagna, nel Golfo di Vera, sempre per il delfino comune (Cañadas e Hammond 2008). In una situazione di generale degrado delle risorse ittiche del Mediterraneo, sembrerebbe difficile escludere che il problema non sia presente anche in Italia, malgrado non esistano al momento osservazioni che consentano di identificare specifici casi. Pertanto, è raccomandabile promuovere le necessarie attività di monitoraggio in grado di enucleare eventuali problemi e suggerire soluzioni. Per concludere, si raccomanda di incoraggiare quanto più è l’approccio ecosistemico alla gestione della pesca perché consente di far entrare nell’equazione tutte le specie che fanno parte dell’ecosistema sotto considerazione, e non soltanto le singole specie bersaglio delle attività di pesca (Richerson e coll. 2010). Il principio dell’approccio ecosistemico naturalmente ha importanti conseguenze per i cetacei, che come abbiamo visto in molte circostanze sono impattati fortemente e in varie maniere dalle attività di pesca. Purtroppo tale principio, peraltro accettato universalmente e in modo particolare da parte della G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 25 Commissione Europea (Commission of the European Communities 2008a), stenta di fatto a entrare nella consuetudine della gestione delle attività di pesca in Mediterraneo. Il Ministero dell’ambiente potrebbe dare in tal senso un importante contributo alle politiche nazionali. Suggerimenti: interazioni con attività di pesca. 1. Censire regolarmente il bycatch di cetacei da parte delle marinerie italiane, per una miglior valutazione dell’importanza del fenomeno sulle popolazioni di cetacei coinvolte e delle sue modalità. 2. Promuovere approfondimenti per una maggior comprensione degli aspetti ecologici, etologici e socio-­‐economici dei fenomeni di depredazione. 3. Sperimentare nelle zone AMP in cui sono permesse attività regolamentate di piccola pesca (e in cui avviene il fenomeno della depredazione) accorgimenti creativi e innovativi (e.g., assicurazioni, ricompensa misurata sulla presenza della specie protetta anziché sui danni, ecc.). 4. Assicurare che l’obbligo di adottare un approccio ecosistemico nelle attività di pesca venga rispettato, in primo luogo nel caso di attività esercitate all’interno di habitat critici di cetacei. 4.3. Qualità dell’ambiente marino Per qualità dell’ambiente marino si intende qui in modo particolare la qualità delle acque in cui vivono i cetacei, ma anche altre caratteristiche dell’ambiente di questi mammiferi che sono nel complesso fortemente condizionate dalle attività umane. Tali attività costituiscono, seppure indirettamente, una minaccia alla sopravvivenza dei cetacei mediante inquinamento da contaminanti, inquinamento acustico e cambiamenti globali. 4.3.1 Contaminanti ambientali La qualità dell’ambiente marino mediterraneo potrebbe migliorare sensibilmente se le misure previste dai numerosi Protocolli della Convenzione di Barcellona fossero regolarmente attuate, e se altri Protocolli tuttora in fase di negoziato entrassero in vigore. A tale proposito non si può non ricordare il problema largamente annunciato di sostanze a tossicità elevatissima depositate sul fondo del mare in prossimità delle coste italiane in diverse circostanze (e.g., dumping di armamenti chimici al termine della Seconda Guerra Mondiale, affondamento di navi contenenti rifiuti pericolosi e/o radioattivi da parte della criminalità organizzata), il cui effetto su vertebrati al vertice delle reti trofiche marine quali i cetacei, una volta che si disperderanno nell’ambiente a seguito della corrosione dei contenitori nei quali ora si trovano, non saranno certo positivi. Più in particolare, per quanto concerne i cetacei, occorre affrontare in maniera differenziata le varie categorie di agenti maggiormente responsabili del degrado della qualità dell’ambiente marino, i quali vi pervengono sia da scarichi diretti in mare soprattutto da parte delle navi, sia per apporto tellurico (fiumi, dilavamenti nel corso di piogge, ecc.). Vengono qui di seguito elencate le categorie di inquinanti più rilevanti. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 26  Inquinanti organici persistenti (POP) e metalli pesanti. Entrambe le categorie di inquinanti vengono assunte dai cetacei in prevalenza per via alimentare a si accumulano nei loro tessuti in maniera più o meno importante a seconda delle sostanze in gioco, delle specie, del loro livello trofico, e dell’età e del sesso degli individui. Esiste una grande quantità di letteratura in proposito (non elencata qui), molta della quale prodotta da colleghi italiani di fama internazionale. La presenza di POP e metalli pesanti negli organismi di cetacei è nota per essere causa potenziale di squilibri patologici e mortalità, sia agendo direttamente sia provocando l’indebolimento dei sistemi immunitario e/o riproduttivo. Assicurare il rispetto delle norme che regolano e abbattono il carico di POP e metalli pesanti immesso in mare dalle varie fonti note (e.g., fiumi, scarichi urbani, industriali, agricoli e mobilizzazione dei sedimenti portuali) sarebbe un primo passo di grande importanza per affrontare il problema causato ai cetacei. È inoltre importante promuovere attività di monitoraggio e ricerca, sia sui cetacei spiaggiati, sia mediante biopsie su individui in mare (come già assicurato dal Ministero dell’ambiente mediante programmi mirati recentemente finanziati all’Università di Siena e al CIBM di Livorno), con gli obiettivi di (a) controllare i livelli medi di contaminazione delle diverse popolazioni, e (b) rilevare mediante studi su biomarker le loro capacità di reazione agli agenti tossici. In tal senso, a motivo della loro collocazione nelle reti trofiche marine, rivestono priorità più alta i delfinidi prevalentemente ittiofagi (e.g., tursiope, delfino comune, stenella striata), intermedia gli odontoceti teutofagi, e più bassa la balenottera comune.  Idrocarburi. La fonte primaria di idrocarburi nell’ambiente marino mediterraneo interessante le coste italiane è costituita da sversamenti e perdite di greggio e derivati nelle operazioni di routine delle numerose navi che trasportano petrolio in Italia proveniente dai Paesi di produzione. Gli sversamenti derivanti da incidenti (come quello dell’incendio della petroliera Haven avvenuto di fronte ad Arenzano nel 1991) sono meno rilevanti in termini assoluti di volume sversato ma possono, ovviamente, creare danni ambientali gravissimi su piccola o media scala. Il petrolio sversato in mare contiene numerosi composti chimici, alcuni dei quali ad elevata tossicità o carcinogeneticità, come ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA o PAH). Geraci e St. Aubin (1990) forniscono una dettagliata rassegna degli effetti di tali eventi e della presenza in mare di tali composti sui mammiferi marini. Come per altre tipologie di inquinamento marino, anche per gli idrocarburi vale il principio che il rispetto delle norme vigenti e l’entrata in vigore dei Protocolli rilevanti della Convenzione di Barcellona costituirebbero di per se un grande passo avanti nella soluzione dei problemi. Per quanto concerne i disastri marittimi coinvolgenti navi che trasportano sostanze pericolose, e in modo particolare idrocarburi, è ovvio che il massimo sforzo vada concentrato sugli aspetti di prevenzione; infatti l’esperienza conferma quanto logicamente dovrebbe essere già ovvio, che prevenire il disastro è enormemente più efficace e meno dispendioso che affrontarne le conseguenze dopo che è avvenuto. Ad ogni buon conto, si raccomanda che chi cura la predisposizione di piani di emergenza in caso disastri marittimi, tanto a livello nazionale quanto regionale, venga affiancato in fase preventiva da esperti di ecologia, tossicologia e patologia di cetacei.  Detriti solidi. L’ambiente marino è sempre più popolato da detriti solidi non biodegradabili, in prevalenza di plastica, provenienti sia da scarichi terrestri, sia da navi, sia sotto forma di attrezzi da pesca persi in mare o deliberatamente scartati (Laist e coll. 1999, Allsopp e coll. 2006). Il Mediterraneo, con la sua limitata superficie e alta densità di popolazione lungo le sue coste naturalmente non fa eccezione; anzi, la sua natura di bacino di evaporazione con acque superficiali in costante ingresso da Gibilterra non fa che accrescere il problema, e giustificherebbe una speciale attenzione da parte dei Paesi rivieraschi. Questi detriti possono essere causa di mortalità per i cetacei che li ingeriscono perché otturano il tubo digerente, o perché gli animali vi si vanno a impigliare (e.g., Johnson 2005). Per affrontare e mitigare il problema vale anche in questo caso quanto raccomandato sopra (rispetto e controllo delle norme vigenti, e in particolare gli obblighi derivanti dall’adesione alla London Dumping Convention, a Marpol e ai Protocolli appropriati della Convenzione di Barcellona). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 27 Suggerimenti: qualità dell’ambiente marino. 1. Assicurarsi che il costante monitoraggio dei livelli di POP nei tessuti dei cetacei (spiaggiati, catturati accidentalmente e deceduti in collisioni) venga effettuato da laboratori competenti per controllare le tendenze e l’insorgere di nuovi contaminanti. 2. Promuovere studi sugli impatti della presenza di contaminanti negli organismi, per esempio mediante biomarker. 3. Provvedere al censimento degli apporti tellurici di inquinanti, come prescritto dalle normative nazionali ed europee, con particolare riferimento alle zone maggiormente interessate da habitat critici di cetacei e alle sostanze note per essere più rischiose per i cetacei. 4.3.2 Rumore È ormai assodato che energia acustica introdotta nell’ambiente marino da attività umane può avere effetti negativi sui cetacei, sia di tipo comportamentale, fisiologico e patologico (Nowacek e coll. 2007, Wright e coll. 2007), e nessuna strategia per la conservazione di questi mammiferi può mancare di un’adeguata attenzione per questo aspetto dell’inquinamento marino (Hildebrand 2005). Strumenti giuridici internazionali e nazionali oggi in vigore, ma adottati negli scorsi decenni, non citano esplicitamente il rumore come una componente dell’inquinamento marino13, semplicemente perché al momento della loro negoziazione non vi era consapevolezza del problema. Tuttavia, questo fatto è stato spesso utilizzato da componenti della società civile fortemente interessate alla questione (e.g., industria petrolifera, militari) per sostenere che il rumore non possa essere considerato una forma di inquinamento. Fortunatamente è recentemente entrata in vigore in Europa la Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (2008/56/CE; v. pag. 9-­‐10), che facendo esplicito riferimento alla presenza di rumore antropogenico in termini di qualità dell’ambiente marino, dirime la questione per quanto concerne i Paesi europei, e pertanto anche per l’Italia. La questione degli effetti ambientali del rumore subacqueo è in tal modo divenuta di rilevanza europea, e i conseguenti impatti devono ora essere accuratamente valutati. Gli Stati Membri sono obbligati a condurre valutazioni di ciascuno degli 11 descrittori ambientali elencati nell’Annesso I della Direttiva, tra cui il livello di rumore, per definire il “buono stato ambientale” dei loro mari entro il 2020. Hildebrand (2005) riassume le fonti di rumore antropogenico in mare all’interno delle seguenti categorie: a) esplosioni, b) grandi navi commerciali, c) ordigni per l’esplorazione sismica, d) sonar militari, e) sonar per la navigazione ed ecoscandagli, f) fonti acustiche per la ricerca, g) dispositivi deterrenti acustici utilizzati nella pesca e acquacoltura, h) rompighiaccio, i) perforazioni offshore e costruzioni costiere, e j) naviglio minore e da diporto. Tutte queste fonti di rumore, a eccezione dei rompighiaccio, hanno rilevanza per i cetacei in Mediterraneo. In modo particolare: 13
UNCLOS (Parte I, Art. 1, 4) definisce in questo modo l’inquinamento: “pollution of the marine environment means the introduction by man, directly or indirectly, of substances or energy into the marine environment, including estuaries, which results or is likely to result in such deleterious effects as harm to living resources and marine life, hazards to human health, hindrance to marine activities, including fishing and other legitimate uses of the sea, impairment of quality for use of sea water and reduction of amenities.” In recenti circostanze, esponenti dell’industria e dei militari hanno argomentato su base giuridica che “energy” non significa necessariamente rumore, e che pertanto se in UNCLOS il rumore non è menzionato ciò significa che esso non debba essere considerato un fattore di inquinamento. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 28 i.
Il brillamento di esplosivi è molto frequente ancora oggi in Mediterraneo nel corso di svariate operazioni, quali esercitazioni e test militari, costruzioni costiere, esperimenti scientifici, manutenzione di piattaforme petrolifere, e da svariate marinerie nella pratica della pesca illegale mediante dinamite e altri esplosivi. ii.
L’esplorazione sismica utilizza fonti sonore (airgun) ad alta intensità (fino a 259 dB peak re 1 μPa a 1 m, in un ambito di frequenza compreso tra 5 e 300 Hz) trainate dietro speciali navi per creare un’immagine della crosta terrestre e identificare l’ubicazione di eventuali giacimenti di petrolio o gas, oppure anche per ottenere informazioni sulla geologia del fondale a scopo scientifico. Questo tipo di attività ha creato notevoli problemi ai cetacei in passato (Malakoff 2002), anche in Mediterraneo (Castellote e coll. 2009). iii.
Le esercitazioni militari mediante sonar per la lotta anti-­‐sommergibili sono responsabili dell’immissione in mare di alti livelli di energia soprattutto nelle basse (< 1 kHz) e medie (1-­‐20 kHz) frequenze, con livelli talvolta superiori ai 235 dB re 1 μPa a 1 m. Per via della loro ben nota pericolosità per i cetacei (soprattutto per le specie appartenenti alla famiglia degli Zifiidi), occorre assicurare che tali esercitazioni avvengano a distanza di sicurezza dalle zone note per contenere habitat di queste specie. iv.
Un notevole contributo al budget totale del rumore subacqueo deriva dalle attività industriali collegate allo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi (costruzione e smantellamento di piattaforme, perforazione). v.
Un ulteriore contributo al rumore è fornito dai lavori costieri (porti, moli, strade, massicciate), soprattutto nell’atto di infiggere pali nei sedimenti, e inoltre in dragaggi e scavi, installazione e operazione di generatori eolici, e altre infrastrutture similari. vi.
La navigazione commerciale è oggi la principale fonte di rumore di bassa frequenza (5-­‐200 Hz) di sottofondo nei mari del mondo. Il rumore, generato soprattutto dal fenomeno della cavitazione delle eliche delle navi, si propaga su grandi distanze, e può raggiungere livelli di 195 dB re μPa2/Hz a 1 m nel caso di superpetroliere veloci. In Mediterraneo, per via dell’altissima densità del traffico marittimo, il fenomeno è particolarmente imponente, e in costante aumento (soprattutto nella zona costiera per via del probabile sviluppo delle “autostrade del mare”). vii.
l naviglio minore e quello da diporto contribuisce di per se in maniera limitata al bilancio totale del rumore nell’ambiente marino, trattandosi in genere di fonti a bassa intensità e negli ambiti più alti di frequenza (che fanno sì che l’energia del suono venga rapidamente assorbita nella sua propagazione); tuttavia, il rumore generato dalle barche da diporto, ivi comprese le moto d’acqua, può avere rilevanza su scala locale, soprattutto costiera e stagionale. Tali attività, e ovviamente le competizioni di imbarcazioni veloci a motore, dovranno essere stremante regolamentate negli habitat critici di cetacei. viii.
Infine, i dispositivi deterrenti acustici14 hanno funzione di repulsione attiva per tenere lontani i mammiferi marini dalle zone di pesca e acquacoltura. Come detto più sopra, sperimentazioni avvenute in Mediterraneo non hanno mai dimostrato la loro efficacia, il che non ha contribuito ad affrontare il problema della depredazione delle reti da parte di delfinidi costieri. Tuttavia, nel caso tali tecnologie dovessero dimostrarsi un giorno efficaci, considerando la vasta diffusione in Mediterraneo di piccola pesca artigianale interessata dalle interazioni con i cetacei, vi è la forte preoccupazione che molte specie protette (e minacciate) verranno escluse dai loro habitat critici, fatto chiaramente illegale. Inoltre, efficaci o no, occorre considerare in chiave di gestione ecosistemica gli effetti sull’ambiente dell’immissione deliberata di energia acustica, in aggiunta a 14
I dispositivi deterrenti acustici (Acoustic Deterrent Devices, o ADD) non devono essere confusi con i pingers (v. 3.2). Mentre questi ultimi, a bassa intensità (tipicamente intorno ai 130-­‐150 dB re 1 μPa a 1 m), hanno lo scopo di avvisare i cetacei della presenza di reti in condizioni di scarsa visibilità, gli ADD sono progettati per escludere i mammiferi marini dai dintorni delle reti mediante suono fastidioso o doloroso ad alta energia (185-­‐190 dB re 1 μPa a 1 m). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 29 quanto viene già immesso involontariamente da tutte le altre fonti antropogeniche, elencate in questa Sezione. Considerata l’importanza di un ambiente acusticamente “pulito” per i cetacei, la questione del rumore da fonti antropogeniche va affrontata con grande determinazione e creatività soprattutto tenendo conto del fatto che tale aspetto rappresenta, sul piano della gestione, forti elementi di novità. In passato, infatti, ben poca attenzione era attribuita al rumore in materia di conservazione dell’ambiente marino, con scarso riguardo verso elementari considerazioni di precauzione (Gillespie 2007). Nell’ambito di ACCOBAMS la questione del rumore era stata affrontata con decisione dalle parti nel corso della riunione di Palma di Maiorca (2004), con l’adozione della Risoluzione 2.16, che dava mandato, tra le altre cose, al Comitato Scientifico di predisporre apposite linee guida. Tuttavia, tali linee guida preparate sotto il coordinamento del Dott. Gianni Pavan e presentate alla successiva riunione delle parti (Dubrovnik, 2007) non vennero adottate per mancanza di consenso15. Per fortuna il quadro giuridico in Europa, in particolar modo grazie alla Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, è ora radicalmente mutato, e concrete azioni mitigative degli effetti nocivi del rumore nell’ambiente marino sono non solo legalmente possibili ma anche obbligatorie. Una prima considerazione riguarda quelle fonti di rumore aventi alti livelli di pericolosità per i cetacei: esplosioni (i), esplorazioni sismiche (ii), esercitazioni navali mediante impiego di sonar (iii), e attività industriali e costruttive varie (iv e v). In questi casi sarà importante per l’autorità competente l’essere in grado di valutare preventivamente le attività per poter modulare l’impatto al meglio delle conoscenze scientifiche sulle popolazioni presenti nell’area e sulle loro necessità e vulnerabilità, soprattutto in corrispondenza di AMP istituite per i cetacei (Agardy e coll. 2007, Dolman 2007). Qualsiasi esplosione in mare – quando condotta nell’ambito della legalità – dovrebbe essere soggetta a preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente in materia di tutela della biodiversità marina, in grado di valutare se, quando e come tale azione potrà essere condotta senza rischio per i cetacei. Le operazioni illegali dovrebbero, ovviamente, essere oggetto di adeguata repressione da parte degli organi di sorveglianza, in considerazione tanto del danno al patrimonio naturale ed economico causato, quanto di aspetti di incolumità umana. Come nel caso delle esplosioni, ogni campagna di esplorazione sismica dovrebbe essere soggetta a preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente in materia di tutela della biodiversità marina, in grado di valutare il rischio per i cetacei e imporre eventuali misure di mitigazione. Una seconda considerazione riguarda la presenza ubiquitaria in Mediterraneo del rumore di sottofondo generato dal traffico marittimo, sia esso riguardante le grandi navi (vi), sia il naviglio minore e da diporto (vii). In tale ambito le possibilità di intervento saranno ovviamente più limitate. Gioverà comunque fornire supporto al processo in atto in ambito IMO di riduzione della rumorosità del naviglio in fase di progettazione. Suggerimenti: rumore. 1. Applicare a livello nazionale le azioni contenute nella Risoluzione 3.10 (2007) di ACCOBAMS. 2. Assicurare la trasparenza dell’informazione preventiva sullo svolgimento (tempi e luoghi) di attività umane in grado di generare livelli di rumore subacqueo rischioso (p. es. militari, survey sismici, impianti offshore) in acque italiane e limitrofe. 3. Assicurarsi che attività umane in grado di generare livelli di rumore subacqueo rischioso (p. es. militari, survey sismici, impianti offshore), non vengano condotte all’interno di habitat critici di cetacei; qualora ciò fosse inevitabile, assicurarsi che tali attività vengano condotte sotto il controllo di esperti di conservazione dei cetacei e utilizzando tutti gli accorgimenti mitigativi disponibili. 15
Per una succinta trattazione dei contenuti della bozza di linee guida sul rumore preparata per ACCOBAMS, vedasi Pavan (2007). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 30 4. Promuovere sviluppo e adozione di tecnologie meno invasive per i survey sismici (e.g., Weilgart e coll. 2010). 5. Valorizzare i dati acustici raccolti anni or sono dall’ex ICRAM sui livelli e fonti di rumore presenti nel Santuario Pelagos mediante opportune analisi, e nel caso programmare ulteriori simili raccolte di dati. 6. Promuovere la collaborazione con le reti di acquisizione dati oceanografici (ESONET, EMSO, LIDO) per monitorare i livelli di rumore e i segnali acustici dei mammiferi marini (Riccobene & al.,2007, 2009; Pavan & al., 2008). 7. Promuovere progetti pilota per il monitoraggio del rumore nelle AMP 8. Promuovere progetti pilota per l’implementazione delle linee guida di ACCOBAMS 4.3.3 Cambiamenti climatici Sono previsti (e in parte già in atto) molteplici effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino, e di quello del Mediterraneo in particolare, tra cui l’innalzamento della temperatura delle acque, l’innalzamento del livello del mare, e l’aumento di acidità delle acque (Learmonth e coll. 2006). Questi cambiamenti, influenzando non solo l’habitat dei cetacei ma anche quello delle loro prede (Fig. 2), potranno avere importanti effetti sull’ecologia dei cetacei, tra cui modifiche sulla distribuzione e abbondanza delle popolazioni, loro abitudini migratorie, struttura di comunità, suscettibilità alle malattie e alle azioni dei contaminanti, con conseguenze verosimilmente negative sul loro stato di conservazione (Learmonth e coll. 2006, Simmonds e Elliott 2009). Nel caso del Mediterraneo la situazione appare particolarmente preoccupante perché le popolazioni di cetacei ivi residenti sono costrette dalla topografia della regione a una distribuzione ristretta, e hanno limitatissime possibilità di migrare in senso latitudinale in risposta a modifiche nei parametri fisici e chimici delle acque (MacLeod 2009, Gambaiani e coll. 2009), che in Mediterraneo potrebbero essere particolarmente rapide e vistose. Una speciale preoccupazione riveste la sopravvivenza delle balenottere comuni, la cui dieta è basata principalmente su una specie di crostaceo dello zooplancton (l’eufausiaceo Meganyctiphanes norvegica), sensibile alle caratteristiche chimico-­‐fisiche delle acque e in modo particolare al loro pH (Gambaiani e coll. 2009). Recenti survey aerei condotti nel Santuario Pelagos hanno evidenziato importanti fluttuazioni nella presenza di balenottere nell’area, probabilmente collegate con cambiamenti inter-­‐annuali nella disponibilità di prede; tali fluttuazioni potrebbero essere provocate da cambiamenti climatici. Ovviamente, l’unica azione efficace in materia di cambiamenti climatici consiste nel combatterli rivolgendosi alla fonte del problema (emissioni di gas serra nell’atmosfera). Tuttavia, un attento monitoraggio dello stato delle popolazioni dei cetacei potrà cogliere i segnali precoci di disagio e rapportarli alle condizioni e modifiche dell’ambiente in cui essi vivono, e consigliare misure e accorgimenti compensatori per proteggere per lo meno questi mammiferi da altri tipi di pressioni antropiche (e.g., pesca, navigazione, inquinamento, rumore), riducendone l’impatto cumulativo, in caso di necessità anche mediante l’istituzione di AMP. Dunque se intervenire sul problema dei cambiamenti climatici alla fonte risulta chiaramente al di fuori della portata delle azioni di conservazione dei cetacei, tutti gli interventi sugli altri fattori di pressione – che sono oggetto primario delle azioni di conservazione – divengono in tale scenario ancor più importanti e urgenti. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 31 Fig. 2 – Principali impatti dei cambiamenti climatici sui cetacei (da Simmonds e coll. 2009). Suggerimenti: cambiamenti climatici. 1. Rafforzare il monitoraggio di abbondanza e distribuzione delle popolazioni di cetacei nei mari italiani, onde consentire il collegamento tra loro tendenze e fluttuazioni e variazioni nelle condizioni fisico-­‐chimiche del loro ambiente causate da cambiamenti climatici. 2. Avviare programmi di monitoraggio della distribuzione delle popolazioni di cetacei, e della sua variabilità temporale, mediante survey periodici ed esperimenti mirati di telemetria. 3. Attivare osservatori oceanografici permanenti sia per le caratteristiche fisico-­‐chimiche che per il monitoraggio del rumore; in particolari aree chiave attivare il monitoraggio acustico permanente per il rilevamento dei cetacei (vedi collaborazione con reti ESONET, EMSO, LIDO) 4.4. Collisioni con naviglio Le collisioni tra imbarcazioni a motore e cetacei sono note da tempo per essere una fonte di mortalità per questi mammiferi (Laist e coll. 2001). Delle conseguenze per la conservazione derivanti da questo fenomeno si occupa di recente un gruppo di lavoro istituito in seno al Conservation Committee della International Whaling Commission. Il problema è tanto più acuto nel Mediterraneo, dove la densità del traffico marittimo è notevolmente più alta che nella media dei mari del mondo. Nel corso dell’ultimo quarto di secolo il volume di merci caricate e scaricate da navi nei porti del Mediterraneo è aumentato del 77%. Ogni anno 220.000 navi dislocanti più di 100 t solcano il Mediterraneo, e circa il 30% dell’intero G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 32 volume mondiale di merci trasportato via mare origina da o è diretto a uno dei 300 maggiori porti del Mediterraneo. A questo occorre aggiungere altri 9.000 natanti, tra traghetti, navi militari, imbarcazioni da pesca, e naviglio da diporto. Le proiezioni stimano una crescita di traffico in Mediterraneo da tre a quattro volte rispetto al livello attuale (International Maritime Organisation 2009). Malgrado per comprensibili motivi dinamici la questione delle collisioni riguardi in modo particolare le specie più grosse (in Mediterraneo balenottera comune e capodoglio), occorre ricordare che anche le specie di minori dimensioni possono essere coinvolte, come riferito da Pace e coll. (2006). Conoscere la percentuale di esemplari in una data popolazione di cetacei che sono uccisi o menomati da collisioni con natanti è un’impresa che ancora non è riuscita a nessuno, e pertanto risulta difficile valutare se vi sia o meno impatto da parte delle collisioni sullo stato di conservazione di tale popolazione, anche se in condizioni di diffuso disagio come quelle dei cetacei del Mediterraneo, già sottoposti a svariati fattori di pressione, qualsiasi fonte ulteriore di mortalità va considerata con la massima attenzione. Il problema è particolarmente sensibile per quanto riguarda le balenottere comuni del Santuario Pelagos (Panigada e coll. 2006). Infatti, una delle zone del Mediterraneo dove l’incidenza delle collisioni tra navi e cetacei è particolarmente alta è costituita dal Santuario Pelagos e Golfo del Leone, e i motivi di questo sono facili da comprendere. Il Mar Ligure e il Golfo del Leone sono zone dove un’intensità di traffico marittimo particolarmente alta (traghetti tra terraferma e isole, naviglio commerciale, navi militari, imbarcazioni da pesca, navi e imbarcazioni da diporto, ecc.) coincide, perlomeno durante la stagione estiva, con un’alta densità di cetacei. La strategia seguita nell’ambito dell’Accordo per il Santuario Pelagos e di ACCOBAMS, finanziata mediante apposito progetto da parte del Ministero dell’ambiente, per affrontare la sfida può essere così riassunta (International Maritime Organisation 2009): a) aumentare le capacità di conoscere il fenomeno, e b) escogitare misure di gestione e mitigazione. Considerando il carattere tipicamente transnazionale del fenomeno delle collisioni, e il corrente impegno nei vari ambiti internazionali e regionali (IWC, ACCOBAMS e Pelagos) per affrontarlo, l’azione più efficace in tal senso appare quella di sostenere tutte le iniziative in atto e promuoverne l’efficacia con il supporto dell’Italia. Suggerimenti: collisioni. 1. Attenersi alle raccomandazioni del Workshop IWC/ACCOBAMS (settembre 2010). 2. Avviare programmi sperimentali di strumenti di avvistamento tempestivo di cetacei in superficie; 3. Avviare programmi di definizione di rotte preferenziali per naviglio commerciale, in funzione dell’individuazione degli habitat critici. 4.5. Whale watching Il whale watching è definito come l’attività umana di incontrare i cetacei nel loro habitat naturale; tale attività può essere svolta con finalità scientifiche, educative e ricreative, anche combinate insieme, e sempre più viene condotta nell’ambito di imprese commerciali legate al turismo (Hoyt 2002). L’industria del whale watching ha subito una crescita rilevante su scala globale negli ultimi decenni, passando da 400.000 turisti/anno nel 1981 a oltre 9 milioni nel 1998 (Hoyt 2002). Cisneros-­‐Montemayor e coll. (2010) hanno ipotizzato che qualora il whale watching dovesse raggiungere ovunque il suo massimo potenziale, potrebbe generare una fatturato globale di 2,5 miliardi di $ US e creare 19.000 posti di lavoro. Malgrado la crescita del whale watching sia generalmente considerato per molti motivi uno sviluppo positivo nel G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 33 rapporto tra esseri umani e cetacei (maggiore sensibilizzazione, fonte di reddito e di impiego, e quindi maggiore attenzione da parte degli operatori economici locali ai problemi di conservazione dei cetacei), tale crescita ha messo in evidenza la necessità urgente di gestione, per evitare che troppo interesse potesse distruggere il proprio stesso oggetto, disturbando gli animali nel loro ambiente naturale oltre misura e causandone lo spostamento verso aree meno accessibili ma anche meno propizie al loro stato favorevole di conservazione (Bejder e Samuels 2003). Negli anni recenti il whale watching commerciale ha preso piede anche in Mediterraneo, soprattutto in Spagna, dove viene regolamentato da una specifica legge emanata nel 2007. L’adozione dell’Accordo per il Santuario Pelagos e la pubblicità che tale evento ha generato sui mezzi di informazione hanno favorito lo sviluppo di attività di whale watching anche in Francia e in Italia, seppure in Italia tale sviluppo si è rivelato meno importante di quanto non si sarebbe potuto presumere inizialmente. In Francia, al contrario, lo sviluppo appare più consistente e sono offerte anche attività di nuoto con i cetacei – che vengono cercati mediante aereo – che destano notevoli preoccupazioni sia per il potenziale di disturbo dei cetacei sia per considerazioni di incolumità dei visitatori. In Italia la regione principalmente interessata dal whale watching è la Liguria, dove esistono attività commerciali ad esso dedicate. In questa zona le popolazioni di cetacei presenti frequentano soprattutto le acque di scarpata e quelle pelagiche profonde, per lo più a distanze superiori a circa 15-­‐20 miglia nautiche dalla costa, in mare aperto, il che rende le operazioni sub-­‐ottimali dal punto di vista della fruizione del pubblico, perché richiedono imbarcazioni di grandi dimensioni, veloci e sicure (quindi costose), e più soggette alle condizioni meteorologiche, spesso avverse, di quanto non possano essere simili operazioni in acque costiere e protette da isole, arcipelaghi ecc. Ciò malgrado, la possibilità che uno sviluppo incontrollato di whale watching in Mar Ligure possa avere effetti negativi sui cetacei è reale. Le balenottere comuni, che si concentrano nella zona in estate per alimentarsi a profondità assai superiori a quelle della media della specie (Panigada e coll. 1999), quindi con rilevante investimento di energie e presumibile rapporto costi/benefici marginale, abbandonano la zona di alimentazione quando disturbate (Jahoda e coll. 2003). Pertanto, è importante fare in modo che le attività di whale watching commerciale vengano limitate alla porzione periferica dell’habitat critico della specie (cosa che di fatto già avviene per forza di cose con le imbarcazioni oggi utilizzate, ma che potrebbe cambiare in futuro grazie a sviluppo tecnologico). Occorre inoltre assicurare che le attività di whale watching vengano condotte in maniera corretta anche nei confronti di altre specie il cui habitat è limitato a estensioni assai più ristrette (e.g., capodoglio e grampo nella zona di scarpata, zifio in corrispondenza di canyon marini). Per i motivi sopra esposti le attività commerciali di whale watching sono considerate con attenzione sia in ambito ACCOBAMS che Pelagos. ACCOBAMS in particolare ha sviluppato una banca dati online per censire le operazioni commerciali nell’area di sua competenza (incompleta perché su base volontaria), e delle linee guida – in costante evoluzione – per i governi che volessero legiferare in materia. È in corso di sviluppo in collaborazione tra ACCOBAMS e Pelagos anche un programma di certificazione per le operazioni condotte in maniera corretta. Il supporto fattivo dell’Italia a queste attività internazionali sembra essere in questo momento la considerazione più importante. Suggerimenti: whale watching. 1. Censire e monitorare lo sviluppo di attività commerciali di whale watching in Italia, ivi compresi gli aspetti di immissione di energia acustica negli habitat critici di cetacei. 2. Assicurarsi che esistano regolamentazioni delle attività commerciali di whale watching, ben commisurate alle necessità etologiche ed ecologiche delle specie oggetto di attività. 3. Esercitare adeguato controllo (top down, eco-­‐label) sulle attività, e monitoraggio delle popolazioni oggetto delle attività, per avvertire segni di disagio/impatto fin dalle fasi iniziali. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 34 4.6. Patologie Nel considerare gli aspetti patologici della conservazione dei cetacei, in particolar modo in Mediterraneo, il pensiero va immediatamente alle patologie infettive e in particolar modo al morbillivirus che ha colpito soprattutto le stenelle striate della regione una prima volta con violenza all’inizio degli anni ’90 (Aguilar e Raga 1993), e successivamente in epoche anche più recenti ma con effetti minori, essendo la popolazione mediterranea di questa specie ormai cronicamente affetta da questo fattore patogeno (Domingo e coll. 1995). È stato suggerito (Kannan e coll. 1993) che il fenomeno epizootico sia stato favorito, se non causato, da una combinazione di fattori ambientali (riscaldamento delle acque) e antropici (presenza nelle reti trofiche marine di composti xenobiotici inibitori del sistema immunitario). Considerando che anche il riscaldamento delle acque si può far risalire, in ultima analisi, all’azione umana sull’ambiente, è possibile pensare che l’insorgere della patologia fosse dovuto in buona parte a cause antropiche. Dunque anche in questo caso l’azione preventiva non potrà essere che di lungo termine e con un coinvolgimento ben più vasto della comunità ristretta della conservazione dei mammiferi marini, con un’attenzione verso i problemi dei cambiamenti climatici (v. 4.3.3) e dei contaminanti ambientali (v. 4.3.1). Ben diverso è il caso dell’azione di risposta, che può e deve essere programmata preventivamente nell’ambito delle competenze dell’Amministrazione dell’ambiente (v. 4.7 qui di seguito). Inoltre, in termini di disponibilità dell’agente patogeno nell’ambiente dei cetacei, il fenomeno del morbillivirus potrebbe anche essere collegato alla presenza dei grandi insediamenti urbani. In questo senso si deve prendere in considerazione la vicinanza del virus che ha colpito i cetacei con quello responsabile del cimurro che è presente nei carnivori domestici (B. Cozzi, comunicazione personale). Occorre infine anche considerare che gli allevamenti di pesci presenti in diversi punti del litorale italiano, sia vicino a riva sia tramite gabbie da traino, potrebbero favorire la diffusione di malattie nelle popolazioni selvatiche sia ittiche sia di mammiferi marini. A questo proposito si segnala la diffusione della retinopatia dei branzini che sembra colpire verticalmente più specie di vertebrati, la cui diffusione è fatta oggetto di attento scrutinio da parte dei ricercatori (B. Cozzi, comunicazione personale). Suggerimenti: patologie. 1. Assicurarsi che il monitoraggio delle mortalità e le attività diagnostiche (mediante la rete spiaggiamenti) sia attivo e operante sull’intero territorio nazionale, i cui risultati confluiscano in database nazionali “vivi” utili alla gestione sistematica delle attività operative di tutela. 4.7. Procedure di emergenza Il compito di approntare meccanismi di pronto intervento in caso di catastrofi naturali è squisitamente pertinente alla competenza di un’Amministrazione centrale dell’ambiente, l’unica che ha la possibilità di predisporre interventi efficaci e omogenei sul territorio, sulle acque territoriali e sull’alto mare a esse adiacenti. Nel caso dei cetacei le principali categorie di emergenze che potrebbero presentarsi sono: •
morie di massa causate da epizoozie (v. 4.6); G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 35 •
rilascio in mare, in habitat critici di cetacei, di sostanze nocive quali greggio, composti chimici, armi chimiche, rifiuti tossici o radioattivi (sia a seguito di incidenti marittimi, sia di atti criminosi; v. 4.3.1); •
spiaggiamenti in massa “atipici” provocati dall’immissione in mare di rumore ad alta intensità da parte dell’industria del petrolio o da navi militari (v. 4.3.2). Suggerimenti: emergenze. 1. Proseguire con le attività in atto, in particolar modo per quanto riguarda la creazione di una unità di pronto intervento sotto il coordinamento dell’Università di Padova (Dr. Mazzariol). 1. Il funzionamento nel lungo termine di tale unità dovrà essere garantito, anche in collaborazione con altri Ministeri competenti (e.g., salute, politiche agricole). 2. Tali interventi potranno essere predisposti sulla base di linee guida che ne affrontino e descrivano le singole componenti, dal momento della segnalazione del cetaceo (cetacei) sulla costa a tutte le fasi dell’intervento (flusso di informazione, ricognizione in situ, interventi clinici e accertamenti patologici sugli animali spiaggiati, raccolta dei dati e dei campioni, analisi, smaltimento delle carcasse). Si tratta di una catena di operazioni complesse e che vedono il coinvolgimento di numerosi attori e diverse competenze, anche legali. Una risposta adeguata a simili emergenze necessita di accurata preparazione preventiva, ed è impensabile che tale risposta possa essere organizzata sui due piedi dopo che l’emergenza si è verificata. 3. Per quanto il rilascio in mare, in habitat critici di cetacei, di sostanze nocive, si suggerisce che l’Amministrazione dell’ambiente si adoperi per far si che interventi attuati dalle competenti autorità nazionali o internazionali si avvalgano di expertise specializzata sui cetacei qualora l’evento abbia la possibilità di contaminarne gli habitat critici. 4. Per quanto riguarda gli spiaggiamenti in massa “atipici” provocati dall’immissione in mare di rumore ad alta intensità, valgono le considerazioni elencate in 4.3.2. 4.8. Cetacei in cattività e spiaggiamenti di animali vivi Le questioni legate al mantenimento di cetacei in cattività in Italia riguardano la conservazione dei cetacei e del loro ambiente in maniera indiretta. Le norme per il mantenimento in cattività di cetacei (limitatamente al tursiope) sono contenute nel Decreto Ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469 (“Regolamento recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus [sic], in applicazione dell’articolo 17, comma 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93”). Tale decreto specifica che il mantenimento in cattività di tursiopi è consentito solo qualora vengano garantite determinate condizioni elencate nell’allegato; tuttavia non è chiaro se il mantenimento in cattività di altre specie di cetacei sia consentito o meno. Il regolamento, tra l’altro, vieta espressamente il nuoto con i delfini mantenuti in cattività (Allegato B, 37), il che fortunatamente impedisce il diffondersi in Italia di dubbie pratiche terapeutiche quali la Dolphin Assisted Therapy (DAT). Per una dettagliata e convincente critica della DAT si rimanda a Williamson e Brakes (2007), le quali sostengono con dovizia di argomentazioni come, sulla base delle particolari circostanze in cui la DAT viene somministrata, sia inverosimile che le necessità di benessere psicologiche e fisiche sia dei pazienti che dei delfini possano essere soddisfatte. Pur tenendo conto del fatto che in Italia la legge non consente la cattura di cetacei in mare per il loro mantenimento in cattività, occorre tuttavia presentare alcune considerazioni rilevanti in materia di conservazione. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 36 •
È necessario evitare che i cetacei mantenuti in cattività in Italia, per lo più di provenienza esotica, entrino in contatto con i cetacei autoctoni per evitare qualsiasi rischio di contaminazione sia patologica, che genetica. Questo comporta l’imperativo di non liberare cetacei esotici nell’ambiente marino mediterraneo, sia volontariamente che accidentalmente (cosa che può avvenire qualora i cetacei vengano mantenuti in reti o recinti galleggianti), e di controllare che eventuali acque reflue dagli impianti di cattività non vengano scaricate in mare senza le necessarie, specifiche depurazioni. •
Può capitare che cetacei spiaggiati vivi sulle coste italiane vengano trasferiti presso strutture ospitanti cetacei in cattività, dove è possibile che gli animali spiaggiati possano beneficiare di cure, ospitalità e riabilitazione. Ricorrere a questo espediente può sembrare l’accorgimento più logico nel breve termine (essendo queste strutture le più idonee a fornire un simile servizio); tuttavia questa circostanza pone una serie di altri problemi, al momento insoluti. Il primo problema è che molto probabilmente l’animale, qualora sopravviva e venga rimesso in salute a seguito delle cure, molto facilmente non sarà mai più idoneo a una sua reintroduzione in natura (nel caso le sue probabilità di sopravvivenza fossero esigue o nulle); pertanto, sulla base di considerazioni veterinarie e di welfare, l’animale dovrà essere mantenuto in cattività sine die. Questo, tuttavia, potrebbe essere legalmente impossibile, e inoltre essendo le strutture oggi operanti in Italia organismi aventi fini di lucro, decisioni e raccomandazioni in materia potrebbero prestarsi a conflitti di interesse. Inoltre, anche qualora l’animale risultasse eventualmente idoneo al rilascio, per i motivi esposti nel punto precedente un suo rilascio in mare esporrebbe al rischio di contaminazione da patogeni, ovviabile probabilmente solo mediante adeguata (quanto difficilmente realizzabile) quarantena. Di questa materia complessa e in larga parte tuttora irrisolta si è occupato con attenzione ACCOBAMS, che ha sviluppato e reso disponibile linee guida per il rilascio in mare di esemplari riabilitati. Occorre poi ricordare che in nessuna delle specie di cetacei regolari nelle acque italiane, per quanto minacciate possano essere, la consistenza delle popolazioni è talmente bassa da giustificare l’ingente impiego di risorse umane ed economiche per il recupero al pool genico di un singolo esemplare; assai più efficace, ai fini della conservazione, sarebbe dedicare altrettanti sforzi e risorse alla tutela dell’habitat. Pertanto, in decisioni riguardanti la sorte di esemplari di recupero dovranno giocare, insieme a considerazioni di welfare e di pubblica sensibilità, anche valutazioni del rapporto costi – benefici di eventuali rilasci in natura, in cui difficilmente i benefici saranno superiori ai costi. Infine, si presentano con frequenza annuale circostanze in cui le difficoltà di intervento poste dall’evento, a fronte delle aspettative di successo, sono talmente soverchianti da giustificare una radicale revisione delle procedure fin qui seguite. Questo avviene in particolare nel caso di piccoli di balenottera comune, neonati o non ancora svezzati, lunghi oltre 5 m e del peso di svariate tonnellate, che dopo essere stati separati dalla madre (senza della quale non possono sopravvivere) vengono a cercare rifugio vicino alla costa, e spesso entrano all’interno di porti e insenature. In queste circostanze, appurato che il piccolo cetaceo sta andando incontro a morte certa perché le capacità umane di intervento e soccorso in questi casi sono nulle, sarebbe più logico, anche in un’ottica di welfare, considerare la possibilità di eutanasia. Tuttavia una simile alternativa dovrebbe essere preceduta non solo da un adeguamento delle disposizioni di legge, ma anche da un’accurata e convincente campagna di opinione per preparare il grande pubblico ad accettare una decisione che solo in apparenza può essere considerata inumana. Suggerimenti: spiaggiamenti cetacei vivi. 2. Proseguire con le attività in atto, in particolar modo per quanto riguarda la creazione di una unità di pronto intervento sotto il coordinamento dell’Università di Padova (Dr. Mazzariol). G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 37 3. Contemplare la possibilità (sotto il profilo tecnico, gestionale, economico ed etico) di individuare una o più aree di mare opportunamente delimitate, possibilmente (per motivi gestionali) entro i confini di esistenti AMP, da adibire al “pensionamento” di cetacei riabilitati ma non più rilasciabili in mare. 4. Mettere a punto linee guida per affrontare in dettaglio questioni inerenti gli aspetti sanitari e bioetici coinvolti, ivi compresa la possibilità di praticare eutanasia. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 38 5. Monitoraggio e ricerca Occorre distinguere tra monitoraggio e ricerca. Mentre il primo rientra di diritto all’interno delle azioni di gestione e quindi è una prerogativa e preciso dovere delle Amministrazioni, la seconda è finalizzata alla crescita delle conoscenze scientifiche ed è prerogativa degli organismi di ricerca. Il monitoraggio può servire sia per verificare lo stato dell’ambiente e delle popolazioni che sono oggetto di conservazione, sia per verificare l’efficacia delle azioni di gestione e di conservazione. Ad esempio, la Direttiva Habitat prescrive il monitoraggio delle catture accidentali e delle uccisioni di esemplari delle specie elencate nell’Annesso IV (Art. 12, comma 4). Il Protocollo ASP/DB della Convenzione di Barcellona richiede alle parti il monitoraggio delle componenti della diversità biologica del Mediterraneo, e l’identificazione dei processi e delle attività che possono costituire una minaccia per tale diversità (Art. 3, comma 5). Qualsiasi piano d’azione per la conservazione delle specie marine costruito mediante il metodo del Logical Framework Approach (LFA), ormai regolarmente utilizzato da molte organizzazioni internazionali (e.g., agenzie e organizzazioni delle Nazioni Unite, Commissione Europea, e sempre più numerose ONG) per valutare i progetti che finanziano, prevede la puntuale verifica dei risultati delle attività mediante l’uso di indicatori e il monitoraggio, che quindi rimane un elemento essenziale di buona gestione. Anche la ricerca è di importanza fondamentale per la conservazione perché un aumento delle conoscenze scientifiche può spesso aumentare sensibilmente l’efficacia delle azioni di monitoraggio, gestione e conservazione, specialmente quando la ricerca è necessaria per meglio capire i meccanismi che regolano le interazioni tra popolazioni e ambiente, e in qual modo i fattori di pressione antropica esercitano impatti sulle popolazioni, sia singolarmente sia in forma cumulativa. In questo ambito riveste particolare importanza la recente proposta della Commissione Europea (Commission of the European Communities 2008b) concernente una strategia europea per la ricerca marina e marittima16. La strategia riguarda lo sviluppo degli strumenti necessari a favorire una migliore integrazione fra ricerca marina e marittima, e la proposta di misure e meccanismi concreti per migliorare l'efficienza e l'eccellenza delle ricerca marina e marittima con l'obiettivo di affrontare le sfide e cogliere le opportunità presentate dagli oceani e dai mari. Tali azioni dovranno essere condotte favorendo lo sviluppo delle capacità, l’integrazione delle varie discipline specifiche della ricerca marina e marittima, e sinergie con e fra stati membri, regioni e settori industriali. Nell’elenco dei principali temi della ricerca che richiedono un approccio multitematico figurano i cambiamenti climatici, le conseguenze delle attività umane sugli ecosistemi marini e costieri e sulla loro gestione, l’approccio ecosistemico alla gestione delle risorse marine, e la biodiversità: tutti argomenti altamente rilevanti per la conservazione dei cetacei, e pertanto ricordati in più parti di questo documento. 5.1. Rete rilevamento spiaggiamenti17 L’utilità per la conservazione dei cetacei dei dati ottenuti attraverso il monitoraggio e lo studio degli spiaggiamenti è indiscussa, e per questo motivo questa pratica è alquanto diffusa in molte parti del mondo. La ricognizione di esemplari spiaggiati può rivelare informazioni sulla biologia, ecologia, dinamica, 16
Nel gergo comunitario “marittimo” si riferisce a tutto quanto riguarda le attività umane in mare, mentre “marino” si limita agli aspetti ambientali del mare. 17
Spunti per la redazione della Sez. 4.1. sono stati tratti da un documento preparato in collaborazione con il Prof. Bruno Cozzi e presentato a una riunione sugli spiaggiamenti tenutasi presso la sede dell’ICRAM (ora ISPRA) in aprile 2008. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 39 mortalità, patologia e struttura delle popolazioni che sono di grande rilevanza per la conservazione (Wilkinson e Worthy 1999). In Italia gli spiaggiamenti dei cetacei sono stati segnalati con buona regolarità fin dal 1986 su iniziativa di una coalizione di istituzioni e organismi pubblici e privati che diede vita, nel 1985, al Centro Studi Cetacei (Notarbartolo di Sciara e coll. 1986), con sede presso il Museo civico di storia naturale di Milano. Grazie al Centro Studi Cetacei, alle organizzazioni ad esso afferenti, e a nuove entità che hanno iniziato ad operare in anni recenti, sono disponibili dettagliate informazioni sul ritrovamento di 3.540 esemplari di cetacei lungo le coste e in acque costiere italiane tra il 1986 e il 2007; i resoconti sono stati pubblicati fino al 2005. Questa attività, pur condotta su basi puramente volontarie, ha conferito all’Italia un ruolo di leadership in fatto di rilevamento e studio degli spiaggiamenti di cetacei a livello sia mediterraneo che globale, e ha consentito raccolta e pubblicazione dei dati naturalistici e biologici e spesso il recupero di campioni a fini di studio. Purtroppo, nel corso degli anni il Centro Studi Cetacei è andato frazionandosi in diverse reti, di varia estensione e qualifica professionale; di queste, una (che continua a chiamarsi Centro Studi Cetacei) opera in prevalenza (anche se non solo) lungo le coste tirreniche, mentre altre reti indipendenti operano in altre porzioni delle coste nazionali quali la Liguria, la Toscana, la Sicilia, la Sardegna, la Puglia e le coste adriatiche. Per via di tale frazionamento oggi le reti esistenti, la catena di eventi messa in moto dall’evento spiaggiamento e, soprattutto, la valorizzazione del dato ottenuto, sia ai fini scientifici che di conservazione, sono eterogenee e non sempre efficaci. Molti spiaggiamenti vanno perduti e l’animale non viene studiato. Il dato spesso non viene trasmesso agli organi competenti. Le cause di questo stato di cose sono da identificare nella progressiva frammentazione del Centro Studi Cetacei, nella mancanza di collaborazione reciproca tra le differenti reti che si sono formate nel tempo, nella situazione di diffidenza e di provincialismo che spesso preclude la trasmissione delle informazioni e dei campioni biologici alle Istituzioni competenti. Qualche volta la preparazione tecnica dei volontari che intervengono è insufficiente ad assicurare la raccolta corretta dei dati. Occorre ricordare che lo stimolo alla creazione del Centro Studi Cetacei nel 1985 proveniva dalla riconosciuta necessità di agire in maniera coordinata a livello nazionale di fronte a un’evidente carenza istituzionale. Tuttavia l’intervento diretto delle istituzioni competenti nella rete di spiaggiamento, già auspicato degli animatori dell’iniziativa, non è ancora avvenuto. Di conseguenza il tessuto coesivo del Centro Studi Cetacei al termine di due decenni è andato sfaldandosi. Attualmente la frammentazione della rete di rilevamento non permette la completezza dei dati e quindi determina l’impossibilità di monitorare gli eventi, la numerosità e le sue variazioni, le stagionalità e/o le aree interessate. Il Paese ha quindi l’esigenza non solo di assolvere alle indicazioni scientifiche internazionali ma, anche il compito di ricostruire un piano di monitoraggio che sia in grado di rispondere alle esigenze di conservazione delle popolazioni di cetacei. Quello di ricostituire una Rete Nazionale Spiaggiamenti è uno degli obiettivi primari del progetto “Proposta integrata per attività di conservazione e monitoraggio dei cetacei in Italia”, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. I dati degli spiaggiamenti finora raccolti in Italia confluiscono in un unico database nazionale geo-­‐
referenziato. Questo database è stato oggetto di un progetto di studio finanziato dal Ministero dell’Ambiente presso l’Università di Pavia; il database, realizzato congiuntamente dal CIBRA dell’Università di Pavia e dal Museo di Storia Naturale di Milano con il contributo di dati del CSC e di altri enti che ora operano localmente, è stato presentato al Ministero con i dati dal 1986 a fine 2007. Il database, online da gennaio 2008 all’indirizzo http://mammiferimarini.unipv.it viene mantenuto aggiornato grazie a una convenzione con il Ministero operativa fino a dicembre 2010. Occorre ricordare in proposito che esiste anche una banca dati sugli spiaggiamenti di cetacei a livello regionale (Mediterraneo, Mar Nero e Zona Atlantica Contigua), denominata MEDACES (http://medaces.uv.es). MEDACES venne istituita su decisione delle parti contraenti della Convenzione di Barcellona nel 1999, successivamente fatta propria anche da ACCOBAMS, e affidata alle cure dell’Università di Valencia, dove è in funzione dal 2001 e consultabile su Internet. Oggi la banca dati riporta circa ottomila eventi di spiaggiamenti con i contributi di 15 paesi; tuttavia, i dati italiani ancora non sono stati inseriti. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 40 Suggerimenti: rilevamento spiaggiamenti. 1. Proseguire con le attività in atto sotto il coordinamento dei Proff. Cozzi, Podestà, Pavan. In particolare: a. concludere l’individuazione delle realtà operative affidabili già presenti sul territorio; b. compiere un sondaggio presso altri enti o istituti (non individuati nel punto precedente), potenzialmente coinvolgibili nella Rete Nazionale Spiaggiamenti, per verificare la loro disponibilità collaborare in maniera continua alla gestione della Rete su specifica richiesta delle autorità competenti; c. organizzare un incontro con le realtà di cui sopra. 2. Attivarsi per far confluire le informazioni dalla Banca Dati Spiaggiamenti in MEDACES. 5.2. Banche tessuti In una sequenza ideale di eventi, campioni biologici raccolti dai tessuti dei cetacei spiaggiati oppure oggetto di bycatch sono avviati alla Banca per i tessuti dei mammiferi marini del Mediterraneo dell’Università di Padova (http://www.mammiferimarini.sperivet.unipd.it), istituzione iscritta alla CITES (IT 020) che agisce nell’ambito delle raccomandazioni di ACCOBAMS e si occupa di distribuire i campioni agli studiosi richiedenti. L’esistenza di una banca tessuti centralizzata facilita grandemente il completamento della filiera che inizia con l’evento dello spiaggiamento e termina con la produzione di tutte le possibili conoscenze scientifiche sulla biologia, ecologia e patologia del cetaceo in questione e della popolazione a cui apparteneva. È infatti possibile affermare che solo la piena valorizzazione scientifica dello spiaggiamento – successivamente utilizzabile ai fini di conservazione – giustifica in pieno il rilevante impegno di risorse umane e finanziarie necessarie al mantenimento di una rete spiaggiamenti. La Banca tessuti dell’Università di Padova è stata supportata attivamente negli ultimi tre anni dal Ministero per l’Ambiente con una serie di finanziamenti mirati a consentirne l’attività. Questi finanziamenti si sono sommati a quelli già elargiti dalla stessa Università degli Studi di Padova. Suggerimenti: banche tessuti. 1. Proseguire con le attività in atto sotto il coordinamento del Prof. Cozzi. 2. Sistematizzare le sinergie nel quadro della Rete Nazionale Spiaggiamenti. 3. Favorire “l’esportazione” del modello italiano e del suo impiego, supportando la costruzione di una rete di Banche Tessuti a livello mediterraneo. 5.3. Censimenti per la determinazione di abbondanza, distribuzione e uso dell’habitat delle popolazioni G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 41 Qualsiasi misura di conservazione di una popolazione di organismi non può prescindere dalla conoscenza di alcuni parametri fondamentali di tale popolazione; in primo luogo abbondanza e distribuzione. Nel tentativo di valutare l’impatto di un determinato fattore di pressione su una popolazione di animali marini, è di grande importanza conoscere le dimensioni di tale popolazione, cioè di quanti individui essa è composta. Per esempio, se teniamo conto della regola pratica che il prelievo da una popolazione di cetacei mediante bycatch (cattura accidentale in operazioni di pesca) non deve superare il 2% della popolazione per essere sostenibile (Perrin e coll. 1994), è chiaro che finché non sapremo qual è la dimensione della popolazione in questione non saremo in grado di valutare la gravità del fenomeno, anche qualora conoscessimo esattamente il numero di animali catturati accidentalmente. Conoscere le dimensioni di una popolazione studiata è anche importante per costruire serie storiche che ci forniscano indicazioni sulle tendenze nel corso del tempo. Se fossimo in possesso di dati certi su quelle che erano le dimensioni di popolazione di tante specie marine, ad esempio, 100 o 200 anni fa, saremmo in grado di confrontare tali dimensioni con quelle odierne e saremmo in tal modo immuni dalla “sindrome delle shifting baselines” (Pauly 1995). Purtroppo queste informazioni passate sono raramente disponibili. Informazioni sull’abbondanza e distribuzione delle popolazioni si possono ottenere in vari modi. Un primo aspetto riguarda la raccolta di misure di abbondanza relative (per esempio, il tasso di incontro o encounter rate, ER), molto utili perché ottenibili con estrema facilità e consentono di paragonare tra loro le differenti specie di una stessa area, oppure la stessa specie in differenti tempi. Tuttavia i valori di ER non consentono la misura assoluta della popolazione oggetto di studio, cosa che richiede un ben maggiore impegno sotto il profilo dei mezzi, delle risorse e dell’abilità del ricercatore. Le misure assolute di popolazione di animali selvatici vengono effettuate mediante i cosiddetti censimenti, che il mare presentano notevoli difficoltà, essendo i territori su cui si distribuiscono gli organismi spesso di grande estensione, e considerato che gli organismi stessi vivono in uno spazio tridimensionale, un volume opaco alla vista. Sono stati escogitati numerosi metodi per misurare le dimensioni delle popolazioni di animali marini (Dawson e coll. 2008). Per esempio: •
metodo del line-­‐transect (scorrettamente tradotto, in italiano, “transetto lineare”), detto anche metodo “distance”, per popolazioni di mammiferi marini; •
metodo del marcaggio-­‐ricattura applicabile in casi particolari.  Metodo del line-­‐transect. Serve per calcolare la densità (numero di individui per unità di superficie) di esemplari avvistati all’interno di un’area campione. L’intera popolazione viene calcolata mediante estrapolazione dall’area campione all’area di studio (v., ad es., Burnham e coll. 1980, Hammond 1986a). Si può utilizzare per censimenti da nave o aereo di mammiferi marini perché questi sono legati alla superficie dalla necessità fisiologica di respirare frequentemente. Viene tracciato un percorso nell’area di studio in maniera da campionare al meglio gli habitat utilizzati dalle specie studiate. Percorrendo le rotte predeterminate nelle migliori condizioni di osservazione possibili, vengono compiuti gli avvistamenti. Per ogni avvistamento vengono raccolti i dati seguenti: specie osservata, numero di esemplari nel gruppo di animali avvistati, e distanza perpendicolare dalla rotta (stimata ad occhio in censimenti di superficie, e calcolata in censimenti dall’aereo); oltre che, naturalmente, le coordinate geografiche e il tempo di osservazione. Alla fine del censimento viene fatta una distribuzione di frequenza delle distanze rilevate, il che consente di calcolare la “larghezza effettiva della striscia” (effective strip width) all’interno della quale vengono effettuati gli avvistamenti. Mettendo in relazione il numero di avvistamenti, il numero medio di individui per gruppo, e la funzione di probabilità di densità f(0) (ottenuta adattando alla distribuzione di frequenza delle distanze perpendicolari la funzione matematica più adatta ai dati), si ottiene la densità di animali nell’area campionata. Il numero di animali presenti nell’intera area di studio può essere infine calcolato facendo una proporzione tra gli avvistamenti nella striscia campionata e l’area totale. È disponibile eccellente software che consente di fare rapidamente tutti i calcoli necessari una volta immessi i dati. Il metodo contempla il rispetto per numerose assunzioni, e purtroppo raramente fornisce coefficienti di variazione (CV) inferiori a 10-­‐15%. Tuttavia, non esiste al momento un metodo migliore per censire G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 42 grandi popolazioni su vaste estensioni territoriali, e malgrado in termini assoluti i dati che il line-­‐transect genera possano sembrare poco precisi, di fatto sono utilizzabili per finalità di gestione e conservazione, e per questo il metodo è universalmente accettato e utilizzato in una enorme varietà di applicazioni. In particolare negli ultimi anni viene impiegato su scala nazionale il metodo line-­‐transect mediante survey aerei, nella fattispecie particolarmente efficaci e rapidi, che hanno fornito per la prima volta dati preziosi sulla consistenza delle popolazioni di cetacei nei mari italiani.  Metodo del marcaggio e ricattura. Si tratta di un metodo utilizzato molto nella scienza della pesca. Occorre innanzitutto sapere se si ha a che fare con una popolazione chiusa o aperta. Nel primo caso si utilizza il modello di Petersen; nel secondo quello di Jolly e Seber (Hammond 1986b). Ammettiamo che in una popolazione di dimensioni N si catturano n esemplari, i quali vengono marcati in maniera permanente e poi rilasciati. Nel caso più semplice (popolazione chiusa) si parte dal principio che la proporzione di esemplari marcati ricatturati una seconda volta sta, al totale degli animali catturati la seconda volta, come il numero di animali marcati sta alla popolazione totale N. Questo metodo presuppone un certo numero di assunzioni, e più debole è la fedeltà a tali assunzioni più incerto sarà il risultato. In particolare: (a) la popolazione deve essere chiusa; (b) tutti gli individui devono avere identica probabilità di essere catturati nel primo campionamento; (c) la marcatura non deve avere influenza sulla catturabilità dell’animale; (d) la seconda campionatura deve essere casuale; (e) gli animali non perdono la loro marca identificativa; e (f) tutte le marche sono correttamente inventariate. In realtà, salvo casi molto particolari, è difficile che una popolazione sia veramente chiusa, per cui in genere occorrerà avvalersi delle procedure un po’ più complesse proposte da Jolly e Seber, che infatti sono assai più utilizzate (anche in questo oggi esiste dell’eccellente software che cura tutti gli aspetti di calcolo). In questo caso si eseguono ripetuti campionamenti, e le stime di popolazione vengono prodotte per tutti tranne che per il primo e l’ultimo. Le assunzioni in questo caso sono: (a) ogni esemplare nella popolazione, marcato o no, ha uguali probabilità di essere ricatturato; (b) ogni animale marcato ha uguale probabilità di sopravvivere tra un campionamento e l’altro; (c) ogni animale catturato ha la stessa probabilità di essere restituito alla sua popolazione; (d) gli animali marcati non perdono le loro marche e tutte le marche sono inventariate alla cattura; (e) tutti i campionamenti sono istantanei. Il metodo del marcaggio e ricattura è oggi diventato di grande importanza per lo studio delle dimensioni di popolazioni di cetacei, soprattutto quelle di piccole dimensioni che si trovano regolarmente in un tratto di mare limitato, i cui esemplari vengono individualmente foto-­‐
identificati. In questo modo non c’è bisogno di catturare “fisicamente” gli animali come si fa con le operazioni di pesca: basta “catturarli” virtualmente fotografandone alcune caratteristiche somatiche indelebili, come ad esempio le tacche sul bordo posteriore della pinna dorsale. Questo metodo per la stima della dimensione di popolazioni è stato applicato molto di frequente a popolazioni di cetacei, anche in Mediterraneo. I dati di avvistamento di cetacei raccolti con qualsiasi dei metodi sopra descritti possono anche essere utilizzati per generare delle carte di previsione della distribuzione e dell’uso dell’habitat da parte di una determinata popolazione, tramite l’applicazione di modelli spaziali (Cañadas e coll. 2005, Redfern e coll. 2006) che mettono in relazione la località e il tempo di una determinata osservazione con una serie di covariate che caratterizzano l’habitat (e.g., profondità, distanza dalla costa, temperatura dell’acqua superficiale, tenore di clorofilla), molte delle quali sono ottenibili ex-­‐post (vale a dire, anche se nel corso della campagna in mare non è stato possibile raccogliere il dato della covariata) dalla cartografia oppure dagli archivi online di parametri telerilevati.  Metodi Acustici La presenza e gli spostamenti di cetacei in una determinata area possono essere rilevati in altre maniere, per esempio sfruttando l’abitudine di questi animali di emettere suoni e dislocando sul fondo del mare in punti strategici dispositivi atti a registrare tali suoni. Malgrado simili metodi non si prestino facilmente alla valutazione delle dimensioni delle popolazioni (che si possono misurare più agevolmente con i metodi G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 43 descritti nelle pagine precedenti), il monitoraggio acustico presenta alcuni notevoli vantaggi, tra cui: a) è possibile compiere valutazioni di presenza/assenza degli animali per tempi anche molto lunghi (anni) senza costringere i ricercatori a essere presenti in mare di persona; b) il monitoraggio si estende alle ore notturne e ai giorni in cui condizioni meteomarine avverse non consentirebbero altra forma di indagine; c) il monitoraggio si estende su un raggio di decine di km dal punto di ascolto, per via delle condizioni ideali di propagazione del suono che si verificano in profondità, per cui con una rete ben dislocata di dispositivi è possibile coprire una grande area. Inoltre, in aggiunta a informazioni biologiche (e.g., sulla presenza e spostamenti di cetacei), simili ricerche sono anche in grado di rilevare la presenza di attività umane acusticamente rilevanti, il cui monitoraggio assume grande importanza ai fini della conservazione dei cetacei, quali le esercitazioni navali con l’impiego di sonar, le prospezioni sismiche che utilizzano l’airgun, la presenza di traffico marittimo, e costruzioni costiere. Nei primi anni di questo decennio l’ICRAM (oggi ISPRA) investì notevoli risorse finanziarie, di mezzi e di personale per realizzare un monitoraggio acustico di importanti porzioni del Santuario Pelagos, in collaborazione con la Cornell University (Ithaca, New York), e allo scrivente risulta che un grande quantità di dati acustici sia stata raccolta per alcuni anni. Purtroppo, non sembra che alcuna analisi sia stata resa pubblica di tali rilevanti quanto impegnative indagini, che consentirebbero oggi di avere un quadro di conoscenze di straordinaria importanza nel campo della conservazione dei cetacei. In tal senso si riterrebbe particolarmente opportuno che il Ministero dell’ambiente richiedesse all’ISPRA conto di tali ricerche, e si adoperasse per favorire al massimo l’utilizzo scientifico di questa importante banca dati acustica. Da indagini visuali e acustiche condotte annualmente nel periodo 2000-­‐2009 con navi oceanografiche ottimamente attrezzate risulta che la combinazione dell’osservazione visiva e acustica consente risultati di rilievo nella mappatura della presenza e distribuzione di tutte le specie presenti in Mediterraneo. Nei rilievi acustici condotti con strumenti allo stato dell’arte si rileva che in Mediterraneo si ottengono dati acustici in oltre il 50% del tempo speso per monitorare acusticamente nella banda 100Hz-­‐60kHz. E’ inoltre da rilevare che per certe specie il metodo acustico consente risultati non ottenibili con le tecniche classiche; risultati eccellenti sono ad esempio ottenibili con il capodoglio e lo zifio. Nel caso del capodoglio è possibile contare quanti animali sono presenti nell’area di ricezione degli idrofoni che in condizioni di basso rumore ambientale può essere di oltre 20km di raggio. Con una postazione fissa con più idrofoni è possibile localizzare e stimare la dimensione dei singoli individui nonché tracciarne i movimenti; ciò consente, in particolari aree chiave, di evidenziare le direzioni prevalenti di nuoto e differenziare i passaggi stagionali (Pavan e coll. 2008). Con lo zifio l’area di rilevamento è ridotta a un raggio di due chilometri, ma le esperienze e gli strumenti sviluppati dall’ Università di Pavia (Pavan e coll. 2009) consentono di rilevare questi animali che quando sono in immersione oltre i 400 metri di profondità emettono impulsi a 40 kHz di soli 200microsecondi di durata (Zimmer e coll. 2008). L’approccio acustico da piattaforma mobile o fissa, al pari degli altri sistemi di indagine, ha pregi, difetti e costi che devono essere valutati in funzione delle specie da osservare, del contesto ambientale, della durata dell’osservazione, dalle finalità dell’indagine. Le modalità da considerare, valutate in dettagli nelle linee guida prodotte dal Tavolo di Lavoro, sono: •
survey visivo e acustico locale da piccola imbarcazione; •
survey visivo e acustico su larga scala da nave oceanografica; •
monitoraggio continuo da sensore fisso cablato a stazione ricevente sulla costa; •
monitoraggio continuo da sensore sub-­‐superficiale con stazione di trasmissione flottante e stazione ricevente sulla costa; G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 44 •
monitoraggio temporaneo con registratore autonomo flottante o deposto sul fondo. Suggerimenti: censimenti. 1. Ultimare la copertura del territorio marittimo circostante l’Italia mediante censimenti “line-­‐
transect” per la determinazione di abbondanza, distribuzione delle popolazioni di cetacei e identificazione di loro habitat critici. 2. Iniziare serie di monitoraggi periodici per definire linee di tendenza e distinguerle da fluttuazioni di distribuzione. A tal fine si ritengono necessarie analisi per determinare la frequenza e intensità dei monitoraggi necessari a cogliere le fluttuazioni, collegarle con le fluttuazioni delle condizioni ambientali, e distinguere tali fluttuazioni da vere e proprio tendenze di popolazione. Opportuno anche identificare possibili surrogati (“proxies”) ambientali che fungano da indicatori di habitat di cetacei. 3. Mettere a punto programmi di tagging/telemetria satellitare mirati per fornire risposte a precisi interrogativi aventi valenza di conservazione circa la distribuzione e gli spostamenti di cetacei. 4. Valorizzare i dati acustici raccolti anni or sono dall’ex ICRAM sulla presenza di balenottere e altre specie di cetacei nel Santuario Pelagos mediante opportune analisi, e nel caso programmare ulteriori simili raccolte di dati. 5. Utilizzare i dati acustici storici raccolti da vari centro di ricerca (NATO URC, Università di Pavia, INFN) per valutare, in casi specifici ad esempio capodoglio, non solo la distribuzione ma anche la composizione dimensionale dei gruppi rilevati. 6. Istituire osservatori permanenti sulla presenza/transito di cetacei sfruttando le possibili sinergie con le reti ESONET, EMSO e LIDO. 5.4. Valutazione dello stato di conservazione delle specie dei cetacei nei mari italiani Come notato in precedenza in questo documento, una valutazione dello stato di conservazione di tali popolazioni ha un senso solo considerandole nella loro interezza. Pertanto, tenendo conto della marcata mobilità delle popolazioni di tutte le specie di cetacei regolari nei mari italiani, per poter ricomprendere nella valutazione l’intera popolazione la scala geografica dovrà acquisire una dimensione mediterranea. Ne consegue che lo sforzo di valutazione debba essere condotto a livello internazionale, o per lo meno regionale. Gli organismi internazionali che perseguono tale obiettivo sono ACCOBAMS e l’IUCN (utilizzando i criteri sviluppati per la Lista Rossa dell’IUCN), da un lato, e il RAC/SPA (utilizzando i criteri sviluppati nell’ambito del Protocollo ASP/DB) dall’altro; l’Italia è in grado di fornire rilevante supporto a entrambi. Sarebbe davvero desiderabile ottenere l’unificazione degli sforzi tra ACCOBAMS/IUCN e RAC/SPA, cosa che tuttavia appare difficoltosa per via delle divergenze tra i criteri utilizzati. Occorre notare che i criteri sviluppati nell’ambito della Lista Rossa dell’IUCN sono applicati su scala globale a numerosissime specie e popolazioni animali e vegetali, sono soggetti a continuo scrutinio da parte della comunità internazionale della conservazione, e sono considerati anche da molti governi quanto di meglio sia oggi disponibile. Nulla G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 45 di tutto ciò è altrettanto valido per quanto riguarda la valutazione dello stato di conservazione delle specie mediterranee sulla base del Protocollo ASP/DB. Come indicato nella Sez. 2 di questo documento, delle popolazioni mediterranee appartenenti alle otto specie di cetacei presenti in acque italiane solo una, quella del delfino comune, è stata formalmente valutata come EN (Bearzi 2003). Delle altre sette, tre (zifio, globicefalo e grampo) sono state proposte come DD (Data Deficient) durante un apposito Workshop organizzato congiuntamente a Monaco da ACCOBAMS e IUCN nel marzo 2006. Nel corso della stessa occasione il capodoglio è stato proposto come EN, mentre tursiope e stenella striata sono proposte come VU. In una successiva revisione la balenottera comune, originariamente proposta come DD, è ora proposta come VU. Da quanto sopra esposto risulta urgente innanzitutto riuscire a fornire una valutazione delle tre specie DD. In particolare questo appare importante per lo zifio, specialmente vulnerabile in un ambiente come il Mediterraneo dove la produzione di rumore antropico è così elevata. Inoltre, tutte le valutazioni sopra citate, sia formalmente adottate sia in forma di proposta, dovranno essere frequentemente riesaminate alla luce dei cambiamenti a cui gli ecosistemi mediterranei stanno andando incontro per via del riscaldamento globale (v. Sez. 4.3.3), di cui i criteri della Lista Rossa non hanno potuto tener conto per via degli alti livelli di incertezza che ancora gravano su questa categoria di impatti. Suggerimenti: valutazione dello stato di conservazione delle specie. 1. Supportare la valutazione prioritaria su scala regionale mediterranea dello status di zifio, globicefalo e grampo. 2. Aggiornare periodicamente sulla base delle nuove conoscenze via via acquisite le valutazioni dello status delle specie le cui popolazioni mediterranee sono già iscritte nella Lista Rossa, a cominciare da quelle ritenute a maggior rischio di estinzione (EN: delfino comune, capodoglio). 5.5. Banche dati Vi sono aspetti del sapere scientifico utile o necessario alle attività di conservazione dei cetacei che si prestano alla costruzione di banche dati centralizzate, che in tal modo rendono tale sapere meglio fruibile sia alla ricerca sia all’Amministrazione, per qualsiasi necessità si debba presentare. Queste banche dati possono essere depositate presso organismi scientifici di riferimento, che possiedono le competenze scientifiche e tecniche necessarie al loro mantenimento e funzionamento; tuttavia il fatto di essere promosse dall’Amministrazione dell’ambiente, centralizzate e rese largamente fruibili (e.g. via Internet) conferisce a tali banche dati la necessaria autorevolezza e garanzia di longevità, e ne aumenta grandemente la loro utilità. Esiste già un esempio in Italia di simili banche dati, la Banca Dati sugli Spiaggiamenti finanziata dal Ministero dell’ambiente e gestita dall’Università di Pavia (v. Sez. 4.1), che può essere presa come modello anche per dati di differente natura. Inoltre, esiste la Banca Tessuti mantenuta presso l’Università di Padova (v. Sez. 4.2), anch’essa beneficiaria di un finanziamento del Ministero dell’ambiente, che pur essendo radicalmente differente dalla prima per ovvi motivi legati alla natura di quanto ivi depositato si affianca alla Banca Dati Spiaggiamenti a formare un primo nucleo di un sistema di informazione a carattere nazionale. Altri campi per i quali si intravede l’utilità di produrre simili depositi di informazione sono quello della bibliografia su argomenti di conservazione dei cetacei, non troppo difficile da realizzare, e una Banca Dati avvistamenti (su cui potrebbero confluire informazioni provenienti dalle Capitanerie di Porto anche tramite il numero telefonico 1530), che è invece alquanto più complessa. Il database bibliografico potrebbe G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 46 consentire al Ministero dell’ambiente di mantenere e rendere fruibile la conoscenza aggiornata dei risultati ottenuti mediante le ricerche da esso finanziate, oltre allo sviluppo in parallelo delle conoscenze specifiche prodotte da altre fonti. L’imminente pubblicazione del volume sui cetacei della “Fauna d’Italia” edita da Calderini (di cui lo scrivente è il principale curatore) potrebbe fornire lo spunto da cui partire e la prima solida base su cui costruire il database bibliografico. Una Banca Dati Avvistamenti costituirebbe un progetto alquanto più ambizioso ma anch’esso di notevole utilità. Tuttavia, perché le banche dati – soprattutto degli avvistamenti in mare – subiscano lo sviluppo desiderabile sarà necessario un cambiamento di mentalità – quasi un cambiamento culturale – nel mondo della ricerca, in base al quale rendere i dati accessibili è importante quanto analizzarli, da cui siamo ancora lontani (Pullin e Salafsky 2010). E’ un vero peccato che i dati grezzi necessari a condurre periodiche e sistematiche revisioni dello stato di conservazione dei cetacei siano in larga misura inaccessibili, ancorché esistenti. I dati oggetto di pubblicazioni scientifiche sono certo una modesta frazione di quelli in possesso dei singoli gruppi di ricerca, in corso di eventuale pubblicazione o più comunemente depositati in forma indisponibile sine die. Oggi sono disponibili strumenti eccellenti per la condivisione di tali conoscenze, in maniera che tutela totalmente il possessore del dato in termini di proprietà e disponibilità, quale ad esempio nell’ambito del progetto OBIS SEAMAP (Ocean Biogeographic Information System Spatial Ecological Analysis of Mega Vertebrate Populations) (http://seamap.env.duke.edu/), mantenuto dalla Duke University negli Stati Uniti (Halpin e coll. 2006), al quale i dati italiani potrebbero poi afferire contribuendo in tal modo in maniera sostanziale allo sforzo globale di conoscenza e conservazione. In questo momento è in atto un processo in ambito ACCOBAMS per incoraggiare i ricercatori mediterranei a contribuire i loro dati a OBIS SEAMAP. Suggerimenti: banche dati. 1. Supportare la creazione e il mantenimento di banche dati nazionali (spiaggiamenti, contatti acustici, misure di rumore, bibliografia). 2. Creare un sistema sinergico di Banche Dati nazionali. 3. Favorire il processo di collaborazione regionale facendo in modo che i dati della banca spiaggiamenti possano confluire nella banca dati pan mediterranea MEDACES, e che i singoli gruppi di ricerca contribuiscano i loro dati di avvistamento a OBIS SEAMAP. 4. Incoraggiare la Pubblica Amministrazione a porre tra le condizioni dei finanziamenti pubblici a progetti di ricerca in mare il contributo dei dati grezzi alle banche dati internazionali. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 47 6. Sensibilizzazione, comunicazione, educazione e formazione Comunicazione, sensibilizzazione ed educazione sono differenti componenti del processo di collegamento a doppio senso che nei paesi democratici esiste tra la società civile e lo Stato che la rappresenta e a cui essa ha demandato il compito di governare. Malgrado in tale ambito abbiano finora svolto funzioni importanti alcune ONG (tra i cui scopi statutari rientra la conservazione dell’ambiente, dell’ambiente marino e in alcuni casi specificamente la conservazione dei cetacei) e i media, attraverso i quali le informazioni generate dalla ricerca e catalizzate dalle ONG vengono portate all’attenzione del grande pubblico, è ora importante che le istituzioni vengano ad assumere il ruolo di protagonista in questo sforzo. Ciò appare particolarmente rilevante per l’Amministrazione dell’ambiente, che viene considerata dall’opinione pubblica il custode attivo delle ricchezze naturali e quindi dei cetacei (che peraltro esercitano sul pubblico una presa assai più sensibile che tante altre componenti del mondo naturale). Finora questo non avviene a sufficienza, e il pubblico finisce per ignorare e non considerare dovutamente gli sforzi fatti, le risorse impegnate e i risultati ottenuti, attribuendo invece maggiore attenzione alle ONG che sono più presenti e con maggior efficacia sui media. Da tale constatazione deriva chiaramente la considerazione che un impegno più attivo alla comunicazione, sensibilizzazione ed educazione da parte (o per conto) della Pubblica Amministrazione sarebbe estremamente desiderabile. L’aspetto della formazione è collegato con il precedente nella sua natura (perché comunque contiene sempre al suo interno un elemento importante di sensibilizzazione), ma ne differisce in termini di finalità e meccanismi. In un mondo naturale in progressivo degrado, all’interno di realtà socio-­‐economiche in forte evoluzione, è chiara la necessità di mantenere tutte le componenti del processo di conservazione edotte e aggiornate su una quantità di nuove conoscenze, quali lo stato dei cetacei da proteggere, i metodi con cui effettuare tale protezione, e l’evoluzione delle norme che tale protezione prescrivono. A titolo di esempio, tra le principali componenti ricordiamo: •
le forze dell’ordine incaricate del rispetto della legge in mare; •
i magistrati che dovranno giudicare il mancato rispetto delle leggi, i quali devono essere resi consapevoli dell’importanza del danno ambientale derivante dalla perdita delle popolazioni e della biodiversità (che a un primo esame potrebbero sembrare di lieve entità se paragonati a gravi delitti con cui i magistrati vengono costantemente a contatto); •
gli incaricati dei servizi veterinari e sanitari nel contesto degli intervento sugli spiaggiamenti; •
il personale di bordo delle compagnie di navigazione nel contesto della prevenzione e segnalazione di collisioni con cetacei; •
il personale militare delle unità operanti in mare nel contesto dei rischi derivanti da esercitazioni navali per popolazioni di cetacei particolarmente vulnerabili, o in località particolarmente pregiate in termini di habitat di cetacei; •
le organizzazioni della pesca e acquacoltura in riferimento alle attività che possono costituire rischi per i cetacei; rischi che non di rado possono essere mitigati sulla base di semplici accorgimenti e attenzioni; •
tutte le autorità centrali o locali competenti a rilasciare permessi e licenze di operare lungo le coste o in mare, in riferimento ad attività che possono comportare rischi o danno ai cetacei (costruzioni costiere, ponti, palificazioni, prospezioni di idrocarburi, attività di ricerca, ecc.). •
Le Amministrazioni locali (Regioni, Provincie, Comuni). Enfatizzare l’importanza del ruolo di esse nella diffusione capillare e geograficamente mirata. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 48 Progetti e programmi di formazione dovrebbero essere periodicamente promossi dall’Amministrazione dell’ambiente, e condotti a cura degli appropriati organismi di riferimento anche sulla base delle raccomandazioni, o anche della collaborazione diretta, del Tavolo di Lavoro. G. Notarbartolo di Sciara. 2010. Conservazione dei cetacei in Italia – pag. 49 7. Bibliografia citata Agardy T., Aguilar N., Cañadas A., Engel M., Frantzis A., Hatch L., Hoyt E., Kaschner K., LaBrecque E., Martin V., Notarbartolo di Sciara G., Pavan G., Servidio A., Smith B., Wang J., Weilgart L., Wintle B., Wright A. 2007. A global scientific workshop on spatio-­‐temporal management of noise. Report of the Scientific Workshop. 51+vii pages. Aguilar A., Raga J.A. 1993. 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