Il sistema radiotelevisivo - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca

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Il sistema radiotelevisivo - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca
Maria Romana Allegri - corso a. a. 2015-2016
Il sistema radiotelevisivo
La mancata realizzazione del pluralismo
Prima parte
Dall’epoca fascista all’avvento
della televisione
La radiofonia nel periodo liberale
L. 395/1910: riserva allo Stato degli impianti radiotelegrafici e
radioelettrici, concessioni per le attività di radiodiffusione,
commissione consultiva presso il Governo per la regolamentazione
della gestione del nuovo mezzo.
R. d. 227/1912: disciplina del rapporto concessorio e rilascio delle
prime due concessioni a due società private (Radiofono e Società
italiana radioaudizioni circolari).
Concessione = atto cui cui la P. A. attribuisce a privati diritti
speciali di usare beni pubblici o di gestire sevizi pubblici o di
eseguire opere pubbliche. La P. A. può evocare la concessione in
qualsiasi momento se l’interesse pubblico lo richiede.
La radiofonia durante il regime fascista
R.d.l. 655/1924 (l. 473/1925) e r. d. 291/1924: concessione in esclusiva
all’Unione radiofonica italiana (URI) per 6 anni,che prevedeva la necessità di
un visto governativo sui programmi radiodiffusi (controllo politico).
R.d.l. 2207/1927 (l. 1350/1929): l’Uri diventa EIAR (ente italiano per le
audizioni radiofoniche), ente con partecipazioni azionarie da parte dello Stato
ricondotta nell’ambito dell’IRI. Rafforzato il controllo dell’esecutivo sulla
gestione del servizio radiofonico, attraverso un apposito comitato di vigilanza
presso il Ministero delle comunicazioni.
R.d. 2526/1927: concessione venticinquennale all’Eiar, sottoposta al controllo
del governo (nomina di 4 membri del CdA, approvazione del bilancio e del
piano annuale delle trasmissioni).
1935: controllo governativo ancora più incisivo attraverso l’istituzione di un
apposito ispettorato per la radiodiffusione.
R. d. 645/1936: varato il Codice postale, che prevedeva la riserva allo Stato dei
servizi di radio- e telecomunicazione con concessione in esclusiva ad una
società a prevalente capitale pubblico.
La radiofonia nell’immediato dopoguerra
Resta in vigore il modello delineato dal Codice postale del 1936.
D.l. del capo provvisorio dello Stato 478/1947:
• il controllo sulla società concessionaria spetta al Ministero per le
poste e telecomunicazioni (approvazione statuto, controllo
contabile, nomina Presidente e amministratore delegato,
approvazione piano triennale di programmazione), con apposito
comitato che dava direttive di massima sul contenuto dei
programmi;
• istituzione di una Commissione parlamentare di vigilanza per
assicurare imparzialità politica e obiettività dell’informazione.
Nasce la RAI
(d. P. R. n. 180/1952)
RAI-Radiotelevisione italiana = società per azioni a totale partecipazione
pubblica pubblica (IRI), concessionaria del servizio pubblico
radiotelevisivo.
CdA composto da 6 membri + Presidente e amministratore delegato, tutti i
nomina governativa.
Piano triennale dei programmi sottoposto obbligatoriamente ad
autorizzazione ministeriale e modificabile dal ministro per ragioni di ordine
pubblico.
Entrate derivanti in parte dal canone e in parte dalla pubblicità (5% delle ore
di trasmissione complessive).
Questo assetto è rimasto immutato fino all’approvazione della prima legge
organica di settore (l. 103/1975).
Che cos’è il canone di abbonamento RAI?
E’ stato introdotto nel 1938 attraverso il r.d.l. n. 246 ed è una imposta sulla detenzione di
uno o più “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni”.
La Corte costituzionale in tre diverse sentenze (81/1963, 535/1988 e 284/2002) ha
sostenuto la natura tributaria e non contrattualistica del canone. Quindi, esso deve
essere pagato indipendentemente dall'uso del televisore o dalla ricezione o scelta delle
emittenti televisive.
Esistono due tipi di canone: quello per uso ordinario (apparecchi in ambito familiare) e
quello speciale (apparecchi in locali aperti al pubblico o comunque al di fuori
dall'ambito familiare).
Nel caso dell'abbonamento per uso privato, il canone è unico e copre tutti gli apparecchi
posseduti o detenuti dal titolare nella propria residenza o in abitazioni secondarie, o da
altri membri del nucleo familiare risultante dallo stato di famiglia.
Con l. n. 449/1997 è stato stabilito l'esonero dall'obbligo di corrispondere il canone per i
detentori di apparecchi radiofonici collocati presso abitazioni private.
Oggi occorrerebbe una revisione della normativa, in modo che possano essere
identificati univocamente i dispositivi soggetti al canone (es. computer, telefoni
cellulari ecc.)
Corte costituzionale, sentenza n. 81/1963
Il quesito riguardava la legittimità costituzionale delle norme che
sanzionavano penalmente, anziché civilmente, l'omissione del
pagamento dell'abbonamento alle radioaudizioni.
La Corte ha ritenuto che, essendo la RAI una società privata
esercitante un servizio pubblico di interesse generale in regime
concessione, era giusto che il suo rapporto con i radioutenti fosse
regolato da principi pubblicistici.
Per questo giustamente alla riscossione del "canone di
abbonamento" si applicava la procedura e i privilegi previsti per la
riscossione dei tributi statali.
«... il legislatore ha concepito i rapporti fra concessionario ed utente
privato in termini giuspubblicistici per gli evidenti motivi di utilità
generale del servizio ...»
3 gennaio 1954
La RAI inizia le trasmissioni televisive
Si accelera il dibattito sulla compatibilità del regime pubblicistico
della radiodiffusione con i principi costituzionali.
Paradossalmente, i frequenti moniti della Corte costituzionale sono
rimasti a lungo e largamente inascoltati.
La prima legge organica sul servizio radiotelevisivo è stata
approvata infatti solo nel 1975, dopo 15 anni di sentenze della Corte.
La prima giurisprudenza
costituzionale
Il pluralismo
Fin dalle prime sentenze, la Corte costituzionale ha sottolineato come il
valore più importante in materia di sistema radiotelevisivo, e di mezzi di
comunicazione di massa in generale, fosse il principio pluralistico.
Esso si desume dalla lettura dell’art. 21 Cost. (libera manifestazione del
pensiero), dell’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica, purché non in
contrasto con l’utilità sociale) e dell’art. 43 Cost. (a fini di utilità sociale,
riserva allo Stato di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali
o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di
preminente interesse generale).
PLURALISMO ESTERNO = consiste nell’offrire ai cittadini una
concreta possibilità di scelta fra molteplici fonti informative, espressione
di tendenze eterogenee. Da questo deriva la disciplina antitrust.
PLURALISMO INTERNO = obbligo per il servizio pubblico di dar
voce a tutte le opinioni, tendenze, correnti di pensiero presenti nella
società (par condicio).
Corte costituzionale, sentenza n. 59/1960
Alla società “Il tempo TV” veniva negata l’autorizzazione ad
avviare un servizio di telediffusione privato in tre regioni.
La società ricorre in giudizio e impugna la decisione del Consiglio
di Stato.
In questa sentenza, di fondamentale importanza, la Corte,
interrogata sulla legittimità della riserva allo Stato del servizio di
radio- e telediffusione (art. 1 codice postale 1936) sia rispetto agli
artt. 41 e 43 Cost. sia rispetto agli artt. 21 e 33 Cost., rigetta la
questione di incostituzionalità.
(Vedi le motivazioni nelle slides seguenti)
... rispetto agli artt. 41 e 43 Cost.:
«... data la attuale limitatezza di fatto dei "canali" utilizzabili, la televisione a
mezzo di onde radioelettriche (radiotelevisione) si caratterizza indubbiamente
come una attività predestinata, in regime di libera iniziativa, quanto meno
all'oligopolio: oligopolio totale od oligopolio locale, a seconda che i servizi
vengano realizzati su scala nazionale o su scala locale. Collocandosi così tra le
categorie di "imprese" che si riferiscono a "situazioni di monopolio", nel senso in
cui ne parla l'art. 43 Cost., per ciò solo essa rientra tra quelle che - sempre che non
vi ostino altri precetti costituzionali - l'articolo stesso consente di sottrarre alla
libera iniziativa.
Né appare arbitrario che il legislatore ravvisi nella diffusione radiotelevisiva i
caratteri di attività "di preminente interesse generale", richiesti dall'art. 43 perché
ne sia consentita la sottrazione alla libera iniziativa. È fuori discussione, infatti,
l'altissima importanza che, nell'attuale fase della nostra civiltà, gli interessi che la
televisione tende a soddisfare (informazione, cultura, svago) assumono - e su
vastissima scala - non solo per i singoli componenti del corpo sociale, ma anche
per questo nella sua unità».
(segue...)
... rispetto agli artt. 41 e 43 Cost. (segue):
«Siccome, poi, a causa della limitatezza dei "canali" utilizzabili, i servizi
radiotelevisivi, se non fossero riservati allo Stato o a un ente statale ad
hoc, cadrebbero naturalmente nella disponibilità di uno o di pochi
soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari, non può
considerarsi arbitrario neanche il riconoscimento della esistenza di ragioni
"di utilità generale" idonee a giustificare, ai sensi dell'art. 43, l'avocazione,
in esclusiva, dei servizi allo Stato, dato che questo, istituzionalmente, è in
grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obbiettività, di
imparzialità, di completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale.
Ritiene, pertanto, la Corte che la riserva allo Stato dei servizi di
radiotelevisione, e la conseguente possibilità di affidamento di essi in
concessione, non contrastano col sistema degli artt. 41 e 43 della
Costituzione».
... rispetto agli artt. 21 e 33 Cost. :
«... siccome l'illegittimità denunciata consiste nella lesione non tanto della
libertà di concepire e di manifestare le idee e le varie espressioni della
scienza e dell'arte, quanto della libertà di avvalersi di ogni possibile mezzo
per diffonderle, la norma costituzionale alla quale bisogna essenzialmente
por mente è quella del primo comma dell'art. 21 ... [...]
È vero che il primo comma dell'art. 21 riconosce a tutti la possibilità di
diffondere il pensiero (e naturalmente non il solo pensiero originale di chi
lo manifesta) con qualsiasi mezzo. Ma già si è visto che, per ragioni
inerenti alla limitatezza di questo particolare mezzo, è escluso che
chiunque lo desideri, e ne abbia la capacità finanziaria, sia senz'altro in
grado di esercitare servizi di radiotelevisione: in regime di libertà di
iniziativa, questi non potrebbero essere che privilegio di pochi. [...]»
(segue ...)
... rispetto agli artt. 21 e 33 Cost. (segue):
«... rispetto a qualsiasi altro soggetto monopolista, lo Stato monopolista si
trova istituzionalmente nelle condizioni di obbiettività e imparzialità più
favorevoli per conseguire il superamento delle difficoltà frapposte dalla
naturale limitatezza del mezzo alla realizzazione del precetto
costituzionale volto ad assicurare ai singoli la possibilità di diffondere il
pensiero con qualsiasi mezzo. [...]
Donde l'esigenza di leggi destinate a disciplinare tale possibilità
potenziale e ad assicurare adeguate garanzie di imparzialità nel vaglio
delle istanze di ammissione all'utilizzazione del servizio ...»
Corte costituzionale, sentenza n. 46/1961
La Provincia di Bolzano rivendicava la possibilità di provvedere alla predisposizione
dei programmi per le trasmissioni radio e televisive delle stazioni locali, considerando
l’indubbia valenza culturale del mezzo televisivo e le disposizioni statutarie relative alla
salvaguardia del carattere etnico e dello sviluppo culturale del gruppo di lingua tedesca.
La pretesa si rivolgeva non all'istituzione di nuove stazioni radiotrasmittenti, bensì solo
all'uso di quella locale appartenente allo Stato, senza disconoscere, ed anzi ammettendo,
la legittimità del monopolio degli impianti tecnici da parte di questo.
La Corte ha respinto questa pretesa, sostenendo che «l'art. 21 non risulta violato per
effetto della riserva a favore dello Stato [... ] nella considerazione che il diritto di cui
all'art. 21, non implica sempre e necessariamente la pretesa alla disponibilità del mezzo
di diffusione del pensiero, e che anzi, allorché (come si verifica per gli impianti relativi
ai detti servizi) la naturale limitatezza del mezzo stesso consenta solo a pochi tale
disponibilità, l'accordare allo Stato la esclusività del medesimo, lungi dal contrastare
alle esigenze che l'art. 21 ha voluto tutelare, ne rende più agevole la soddisfazione, dato
che lo Stato, per la posizione in cui istituzionalmente si trova, può meglio che ogni altro
soggetto assicurare l'accesso di tutti gli interessati, in condizione di obiettività e di
imparzialità, al detto mezzo di comunicazione».
Corte costituzionale, sentenza n. 58/1964
(sulla legittimità della concessione in esclusiva alla RAI)
«... ritiene la Corte che non possa sostenersi che contrasti col disposto dell'art. 43
della Costituzione l'affidamento in concessione ad una società privata del servizio
delle radiotelevisioni. [...]
La facoltà concessa al legislatore di riservare direttamente o trasferire allo Stato, agli
enti pubblici o alle collettività di utenti o lavoratori le imprese nell'art. 43 indicate,
rispecchia la preoccupazione del Costituente di garantire uno strumento idoneo a
porre le attività economiche in parola sotto il controllo dello Stato o di enti pubblici
allo scopo di evitare quegli inconvenienti e di ottenere i risultati di carattere
economico e sociale che lo Stato democratico si prefigge. [...]
La concessione amministrativa consente il raggiungimento di fini di interesse
generale collegati all'esercizio dei servizi pubblici, attraverso un'attività svolta da un
privato e non direttamente dallo Stato o dall'ente pubblico titolare del servizio, in
vista del fatto che la gestione in concessione può presentarsi, in alcuni casi, più
favorevole, in quanto permette una maggiore snellezza nell'espletamento del servizio,
libera lo Stato o l'ente pubblico dall'onere dell'esercizio, e ciò specialmente quando
trattisi di attività tecnicamente complesse, che richiedano forti spese di impianto e
notevole impegno di gestione».
Con d.p.r. n. 156/1973 viene varato il nuovo Codice postale (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni), in sostituzione di quello del
1936, che tiene conto degli sviluppi tecnologici nel settore delle
telecomunicazioni e della radio- e telediffusione.
Il T. U. unifica nella sola voce "telecomunicazioni" tutti i mezzi di
comunicazione a distanza che nel precedente testo unico del 1936
erano specificamente elencati in mezzi telegrafici, telefonici,
radioelettrici ed ottici.
Il dibattito parlamentare sul sistema radiotelevisivo ha subito una
notevole accelerazione solo dopo le due “storiche” sentenze della
Corte costituzionale n. 225 e 226 del 1974, con le quali:
• viene dichiarata costituzionalmente illegittima la riserva allo
Stato dell’attività di ritrasmissione di programmi di emittenti estere
e se ne ammette l’esercizio anche da parte di soggetti privati (sent.
225);
• viene dichiarata costituzionalmente illegittima la riserva statale
nel settore della televisione via cavo a livello locale (fatta salva la
riserva a livello nazionale) e se ne consente l’esercizio a livello
locale anche ai privati (sent. 226).
(Vedi motivazioni nelle slides successive)
Corte costituzionale, sentenza n. 225/1974
Nel corso di vari procedimenti penali riguardanti la detenzione
non denunziata e l'uso privato di apparecchi radio
ricetrasmittenti, senza averne ottenuto preventivamente la
prescritta concessione, è stata sollevata la questione della
legittimità della riserva allo Stato dei servizi di
telecomunicazione.
La Corte ha stabilito che «le ragioni inerenti alla limitatezza del
mezzo devono dirsi venute meno con il notevole diffondersi,
anche a seguito della sentenza n. 39 del 1963 di questa Corte,
del fenomeno dei radiotelefoni portatili, certamente non
destinate a dar luogo ad una situazione di oligopolio».
(segue ...)
(... segue)
«L'istallazione e l'esercizio di impianti del tipo in esame non sono, infatti,
certamente tali da originare situazioni di monopolio o di oligopolio, ove
si consideri che essi sono alla portata di semplici commercianti di
materiali radiotecnici, e che, soprattutto, sono volti non già a consentire a
pochi privilegiati di manifestare il proprio pensiero quanto, invece, a
permettere alla generalità di accedere agevolmente ad una pluralità di
fonti d'informazione. Né l'esercizio degli impianti in parola può essere
riguardato come servizio pubblico essenziale od attività di preminente
interesse generale ...».
Inoltre, «sanzionando penalmente anche l'istallazione e l'esercizio
d'impianti idonei alla sola ricezione e diffusione di programmi televisivi
esteri, s'impone al cittadino di attingere le proprie notizie unicamente dai
servizi radiotelevisivi nazionali, attualmente affidati in regime di
monopolio alla RAI-TV, precludendogli la possibilità di accedere ad altre
non irrilevanti fonti di informazione e selezionare, in base alle proprie
personali opzioni, le fonti medesime».
Corte costituzionale, sentenza n. 226/1974
La questione ha origine dal procedimento penale a carico di Giuseppe
Sacchi, che aveva installato a Biella un impianto di televisione via cavo
senza avere ottenuto la concessione ministeriale.
La Corte sottolinea che la differenza pratica di maggior rilievo ai fini del
giudizio, fra televisione via cavo e televisione via etere, è data dalla
limitatezza dei canali realizzabili via etere e dall'illimitatezza dei canali
realizzabili via cavo.
Comunque, «il costo di un impianto di televisione via cavo, il quale
comprenda l'intero territorio nazionale o comunque la massima parte di esso,
potrebbe essere talmente elevato da dare luogo a gravi pericoli d'insorgenza
di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua realizzazione
non resti riservata allo Stato ma sia intrapresa da privati. Pertanto le stesse
ragioni che in via di principio giustificano il monopolio statale della
radiotelevisione via etere giustificano la riserva allo Stato degli analoghi
servizi via cavo quando questi assumono le dimensioni innanzi indicate».
(segue ...)
... segue:
Invece, «gli impianti di televisione via cavo a carattere locale non
hanno, entro certi limiti, un costo non sostenibile da singole
imprese» e quindi non sussiste tale pericolo.
Inoltre, «va rilevata, limitatamente all'installazione e all'esercizio di
reti locali di televisione via cavo, la carenza di quei fini di utilità
generale che potrebbero, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
legittimarne a norma dell'art. 43 della Costituzione la riserva allo
Stato» e anzi il proliferare di TV locali via cavo attuerebbe più
largamente la libertà di manifestazione del pensiero.
La prima legge di sistema
(n. 103/1975)
e la conseguente giurisprudenza
costituzionale
La legge di riforma n. 103/1975
Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva
• La radio- e telediffusione, attuata con qualunque mezzo, è un
servizio pubblico essenziale di interesse generale ex art. 43 Cost.
• La indipendenza, l'obiettività e l'apertura alle diverse tendenze
politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla
Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio
pubblico radiotelevisivo.
• Si afferma la riserva allo Stato del servizio pubblico
radiotelevisivo.
• Eccezioni: 1) gestione di impianti ripetitori di programmi stranieri e
nazionali e ritrasmissione di programmi; 2) installazione ed esercizio
di impianti di trasmissione via cavo a livello locale; 3) filodiffusione.
(segue ..)
• Nei suddetti casi, in cui è consentita l’attività privata, è previsto un
regime autorizzatorio (ministeriale nel caso 1 e regionale nel caso 2).
• Autorizzazione amministrativa = provvedimento attraverso cui si
consente una attività privata che è ammessa in linea di principio, ma
di cui la legge vieta in concreto l’esercizio senza un apposito
permesso.
• Va specificato che l’autorizzazione per la trasmissione di
programmi via cavo riguardava solo il cavo monocanale (che può
veicolare solo un programma), una tecnologia già allora obsoleta ed
economicamente sconveniente.
(... segue ...)
• Il servizio pubblico radiotelevisivo è affidato ad una società a totale
partecipazione pubblica in regime di concessione.
• L’atto di concessione avrà validità di 6 anni, rinnovabile per un
periodo non superiore, e dovrà prevedere la costruzione di una terza
rete televisiva.
• Il finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo avviene con il
canone e con la pubblicità commerciale (limite agli introiti derivanti
dalla pubblicità fissato annualmente dalla Commissione bicamerale e
limite orario per la trasmissione di pubblicità pari al 5% del complesso
delle trasmissioni).
• Ai TG e ai GR si applicano le norme sulla registrazione dei periodici.
I loro direttori sono responsabili per la rettifica.
(... segue ...)
•
Vengono previste norme sul CdA della RAI (vedi slides
successive), sulla composizione e sulla Commissione parlamentare
bicamerale per gli indirizzi generali e la vigilanza sul servizio
pubblico radiotelevisivo (vedi slides successive) e sul diritto
d’accesso alle trasmissioni da parte delle forze politiche (vedi
apposita lezione sulla comunicazione politica).
•
Le Regioni possono:
a) designare rose di candidati tra cui scegliere 4 dei 10 membri del CdA RAI;
b) istituire Comitati regionali per il servizio radiotelevisivo (Co.re.rat: 9 membri
nominati dai Consigli regionali) con compiti di consulenza della Regione in
materia radiotelevisiva, orientamento della programmazione Rai destinata alla
programmazione regionale, regolamentazione dell’accesso alle trasmissioni
regionali.
La Commissione parlamentare bicamerale di indirizzo e
vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo (CPIV)
ex l. 103/1975
La CPIV era stata già istituita nel 1947 per assicurare
l’indipendenza e l’obiettività informativa delle radiodiffusioni, ma
le sue funzioni non erano chiare nel testo normativo.
Quindi, il suo ruolo viene rivisto con la legge del 1975. Ciò con
l’intento di attuare quanto richiesto dalla sent. Corte cost.
225/1974, cioè il trasferimento delle competenze in materia
radiotelevisiva dal governo al parlamento.
La CPIV è composta da 20 deputati e 20 senatori nominati dai
Presidenti delle Camere su base proporzionale.
Secondo la l. 103/1975, nominava 10 membri del CdA RAI. I suoi
poteri circa la nomina del CdA RAI sono stati poi modificati con
leggi successive.
La CPIV: i poteri di indirizzo
Formula gli indirizzi generali per la programmazione radiotelevisiva, in
modo da assicurare l’equilibrata distribuzione dei programmi, e controlla
il loro rispetto.
Approva il piano di programmazione.
Indica i criteri generali per i piani di spesa e di investimento della RAI.
Formula gli indirizzi generali relativi ai messaggi pubblicitari.
Può emanare valutazioni in relazione a numerosi atti del Ministero delle
Comunicazioni (competenza acquisita recentemente).
In questo modo, si assicura che l’attività della RAI si svolga nel rispetto
dei principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, indicati nell’art. 1
della l. 103/1975: indipendenza, obiettività e apertura alle diverse
tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite
dalla Costituzione.
La CPIV: i poteri regolamentari
Adotta il proprio regolamento interno.
Stabilisce le norme per il diritto d’accesso e giudica dei relativi ricorsi (vedi
slides successive).
Disciplina direttamente le rubriche di tribuna politica, tribuna elettorale,
tribuna sindacale e tribuna stampa.
Successivamente, con le l. 81 e 515 del 1991 e poi con la l. 28/2000 l’intero
settore della propaganda politica è stato disciplinato con legge, quindi la
CPIV ha perso in parte le sue competenze. Continua però a stabilire la
ripartizione degli spazi radiotelevisivi fra le diverse forze politiche in
periodo di campagna elettorale (vedi apposita lezione sulla comunicazione
politica).
Fissa il limite massimo degli introiti pubblicitari e la quota percentuale
massima di affollamento pubblicitario per ciascuna ora di trasmissione.
La CPIV: altre competenze
Esprime un parere sull’individuazione della società concessionaria del
servizio pubblico radiotelevisivo, sul contenuto della Convenzione StatoRAI e sul contratto di servizio.
Esprime un parere sui programmi in lingua italiana destinati ad essere
trasmessi all’estero per la diffusione e la conoscenza della lingua italiana
nel mondo.
Analizza il contenuto dei messaggi radiofonici e televisivi, accertando i
dati di ascolto e di gradimento dei programmi trasmessi.
Può chiedere alla Rai di effettuare indagini e studi, come pure di fornire
informazione sulla corretta attuazione degli indirizzi.
Riceve dal CdA comunicazioni circa i criteri di scelta dei vicedirettori
generali e dei direttori di rete e di testata.
Riceve dal CdA una relazione annuale, sui cui discute.
Riferisce trimestralmente al Parlamento sulla sua attività.
La RAI e il Parlamento
La CPIV non è l’unico organo parlamentare ad avere competenze in
materia di servizio pubblico radiotelevisivo.
Dal 1993 al 2003 i Presidenti delle Camere hanno avuto il potere di
nominare i 5 membri del CdA RAI (vedi slides successive).
Essi, inoltre, determinano i criteri da seguire nella programmazione del GR
Parlamento, del TG Parlamento e, in generale, di tutte le “dirette
parlamentari”.
Le varie Commissioni permanenti delle due Camere, poi, sono competente
per l’esame di tutte le proposte legislative in materia radiotelevisiva,
mentre alle due Assemblee spetta il compito della loro approvazione.
Camera e Senato hanno poteri di natura ispettiva (interrogazioni,
interpellanze, mozioni) che possono avere come oggetto il CdA RAI.
Inoltre esse discutono la relazione annuale della CPIV e anche (raramente)
quella della Corte dei Conti relativa alla gestione del bilancio RAI.
Il Consiglio di amministrazione (CdA) RAI ex l. 103/1975
Precedentemente era composto da 6 membri, più Presidente e
amministratore delegato, tutti di nomina governativa.
La legge del 1975 ne prevede la composizione in 16 membri con mandato
triennale, con Presidente (e più vicepresidenti) e Direttore generale eletti al
loro interno:
- 6 membri eletti dall’assemblea dei soci (poiché l’intero pacchetto
azionario era posseduto dall’IRI, essi erano di fatto nominati dal
governo);
- 10 eletti dalla Commissione parlamentare bicamerale a maggioranza dei
3/5 (4 dei quali scelti sulla base delle indicazioni delle Regioni).
La carica di membro di CdA non è compatibile con quella di parlamentare
o di consigliere regionale o con appartenenza a società legate alla
concessionaria o concorrenti con essa.
(segue ...)
Al CdA spetta la gestione della società, salve le materie riservate per
legge alla assemblea sociale (cioè all’IRI).
Il CdA nomina il Presidente e il Direttore generale della RAI.
Il CdA approva trimestralmente, in attuazione del piano annuale di
massima approvato dalla commissione parlamentare, lo schema dei
programmi da svolgere nel trimestre successivo.
Il CdA trasmette alla commissione parlamentare periodiche relazioni
sui programmi trasmessi.
Le successive modifiche nella composizione del CdA
(anticipazione)
Con il d. l. 807/1984, convertito in legge 10/1985 (vedi slides successive), la
nomina di tutti e 16 i membri del CdA viene affidata alla CPIV, con voto limitato ai
¾ dei componenti (cioè 12): i primi 12 erano eletti a maggioranza assoluta e i
restanti 4 erano scelti fra quelli non eletti, che avevano ottenuto più voti.
La legge 223/1990 stabilisce che la loro nomina debba avvenire all’inizio della
legislatura, subito dopo la costituzione della CIPV, e che il CdA duri in carica per
tutta la durata della legislatura.
La legge 206/1993 ha stabilito che il CdA fosse composto da 5 membri nominati (e
revocabili) di intesa dai Presidenti delle Camere fra persone di riconosciuto
prestigio professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano
distinti in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o
della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali.
Presidente e Direttore generale nominati dallo stesso CdA.
La legge Gasparri e il T. U. sulla radiotelevisione del 2005 prevede una nuova
modifica al CdA RAI. Sulla disciplina vigente si vedano le slides successive.
Il diritto di accesso ex l. 103/1975
La RAI deve garantire il diritto d’accesso alle trasmissioni ai partiti ed ai
gruppi rappresentati in Parlamento, alle organizzazioni associative delle
autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai
movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e culturali, alle
associazioni nazionali del movimento cooperativo giuridicamente
riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di rilevante
interesse sociale che ne facciano richiesta.
L’accesso deve essere garantito per tempi non inferiori al 5% del totale delle
ore di programmazione televisiva e al 3% del totale delle ore di
programmazione radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e per
quella regionale.
Una sottocommissione permanente per l’accesso istituita nell’ambito della
CPIV si occupa di garantire questo diritto e di fissare le relative regole .
Contro le decisioni della sottocommissione si può ricorrere alla CPIV.
Il diritto di accesso ex l. 103/1975 (segue)
Il diritto d’accesso deve essere regolato rispettando le esigenze del
pluralismo, dell’interesse sociale, culturale ed informativo delle
proposte degli interessati, della varietà della programmazione.
I soggetti ammessi all'accesso devono osservare i principi
dell'ordinamento costituzionale, e tra essi in particolare quelli relativi
alla tutela della dignità della persona nonché della lealtà e della
correttezza del dialogo democratico.
Essi devono inoltre astenersi da qualsiasi forma di pubblicità
commerciale.
La liberalizzazione dell’attività privata di radiotelediffusione a
livello locale.
La l. 103/1975, sulla base delle sent. Corte cost. 225 e 226 del 1974,
aveva liberalizzato il solo settore della TV via cavo a livello locale.
La successiva sent. Corte cost. n. 202/1976, invece, dichiara
illegittima la riserva allo Stato dell’intero settore della
radiotelediffusione a livello locale, aprendo così la strada ai privati
in questo ambito.
Nelle slides successive il contenuto della sentenza.
Corte costituzionale, sentenza n. 202/1976
In vari processi a carico di società private che avevano attivato impianti di
diffusione radiofonica o televisiva via etere senza la relativa concessione
amministrativa, veniva sollevata la questione di legittimità costituzionale della
riserva allo Stato degli impianti televisivi via etere a raggio locale (art. 1 l.
103/1975).
Tutte le ordinanze di rimessione condividevano la tesi che il presupposto del
riconoscimento della legittimità del monopolio statale fosse la limitatezza dei
canali disponibili e che tale presupposto non sussistesse relativamente alle
trasmissioni su scala locale, essendo esclusa la possibilità di monopoli o oligopoli.
La Corte ha ritenuto che fosse venuto quindi meno «l’unico motivo che per queste
ultime trasmissioni possa giustificare quella grave compressione del fondamentale
principio di libertà, sancito dalla norma a riferimento, che anche un monopolio di
Stato necessariamente comporta»; ha sancito l’illegittimità costituzionale delle
norme impugnate ed ha suggerito al legislatore di provvedere all’emanazione di
una legge che fissi le condizioni per l’esercizio dell’attività privata in tale settore
secondo un regime autorizzatorio, come già avvenuto per le trasmissioni locali via
cavo.
La sentenza 202/1976 è di fondamentale importanza perché per la
prima volta si collega l’esistenza del monopolio statale nel settore
della radiotelevisione al solo elemento tecnico della disponibilità
delle frequenze, accantonando l’altra considerazione – presente
nelle pronunce precedenti – per cui la riserva allo Stato si
giustificava per il rilevante interesse generale della
radiotelediffusione e la conseguente necessità di assicurare
imparzialità e non discriminazione.
Al contrario, il pluralismo sarebbe assicurato dalla semplice
presenza di un sistema misto pubblico-privato con una molteplicità
di emittenti.
Il legislatore è stato singolarmente inerte nel raccogliere l’invito
della Corte costituzionale a disciplinare l’attività privata nelle
trasmissioni via etere.
Erano sorte quindi, nel frattempo, numerose emittenti operanti a
livello locale.
Molte di esse, attraverso sistemi di INTERCONNESSIONE e la
messa in onda in contemporanea di programmi pre-registrati,
superavano di fatto l’ambito locale.
Di questo fenomeno si è occupata la Corte costituzionale nella
sentenza n. 148/1981. In questa sentenza la Corte mostra una
apertura nei confronti di una possibile futura liberalizzazione
della radiotelediffusione anche a livello nazionale, se venisse
emanata una opportuna legislazione antitrust (vedi slides
successive).
Corte costituzionale, sentenza n. 148/1981
Nel processo a carico della della Rizzoli Editore S.p.a., che stava per iniziare, senza
autorizzazione amministrativa, la trasmissione via etere su scala nazionale di un
telegiornale ed altri programmi televisivi utilizzando una rete di trasmissione e di
collegamento di proprietà di altre società private, viene sollevata la questione di
legittimità costituzionale del monopolio statale delle trasmissioni via etere a livello
nazionale.
La Corte ha ribadito la legittimità di tale riserva richiamando i motivi già espressi
nelle precedenti pronunce.
Ma ha anche precisato che «ciò vale ovviamente, allo stato attuale della
legislazione, in base alla quale, per la permanente carenza di una normazione
adeguata, restano appunto aperte le possibilità di oligopolio o monopolio sopra
delineate. A diverse conclusioni potrebbe eventualmente giungersi ove il legislatore,
affrontando in modo completo ed approfondito il problema della regolamentazione
delle TV private, apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in
modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non
solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei
collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione incluse quelle
pubblicitarie».
La disciplina “transitoria”
Legge n. 10/1985
e giurisprudenza costituzionale
Secondo l’impostazione della Corte, la ratio del monopolio
statale prescinde da ogni considerazione sulle specificità del
servizio pubblico essenziale ed è giustificata solo dall’assenza di
una normativa idonea ad evitare concentrazioni ed oligopoli.
Data la perdurante assenza di tale normativa, continuavano le
iniziative di interconnessione di emittenti private, in modo da
raggiungere un ambito di trasmissione ultra-locale.
In varie occasioni tale iniziative sono state interrotte da
pronunce giudiziarie (rivolte, in particolare, alle reti del gruppo
Berlusconi)
oscuramento.
Il Governo è intervenuto con una normativa teoricamente
provvisoria (non più di 6 mesi) che invece è rimasta in vigore
fino al 1990: il d. l. n. 807/1984, convertito in legge n. 10/1985
(c. d. “decreto salva Berlusconi”).
In realtà, precedentemente il governo (Craxi) aveva approvato il
d. l. 694/1984, con il quale si consentiva, in attesa
dell’approvazione di una apposita legge, la prosecuzione
dell'attività delle singole emittenti radiotelevisive private,
disponendo espressamente che «è consentita la trasmissione ad
opera di più emittenti dello stesso programma pre-registrato,
indipendentemente dagli orari prescelti».
Tuttavia il Parlamento non approvò la legge di conversione.
Allora, per la conversione in legge del successivo d. l. 807/1984
il Governo pose la questione di fiducia, minacciando la crisi.
Il d. l. 807/1984 fu approvato l’ultimo giorno della Conferenza regionale
dell’UIT (Ginevra, 6 ottobre- 6 dicembre 1984) che stabilì che entro il 1°
luglio 1987 gli Stati avrebbero dovuto procedere alla mappatura delle
frequenze, onde evitare fenomeni interferenziali.
Lo Stato italiano non era a conoscenza di quali e quante emittenti private
e di quali e quanti impianti di radiodiffusione fossero attivi nel paese.
Per questo, con tale intervento normativo, si pose l’obbligo per le
emittenti private di comunicare entro novanta giorni al Ministero delle
PT tutte le necessarie informazioni relative agli impianti da esse gestiti.
Il censimento, completato alla metà del 1985, contò oltre quattromila
emittenti, che gestivano da 1 a 5 impianti.
Però, la quantità di frequenze assegnate dall’UIT all’Italia corrispondeva
solo a circa il 20% di quelle effettivamente utilizzate dalle emittenti
private.
Quindi, occorreva con urgenza un riordino!
Il d. l. n. 807/1984 (convertito in legge n. 10/1985)
Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive
La diffusione sonora e televisiva sull’intero territorio nazionale, via etere o
via cavo o per mezzo di satelliti o con qualsiasi altro mezzo, ha carattere di
preminente interesse generale ed è riservata allo Stato.
Nell’ordinare il sistema radiotelevisivo lo Stato si informa ai principi di
libertà di manifestazione del pensiero e di pluralismo dettati dalla
Costituzione per realizzare un sistema misto di emittenza pubblica e privata.
Il servizio pubblico radiotelevisivo su scala nazionale è esercitato dallo
Stato mediante concessione ad una società per azioni a totale partecipazione
pubblica di interesse nazionale.
Una futura legge si occuperà di disciplinare il sistema radiotelevisivo,
consentendo l’iniziativa privata ma predisponendo apposite norme antitrust,
in modo da assicurare il pluralismo e la trasparenza.
(segue ...)
(... segue ...)
In attesa di tale legge, restano temporaneamente consentiti i ponti-radio fra le
singole emittenti, come pure la trasmissione in contemporanea dello stesso
programma pre-registrato (per questo il decreto è stato definito “salva
Berlusconi).
Le emittenti private devono però riservare il 25% del tempo alla trasmissione
di opere cinematografiche nazionali o della Cee.
Devono anche limitare l’affollamento dei messaggi pubblicitari al 16% del
tempo di trasmissione settimanale e massimo al 20% di ciascuna ora di
trasmissione. Questi limiti sono superiori a quelli della concessionaria
pubblica (5% orario) e inoltre per le emittenti private non è fissato alcun tetto
massimo agli introiti pubblicitari.
Obbligo per le emittenti di comunicare i dati relativi ai propri impianti entro
90 gg. al Ministero PT, in modo da poter effettuare un censimento come
richiesto dalla Conferenza UIT di Ginevra. In seguito al censimento sarebbe
stato approvato un piano nazionale di assegnazione delle frequenze (non
realizzato!)
(... segue ...)
La nomina di tutti e 16 i membri del CdA viene affidata alla CPIV, con
voto limitato ai ¾ dei componenti (cioè 12): i primi 12 membri erano
eletti a maggioranza assoluta e i restanti 4 erano scelti fra quelli non
eletti, che avevano ottenuto più voti.
Il Direttore generale, però, doveva essere nominato dall’IRI: così si
produce un dualismo fra parlamento e governo.
Il Direttore, infatti, sovrintende alla gestione aziendale ed è civilmente
responsabile dello svolgimento del servizio radiotelevisivo, della migliore
utilizzazione delle risorse e del personale in termini di funzionalità,
efficienza ed economicità, nel quadro degli indirizzi dettati dalla CPIV.
Il Direttore è deve altresì assicurare il pluralismo dell’informazione.
Corte costituzionale, sentenza n. 231/1985
Cinque diverse ordinanze di rimessione sollevavano tutte, in riferimento ad una
pluralità di parametri, questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni
della l. 103/1975 riguardanti l’obbligo in capo ai titolari di impianti ripetitori, via
etere, nel territorio nazionale, di programmi sonori e televisivi irradiati da emittenti
estere, di eliminare dai programmi medesimi i messaggi pubblicitari commerciali.
La Corte, decretando l’illegittimità costituzionale nelle norme impugnate, ha
stabilito che le limitazioni quantitative ai tempi delle trasmissioni pubblicitarie
commerciali con il mezzo radiotelevisivo hanno «lo scopo di garantire una
condizione ritenuta essenziale perché possa aversi pluralismo nell'informazione, dal
momento che l'apporto rappresentato dagli introiti pubblicitari é considerato
indispensabile per la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione di massa, si tratti di
organi di stampa ovvero delle emittenti radiotelevisive, pubbliche e private. Accanto
a questa esigenza di carattere generale, altra se ne viene prospettando di uguale
segno per la tutela dell'utente-consumatore, e a tal fine si auspica una disciplina non
solo dei tempi, ma anche delle modalità di presentazione dei messaggi pubblicitari
...».
Corte costituzionale, sentenza n. 826/1988
Alcune ordinanze dei giudici a quo lamentavano il perdurare della
riserva allo Stato delle trasmissioni via etere a livello nazionale; altre
invece il fatto che la disciplina transitoria si stesse protraendo oltre
termine, consentendo di fatto alle emittenti locali di superare tale ambito.
Inizialmente la Corte ha chiarito il concetto di pluralismo:
«...il pluralismo dell'informazione radiotelevisiva significa, innanzitutto, possibilità
di ingresso, nell'ambito dell'emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci
consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell'emittenza privata - perché
il pluralismo esterno sia effettivo e non meramente fittizio - che i soggetti portatori
di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa
dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di
uno o di pochi e senza essere menomati nella loro autonomia. Sotto altro profilo, il
pluralismo si manifesta nella concreta possibilità di scelta, per tutti i cittadini, tra una
molteplicità di fonti informative, scelta che non sarebbe effettiva se il pubblico al
quale si rivolgono i mezzi di comunicazione audiovisiva non fosse in condizione di
disporre, tanto nel quadro del settore pubblico che in quello privato, di programmi
che garantiscono l'espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei».
(... segue ...)
La Corte ha poi “salvato” la disciplina transitoria della l. n. 10/1985, proprio
perché transitoria, pur rendendosi conto che «l'evoluzione della situazione di
fatto ha dimostrato ampiamente che il rischio della formazione di un
oligopolio paventato dalla Corte si è trasformato in realtà».
Essa precisa anche che «a parte la diversità dei ruoli del servizio pubblico
radiotelevisivo e dell'emittenza privata, il pluralismo in sede nazionale non
potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo
pubblico e un polo privato che sia rappresentato da un soggetto unico o che
comunque detenga una posizione dominante nel settore privato».
Quindi, occorre «una disciplina definitiva della materia, che si sottragga a
tali censure e appresti quel sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare
in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od
oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti,
ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori
dell'informazione, incluse quelle pubblicitarie».
(... segue ...)
«... la necessità dell'introduzione, nella disciplina dell'emittenza privata
su scala nazionale, di un simile sistema di garanzie deriva
dall'imprescindibile esigenza, sottesa alla menzionata sentenza, di una
effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro
l'insorgere di posizioni dominanti o comunque preminenti, tali da
comprimere sensibilmente questo fondamentale valore».
«Di conseguenza, la futura legge non potrà non contenere limiti e cautele
finalizzati ad impedire la formazione di posizioni dominanti lesive del
predetto valore costituzionale (art. 21 Cost.). Naturalmente l'efficacia di
una simile disciplina ai fini indicati presuppone l'introduzione di un alto
grado di trasparenza degli assetti proprietari e dei bilanci dell'impresa di
informazione e di quelle collegate ... ».
(... segue ...)
Infine, per quanto riguarda il tema della pubblicità radiotelevisiva, la
sentenza ha ribadito la necessità di porre limiti in tale ambito.
Quindi, «è necessario realizzare, in attuazione del disegno costituzionale,
un equilibrio delle risorse dei diversi settori dell'informazione e garantire
effettivamente, anche in tal modo, il massimo di pluralismo informativo
(sentenza n. 231 del 1985). Questa esigenza vale a maggior ragione oggi,
perché le risorse finanziarie che, attraverso la pubblicità, affluiscono al
settore della stampa sono inferiori a quelle che sostengono il settore
televisivo nel suo complesso».
La pubblicità televisiva
La direttiva “TV senza frontiere” e le
sue successive modifiche
Questo excursus sulla disciplina comunitaria in materia di
pubblicità radiotelevisiva è necessario perché la cosiddetta
“seconda legge di sistema” sull’ordinamento radiotelevisivo
(la c. d. legge Mammì, del 1990) è stata emanata anche allo
scopo di attuare le disposizioni contenute nella direttiva CE
“TV senza frontiere”.
Direttiva 89/552 Cee, relativa al coordinamento di determinate
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati
membri concernenti l'esercizio delle attività televisive (c. d TV
senza frontiere).
• Principio della libera circolazione delle trasmissioni di paesi comunitari.
• Obbligo di dedicare la maggior parte del tempo di trasmissione alle “opere
europee” e almeno il 10% alle produzioni indipendenti.
• Obbligo di non trasmettere opere cinematografiche prima di 2 anni dall’uscita
nelle sale (1 anno se coproduzione cine-televisiva).
• Divieto di trasmettere programmi in grado di nuocere gravemente allo sviluppo
fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano
scene pornografiche o di violenza gratuita oppure di assicurarsi che tali
programmi siano trasmessi in orario in cui i minori non guardano la TV.
• Obbligo di consentire il diritto di rettifica.
• Disciplina della pubblicità e delle sponsorizzazioni (vedi slide seguente).
Pubblicità e sponsorizzazioni nella direttiva 89/552/CEE
Divieti di:
- messaggi pubblicitari che offendono la dignità umana, che comportano arbitrarie
discriminazioni, che inducono a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la
scurezza, l’ambiente;
- pubblicità subliminale e clandestina (non riconoscibile);
- pubblicità di derivati del tabacco e medicinali per cui sia obbligatoria la ricetta
medica;
- pubblicità pregiudizievole per minorenni, abusando della loro credulità;
- sponsorizzazione di telegiornali e programmi a carattere politico;
Restrizioni per pubblicità di bevande alcoliche.
Lo sponsor deve essere chiaramente riconoscibile, non deve influenzare il contenuto
del programma e non deve comparire al suo interno.
La pubblicità, comprese le sponsorizzazioni, non deve superare il 15% del tempo di
trasmissione quotidiano (20% se si includono le televendite) e comunque non più del
20% in un’ora di trasmissione.
La direttiva 97/36/CE
Ha modificato la precedente direttiva 89/552. Le modifiche riguardano soprattutto:
eventi di particolare rilevanza per la società (in particolare, manifestazioni
sportive): la direttiva modificata stabilisce le condizioni che consentono al pubblico
di accedere liberamente alla ritrasmissione di eventi considerati di particolare
rilevanza per la società. A tal fine, ogni Stato membro può stabilire un elenco di
eventi che devono essere trasmessi in chiaro, anche se sono stati acquistati diritti di
esclusiva da reti di televisione a pagamento;
televendite: le televendite sono sottoposte alla maggior parte delle regole che
disciplinano la pubblicità televisiva. Le finestre di programmazione destinate alle
televendite trasmesse da una rete generalista devono durare almeno quindici minuti
ed essere chiaramente identificabili. Il numero massimo di finestre è fissato a otto al
giorno e la loro durata non può superare tre ore al giorno;
tutela dei minori: la direttiva modificata sottolinea soprattutto l'importanza della
protezione dei minori. Viene segnatamente indicato che gli Stati membri devono
controllare che i programmi che possono nuocere allo sviluppo dei minori, trasmessi
in chiaro, siano preceduti da un idoneo segnale acustico o identificati da un simbolo
visibile.
La nuova direttiva 2007/65/CE sui servizi di media audiovisivi
E’ stata recepita in Italia con legge comunitaria 2008 + decreto legislativo n.
44/2010, apportando significative modifiche al T. U. sulla radiotelevisione.
Per quanto riguarda il settore della pubblicità radiotelevisiva, la direttiva semplifica e
rende più flessibili le norme per l'inserimento della pubblicità, incoraggiando
l'autoregolamentazione e la coregolamentazione nel settore.
Abolito il tetto giornaliero di affollamento pubblicitario, resta solo quello orario del
20%.
Concede alle emittenti la possibilità di scegliere il momento più adeguato per
l'inserimento di messaggi pubblicitari all'interno delle trasmissioni (non
necessariamente TRA i programmi).
Le opere cinematografiche, le trasmissioni destinate ai bambini, i programmi
d'attualità e i notiziari possono tuttavia essere interrotti una sola volta ogni 30 minuti.
La direttiva sostiene le nuove forme di pubblicità, come la pubblicità a schermo
diviso (split screen), la pubblicità virtuale (inserimento di immagini pubblicitarie
nelle trasmissioni attraverso la grafica computerizzata) e la pubblicità interattiva.
Infine, essa ammette il product placement, ma consente ai singoli Stati di vietarlo.
La legge 223/1990
c. d. legge Mammì
La pressioni della Corte costituzionale e della Cee, dopo oltre
cinque anni di disciplina transitoria, hanno finalmente indotto il
legislatore a dettare una disciplina di settore:
Legge n. 223/1990: Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato (c. d. legge Mammì).
Essa riguarda:
- principi generali comuni
- regime concessorio per tutte le emittenti (non diritto
soggettivo, ma interesse legittimo)
- normativa antitrust
- disciplina della pubblicità
- strumenti di garanzia per una corretta applicazione
Legge 223/1990 – Art. 1 (principi generali)
1. La diffusione di programmi radiofonici o televisivi, realizzata
con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di preminente interesse
generale.
2. Il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità
dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze
politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto delle libertà e
dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano i princìpi
fondamentali del sistema radiotelevisivo che si realizza con il
concorso di soggetti pubblici e privati ai sensi della presente
legge.
Legge 223/1990 – Il regime concessorio
Il servizio pubblico radiotelevisivo è affidato mediante concessione ad una società
per azioni a totale partecipazione pubblica. La concessione importa di diritto
l'attribuzione alla concessionaria della qualifica di società di interesse nazionale.
Inoltre, possono essere rilasciate concessioni a soggetti privati per radiodiffusione
sonora a carattere commerciale o a carattere comunitario sia nazionale che locale .
... ed anche concessioni a soggetti privati per telediffusione in ambito nazionale di
singole reti ovvero in ambito locale di singole emittenti e reti.
Le concessioni a soggetti privati durano 6 anni e sono rinnovabili.
I concessionari privati che trasmettono in ambito nazionale devono essere società
di capitali o cooperative, costituite in Italia o nella Cee, con capitale sociale non
inferire a 3 miliardi di lire (TV) o 500 milioni (radio).
I concessionari privati in ambito locale, invece, possono essere persone fisiche od
enti di vario tipo.
Legge 223/1990 – Il regime concessorio (segue)
Per ottenere la concessione, l’oggetto sociale deve per forza essere l'esercizio di
attività radiotelevisiva, editoriale o comunque attinente all'informazione ed allo
spettacolo.
Non possono essere rilasciate concessioni ad enti pubblici, anche economici, a
società a prevalente partecipazione pubblica e ad aziende ed istituti di credito .....
... e nemmeno a persone che abbiano riportato condanne a pena detentiva per
delitti non colposi o che siano sottoposti a misure di prevenzione.
Il rilascio della concessione avviene sulla base di criteri oggettivi che tengano
conto della potenzialità economica, della qualità della programmazione prevista e
dei progetti radioelettrici e tecnologici. Per i richiedenti che abbiano già effettuato
trasmissioni radiotelevisive si tiene anche conto della presenza sul mercato, delle
ore di trasmissione effettuate, della qualità dei programmi, delle quote percentuali
di spettacoli e servizi informativi autoprodotti.
E' comunque requisito essenziale per il rilascio delle concessioni in ambito locale
l'impegno a destinare almeno il 20% della programmazione settimanale
all'informazione, di cui almeno il 50% all'informazione locale.
Legge 223/1990 – L’ambito nazionale e locale
Per esercizio in ambito nazionale si intende quello effettuato con
rete che assicuri la diffusione in almeno il 60 per cento del territorio
nazionale.
Per esercizio in ambito locale si intende quello che garantisce la
diffusione in almeno il 70 per cento del territorio del relativo bacino
di utenza o della parte assegnata di detto bacino.
Legge 223/1990 – La pianificazione delle radiofrequenze
E’ effettuata mediante il piano nazionale di ripartizione (che
indica le bande di frequenze utilizzabili dai vari servizi di
telecomunicazioni) ed il piano nazionale di assegnazione (che
determina le aree di servizio degli impianti, la loro
localizzazione, frequenza e parametri radioelettrici).
Il piano di assegnazione suddivide il territorio nazionale in
bacini di utenza, i quali devono consentire la coesistenza del
maggior numero possibile di impianti ed una adeguata pluralità
di emittenti e reti.
L’assegnazione deve essere effettuata in modo da consentire la
ricezione senza disturbi del maggior numero possibile di
programmi di radiodiffusione sonora e televisiva.
Legge 223/1990 – Gli obblighi dei concessionari
Iscrizione al Registro nazionale delle imprese radiotelevisive
(istituito dall’art.12). Dal 1997 è denominato ROC.
Comunicazione al Garante (istituito dall’art. 6) dei trasferimenti di
proprietà e del bilancio.
Realizzazione di pari opportunità nei rapporti di lavoro.
Trasmissione dello stesso programma in tutta l’area geografica per
cui è rilasciata la concessione.
Rispetto delle regole in materia di pubblicità e sponsorizzazioni
(vedi slides successive)
Rispetto dell’obbligo di rettifica, dei limiti previsti alla trasmissione
di opere cinematografiche, delle leggi in materia di diritto d’autore.
(segue ...)
Segue dalla slide precedente: gli obblighi
Non trasmettere programmi nocivi per lo sviluppo fisico e psichico
dei minori.
Trasmettere gratuitamente brevi comunicati per conto di organi
pubblici.
Rispettare livello minimo di ore di trasmissione.
Riservare parte della programmazione all’informazione.
Solo per la concessionaria pubblica: trasmettere messaggi di utilità
sociale e rispettare un tetto massimo degli introiti pubblicitari
annuali, fissato annualmente dal governo.
Legge 223/1990 – La normativa antitrust
Divieto di posizioni dominanti nell'ambito dei mezzi di
comunicazione di massa.
Alla titolarità della concessione è equiparato il controllo o
collegamento.
Trasparenza negli assetti proprietari, societari, finanziari e nel
bilancio (obbligo di comunicazione al Garante, istituito dall’art. 6).
Possono essere annullati gli atti che comportano l’acquisizione di
posizioni dominanti.
La legge regola:
1) il rapporto fra concessioni televisive e radiofoniche in
nazionale e locale;
2) il rapporto TV/stampa;
3) il rapporto fra radiotelevisione e pubblicità.
ambito
Legge 223/1990 – Il rapporto fra le concessioni radiotelevisive
1) Divieto di essere contemporaneamente titolari di concessioni
RTV a livello nazionale e a livello locale.
2) A livello nazionale, un singolo soggetto può avere al massimo
tre concessioni e non può comunque superare il 25% delle reti
previste dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze.
FOTOGRAFIA DELLA SITUAZIONE ESISTENTE!!!
3) A livello locale un singolo soggetto può avere una sola
concessione per bacino di utenza; massimo 3 concessioni
televisive e 7 radiofoniche per bacini diversi.
Legge 223/1990 – Il rapporto TV-stampa
(la stampa quotidiana resta disciplinata alla l. 67/1987)
1) Non può avere nessuna concessione televisiva nazionale chi abbia il
controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura annua abbia
superato nell'anno solare precedente il 16% della tiratura complessiva dei
giornali quotidiani in Italia.
2) Può avere una sola concessione televisiva nazionale chi abbia il controllo
di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura superi l'8% della tiratura
complessiva dei giornali in Italia.
3) Può avere al massimo due concessioni televisive nazionali chi abbia il
controllo di imprese editrici di quotidiani la cui tiratura complessiva sia
inferiore al limite dell’8%.
4) Uno stesso soggetto non può avere più del 20% delle risorse
complessive del settore (oppure il 25% se tali risorse costituiscano i 2/3 dei
suoi introiti complessivi).
(... Segue)
Per risorse complessive del settore della comunicazione di
massa si intendono i ricavi derivanti dalla vendita di
quotidiani e periodici, da vendite o utilizzazione di prodotti
audiovisivi, da abbonamenti a giornali, periodici o emittenti
radiotelevisive, da pubblicità, da canone e altri contributi
pubblici a carattere continuativo.
Legge 223/1990 – Il rapporto fra radiotelevisione e pubblicità
Se esistono situazioni di controllo o collegamento fra emittenti
televisive e concessionarie di pubblicità, queste ultime non
possono raccogliere pubblicità per più di tre reti televisive
nazionali, o due reti nazionali e tre reti locali o una rete nazionale
e sei locali.
Eventuali ulteriori contratti stipulati dalle imprese concessionarie
di pubblicità di cui al presente comma devono avere per oggetto
pubblicità da diffondere con mezzi diversi da quello radiofonico e
televisivo e comunque in misura non superiore al 2% degli
investimenti pubblicitari complessivi dell'anno precedente.
Legge 223/1990 – La disciplina della pubblicità
radiotelevisiva.
Divieto di diffondere messaggi pubblicitari subliminali o cifrati.
Il messaggio pubblicitario deve essere sempre riconoscibile.
Divieto di trasmettere la pubblicità ad un volume più alto delle
altre trasmissioni.
Rispetto dei divieti nel contenuto dei messaggi della direttiva
89/552 Cee (già illustrata precedentemente).
Limiti all’affollamento pubblicitario (vedi slide successiva).
Legge 223/1990 – I limiti all’affollamento pubblicitario
Concessionaria pubblica: 4% dell'orario settimanale di programmazione ed
12% di ogni ora.
Concessionari privati TV nazionale: 15% dell'orario giornaliero di
programmazione e 18% di ogni ora.
Concessionari privati TV locale: 20% di ogni ora di programmazione e 15%
di ogni ora e di ogni giorno di programmazione.
Limiti anche per i concessionari radiofonici nazionali, locali e comunitari.
I limiti aumentano leggermente se si considerano anche le televendite.
Le eventuali eccedenze devono essere recuperate nell’ora antecedente o
successiva.
Non si prevede nulla circa le modalità di trasmissione dei messaggi (tra i
programmi o dentro i programmi) e non vi è alcun divieto di interruzione
delle trasmissioni per pubblicità.
Legge 223/1990 – Le sponsorizzazioni
La legge Mammì non recepisce il divieto, previsto dalla direttiva
89/552/CE, di inserire all’interno dei programmi sponsorizzati
messaggi promozionali di beni e servizi dello sponsor.
Le sponsorizzazioni, quindi, rientrano nel computo dei limiti
all’affollamento pubblicitario per il 2%.
In generale, la disciplina del 1990 non chiarifica la differenza fra
sponsorizzazioni e pubblicità e si presta all’assimilazione fra
sponsorizzazioni e telepromozioni.
La disciplina delle sponsorizzazioni è stata ritenuta dalla
Commissione europea non conforme alle indicazioni della Cee e si
è aperta una formale procedura di infrazione contro l’Italia presso
la Corte europea di Giustizia.
(... segue)
(... segue)
Si è cercato di rimediare con il d. l. 408/1992, convertito in
legge 483/1992: Disposizioni urgenti in materia di
pubblicità radiotelevisiva.
Si introduce il divieto di promozione diretta, all’interno del
programma sponsorizzato, di beni e servizi dello sponsor.
Le sponsorizzazioni vengono del tutto escluse dal calcolo
degli indici di affollamento pubblicitario, essendo
radicalmente diverse dalle telepromozioni (che invece sono
incluse).
Legge 223/1990 – Art. 6
Il Garante per la radiodiffusione e l’editoria
Era nominato dal Presidente della Repubblica, su proposta dei Presidenti di Camera e
Senato, d'intesa tra loro, tra ex giudici della Corte costituzionale o presidenti di
sezione della Corte di cassazione, tra i professori universitari ordinari nelle discipline
giuridiche, aziendali od economiche, nonché tra esperti di riconosciuta competenza
nel settore delle comunicazioni di massa.
Mandato quinquennale non rinnovabile; divieto di esercitare altre attività.
Aveva un ufficio alle sue dipendenze e può anche avvalersi dell’opera di consulenti
esterni. Presso di lui era istituito il Consiglio consultivo degli utenti.
Teneva il registro nazionale delle imprese radiotelevisive.
Esaminava i bilanci e l’annessa documentazione delle concessionarie.
Svolgeva attività istruttoria ed ispettiva.
Vigilava sul rispetto della normativa antitrust, sulla pubblicità e sulla rilevazione degli
indici di ascolto.
Poteva irrogare sanzioni pecuniarie e chiedere al Ministro la revoca della concessione.
Dal 1997 la figura del Garante è stata sostituita
dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni
(AgCom).
Legge 223/1990 – Il ruolo delle Regioni
Ogni consiglio regionale elegge, a maggioranza dei 2/3, un comitato
regionale per i servizi radiotelevisivi (Co.re.rat), organo di
consulenza della regione in materia radiotelevisiva.
Le Regioni ne disciplinano il funzionamento.
Il comitato altresì formula proposte al consiglio di amministrazione
della concessionaria pubblica in merito a programmazioni regionali
che possano essere trasmesse sia in ambito nazionale che regionale;
regola l'accesso alle trasmissioni regionali programmate dalla
concessionaria pubblica.
Questi comitati sono poi diventati i Co.re.com
Legge 223/1990 e d. lgs. 73/1991 – La TV via cavo
Delega al governo a provvedere alla disciplina della TV via cavo.
Delega esercitata attraverso il d. lgs. 73/1991.
Si pone una distinzione fra:
a) attività di installazione e gestione di impianti: riservata allo
Stato, ma possibilità di esercizio anche da parte di privati
concessionari;
b) attività di distribuzione di programmi attraverso tali impianti:
nessuna riserva allo Stato; tale attività può essere svolta anche
da privati previa autorizzazione amministrativa.
Si applicano gli stessi limiti della TV via etere.
(Per la disciplina della TV via satellite bisogna attendere la legge
249/1997)
Dopo la legge Mammì
La legge 223/1990 non ha modificato le disposizioni della
precedente legge 103/1975 relativamente agli organi di governo
della concessionaria pubblica.
A quello ha pensato la legge n. 206/1993: Disposizioni sulla società
concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
Disciplina teoricamente transitoria (2 anni), ma in vigore fino al
2004.
RAI = S.p.a. (a totale partecipazione pubblica), secondo quanto già
deciso dalla legge Mammì.
CdA di soli 5 membri nominati d’intesa dai Presidenti delle Camere.
Il CdA nomina il Presidente al suo interno e il Direttore generale,
che è il vero responsabile della gestione aziendale, all’esterno.
Questo modello ha previsto un rafforzamento della figura presidenziale
all’interno del CdA, per via dei suoi pochi membri, ma anche la sua funzione
di garanzia (era infatti tradizionalmente scelto fra le fila dell’opposizione).
D. l. 323/1993, convertito in legge 422/1993
I soggetti autorizzati a trasmettere in ambito locale, che già superano
tale ambito mediante i collegamenti fra impianti, possono continuare a
farlo, come pure varie emittenti locali possono continuare a trasmettere
in contemporanea lo stesso programma preregistrato, coprendo di fatto
l’ambito nazionale.
Tutto ciò in attesa dell'attuazione del piano nazionale di assegnazione
delle frequenze e comunque non oltre il 28 febbraio 1994.
Il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni nomina una
commissione di esperti per formulare osservazioni e proposte sui
problemi attinenti all'assetto del sistema radiotelevisivo.
Le emittenti televisive in ambito locale devono istituire, a decorrere dal
30 novembre 1993, un telegiornale a cui si applicano le norme sulla
registrazione dei giornali periodici.
(segue ...)
(segue ....)
Durante il periodo di tre anni decorrente dal rilascio delle concessioni
sono consentiti i trasferimenti di proprietà di intere emittenti televisive
da un concessionario ad un altro concessionario ed entro 6 mesi i
trasferimenti di impianti o di rami di azienda fra concessionari
televisivi.
Per quanto riguarda i concessionari per la radiodiffusione televisiva in
ambito locale, il tempo massimo di trasmissione quotidiana dedicato
alla pubblicità è portato al 35%.
Le amministrazioni statali, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti
pubblici, compresi quelli economici, questi ultimi limitatamente alla
pubblicità diffusa sul territorio nazionale, sono tenuti a destinare alla
pubblicità su emittenti televisive locali nonché su emittenti radiofoniche
nazionali e locali almeno il 15% delle somme stanziate in bilancio per le
campagne pubblicitarie e di promozione delle proprie attività.
(segue ....)
Entro un termine stabilito (più volte prorogato) tutte le pay-TV devono
essere trasferite sul cavo o sul satellite, non potendo più trasmettere via
etere.
NB: la legge Mammì non diceva nulla circa le pay-TV, ma il Consiglio
di Stato in un parere espresso nel 1991 considerava lecite le
trasmissioni in codice, e anche la direttiva europea TV senza frontiere
ammetteva la possibilità dell’esistenza delle Tv a pagamento
Corte costituzionale, sentenza n. 420/1994
Il ricorso ha origine dal processo in cui erano coinvolte varie
emittenti televisive locali che, pur essendo collocate utilmente in
graduatoria, non avevano ottenuto la concessione oppure avevano
ottenuto insufficienti frequenze.
Ciò per via della cristallizzazione della situazione esistente, che la
normativa transitoria perpetuava, per cui le concessioni erano state
rilasciate con d. m. 13 agosto 1992 a sole sei emittenti: Canale 5,
Italia 1, Retequattro, Videomusic, Rete A, Telemontecarlo.
La Corte ha ritenuto che il limite antirust di 3 reti o max il 25%
delle frequenze (art. 15 comma 4 l. 223/1990) fosse
irragionevole, incoerente ed assolutamente inidoneo a garantire
il sistema radiotelevisivo dalla formazione (o dall’aggravarsi) di
posizioni dominanti e lo ha pertanto ritenuto incostituzionale.
Anche in questo caso, però, la Corte è rimasta inascoltata.
Corte costituzionale, sentenza n. 420/1994: il testo
«Preliminarmente va ribadito che condizione indefettibile per il superamento
della riserva statale dell'attività di radiodiffusione è costituita da un'idonea
disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti le quali in questo
settore possono non solo alterare le regole della concorrenza, ma anche condurre
ad una situazione di oligopolio, che in sé pone a rischio il valore fondamentale
del pluralismo delle voci, espressione della libera manifestazione del pensiero».
«La necessità di consentire l'accesso al massimo numero possibile di voci non
può essere intesa come mera idoneità minima di una qualsivoglia disciplina antitrust».
«Il parametro percentuale (del 25%) e quello assoluto (di tre reti) - contemplati
dalla norma censurata - concorrono nel fissare il limite alla concentrazione in tre
reti su un totale di dodici complessive ovvero di nove assentibili a soggetti
privati e comportano di conseguenza che allo stato attuale della vigente
disciplina a regime un terzo di tutte le reti private può essere posseduto da uno
stesso soggetto».
(segue ...)
(segue)
La normativa in vigore, «anziché muoversi nella direzione di contenere posizioni
dominanti già esistenti così da ampliare, ancorché gradualmente, la concreta
attuazione del valore del pluralismo, ha invece sottodimensionato il limite alle
concentrazioni essendone conseguito l'effetto di stabilizzare quella posizione
dominante esistente, che tuttora si riscontra, trascurando viceversa che il valore
da tutelare era l'allargamento del pluralismo».
L’esistente posizione dominante ne è risultata addirittura rafforzata, «perché con
il tetto delle nove reti private è stata tracciata un'invalicabile soglia di ingresso
che tiene fuori dalla categoria dei soggetti privati concessionari (salva la rilevata
proroga del regime autorizzatorio) ogni ulteriore emittente nazionale non
utilmente collocata in graduatoria, mentre nella precedente situazione - proprio in
ragione della mancanza di regole - non vi erano preclusioni o sbarramenti che
impedissero la contestuale presenza di più di nove emittenti nazionali private».
(segue ..)
(segue)
Data l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 4, della legge Mammì,
«rimane nella discrezionalità del legislatore disegnare la nuova disciplina
positiva di tale limite per colmarne la sopravvenuta mancanza. Limite che dovrà
essere rispettoso della regola suddetta e dell'esigenza costituzionale, ad essa
sottesa, di necessaria tutela del pluralismo delle voci sicché, qualunque sia la
combinazione dei parametri adottati, non sarà, allo stato, in alcun caso possibile
che la risultante finale sia tale da consentire che un quarto di tutte le reti
nazionali (o un terzo di tutte le reti private in ambito nazionale) sia concentrata in
un unico soggetto».
«La dichiarazione di incostituzionalità non determina un vuoto di disciplina,
vuoto che significherebbe un arretramento verso la mancanza di alcun limite alla
titolarità di plurime concessioni. Rimane infatti pienamente efficace il decreto
legge 323/93, e quindi resta ferma nel periodo di transizione - e limitatamente a
tale periodo - la provvisoria legittimazione dei concessionari già assentiti con
d.m. 13 agosto 1992 a proseguire nell'attività di trasmissione con gli impianti
censiti».
La “tecnica” prescelta dalla Corte costituzionale dal 1981 al
1994, quella di “salvare” la disciplina vigente nell’attesa di una
organica legge di riforma, ha di fatto avallato per anni l’inerzia
del legislatore e, quando il legislatore è intervenuto con la legge
223/1990, lo stato di fatto era tale da non poter più essere
modificato.
Anche dopo la sentenza del 1994 le cose non sono cambiate e
infatti con il d. l. n. 545/1996 (convertito in legge n. 650/1996) il
decreto n. 323/1993 è stato prorogato fino al 1997.
Quindi, la pianificazione voluta dalla legge 223/1990 non è
comunque mai riuscita a decollare.
Verso la parziale privatizzazione della RAI
La legge Mammì (art. 2) e il d. l. 408/1992 (art. 1) stabilivano che
le azioni della Rai potessero appartenere soltanto allo Stato, ad enti
pubblici o a società a totale partecipazione pubblica.
Ciò per evitare che la privatizzazione dell’IRI (d. lgs. n. 386/1991),
azionista unico della RAI, potesse coinvolgere anche la RAI.
Tali norme sono state abrogate tramite referendum svoltosi l’11
giugno 1995.
Di conseguenza, il d.p.r. n. 315/1995 ha stabilito la cessione ai
privati dell’1% delle azioni RAI.
Solo la legge Gasparri del 2004 (di cui si parlerà in seguito) ha
previsto la totale privatizzazione della RAI, che però non è stata
ancora realizzata.
Il protocollo sul servizio pubblico radiotelevisivo allegato al
Trattato di Amsterdam (1997)
Le disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea
non pregiudicano la competenza degli Stati membri a provvedere
al finanziamento del servizio pubblico di radiodiffusione, nella
misura in cui tale finanziamento sia accordato agli organismi di
radiodiffusione ai fini dell'adempimento della missione di
servizio pubblico conferita, definita e organizzata da ciascuno
Stato membro e nella misura in cui tale finanziamento non
perturbi le condizioni degli scambi e della concorrenza nella
Comunità in misura contraria all'interesse comune, tenendo conto
nel contempo dell'adempimento della missione di servizio
pubblico.
(deroga al regime comunitario degli aiuti di Stato)
La legge 249/1997
(legge Maccanico)
Legge n. 249/1997: Istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e
radiotelevisivo (c. d. Maccanico).
La ratio della legge è quella di rendere più efficaci i limiti antitrust (ma scarso
successo!) rispondendo alla sentenza 420/1994 della Corte costituzionale.
Nei settori delle comunicazioni sonore e televisive, anche nelle forme evolutive,
realizzate con qualsiasi mezzo tecnico, della multimedialità, dell'editoria anche
elettronica e delle connesse fonti di finanziamento, è vietato qualsiasi atto o
comportamento avente per oggetto o per effetto la costituzione o il
mantenimento di una posizione dominante da parte di uno stesso soggetto anche
attraverso soggetti controllati e collegati.
Gli atti giuridici, le operazioni di concentrazione e le intese che contrastano con
tale divieto sono nulli.
Su questo vigila una Autorità (Agcom) appositamente istituita (vedi slides
successive) che, adeguandosi al mutare delle caratteristiche dei mercati, adotta i
provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi delle posizioni
dominanti o comunque lesive del pluralismo.
Legge n. 249/1997 – I limiti antitrust
Ad uno stesso soggetto (o a soggetti controllati o collegati) non possono
essere rilasciate concessioni o autorizzazioni che consentano di irradiare più
del 20% rispettivamente delle reti televisive o radiofoniche analogiche e dei
programmi televisivi o radiofonici numerici, in ambito nazionale, trasmessi
su frequenze terrestri, sulla base del piano delle frequenze.
Poiché le reti televisive erano 9 (cioè le tre RAI, le Tre Mediaset più
Videomusic, Rete A, Telemontecarlo) tale limite causa l’eccedenza di una
rete Rai e di una rete Mediaset).
L’Autorità può però transitoriamente stabilire un limite diverso (il periodo
transitorio, però, si è protratto indebitamente).
Le emittenti televisive e radiofoniche sono soggette a limiti per la raccolta di
risorse economiche derivanti dalla pubblicità (vedi slide successiva).
L’Autorità vigila sul rispetto di tali limiti e riferisce periodicamente al
Parlamento circa la loro adeguatezza.
Legge n. 249/1997 – I limiti alla raccolta di risorse economiche
Nessun singolo soggetto operante a livello nazionale (Tv via etere, via
cavo, va satellite o radio) può detenere più del 30% delle risorse
economiche complessive del settore (derivanti da canone di abbonamento
per il servizio pubblico, pubblicità, televendite, sponsorizzazioni).
Se lo stesso soggetto opera contemporaneamente nel settore radiotelevisivo
e della stampa, il limite scende al 20% e il paniere delle risorse comprende
anche la vendita e gli abbonamenti di quotidiani e periodici.
Una stessa concessionaria di pubblicità non può raccogliere più del 30%
delle risorse economiche derivanti dal settore radiotelevisivo.
Se essa è legata da un rapporto di controllo/collegamento con un titolare di
concessione o autorizzazione radiotelevisiva ed opera per esso in esclusiva,
può raccogliere risorse anche per altri soggetti, ma solo in ambito locale.
L’Autorità può fissare per un periodo transitorio limiti diversi (il periodo
transitorio, però, si è protratto indebitamente).
Limiti antitrust: leggi Mammì e Maccanico a confronto
Legge 223/1990
Legge 249/1997
Uno stesso soggetto può essere titolare di max 3
concessioni/autorizzazioni in ambito nazionale
(max il 25% delle reti).
Non più del 20% delle reti televisive nazionali (cioè
max 2 reti) ad uno stesso soggetto.
Non più del 30% delle risorse complessive del
settore radiotelevisivo (oppure radiofonico) in
ambito nazionale ad uno stesso soggetto (canone,
pubblicità, televendite, sponsorizzazioni)
Non più del 20% delle risorse complessive del
settore radiotelevisivo e di quello editoriale
(quotidiani e periodici) ad uno stesso soggetto.
Però il limite sale al 25% se tali risorse
costituiscono i 2/3 dei suoi introiti complessivi.
Non più del 20% delle risorse complessive del
settore radiotelevisivo/radiofonico e di quello
editoriale (quotidiani e periodici) ad uno stesso
soggetto.
Una concessionaria di pubblicità può raccogliere
pubblicità per max tre reti nazionali, oppure due
nazionali e tre locali, oppure una nazionale e sei
locali.
Una concessionaria di pubblicità può legarsi in
esclusiva solo ad un soggetto in ambito nazionale.
Oltre a questo può raccogliere pubblicità solo in
ambito locale.
Una singola concessionaria di pubblicità non può
raccogliere, nei settori radiofonico ovvero televisivo,
risorse economiche superiori al 30% delle risorse
complessive (20% se si considera la somma di TV +
stampa).
Legge n. 249/1997 – La TV via satellite e la piattaforma digitale
Come la TV via cavo, anche quella via satellite è soggetta ad un regime
di autorizzazione (non concessione).
Alla TV via satellite (come anche a quella via cavo e via etere) si
applicano i predetti limiti antitrust.
Uno stesso soggetto può avere solo una concessione su frequenze terrestri
in ambito nazionale per la trasmissione di programmi televisivi in forma
codificata (pay-TV). Se ne possiede di più, le reti eccedenti devono
spostarsi entro il 30 aprile 1998 su cavo o satellite.
In via transitoria, le reti eccedenti potevano continuare le trasmissioni su
frequenze terrestri anche oltre tale data, a condizione che operassero
simultaneamente su cavo o satellite. La transizione definitiva al
cavo/satellite sarebbe avvenuta entro un termine deciso dall’AgCom.
(segue ...)
(segue)
Inoltre, in deroga alle regole antitrust, si consente alla concessionaria del
servizio pubblico radiotelevisivo (RAI) e di telecomunicazioni
(Telecom) la possibilità di partecipare ad un’unica piattaforma digitale (la
possibilità di ricevere con un unico decoder trasmissioni via cavo, via
satellite e analogiche codificate), creando un’unica società associandosi
anche con altri operatori di comunicazione, purché la piattaforma sia
aperta all’utilizzo di chi ne faccia richiesta.
L’intento di questa disposizione era quello di favorire la nascita di un
unico grande operatore di televisione digitale, con capitale a maggioranza
italiana.
Tuttavia, le lunghe trattative intercorse fra RAI e Telecom non sono
andate a buon fine e quindi si è avuta la creazione di due distinte
piattaforme: RAI-Telepiù (dal 1991) e Stream dal 1996 (Telecom
azionista al 50%).
(segue ...)
(segue)
Con il d. l. n. 15/1999 sono stati posti dei limiti per l’acquisto dei diritti
per la trasmissione criptata di eventi sportivi (max 60%) e l’obbligo di
decodificatore ad interfaccia comune.
Successivamente, nel 2002, Rupert Murdoch (già azionista di Stream con
la società Newscorp) ha acquistato Telepiù dando vita a SKY (Newscorp
ha l'80,1% del pacchetto azionario, mentre Telecom il rimanente 19,9%).
La Commissione europea ha autorizzato l’operazione di fusione sulla
base dello stato di insolvenza di Stream (la c. d. “eccezione dell'impresa
in stato di insolvenza”): Stream sarebbe uscita dal mercato senza il
“salvataggio” da parte di Newscorp.
La condizione era che Newscorp doveva garantire l'accesso alla propria
piattaforma a eventuali altri concorrenti satellitari ed offrire tutti i servizi
relativi a condizioni eque e ragionevoli. Inoltre, i film di grande richiamo,
le partite di calcio e gli altri diritti su eventi sportivi dovevano essere
disponibili e contendibili sul mercato.
Legge n. 249/1997 – L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
Sostituisce la precedente figura del Garante ed è un organo collegiale.
Si cerca di sottrarre la regolamentazione del settore della comunicazione
ai condizionamenti politici e di affidarlo ad una Autorità indipendente,
che operi nel rispetto dei principi fissati dalla legge stessa.
Con l’istituzione dell’Agcom, la regolamentazione della concorrenza nel
settore delle comunicazioni è sottratta all’Autorità garante per la
concorrenza ed il mercato (l. 287/1990).
L’Agcom è un vero e proprio organo di governo delle comunicazioni, ed
ha poteri consultivi, di proposta, di regolamentazione, di controllo,
paragiudiziali e sanzionatori.
Contro le decisioni dell’Agcom è ammesso ricorso giurisdizionale al
TAR.
La composizione dell’AgCom
8 membri (ma dal 2012 solo 4) eletti metà dal Senato e metà dalla Camera dei deputati.
Ciascun deputato o senatore può indicare solo 2 nominativi.
Presidente (attualmente Angelo Maria Cardani) nominato dal Capo di Stato su proposta del
Presidente del Consiglio, di concerto con il Ministro per le comunicazioni, previo parere
delle competenti commissioni parlamentari espresso a maggioranza dei 2/3.
Sono organi dell’Agcom:
- Presidente
- Consiglio (Presidente + 4 membri)
- Commissione per infrastrutture e reti (Presidente + 2 membri)
- Commissione per servizi e prodotti (Presidente + 2 membri)
Il mandato dei membri dell’AgCom è di sette anni, non rinnovabile. Esiste piena
incompatibilità con altre cariche o uffici, che si estende anche ai 4 anni successivi alla
cessazione della carica.
L’AgCom ha un proprio ruolo organico di personale dipendente nei limiti di 260 unità.
Non dispone di entrate proprie, ma è finanziata da fondi pubblici (circa 20 milioni di euro
annui). Però nel 2006 il contributo pubblico è stato ridotto a 3 milioni di euro ed è stato
imposto il contributo da parte dei soggetti controllati fino al 2 per mille del loro fatturato.
I poteri dell’AgCom
Approvazione del piano nazionale delle frequenze (entro il 1° gennaio
1998) e rilascio di nuove concessioni private entro il 30 aprile 1998.
Termini non rispettati!
Vigilanza sul contenuto dei programmi e della pubblicità. Controllo
dell’applicazione delle regole in materia di diritto d’accesso, di
informazione/propaganda politica, di par condicio. Vigilanza sulla tutela
dei minori.
Vigilanza sul rispetto da parte della RAI degli indirizzi formulati dalla
CPIV.
Rilevazione degli indici di ascolto.
Controllo sul rispetto delle regole antitrust.
Tenuta del Registro degli Operatori delle Comunicazioni (ROC)
Verifica dei bilanci degli operatori iscritti al ROC.
(segue ...)
(segue)
Poteri consultivi e di regolamentazione del funzionamento delle
infrastrutture e delle reti.
Vigilanza e regolamentazione del sistema delle telecomunicazioni
(interconnessione, accesso, sicurezza, servizio universale).
Accoglimento di denunce presentate da qualunque soggetto, portatore di
interessi pubblici o privati, nonché dai portatori di interessi diffusi costituiti
in associazioni o comitati.
Soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra
utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di
licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro.
Applicazione di sanzioni amministrative.
Una valutazione sull’operato dell’AgCom
E’ stata più attiva e incisiva nel campo delle TLC che nel settore RTV.
Il controllo dei limiti antitrust è stato effettuato per la prima volta a metà
del 2000 e successivamente solo nel 2003. Alla vigilia dell’approvazione
della legge Gasparr,i ha emanato una delibera in cui diceva che il duopolio
RAI-Mediaset semplicemente prefigurava un abuso di posizione
dominante.
E’ stato scarso anche il controllo sui limiti di affollamento pubblicitario
orari e giornalieri.
Le sanzioni amministrative non sono comunque abbastanza elevate da
costituire un efficace deterrente.
Manca un controllo sistematico di ufficio: l’AgCom si attiva
prevalentemente sulla base di denunce e segnalazioni.
(segue ...)
(segue)
Anche il controllo sul pluralismo politico è inefficace: mancano rilevazioni
sistematiche delle presenze televisive dei principali esponenti politici.
Le attuali modalità di finanziamento mettono l’autorità di controllo alla
mercè dei soggetti controllati.
L’UE in vari rapporti sulle autorità nazionali di controllo e
regolamentazione ha sottolineato la scarsa indipendenza politica
dell’AgCom italiana per via della nomina parlamentare dei suoi membri e
di quella ministeriale del Presidente.
I Comitati regionali per le comunicazioni
Hanno sostituito i precedenti Co.Re.Rat.
La legge 249/1997 riconosce le esigenze di decentramento sul
territorio, al fine di assicurare le necessarie funzioni di governo,
garanzia e controllo in tema di comunicazione (art. 1 comma 13).
A tal fine prevede i Co.Re.Com, che sono funzionalmente organi
dell’AgCom, la cui istituzione è demandata a leggi regionali. Essi
sono organi di consulenza in materia di comunicazione e
informazione televisiva.
Ad oggi sono stati istituiti Co.Re.Com. in tutte le Regioni.
Nel 1999 l’AgCom (delib. 52 e 53) ha stabilito che essi sono titolari
di funzioni proprie attribuite loro per legge e di funzioni delegate
dall’AgCom sulla base di apposite convenzioni di durata triennale.
(segue)
I Comitati regionali per le comunicazioni (segue)
Le prime convenzioni in via sperimentale (2003) prevedevano cinque
deleghe:
1) vigilanza in materia di tutela dei minori;
2) sondaggi;
3) disciplina antitrust nel campo dell’editoria (poi cancellata dalla legge
112/2004);
4) tutela del diritto di rettifica;
5) conciliazione delle controversie nel settore delle comunicazioni.
Nel 2007, terminata la fase sperimentale, sono state aggiunte nuove deleghe:
1) tenuta del ROC (vedi slide successiva);
2) monitoraggio radiotelevisivo in ambito locale
3) soluzione di controversie tra utenti e operatori delle comunicazioni.
Il ROC
L’Agcom (ora i Co.re.com) tiene il Registro unico per gli operatori della
comunicazione (ROC) che ha inglobato il Registro nazionale della
stampa e il Registro nazionale delle imprese radiotelevisive detenuti, a
suo tempo, dal Garante per la Radiodiffusione e l'Editoria.
Sono tenuti ad iscriversi al registro:
i soggetti esercenti l'attività di radiodiffusione;
le imprese concessionarie di pubblicità;
le imprese di produzione o distribuzione di programmi
radiotelevisivi;
le imprese editrici di giornali quotidiani, periodici o riviste;
le agenzie di stampa di carattere nazionale;
i soggetti esercenti l'editoria elettronica e digitale;
le imprese fornitrici di servizi di telecomunicazioni e
telematici.
Fine
Grazie per l’attenzione!