Scarica la sintesi a I Colloqui Fiorentini 2010

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Sintesi IX edizione Colloqui Fiorentini.
Giacomo Leopardi “Desiderii infiniti, visioni altere, pensieri immensi”
Un’impossibile riduzione a schemi precostituiti
La prima scoperta maturata ai Colloqui Fiorentini, dopo tre giorni di incontro e di lavoro è una
vera e propria sorpresa: una cultura ed una scuola che hanno a che fare con la vita; una umanità, la
nostra, che abbiamo sentito svelata nell’incontro con un altro uomo, Giacomo Leopardi e le sue
parole.
“Desiderii infiniti, visioni altere, pensieri immensi”: questo è l’uomo, questo è stato Leopardi.
I lavori dei tre giorni della nona edizione dei Colloqui Fiorentini sono stati una involontaria rivolta
nei confronti della pretesa di studiare e approcciare il poeta recanatese secondo categorie riduttive,
che riducono Leopardi alla sua condizione psico-fisica precaria, alla condizione familiare, sociale
e culturale nella quale visse; e la sua opera alle categorie filosofico-letterarie di neoclassicismo,
romanticismo, sensismo, materialismo, nichilismo, pessimismo, progressismo.
Leopardi stesso era consapevole di questo tentativo riduttivo della sua proposta poetica e tentò di
preservarsene.
Occorre quindi prendere sul serio le domande che il poeta si e ci pone e tentare di rispondervi,
tentare assieme a lui il cammino di conoscenza del senso ultimo dell’esistenza.
Testi di riferimento:
- Carlo Tenca, dal Crepuscolo, 1851
- Lettera a Luigi De Sinner del 24 maggio 1832
- A Silvia, Canti
- Le Ricordanze, Canti
- Aspasia, Canti
- S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo Pisa, Nistri-Lischi 1965
Il criterio di giudizio di ogni esperienza umana è la felicità
Nello Zibaldone Leopardi elabora la famosa teoria del piacere. Ma è interessante notare che, se il
termine piacere viene equiparato al termine felicità, subito però si svela come nessun piacere sia
sufficiente a colmare il desiderio del cuore dell’uomo, mentre resta la promessa di felicità. Questo
è il punto decisivo dell’esperienza di Leopardi: il piacere innesca una traiettoria che evade dai suoi
confini e svela una natura umana proiettata oltre il finito. Dal piacere alla felicità. In base al
criterio di felicità Leopardi giudica la validità di ogni proposta, di ogni tentativo, politico, sociale,
economico, filosofico, morale, di risposta al problema dell’uomo.
Sotto i colpi di questa domanda di felicità crollano uno dopo l’altro nella vita di Leopardi il mito
del progresso, della ragione, della scienza, della Natura, ma anche ogni riconosciuta virtù umana:
la gloria, l’onore, la virtù, la sapienza, l’amor patrio.
Resta il desiderio di felicità, come una chiamata ad inoltrarsi nella vita con gli occhi spalancati.
Testi di riferimento:
- Zibaldone 165
- Operette morali, Dialogo di Timandro e di Eleandro.
- Lettera a Fanny Targioni Tozzetti del 5 dicembre 1831
- Lettera ad André Jacopssen del 23 giugno 1823
La bellezza: strada per la felicità
Ma che cosa ha innescato in Leopardi la percezione di una felicità infinita per cui egli si sente
fatto? La bellezza, in ogni forma in cui si manifesti.
È la bellezza la cifra dell’esistenza, è l’esperienza che innesca in Leopardi il cammino alla
scoperta dell’ampiezza del suo cuore e della sua esigenza di felicità. E l’orizzonte di questo
desiderio si palesa a mano a mano infinito. Non raggiungibile da alcun tipo di piacere, non
esauribile da alcun oggetto posseduto.
È in questo insistito paragone fra il desiderio del cuore e ciò che la realtà propone come risposta
che nasce il dramma dell’uomo.
Dal crollo di ogni certezza, di ogni riconosciuto bene, che manifesta la sua insufficienza, nasce in
Leopardi la percezione che niente nella vita e nella realtà possa appagare il suo desiderio di
felicità. Ecco che il pensiero nichilista nasce in seconda battuta; nasce innanzitutto dall’esperienza
della bellezza che gli induce l’attesa di una felicità infinita, non corrisposta.
Testi di riferimento:
- Canti, Ultimo canto di Saffo,
- Canti, Sopra il ritratto di una bella donna
- Operette morali, Storia del genere umano
Un nulla “relativo”
Il nulla Leopardiano è, dunque, un nulla “relativo”, cioè è la denuncia dell’insufficienza della
realtà come risposta al desiderio infinito di felicità del cuore. Il sentimento del nulla è il supremo
testimone non del niente, ma dell’esistenza di qualcosa d’altro, infinito, che il cuore brama.
Il problema di Leopardi non è infatti la morte, non è la fine del tempo. Tant’è che in vari momenti
della sua vita egli si augura la fine precoce; argomenta la liceità del suicidio; dichiara di aspettare
con ansia la morte per non avere a invecchiare; la chiama sorella dell’amore.
La morte è avvertita tragicamente quando determina la perdita della bellezza e della speranza:
quando strappa ciò che di caro l’uomo possiede, ma quando sembra poter concedere maggiore
spazio alla bellezza, allora la morte è attesa ed accettata.
Si torna sempre dunque alla questione della bellezza e dell’insufficienza delle cose. È un nulla
dunque che paradossalmente anziché annientare ogni moto del cuore, rinvigorisce il desiderio, lo
fa ardere con maggiore passione e lo proietta oltre il limite del mondo.
È la traccia della bellezza e della felicità nel mondo che sostanzia la riflessione di Leopardi e che
motiva la sua speranza.
Testi di riferimento:
- Pensieri, LXVIII
- A se stesso, Canti
- Zibaldone 2936-2937, 10 luglio 1823
- Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Canti
- Amore e morte, Canti
- Dialogo di Plotino e di Porfirio, Operette morali
- A Silvia, Canti
- Le ricordanze, Canti
- Alla sua donna, Canti
- Zibaldone 29
- Zibaldone 151-152, 4 luglio 1820
“All’apparir del vero…”. Il disinganno e l’immaginazione
Ma è pur vero che la realtà sembra non corrispondere al desiderio di felicità.
Quanto più il desiderio di felicità infiamma il cuore spalancandolo ad un orizzonte infinito, tanto
più la realtà sembra precipitare l’uomo nel fango. Dinanzi alla delusione sistematica di ogni
promessa si fa largo nell’animo di Leopardi la disillusione.
Cosa resta del presentimento originale di infinito, che appare così contraddetto dall’esperienza del
limite? Come salvarlo?
Leopardi intravede una possibile via di fuga nell’immaginazione.
L’immaginazione è un termine limite fra la realtà e la finzione; fra la possibilità di cogliere nel
dato finito del reale il segno dell’infinito e invece la capacità della mente umana di creare una
seconda dimensione da sovrapporre a quella reale, nella quale illudersi dell’infinito che non c’è.
Inizia la scissione tra illusione, in cui racchiudere il desiderio di infinito, e l’ “arido vero”. Il
pensiero di Leopardi sembra sbilanciarsi in questa seconda accezione, stando a quanto emerge da
vari passi dello Zibaldone.
Tuttavia nella sua poesia resta una ambiguità non risolta che lascia aperta la questione e resta forte
la precedenza della realtà sulla finzione.
Eppure il tempo passa, la giovinezza sfiorisce e ormai la ragione è disingannata; ed allora resta
l’immaginazione, come unico rifugio per continuare a partecipare di una dimensione infinita, cui il
cuore anela. Se la realtà non mantiene la promessa di felicità, l’immaginazione se ne assumerà il
compito, tenterà di esserne il surrogato.
Testi di riferimento:
- Sopra il ritratto di una bella donna, Canti
- L’infinito, Canti
- Le ricordanze, Canti
- Zibaldone 4418
Una nuova esigenza di realtà
Ma il percorso umano di Leopardi – e qui sta tutta la sua originalità e grandezza – si sviluppa
sempre accompagnato dal lucido giudizio della ragione, che, nonostante sia indicata dal poeta
come nemica del genere umano, è da lui supremamente amata e sistematicamente esercitata, pur
nelle ristrettezze di orizzonti in cui la concezione illuministica l’aveva ridotta.
Il poeta avverte così tutta l’insufficienza dell’illusione come possibile alternativa alla realtà e si
sente portato a cercare altre vie. Il ciclo di Aspasia è una lucida riflessione sul rapporto tra realtà e
illusione e sul fallimento dell’immaginazione come surrogato della realtà.
Si fa urgente in Leopardi l’esigenza di verità, di realtà. Occorre che ciò che egli si figurava oltre i
monti, oltre il mare, oltre la siepe sia incontrabile nella realtà, qui ed ora.
Testi di riferimento:
- Alla sua donna, Canti
- Il pensiero dominante, Canti
L’amore è la legge del rapporto con l’infinito
Leopardi intuisce che l’unica forma possibile di rapporto tra l’infinito e l’uomo è l’amore.
E l’amore è un’esperienza di cui non solo Leopardi avverte l’urgenza, ma che gli accade! Certo, è
un’esperienza che presto decade nell’ennesima delusione, ma per la forza di quei pochi momenti si
può accettare il peso di un’intera vita ed in quell’esperienza di apre la porta su un mondo altro,
sperimentato. È questa una inconsapevole, clamorosa smentita dell’immagine d’amore come
illusione, come fola: non esiste nessun “arido vero”, nessun “vipereo morso” che resista
all’affermarsi travolgente di un’esperienza umana, reale, sperimentata e totalizzante. Mentre
nell’immaginazione il piacere infinito abitava nel ricordo passato o, più raramente, nell’attesa del
futuro, nel ciclo di Aspasia l’amore è un presente, che giustifica e dà senso al passato e rende forti
nell’affrontare il futuro, facendo addirittura dileguare il pensiero della morte.
Inoltre Leopardi nell’amore fa esperienza di qualcosa che non può essere prodotto
dall’immaginazione. Nell’immaginazione ci può essere tutto, tranne una cosa: lo stupore, la
sorpresa di una novità che riempie il cuore di meraviglia.
La realtà torna ad essere il luogo della ricerca della felicità.
E così, proprio mentre ideologicamente Leopardi denuncia una parabola discendente - dalla
speranza alla disillusione, dalla promessa all’ “abisso orrido”- con una impressionante frequenza,
con un’intermittenza sistematica, irrompe una luce nuova, diversa, altra rispetto agli elementi
filosofici messi in campo da Leopardi, ma che ha una forza tale da sorpassarli, in aperta
contraddizione; senza, a quanto pare, che Leopardi possa contenerla e farla coincidere col suo
pensiero: il reale continua a manifestare un’attrattiva irresistibile.
Attrattiva che, mentre induce all’incontro con la realtà, contemporaneamente riaccende quel
desiderio di infinito che nella realtà si annuncia, ma non si riesce ad incontrare e richiama ad altro,
ad oltre. È la percezione del mondo come segno di una realtà più profonda, più vera, più bella.
Testi di riferimento:
- Storia del genere umano, Operette morali
- Il pensiero dominante, Canti
- Aspasia, Canti
- Pensieri LXXXII
- Alla sua donna, Canti