INTERVENTO del prof. LIVERIO CAROLLO per la celebrazione del

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INTERVENTO del prof. LIVERIO CAROLLO per la celebrazione del
INTERVENTO del prof. LIVERIO CAROLLO
per la celebrazione del 70° ANNIVERSARIO della
LIBERAZIONE 1945-2015
ZUGLIANO, 25 Aprile 2015
E’ la prima volta che mi trovo a tenere un discorso per la celebrazione del 25 aprile e
sono contento di farlo qui nel mio comune e tra i miei concittadini.
Ringrazio il Sindaco Maculan Sandro e l’Assessore Cipriano Antonio che mi hanno
invitato.
Settant’anni giusti sono trascorsi dal periodo epico della Resistenza e via via che le
angosce di quei giorni si dissolvono, che le passioni si smorzano e che gli ultimi
partigiani se ne vanno, emergono con limpidezza storica il significato profondo di quel
periodo e i valori che esso portò.
Ma sui valori tornerò tra poco. Prima alcune parole di sottolineatura storica.
Non fu una Resistenza facile quella nostra, qui nell’Alto Vicentino! Tra il 1943 – ’45, qui
si combatté più tenacemente e più a lungo che in qualsiasi altro posto. Infatti la nostra
zona era, per i nazifascisti come per i partigiani, una zona altamente strategica. In
questa zona sboccano da nord le valli del Leogra, dell’Astico, la Val Brenta, il Passo
Vezzena. Da queste valli i nazisti tedeschi ricevevano rifornimenti e per esse, in caso di
bisogno, potevano celermente ritirarsi. Valli quindi che dovevano essere sempre
sfruttabili, libere e non insidiate dagli attacchi partigiani.
Scontri, rastrellamenti, rappresaglie, eccidi sono stati quindi numerosi qui tra montagna
e pedemontana.
Ricordo il feroce rastrellamento di Val Posina e Laghi nell’agosto ’44 che culminò con lo
scontro di Malga Zonta, ricordo ai primi di settembre la battaglia di Granezza con ben
5400 nazifascisti che attaccano e momentaneamente scompaginano le Brigate Mazzini e
Sette Comuni, ricordo il rastrellamento del Grappa con la cupa visione dei patrioti
impiccati lungo il Brenta, e infine lo straziante, insensato eccidio di Pedescala.
Si combatté qui accanitamente fino agli ultimi giorni di quella tragica primavera ’45.
Negli ultimi giorni caddero i comandanti delle formazioni partigiane locali: Silva,
Chilesotti, Carli, Andreetto. Negli ultimi giorni di lotta ricordiamo anche il sacrificio dei
nostri compaesani Simoni Luigi, i due Zavagnin, Pippo e Tonitti, Canale Giuseppe,
caduto a Sarcedo, e la fine di Alfredo Fabris, braccato lungo l’Astico e poi ucciso nei
pressi della Villa Capra di Sarcedo. Era maestro di scuola: chissà quali ideali di libertà e
di giustizia avrebbe passato ai suoi scolari, lui che tanto aveva combattuto per
realizzarli.
Ma alla fine di aprile sono le formazioni partigiane, prima ancora che arrivino gli Alleati,
che premono su Thiene e sui paesi circumvicini e che obbligano i nazifascisti ad
arrendersi, ponendo fine a rappresaglie e dando respiro alla popolazione.
Questo in stringata sintesi ciò che accadde qui da noi 70 anni fa.
Ma chi erano i combattenti della Resistenza qui nelle nostre zone?
Intanto erano ragazzi e ragazze tutti giovanissimi. Io son sempre rimasto sorpreso nel
considerare la loro età. La maggior parte andavano dai 18 – 20 anni. Poco più che
adolescenti diremmo oggi. Nella Resistenza chi aveva 25 – 26 anni era già “vecchio”.
C’erano sì studenti e operai, ma la stragrande maggioranza erano figli di queste
montagne e colline allora ad economia agricola, giovani abituati al duro lavoro del
campo del bosco, delle vacche. Ma anche ragazze e donne il cui impegno come
collaboratrici e staffette, nascondendo patrioti e provvedendo cibo, fu determinante.
Modesto era il loro livello di cultura dei nostri combattenti, non avevano idee politiche
profonde e meditate. Però in quel momento cruciale di scelta non vollero servire il
fascista e il tedesco e dissero no. Dissero no per pochi, ma significativi motivi:
. erano stufi (loro e i loro congiunti) di guerre sanguinose che avevano affamato l’Italia,
guerre insulse, combattute contro gente che nulla ci aveva fatto. Questi giovani
volevano solo lavorare e vivere in pace;
. non sopportavano più l’arrogante , vuota dittatura fascista, resa più feroce dall’alleato
tedesco;
. non volevano collaborare col tedesco, visto come tradizionale nemico. Non si
dimentichi che la nostra area fu zona praticamente di prima linea dal 1916 al 18,
durante la 1 Guerra mondiale e questo ebbe il suo peso.
Non era facile dire di no in quel momento:
. perché non si sapeva quanto la guerra sarebbe durata;
. si accettava di vivere ricercati e braccati con una vita tormentata da ansia e terrore;
. si rinunciava, come militari, a un vestito al vitto, a una paga che non era poco in
quegli anni durissimi;
. ma soprattutto si metteva a rischio i beni, la vita propria e quella dei propri familiari.
Per questo no coraggioso che scelsero di dire in quel frangente essi vanno visti come i
fondatori di questi anni di democrazia e di pace che abbiamo vissuto finora.
Talora, partendo magari da fatti singoli, c’è anche chi esprime critiche verso i
combattenti della Resistenza. Sono accuse ben presenti in passato e che serpeggiano
ancora anche tra la gente comune, Io le ho sentite sin da quando vivevo in famiglia con
i miei, anche voi sicuramente le avete sentite: vendette inopportune, azioni qualche
volta avventate, prelievo forzato di animali e cibarie…
Io non voglio certo far retorica e fare la “santificazione “della lotta partigiana. Certo,
accanto a grande generosità e a coraggio luminoso che, badate bene, di gran lunga
prevalsero, ci sono state anche manchevolezze, le azioni avventate. Questo è la norma
nelle vicende umane dove mai tutto è bianco o tutto è nero. Ma noi, a distanza di
settant’anni dobbiamo andare oltre il caso singolo, dobbiamo valutare la risultante
storica dell’evento resistenziale e guardare a cosa complessivamente portò. Anche nel
corso della Rivoluzione Francese ci furono efferatezze, vendette inaccettabili e sangue
innocente, ma nessuno si sogna di negare che la Rivoluzione francese fu un gigantesco
passo in avanti della civiltà occidentale.
A chi, partendo da qualche singolo fatto, tenta di denigrare la Resistenza ricordiamo
sempre le parole dello scrittore Italo Calvino: dietro il più scalcinato e infido dei
partigiani vi erano gli Alleati, la fine della guerra, la pace, la Costituzione; dietro il più
onesto e coerente dei nazifascisti vi erano le leggi razziali, la dittatura e i campi di
sterminio.
L’azione dei partigiani va onorata, penso io, almeno per quattro motivi.
1- Essi in extremis hanno dato dignità all’Italia.
Quando Alcide De Gasperi si presentò alle trattative di pace con gli Alleati, certo non fu
applaudito, rappresentava un paese sconfitto che aveva scatenato la guerra, ma fu
guardato con rispetto. Perché con rispetto? Perché era un grande statista, un uomo di
elevata statura morale che aveva carisma già di suo, ma soprattutto perché aveva alle
spalle la lotta partigiana, aveva alle spalle le figure dei Loris, dei Silva, Chilesotti dei
Brandellero, dei Fabris.
2- Dallo spirito della Resistenza nacquero la Costituzione Italiana e la nostra
democrazia.
La Resistenza è stata, per il momento, l’ultimo capitolo della realizzazione della nostra
democrazia. L’acquisizione di questo concetto e la sua pratica applicazione non sono
cose da poco né facili. E’ un processo tormentato che da noi dura da 2500 anni. Inizia
dalla Grecia di Pericle, si nutre del messaggio cristiano, tocca l’epoca dei Comuni,
interseca l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, giunge al nostro Risorgimento,
assorbe i principi del socialismo di fine ‘800; il concetto di democrazia fu infine
perfezionato dal movimento di Resistenza che disse no alle dittature e alle pretese di
certi popoli di essere geneticamente superiori ad altri.
Non disprezziamo quindi questa democrazia che abbiamo, pure se imperfetta e
manchevole. Essa ci è costata tempo e dolore. Si è sedimentata lentamente nel corso
dei secoli. Per questo è merce preziosa e non è esportabile così sui due piedi. Quanto
sciocca e tragica è stata recentemente la pretesa di imporla a certi paesi arabi col
dispiegamento di truppe e il volo di bombardieri!
3- La Resistenza, oltre ad avere come frutti la Costituzione e la democrazia, fu anche
una affermazione di pace. Coloro che, uomini e donne, combatterono e soffrirono lo
fecero anche per la pace.
Nel 1944-45 eravamo in guerra con tre quarti di mondo. Non se ne poteva più. I
giovani si diedero alla guerriglia anche per questo. Noi, anche sulla scorta del loro
sacrificio, abbiamo vissuto finora settant’anni di pace! Un fatto quasi incredibile, vista la
storia europea. E spesso non ce ne rendiamo conto. Siamo nati nella pace e pensiamo
che sia un bene, acquisito, garantito una volta per tutte. Invece è un bene fragile,
volatile che va difeso settimana per settimana, mese per mese. Quanto sia prezioso ce
ne accorgiamo in questi giorni in cui nembi di bufera si avvicinano ai confini europei in
Nordafrica e in Ucraina. La pace è come l’acqua, ci accorgiamo che è preziosa quando
scarseggia o viene a mancare.
La pace va difesa con la solidarietà, gettando ponti e dialogando anche con queste
nuove culture che oggi ci stanno accanto e che vengono da lontano, sfidando le onde
del mare e soprattutto il cinismo ingordo dei nuovi negrieri. Sia chiaro che nel mirare
all’integrazione punto di riferimento sono sempre i principi della nostra Costituzione ai
quali mai dobbiamo rinunciare. Quello con gli immigrati è un dialogo necessario quanto
difficile e non scontato che spesso turba, lo so, il vostro animo e anche il mio. Ma non
c’è alternativa al dialogo. E’ questa la sfida più grossa, a mio parere, che la nostra
Repubblica si trova ad affrontare dal dopoguerra in poi.
La pace si difende ancora con l’educazione dei piccoli, in famiglia, a scuola, nei gruppi,
ma non a parole, bensì con impegno ed esempi concreti. I piccoli credono in quello che
vedono, non in quello che si dice. La pace va costruita con fatica! Non c’è il DNA della
pace, come non c’è il DNA della democrazia o della giustizia. Il piccolo quando nasce è
pagina bianca. Puoi scriverci su quello che vuoi. Può diventare un medico missionario
quanto un fautore della guerra.
4- I giovani e le giovani che fecero la Resistenza erano giovani non solo di
pace, ma anche con speranza nel futuro. Sono poi quelli che hanno dato avvio alla
ricostruzione, al boom economico e al decollo del nostro paese. E speravano, e nel
mentre si davano alla guerriglia scommettevano nel futuro. Non c’è infatti cambiamento
se non c’è speranza. Non c’è mai stato un grande uomo, un rivoluzionario, esploratore,
missionario, un ricercatore che non sia stato un ottimista, cioè un uomo di speranza. E’
la speranza la benzina che muove l’operare.
Anche noi oggi dobbiamo sperare. E’ vero che nella nostra società sono diffusi privilegi
di casta, mafie, cialtronerie, evasione fiscale, corruzione, elementi che hanno
contribuito a creare l’enorme debito che abbiamo e che rendono più pesante la crisi
economica in atto, ma chi compie le cialtronerie è sempre una minoranza. Per ogni
disonesto truffaldino ci sono dieci onesti che lavorano con coscienza e che si mettono
pazientemente in fila agli uffici postali per pagare le tasse, che dedicano tempo al
volontariato e al servizio sociale. Solo che questi non fanno audience e non cadono mai
sotto l’occhio delle telecamere. Il furto è la truffa fanno audience e allora pare che tutto
sia marcio. E allora di fronte a qualcosa che va male si sente sempre la solita frase tetra
e rassegnata: ”Cossa vuto... semo in Italia”. Basta con questa sfiducia a priori. Questa
ci impedisce di sfruttare le grandi potenzialità che noi italiani abbiamo in termini di
intelligenza, di iniziativa, di cuore, di solidarietà, di storia e di cultura. Caratteristiche
per le quali non siamo secondi a nessuno.
Impegnarci onestamente nutrendo speranza, anche questo è il messaggio e l’invito che,
a distanza di 70 anni, ci passano i nostri partigiani.
Saluto del Sindaco, Sandro Maculan
Ringrazio il prof. Liverio Carollo per la passione con cui studia e trasmette non solo la
storia locale, le bellezze artistiche e naturalistiche del nostro territorio ma anche le
storie e i racconti della nostra gente. Un pensiero va ai protagonisti, uomini e donne che
hanno vissuto le tragiche vicende della dittatura prima e della guerra poi. Non posso qui
non ricordare l'alpino Marco Zanin che ci ha lasciati pochi mesi fa.
Ringrazio le associazioni d'arma, gli alpini, i consiglieri comunali presenti, don Giovanni,
la Protezione Civile, la Banda e tutti i presenti, giovani e meno giovani.
Ricordo che oggi pomeriggio alle 17, per la prima volta in modo unitario, i sindaci del
nostro distretto sanitario, si ritroveranno presso il teatro comunale di Thiene per la
consegna di un riconoscimento ai deportati dalla Germania che hanno avuto la forza e
la fortuna di tornare. A Zugliano sono rimasti in due: i novantatreenni Santo Artuso e
Giovanni Rubbo.
Concludo con le prime parole della Costituzione italiana. Eredità indelebile lasciata da
chi 70 anni fa ha dato la vita perché potessimo vivere in un paese democratico, libero,
accogliente:
articolo 1 della Costituzione:
“L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità popolare appartiene al popolo
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”
Grazie e buona giornata a tutti