tappa 5 - Comune di Castel d`Ario

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tappa 5 - Comune di Castel d`Ario
TAPPA N. 5
VILLA NUVOLARI
già LA BREDA e CORTE BONIOTTA
L’attuale villa Nuvolari (ora disabitata e in vendita) divenne proprietà del dottor Angelo
Nuvolari, zio di Tazio, circa un secolo fa, quando il futuro campione era appena
ventenne.
Ma nei Registrazione dell’Anagrafe di Castel d'Ario, quando Tazio nasce il 16
novembre 1892 il padre Arturo lo dichiara nato in Frazione Centro, Corte Mantovanelli,
n. 165.
Era infatti l’ingegnere veronese Gaetano Mantovanelli il proprietario di quella corte che
solo vent’anni dopo sarebbe diventata di un membro della numerosa famiglia dei
Nuvolari e Arturo Nuvolari era il conduttore del vasto fondo annesso alla corte.
Ma allora perché ci sono ben tre lapidi a ricordare che Tazio è nato in un altro palazzo,
quello dei nonni paterni Giuseppe Nuvolari e Marianna Gatti (ora Alessi-Longhini)?
Nel 1892, anno natale di Tazio, quest’ultimo palazzo è da quasi un decennio proprietà
della coppia, che ci vive con i due figli più giovani ancora da sposare e che rinnovano
i nomi dei genitori: Giuseppe (nato nel 1871) e Marianna (nata nel 1875).
In base alle testimonianza orale della attuale proprietaria Aurora Alessi, nipote per via
materna di Marianna Nuvolari (la zia più giovane di Tazio), è stata proprio la nonna a
volere la prima lapide, a ricordo di quella nascita che lei ricordava bene essere
avvenuta nel palazzo di famiglia. Sempre Marianna ricordava che non solo il futuro
campione, ma anche gli altri nipoti e anzi spesso i figli stessi già sposati soggiornavano
e a lungo nella casa padronale. Anche lei, sposatasi l’anno dopo la nascita di Tazio e
a lui sopravvissuta (è morta nel 1960) ha continuato a vivere lì e lì ha voluto la prima
targa commemorativa del celebre nipote.
Resta comunque l’altra domanda: perché il padre Arturo ha denunciato all’Anagrafe
che il bambino era nato in corte Mantovanelli e non in palazzo Nuvolari?
Forse è possibile risolvere il “giallo” col buon senso, accettando entrambe le
apparentemente contraddittorie versioni. Probabilmente la moglie di Arturo, Elisa
Zorzi, che aveva già due bambine piccole (Artura di 5 anni e Maria di 2), andò a
partorire in casa dei suoceri per avere aiuto ed assistenza. Ma poiché i coniugi Arturo
ed Elisa abitavano in corte Mantovanelli, la dichiarazione ufficiale di nascita più
opportuna fu ritenuta quella. Tra l’altro, in corte Mantovanelli era già nato 4 anni prima,
il 27 dicembre 1888, un altro figlio della coppia, morto subito dopo. Se poi si considera
che le due sorelline più grandi erano pure nate in due diverse case della Piazza, si
può definire quella di Arturo una famiglia “nomade” che troverà una sistemazione
stabile solo alla corte Ronchesana, dove nasce l’ultima bambina, Carolina, nel 1898
(morirà 4 anni dopo).
Villa Nuvolari è comunque il nome più recente di una storica corte, denominata “la
Breda”, che si trova già in un atto notarile del 1593, conservato presso l’Archivio di
Stato di Mantova. Allora era proprietà dei conti Strozzi: Uberto e la moglie Eleonora
Tassini, che la affittano al parroco don Basilio Ferrari. Il casamento è composto di
casa, fenile, cantina, colombara ed è chiamato appunto la Breda, ma ha lo stesso
nome anche un appezzamento arativo e vignato adiacente a questo. L’appezzamento
con la casa e gli altri stabili confina a nord con la fossa Molinella, a ovest e sud con la
via comune, a est col conte Massimo Di Bagno.
L’anno dopo, 1594, quando muore la contessa Eleonora Tassini Strozzi,
nell’inventario dei beni della sua eredità figurano due pezze di terra denominate Breda,
ma nessuna delle due è definita casamentiva.
Nel 1669, nella cartina conservata presso l’archivio di Stato di Verona, il palazzo è
raffigurato quasi con la fisionomia attuale: un corpo centrale sopraelevato, affiancato
da due ali laterali più basse. Inconfondibile il cancello d’ingresso alla corte, con i due
pilastri laterali sormontati da un capitello a punta. La didascalia recita: Corte dell’Ill.mo
Sig. Baron Morando. Nella spiegazione che accompagna la cartina, si legge che il
proprietario, barone Pietro Morando, aveva acquistato quella corte di Castellaro dagli
eredi del marchese Guerini. Acquisto avvenuto solo un anno prima, come attesta l’atto
notarile del 6 giugno 1668 conservato presso l’Archivio di Stato di Mantova. Quindi la
proprietà era passata, almeno, da Strozzi a Guerini e poi da Antonio Guerini a Pietro
(o Pirro) Morandi, (o Morando).
Nel 1687, nella cartina disegnata da Doriciglio Moscatelli Battaglia (e pure conservata
presso l’Archivio di Stato di Mantova), il casamento risulta frazionato in un palazzo
principale con dietro la torre della colombara e tre corpi di casette ubicate alla destra
dell’ingresso. La corte è detta “Corte dell’Ill. Sig.r Boniotti”; però una precisazione,
nella riga superiore del foglio, chiarisce che si tratta di un errore: «Dove è nominato il
Sig.r Boniotti, s’intendono le SS.re sorelle heredi Morande, che così lo posi per non
essere informato».
Ed in effetti, la suddivisione dell’eredità del barone Morando tra le cinque figlie
femmine: Maddalena, Laura, Anna Isabella, Eleonora, Francesca Maria (tutte sposate
a nobili), avviene l’anno dopo, nel 1688. Ma il fatto che lo scrupoloso Moscatelli abbia
disegnato con precisione la corte denominandola del signor Boniotti, può solo indicare
che già da prima della spartizione la maggiore delle sorelle, Maddalena, che aveva
sposato il conte Gio Boniotti, vi abitava con il marito. Per questo è possibile che i due
coniugi se ne ritengano già proprietari, poiché in seguito – e per oltre un secolo - la
corte continua a essere chiamata Boniotta ed è proprietà degli eredi Boniotti.
I nomi di corte Breda e corte Boniotta si alternano nel tempo. Ad esempio, nelle cartine
del Catasto Lombardo-Veneto, redatte per Castel d'Ario nella prima metà
dell’Ottocento, ritorna l’antica denominazione di “la Breda”. Ma nel censimento 1911,
si nomina la corte Boniotta.
Nel 1731 lo stabile appartiene ai due fratelli Boniotti: Carlo Antonio e Diaspe, metà per
ciascuno. In quell’anno il primo (forse non sposato o comunque senza eredi diretti)
nomina erede della sua metà il nipote Gio Carlo Boniotti, figlio del fratello Diaspe.
Nel 1763 Gio Carlo Boniotti risulta unico proprietario della corte. Quell’anno vende un
pezzo di terra di 22 biolche e mezza, adiacente alla corte, e pure nominata La Breda,
ad Antonio Battistoni. Ma qualche anno dopo, e comunque entro il 1768, in una mappa
dell’Archivio Gonzaga di Mantova raffigurante il corso della Molinella, dalla parte
opposta alla corte, figura la “Risara del Sig. Girolamo Boniotti” (forse fratello, o figlio
di Gian Carlo).
Antonio Battistoni, per i Boniotti, era uno di casa.
Nel 1749 aveva rappresentato il conte Diaspe presso il nuovo vescovo di Trento per il
giuramento cui erano tenuti i notabili castellaresi.
Nel 1776 tale procura è fatta al figlio di Antonio, Giovanni Battistoni, che a Trento
rappresenta sia Gio Carlo Boniotti, sia Giuseppe Serenelli: quest’ultimo probabilmente
discendente di un’altra sorella Morandi, Laura, che aveva sposato il nobile Benedetto
Serenelli.
Nel 1779, sia Boniotti che Serenelli figurano in un elenco di possidenti castellaresi che
però non abitano in paese (ma a Verona) e forse tra i vari altri nobili veronesi che qui
hanno terre ci sono i discendenti anche delle altre tre sorelle Morandi.
Pian piano la corte passa dai fratelli Boniotti ai fratelli Battistoni.
Nel 1781 Giovanni Battistoni ha in affitto la Boniotta dal nobile Gio Carlo Boniotti.
Nel 1796 Giovanni Battistoni e i fratelli Agostino, Francesco e Antonio, che sono
conduttori della corte Boniotta, acquistano 4 biolche e 66 tavole tra via Fuori e la corte
stessa dai nobili fratelli Boniotti (sarà poi il “prato della Fiera”).
Nel 1798 i fratelli Battistoni acquistano tutto il fondo, di 140 biolche, compresa la corte
Breda. Eccone la descrizione. La ‘fabbrica’ è «una casa dominicale, oggidì
d’abitazione de’ bifolchi, consistente in una sala, e quattro camere laterali due per
parte, tutta salciata, e solerata con granaio sopra, ma il tutto in cattivo stato, in un
camerino contiguo alla stessa fabbrica verso mattina per uso degli uomini dell’ara, con
due polaj, porcile, pozo, stalla di mattone ed un canevone con forno e verso sera una
barchessa di tre occhj salciata, con aja da risi davanti ed in fondo a detta aja verso la
Strada Postale una stalla e fenile da bovi con portico di quattro occhj, tutta però
rovinata e prossima a cadere».
La descrizione corrisponde alla raffigurazione della corte sulla carta catastale del
Lombardo-Veneto del 1844-47, dove il corpo principale del casamento si allunga in un
portico a tre arcate nell’ala verso il paese, mentre dall’altra parte del palazzo c’è solo
una leggera sporgenza. Staccata dall’immobile principale e più vicina alla strada c’è
ancora la stalla con un portico a quattro occhi.
Nel 1810 avviene la suddivisione tra gli eredi di Giovanni Battistoni, morto due anni
prima e la proprietà Boniotta risulta tra i beni spartiti tra i maschi: i due figli di Giovanni,
Benedetto e Pietro; e i due fratelli superstiti Agostino e Antonio (mentre le due figlie
femmine, entrambe sposate, ricevono la loro parte in denaro e capitali fruttiferi.
Nel 1851, la corte viene denominata corte Grigolli perché abitata dai fratelli Grigolli,
nipoti di Agostino Battistoni in quanto la sua unica figlia Anna Maria, ha sposato nel
1820 Paolo Grigolli e da lui ha avuto due figli maschi, Giacomo (1824-1883) e Cesare
(1826-96, che sarà per 9 anni il primo sindaco di Castel d'Ario dopo l’unità d’Italia e
nonno del pittore Poldo).
Quando la figlia di Giacomo Grigolli, Virginia, che nel 1862 ha sposato Sante Barozzi,
viene (o resta) a vivere in quella corte col marito, la corte si chiama corte Barozzi
I nomi di questi e dei successivi proprietari sono riportati fra l’altro sui manifesti della
Fiera d’Agosto in quanto è proprio nel prato adiacente alla corte in direzione del paese
(e cioè nel rettangolo di terra compreso tra il palazzo a est, la Molinella a nord, via
Fuori – ora via Vittorio Veneto - a ovest e la piazza a sud) che si svolgeva la Fiera del
bestiame e il Comune stipulava con i rispettivi proprietari il contratto, annuale o
pluriennale. Ero lo spazio ideale, data l’abbondanza d’acqua nei fossi che recintavano
da tre lati il prato e per accedervi il Comune si accollava ogni anno la spesa di un
ponte di accesso in legno, costruito e collaudato in piena regola.
Dopo Barozzi, il prato risulta appartenere all’ingegnere Gaetano Mantovanelli dal 1881
al 1897, poi a Ulisse De Marchi (allora sindaco del paese) dal 1898, al Albano Morelli
dal 1904 al 1907.
Dal 1909 al 1913 il fondo è condotto da Giuseppe Nuvolari, fratello – tra gli altri - di
Angelo Nuvolari, medico, che ne è proprietario almeno dal 1912.
Ma dopo il primo conflitto mondiale non ci sarà più bisogno di prenotare il prato per la
Fiera, perché la sezione Bestiami viene cancellata dalle attrazioni fieristiche.
Ben presto l’area si riempirà di edifici, diventando un quartiere importante che
prolunga la piazza del paese in direzione Bonferraro.
Attualmente la corte si compone di un lungo viale che porta all’ingresso del palazzo
signorile, collegato alle due ali laterali più basse e allungate e diverse tra loro sia per
tipologia architettonica che per funzioni.
L’ala sinistra, verso il centro paese, è disposta su due piani ed è caratterizzata da
aperture e finestre in stile neo-gotico e da una colorazione a strisce orizzontali bianche
e rosse, ora molto sbiadita. Secondo l’attuale proprietaria Lia Nuvolari lo stile
rispondeva al gusto del padre Gottardo - unico figlio del dottor Angelo – che aveva il
‘mal della pietra e continuava ad apportare modifiche allo stabile.
L’ala destra, verso i nuovi quartieri, è occupata da tre grandi arcate di portico al piano
terra, mentre il piano superiore è stato convertito in zona abitabile. Nel Novecento, la
prima arcata serviva di accesso a vari locali; la seconda, poi tamponata e con una
finestra bifora al centro, era lo studio di Gottardo; la terza era occupata da una serra.
Sul retro e lateralmente sono presenti altre costruzioni: l’ampio capannone adibito a
legnaia e cantina nonché dispensa al piano terra e a granaio al piano superiore;
mentre di fianco sta la piccola ma graziosa costruzione con tre arcate adibita a pollaio
e porcile ma con varie stanze abitabili.
Tutto risente del prolungato abbandono. Parte dei locali sono stati trasformati, dopo la
suddivisione del palazzo tra i due fratelli Mario e Lia, per ricavarne appartamenti da
affittare. Ma gli ultimi inquilini se ne sono andati vari anni fa.
Dentro il palazzo, i pavimenti sono intatti: alcuni in legno a lisca di pesce, ma
prevalentemente in piastrelle con motivi anche elaborati e originali, diversi per ogni
stanza.
I soffitti del piano terra sono a piccoli cassettoni dipinti, alcuni con motivi floreali dorati;
la cornice sotto il soffitto è elegantemente decorata. Al piano superiore i soffitti sono
in legno, con travi. La bella scala in ferro che porta al piano superiore è sovrastata da
un alto lucernario (gigantesco e luminosissimo) attorno a cui stanno pareti affrescate
con motivi floreali e con stemmi di fantasia.
All’esterno, sopra l’arco d’ingresso, c’è una splendida testa di Mercurio con l’elmo
alato. Lia non sa a quando risalga (forse è stata recuperata da qualche scavo in zona)
ma ricorda che qualcuno, in casa, diceva che valeva più quella testa di tutto l’edificio.
Dietro casa, un ampio sentiero attraversava un giardino all’italiana fino al canale
Molinella e accanto c’era il brolo con vigneto e frutteto, tra cui tante piante di noci.
(Le schede sulle 9 tappe della Faimarathon sono state preparate da Gabriella Mantovani, ex insegnante
appassionata di storia locale con all’attivo varie pubblicazioni su Castel d’Ario)