Airfix: quasi una fantasia

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Airfix: quasi una fantasia
Airfix:
quasi una
fantasia
“I
Anche il modellismo
tramanda la cultura
del mare
l modellismo
è una cosa seria!”. Quest’affermazione, senz’altro
indiscutibile, sottintende, tanto per limitarci
al campo delle realizzazioni “statiche”, splendidi velieri, fantastici aeroplani ricchi di ogni dettaglio e i clamorosi diorami che tutti noi abbiamo
ammirato, di tanto in tanto, in occasione di mostre, convegni e premiazioni.
Frutto di anni di pazienti ricerche, lavoro e risorse, sempre sottratte al riposo o alla famiglia,
queste opere della mano e dell’ingegno sono senz’altro una forma d’arte, non fosse altro per il fatto che si tratta di pezzi forzatamente unici e tutti
diversi tra loro per questo o quel particolare.
Un galeone seicentesco o una fregata sono,
inoltre, superbi (e costosi) oggetti d’arredamento
che spesso è possibile osservare all’interno delle
sedi centrali di imprese di levatura internazionale,
oltre che in abitazioni private.
Modellista d’eccezione Franco Bandini, celebre
storico e giornalista scomparso quattro anni fa,
aveva sparsi per la propria tenuta in Toscana una
dozzina di vascelli, alcuni dei quali in diversi stadi
di costruzione (dalla sbozzatura del legno dell’opera morta realizzata, fino alle ultime fasi dell’allestimento e della decorazione), mediante i quali
descriveva ai propri ammirati ospiti le varie fasi di
realizzazione di quei capolavori, premiati in Italia
e all’estero da severe giurie formate dagli stessi,
inflessibili, cultori della materia.
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di Enrico Cernuschi
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Il tour de la propriété
terminava, di solito,
con una frase recitata
in tono sommesso e
quasi imbarazzato: “Poi
ci sono quelli che fanno
le navi di plastica con le
scatole di costruzione…”
lasciata significativamente in sospeso e che ogni
vero modellista sottoscriverebbe ancora oggi all’interno del proprio laboratorio, magari ricavato
in garage, foderato di listelli di balsa e attorniato
da trapani da orologiaio svizzero.
Esiste una generazione (la mia) che udendo
queste parole prova l’irresistibile tentazione di
guardare la punta delle proprie scarpe. Ragazzi
che hanno tutti doppiato la boa degli …anta e
passa e che nell’Italia della televisione in bianco e
nero con due soli canali facevano anche loro modellismo, così come potevano farlo con le poche
lire che le saggiamente parsimoniose famiglie del
tempo potevano mettere a disposizione, solitamente in occasione delle feste comandate o di
una sudata promozione.
Proprio pochissimi giorni fa, un confratello di
analoghi interessi, passioni e calendario pronunciò, al telefono, le parole magiche “Trecento lire”
che, con ben altro gusto rispetto alle burrose madeleine di Proust e della di lui “Ricerca del tempo
perduto”, hanno evocato all’istante l’argomento
oggetto di queste pagine: i mitici modellini in
plastica dell’Airfix.
Questa illustre marca britannica, oggi scomparsa, era, infatti, nel corso degli Anni 60, pressoché
l’unica a proporre, almeno in Italia, le
proprie realizzazioni, da costruire seguendo le istruzioni allegate alle confezioni, e
da verniciare ricorrendo, rigorosamente,
alle vernici, contenute in minuscoli barattolini di latta anch’essi indimenticabili, della parimenti britannica società
Humbrol, anch’essa purtroppo chiusa
qualche tempo fa.
Trecento lire era il prezzo, rimasto invariato per anni, delle buste di plastica
trasparenti, ovvero la serie base e più economica dei prodotti Airfix. Le serie a partire dalla 2 erano contenute, viceversa, in
Dall’alto verso il basso: i modelli in scala 1/600 della nave da battaglia
scatole di dimensioni via via maggiori fitedesca Bismark, della portaerei Victorious dopo l’ammodernamento degli
no all’enorme B-29 e al gigantesco LoocAnni 60, e delle navi da battaglia di Sua Maestà Hood e Nelson; in apertura,
keed C-130 Hercules, da tutti ammirati e
il logo della prestigiosa Azienda britannica
da ben pochi posseduti.
È opportuno aggiungere, a questo
varie classi delle elementari, nei confronti dei forpunto, a beneficio della pluralità dei lettori e neltunati compagni di scuola che, per motivi inesplil’ambito di questo particolarissimo Amarcord gecabili, lo possedevano nonostante tutto, magari
nerazionale, che i bambini e i ragazzi di quel dein virtù del padre Prefetto o illustre primario)
cennio non poi così remoto condividevano preselencava, nell’ambito dell’economica serie 1 in
soché tutti le stesse passioni.
busta, ben sette navi in scala 1/1.200: sei velieri e
Soldatini, aerei, navi, trenini elettrici (o a molun piroscafo dell’Ottocento, il Great Western.
la), le scatole cilindriche di costruzioni come
Si trattava di unità tutte inglesi, fatta eccezione
quelle del Plastic City dell’anch’essa scomparsa
per la “nao” Santa Maria di Cristoforo Colombo.
Italo-Cremona e, per chi poteva permettersele, le
All’epoca non capivamo, nonostante la nazionalimodernissime autopiste elettriche.
tà della marca, perché mai non figurassero navi
In quel tempo, libero da costrizioni politically
italiane né, tanto meno, soldatini, fatta eccezione
correct, era perfettamente legittimo giocare agli inper gli antichi romani, mentre gli aerei erano soldiani e ai cow boys e generalmente ai più piccoli
tanto due (FIAT G.50 e G.91) nell’ambito di quasi
toccava proprio il ruolo dei pellerossa (ovviamente
200 modelli, ma tant’è.
destinati a perdere prima ancora di cominciare)
Il guaio era che mentre gli aerei da trecento liperché nei film del matinée domenicale in parrocre si trovavano facilmente, le navi in busta, semchia, visti sedendo sulle stesse, dure panche del caplicemente, non c’erano. Moltissimi anni dopo,
techismo che poi tutti, senza bisogno di cercare dei
incontrando casualmente nell’officina di gommivolontari, riportavano in aula, andava sempre così.
sta del mio più caro e vecchio amico (lui pure moUna volta capitalizzate le trecento lire di cui
dellista Airfix, aveva addirittura il mitico B-29 apsopra (c’era chi preferiva mettere insieme, pazienpeso a una parete della sua camera) un distinto,
temente, sei monete da 50 perché “faceva più sceanziano signore che risultò essere stato per venna” rispetto alle bellissime monete da 100 che
t’anni il rappresentate della casa inglese nell’Italia
passavano in un lampo, uno due e tre, dall’altra
centrale e settentrionale, sapemmo da questo che
parte del bancone) e dopo aver vinto la tentazioi negozianti rifiutavano per principio di acquistane di acquistare un’altra scatola di soldatini della
re quei modelli.
stessa premiata ditta Airfix, interveniva una priSe proprio uno voleva costruirsi una nave, soma, fondamentale distinzione di base destinata
stenevano, era meglio (dal punto di vista del nead avere effetti duraturi e devastanti nell’ambito
goziante) che si orientassero nei confronti delle
dei nati nel corso degli Anni 50 e 60, sempre,
scatole di costruzione che offrivano gli stessi moquantomeno, in Italia.
delli in scala 1/300 e che comprendevano, per di
Il catalogo Airfix (elargito dalla casa madre ai
più, le stesse navi.
soli rivenditori e invidiatissimo, nell’ambito delle
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La mentalità marinara delle isole inglesi (“Rule Britannia!”), in altre parole, aveva
giocato ancora una volta il proprio silenzioso, decisivo ruolo. In Italia, viceversa,
la mentalità terragnola, aiutata magari da
una certa grettezza commerciale, aveva
azzerato ai blocchi di partenza anche la
mia generazione.
A somiglianza di quanto accade, peraltro, nella realtà, quella prima difficoltà determinò, a sua volta, una sorta di selezione naturale riproducendo in scala (come
d’altronde conviene, dato il particolare
soggetto di queste pagine) gli stessi termiAncora una splendida serie di vecchie glorie: dall’alto la portaerei HMS Ark
ni di scelta e le correlate scale di valori alRoyal, la nave da battaglia germanica Scharnhorst, la superdreadnought e gli
l’origine di ben altre scelte di vita e di carincrociatori pesanti britannici Iron Duke e Suffolk
riera. Chiunque poteva giocare con i soldatini e con gli aerei: pochi con le navi,
Dal punto di vista commerciale, il ragionamento
così come a pochi sarebbe poi andata la vita impenon faceva una grinza; da quello dei ragazzi del temgnativa del marinaio fino ai fasti dell’Accademia.
po la differenza era, viceversa, sostanziale: il Victory
Quei pochi (riferendosi ovviamente ai soli
in scatola, in 356 pezzi, serie 7, costava quasi diecimibambini e ragazzi di quel tempo) dovevano impala lire, cifra inimmaginabile e del tutto fuori mercato
rare per forza di cose a risparmiare e a non cedere
al tempo delle elementari e, magari, anche dopo.
alla tentazione, facile ma diversa, dell’immediato.
Sulla base della ricca letteratura inglese apparsa
Pochi sarebbero stati comunque i pezzi disponibidopo la scomparsa dell’Airfix, risulta che i piccoli veli (la serie completa comprendeva, in tutto, sei velieri in busta trasparente erano stati messi sul mercalieri e venti navi da guerra del ventesimo secolo e
to sin dalla fine degli Anni 50 e che rappresentarono
non ho mai saputo di alcuno che le avesse messe
proprio il passo decisivo per la diffusione dei prodotinsieme tutte: una decina, dopo dieci anni, era già
ti di quella casa in Gran Bretagna dapprima e, in seuna cifra eccezionale).
guito, nel mondo.
In altre parole, i pochi modellisti di navi (absit
iniuria verbis) Airfix rappresentavano un’élite ai propri stessi occhi (mentre gli “altri”, gli aeronautici, in compagnia dei pochi “terrestri” dediti alla realizzazione degli impossibili carri armati della medesima ditta inglese, preferivano parlare, più
semplicemente, di snobismo o, tutt’al più,
di innocua mania) trovando, in seguito,
naturale affrontare le non agili letture serie relative a quegli argomenti, fino ad approdare, ormai un po’ più grandicelli, alle
riviste specializzate, dalla Lega Navale alla
Rivista Marittima.
Naturalmente, trattandosi di giocattoli
(diciamolo pure) da costruire e non di
modelli, le battaglie si sprecavano. La
mancanza di unità italiane (mentre la
Un’affascinante parata di piccoli modelli economici della serie Historical
Kriegsmarine germanica dell’ultimo conShip dell’Airfix: il Golden Hind di Sir Francis Drake, il Victory su cui morì
flitto mondiale era rappresentata al comHoratio Nelson, il Revenge del 1588, la Santa Maria di Cristoforo Colombo, il
pleto fino al rango degli incrociatori peMayflower utilizzato nel 1620 dai padri pellegrini, il clipper Cutty Sark e il
piroscafo a ruote Great Western
santi) non impediva di dar corso, sul pa-
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vimento (purché fosse piastrellato, stile i fogli a
quadretti della classica battaglia navale) o sul tavolo grosso della sala da pranzo, a scontri tattici
di una certa rilevanza.
Le vicende più gettonate erano quelle della caccia alla Bismarck, complici un noto film, e il fatto
che l’Airfix aveva realizzato pressoché tutte le unità coinvolte in quella breve e drammatica campagna combattuta nel maggio 1941 in Atlantico.
Seguiva, per lo stesso motivo, la Battaglia del
Rio de la Plata, anche se credo che ben presto tutti decisero, da soli o in gruppo, dalle Alpi alle piramidi, di aggiungere varianti alla realtà, come
conviene, in fin dei conti, all’epoca libera e sognatrice dei dieci anni o poco più.
Naturalmente, le navi non dovevano subire
danni. Aiutava in questo il fatto che le torri dell’armamento principale delle navi da battaglia e degli
incrociatori erano, come nella realtà, solamente appoggiate e, pertanto, sfilabili. Il colpo messo a segno (coi dadi o sorteggiando una carta o, ancora,
con qualsiasi mezzo i giovani giocatori di turno,
tutti ovviamente ignari delle regole già codificate
da decenni nei wargames, avessero deciso di comune accordo) permetteva quindi di rimuoverle riducendo la loro efficienza fino alla fuga, se andava
bene, o più spesso all’affondamento, tradotto nella
rimozione della nave riposta, con le cure del caso,
in una scatola, solitamente da scarpe, destinata a
permettere il rientro alla base, cioè a casa.
Prima di scrivere queste pagine ho chiesto via
e-mail a un mio amico e corrispondente negli Stati
Uniti, qualche suggerimento o ricordo destinato a
questa rievocazione. Mi ha risposto (ha giusto
qualche anno più di me) che ricordava bene i modellini in questione ma che gli era rimasto, dopo
averli passati (e rapidamente perduti) al figlio, sol-
La fregata inglese Shannon nella serie economica in busta
del’Airfix (il costo era di 300 lire a modello), ancora all’interno
della confezione originale: un vero oggetto del desiderio per
gli adolescenti dell’inizio Anni 60
tanto una torre da 203 mm del Suffolk, rinvenuta
casualmente in una scatola proprio poco tempo fa.
Dopo aver letto quella righe ho aperto il cassetto alla mia destra. In un angolo, abbandonata
ma non dimenticata, c’è ancora la torre centrale
da 406 mm del Nelson, lunga, in tutto, due centimetri. Chi l’ha costruito sa distinguerla dalle altre
perché aveva il pom-pom (ovvero la mitragliera
multipla a otto canne) da 40 mm collocato sopra
il cielo.
Ho provato un senso di affinità attraverso l’Oceano; lo stesso che spero coglierà chi ha letto,
con lo spirito di un tempo e indipendentemente
■
da qualche capello grigio, queste righe.
La “cover” della scatola dell’incrociatore HMS Ajax che partecipò alla caccia al Graf von Spee; una vera e propria piccola opera d’arte
del pittore britannico Roy Cross
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