Airfix: quasi una fantasia
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Airfix: quasi una fantasia
Airfix: quasi una fantasia “I Anche il modellismo tramanda la cultura del mare l modellismo è una cosa seria!”. Quest’affermazione, senz’altro indiscutibile, sottintende, tanto per limitarci al campo delle realizzazioni “statiche”, splendidi velieri, fantastici aeroplani ricchi di ogni dettaglio e i clamorosi diorami che tutti noi abbiamo ammirato, di tanto in tanto, in occasione di mostre, convegni e premiazioni. Frutto di anni di pazienti ricerche, lavoro e risorse, sempre sottratte al riposo o alla famiglia, queste opere della mano e dell’ingegno sono senz’altro una forma d’arte, non fosse altro per il fatto che si tratta di pezzi forzatamente unici e tutti diversi tra loro per questo o quel particolare. Un galeone seicentesco o una fregata sono, inoltre, superbi (e costosi) oggetti d’arredamento che spesso è possibile osservare all’interno delle sedi centrali di imprese di levatura internazionale, oltre che in abitazioni private. Modellista d’eccezione Franco Bandini, celebre storico e giornalista scomparso quattro anni fa, aveva sparsi per la propria tenuta in Toscana una dozzina di vascelli, alcuni dei quali in diversi stadi di costruzione (dalla sbozzatura del legno dell’opera morta realizzata, fino alle ultime fasi dell’allestimento e della decorazione), mediante i quali descriveva ai propri ammirati ospiti le varie fasi di realizzazione di quei capolavori, premiati in Italia e all’estero da severe giurie formate dagli stessi, inflessibili, cultori della materia. 22 di Enrico Cernuschi maggio-giugno 2010 Il tour de la propriété terminava, di solito, con una frase recitata in tono sommesso e quasi imbarazzato: “Poi ci sono quelli che fanno le navi di plastica con le scatole di costruzione…” lasciata significativamente in sospeso e che ogni vero modellista sottoscriverebbe ancora oggi all’interno del proprio laboratorio, magari ricavato in garage, foderato di listelli di balsa e attorniato da trapani da orologiaio svizzero. Esiste una generazione (la mia) che udendo queste parole prova l’irresistibile tentazione di guardare la punta delle proprie scarpe. Ragazzi che hanno tutti doppiato la boa degli …anta e passa e che nell’Italia della televisione in bianco e nero con due soli canali facevano anche loro modellismo, così come potevano farlo con le poche lire che le saggiamente parsimoniose famiglie del tempo potevano mettere a disposizione, solitamente in occasione delle feste comandate o di una sudata promozione. Proprio pochissimi giorni fa, un confratello di analoghi interessi, passioni e calendario pronunciò, al telefono, le parole magiche “Trecento lire” che, con ben altro gusto rispetto alle burrose madeleine di Proust e della di lui “Ricerca del tempo perduto”, hanno evocato all’istante l’argomento oggetto di queste pagine: i mitici modellini in plastica dell’Airfix. Questa illustre marca britannica, oggi scomparsa, era, infatti, nel corso degli Anni 60, pressoché l’unica a proporre, almeno in Italia, le proprie realizzazioni, da costruire seguendo le istruzioni allegate alle confezioni, e da verniciare ricorrendo, rigorosamente, alle vernici, contenute in minuscoli barattolini di latta anch’essi indimenticabili, della parimenti britannica società Humbrol, anch’essa purtroppo chiusa qualche tempo fa. Trecento lire era il prezzo, rimasto invariato per anni, delle buste di plastica trasparenti, ovvero la serie base e più economica dei prodotti Airfix. Le serie a partire dalla 2 erano contenute, viceversa, in Dall’alto verso il basso: i modelli in scala 1/600 della nave da battaglia scatole di dimensioni via via maggiori fitedesca Bismark, della portaerei Victorious dopo l’ammodernamento degli no all’enorme B-29 e al gigantesco LoocAnni 60, e delle navi da battaglia di Sua Maestà Hood e Nelson; in apertura, keed C-130 Hercules, da tutti ammirati e il logo della prestigiosa Azienda britannica da ben pochi posseduti. È opportuno aggiungere, a questo varie classi delle elementari, nei confronti dei forpunto, a beneficio della pluralità dei lettori e neltunati compagni di scuola che, per motivi inesplil’ambito di questo particolarissimo Amarcord gecabili, lo possedevano nonostante tutto, magari nerazionale, che i bambini e i ragazzi di quel dein virtù del padre Prefetto o illustre primario) cennio non poi così remoto condividevano preselencava, nell’ambito dell’economica serie 1 in soché tutti le stesse passioni. busta, ben sette navi in scala 1/1.200: sei velieri e Soldatini, aerei, navi, trenini elettrici (o a molun piroscafo dell’Ottocento, il Great Western. la), le scatole cilindriche di costruzioni come Si trattava di unità tutte inglesi, fatta eccezione quelle del Plastic City dell’anch’essa scomparsa per la “nao” Santa Maria di Cristoforo Colombo. Italo-Cremona e, per chi poteva permettersele, le All’epoca non capivamo, nonostante la nazionalimodernissime autopiste elettriche. tà della marca, perché mai non figurassero navi In quel tempo, libero da costrizioni politically italiane né, tanto meno, soldatini, fatta eccezione correct, era perfettamente legittimo giocare agli inper gli antichi romani, mentre gli aerei erano soldiani e ai cow boys e generalmente ai più piccoli tanto due (FIAT G.50 e G.91) nell’ambito di quasi toccava proprio il ruolo dei pellerossa (ovviamente 200 modelli, ma tant’è. destinati a perdere prima ancora di cominciare) Il guaio era che mentre gli aerei da trecento liperché nei film del matinée domenicale in parrocre si trovavano facilmente, le navi in busta, semchia, visti sedendo sulle stesse, dure panche del caplicemente, non c’erano. Moltissimi anni dopo, techismo che poi tutti, senza bisogno di cercare dei incontrando casualmente nell’officina di gommivolontari, riportavano in aula, andava sempre così. sta del mio più caro e vecchio amico (lui pure moUna volta capitalizzate le trecento lire di cui dellista Airfix, aveva addirittura il mitico B-29 apsopra (c’era chi preferiva mettere insieme, pazienpeso a una parete della sua camera) un distinto, temente, sei monete da 50 perché “faceva più sceanziano signore che risultò essere stato per venna” rispetto alle bellissime monete da 100 che t’anni il rappresentate della casa inglese nell’Italia passavano in un lampo, uno due e tre, dall’altra centrale e settentrionale, sapemmo da questo che parte del bancone) e dopo aver vinto la tentazioi negozianti rifiutavano per principio di acquistane di acquistare un’altra scatola di soldatini della re quei modelli. stessa premiata ditta Airfix, interveniva una priSe proprio uno voleva costruirsi una nave, soma, fondamentale distinzione di base destinata stenevano, era meglio (dal punto di vista del nead avere effetti duraturi e devastanti nell’ambito goziante) che si orientassero nei confronti delle dei nati nel corso degli Anni 50 e 60, sempre, scatole di costruzione che offrivano gli stessi moquantomeno, in Italia. delli in scala 1/300 e che comprendevano, per di Il catalogo Airfix (elargito dalla casa madre ai più, le stesse navi. soli rivenditori e invidiatissimo, nell’ambito delle maggio-giugno 2010 23 La mentalità marinara delle isole inglesi (“Rule Britannia!”), in altre parole, aveva giocato ancora una volta il proprio silenzioso, decisivo ruolo. In Italia, viceversa, la mentalità terragnola, aiutata magari da una certa grettezza commerciale, aveva azzerato ai blocchi di partenza anche la mia generazione. A somiglianza di quanto accade, peraltro, nella realtà, quella prima difficoltà determinò, a sua volta, una sorta di selezione naturale riproducendo in scala (come d’altronde conviene, dato il particolare soggetto di queste pagine) gli stessi termiAncora una splendida serie di vecchie glorie: dall’alto la portaerei HMS Ark ni di scelta e le correlate scale di valori alRoyal, la nave da battaglia germanica Scharnhorst, la superdreadnought e gli l’origine di ben altre scelte di vita e di carincrociatori pesanti britannici Iron Duke e Suffolk riera. Chiunque poteva giocare con i soldatini e con gli aerei: pochi con le navi, Dal punto di vista commerciale, il ragionamento così come a pochi sarebbe poi andata la vita impenon faceva una grinza; da quello dei ragazzi del temgnativa del marinaio fino ai fasti dell’Accademia. po la differenza era, viceversa, sostanziale: il Victory Quei pochi (riferendosi ovviamente ai soli in scatola, in 356 pezzi, serie 7, costava quasi diecimibambini e ragazzi di quel tempo) dovevano impala lire, cifra inimmaginabile e del tutto fuori mercato rare per forza di cose a risparmiare e a non cedere al tempo delle elementari e, magari, anche dopo. alla tentazione, facile ma diversa, dell’immediato. Sulla base della ricca letteratura inglese apparsa Pochi sarebbero stati comunque i pezzi disponibidopo la scomparsa dell’Airfix, risulta che i piccoli veli (la serie completa comprendeva, in tutto, sei velieri in busta trasparente erano stati messi sul mercalieri e venti navi da guerra del ventesimo secolo e to sin dalla fine degli Anni 50 e che rappresentarono non ho mai saputo di alcuno che le avesse messe proprio il passo decisivo per la diffusione dei prodotinsieme tutte: una decina, dopo dieci anni, era già ti di quella casa in Gran Bretagna dapprima e, in seuna cifra eccezionale). guito, nel mondo. In altre parole, i pochi modellisti di navi (absit iniuria verbis) Airfix rappresentavano un’élite ai propri stessi occhi (mentre gli “altri”, gli aeronautici, in compagnia dei pochi “terrestri” dediti alla realizzazione degli impossibili carri armati della medesima ditta inglese, preferivano parlare, più semplicemente, di snobismo o, tutt’al più, di innocua mania) trovando, in seguito, naturale affrontare le non agili letture serie relative a quegli argomenti, fino ad approdare, ormai un po’ più grandicelli, alle riviste specializzate, dalla Lega Navale alla Rivista Marittima. Naturalmente, trattandosi di giocattoli (diciamolo pure) da costruire e non di modelli, le battaglie si sprecavano. La mancanza di unità italiane (mentre la Un’affascinante parata di piccoli modelli economici della serie Historical Kriegsmarine germanica dell’ultimo conShip dell’Airfix: il Golden Hind di Sir Francis Drake, il Victory su cui morì flitto mondiale era rappresentata al comHoratio Nelson, il Revenge del 1588, la Santa Maria di Cristoforo Colombo, il pleto fino al rango degli incrociatori peMayflower utilizzato nel 1620 dai padri pellegrini, il clipper Cutty Sark e il piroscafo a ruote Great Western santi) non impediva di dar corso, sul pa- 24 maggio-giugno 2010 vimento (purché fosse piastrellato, stile i fogli a quadretti della classica battaglia navale) o sul tavolo grosso della sala da pranzo, a scontri tattici di una certa rilevanza. Le vicende più gettonate erano quelle della caccia alla Bismarck, complici un noto film, e il fatto che l’Airfix aveva realizzato pressoché tutte le unità coinvolte in quella breve e drammatica campagna combattuta nel maggio 1941 in Atlantico. Seguiva, per lo stesso motivo, la Battaglia del Rio de la Plata, anche se credo che ben presto tutti decisero, da soli o in gruppo, dalle Alpi alle piramidi, di aggiungere varianti alla realtà, come conviene, in fin dei conti, all’epoca libera e sognatrice dei dieci anni o poco più. Naturalmente, le navi non dovevano subire danni. Aiutava in questo il fatto che le torri dell’armamento principale delle navi da battaglia e degli incrociatori erano, come nella realtà, solamente appoggiate e, pertanto, sfilabili. Il colpo messo a segno (coi dadi o sorteggiando una carta o, ancora, con qualsiasi mezzo i giovani giocatori di turno, tutti ovviamente ignari delle regole già codificate da decenni nei wargames, avessero deciso di comune accordo) permetteva quindi di rimuoverle riducendo la loro efficienza fino alla fuga, se andava bene, o più spesso all’affondamento, tradotto nella rimozione della nave riposta, con le cure del caso, in una scatola, solitamente da scarpe, destinata a permettere il rientro alla base, cioè a casa. Prima di scrivere queste pagine ho chiesto via e-mail a un mio amico e corrispondente negli Stati Uniti, qualche suggerimento o ricordo destinato a questa rievocazione. Mi ha risposto (ha giusto qualche anno più di me) che ricordava bene i modellini in questione ma che gli era rimasto, dopo averli passati (e rapidamente perduti) al figlio, sol- La fregata inglese Shannon nella serie economica in busta del’Airfix (il costo era di 300 lire a modello), ancora all’interno della confezione originale: un vero oggetto del desiderio per gli adolescenti dell’inizio Anni 60 tanto una torre da 203 mm del Suffolk, rinvenuta casualmente in una scatola proprio poco tempo fa. Dopo aver letto quella righe ho aperto il cassetto alla mia destra. In un angolo, abbandonata ma non dimenticata, c’è ancora la torre centrale da 406 mm del Nelson, lunga, in tutto, due centimetri. Chi l’ha costruito sa distinguerla dalle altre perché aveva il pom-pom (ovvero la mitragliera multipla a otto canne) da 40 mm collocato sopra il cielo. Ho provato un senso di affinità attraverso l’Oceano; lo stesso che spero coglierà chi ha letto, con lo spirito di un tempo e indipendentemente ■ da qualche capello grigio, queste righe. La “cover” della scatola dell’incrociatore HMS Ajax che partecipò alla caccia al Graf von Spee; una vera e propria piccola opera d’arte del pittore britannico Roy Cross maggio-giugno 2010 25