Ultime notizie mondo dal 15 al 30 Aprile 2007

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Ultime notizie mondo dal 15 al 30 Aprile 2007
Ultime notizie dal mondo
15/ 30 Aprile 2007
(http://www.rivistaindipendenza.org/home.htm)
a) Russia / USA. Un’occhiata alle frizioni geopolitiche tra i due paesi. Sullo scudo antimissile
statunitense, vedere Russia 19 e 25 aprile, nonché USA 23 aprile. C’è chi parla di nuova
guerra fredda (27 e 28 aprile). Arricchisce il quadro Russia al 26 aprile. Non irrilevante, poi,
il nodo energetico: Russia / Geramania 15 aprile e Russia 17 aprile.
b) Libano. Washington punta ad una base militare nel paese (16 aprile) che alcuni collegano
con la morte di Hariri (16 e 26 aprile). Si denunciano le ingerenze nel paese (25 aprile) che
mirano ad eliminare la scomoda Hezbollah (27 aprile).
c) USA. Le “rivoluzioni colorate” pagate da Washington al 16 aprile. Le ragioni geopolitiche
dell’aggressione all’Iraq secondo Chomsky (16 aprile), con due tangenziali notiziole: il
Pentagono accusa di durezza suoi comandanti nel paese arabo occupato (22 aprile) e il
bilancio delle perdite USA del mese (30 aprile). Analisi dell’interesse USA nel Corno
d’Africa al 19 aprile. E la lotta asimmetrica contro il “terrorismo”: il caso Posada al 19 aprile.
Sparse ma significative:
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Italia / USA. Scudo anti missile e base USA “Dal Molin” (20 aprile).
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Francia. I movimenti nazionalitari corsò, basco, bretone sulle presidenziali (20 e 27
aprile). Poi il Financial Times su Nicolas Sarkozy, e il ventilato partito democratico di
François Bayrou al 25 aprile.
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Cina. La fame energetica di Pechino sbarca in Iraq (16 aprile).
Tra l’altro:
Polonia (17 aprile).
Kosovo (18, 25 aprile).
Turchia / Iraq (18 aprile).
Iran / Russia (23 aprile).
Iran / Israele (18 aprile).
Iran / Iraq (19 aprile).
Cecenia (28 aprile).
Bolivia (24 aprile).
Venezuela (28 aprile).
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Russia / Germania. 15 aprile. Uomini politici e d’affari tedeschi hanno avvertito che
criticare Mosca e denunciare la dipendenza dal gas russo danneggia gli interessi economici
della Germania. È quanto appare sul Financial Times di un paio di settimane fa. Chiesto al
portavoce della Merkel se, nel suo recente incontro con il ministro degli Esteri russo Sergei
Lavrov, la signora avesse sollevato la questione dello «scandalo» di Schröder, questi ha
risposto: no comment. «E in ogni caso, quell’episodio non getta ombre su una relazione che
è fiorente e che intendiamo sviluppare». Schröder, ricordiamo, come cancelliere tedesco
concluse con Putin l’accordo sul gasdotto sotto il Baltico, che trasporterà dalla costa russa a
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quella tedesca 27,5 miliardi di metri cubi di gas l’anno a partire dal 2010. Successivamente è
stata sottoscritta un’intesa che ha portato la Basf, attraverso la controllata Wintershall, a
detenere quasi il 35% del giacimento siberiano di Yuznoe-Russkoie, e la Gazprom ad
accrescere a quasi il 50% la partecipazione in Wingas, la società a maggioranza Basf che
distribuisce e vende gas russo in Germania, Belgio e Gran Bretagna. Dopo essere stato
sconfitto alle elezioni e pochi giorni prima di abbandonare la carica, Schröder aveva aperto a
Gazprom un credito garantito di un miliardo di euro. Poco dopo, nel dicembre 2005,
Schröder sarebbe stato nominato, con un lauto stipendio, presidente della «Nordeuropäische
Gas Pipeline Gesellschaft», il consorzio che sta realizzando il succitato gasdotto, di cui
Gazprom possiede il 51%, Basf ed EON il 20% a testa e l’olandese Gasunie il 9%.
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Russia / Germania. 15 aprile. La vicenda, che per un periodo ha riempito le prime pagine
dei giornali tedeschi, ha irritato Mosca. La Gazprom aveva emesso un asciutto comunicato
in cui ricordava di essere «il più grande esportatore di gas del mondo e un debitore di prima
categoria». Un avvertimento ben inteso dagli industriali germanici. La Germania non solo
riceve dalla Russia il 35% del suo petrolio e il 40% del suo gas, ma vede in Mosca il suo
miglior cliente: le esportazioni in Russia sono cresciute del 15,4 % in un anno, e gli scambi
bilaterali sono aumentati del 25%, toccando i 47 miliardi di dollari. «La Russia ha avviato
una rapida modernizzazione e qualificazione delle sue infrastrutture, e ciò crea un grosso
mercato per le nostre imprese», ha detto Eckart von Klaeden, parlamentare della CDU, il
partito della Merkel. Anche le industrie tedesche stanno costruendo a tutta forza il lungo
gasdotto che scorre sotto il Baltico, e che permetterà ai russi di non pagare diritti di transito
a polacchi e paesi baltici. La Siemens partecipa al rammodernamento della linea ferroviaria
che da Berlino andrà a Mosca per collegarsi con la Transiberiana e fare capolinea in Cina:
un progetto volto a creare una via terrestre per il trasporto delle merci cinesi verso Occidente
più breve e sicura alle rotte marittime. La EON, gigante energetico tedesco, ha d’altro canto
offerto alla Gazprom i propri siti sotterranei per l’immagazzinamento del gas russo in
Ungheria ed altre controllate in Bulgaria, Polonia, Slovenia e repubblica Ceca. Secondo
alcune indiscrezioni, il ministro degli esteri tedesco Frank Steinmeier, recatosi nel corso
dell’anno in Norvegia per mettere a punto i particolari dello sfruttamento dei giacimenti
energetici dell’Artico (ritenuti enormi ed essenziali per il futuro dell’Europa e disputati da
cinque paesi confinanti: USA, Canada, Danimarca, Norvegia e Russia), avrebbe perorato
presso Oslo anche gli interessi di Mosca per lo sfruttamento delle riserve norvegesi. Si
confida che poi Mosca avrà un occhio di riguardo per la Norsk Hydro quando si tratterà di
decidere quali compagnie petrolifere straniere la Russia ammetterà allo sfruttamento
dell’immenso giacimento Shtokman, all’estremo nord di Barents, che basterebbe a coprire il
fabbisogno tedesco per 25 anni.
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Russia / Germania. 15 aprile. «La Russia non ha nessuna intenzione di rinunciare alla
propria sovranità. Chi entra nell’Europa, deve sapere che questa adesione comporta la
progressiva rinuncia alla propria sovranità. Ogni volta che passa una legge a Bruxelles
perdiamo un pezzettino di autonomia. La Russia ha un’altra storia, una dimensione
continentale, un altro sentimento della sua identità e non ha mai partecipato al progetto
europeo come i paesi dell’Europa Occidentale. Quando Berlusconi diceva vogliamo i russi
nell’Unione Europea, Putin sorrideva perché lo prendeva per un complimento da salotto».
Così parla l’ex ambasciatore Sergio Romano intervistato dal Messaggero Veneto il 27 marzo
2007, a cinquant’anni dai Patti di Roma. Sull’opposizione tedesca all’installazione di missili
e antimissili in Polonia e di un radar nella Repubblica Ceca, Romano afferma che «la
Germania sa che l’Unione Europea deve avere con la Russia un buon rapporto perché è
una grande potenza con la quale ritiene utile e opportuno andare d’accordo per ragioni
politiche ed economiche. La Russia è un grande mercato e un grande fornitore di energia,
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ed è nostro interesse che ci guadagni; non eccessivamente, ma quanto più la Russia cresce,
tanto più crescono le nostre possibilità di concorrere alla crescita della sua economia. Il
concetto dei rapporti eurorussi è condiviso dall’Italia e da molti altri Paesi». Ed avverte:
«se l’Unione Europea accetta di ospitare sul proprio territorio missili e antimissili
americani, la giustificazione secondo cui quegli armamenti sono installati lì per colpa
dell’Iran è difficilmente credibile e la Russia potrebbe congetturare».
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Italia / Polonia. 16 aprile. «La Costituzione Europea non è morta, bisogna trovare il modo
per uscire dall’impasse tenendo conto dei NO ai referendum francese e olandese, ma anche
delle ratifiche di 18 paesi su 27». Sono dichiarazioni del capo dello Stato Napolitano
rilasciate al meeting di Riga fra i presidenti degli otto paesi sostenitori del rilancio del
Trattato Costituzionale (Austria, Ungheria, Italia, Lettonia, Finlandia, Germania, Portogallo
e Polonia). Replica del presidente polacco Kaczynski: «L’opinione pubblica europea non
esiste (…) l’Europa intesa come uno Stato, come prevede la Costituzione Europea, è un
obiettivo prematuro, adesso esistono le nazioni europee».
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Gran Bretagna / Olanda. 16 aprile. L’Europa non ha bisogno di una Costituzione, ma
dovrebbe concentrarsi su un trattato meno ambizioso che non abbia bisogno di un
referendum confermativo. Lo hanno affermato il premier britannico Tony Blair, in
conferenza stampa con il premier olandese Jan Peter Balkenende. «Quello che gli olandesi e
i britannici dicono è che è importante tornare all’idea di un trattato convenzionale che
faccia funzionare meglio l’Europa a 27, piuttosto che un trattato con le caratteristiche di
una costituzione», ha affermato il premier britannico. Balkenende ha ricordato che durante
la campagna referendaria in Olanda, gli elettori hanno espresso il timore per un superstato
europeo, mostrando che la costituzione «non apparteneva al cuore e alla mente della
gente». La Gran Bretagna ha sospeso i piani per un referendum di ratifica dopo che la
costituzione è stata respinta da francesi e olandesi. Il forte euroscetticismo della popolazione
lasciava prevedere un probabile trionfo del NO.
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Libano. 16 aprile. Base NATO nel paese dei cedri. Fonti anonime statunitensi, riprese dal
quotidiano USA Today e da quello libanese Aldiyar, rivelano: tra tre-quattro mesi verrà
approntata una base NATO sul terreno della base aerea di Klieaat, Libano del nord,
ampliando una struttura già in dotazione alle forze armate del Libano. Una base che si
annuncia imponente, analoga all’altra base aerea USA di Al Udeid, Qatar. Nonostante il
governo libanese e USA si accingano ad affermare che la base provvederà all’addestramento
per esercito e forze di sicurezza libanesi, secondo indiscrezioni raccolte dal Wayne Madsen
Report questa servirà come quartier generale della “forza di reazione rapida” della NATO,
base logistica per squadroni di elicotteri Apache e Black Hawh e di unità delle forze speciali
della NATO. Verrebbe inoltre usata a “protezione” delle pipelines nella regione (cfr il BakuTbilisi-Ceyhan e il Mosul/Kirkuk-Ceyhan), come pure per destabilizzare il governo di Assad
in Siria. La base è stata istituita sotto pressione di funzionari dell’ufficio del Segretario alla
Difesa USA e degli Stati Maggiori Riuniti. Contratti per la costruzione sarebbero già stati
assegnati alla Halliburton, alla Bechtel e alla Jacobs Engineering Group di Pasadena.
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Libano. 16 aprile. L’ex primo ministro libanese Rafik Hariri si era vigorosamente opposto
a qualsiasi progetto di base militare USA in Libano. È quanto afferma il Wayne Madsen
Report, secondo il quale sarebbero stati due altissimi funzionari della Casa Bianca, lo
stratega elettorale e primo consigliere di Bush, Karl Rove, ed il vicepresidente del Consiglio
di Sicurezza Nazionale, Elliot Abrams, ad aver autorizzato l’assassinio di Hariri.
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Libano. 16 aprile. L’ingresso di USA e NATO in Libano sembra preparare il terreno per
uno scontro militare USA-Israele con Iran e Siria. La notizia non soltanto inasprirà
ulteriormente i rapporti tra il governo libanese e l’opposizione (maggioritaria nel paese)
della coalizione del 16 aprile appoggiata da Hezbollah e cristiani di Aoun. Le voci filtrate
sono anche un messaggio al piano di pace adottato dalla Lega Araba a Ryad (con la
partecipazione dell’Iran), che prevede ritiro dai territori occupati nel 1967, rientro dei
profughi pakestinesi, istituzione di uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale, in
cambio di nuove relazioni con i paesi arabi. Israele ha respinto il piano.
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Libano / Siria. 16 aprile. Preoccupazioni da Damasco sui piani USA. Quello che più
preoccuperebbe il presidente Assad non è il potenziale bellico, al momento trascurabile,
delle forze militari che USA e NATO faranno stazionare a Klieaat, Libano del nord, ma la
natura del messaggio politico che Washington sta lanciando nella regione. Lo stazionamento
di una struttura militare USA-NATO a due passi dal confine della Siria, in un area
strategica, verrebbe interpretato da Damasco, alla luce degli attuali rapporti diplomatici con
l’amministrazione Bush, come una minaccia diretta ai suoi interessi e alla sua sicurezza.
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Libano / ONU. 16 aprile. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon sarà nelle prossime
ore a Roma dopo una visita in Israele ed un lungo colloquio con il generale Graziano (dal 2
febbraio 2007 comandante dell’Unifil 2, la forza dell’ONU distaccata nel Libano
meridionale). Tema del colloquio: il disarmo di Hezbollah. La richiesta, a quanto si afferma,
accettata in via preliminare dal primo ministro Siniora, sarebbe stata avanzata dall’ufficio
del segretario alla Difesa USA e dagli stati maggiori di Bruxelles ufficialmente per
contrastare elementi di al Qaeda che si sarebbero infiltrati dal Libano settentrionale per
colpire il contingente ONU.
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Cina / Iraq. 16 aprile. Pechino potrebbe essere il primo paese a beneficiare dell’apertura
dei giacimenti petroliferi iracheni alle multinazionali estere quando il governo iracheno
approverà (si prevede entro luglio) la legge irachena sul petrolio. La legge, fortemente spinta
dagli USA, consentirà al governo di firmare contratti per l’esplorazione e la produzione
delle vaste riserve non sfruttate del Paese. La maggior parte delle stime danno le riserve
irachene accertate a 115 miliardi di barili, le terze al mondo, ma considerata l’arretratezza
della tecnologia dell’esplorazione petrolifera irachena secondo Frank Verrastro, analista
petrolifero del Center for Strategic and International Studies di Washington, le attuali
riserve sono probabilmente il doppio.
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Cina / Iraq. 16 aprile. Il clamoroso ingresso della Cina sarebbe paradossalmente favorito
dallo stato di guerra nel Paese. Poche compagnie petrolifere “occidentali” sono pronte a
inviare attrezzature o personale nell’Iraq attuale. I sabotaggi ancora azzoppano le
esportazioni. La decisione britannica di ritirare la maggior parte delle sue truppe dal sud ha
suscitato preoccupazioni sulla stabilità persino nei giacimenti petroliferi maggiori. E le
sconquassate infrastrutture per l’esportazione non possono reggere più dei 2 milioni di barili
al giorno di greggio iracheno ora in produzione. «Si vedranno annunci e accordi. Ma dollari
sul terreno è un’altra cosa», profetizza Saad Rahin, della PFC Energy di Washington. Ecco
qui intervenire la Cina. Secondo alcuni analisti, Pechino è così disperatamente bisognoso di
energia che le multinazionali petrolifere di proprietà governativa potrebbero essere
disponibili ad accettare rischi di sicurezza più alti di altri, essendo motivate più dalla
necessità di rifornimenti regolari di petrolio che dal profitto. Al contrario delle major
internazionali del petrolio, che cercherebbero di firmare accordi di leasing per fissare le loro
richieste, convinte che l’Iraq sia così ricco di petrolio da permettersi di aspettare alcuni anni
che i combattimenti finiscano. Ad alimentare questi discorsi, il fatto che in ottobre la China
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National Petroleum ha iniziato a rinegoziare un contratto da 1,2 miliardi di dollari firmato
nel 1997 con il governo di Saddam Hussein per sfruttare il giacimento da miliardi di barili di
al-Ahdab, in una zona dove dominano le milizie sciite. Funzionari della compagnia cinese
hanno smentito di avere progetti in corso in Iraq e rifiutato di discutere i piani futuri.
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USA / Iraq. 16 aprile. La vera ragione dell’aggressione in Iraq? Il controllo a fini
geopolitici dell’area mediorientale con le sue risorse energetiche. Noam Chomsky,
professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology negli USA, in
un’intervista rilasciata al sito www.zmag.org, ricorda: «l’Iraq possiede il secondo
giacimento di petrolio più esteso del mondo, conveniente da sfruttare e proprio nel cuore di
quelle riserve mondiali di idrocarburi che il Dipartimento di Stato già 60 fa descriveva
come “stupenda sorgente di potere strategico” ». Come puntualizza Chomsky, il dato
strategico è il controllo (e il profitto per le multinazionali dell’energia). «Il controllo di
queste risorse, prendendo in prestito l’espressione di Zbigniew Brezinski, determina il
“potere critico di leva” statunitense nei confronti delle industrie avversarie (…) Dick
Cheney ha osservato che il controllo delle risorse energetiche fornisce in mano altrui
“mezzi di intimidazione ed estorsione”».
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USA / Iraq. 16 aprile. Un Iraq veramente sovrano sarebbe un disastro per Washington.
Chomsky rileva che questo avrebbe effetti sugli sciiti oppressi dell’Arabia Saudita, «proprio
dove c’è la maggior parte del petrolio saudita». Considerata la crescita degli sciiti anche nel
Bahrein, il rischio è il trionfo dell’influenza sciita in un’arco spaziale che dall’Iran arriva al
Libano, con le risorse di idrocarburi nel mezzo. Questo arco sciita potrebbe poi coalizzarsi
alla grande potenza emergente: la Cina. «Sebbene gli USA possano intimidire l’Europa, è
chiaro che non possono fare la stessa cosa con la Cina, la quale sconsideratamente va per
la sua strada anche in Arabia Saudita –il che è il motivo di fondo per cui la Cina è
considerata minaccia primaria. Un blocco energetico indipendente nell’area del Golfo può
verosimilmente emergere tramite il Shanghai Cooperation Council e l’Asian Energy
Security Grid basato sulla Cina, con la Russia (dotata delle proprie ingenti risorse) come
partner, insieme agli Stati dell’Asia Centrale (già membri), possibilmente con l’India.
L’Iran si è già associato e i blocchi a dominanza sciita negli Stati arabi potrebbero tenergli
dietro. Tutto ciò sarebbe un incubo per i pianificatori americani e per i loro alleati
occidentali».
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USA. 16 aprile. Gli Stati Uniti hanno speso oltre 110 milioni di dollari per realizzare le
“rivoluzioni colorate” in Ucraina e Kirghizistan. È quanto affermano gli autori del
documentario di produzione francese “Rivoluzione.com.USA. Alla conquista dell’Est”,
trasmesso dal canale televisivo statale russo Rossija. I documentaristi francesi sono giunti
alla conclusione che dietro la realizzazione di una serie di colpi di Stato “cromatici” –la
rivoluzione di “velluto” in Serbia, quella delle “rose” in Georgia, “arancione” in Ucraina e
quella dei “tulipani” in Kirghizistan– ci siano stati gli USA. E, sempre secondo gli autori del
documentario, non è assolutamente escluso il fatto che gli Stati Uniti si fermino qui, dal
momento che nel mirino di Washington ci sono ora la Moldavia e alcune delle ex
repubbliche sovietiche della zona asiatica. Secondo il documentario, il rovesciamento del
regime di Milosevic del 2000, la rimozione nel novembre del 2003 di Eduard Shevarnadze,
l’ascesa al potere in Ucraina di Viktor Yushenko nel dicembre del 2004 e la “rivoluzione dei
tulipani” contro Akaev in Kirghizistan nel marzo del 2005, non rappresentano altro che gli
anelli di un’unica catena. «Quattro rivoluzioni senza spargimenti di sangue, quattro regimi
totalitari, le tracce cioè di ciò che rappresentava la potenza sovietica, sono svaniti nel nulla
nel giro di qualche settimana facendo ricorso ogni volta allo stesso tipo di scenario:
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denuncia di elezioni false, un potere che si contrapponeva convulsamente per poi, alla fine
dei conti, cedere nei confronti degli insorti», sottolineano gli autori del documentario.
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USA. 16 aprile. È stato proprio nell’ex repubblica jugoslava che vennero per la prima volta
applicate le tesi contenute nel libro dello scrittore USA Jim Sharp “Dalla dittatura alla
democrazia”, un originale manuale di messa in atto di “rivoluzioni non violente” sulla base
di ricette assai semplici. Nel libro, ad esempio, viene raccontato come ai rivoluzionari sia
riuscito di instaurare buoni rapporti con la polizia, il perno di qualsiasi tipo di dittatura. E fu
proprio lo stesso Sharp a dichiarare successivamente che coloro i quali tentarono nel 2000 di
rovesciare il regime di Slobodan Milosevic in Serbia si attennero ai suoi consigli. A seguito
della caduta di Milosevic, furono poi gli stessi serbi a diffondere tale metodica collaborando
attivamente prima con i georgiani al fine di rimuovere Eduard Shevarnadze, e poi con gli
ucraini nella fase di preparazione che portò alla “rivoluzione arancione”. A distanza di 10
mesi dalla riuscita campagna di Belgrado, l’ambasciatore USA in Bielorussia Michael
Kozak, dall’alto della sua esperienza in simili azioni in America Centrale, in particolare nel
Nicaragua, organizzò una campagna sui generis atta a rovesciare il presidente bielorusso
Aleksandr Lukashenko, campagna che però per gli Stati Uniti non finì secondo le attese.
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USA. 16 aprile. La cosiddetta “rivoluzione arancione” in Ucraina ha rappresentato la quarta
campagna tra quelle organizzate dagli Stati Uniti in quattro diversi Paesi dell’area
postsovietica allo scopo di non rendere pubblici e di conseguenza non riconoscere gli
effettivi risultati delle elezioni per poi far cadere i rispettivi regimi in questi Paesi. La
preziosa esperienza acquisita in Serbia, Georgia e Bielorussia venne di conseguenza
impiegata al fine di effettuare azioni di protesta nei confronti del regime dell’allora
presidente ucraino Leonid Kuchma. Il momento chiave è rappresentato dalla procedura del
conteggio dei voti. Oltre agli osservatori ufficiali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa, durante la fase di spoglio delle schede nel corso delle elezioni
ucraine presenziavano migliaia di osservatori locali, in precedenza addestrati e pagati
dall’”Occidente”. Nell’occasione furono altresì organizzati sondaggi nei confronti degli
elettori all’uscita dei seggi che dimostravano la vittoria di Yushenko con un margine pari
all’11%. E proprio questi dati sono diventati una delle cause principale dell’evolversi
dell’attuale situazione in Ucraina. Sulla base di tali sondaggi, l’opposizione ha poi preso
l’iniziativa nella battaglia propagandistica contro il regime facendoli apparire di
conseguenza sulla stampa. La fase finale della campagna è incentrata sul come reagire se il
regime cercherà di “rubare” le elezioni perdute. In Bielorussia Lukashenko è uscito
vittorioso dalla campagna elettorale grazie al fatto che non erano state organizzate azioni di
protesta su vasta scala, al contrario di Belgrado, Tbilisi e Kiev, dove all’opposizione venne
raccomandato di mantenere sangue freddo e di organizzare massicce azioni di disobbedienza
civile.
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USA. 16 aprile. Se nell’arco degli anni ’60 e ’70 l’attività di formazione di cellule di partiti
ed organizzazioni politiche in diversi paesi veniva effettuata segretamente da parte della
CIA, successivamente venne presa la decisione di rendere più trasparente e pubblica
l’attività degli Stati Uniti. Ed è proprio di ciò che si occupano i fondi e le organizzazioni
statunitensi, tra le quali la Fondazione Soros, che ha attivamente preso parte alla rivoluzione
in Georgia, l’associazione Freedom House, la quale alla vigilia della rivoluzione in Kirghisia
iniziò a stampare e diffondere ben sei giornali a favore dell’opposizione (fattore che ha poi
contribuito in larga parte al rovesciamento del regime di Askar Akaiev), nonché l’Istituto
Repubblicano Internazionale del senatore USA John McCaine. Sono state proprio queste
Fondazioni ed organizzazioni, secondo gli autori del documentario, i veri ispiratori delle
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rivoluzioni «che hanno spazzato via uno dietro l’altro gli ex vassalli di Mosca per la grande
gioia di George Bush».
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Germania. 17 aprile. La presidenza di turno tedesca dell’Unione Europea, che in questi
giorni è impegnata in consultazioni discrete per rilanciare il Trattato costituzionale bocciato
dai referendum in Francia e Olanda, non ha nulla da aggiungere alle proposte avanzate a
Londra da britannici e olandesi, i più decisi oppositori anche solo della definizione di
Costituzione. I piani della cancelliera Angela Merkel, in attesa della conclusione delle
elezioni presidenziali francesi, prevedono una tabella di marcia da presentare al vertice di
giugno a Bruxelles alla fine del semestre tedesco di presidenza. A prendere le decisioni
concrete dovrebbe essere chiamata una Conferenza intergovernativa dopo la fine della
presidenza tedesca. In quella sede, secondo quanto è stato detto anche in occasione dei
recenti festeggiamenti a Berlino per i 50 anni dell’Unione Europea, potrebbe essere
elaborato il nuovo Trattato costituzionale il cui testo verrebbe redatto pertanto sotto la
presidenza portoghese con l’obiettivo di firmarlo e ratificarlo entro il 2009. Per quanto
riguarda l’obiezione di Gran Bretagna e Olanda (ma anche Polonia e Repubblica Ceca), che
non vogliono neanche sentire parlare di “Costituzione” per tutti gli impegni formali che il
termine comporta, ai tedeschi ciò non dovrebbe porre particolari difficoltà: anche la
Repubblica federale tedesca non ha una “Costituzione” bensì solo una “Grundgesetz”, cioè
una semplice “Legge Fondamentale” che sul piano formale non è ancora una Costituzione in
senso tecnico ma, piuttosto, l’insieme delle norme che reggono un nuovo ordinamento per
un periodo transitorio e in attesa di un esito ultimo che ancora non si è realizzato.
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Polonia. 17 aprile. Il generale Wojciech Jaruzelski, ex uomo forte della Polonia comunista,
è stato formalmente accusato di “crimine comunista” per aver decretato la legge marziale
nel 1981 con l’obiettivo di bloccare l’ascesa del sindacato Solidarnosc. L’accusa è stata
mossa dalla sezione di Katowice dell’Istituto per la memoria nazionale polacco (INP), che
studia e indaga sugli archivi di Stato, in riferimento al periodo della dittatura comunista in
Polonia. L’Istituto, lo stesso che in passato ha avviato procedimenti di “Lustracja” contro
l’ex arcivescovo di Varsavia Stanislaw Wielgus e l’attuale ministro delle Finanze Zyta
Gilowska, accusati di aver collaborato con i servizi segreti sovietici, ha depositato formale
accusa al Tribunale regionale di Varsavia, che dovrà ora pronunciarsi in merito. Oltre a
Jaruzelski, sono state depositate accuse contro altre otto persone, fra cui l’ex generale
Czeslaw Kiszczak e il segretario dell’allora Partito comunista polacco Stanislaw Kania.
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Polonia. 17 aprile. Dopo le dimissioni dell’arcivescovo Wielgus, seguite alle rivelazioni sul
suo passato di spia per il regime comunista, la “Lustracja” sta entrando nella sua fase più
turbolenta: la nuova legge che obbliga i collaboratori del regime sovietico ad
autodenunciarsi entro maggio è una resa dei conti, ma i gemelli Kaczynski la considerano
l’indispensabile pedaggio alla “rivoluzione morale” della quale si sono fatti paladini. In
primo piano sono gli intellettuali: almeno settecentomila fra docenti, magistrati, giornalisti,
universitari, dirigenti delle case editrici, editori di tv e giornali nati prima del 1972 dovranno
compilare un formulario –destinato ad un dipartimento creato per l’occasione con un
centinaio di funzionari, che riferirano all’INP– nel quale si chiede loro di spiegare se ed
eventualmente come hanno collaborato con la polizia politica comunista. Chi fornirà
dichiarazioni in contrasto con gli archivi dell’Istituto, o rifiuterà di obbedire al governo, sarà
licenziato e non potrà esercitare la professione per 10 anni. Sono intanto già partiti i primi
ricorsi alla Corte costituzionale, e ricerche e controlli potrebbero dunque durare anni,
considerata la scarsa attendibilità di molti documenti d’accusa.
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Polonia. 17 aprile. La Polonia sta attraversando dunque un’ondata di anti comunismo che
secondo alcuni analisti non è dovuta alla sola volontà proclamata di fare chiarezza sulla
propria storia, ma sarebbe in prima istanza motivata da una finalità di politica estera: la
Russia. Non è inverosimile pensare che l’obiettivo implicito di questa campagna possa
essere Mosca, lo sponsor dei passati regimi comunisti e con la quale non solo Varsavia ha
aperto diversi contenziosi geopolitici. L’attacco al passato comunista diventa di fatto un
modo per denigrare la Russia dipingendola come un nemico storico che, dopo aver
controllato quei paesi tramite regimi a lei favorevoli, ancora oggi può rappresentare una
temibile minaccia. Il generale Jaruzelski è ultra ottantenne e, anche se condannato, pare
difficile possa finire in carcere. La sua vicenda potrebbe però diventare il simbolo di una
controversia più grande, la diatriba con lo storico nemico russo che comunque non nasconde
le sue ambizioni di ritornare ad essere la potenza geopolitica dominante non solo nell’est
Europa.
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Polonia. 17 aprile. In un contesto geopolitico che tende verso la polarizzazione tra Russia –
Cina e Stati Uniti, la Polonia è un importante Stato cerniera tra Mosca ed un altro vecchio
nemico di Varsavia, la Germania. All’esterno la Polonia segue un deciso allineamento con
gli Stati Uniti e il suo ombrello missilistico, mentre rimane quantomeno diffidente contro le
mire non solo di Mosca ma anche di Berlino. Diffidenza non ingiustificata: l’ex cancelliere
Schröder è diventato responsabile del gasdotto del Baltico subito dopo aver siglato come
cancelliere l’accordo che ne affidava la gestione a Gazprom e alle tedesche EON e BasfWintershall. Il gasdotto ridurrà enormemente il ruolo geopolitico della Polonia ma anche di
Paesi come quelli baltici. In Polonia si è richiamata la spartizione del paese prima della
seconda guerra mondiale tra i ministri degli esteri della Germania nazista e della Russia
stalinista, Ribbentrop e Molotov.
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Polonia. 17 aprile. In questo ambito va dunque collocato il “maccartismo polacco”, quella
che Le Monde definisce una “caccia alle streghe”. Un’offensiva non prerogativa della sola
Polonia ed in corso anche in Ungheria e nei paesi baltici, che stanno cercando di portarla
anche a livello internazionale, come dimostra la loro recente richiesta all’Unione europea di
equiparare i crimini staliniani a quelli nazisti. Per il quotidiano Opinione la politica «non
liberale» di Varsavia «potrebbe essere un male giustificato dalle ingerenze russe». Un
indizio importante della decisione con cui intendono procedere i Kaczinsky è la nomina a
capo dei servizi di controspionaggio di Antoni Macierewicz, uomo molto vicino al primo
ministro e membro del suo stesso partito, il Partito per la Legge e la Giustizia (PiS), «che
denunciò nel 1992 molti agenti sovietici, alcuni dei quali facevano parte dell’entourage di
Lech Walesa». Il 4 giugno 1992, l’allora ministro degli Interni Antoni Macierewicz lesse in
Parlamento una prima lista di 120 collaboratori col passato regime sovietico. Il trauma fu
enorme: la lista comprende molti “eroi” di Solidarnosc, e fa il nome addirittura di Lech
Walesa, il capo dello Stato in carica, indicato nei documenti segreti come «agente Bolek».
La rivelazione provoca la caduta immediata, lo stesso 4 giugno, del governo cattolico; la
distruzione del mito di Solidarnosc; l’impossibilità di procedere alla vera “Lustracja” dei
vecchi agenti comunisti nascosti nelle istituzioni, perché tutti temono provocazioni, ricatti e
calunnie; infine, ma non ultimo, il ritorno degli ex comunisti al potere.
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Polonia. 17 aprile. Secondo il quotidiano filo USA ed Israele, «il pur tragico maccartismo
americano ha preservato e immunizzato l’America dal Komintern, meglio del lavoro di
intelligence e dell’esercito». Il giornale ricorda anche il caso dell’ex primo ministro polacco
della sinistra ex comunista (SLD) poi dimessosi, Leszek Miller, «esponente del partito
comunista polacco, che ideò una rete internazionale di aziende (…) Era il così detto “piano
Miller”, che venne approvato da Gorbacev e portò anche alla salvezza dei partiti
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socialcomunisti europei». Un piano che «venne fiancheggiato dai servizi russi, e dopo
l’uscita dal governo di Eltsin, ha chiuso il suo compito di traghettamento». E questo
spiegherebbe, arrivato Putin alla presidenza russa, «il “maccartismo”, che ha toccato anche
importanti uomini della Chiesa polacca».
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Russia. 17 aprile. Gazprom intende espandersi ulteriormente nel mercato europeo del gas.
In una dichiarazione ufficiale, i vertici del colosso energetico russo hanno annunciato di
voler costituire delle joint ventures (accordi tra imprese) con aziende leader in Belgio,
Germania, Serbia, Romania e Ungheria per costruire grandi infrastrutture di stoccaggio di
ingenti riserve di gas naturale. Oltre a produzione e distribuzione, lo stoccaggio di gas
naturale rappresenta un altro momento forte del sistema di controllo di questa risorsa
strategica. I vertici di Gazprom hanno presentato tali progetti come risposta all’esigenza di
rendere l’approvvigionamento di gas naturale russo da parte degli Europei più sicuro e meno
dipendente da dispute politiche, come quelle recenti con Ucraina e Bielorussia –i cui territori
sono di vitale importanza per convogliare il gas russo verso l’Europa centrale e occidentale–
che hanno destato inquietudine presso gli Stati membri dell’UE. Quel che è certo è
comunque il rafforzamento, attraverso accordi bilaterali ad hoc fra Mosca ed alcuni Stati
europei, della posizione di Gazprom. Il gas naturale, soprattutto in assenza di piani effettivi
per lo sviluppo di fonti energetiche alternative come il fotovoltaico, il solare, la geotermia e
l’idrogeno, sembra essere la risorsa energetica strategica del prossimo decennio. E la Russia,
che controlla le più vaste risorse mondiali di gas naturali e detiene la leadership nella sua
esportazione, non mancherà di farlo pesare anche in Europa.
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Russia. 17 aprile. L’obiettivo di Gazprom di dominare il mercato europeo del gas naturale è
stato storicamente favorito dalla geografia dell’energia. Il gas naturale ha un mercato più
dipendente dai gasdotti di quanto quello petrolifero sia dipendente dagli oleodotti. Per poter
trasportare il gas naturale via-mare occorre la sua liquefazione e poi ri-gassificazione,
operazione delicata non solo in senso economico ma anche e soprattutto politico, in quanto i
rigassificatori sono spesso oggetto di aspre controversie e la loro costruzione procede a
rilento rispetto alle pretese del mercato energetico. In tale contesto, il fatto che sin dai tempi
dell’URSS il territorio russo è legato all’Europa centrale e occidentale da una fitta rete di
gasdotti ha naturalmente favorito la politica di Gazprom. Per le ambizioni geopolitiche del
Cremino, il controllo di fatto statale delle risorse energetiche (gas naturale e anche petrolio)
e dei circuiti di distribuzione attraverso giganti quali Gazprom o Rosneft è un elemento
decisivo. Va a tal proposito rilevato che la chiave di lettura dell’accordo con la Bielorussia
di Lukashenko del gennaio scorso non consiste nell’aumento dei prezzi di fornitura del gas
ai bielorussi, ma nell’acquisizione del controllo –con una quota del 50% della proprietà– dei
gasdotti che transitano attraverso la Bielorussia. È la stessa concessione strappata, un anno
fa, all’Ucraina.
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Russia. 17 aprile. Gettando un occhio attento alla geopolitica russa delle risorse
energetiche, quel che salta all’occhio è il controllo di oleodotti e gasdotti e dei diritti di
transito. Il settimanale Espresso del febbraio scorso rilevava ad esempio che una società
come l’ENI non può far arrivare in Europa gli idrocarburi estratti in Kazakistan, Uzbekistan
o Turkmenistan (dove partecipa all’estrazione in alcuni giacimenti) poiché Mosca non
concede diritti di transito sul territorio russo. L’ENI è costretta pertanto a vendere quanto
produce a Gazprom. Questo squilibrio sui transiti è la carta che sta favorendo Gazprom a
discapito di tutti gli altri operatori, nel mentre questa si avvia ad entrare in mercati come
appunto quello italiano.
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Russia / Italia. 17 aprile. Apriamo a questo punto una parentesi sull’Italia. Il governo di
centrosinistra, nel contesto delineato poco sopra, non ha trovato niente di meglio che
proseguire la politica energetica del governo Berlusconi, consistente nell’aprire
incondizionatamente il mercato italiano al colosso di Mosca (che tra l’altro vorrebbe
acquisire centrali elettriche). Con la rettifica di impedire allo stesso Berlusconi di
partecipare, anche se per interposta persona con una una società privata riconducibile a lui,
all’affare. «Cosa offre Mosca all’Italia, in cambio della conquista del mercato del metano?
In cambio ENI avrà accesso a quote azionarie di Novatek –il primo produttore privato di
gas dopo Gazprom– e di Artikgas, una società che sfrutterà i ricchissimi giacimenti a
ridosso del Circolo Polare Artico. C’è però un nodo da risolvere: se non cambiano le
regole russe circa le concessioni sui transiti nei metanodotti, cosa se ne farà ENI del gas
estratto in Russia? Non potendo esportarlo, continuerà a non restare altro da fare che
rivenderlo a Gazprom, ed il circolo vizioso si riproporrà», scriveva il settimanale di De
Benedetti.
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Russia. 17 aprile. È comunque evidente che Mosca ha saputo ben associare al dato
strutturale geografico-energetico una notevole capacità diplomatica. Una vera e propria
strategia d’influenza russa, che punta a solleticare gli appetiti economici di singoli paesi
europei, ha avuto buon gioco nel coinvolgere singoli Stati membri nel sistema dello
stoccaggio del gas naturale, che permette a tali paesi di diventare hub strategici e distributori
della risorsa energetica anche se non ne possiedono. Nel biennio 2004-2005, l’allora
Cancelliere tedesco Gerhard Schröder strinse rapporti privilegiati con l’impresa controllata
da Mosca e diede inizio a un partenariato strategico con la Russia insieme a una propria
collaborazione personale con Gazprom. Una delle conseguenze fu il progetto di gasdotto
attraverso il Baltico che fece infuriare Varsavia e Vilnius (escluse dal tragitto e private
quindi di royalties e di peso politico). Buone relazioni anche con il Belgio. I rapporti fra il
primo ministro belga Guy Verhofstadt e Vladimir Putin sono stati tradizionalmente buoni
negli ultimi anni. Nel marzo scorso, Verhofstadt è stato ricevuto al Cremlino e ha dato il
proprio assenso al progetto di stoccaggio del gas naturale in Belgio. Per quanto riguarda
Serbia e Romania, se la prima è tradizionalmente un’alleata politico-diplomatica di Mosca,
la seconda è un caso più interessante, in quanto insieme a Polonia e Lituania è il paese più
filo-statunitense e filo-atlantico fra i nuovi Stati membri UE integrati nel 2004, e un pilastro
della nuova strategia statunitense nell’area del Mar Nero. Le considerazioni economiche, in
questo caso, hanno prevalso.
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Russia. 17 aprile. Le strategie energetiche russe hanno comunque un respiro a più ampio
raggio. Buona innanzitutto l’intesa con la Turchia, con cui si è realizzato (anche con la
partecipazione dell’ENI) il Blue stream, il gasdotto tra Russia e Turchia passante attraverso
il mar Nero, che Putin vorrebbe estendere ai Balcani ed all’Ungheria. Gazprom e Israele
hanno raggiunto un accordo di principio sulla fornitura di gas russo a Tel Aviv attraverso la
Turchia, secondo quanto ha detto il primo ministro israeliano Ehud Olmert, intervistato a
Gerusalemme dalla radio Eco di Mosca. Un accordo per trasportare gas naturale egiziano
verso l’Europa attraverso la Turchia è stato firmato dai ministri dell’energia di Siria, Egitto,
Libano, Giordania e Romania, secondo quanto afferma l’agenzia di stampa Anadolu. Nel
2006, Mosca ha stretto un’alleanza con Algeri ed iniziato quel processo di cooptazione dei
propri potenziali rivali che, eventualmente, potrebbe anche portare ad un cartello del gas sul
modello dell’OPEC petrolifero. Detto per inciso, l’intesa tra la russa Gazprom e l’algerina
Sonatrach, che insieme rappresentano il 60% dell’import di metano dell’Europa occidentale
e il 70% di tutte le importazioni italiane (l’Algeria ha gasdotti diretti con Italia, Spagna e
Portogallo ed esporta gas liquefatto a tutto il Mediterraneo del nord), determinerà una
situazione di quasi monopolio sul mercato europeo del gas. L’intesa è stata corroborata con
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la vendita di armamenti: caccia multiruolo, radar, missili. Pagate dando a Mosca la
partecipazione alle operazioni di estrazione di petrolio e gas nel paese maghrebino. Il 9
Aprile scorso, a Doha in Qatar, i membri del Forum dei paesi esportatori di gas hanno
discusso della possibilità di coordinare le proprie politiche di offerta. La Russia conta di
aumentare la propria influenza sulle politiche di molti fra i principali detentori di gas
naturale: Iran, Qatar, Arabia Saudita, Venezuela, Turkmenistan. Nel risiko energetico
globale innescato dall’aggressività statunitense (cfr i progetti di oleodotti e gasdotti con cui
Washington vorrebbe tagliare fuori Mosca dai circuiti di distribuzione delle risorse
energetiche), la Russia sta mostrando di avere diverse carte da giocare.
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Kosovo. 18 aprile. «Dovremo lavorare con alacrità nelle prossime settimane e nei prossimi
mesi per portare il Kosovo verso l’indipendenza». Lo ha ribadito ieri, in riferimento alla
sorte della provincia a maggioranza albanese oggi sotto l’autorità serba, Nicholas Burns,
numero tre del Dipartimento di Stato, di fronte al Congresso, insinuando così la possibilità
di un riconoscimento unilaterale. Immediata la replica di Belgrado: il governo respingerà
come nullo il tentativo di qualunque paese di riconoscere il Kosovo come Stato indipendente
prima che sia adottata una risoluzione al riguardo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
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Ucraina. 18 aprile. Yanukovic: Se andremo a nuove elezioni vinceremo sicuramente.
Secondo i sondaggi citati dal primo ministro ucraino, in costante crescita risulterebbe la
coalizione parlamentare guidata dal “partito delle regioni” dell’attuale premier filo russo.
Yanukovic però precisa che ogni elezione deve tenersi nel rispetto della legge e della
Costituzione del Paese.
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Turchia / Iraq. 18 aprile. Ankara minaccia di invadere l’Iraq. Due operazioni militari
contro i guerriglieri del PKK a breve distanza dalla frontiera turco-irachena, appoggiate da
elicotteri da combattimento, le dichiarazioni del capo di Stato maggiore di Ankara e del
consiglio nazionale per la sicurezza della Turchia (una istituzione a guida mista civile e
militare) lo scorso 9 aprile, secondo cui Ankara sarebbe pronta ad adottare “altri
provvedimenti” nel caso in cui il governo iracheno non dovesse prendere provvedimenti
adeguati contro i guerriglieri kurdi, lasciano paventare seriamente opzioni militari nel nord
del vicino Iraq. Secondo Ankara i guerriglieri dopo attacchi contro obiettivi turchi
troverebbero protezione proprio in territori a sovranità irachena. Il capo di Stato maggiore
delle forze armate turche, Yasar Büyükanit, ha detto che qui si nasconderebbero almeno
5mila guerriglieri kurdi e l’invasione di questi territori sarebbe «indispensabile» per
impedire loro di agire.
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Turchia / Iraq. 18 aprile. Lo scontro verbale tra turchi e kurdi aveva già raggiunto un
punto di massima tensione la settimana scorsa, con l’intervista al leader dei kurdi nord
iracheni Massoud Barzani trasmessa dalla televisione Al-Arabiya. Nell’intervista Barzani
affermava che i kurdi nord iracheni non permetteranno un intervento turco nella città di
Kirkuk. Irritato dalle ripetute minacce di intervento turco, Barzani ha affermato che se la
Turchia crede sia suo dovere intervenire per le migliaia di turkmeni che vivono a Kirkuk,
allora «noi in nome dei 30 milioni di kurdi della Turchia, abbiamo il diritto di immischiarci
negli affari di Diyarbakir e delle altre città turche». Soprattutto, Barzani ha dichiarato che i
kurdi residenti in Iran, Turchia, Iraq e Siria «avrebbero un legittimo diritto ad uno Stato
indipendente». Per la maggioranza delle élite politiche e delle forze armate turche questa
prospettiva rappresenta l’inferno, da scongiurare ad ogni costo, con in più il timore che nella
possibile, futura entità statuale del Kurdistan vi siano anche i territori attualmente sotto
dominio turco. Il ministro degli esteri Abdullah Gül, in una telefonata con il suo collega
statunitense Condoleezza Rice, ha preteso che gli alleati USA mettano Barzani con le spalle
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al muro. Cemil Cicel, influente portavoce del governo, ha ribadito come legittima una
possibile operazione militare turca in Iraq, visto che il PKK agisce partendo dall’Iraq del
nord.
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Iran. 18 aprile. Gruppo terrorista debellato. Le autorità iraniane hanno dichiarato di aver
messo sotto controllo il gruppo terrorista di Jundallah (“Soldati di Allah”) di Abdolmalek
Rigi e di averlo disperso. Un alto funzionario del ministero dell’interno ha detto che il
gruppo è stato sostenuto da servizi segreti stranieri con l’obiettivo di destabilizzare il
governo iraniano. Inoltre ha affermato che i capi delle frazioni principali del gruppo sono
stati arrestati o uccisi.
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Iran / Israele. 18 aprile. L’Iran è attivamente impegnata nel reclutamento di ebrei e di arabi
israeliani come spie contro Israele. Lo ha affermato un rapporto dei servizi di sicurezza
israeliani. 10 israeliani su 100 che hanno viaggiato in questi ultimi due anni in Iran, secondo
il rapporto, interrogati dal servizio di sicurezza israeliani, sono stati scoperti reclutati come
spie. Il rapporto afferma inoltre che l’Iran sta attivamente raccogliendo informazioni in tre
ambiti: sistema decisionale israeliano; strutture militari e di difesa; forza e debolezze della
società israeliana.
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Iraq. 18 aprile. Per il 73% degli iracheni gli USA sono la causa degli attentati contro i
civili. Secondo un sondaggio pubblicato 9 giorni fa dal quotidiano britannico The Sunday
Times, solamente il 27% degli iracheni intervistati pensano che la violenza con la quale
convivono tutti i giorni sia il risultato di una guerra civile. L’istituto Brookings ha inoltre
rilevato, anche sulla base di fonti ufficiali USA, che il numero degli attentati è raddoppiato
rispetto all’anno precedente, il 75% dei quali rivolti contro l’esercito USA, il 17% contro
quello iracheno ufficiale e solamente l’8% contro obiettivi civili, che comprendono
comunque le imprese che lavorano direttamente o indirettamente per gli occupanti. La
“guerra civile” si rivela uno slogan tanto sbandierato quanto irreale. Si può magari parlare di
combattimenti tra milizie rivali o scontri tra settori del governo iracheno che difendono
propri interessi. Ma c’è chi rileva come la comparsa di squadroni della morte, che
terrorizzano villaggi interi e fermano tutti quelli che entrano od escono dagli abitati, risale
alla venuta in Iraq del famigerato John Negroponte, attuale numero 2 del Dipartimento di
Stato USA, figura che sovrintese alla creazione ed addestramento di sanguinari commandos
nell’America centrale.
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Nicaragua / Venezuela. 18 aprile. Il presidente Daniel Ortega inaugura due nuove centrali
elettriche, intitolate al suo omologo venezuelano Hugo Chávez per il sostegno offerto da
Caracas per risolvere la crisi energetica che colpisce il paese con black-out quasi quotidiani.
Secondo Ortega, l’interruzione dell’energia elettrica è già stata ridotta, nei suoi primi 100
giorni di governo, del 30% «grazie alla solidarietà del Venezuela e di Cuba».
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Iran / Iraq. 19 aprile. L’Iran sta fornendo in Iraq aiuti non solo agli sciiti, ma anche ai
sunniti. Lo ha dichiarato il generale del Pentagono Barbero. «Abbiamo scoperto munizioni a
Baghdad, prodotte in Iran, in quartieri a larga maggioranza sunniti», ha detto il generale
Barbero. Obiettivo di Teheran, secondo il militare, sarebbe destabilizzare e paralizzare
l’Iraq.
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Russia. 19 aprile. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso l’Accademia
aeromilitare “Yurij Gagarin” a Monino, in periferia di Mosca, il Comandante in capo delle
Forze aeree russe, generale Vladimir Mihailov, ha dichiarato che i sistemi missilistici
difensivi che gli Stati Uniti sono intenzionati a dislocare in Polonia e nella Repubblica Ceca
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non rappresentano un pericolo per la Russia «Per noi questi sistemi non rappresentano un
pericolo particolare, dal momento che non si tratta di missili d’attacco sebbene possano
essere utilizzati in qualità di missili terra-terra. Il peso di questi sistemi è più politico che
militare», ha dichiarato il generale Mihailov il quale ha poi proseguito dicendo che «si tratta
di sistemi missilistici stazionari, in grado di essere immediatamente localizzati per
coordinate. Per cui non vedo la ragione per la quale si debba temere sistemi del genere».
«Il fatto che gli americani ci invitino a visitare di persona questi sistemi rappresenta
un’iniziativa per lo più di carattere politico al fine di dimostrarci che li installano armati di
buone intenzioni, tant’è che sono disposti a farceli vedere uno per uno», ha così
commentato il generale Mihailov la recente dichiarazione da parte del direttore dell’Agenzia
missilistica difensiva statunitense, generale Henry Obering, il quale aveva proposto ad
esperti russi di visitare i cantieri sul territorio polacco che a partire dal 2011 ospiteranno 10
basi missilistiche difensive statunitensi.
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Russia. 19 aprile. Il Comandante in capo delle Forze aeree russe, generale Vladimir
Mihailov, nel corso della conferenza stampa presso l’Accademia militare aerea di Mosca
“Yurij Gagarin”, ha dichiarato che tra Russia e Bielorussia verrà sottoscritto un accordo che
prevede la formazione di uno scudo missilistico difensivo in comune.
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Russia / India. 19 aprile. Lo storico accordo tra Stati Uniti e India sulla energia nucleare è
a rischio perché il governo di New Delhi chiede la riscrittura di clausole chiave della legge
già approvata dal Congresso l’anno scorso. Secondo quanto rivelato da fonti del
dipartimento di Stato USA, citate dal Financial Times (FT), l’intransigenza dell’India
minaccia di fare saltare un accordo che consentirebbe a New Delhi un accesso senza
precedenti al combustibile nucleare, senza dovere sottoscrivere il trattato di non
proliferazione. Stando a quanto riferito da fonti informate della trattativa, i negoziatori
indiani contestano una clausola che riserva agli Stati Uniti la facoltà di ritirare le forniture di
combustibile e le apparecchiature per gli impianti nucleari qualora l’India derogasse dalla
moratoria unilaterale sui test nucleari, ha scritto il FT.
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USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. «In Somalia, analogamente ad Haiti, è avvenuta
un’invasione di mercenari dall’Etiopia, addestrati, finanziati, armati e guidati da
consiglieri militari statunitensi». Lo scrive il docente USA James Petras in una sua analisi
sulla struttura dell’impero USA, puntualizzando come Washington, alle prese con due
guerre nel Medioriente ed in Asia centrale, faccia affidamento su Stati satelliti per il
controllo e la repressione di movimenti antimperialisti. L’invasione etiope della Somalia
(dicembre 2006), con il rovesciamento dell’Unione delle Corti islamiche e l’imposizione di
un sedicente “governo di transizione” di “signori della guerra”, risponde a strategie
geopolitiche di controllo di aree come quella del Corno d’Africa, a ridosso del Medioriente e
di paesi a rischio come Sudan ed Eritrea, e caratterizzate dalla crescente influenza cinese
(cfr Sudan). Non a caso Washington sta insediando in Africa un comando militare, allo
scopo di rafforzare il controllo sulle forze armate africane, accelerare le disposizioni per
reprimere i movimenti d’indipendenza o abbattere i regimi antistatunitensi ed aprire i
cordoni della borsa verso oligarchie e generali africani già tentati dagli investimenti ed aiuti
cinesi. Nel suo scritto Petras compie un’interessante ricostruzione della più recente storia
somala. Dal 1991 (caduta del governo di Siad Barre) fino a metà del 2006 la Somalia è stata
devastata da conflitti e faide fra “signori della guerra”. Nel mezzo, nei primi anni Novanta,
l’invasione USA/ONU e l’occupazione temporanea di Mogadiscio, che ha visto massacrati
più di 10mila civili somali ed uccisi e feriti poche dozzine di soldati USA/ONU.
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USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Perché Washington invase la Somalia? Secondo Petras,
ciò rispondeva ad una strategia volta a fare della Somalia uno degli “Stati vassalli”
statunitensi in Africa. Il presidente dei democratici Bill Clinton ne fu l’esecutore. A lui
Petras riserba parole di fuoco. «Mentre molti commentatori attualmente e giustamente fanno
riferimento a Bush come ad un ossessionato fomentatore guerrafondaio a causa delle sue
guerre in Iraq e in Afghanistan, costoro dimenticano che il Presidente Clinton, a suo tempo,
si era impegnato in diverse azioni belliche simultanee e sequenziali in Somalia, Iraq, Sudan
e contro la Jugoslavia. Le azioni militari e gli embarghi di Clinton hanno ucciso e mutilato
migliaia di somali, hanno prodotto 500.000 morti solo di bambini iracheni, e causato fra i
civili nei Balcani migliaia di morti e feriti. Clinton ha ordinato la distruzione del più
importante stabilimento farmaceutico del Sudan, che produceva vaccini indispensabili e
farmaci essenziali sia per gli uomini che per il bestiame, procurando una drammatica
carenza di questi vaccini e di trattamenti fondamentali». Ritornando in Somalia, Clinton
invia nel 1994 migliaia di soldati USA per una “missione umanitaria”. «In realtà
Washington interveniva per favorire quei signori della guerra compiacenti con gli USA
contro gli altri, contro il parere dei comandanti Italiani delle truppe ONU in Somalia».
L’esito fu disastroso per gli USA. «Due dozzine di militari USA rimanevano uccisi in un
tentativo di assassinio mal congegnato, e i loro corpi mutilati venivano trascinati per le
strade della capitale Somala da una folla inferocita. Washington inviava navi
portaelicotteri, che bombardavano pesantemente le aree popolate di Mogadiscio,
ammazzando e mutilando per rappresaglia migliaia di civili. Alla fine, gli USA furono
costretti al ritiro delle loro forze armate, visto che l’opinione pubblica e del Congresso si
era capovolta in modo schiacciante contro la piccola guerra caotica di Clinton. Anche le
Nazioni Unite, che non avevano più bisogno di fornire una copertura all’intervento
statunitense, si ritirarono». Questo per chi parla di “ruolo della pace” delle Nazioni Unite.
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USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. È in questo contesto che negli anni Novanta «piccoli
gruppi locali, i cui leaders più tardi davano luogo all’Unione delle Corti Islamiche (UCI),
cominciarono ad organizzarsi contro i saccheggi dei signori della guerra (…) contrastando
le fedeltà tribali e di clan; l’UCI cominciò a mettere fuori gioco i signori della guerra,
dando un taglio ai pagamenti estorsivi imposti sui commerci e sulle famiglie. Nel giugno
2006, questa libera coalizione di preti islamici, giuristi, lavoratori, forze di sicurezza e
commercianti cacciava dalla capitale Mogadiscio i più potenti signori della guerra».
L’Unione delle Corti Islamiche guadagnava frattanto sempre più consensi. «Nella totale
assenza di qualcosa che assomigliasse ad un governo, l’UCI cominciò a fornire sicurezza, il
governo della legge e la protezione delle famiglie e delle proprietà contro i criminali
predatori. Una rete estensiva di centri e programmi per l’assicurazione dello Stato sociale,
cliniche sanitarie, mense gratuite per i poveri e scuole elementari venivano costituite per
servire il grande numero di profughi, contadini sradicati dalle loro terre e i poveri delle
città». È su questo scenario sullo sfondo che l’Unione delle Corti Islamiche riesce a
scacciare i signori della guerra da Mogadiscio e dall’intera parte centro-meridionale del
paese ed insediare un governo di fatto riconosciuto e ben accettato dalla stragrandissima
maggioranza dei somali.
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USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. A questo punto Washington reagisce, assicurando
protezione all’attuale “Presidente” del “Governo Federale di Transizione” (TFG), Abdullahi
Yusuf e preparando mercenari etiopi per un’invasione della Somalia su larga scala, per terra
e per via aerea. Yusuf è un “signore della guerra” «profondamente coinvolto nella
corruzione e in tutti i saccheggi illegali che hanno caratterizzato la Somalia dal 1991 fino al
2006. Per tutti gli anni Novanta, Yusuf è stato Presidente del sedicente stato autonomo
separatista del Puntland». Con l’avanzata delle Corti, Yusuf fu costretto a rifugiarsi in una
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città di provincia sul confine con l’Etiopia, privo del sostegno anche da parte di molti clan di
signori della guerra. Significativo a questo punto il ruolo dell’ONU. «Washington si
assicurava una risoluzione dal Consiglio di Sicurezza che riconosceva al signore della
guerra Yusuf, nella minuscola enclave di Baidoa, il governo legittimo. Questo avveniva
malgrado il fatto che l’esistenza del TFG dipendesse dalla presenza di un contingente di
diverse centinaia di mercenari etiopi finanziati dagli Stati Uniti». Entra poi in scena il
dittatore etiope Meles Zenawi. La forza del suo regime, fondato sul gruppo etnico Tigrayan,
meno del 10% della popolazione multietnica dell’Etiopia, è appesa al filo degli armamenti
USA per le forze di polizia e per l’esercito, dei prestiti finanziari e dei consiglieri
statunitensi. Grazie al sostegno di Washington, Meles ha potuto affrontare l’opposizione
armata di movimenti di liberazione interni come quello degli Oromo, l’ostilità di settori
dell’esercito che gli rimproverano la guerra con l’Eritrea ed il disprezzo della popolazione
degli Amhara, influente nella capitale, che lo accusa di aver truccato le elezioni nel maggio
2005, fatto uccidere, nell’ottobre 2006, 200 studenti che protestavano, e aver imprigionato
decine di migliaia di persone.
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USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Meles, privo di qualsiasi sostegno popolare, è diventato
il vassallo degli USA più leale e servile nella regione. «Imitando in modo imbarazzante
come un pappagallo la retorica “anti-terroristica” imperiale di Washington per la sua
aggressione contro la Somalia, Meles ha inviato più di 15.000 soldati, centinaia di veicoli
corazzati, dozzine di elicotteri ed aerei da guerra. Conclamando che stava impegnandosi
nella “guerra contro il terrorismo”, Meles terrorizzava il popolo della Somalia con
bombardamenti aerei e con una tattica da terra bruciata. In nome della “sicurezza
nazionale”, Meles inviava le sue truppe a liberare dall’accerchiamento il signore della
guerra, fantoccio degli USA, Abdullahi Yusuf». Il tutto sotto la supervisione di Washington,
che coordinava le sue forze aeree e navali e bombardamenti ai somali in fuga con l’avanzata
degli invasori Etiopi ed impediva a tutte le navi l’accesso alle coste somale, mentre al Kenya
veniva ordinato di catturare e inviare oltre confine i somali in fuga. Il tutto con la scusa di Al
Qaeda. Eppure, secondo le stesse fonti USA, «le forze armate statunitensi ed etiope non
hanno potuto identificare nemmeno un leader di Al Qaeda dopo l’esame di un gran numero
di combattenti o profughi morti o fatti prigionieri».
•
USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Dopo aver sostenuto l’offensiva etiope, il passo
successivo di Washington è stato di procurare rinforzi per Meles, che data la propria
precaria posizione interna «non poteva permettersi di mantenere a lungo in Somalia il suo
esercito di occupazione di 15.000 mercenari. E così, «sotto la direzione di Washington, sia
le Nazioni Unite che l’Organizzazione per l’”Unità” Africana concordavano di inviare un
esercito di occupazione di ‘peace-keepers’» per dare sostegno vitale al regime di Yusuf. Per
Petras, comunque, anche l’operazione Somalia è destinata al fallimento. Certo, il caso
somalo dimostra l’importanza di una rete di regimi servili o satelliti per ridurre «di molto i
costi politici ed economici per conservare gli avamposti imperiali». Senza l’invasione da
parte degli etiopi, il fantoccio signore della guerra somalo Abdullahi Yusuf sarebbe stato
cacciato via dalla Somalia e il paese si sarebbe unificato. Washington ha però scommesso su
un Yusuf «profondamente detestato, con nessuna base sociale nel paese e dipendente da
clan delegittimati, sempre in contrasto fra loro, e da signori della guerra criminali». Si
sottovaluta inoltre l’ostilità somala verso l’aggressione di un’Etiopia che già nel 1979 aveva
devastato il paese e non si tiene conto dell’opposizione interna di quei paesi africani
chiamati ad un prolungato e costoso coinvolgimento militare. Ma soprattutto, secondo
Petras, l’ambizione imperiale di Washington non riconosce la propria debolezza strategica di
fronte ad un fattore decisivo: i movimenti popolari di liberazione nazionale. Contro la cui
resistenza di massa non possono nulla “regimi vassalli” dipendenti da eserciti stranieri.
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USA / ONU / Haiti. 19 aprile. Le strategie geopolitiche di Washington anche nell’invio dei
caschi blu in Haiti. Stavolta, a condurre il lavoro sporco di Washington, il Brasile di Lula,
che ha inviato il contingente più numeroso. «Un generale brasiliano è stato messo al
comando dell’intera forza militare. Il cileno Gabriel Valdez ha assunto la direzione
dell’amministrazione di occupazione delle Nazioni Unite, come funzionario superiore a
sovrintendere la sanguinosa repressione dei movimenti di resistenza Haitiani». Il
contingente ONU è composto inoltre da truppe provenienti da Uruguay, Bolivia, Panama,
Paraguay, Colombia e Perù. Tra il dicembre 2006 ed il febbraio 2007 l’ONU ha invaso ed
ucciso nelle baraccopoli più povere e densamente popolate del paese.
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USA / Cuba. 19 aprile. Posada esce dal carcere. La spuntano gli anticastristi di Miami. Il
terrorista Luis Posada Carriles viene scarcerato su cauzione (350mila dollari) e dopo aver
accettato il braccialetto elettronico anti-fuga: attenderà il processo in casa della moglie a
Miami. La Corte d’Appello di New Orleans si è rifiutata di rinviarlo a giudizio per
terrorismo e lo aveva arrestato solo per immigrazione illegale. Respinta la richiesta di
estradizione del Venezuela (dal cui territorio partì l’aereo cubano fatto esplodere nel 1976 in
uno degli attentati attribuiti a Posada). Oltre all’attentato del 1976, che costò la vita a 83
persone, Posada è responsabile (per sua stessa ammissione) dell’esplosione che nel 1997
all’Avana uccise il giovane italiano Fabio Di Celmo (32 anni). Il padre di Di Celmo ha detto
che la liberazione «è una burla all’umanità». «Non c’è giustizia» negli USA «che
pretendono di dominare il mondo», ha detto Giustino Di Celmo. Dopo L’Avana e Caracas,
anche Managua ne ha intanto chiesto l’estradizione.
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Italia / USA. 20 aprile. L’Italia verrà interamente coperta dallo scudo spaziale
antimissilistico USA. Lo ho affermato ieri a Bruxelles il generale Harry Obering, direttore
dell’Agenzia statunitense per la difesa missilistica, nel corso del Consiglio fra la NATO e la
Russia appositamente organizzato e dedicato alla questione. Come ha affermato il generale
Obering, il sistema missilistico difensivo, la cui installazione è prevista in Polonia e nella
Repubblica Ceca entro il 2011, «coprirà tutta l’Italia e gran parte dell’Europa del sud». Il
generale Obering ha poi aggiunto che lo scudo statunitense non sarà in grado di coprire
un’area dell’Europa orientale a partire dalla Grecia
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Italia / USA. 20 aprile. Vicenza non dimentica la base. In migliaia sfilano in corteo fino
alla basilica palladiana occupata. La città si mobilita contro la cappa di silenzio che sembra
avvolgere la battaglia contro l’allargamento della base USA “Dal Molin” che ha il placet del
governo Prodi. Anche ieri mattina verso le 6.30, gli occupanti della basilica hanno potuto
assistere ad una esercitazione dei militari statunitensi. In piazza dei Signori una squadra di
soldati ha svolto la sua ginnastica mattutina. Vista non insolita, dato che i militari della
Ederle escono ogni mattina per i loro esercizi. Alcuni sono in maglietta e pantaloncini grigi,
ma ci sono anche le squadre in divisa, elmetto e zaino in spalle. «Neanche fossimo a
Baghdad», dice Marco Palma del presidio permanente che conferma che «la ginnastica in
centro la fanno soltanto da qualche mese, cioè da quando la questione Dal Molin è
diventata oggetto della protesta dei cittadini». Una sorta di atto di sfida. Contrastato ogni
mattina da un gruppo di cittadini del comitato contro la base di Vicenza est, che alle sei
puntuale si piazza davanti ad una delle uscite della Ederle con striscioni che denunciano la
guerra, oltre a dire no Dal Molin. «Oggi», dice Palma, «la questione della nuova base è
fortemente
legata,
da
tutti
i
cittadini,
al
no
alla
guerra».
Una consapevolezza che è cresciuta nel movimento che respinge al mittente le accuse di
localismo, o peggio di essere pronto a sbaraccare se solo la base venisse fatta qualche
16
chilometro più in là. Lo slogan del movimento no Dal Molin, «resisteremo un minuto di
più» è dunque più attuale che mai.
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Francia. 20 aprile. Indipendentisti còrsi invitano al boicottaggio delle presidenziali. Corsica
Nazione Indipendente ha lanciato ieri un appello all’astensione alle presidenziali di
domenica in Francia come «atto di rifiuto e resistenza» per denunciare il rifiuto dello Stato
francese di riconoscere i diritti del popolo còrso. «Come indipendentisti non abbiamo niente
da sperare» da queste elezioni.
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Ecuador. 21 aprile. L’81,72% vuole la Costituente. È una vittoria schiacciante per il
presidente Correa, secondo i risultati ufficiali resi noti dal Tribunale Supremo Elettorale, che
ottiene così il consenso per la sua proposta di convocare «un’Assemblea Costituente con
pieni poteri per riformare il quadro istituzionale ed elaborare una nuova Costituzione».
L’opposizione ha riconosciuto la sconfitta: «Sarebbe assurdo da parte nostra chiudere gli
occhi di fronte a quello che la cittadinanza ha espresso nelle urne», ha affermato la deputata
del Movimiento Libertario, Gabriela Abarca.
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Algeria. 22 aprile. Il premier algerino Abdelaziz Belkhadem ha nuovamente condannato un
allarme lanciato qualche giorno fa dall’ambasciata statunitense di Algeri, secondo cui
potevano essere imminenti nuovi attacchi terroristici nella capitale algerina che avrebbero
avuto come possibile obiettivi l’uffico centrale della posta e la sede della radio-televisione.
«Si tratta di qualcosa che non era mai accaduto in nessun altro Paese, che l’Ambasciata di
uno Stato in un Paese sovrano pubblichi sul proprio sito Internet un avviso circa
l’imminenza di un attacco terroristico, fornendo la data e il luogo dove sarebbe avvenuto.
Non accettiamo nessuna interferenza nei nostri affari interni», ha detto Belkhadem alla
televisione nazionale algerina.
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USA / Iraq. 22 aprile. I comandanti dei marines in Iraq hanno creato un clima di totale
disprezzo per la vita dei civili. L’accusa viene addirittura dal Pentagono. Secondo i risultati
di un’inchiesta interna, «la vita degli iracheni innocenti era valutata così poco che la loro
morte era considerata una insignificante componente della guerra». Il rapporto firmato dal
generale Eldon Bargewell è stato anticipato oggi sulle pagine del Washington Post.
L’inchiesta ha fatto luce sulla strage di Haditha, nella quale 24 iracheni, tra i quali anche
donne e bambini, furono trucidati il 19 novembre del 2005. Inizialmente il Pentagono cercò
di giustificare l’eccidio come uno scontro con insorti.
•
Iraq. 23 aprile. Al Maliki contro il Muro di Baghdad. Il premier iracheno Nouri al-Maliki,
parlando al Cairo, ha detto di aver dato disposizioni, affinché la costruzione delle barriere di
cemento attorno ad alcuni quartieri sunniti di Baghdad venga sospesa e si trovi una
soluzione alternativa per garantire la sicurezza. La decisione arriva a seguito di un diffuso
malcontento che serpeggia nella capitale irachena per la separazione fisica che le truppe
USA vorrebbero imporre alla popolazione.
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Iran / Russia. 23 aprile. Teheran e Mosca hanno firmato un protocollo d’intesa per
risolvere i problemi finanziari inerenti alla costruzione della prima centrale atomica dell’Iran
a Bushehr nel sud del paese. Proprio ieri il portavoce del ministero degli esteri iraniano
Mohamnmad Ali Hosseini aveva detto che il mancato rispetto degli impegni presi a Bushehr
rende inaffidabile la Russia, mentre l’agenzia iraniana per l’energia atomica aveva affermato
di aver già saldato completamente tutti i conti in sospeso con la società russa
Atomstroyexport, incaricata della costruzione.
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USA. 23 aprile. Il sistema di missili balistici USA è inaffidabile, vulnerabile, tecnicamente
incompleto e non è in grado di difendere l’Europa in caso di attacco missilistico. Lo ha
dichiarato al prestigioso quotidiano russo Izvestia Philip Coyle, ex viceministro della Difesa
degli Stati Uniti, nonché attuale collaboratore dell’Istituto per la sicurezza mondiale con
sede a Washington. Coyle aggiunge che il sistema di missili balistici che gli Stati Uniti
hanno recentemente installato sia in Alaska che in California si è rivelato incapace di
difendere il territorio degli Stati Uniti nell’ambito di uno scenario militare reale, «dal
momento che in base ad uno scenario del genere il potenziale nemico è in grado di portare
un attacco missilistico congiunto da diverse direzioni, utilizzando sia missili fasulli che
missili armati di testata nucleare». Coyle afferma che «distruggere un missile in volo alla
velocità di 25.000 chilometri all’ora è come per un giocatore di golf centrare la buca con la
pallina in movimento alla stessa velocità. E se in questo caso il potenziale nemico fa ricorso
a trappole ed altre contromisure del genere, risulterà praticamente impossibile stabilire da
che parte arriva la minaccia reale».
•
USA. 23 aprile. Secondo Coyle, i piani USA di “difesa” dell’Europa sono solo una
finzione, che nascondono reconditi motivi. «Nei confronti dei governi dell’Europa orientale
le spiegazioni fin qui fornite da parte dei funzionari del Pentagono si sono rivelate più che
esaudienti. Ma col tempo sia i polacchi che i cechi capiranno che gli americani non hanno
nemmeno sfiorato le questioni principali», dichiara Coyle, che non crede oltretutto alla
possibilità di Iran o Corea del Nord di portare un attacco missilistico nei confronti
dell’Europa. «Bisogna essere dei pazzi per intraprendere un passo del genere che
provocherebbe una reazione di massa». Preoccupazione invece di fronte alla minaccia della
Russia di fuoriuscire dal Trattato di liquidazione dei missili a media e corta gittata come
conseguenza dell’installazione delle basi missilistiche USA in Polonia e Repubblica Ceca.
«Se così sarà, si tratterà di un errore mostruoso che comporterà conseguenze
inimmaginabili (…) Porterà ad una nuova tappa nella corsa agli armamenti che
coinvolgerà, oltre gli Stati Uniti e la Russia, paesi come la Siria, l’Arabia Saudita e molti
altri. Nei sistemi missilistici difensivi sia russi che americani sono attualmente presenti
molti punti deboli e vulnerabili ed ad entrambe non torna comodo il fatto che al mondo si
sviluppino arsenali di nuovi armamenti di carattere offensivo».
•
Cina / Taiwan. 24 aprile. Taipei si prepara ad una dichiarazione formale di indipendenza?
Il presidente di Taiwan Chen Shui-bian aveva promesso di voler giungere ad una
dichiarazione formale di indipendenza da Pechino prima della fine del suo mandato, che
scade a maggio 2008. Secondo il quotidiano Opinione, Shui-bian starebbe preparando il
terreno per il formale annuncio. Delicate manovre diplomatiche sarebbero in corso per far
entrare Taiwan nell’Organizzazione mondiale della sanità, delineando uno scenario che
potrebbe preludere ad una prossima Dichiarazione di indipendenza dell’isola che
assumerebbe la denominazione di Repubblica di Taiwan. Taipei può contare sul concreto
appoggio di Stati Uniti e Giappone, che di recente hanno eseguito manovre navali congiunte
in prossimità dell’isola, con il chiaro intendimento di lanciare il messaggio di essere
intenzionati a sostenere e difendere Taiwan da eventuali possibili azioni di forza per farla
recedere dall’iniziativa.
•
Bolivia. 24 aprile. Un film sulle interferenze USA nelle elezioni boliviane del 2002. Lo
girerà George Clooney che lo ha annunciato ieri. Secondo Variety, Clooney adatterà in
forma di fiction un documentario dal titolo «Our brand is crisis» che mostra come la società
USA di consulenza politica Greenberg Quinlan Rosner abbia aiutato, anche in maniera
sporca, Gonzalo Sanchez de Lozada a vincere le elezioni. Sanchez fu poi cacciato un anno
dopo dalla rivolta popolare guidata da Evo Morales. Ora è «latitante» a Miami.
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•
Francia. 25 aprile. «The American»: così il Financial Times ha soprannominato Nicolas
Sarkozy, il candidato dell’Ump (il partito di Chirac), che secondo molti analisti è quello che
promette un significativo miglioramento (leggasi ancor più marcato schiacciamento) delle
relazioni con gli Stati Uniti.
•
Francia. 25 aprile. François Bayrou annuncia l’intenzione di dar presto vita ad un Partito
Democratico in Francia, da collegare ai fratelli maggiori dei Democratici USA. Della
formazione di tale partito transnazionale ne avevano già discusso Tony Blair e Francesco
Rutelli a Downing Street il 30 gennaio 2001, quando il sindaco di Roma uscente era
candidato premier del centrosinistra contro Berlusconi alle elezioni politiche. Blair e Rutelli
decisero che il futuro “partito democratico europeo” avrebbe avuto in Tony Blair «il motore
numero uno, e in Rutelli, se in Italia vince la battaglia (…) il secondo propulsore», scrisse a
suo tempo La Repubblica. Il progetto di partito democratico è poi ripartito in grande stile nel
luglio 2005, quando il finanziere Carlo De Benedetti mandò Rutelli a Washington, a capo di
una delegazione della Margherita per incontrare i “new democrats” di Al Gore e Felix
Rohatyn). Il culmine della visita, come riferì candidamente un comunicato della Margherita,
fu l’incontro di circa due ore con lo speculatore George Soros. Lo stesso De Benedetti, che
in un’intervista al Corriere della Sera nel dicembre 2005 avrebbe poi annunciato di voler
prendere la tessera n. 1 del partito democratico, il 15 giugno 2005 a Raisat spiegava la
visione di società futura nella quale si sarebbe inserito il nuovo partito. Il finanziere espresse
sostanzialmente il concetto che l’Italia come nazione manifatturiera non ha futuro, al
massimo come fornitrice di servizi turistici. «Guardi, la manifattura è chiusa, ma non è
chiusa per l’Italia, è chiusa per l’Europa. Diamoci dieci anni di tempo, in Europa saranno
rimaste le teste, io spero, i centri di ricerca, i centri di comando di grandi imprese che non
avranno più nazionalità. La nazionalità delle imprese scompare». Ecco dove condurrà il
processo di integrazione europea, sempre più colonia dell’impero a stelle e strisce.
•
Kosovo. 25 aprile. Mosca minaccia il veto se il piano ONU per la definizione del futuro
della provincia del Kosovo non cambia. La Russia «non sosterrà decisioni che non abbiano
l’appoggio di entrambe le parti», ossia albano-kosovari e serbo-kosovari (e quindi di
Belgrado), ha sostenuto il vice-ministro degli esteri russo, Vladimir Titov. «La soluzione
basata sul piano elaborato da Martti Ahtisaari», che prevede l’indipendenza, «non passerà
in Consiglio di Sicurezza dell’ONU».
•
Repubblica Ceca / USA. 25 aprile. Il 68% degli abitanti della Cechia è contrario alla
cessione agli USA della base di Brdy per la componente europea del sistema di difesa
missilistico (in settembre era il 61%). Il sondaggio dell’istituto Cvvm mostra che il 77%
vuole un referendum sulla richiesta del Pentagono. George Bush sarà a Praga il 4-5 maggio.
•
Polonia / USA. 25 aprile. Il 57% dei polacchi contro base missilistica USA. Lo rileva un
sondaggio fra marzo e aprile dall’istituto Cbos.
•
Unione Europea. 25 aprile. Continua la galoppata dell’euro sul dollaro. La moneta unica
ha aperto sui mercati valutari ai massimi da due anni contro il dollaro: quota 1,3669 dollari,
vicino al massimo di tutti i tempi a 1,3670. La forza dell’euro si associa ad uno stato di
cattiva salute del capitalismo nel vecchio continente, nonostante certi segnali di ripresa. La
crescita dell’euro penalizza palesemente le esportazioni. Dal momento che la Banca
Centrale Europea pare essere l’unica Banca Centrale intenzionata a proseguire nei rialzi dei
tassi di interesse, è prevedibile che l’euro continui a crescere. In questo contesto, intanto, è
ripresa la speculazione degli investitori, il cosiddetto carry-trade che consiste
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nell’indebitarsi in valuta giapponese o in franchi svizzeri, a bassi tassi di interesse, per poi
investire in attività più remunerative.
•
Russia. 25 aprile. Le basi USA in Polonia e Cechia? Possibili obiettivi militari delle forze
russe, «strategiche, nucleari o altro. È questione tecnica». Lo ha detto il capo di stato
maggiore russo, generale Yuri Baluyevski, che ha accusato gli USA di aver come «unico
obiettivo», aprendo basi in Polonia e Repubblica Ceca per il sistema di difesa anti-missile,
quello di «difendersi dal potenziale nucleare di Russia e Cina».
•
Russia. 25 aprile. «Tra il 1992 e il 1994 l’aumento della mortalità in Russia fu così
drammatico, che i demografi occidentali non credettero alle statistiche. Le morti per
omicidio, suicidio, attacchi cardiaci e incidenti diedero alla Russia una mortalità da Paese
in guerra. I demografi occidentali e russi sono concordi: tra il 1992 e il 2000, il numero di
decessi “in sovrappiù” (rispetto alle statistiche dei periodi precedenti, ndr) è stato fra i
cinque e i sei milioni». Così David Satter del Wall Street Journal, nel commemorare Boris
Eltsin, presidente di quello che il giornalista di Forbes poi assassinato Paul Klebnikov
descrisse come «uno dei regimi più corrotti della storia», ricorda il periodo
dell’introduzione dell’”economia di mercato” in Russia grazie alle “ricette” di personaggi
come Jeffrey Sachs, l’economista USA di Harvard.
•
Libano. 25 aprile. Il presidente libanese, Emil Lahoud, ha condannato l’ingerenza di alcuni
paesi occidentali negli affari interni di questo Paese, sottolineando che questa impedisce una
soluzione per porre fine all’attuale crisi nel paese. Lahoud inoltre si è appellato alla
comunità internazionale perché agisca contro le continue violazioni dello spazio aereo
libanese da parte di Israele
•
Kuwait. 25 aprile. Il ministro degli Esteri kuwaitiano, lo sceicco Mohammad Sabah, al
termine dell’incontro a Kuwait City con il premier iracheno, Nouri al-Maliki, ha tenuto a
rimarcare il ruolo attivo dell’Iran per la pace e sicurezza in Medioriente.
•
Pakistan. 25 aprile. Ex primo ministro Bhutto: «abbiamo sbagliato a creare i Taliban».
L’ex premier pakistano Benazir Bhutto ammette che i Taliban sono stati creati ed addestrati
dal Pakistan sotto la sua amministrazione. La Bhutto, parlando al seminario “condizioni
attuali del Pakistan” tenutosi a Londra, ha ammesso che i Taliban vennero creati dal
generale Nasirullah Baber, ministro della difesa del suo governo.
•
USA. 25 aprile. Il senatore USA dei democratici e candidato alle presidenziali del 2008
John Edwards ha chiesto alla Casa Bianca di dialogare con l’Iran e la Siria per poter uscire
dalla crisi irachena.
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USA. 25 aprile. Le politiche guerrafondaie della Casa Bianca mirano ad innescare guerre
interreligiose ed indebolire i paesi islamici. È quanto emerge dall’esito di un sondaggio
effettuato dall’istituto World Public Opinion in Egitto, Pakistan, Indonesia e Marocco. Alta
l’opposizione degli egiziani all’attuale amministrazione statunitense: l’86% degli
interpellati. Il 93% crede che la presenza militare degli USA nell’area è solo un pretesto per
controllare le risorse petrolifere dei paesi mediorientali. Sui rapporti tra Tel Aviv e
Washington, il 91% degli egiziani sostiene che invadendo i paesi islamici gli USA mirano
ad espandere i confini occupati dai sionisti.
•
Kosovo. 26 aprile. Gli ambasciatori dei 15 Paesi che fanno parte del Consiglio di Sicurezza
dell’ONU sono a Belgrado per una riunione informativa con le istituzioni serbe prima del
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voto sulla risoluzione che deciderà dello status del Kosovo. L’indipendenza della provincia
serba a maggioranza albanofona, delineata dal piano dell’inviato dell’ONU Marti Ahtisaari,
è osteggiata dalla Serbia e dalla Russia. Quest’ultima potrebbe opporre il veto a un
eventuale voto favorevole al piano. Gli ambasciatori si sposteranno domani a Pristina: sul
loro cammino incontreranno migliaia di rifugiati serbi che si sono accampati a Rudnica,
località di confine col Kosovo. Sono una folta rappresentanza dei 200mila serbi cacciati
dalla provincia alla fine del conflitto, nel 1999, e che non possono tornare. A Pristina, il
presidente del Kosovo Fatmir Sejdiu ha intanto espresso l’auspicio che il processo verso
l’indipendenza della provincia serba non subisca ritardi e che il Consiglio di Sicurezza
riesca ad adottare presto una risoluzione.
•
Ucraina. 26 aprile. Yanukovic insiste: la decisione di Yushenko di rinviare le elezioni di un
mese è incostituzionale. Il presidente filo USA Yushenko aveva proposto di posticipare le
legislative di un mese, cioè a fine giugno, per trovare un compromesso politico con il suo
rivale. È l’inizio di aprile quando il presidente firma un decreto di scioglimento del
Parlamento. Decisione che innesca la peggiore crisi che il Paese abbia vissuto dalla
rivoluzione arancione del 2004. Lo scontro è arrivato alla Corte Costituzionale, che deve
ancora pronunciarsi sulla legittimità del decreto presidenziale di scioglimento. Un mosaico
di bandiere arancioni per Yushenko e azzurre per Yanukovic è lo scenario visibile a Kiev,
dove nei prossimi giorni è attesa una delegazione di europarlamentari.
•
Russia. 26 aprile. Al via i lavori per un nuovo tipo di bombardiere strategico della quinta
generazione, da completare in 10 anni. Lo ha annunciato il vicecomandante della 37esima
armata delle Forze aeree russe, il generale Anatolij Zhihariov, puntualizzando che il velivolo
«non avrà analoghi al mondo». Il nuovo bombardiere strategico sarà in grado di decollare
dai più disparati tipi di piste, nonché di penetrare attraverso qualsiasi tipo di difesa
contraerea e di venire impiegato in qualsiasi teatro di azioni belliche (terrestri e marine) in
qualsiasi condizioni climatica e meteorologica. Sarà inoltre munito allo stesso tempo di
bombe e razzi e della cosiddetta “tecnologia Stels”, in grado di appiattirne al massimo la
forma. Il lancio del nuovo bombardiere strategico è previsto approssimativamente tra una
decina d’anni. È inoltre attualmente in corso la fase di modernizzazione di altri tipi di
bombardieri strategici in forza all’aviazione militare russa.
•
Russia. 26 aprile. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato oggi una moratoria per
il trattato sulle Forze convenzionali in Europa del 1990 (CFE). L’annuncio di Putin è
arrivato poche ore prima della riunione informale dei ministri degli Esteri della NATO nel
quale si discuterà del progetto di difesa missilistica. Washington intende avviarlo piazzando
dei missili intercettori in Polonia e una serie di radar in Repubblica Ceca dal 2012. Il trattato
CFE era stato negoziato nei mesi successivi alla fine della “guerra fredda” dagli allora 22
Stati membri della NATO insieme con i Paesi del Patto di Varsavia con l’obiettivo di ridurre
sensibilmente gli armamenti convenzionali. Finora però, solo Bielorussia, Kazakistan,
Russia e Ucraina hanno ratificato una versione modificata del 1999. Putin, nel suo discorso
alle camere del Parlamento russo, ha accusato gli alleati NATO di aver ignorato le clausole
del trattato e ha detto che il progetto dello scudo missilistico di Washington avrebbe solo
peggiorato le cose. «In questo contesto, ritengo utile annunciare una moratoria
sull’applicazione per la Russia di questo trattato, in ogni caso, fino a quando tutti i Paesi
del mondo non lo avranno ratificato e non inizieranno ad applicarlo in modo corretto», ha
detto Putin nel suo discorso annuale al Parlamento.
•
Libano 26 aprile. Hariri morto per essersi opposto agli USA. Lo ha dichiarato alla
radiotelevisione iraniana IRIB l’ex deputato libanese Nasser Kandil. «Ricordo che Hariri
21
era assolutamente contrario alla costruzione di una base militare americana vicino
all’aereoporto di Beirut; cosa che invece gli americani volevano a tutti i costi. Resoconti
pubblicati dalla stessa stampa statunitense concordano sul fatto che questa sua opposizione
fu uno dei motivi per il quale venne assassinato». Nel febbraio 2005 l’allora primo ministro
libanese, Rafiq Hariri fu assassinato in un sospetto attentato terroristico. L’episodio
contrassegnò l’inizio di una forte crisi politica in Libano. La coalizione politica del “14
marzo”, in stretta collaborazione con gli Stati Uniti e Israele, incolpa fin da subito la Siria.
La sua ascesa al potere consentì una maggiore influenza israelo-statunitense nel Libano.
Kandil ha anche denunciato la firma di accordi segreti tra il governo Siniora ed il regime
sionista sul disarmo di Hezbollah, la messa in atto della risoluzione 1701 ed il mantenimento
dei profughi palestinesi in Libano. Per l’intesa avrebbe mediato tra Tel Aviv ed il governo
Siniora il rappresentante dell’ONU Terje Roed Larsen.
•
Libano. 26 aprile. Il Mossad dietro l’assassinio di Hariri. È quanto riportato in un’indagine
divulgata dal ricercatore USA Brian Harring, che ha dichiarato di aver ricevuto da un suo
amico del ministero degli esteri francese una copia di una relazione ufficiale sulle cause, le
azioni e le perdite dell’invasione israeliana del Libano nel 2006. L’assassinio di Hariri è
stato il casus belli che ha consentito di creare tensione politica all’interno del Libano e
preparare il terreno per la successiva guerra contro il paese dei cedri.
•
Libano. 26 aprile. Nel rapporto “L’invasione del Libano 2006”, Harring offre prove
documentate secondo cui l’offensiva militare –scattata il 12 luglio 2006– dei sionisti nel
Libano meridionale era già progettata da tempo da Tel Aviv e che il piano è stato attuato in
pieno accordo con la Casa Bianca. Harring sostiene inoltre che i danni provocati ai sionisti
dalla resistenza libanese sono assai più consistenti di quanto reso pubblico dai media
internazionali. Israele ha aggredito senza tregua il Libano finché Hezbollah non ha causato
perdite così gravi tra le truppe israeliane ed anche tra la popolazione civile di Israele che il
loro governo ha richiesto con impazienza alla Casa Bianca di imporre una tregua tramite le
Nazioni Unite. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, pur scusandosi aveva allora difeso
gli attacchi alle colonie israeliane affermando che Hezbollah, dopo essersi concentrata
inizialmente sulle basi militari di Israele, era stata costretta ad alzare il tiro di fronte agli
indiscriminati bombardamenti israeliani su infrastrutture, città e popolazione civile libanese.
•
Israele. 26 aprile. Alto ufficiale dell’esercito sionista ammette la sconfitta contro
Hezbollah. Gadi Izenkot, comandante militare delle forze del nord dei territori occupati da
Israele, a distanza di mesi dall’aggressione di 33 giorni del Libano, ammette: «Era chiaro
che quella guerra non ci avrebbe mai ridato i nostri militari fatti prigionieri da Hezbollah.
Il nostro obbiettivo era solo danneggiare Hezbollah ma di fatto non siamo riusciti in questo
intento, pertanto credo che si possa dire che abbiamo perso la guerra».
•
Iraq. 26 aprile. Moqtada al-Sadr si scaglia contro il muro che si sta costruendo a Baghdad.
In un appello diffuso a Najaf, al Sadr condanna il muro in costruzione nel quartiere sunnita
di Adhamiya a Baghdad, definendolo «l’espressione della volontà malvagia degli occupanti
americani». Al-Sadr ha aggiunto che gli iracheni respingono «la barriera razzista che cerca
di dividerli» e che «il popolo iracheno difenderà Adhamiya e gli altri quartieri dove voi (gli
USA, ndr) volete rinchiuderci». Il movimento di al-Sadr ha in programma due grandi
manifestazioni a Baghdad, nella parte orientale e in quella occidentale della capitale
irachena, per protestare contro il muro di Adhamiya, osservando che se le condizioni di
sicurezza lo permetteranno, i manifestanti sciiti saranno contenti di potersi unire a quelli
sunniti del quartiere “murato”.
22
•
Iran. 26 aprile. Come riportato dalla Reuters, il vice ministro degli Interni iraniano
Mohammad Bagher Zolghadr ha dichiarato che se la Repubblica islamica subisse un attacco
militare per via del suo programma nucleare civile, le forze armate di Teheran sono pronte a
rispondere militarmente in particolare con missili a lungo raggio: «Non ci sarà luogo sicuro
per l’America, possiamo lanciarne a decine di migliaia al giorno».
•
Iraq. 26 aprile. Sotto inchiesta l’ex comandante del campo di prigionia di Camp Cropper,
nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, dove dal 2003 sino ad oggi le forze militari USA
hanno tenuto reclusi le più importanti personalità del deposto regime iracheno, tra cui lo
stesso Saddam Hussein, e dove è morto nel 2004 il dirigente palestinese Abu Abbas, dopo
aver perduto 38 chili in meno di un anno di detenzione. Il colonnello William Steele, in stato
di isolamento nel Kuwait dal mese scorso, è accusato di aver fornito «aiuto al nemico,
trattenuto documenti classificati, avuto legami con un’interprete e un’altra donna irachena,
disobbedito a un suo superiore e di possesso di materiale pornografico»: è quanto si
apprende sul sito internet della tv statunitense NBC, che cita un documento riservato del
Comando USA in Iraq. In base all’articolo 32 del codice penale militare di guerra USA,
l’ufficiale dovrà comparire davanti a una commissione di superiori per essere interrogato ed
eventualmente discolparsi: si deciderà in tale sede se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla
corte marziale. Le forze USA detengono circa 18.000 persone nei suoi due carceri più
grandi: Camp Bucca, nel sud del paese, e Camp Cropper.
•
Pakistan. 26 aprile. La NATO sta perdendo la guerra in Afghanistan contro i taliban. Lo ha
dichiarato il presidente e generale del Pakistan Musharraf, intervistato dal quotidiano
spagnolo El Pais. Musharraf ha anche respinto le insinuazioni di un supporto ai talebani del
famigerato servizio segreto pakistano ISI: voci inventate dal governo afghano e da
funzionari della NATO per «nascondere la loro vergogna di fronte alla sconfitta», ha detto.
•
USA. 26 aprile. Nell’aprile del 2004 il premier britannico Tony Blair avrebbe persuaso
George Bush a non bombardare il quartier generale dell’emittente araba al-Jazeera, che si
trova a Doha. Così scrive The Daily Mirror, che precisa che le fonti a sua disposizione
discordano nel riferire quanto «concreta» fosse la proposta di Bush. Di sicuro c’è che David
Keogh, esperto di codici cifrati, e Leo Ò Connor, consigliere legale, sono entrambi sotto
processo a porte chiuse con l’accusa di aver leso il segreto di Stato applicato ad un
memorandum classificato «top secret», un memorandum che conterrebbe conversazioni
private tra l’inquilino della Casa Bianca e quello di Downing Street.
•
Francia. 27 aprile. Rappresentanti di Batasuna, Corsica Nazione ed Emgann chiamano
all’astensione per il secondo turno delle presidenziali francesi. Lo hanno comunicato ieri, in
conferenza stampa, a Parigi. I portavoce baschi, còrsi e bretoni hanno chiesto «il rispetto ed
il riconoscimento dei nostri diritti come popolo».
•
Russia / USA. 27 aprile. Mosca e Washington stanno tornando ai tempi della guerra fredda.
Lo sostiene l’illustre politologo russo Serghej Rogov, preoccupato dal continuo
ammassamento degli arsenali nucleari delle due potenze. Rogov sottolinea che tra due anni
scadrà il Trattato SNV-1 e tra sei quello denominato SNP, che prevede la riduzione dei
potenziali strategici offensivi. In questo modo tra Russia e Stati Uniti non esisterà più
nessun fattore di contenimento. L’esperto russo è sicuro del fatto che attualmente le due
superpotenze abbiano raggiunto il limite oltre al quale i propri rapporti bilaterali verranno
inevitabilmente deteriorati a lungo termine, con l’unica differenza, rispetto al periodo che va
dagli anni ’50 a quelli ’80, che questa volta la contrapposizione tra gli USA e la Russia non
sarà di tipo ideologico, «bensì dalla concorrenza per la rivendicazione dei propri rispettivi
23
interessi nell’area postsovietica. Personalmente non mi stupirà se il prossimo anno in
America sia i democratici che i repubblicani troveranno un’accordo a proposito
dell’indispensabilità di contenimento della Russia», ha infine dichiarato il politologo russo.
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Siria. 27 aprile. Il Fronte Progressista Nazionale, coalizione di dieci partiti dominata dal
partito Baath del presidente Bashar al Assad, si conferma ancora una volta incontrastata al
potere dopo le elezioni parlamentari. Alle urne si è recato il 56% del corpo elettorale.
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Libano. 27 aprile. L’ambasciatore USA Jeffrey Feltman era ieri a colloquio a Beirut con il
leader delle “Forze libanesi” Samir Geagea, l’esponente falangista cristiano filo-israeliano
protagonista del massacro di Sabra e Chatila. Il colloquio si è tenuto a porte chiuse e
nessuno dei due ha voluto parlare ai giornalisti dei temi trattati. Ricordiamo che la
“coalizione del 14 Marzo”, che annovera anche le forze di Geagea, ancora saldo al governo
nonostante la sua incostituzionalità dopo il ritiro dei ministri sciiti, è accusata dal presidente
della Repubblica e dal presidente del Parlamento libanese e dall’opposizione di ricevere
ordini da Washington.
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Palestina. 27 aprile. I militari sionisti usano i civili palestinesi come scudi umani durante le
loro irruzioni nei campi profughi palestinesi e le loro perquisizioni casa per casa nei territori
palestinesi. A riferirlo, la CNN che ha anche diffuso immagini che dimostrano la crudele
pratica dei militari sionisti che effettuano operazioni di “setaccio” a Nablus, Cisgiordania. Il
reporter della tv USA ha spiegato che Jeihan Dadush, una bambina di 11 anni di Nablus è
stata usata come scudo umano dai militari sionisti nel 2005. Usare civili come scudi umani è
vietato dalle leggi internazionali. Ma Israele si sente al di sopra di qualsiasi legge.
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Cina / Taiwan. 27 aprile. Taipei rifiuta la torcia olimpica di Pechino 2008. «Il percorso
della torcia olimpica non riflette fedelmente lo status di Taiwan, quindi abbiamo rifiutato».
Così ha dichiarato Tsai Chen-wei, presidente del Comitato olimpico di Taipei. Gli
organizzatori di Pechino 2008 hanno reso noto il percorso che la fiaccola seguirà nei
prossimi mesi, fino al via dei Giochi che si apriranno l’8 agosto del 2008. Taiwan, secondo
il programma, dovrebbe ricevere la torcia dal Vietnam e passarla a Hong Kong. Non
verrebbero, quindi, rispettate le condizioni poste da Taipei per consentire il passaggio della
fiaccola: riceverla da un paese terzo e passarla ad un paese terzo, senza contatto diretto con
la Cina, come Hong Kong o Macao.
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USA / Austria / Iran. 27 aprile. Washington minaccia sanzioni contro una compagnia
petrolifera austriaca colpevole di aver firmato un’intesa con Teheran. L’impresa austriaca
OMV, la più importante nel settore del petrolio e del gas in Europa centrale, ha annunciato
d’aver firmato un memorandum d’intesa con l’Iran per lo sviluppo congiunto del campo di
gas di South Pars, uno dei più grandi del mondo. Secondo il sito Granma International,
OMV costruirà anche delle installazioni di gas per il progetto e acquisterà gas liquido
dall’Iran. Il portavoce del Dipartimento di Stato Sean Mc Cormack ha detto che i funzionari
degli USA stanno cercando di dissuadere gli austriaci dall’esecuzione di questo progetto. Il
ministro del petrolio iraniano Kazem Vaziri Hamaneh aveva definito l’accordo, del valore di
trenta miliardi di dollari, di grande rilevanza per l’esportazione di gas naturale iraniano in
Europa. Intanto è giunto in Iran il ministro dell’energìa indiano, Morali Diura, che con le
autorità iraniane cercherà di raggiungere un accordo finale per la realizzazione del gasdotto
Iran-Pakistan-India.
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Brasile. 27 aprile. Durante una visita ufficiale in Cile, Lula ha chiesto ai paesi dell’America
Latina di essere più uniti e compatti in funzione anti USA e ha definito il presidente
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venezuelano Hugo Chavez «un partner eccezionale», ricordando che il piano del gasdotto
del sud, che porterebbe il gas del Venezuela in 4 paesi dell’America meridionale, potrebbe
incrementare notevolmente lo sviluppo economico nella zona.
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Somalia. 28 aprile. «I combattimenti non sono finiti, e perdere una battaglia non vuol dire
perdere la guerra ed arrendersi al governo che opera al servizio degli etiopi»: così lo
sceicco Daher Aweys, esponente delle Corti islamiche di Mogadiscio, all’annuncio fatto
l’altro ieri dal premier del governo transitorio somalo secondo cui le truppe di Addis Abeba
avrebbero avuto definitivamente la meglio sui ribelli islamici. Raggiunto dal giornale arabo
al-Sharq al-Awsat replica: «I somali non fermeranno il loro jihad contro le forze etiopi che
occupano il paese e che violano i nostri diritti umani».
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Cecenia. 28 aprile. Almeno 17 militari morti nell’abbattimento di un elicottero russo in
Cecenia. L’Mi-8 è stato colpito ieri nella regione di Shatoi, nel sud della Cecenia, secondo
fonti militari citate dall’agenzia Interfax. Si intensificano rapporti che certificano una ripresa
dell’opposizione armata a Mosca e rivelano un piano in atto di unificazione delle varie
formazioni guerrigliere in vista della campagna militare estiva contro l’invasore russo. Il
presidente ceceno in clandestinità, Doka Umarov, ha preso il comando dopo la morte, nel
giugno 2006, in un’operazione speciale russa di Abdul Jalim Saidulaiev, che a sua volta
aveva preso il testimone dopo la morte, un anno prima, dell’ultimo presidente eletto e
legittimo della Cecenia, Aslan Masjadov. Recenti rapporti indipendenti e decreti firmati da
Umarov e pubblicati sul sito della resistenza rivelano un piano per un compromesso
duraturo tra colonne guerrigliere nazionali, i resti dell’esercito regolare ceceno e le colonne
guerrigliere islamiste. L’esercito russo parla di crescenti difficoltà e stima in un centinaio i
gruppi guerriglieri attivi.
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Russia / USA. 28 aprile. L’intervista al The Guardian da parte di Berezovskij, pronto a
defenestrare dal trono l’attuale classe dirigente; la dichiarazione da parte del Dipartimento di
Stato USA, pronto a finanziare le forze di opposizione del Cremino; le due “marce degli
scontenti” a Mosca e San Pietroburgo: tre recentissimi avvenimenti prevedibilmente
collegati fra loro. Dopo essere uscita vittoriosa dalla guerra fredda nei confronti dell’URSS,
le classi dominanti USA, intenzionate a rimanere statualmente l’unica superpotenza sulla
scena mondiale, hanno mirato al completo dominio mondiale ed alla sottomissione globale
di nazioni e Stati agli ordini impartiti da Washington. È proprio in quest’ottica che gli Stati
Uniti hanno agito tra l’altro nell’invadere l’Iraq e bombardare la Serbia. Sulla scena
internazionale sono ben pochi i paesi in grado di stabilire in maniera autonoma e sovrana la
propria politica. La piena autonomia nel prendere decisioni sia di carattere interno che
esterno non ce l’hanno oggi nemmeno paesi di rango quali Germania, Francia e Giappone:
l’autorevole giornalista russo Mihail Leontev ha dichiarato a suo tempo che questi Stati
hanno libertà di pescare nel fiume che desiderano, ma chi decide quand’è ora di andare a
letto è Washington.
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Russia / USA. 28 aprile. Chi non si china alle strategie di Washington è definito “Stato
canaglia”. Si tratta principalmente di Iran, Bielorussia, Corea del Nord, Cuba, Siria e
Venezuela, ma sullo sfondo cresce la Cina, per via della sua sempre maggiore potenza
economica, oltre al suo peso politico all’interno dell’ONU e al suo potenziale militare. In
questo contesto, un capitolo a parte merita la Russia. A partire dall’implosione dell’impero
sovietico, la Russia di Eltsin si è mostrata prona ad esaudire i desiderata di Washington ed
ha continuato a perdere la propria influenza sulla scena politica internazionale, attanagliata
oltretutto da problemi e crisi interne. Nel corso degli anni Novanta erano praticamente
inesistenti serie divergenze fra Russia e Stati Uniti. Mosca si limitava simbolicamente a
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gonfiare i muscoli, debolezza che le veniva bonariamente perdonata, dal momento che nel
futuro quadro geopolitico disegnato da Washington, alla Russia sarebbe spettato il ruolo di
ubbidiente fornitore di risorse nei confronti dell’”Occidente”. Tuttavia con l’ascesa al potere
dell’attuale classe dirigente russa, la situazione è mutata radicalmente, e da giocatore debole
di terza categoria la Russia si è ben presto trasformata in uno Stato ben determinato a
rivendicare i propri interessi sulla scena mondiale: cosa che per gli Stati Uniti ha avuto
l’effetto di un pugno sul naso. La contrapposizione è diventata manifesta in occasione del
discorso tenuto dal presidente russo Vladimir Putin a Monaco di Baviera, nel corso del quale
il leader del Cremlino ha dichiarato apertamente che la Russia non è intenzionata a fare la
parte dell’ennesimo esecutore degli ordini di Washington e che anzi avrebbe cercato di fare i
propri interessi in maniera completamente autonoma ed indipendente.
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Russia / USA. 28 aprile. Per la Casa Bianca ciò è inaccettabile. È proprio in questo contesto
che vanno inquadrati sia il rapporto compilato dal Dipartimento di Stato USA, intitolato
“Sostegno dei diritti civili e della democrazia nel mondo”, nel quale Washington si prefigge
di esportare la democrazia in quei paesi «che necessitano di una correzione del corso
politico intrapreso», che in Russia leggono come una aperta dichiarazione senza precedenti
di interferenza diretta nelle questioni interne; sia le dichiarazioni dell’oligarca russo Boris
Berezovskij al quotidiano inglese, il cui annuncio di promozione di un golpe in Russia
presumibilmente è stato concordato con ambienti USA; sia le due cosiddette “marce degli
scontenti” di Mosca e San Pietroburgo organizzate dal movimento “L’altra Russia”. Un
movimento che dispone di tanti fondi dagli USA quanto di poco consenso all’interno della
società russa, e che oltre all’ex primo ministro Kasianov ed al leader dell’inquietante partito
nazional-bolscevico Limonov, già dissidente ed esule negli USA in epoca sovietica, vede tra
i suoi capi l’ex campione mondiale di scacchi Kasparov, membro dal 1991 del consiglio
consultivo
del
Centro
per
la
politica
di
sicurezza
USA
(http://www.centerforsecuritypolicy.org/), che si occupa dell’elaborazione di progetti di
sicurezza a favore degli Stati Uniti.
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USA / Cina. 28 aprile. Ha fatto il giro del mondo l’immagine di George Bush che durante il
ricevimento di una delegazione senegalese alla Casa Bianca rompe il cerimoniale, si unisce
agli ospiti e inizia a ballare e a suonare un tamburo africano. Ma quella di Bush è stata
semplice goliardia? In realtà pochi mesi prima si è verificata la stessa, identica scena:
stavolta, però, il protagonista era il presidente cinese Hu Jintao. In partenza da Nairobi dopo
un lungo viaggio in Africa, Hu Jintao si unisce ad una band e strimpella il tamburo per
festeggiare gli accordi conclusi su esportazioni e petrolio. Un’immagine divenuta simbolo
dell’enorme influenza cinese in Africa, che Washington vorrebbe seriamente
ridimensionare. Ecco cosa si nasconde dietro quel tam-tam: un messaggio rivolto alla Cina.
Attenti che ve le suoniamo…
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Venezuela. 28 aprile. Tensione ieri a Maracay: la Guardia Nazionale e la polizia dello Stato
Aragua su ordine del governatore intervengono per reprimere i lavoratori della fabbrica
occupata “Sanitarios Maracay”, occupata e autogestita dai lavoratori da vari mesi ormai. Il
governatore ha deciso l’intervento per impedire agli operai di andare a Caracas, dove era
prevista una manifestazione di lavoratori di varie fabbriche occupate. Lo scopo del corteo
era quello di consegnare al governo una serie di rivendicazioni sull’espropriazione delle
fabbriche in questione, miglioramenti salariali e riconoscimento di diritti lavorativi. Quando
si inizia a parlare di diritti e lotte dei lavoratori emergono confliggenze all’interno del
chavismo: c’è una parte della dirigenza che vuole realizzare i cambi necessari nei modelli e
nelle relazioni di produzione per la trasformazione del sistema economico verso un sistema
socialista, ma ci sono coloro (la destra dello chavismo, la stessa che parla di chavismo senza
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Chavez) che dicono di essere “rivoluzionari” ma che in realtà sono una nuova élite politica
ed economica che vuole inserirsi all’interno di un sistema capitalista al massimo
socialdemocratico. Queste contraddizioni stanno emergendo sempre di più, e con
l’avvicinarsi della scadenza dei referendum revocatori di fine anno sta salendo la tensione.
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Estonia. 29 aprile. Tallinn cercherà di ricollocare la statua del soldato dell’Armata Rossa
all’interno del cimitero militare in tempo per l’anniversario della fine della Seconda Guerra
mondiale, dopo che la rimozione dalla capitale ha scatenato violente proteste in tutto il
paese. Lo hanno riferito oggi funzionari del governo estone. Con la decisione di spostare la
scultura, il governo ha cercato di evitare che si tengano manifestazioni per l’anniversario
della vittoria dell’URSS sulla Germania nazista, che si celebra il 9 maggio. Inizialmente il
trasferimento era stato pianificato per la fine di maggio. In seguito alle violente proteste
esplose giovedì scorso in cui un uomo ha perso la vita, però, il governo ha deciso di
anticipare l’operazione, e lo scorso venerdì ha spostato la statua in gran fretta. È già
successo che in Estonia l’anniversario del 9 maggio provocasse tensioni nella popolazione
fra la minoranza russofona e la maggioranza estone. La Russia ha definito la rimozione del
bronzo di due metri dedicato al soldato dell’Armata Rossa un insulto a tutti coloro che
combatterono il fascismo. Molti membri della minoranza russofona, che in Estonia conta
circa 300.000 persone su una popolazione di 1,3 milioni, tengono alla statua, mentre gli
estoni la vedono come un simbolo dell’oppressione sovietica. Circa 1000 persone sono state
arrestate in relazione alle violente proteste dei scorsi giorni, in particolare nella parte
settentrionale del paese, dove vive la maggioranza della popolazione di origini russe.
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Israele. 29 aprile. Migliaia di arabi israeliani in corteo ieri a Nazareth (in Galilea) per
solidarizzare con il deputato dimissionario Azmi Bishara, al momento in Qatar, che rischia
l’arresto e una condanna a molti anni di carcere al suo rientro in Israele perché accusato di
«tradimento» e di aver «collaborato» con Hezbollah, la scorsa estate, durante l’invasione
dell’esercito israeliano del Libano del sud. «Siamo tutti Azmi Bishara» hanno scandito i
manifestanti, certi che il governo Olmert, lo Shin Bet (servizi segreti) e la stampa abbiano
orchestrato una campagna volta a delegittimare e criminalizzare non solo Bishara ma tutti
gli arabi israeliani, circa il 20% della popolazione del paese. Intanto le abitazioni di Bishara
a Haifa e Gerusalemme est, sono state perquisite da agenti dello Shin Bet ed il suo ufficio
alla Knesset è stato sigillato. Bishara respinge con forza le accuse e afferma che, al
momento opportuno, rientrerà in Israele per difendersi.
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Afghanistan. 29 aprile. Migliaia di afghani sono scesi in piazza oggi per protestare contro
la strage compiuta da un cacciabombardiere USA. Morti sei civili, tre donne e tre uomini,
secondo Abdul Ghafur, portavoce della polizia della provincia di Nangahar. Al grido di
«morte agli USA» i corpi delle vittime hanno sfilato in strada avvolti in lenzuoli. L’attacco è
stato compiuto nella stessa zona in cui, in marzo, i marines USA avevano fatto una strage di
civili dopo che il convoglio in cui viaggiavano i militari era stato attaccato da un’auto
bomba. Anche in quel caso, la strage fece scattare dure proteste da parte della popolazione.
«Stanno compiendo così tante operazioni contro di noi (…) Non li vogliamo, non vogliamo
questo genere di cose», ha gridato un manifestante.
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Ecuador. 29 aprile. Rafael Correa ratifica l’espulsione dal paese del rappresentante della
Banca Mondiale a Quito, il brasiliano Eduardo Somensatto, e avvia un’azione internazionale
contro l’organismo finanziario. «Non siamo la colonia di nessuno», ha affermato il capo
dello Stato, accusando la Banca Mondiale di aver sospeso un prestito di 100 milioni di
dollari nel 2005, quando lo stesso Correa era ministro dell’Economia. Alla richiesta di
spiegazioni, «mi hanno risposto che lo avevano fatto perché avevamo riformato una legge
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interna [in materia di fondi petroliferi, ndr]; in altre parole hanno punito un paese sovrano
per aver modificato una legge nazionale», ha detto Correa, aggiungendo: «Non tollereremo
ricatti».
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Eire. 30 aprile. Elezioni generali per il 24 maggio. Le ha annunciate il primo ministro
irlandese, Bertie Ahern, da dieci anni al potere cn una coalizione di centro-destra e che
aspira a un terzo mandato. Il nuovo Parlamento si riunirà il 14 giugno per eleggere il nuovo
esecutivo.
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USA / Iraq. 30 aprile. Oltre cento i militari USA morti in Iraq in aprile, di fatto uno dei
mesi più funesti per le forze d’occupazione statunitensi. Il dato è fornito dal sito
indipendente icasualties.org.
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