Ultime notizie mondo dal 15 al 30 Aprile 2007
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Ultime notizie mondo dal 15 al 30 Aprile 2007
Ultime notizie dal mondo 15/ 30 Aprile 2007 (http://www.rivistaindipendenza.org/home.htm) a) Russia / USA. Un’occhiata alle frizioni geopolitiche tra i due paesi. Sullo scudo antimissile statunitense, vedere Russia 19 e 25 aprile, nonché USA 23 aprile. C’è chi parla di nuova guerra fredda (27 e 28 aprile). Arricchisce il quadro Russia al 26 aprile. Non irrilevante, poi, il nodo energetico: Russia / Geramania 15 aprile e Russia 17 aprile. b) Libano. Washington punta ad una base militare nel paese (16 aprile) che alcuni collegano con la morte di Hariri (16 e 26 aprile). Si denunciano le ingerenze nel paese (25 aprile) che mirano ad eliminare la scomoda Hezbollah (27 aprile). c) USA. Le “rivoluzioni colorate” pagate da Washington al 16 aprile. Le ragioni geopolitiche dell’aggressione all’Iraq secondo Chomsky (16 aprile), con due tangenziali notiziole: il Pentagono accusa di durezza suoi comandanti nel paese arabo occupato (22 aprile) e il bilancio delle perdite USA del mese (30 aprile). Analisi dell’interesse USA nel Corno d’Africa al 19 aprile. E la lotta asimmetrica contro il “terrorismo”: il caso Posada al 19 aprile. Sparse ma significative: • Italia / USA. Scudo anti missile e base USA “Dal Molin” (20 aprile). • Francia. I movimenti nazionalitari corsò, basco, bretone sulle presidenziali (20 e 27 aprile). Poi il Financial Times su Nicolas Sarkozy, e il ventilato partito democratico di François Bayrou al 25 aprile. • Cina. La fame energetica di Pechino sbarca in Iraq (16 aprile). Tra l’altro: Polonia (17 aprile). Kosovo (18, 25 aprile). Turchia / Iraq (18 aprile). Iran / Russia (23 aprile). Iran / Israele (18 aprile). Iran / Iraq (19 aprile). Cecenia (28 aprile). Bolivia (24 aprile). Venezuela (28 aprile). • Russia / Germania. 15 aprile. Uomini politici e d’affari tedeschi hanno avvertito che criticare Mosca e denunciare la dipendenza dal gas russo danneggia gli interessi economici della Germania. È quanto appare sul Financial Times di un paio di settimane fa. Chiesto al portavoce della Merkel se, nel suo recente incontro con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, la signora avesse sollevato la questione dello «scandalo» di Schröder, questi ha risposto: no comment. «E in ogni caso, quell’episodio non getta ombre su una relazione che è fiorente e che intendiamo sviluppare». Schröder, ricordiamo, come cancelliere tedesco concluse con Putin l’accordo sul gasdotto sotto il Baltico, che trasporterà dalla costa russa a 1 quella tedesca 27,5 miliardi di metri cubi di gas l’anno a partire dal 2010. Successivamente è stata sottoscritta un’intesa che ha portato la Basf, attraverso la controllata Wintershall, a detenere quasi il 35% del giacimento siberiano di Yuznoe-Russkoie, e la Gazprom ad accrescere a quasi il 50% la partecipazione in Wingas, la società a maggioranza Basf che distribuisce e vende gas russo in Germania, Belgio e Gran Bretagna. Dopo essere stato sconfitto alle elezioni e pochi giorni prima di abbandonare la carica, Schröder aveva aperto a Gazprom un credito garantito di un miliardo di euro. Poco dopo, nel dicembre 2005, Schröder sarebbe stato nominato, con un lauto stipendio, presidente della «Nordeuropäische Gas Pipeline Gesellschaft», il consorzio che sta realizzando il succitato gasdotto, di cui Gazprom possiede il 51%, Basf ed EON il 20% a testa e l’olandese Gasunie il 9%. • Russia / Germania. 15 aprile. La vicenda, che per un periodo ha riempito le prime pagine dei giornali tedeschi, ha irritato Mosca. La Gazprom aveva emesso un asciutto comunicato in cui ricordava di essere «il più grande esportatore di gas del mondo e un debitore di prima categoria». Un avvertimento ben inteso dagli industriali germanici. La Germania non solo riceve dalla Russia il 35% del suo petrolio e il 40% del suo gas, ma vede in Mosca il suo miglior cliente: le esportazioni in Russia sono cresciute del 15,4 % in un anno, e gli scambi bilaterali sono aumentati del 25%, toccando i 47 miliardi di dollari. «La Russia ha avviato una rapida modernizzazione e qualificazione delle sue infrastrutture, e ciò crea un grosso mercato per le nostre imprese», ha detto Eckart von Klaeden, parlamentare della CDU, il partito della Merkel. Anche le industrie tedesche stanno costruendo a tutta forza il lungo gasdotto che scorre sotto il Baltico, e che permetterà ai russi di non pagare diritti di transito a polacchi e paesi baltici. La Siemens partecipa al rammodernamento della linea ferroviaria che da Berlino andrà a Mosca per collegarsi con la Transiberiana e fare capolinea in Cina: un progetto volto a creare una via terrestre per il trasporto delle merci cinesi verso Occidente più breve e sicura alle rotte marittime. La EON, gigante energetico tedesco, ha d’altro canto offerto alla Gazprom i propri siti sotterranei per l’immagazzinamento del gas russo in Ungheria ed altre controllate in Bulgaria, Polonia, Slovenia e repubblica Ceca. Secondo alcune indiscrezioni, il ministro degli esteri tedesco Frank Steinmeier, recatosi nel corso dell’anno in Norvegia per mettere a punto i particolari dello sfruttamento dei giacimenti energetici dell’Artico (ritenuti enormi ed essenziali per il futuro dell’Europa e disputati da cinque paesi confinanti: USA, Canada, Danimarca, Norvegia e Russia), avrebbe perorato presso Oslo anche gli interessi di Mosca per lo sfruttamento delle riserve norvegesi. Si confida che poi Mosca avrà un occhio di riguardo per la Norsk Hydro quando si tratterà di decidere quali compagnie petrolifere straniere la Russia ammetterà allo sfruttamento dell’immenso giacimento Shtokman, all’estremo nord di Barents, che basterebbe a coprire il fabbisogno tedesco per 25 anni. • Russia / Germania. 15 aprile. «La Russia non ha nessuna intenzione di rinunciare alla propria sovranità. Chi entra nell’Europa, deve sapere che questa adesione comporta la progressiva rinuncia alla propria sovranità. Ogni volta che passa una legge a Bruxelles perdiamo un pezzettino di autonomia. La Russia ha un’altra storia, una dimensione continentale, un altro sentimento della sua identità e non ha mai partecipato al progetto europeo come i paesi dell’Europa Occidentale. Quando Berlusconi diceva vogliamo i russi nell’Unione Europea, Putin sorrideva perché lo prendeva per un complimento da salotto». Così parla l’ex ambasciatore Sergio Romano intervistato dal Messaggero Veneto il 27 marzo 2007, a cinquant’anni dai Patti di Roma. Sull’opposizione tedesca all’installazione di missili e antimissili in Polonia e di un radar nella Repubblica Ceca, Romano afferma che «la Germania sa che l’Unione Europea deve avere con la Russia un buon rapporto perché è una grande potenza con la quale ritiene utile e opportuno andare d’accordo per ragioni politiche ed economiche. La Russia è un grande mercato e un grande fornitore di energia, 2 ed è nostro interesse che ci guadagni; non eccessivamente, ma quanto più la Russia cresce, tanto più crescono le nostre possibilità di concorrere alla crescita della sua economia. Il concetto dei rapporti eurorussi è condiviso dall’Italia e da molti altri Paesi». Ed avverte: «se l’Unione Europea accetta di ospitare sul proprio territorio missili e antimissili americani, la giustificazione secondo cui quegli armamenti sono installati lì per colpa dell’Iran è difficilmente credibile e la Russia potrebbe congetturare». • Italia / Polonia. 16 aprile. «La Costituzione Europea non è morta, bisogna trovare il modo per uscire dall’impasse tenendo conto dei NO ai referendum francese e olandese, ma anche delle ratifiche di 18 paesi su 27». Sono dichiarazioni del capo dello Stato Napolitano rilasciate al meeting di Riga fra i presidenti degli otto paesi sostenitori del rilancio del Trattato Costituzionale (Austria, Ungheria, Italia, Lettonia, Finlandia, Germania, Portogallo e Polonia). Replica del presidente polacco Kaczynski: «L’opinione pubblica europea non esiste (…) l’Europa intesa come uno Stato, come prevede la Costituzione Europea, è un obiettivo prematuro, adesso esistono le nazioni europee». • Gran Bretagna / Olanda. 16 aprile. L’Europa non ha bisogno di una Costituzione, ma dovrebbe concentrarsi su un trattato meno ambizioso che non abbia bisogno di un referendum confermativo. Lo hanno affermato il premier britannico Tony Blair, in conferenza stampa con il premier olandese Jan Peter Balkenende. «Quello che gli olandesi e i britannici dicono è che è importante tornare all’idea di un trattato convenzionale che faccia funzionare meglio l’Europa a 27, piuttosto che un trattato con le caratteristiche di una costituzione», ha affermato il premier britannico. Balkenende ha ricordato che durante la campagna referendaria in Olanda, gli elettori hanno espresso il timore per un superstato europeo, mostrando che la costituzione «non apparteneva al cuore e alla mente della gente». La Gran Bretagna ha sospeso i piani per un referendum di ratifica dopo che la costituzione è stata respinta da francesi e olandesi. Il forte euroscetticismo della popolazione lasciava prevedere un probabile trionfo del NO. • Libano. 16 aprile. Base NATO nel paese dei cedri. Fonti anonime statunitensi, riprese dal quotidiano USA Today e da quello libanese Aldiyar, rivelano: tra tre-quattro mesi verrà approntata una base NATO sul terreno della base aerea di Klieaat, Libano del nord, ampliando una struttura già in dotazione alle forze armate del Libano. Una base che si annuncia imponente, analoga all’altra base aerea USA di Al Udeid, Qatar. Nonostante il governo libanese e USA si accingano ad affermare che la base provvederà all’addestramento per esercito e forze di sicurezza libanesi, secondo indiscrezioni raccolte dal Wayne Madsen Report questa servirà come quartier generale della “forza di reazione rapida” della NATO, base logistica per squadroni di elicotteri Apache e Black Hawh e di unità delle forze speciali della NATO. Verrebbe inoltre usata a “protezione” delle pipelines nella regione (cfr il BakuTbilisi-Ceyhan e il Mosul/Kirkuk-Ceyhan), come pure per destabilizzare il governo di Assad in Siria. La base è stata istituita sotto pressione di funzionari dell’ufficio del Segretario alla Difesa USA e degli Stati Maggiori Riuniti. Contratti per la costruzione sarebbero già stati assegnati alla Halliburton, alla Bechtel e alla Jacobs Engineering Group di Pasadena. • Libano. 16 aprile. L’ex primo ministro libanese Rafik Hariri si era vigorosamente opposto a qualsiasi progetto di base militare USA in Libano. È quanto afferma il Wayne Madsen Report, secondo il quale sarebbero stati due altissimi funzionari della Casa Bianca, lo stratega elettorale e primo consigliere di Bush, Karl Rove, ed il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale, Elliot Abrams, ad aver autorizzato l’assassinio di Hariri. 3 • Libano. 16 aprile. L’ingresso di USA e NATO in Libano sembra preparare il terreno per uno scontro militare USA-Israele con Iran e Siria. La notizia non soltanto inasprirà ulteriormente i rapporti tra il governo libanese e l’opposizione (maggioritaria nel paese) della coalizione del 16 aprile appoggiata da Hezbollah e cristiani di Aoun. Le voci filtrate sono anche un messaggio al piano di pace adottato dalla Lega Araba a Ryad (con la partecipazione dell’Iran), che prevede ritiro dai territori occupati nel 1967, rientro dei profughi pakestinesi, istituzione di uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale, in cambio di nuove relazioni con i paesi arabi. Israele ha respinto il piano. • Libano / Siria. 16 aprile. Preoccupazioni da Damasco sui piani USA. Quello che più preoccuperebbe il presidente Assad non è il potenziale bellico, al momento trascurabile, delle forze militari che USA e NATO faranno stazionare a Klieaat, Libano del nord, ma la natura del messaggio politico che Washington sta lanciando nella regione. Lo stazionamento di una struttura militare USA-NATO a due passi dal confine della Siria, in un area strategica, verrebbe interpretato da Damasco, alla luce degli attuali rapporti diplomatici con l’amministrazione Bush, come una minaccia diretta ai suoi interessi e alla sua sicurezza. • Libano / ONU. 16 aprile. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon sarà nelle prossime ore a Roma dopo una visita in Israele ed un lungo colloquio con il generale Graziano (dal 2 febbraio 2007 comandante dell’Unifil 2, la forza dell’ONU distaccata nel Libano meridionale). Tema del colloquio: il disarmo di Hezbollah. La richiesta, a quanto si afferma, accettata in via preliminare dal primo ministro Siniora, sarebbe stata avanzata dall’ufficio del segretario alla Difesa USA e dagli stati maggiori di Bruxelles ufficialmente per contrastare elementi di al Qaeda che si sarebbero infiltrati dal Libano settentrionale per colpire il contingente ONU. • Cina / Iraq. 16 aprile. Pechino potrebbe essere il primo paese a beneficiare dell’apertura dei giacimenti petroliferi iracheni alle multinazionali estere quando il governo iracheno approverà (si prevede entro luglio) la legge irachena sul petrolio. La legge, fortemente spinta dagli USA, consentirà al governo di firmare contratti per l’esplorazione e la produzione delle vaste riserve non sfruttate del Paese. La maggior parte delle stime danno le riserve irachene accertate a 115 miliardi di barili, le terze al mondo, ma considerata l’arretratezza della tecnologia dell’esplorazione petrolifera irachena secondo Frank Verrastro, analista petrolifero del Center for Strategic and International Studies di Washington, le attuali riserve sono probabilmente il doppio. • Cina / Iraq. 16 aprile. Il clamoroso ingresso della Cina sarebbe paradossalmente favorito dallo stato di guerra nel Paese. Poche compagnie petrolifere “occidentali” sono pronte a inviare attrezzature o personale nell’Iraq attuale. I sabotaggi ancora azzoppano le esportazioni. La decisione britannica di ritirare la maggior parte delle sue truppe dal sud ha suscitato preoccupazioni sulla stabilità persino nei giacimenti petroliferi maggiori. E le sconquassate infrastrutture per l’esportazione non possono reggere più dei 2 milioni di barili al giorno di greggio iracheno ora in produzione. «Si vedranno annunci e accordi. Ma dollari sul terreno è un’altra cosa», profetizza Saad Rahin, della PFC Energy di Washington. Ecco qui intervenire la Cina. Secondo alcuni analisti, Pechino è così disperatamente bisognoso di energia che le multinazionali petrolifere di proprietà governativa potrebbero essere disponibili ad accettare rischi di sicurezza più alti di altri, essendo motivate più dalla necessità di rifornimenti regolari di petrolio che dal profitto. Al contrario delle major internazionali del petrolio, che cercherebbero di firmare accordi di leasing per fissare le loro richieste, convinte che l’Iraq sia così ricco di petrolio da permettersi di aspettare alcuni anni che i combattimenti finiscano. Ad alimentare questi discorsi, il fatto che in ottobre la China 4 National Petroleum ha iniziato a rinegoziare un contratto da 1,2 miliardi di dollari firmato nel 1997 con il governo di Saddam Hussein per sfruttare il giacimento da miliardi di barili di al-Ahdab, in una zona dove dominano le milizie sciite. Funzionari della compagnia cinese hanno smentito di avere progetti in corso in Iraq e rifiutato di discutere i piani futuri. • USA / Iraq. 16 aprile. La vera ragione dell’aggressione in Iraq? Il controllo a fini geopolitici dell’area mediorientale con le sue risorse energetiche. Noam Chomsky, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology negli USA, in un’intervista rilasciata al sito www.zmag.org, ricorda: «l’Iraq possiede il secondo giacimento di petrolio più esteso del mondo, conveniente da sfruttare e proprio nel cuore di quelle riserve mondiali di idrocarburi che il Dipartimento di Stato già 60 fa descriveva come “stupenda sorgente di potere strategico” ». Come puntualizza Chomsky, il dato strategico è il controllo (e il profitto per le multinazionali dell’energia). «Il controllo di queste risorse, prendendo in prestito l’espressione di Zbigniew Brezinski, determina il “potere critico di leva” statunitense nei confronti delle industrie avversarie (…) Dick Cheney ha osservato che il controllo delle risorse energetiche fornisce in mano altrui “mezzi di intimidazione ed estorsione”». • USA / Iraq. 16 aprile. Un Iraq veramente sovrano sarebbe un disastro per Washington. Chomsky rileva che questo avrebbe effetti sugli sciiti oppressi dell’Arabia Saudita, «proprio dove c’è la maggior parte del petrolio saudita». Considerata la crescita degli sciiti anche nel Bahrein, il rischio è il trionfo dell’influenza sciita in un’arco spaziale che dall’Iran arriva al Libano, con le risorse di idrocarburi nel mezzo. Questo arco sciita potrebbe poi coalizzarsi alla grande potenza emergente: la Cina. «Sebbene gli USA possano intimidire l’Europa, è chiaro che non possono fare la stessa cosa con la Cina, la quale sconsideratamente va per la sua strada anche in Arabia Saudita –il che è il motivo di fondo per cui la Cina è considerata minaccia primaria. Un blocco energetico indipendente nell’area del Golfo può verosimilmente emergere tramite il Shanghai Cooperation Council e l’Asian Energy Security Grid basato sulla Cina, con la Russia (dotata delle proprie ingenti risorse) come partner, insieme agli Stati dell’Asia Centrale (già membri), possibilmente con l’India. L’Iran si è già associato e i blocchi a dominanza sciita negli Stati arabi potrebbero tenergli dietro. Tutto ciò sarebbe un incubo per i pianificatori americani e per i loro alleati occidentali». • USA. 16 aprile. Gli Stati Uniti hanno speso oltre 110 milioni di dollari per realizzare le “rivoluzioni colorate” in Ucraina e Kirghizistan. È quanto affermano gli autori del documentario di produzione francese “Rivoluzione.com.USA. Alla conquista dell’Est”, trasmesso dal canale televisivo statale russo Rossija. I documentaristi francesi sono giunti alla conclusione che dietro la realizzazione di una serie di colpi di Stato “cromatici” –la rivoluzione di “velluto” in Serbia, quella delle “rose” in Georgia, “arancione” in Ucraina e quella dei “tulipani” in Kirghizistan– ci siano stati gli USA. E, sempre secondo gli autori del documentario, non è assolutamente escluso il fatto che gli Stati Uniti si fermino qui, dal momento che nel mirino di Washington ci sono ora la Moldavia e alcune delle ex repubbliche sovietiche della zona asiatica. Secondo il documentario, il rovesciamento del regime di Milosevic del 2000, la rimozione nel novembre del 2003 di Eduard Shevarnadze, l’ascesa al potere in Ucraina di Viktor Yushenko nel dicembre del 2004 e la “rivoluzione dei tulipani” contro Akaev in Kirghizistan nel marzo del 2005, non rappresentano altro che gli anelli di un’unica catena. «Quattro rivoluzioni senza spargimenti di sangue, quattro regimi totalitari, le tracce cioè di ciò che rappresentava la potenza sovietica, sono svaniti nel nulla nel giro di qualche settimana facendo ricorso ogni volta allo stesso tipo di scenario: 5 denuncia di elezioni false, un potere che si contrapponeva convulsamente per poi, alla fine dei conti, cedere nei confronti degli insorti», sottolineano gli autori del documentario. • USA. 16 aprile. È stato proprio nell’ex repubblica jugoslava che vennero per la prima volta applicate le tesi contenute nel libro dello scrittore USA Jim Sharp “Dalla dittatura alla democrazia”, un originale manuale di messa in atto di “rivoluzioni non violente” sulla base di ricette assai semplici. Nel libro, ad esempio, viene raccontato come ai rivoluzionari sia riuscito di instaurare buoni rapporti con la polizia, il perno di qualsiasi tipo di dittatura. E fu proprio lo stesso Sharp a dichiarare successivamente che coloro i quali tentarono nel 2000 di rovesciare il regime di Slobodan Milosevic in Serbia si attennero ai suoi consigli. A seguito della caduta di Milosevic, furono poi gli stessi serbi a diffondere tale metodica collaborando attivamente prima con i georgiani al fine di rimuovere Eduard Shevarnadze, e poi con gli ucraini nella fase di preparazione che portò alla “rivoluzione arancione”. A distanza di 10 mesi dalla riuscita campagna di Belgrado, l’ambasciatore USA in Bielorussia Michael Kozak, dall’alto della sua esperienza in simili azioni in America Centrale, in particolare nel Nicaragua, organizzò una campagna sui generis atta a rovesciare il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, campagna che però per gli Stati Uniti non finì secondo le attese. • USA. 16 aprile. La cosiddetta “rivoluzione arancione” in Ucraina ha rappresentato la quarta campagna tra quelle organizzate dagli Stati Uniti in quattro diversi Paesi dell’area postsovietica allo scopo di non rendere pubblici e di conseguenza non riconoscere gli effettivi risultati delle elezioni per poi far cadere i rispettivi regimi in questi Paesi. La preziosa esperienza acquisita in Serbia, Georgia e Bielorussia venne di conseguenza impiegata al fine di effettuare azioni di protesta nei confronti del regime dell’allora presidente ucraino Leonid Kuchma. Il momento chiave è rappresentato dalla procedura del conteggio dei voti. Oltre agli osservatori ufficiali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, durante la fase di spoglio delle schede nel corso delle elezioni ucraine presenziavano migliaia di osservatori locali, in precedenza addestrati e pagati dall’”Occidente”. Nell’occasione furono altresì organizzati sondaggi nei confronti degli elettori all’uscita dei seggi che dimostravano la vittoria di Yushenko con un margine pari all’11%. E proprio questi dati sono diventati una delle cause principale dell’evolversi dell’attuale situazione in Ucraina. Sulla base di tali sondaggi, l’opposizione ha poi preso l’iniziativa nella battaglia propagandistica contro il regime facendoli apparire di conseguenza sulla stampa. La fase finale della campagna è incentrata sul come reagire se il regime cercherà di “rubare” le elezioni perdute. In Bielorussia Lukashenko è uscito vittorioso dalla campagna elettorale grazie al fatto che non erano state organizzate azioni di protesta su vasta scala, al contrario di Belgrado, Tbilisi e Kiev, dove all’opposizione venne raccomandato di mantenere sangue freddo e di organizzare massicce azioni di disobbedienza civile. • USA. 16 aprile. Se nell’arco degli anni ’60 e ’70 l’attività di formazione di cellule di partiti ed organizzazioni politiche in diversi paesi veniva effettuata segretamente da parte della CIA, successivamente venne presa la decisione di rendere più trasparente e pubblica l’attività degli Stati Uniti. Ed è proprio di ciò che si occupano i fondi e le organizzazioni statunitensi, tra le quali la Fondazione Soros, che ha attivamente preso parte alla rivoluzione in Georgia, l’associazione Freedom House, la quale alla vigilia della rivoluzione in Kirghisia iniziò a stampare e diffondere ben sei giornali a favore dell’opposizione (fattore che ha poi contribuito in larga parte al rovesciamento del regime di Askar Akaiev), nonché l’Istituto Repubblicano Internazionale del senatore USA John McCaine. Sono state proprio queste Fondazioni ed organizzazioni, secondo gli autori del documentario, i veri ispiratori delle 6 rivoluzioni «che hanno spazzato via uno dietro l’altro gli ex vassalli di Mosca per la grande gioia di George Bush». • Germania. 17 aprile. La presidenza di turno tedesca dell’Unione Europea, che in questi giorni è impegnata in consultazioni discrete per rilanciare il Trattato costituzionale bocciato dai referendum in Francia e Olanda, non ha nulla da aggiungere alle proposte avanzate a Londra da britannici e olandesi, i più decisi oppositori anche solo della definizione di Costituzione. I piani della cancelliera Angela Merkel, in attesa della conclusione delle elezioni presidenziali francesi, prevedono una tabella di marcia da presentare al vertice di giugno a Bruxelles alla fine del semestre tedesco di presidenza. A prendere le decisioni concrete dovrebbe essere chiamata una Conferenza intergovernativa dopo la fine della presidenza tedesca. In quella sede, secondo quanto è stato detto anche in occasione dei recenti festeggiamenti a Berlino per i 50 anni dell’Unione Europea, potrebbe essere elaborato il nuovo Trattato costituzionale il cui testo verrebbe redatto pertanto sotto la presidenza portoghese con l’obiettivo di firmarlo e ratificarlo entro il 2009. Per quanto riguarda l’obiezione di Gran Bretagna e Olanda (ma anche Polonia e Repubblica Ceca), che non vogliono neanche sentire parlare di “Costituzione” per tutti gli impegni formali che il termine comporta, ai tedeschi ciò non dovrebbe porre particolari difficoltà: anche la Repubblica federale tedesca non ha una “Costituzione” bensì solo una “Grundgesetz”, cioè una semplice “Legge Fondamentale” che sul piano formale non è ancora una Costituzione in senso tecnico ma, piuttosto, l’insieme delle norme che reggono un nuovo ordinamento per un periodo transitorio e in attesa di un esito ultimo che ancora non si è realizzato. • Polonia. 17 aprile. Il generale Wojciech Jaruzelski, ex uomo forte della Polonia comunista, è stato formalmente accusato di “crimine comunista” per aver decretato la legge marziale nel 1981 con l’obiettivo di bloccare l’ascesa del sindacato Solidarnosc. L’accusa è stata mossa dalla sezione di Katowice dell’Istituto per la memoria nazionale polacco (INP), che studia e indaga sugli archivi di Stato, in riferimento al periodo della dittatura comunista in Polonia. L’Istituto, lo stesso che in passato ha avviato procedimenti di “Lustracja” contro l’ex arcivescovo di Varsavia Stanislaw Wielgus e l’attuale ministro delle Finanze Zyta Gilowska, accusati di aver collaborato con i servizi segreti sovietici, ha depositato formale accusa al Tribunale regionale di Varsavia, che dovrà ora pronunciarsi in merito. Oltre a Jaruzelski, sono state depositate accuse contro altre otto persone, fra cui l’ex generale Czeslaw Kiszczak e il segretario dell’allora Partito comunista polacco Stanislaw Kania. • Polonia. 17 aprile. Dopo le dimissioni dell’arcivescovo Wielgus, seguite alle rivelazioni sul suo passato di spia per il regime comunista, la “Lustracja” sta entrando nella sua fase più turbolenta: la nuova legge che obbliga i collaboratori del regime sovietico ad autodenunciarsi entro maggio è una resa dei conti, ma i gemelli Kaczynski la considerano l’indispensabile pedaggio alla “rivoluzione morale” della quale si sono fatti paladini. In primo piano sono gli intellettuali: almeno settecentomila fra docenti, magistrati, giornalisti, universitari, dirigenti delle case editrici, editori di tv e giornali nati prima del 1972 dovranno compilare un formulario –destinato ad un dipartimento creato per l’occasione con un centinaio di funzionari, che riferirano all’INP– nel quale si chiede loro di spiegare se ed eventualmente come hanno collaborato con la polizia politica comunista. Chi fornirà dichiarazioni in contrasto con gli archivi dell’Istituto, o rifiuterà di obbedire al governo, sarà licenziato e non potrà esercitare la professione per 10 anni. Sono intanto già partiti i primi ricorsi alla Corte costituzionale, e ricerche e controlli potrebbero dunque durare anni, considerata la scarsa attendibilità di molti documenti d’accusa. 7 • Polonia. 17 aprile. La Polonia sta attraversando dunque un’ondata di anti comunismo che secondo alcuni analisti non è dovuta alla sola volontà proclamata di fare chiarezza sulla propria storia, ma sarebbe in prima istanza motivata da una finalità di politica estera: la Russia. Non è inverosimile pensare che l’obiettivo implicito di questa campagna possa essere Mosca, lo sponsor dei passati regimi comunisti e con la quale non solo Varsavia ha aperto diversi contenziosi geopolitici. L’attacco al passato comunista diventa di fatto un modo per denigrare la Russia dipingendola come un nemico storico che, dopo aver controllato quei paesi tramite regimi a lei favorevoli, ancora oggi può rappresentare una temibile minaccia. Il generale Jaruzelski è ultra ottantenne e, anche se condannato, pare difficile possa finire in carcere. La sua vicenda potrebbe però diventare il simbolo di una controversia più grande, la diatriba con lo storico nemico russo che comunque non nasconde le sue ambizioni di ritornare ad essere la potenza geopolitica dominante non solo nell’est Europa. • Polonia. 17 aprile. In un contesto geopolitico che tende verso la polarizzazione tra Russia – Cina e Stati Uniti, la Polonia è un importante Stato cerniera tra Mosca ed un altro vecchio nemico di Varsavia, la Germania. All’esterno la Polonia segue un deciso allineamento con gli Stati Uniti e il suo ombrello missilistico, mentre rimane quantomeno diffidente contro le mire non solo di Mosca ma anche di Berlino. Diffidenza non ingiustificata: l’ex cancelliere Schröder è diventato responsabile del gasdotto del Baltico subito dopo aver siglato come cancelliere l’accordo che ne affidava la gestione a Gazprom e alle tedesche EON e BasfWintershall. Il gasdotto ridurrà enormemente il ruolo geopolitico della Polonia ma anche di Paesi come quelli baltici. In Polonia si è richiamata la spartizione del paese prima della seconda guerra mondiale tra i ministri degli esteri della Germania nazista e della Russia stalinista, Ribbentrop e Molotov. • Polonia. 17 aprile. In questo ambito va dunque collocato il “maccartismo polacco”, quella che Le Monde definisce una “caccia alle streghe”. Un’offensiva non prerogativa della sola Polonia ed in corso anche in Ungheria e nei paesi baltici, che stanno cercando di portarla anche a livello internazionale, come dimostra la loro recente richiesta all’Unione europea di equiparare i crimini staliniani a quelli nazisti. Per il quotidiano Opinione la politica «non liberale» di Varsavia «potrebbe essere un male giustificato dalle ingerenze russe». Un indizio importante della decisione con cui intendono procedere i Kaczinsky è la nomina a capo dei servizi di controspionaggio di Antoni Macierewicz, uomo molto vicino al primo ministro e membro del suo stesso partito, il Partito per la Legge e la Giustizia (PiS), «che denunciò nel 1992 molti agenti sovietici, alcuni dei quali facevano parte dell’entourage di Lech Walesa». Il 4 giugno 1992, l’allora ministro degli Interni Antoni Macierewicz lesse in Parlamento una prima lista di 120 collaboratori col passato regime sovietico. Il trauma fu enorme: la lista comprende molti “eroi” di Solidarnosc, e fa il nome addirittura di Lech Walesa, il capo dello Stato in carica, indicato nei documenti segreti come «agente Bolek». La rivelazione provoca la caduta immediata, lo stesso 4 giugno, del governo cattolico; la distruzione del mito di Solidarnosc; l’impossibilità di procedere alla vera “Lustracja” dei vecchi agenti comunisti nascosti nelle istituzioni, perché tutti temono provocazioni, ricatti e calunnie; infine, ma non ultimo, il ritorno degli ex comunisti al potere. • Polonia. 17 aprile. Secondo il quotidiano filo USA ed Israele, «il pur tragico maccartismo americano ha preservato e immunizzato l’America dal Komintern, meglio del lavoro di intelligence e dell’esercito». Il giornale ricorda anche il caso dell’ex primo ministro polacco della sinistra ex comunista (SLD) poi dimessosi, Leszek Miller, «esponente del partito comunista polacco, che ideò una rete internazionale di aziende (…) Era il così detto “piano Miller”, che venne approvato da Gorbacev e portò anche alla salvezza dei partiti 8 socialcomunisti europei». Un piano che «venne fiancheggiato dai servizi russi, e dopo l’uscita dal governo di Eltsin, ha chiuso il suo compito di traghettamento». E questo spiegherebbe, arrivato Putin alla presidenza russa, «il “maccartismo”, che ha toccato anche importanti uomini della Chiesa polacca». • Russia. 17 aprile. Gazprom intende espandersi ulteriormente nel mercato europeo del gas. In una dichiarazione ufficiale, i vertici del colosso energetico russo hanno annunciato di voler costituire delle joint ventures (accordi tra imprese) con aziende leader in Belgio, Germania, Serbia, Romania e Ungheria per costruire grandi infrastrutture di stoccaggio di ingenti riserve di gas naturale. Oltre a produzione e distribuzione, lo stoccaggio di gas naturale rappresenta un altro momento forte del sistema di controllo di questa risorsa strategica. I vertici di Gazprom hanno presentato tali progetti come risposta all’esigenza di rendere l’approvvigionamento di gas naturale russo da parte degli Europei più sicuro e meno dipendente da dispute politiche, come quelle recenti con Ucraina e Bielorussia –i cui territori sono di vitale importanza per convogliare il gas russo verso l’Europa centrale e occidentale– che hanno destato inquietudine presso gli Stati membri dell’UE. Quel che è certo è comunque il rafforzamento, attraverso accordi bilaterali ad hoc fra Mosca ed alcuni Stati europei, della posizione di Gazprom. Il gas naturale, soprattutto in assenza di piani effettivi per lo sviluppo di fonti energetiche alternative come il fotovoltaico, il solare, la geotermia e l’idrogeno, sembra essere la risorsa energetica strategica del prossimo decennio. E la Russia, che controlla le più vaste risorse mondiali di gas naturali e detiene la leadership nella sua esportazione, non mancherà di farlo pesare anche in Europa. • Russia. 17 aprile. L’obiettivo di Gazprom di dominare il mercato europeo del gas naturale è stato storicamente favorito dalla geografia dell’energia. Il gas naturale ha un mercato più dipendente dai gasdotti di quanto quello petrolifero sia dipendente dagli oleodotti. Per poter trasportare il gas naturale via-mare occorre la sua liquefazione e poi ri-gassificazione, operazione delicata non solo in senso economico ma anche e soprattutto politico, in quanto i rigassificatori sono spesso oggetto di aspre controversie e la loro costruzione procede a rilento rispetto alle pretese del mercato energetico. In tale contesto, il fatto che sin dai tempi dell’URSS il territorio russo è legato all’Europa centrale e occidentale da una fitta rete di gasdotti ha naturalmente favorito la politica di Gazprom. Per le ambizioni geopolitiche del Cremino, il controllo di fatto statale delle risorse energetiche (gas naturale e anche petrolio) e dei circuiti di distribuzione attraverso giganti quali Gazprom o Rosneft è un elemento decisivo. Va a tal proposito rilevato che la chiave di lettura dell’accordo con la Bielorussia di Lukashenko del gennaio scorso non consiste nell’aumento dei prezzi di fornitura del gas ai bielorussi, ma nell’acquisizione del controllo –con una quota del 50% della proprietà– dei gasdotti che transitano attraverso la Bielorussia. È la stessa concessione strappata, un anno fa, all’Ucraina. • Russia. 17 aprile. Gettando un occhio attento alla geopolitica russa delle risorse energetiche, quel che salta all’occhio è il controllo di oleodotti e gasdotti e dei diritti di transito. Il settimanale Espresso del febbraio scorso rilevava ad esempio che una società come l’ENI non può far arrivare in Europa gli idrocarburi estratti in Kazakistan, Uzbekistan o Turkmenistan (dove partecipa all’estrazione in alcuni giacimenti) poiché Mosca non concede diritti di transito sul territorio russo. L’ENI è costretta pertanto a vendere quanto produce a Gazprom. Questo squilibrio sui transiti è la carta che sta favorendo Gazprom a discapito di tutti gli altri operatori, nel mentre questa si avvia ad entrare in mercati come appunto quello italiano. 9 • Russia / Italia. 17 aprile. Apriamo a questo punto una parentesi sull’Italia. Il governo di centrosinistra, nel contesto delineato poco sopra, non ha trovato niente di meglio che proseguire la politica energetica del governo Berlusconi, consistente nell’aprire incondizionatamente il mercato italiano al colosso di Mosca (che tra l’altro vorrebbe acquisire centrali elettriche). Con la rettifica di impedire allo stesso Berlusconi di partecipare, anche se per interposta persona con una una società privata riconducibile a lui, all’affare. «Cosa offre Mosca all’Italia, in cambio della conquista del mercato del metano? In cambio ENI avrà accesso a quote azionarie di Novatek –il primo produttore privato di gas dopo Gazprom– e di Artikgas, una società che sfrutterà i ricchissimi giacimenti a ridosso del Circolo Polare Artico. C’è però un nodo da risolvere: se non cambiano le regole russe circa le concessioni sui transiti nei metanodotti, cosa se ne farà ENI del gas estratto in Russia? Non potendo esportarlo, continuerà a non restare altro da fare che rivenderlo a Gazprom, ed il circolo vizioso si riproporrà», scriveva il settimanale di De Benedetti. • Russia. 17 aprile. È comunque evidente che Mosca ha saputo ben associare al dato strutturale geografico-energetico una notevole capacità diplomatica. Una vera e propria strategia d’influenza russa, che punta a solleticare gli appetiti economici di singoli paesi europei, ha avuto buon gioco nel coinvolgere singoli Stati membri nel sistema dello stoccaggio del gas naturale, che permette a tali paesi di diventare hub strategici e distributori della risorsa energetica anche se non ne possiedono. Nel biennio 2004-2005, l’allora Cancelliere tedesco Gerhard Schröder strinse rapporti privilegiati con l’impresa controllata da Mosca e diede inizio a un partenariato strategico con la Russia insieme a una propria collaborazione personale con Gazprom. Una delle conseguenze fu il progetto di gasdotto attraverso il Baltico che fece infuriare Varsavia e Vilnius (escluse dal tragitto e private quindi di royalties e di peso politico). Buone relazioni anche con il Belgio. I rapporti fra il primo ministro belga Guy Verhofstadt e Vladimir Putin sono stati tradizionalmente buoni negli ultimi anni. Nel marzo scorso, Verhofstadt è stato ricevuto al Cremlino e ha dato il proprio assenso al progetto di stoccaggio del gas naturale in Belgio. Per quanto riguarda Serbia e Romania, se la prima è tradizionalmente un’alleata politico-diplomatica di Mosca, la seconda è un caso più interessante, in quanto insieme a Polonia e Lituania è il paese più filo-statunitense e filo-atlantico fra i nuovi Stati membri UE integrati nel 2004, e un pilastro della nuova strategia statunitense nell’area del Mar Nero. Le considerazioni economiche, in questo caso, hanno prevalso. • Russia. 17 aprile. Le strategie energetiche russe hanno comunque un respiro a più ampio raggio. Buona innanzitutto l’intesa con la Turchia, con cui si è realizzato (anche con la partecipazione dell’ENI) il Blue stream, il gasdotto tra Russia e Turchia passante attraverso il mar Nero, che Putin vorrebbe estendere ai Balcani ed all’Ungheria. Gazprom e Israele hanno raggiunto un accordo di principio sulla fornitura di gas russo a Tel Aviv attraverso la Turchia, secondo quanto ha detto il primo ministro israeliano Ehud Olmert, intervistato a Gerusalemme dalla radio Eco di Mosca. Un accordo per trasportare gas naturale egiziano verso l’Europa attraverso la Turchia è stato firmato dai ministri dell’energia di Siria, Egitto, Libano, Giordania e Romania, secondo quanto afferma l’agenzia di stampa Anadolu. Nel 2006, Mosca ha stretto un’alleanza con Algeri ed iniziato quel processo di cooptazione dei propri potenziali rivali che, eventualmente, potrebbe anche portare ad un cartello del gas sul modello dell’OPEC petrolifero. Detto per inciso, l’intesa tra la russa Gazprom e l’algerina Sonatrach, che insieme rappresentano il 60% dell’import di metano dell’Europa occidentale e il 70% di tutte le importazioni italiane (l’Algeria ha gasdotti diretti con Italia, Spagna e Portogallo ed esporta gas liquefatto a tutto il Mediterraneo del nord), determinerà una situazione di quasi monopolio sul mercato europeo del gas. L’intesa è stata corroborata con 10 la vendita di armamenti: caccia multiruolo, radar, missili. Pagate dando a Mosca la partecipazione alle operazioni di estrazione di petrolio e gas nel paese maghrebino. Il 9 Aprile scorso, a Doha in Qatar, i membri del Forum dei paesi esportatori di gas hanno discusso della possibilità di coordinare le proprie politiche di offerta. La Russia conta di aumentare la propria influenza sulle politiche di molti fra i principali detentori di gas naturale: Iran, Qatar, Arabia Saudita, Venezuela, Turkmenistan. Nel risiko energetico globale innescato dall’aggressività statunitense (cfr i progetti di oleodotti e gasdotti con cui Washington vorrebbe tagliare fuori Mosca dai circuiti di distribuzione delle risorse energetiche), la Russia sta mostrando di avere diverse carte da giocare. • Kosovo. 18 aprile. «Dovremo lavorare con alacrità nelle prossime settimane e nei prossimi mesi per portare il Kosovo verso l’indipendenza». Lo ha ribadito ieri, in riferimento alla sorte della provincia a maggioranza albanese oggi sotto l’autorità serba, Nicholas Burns, numero tre del Dipartimento di Stato, di fronte al Congresso, insinuando così la possibilità di un riconoscimento unilaterale. Immediata la replica di Belgrado: il governo respingerà come nullo il tentativo di qualunque paese di riconoscere il Kosovo come Stato indipendente prima che sia adottata una risoluzione al riguardo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. • Ucraina. 18 aprile. Yanukovic: Se andremo a nuove elezioni vinceremo sicuramente. Secondo i sondaggi citati dal primo ministro ucraino, in costante crescita risulterebbe la coalizione parlamentare guidata dal “partito delle regioni” dell’attuale premier filo russo. Yanukovic però precisa che ogni elezione deve tenersi nel rispetto della legge e della Costituzione del Paese. • Turchia / Iraq. 18 aprile. Ankara minaccia di invadere l’Iraq. Due operazioni militari contro i guerriglieri del PKK a breve distanza dalla frontiera turco-irachena, appoggiate da elicotteri da combattimento, le dichiarazioni del capo di Stato maggiore di Ankara e del consiglio nazionale per la sicurezza della Turchia (una istituzione a guida mista civile e militare) lo scorso 9 aprile, secondo cui Ankara sarebbe pronta ad adottare “altri provvedimenti” nel caso in cui il governo iracheno non dovesse prendere provvedimenti adeguati contro i guerriglieri kurdi, lasciano paventare seriamente opzioni militari nel nord del vicino Iraq. Secondo Ankara i guerriglieri dopo attacchi contro obiettivi turchi troverebbero protezione proprio in territori a sovranità irachena. Il capo di Stato maggiore delle forze armate turche, Yasar Büyükanit, ha detto che qui si nasconderebbero almeno 5mila guerriglieri kurdi e l’invasione di questi territori sarebbe «indispensabile» per impedire loro di agire. • Turchia / Iraq. 18 aprile. Lo scontro verbale tra turchi e kurdi aveva già raggiunto un punto di massima tensione la settimana scorsa, con l’intervista al leader dei kurdi nord iracheni Massoud Barzani trasmessa dalla televisione Al-Arabiya. Nell’intervista Barzani affermava che i kurdi nord iracheni non permetteranno un intervento turco nella città di Kirkuk. Irritato dalle ripetute minacce di intervento turco, Barzani ha affermato che se la Turchia crede sia suo dovere intervenire per le migliaia di turkmeni che vivono a Kirkuk, allora «noi in nome dei 30 milioni di kurdi della Turchia, abbiamo il diritto di immischiarci negli affari di Diyarbakir e delle altre città turche». Soprattutto, Barzani ha dichiarato che i kurdi residenti in Iran, Turchia, Iraq e Siria «avrebbero un legittimo diritto ad uno Stato indipendente». Per la maggioranza delle élite politiche e delle forze armate turche questa prospettiva rappresenta l’inferno, da scongiurare ad ogni costo, con in più il timore che nella possibile, futura entità statuale del Kurdistan vi siano anche i territori attualmente sotto dominio turco. Il ministro degli esteri Abdullah Gül, in una telefonata con il suo collega statunitense Condoleezza Rice, ha preteso che gli alleati USA mettano Barzani con le spalle 11 al muro. Cemil Cicel, influente portavoce del governo, ha ribadito come legittima una possibile operazione militare turca in Iraq, visto che il PKK agisce partendo dall’Iraq del nord. • Iran. 18 aprile. Gruppo terrorista debellato. Le autorità iraniane hanno dichiarato di aver messo sotto controllo il gruppo terrorista di Jundallah (“Soldati di Allah”) di Abdolmalek Rigi e di averlo disperso. Un alto funzionario del ministero dell’interno ha detto che il gruppo è stato sostenuto da servizi segreti stranieri con l’obiettivo di destabilizzare il governo iraniano. Inoltre ha affermato che i capi delle frazioni principali del gruppo sono stati arrestati o uccisi. • Iran / Israele. 18 aprile. L’Iran è attivamente impegnata nel reclutamento di ebrei e di arabi israeliani come spie contro Israele. Lo ha affermato un rapporto dei servizi di sicurezza israeliani. 10 israeliani su 100 che hanno viaggiato in questi ultimi due anni in Iran, secondo il rapporto, interrogati dal servizio di sicurezza israeliani, sono stati scoperti reclutati come spie. Il rapporto afferma inoltre che l’Iran sta attivamente raccogliendo informazioni in tre ambiti: sistema decisionale israeliano; strutture militari e di difesa; forza e debolezze della società israeliana. • Iraq. 18 aprile. Per il 73% degli iracheni gli USA sono la causa degli attentati contro i civili. Secondo un sondaggio pubblicato 9 giorni fa dal quotidiano britannico The Sunday Times, solamente il 27% degli iracheni intervistati pensano che la violenza con la quale convivono tutti i giorni sia il risultato di una guerra civile. L’istituto Brookings ha inoltre rilevato, anche sulla base di fonti ufficiali USA, che il numero degli attentati è raddoppiato rispetto all’anno precedente, il 75% dei quali rivolti contro l’esercito USA, il 17% contro quello iracheno ufficiale e solamente l’8% contro obiettivi civili, che comprendono comunque le imprese che lavorano direttamente o indirettamente per gli occupanti. La “guerra civile” si rivela uno slogan tanto sbandierato quanto irreale. Si può magari parlare di combattimenti tra milizie rivali o scontri tra settori del governo iracheno che difendono propri interessi. Ma c’è chi rileva come la comparsa di squadroni della morte, che terrorizzano villaggi interi e fermano tutti quelli che entrano od escono dagli abitati, risale alla venuta in Iraq del famigerato John Negroponte, attuale numero 2 del Dipartimento di Stato USA, figura che sovrintese alla creazione ed addestramento di sanguinari commandos nell’America centrale. • Nicaragua / Venezuela. 18 aprile. Il presidente Daniel Ortega inaugura due nuove centrali elettriche, intitolate al suo omologo venezuelano Hugo Chávez per il sostegno offerto da Caracas per risolvere la crisi energetica che colpisce il paese con black-out quasi quotidiani. Secondo Ortega, l’interruzione dell’energia elettrica è già stata ridotta, nei suoi primi 100 giorni di governo, del 30% «grazie alla solidarietà del Venezuela e di Cuba». • Iran / Iraq. 19 aprile. L’Iran sta fornendo in Iraq aiuti non solo agli sciiti, ma anche ai sunniti. Lo ha dichiarato il generale del Pentagono Barbero. «Abbiamo scoperto munizioni a Baghdad, prodotte in Iran, in quartieri a larga maggioranza sunniti», ha detto il generale Barbero. Obiettivo di Teheran, secondo il militare, sarebbe destabilizzare e paralizzare l’Iraq. • Russia. 19 aprile. Nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso l’Accademia aeromilitare “Yurij Gagarin” a Monino, in periferia di Mosca, il Comandante in capo delle Forze aeree russe, generale Vladimir Mihailov, ha dichiarato che i sistemi missilistici difensivi che gli Stati Uniti sono intenzionati a dislocare in Polonia e nella Repubblica Ceca 12 non rappresentano un pericolo per la Russia «Per noi questi sistemi non rappresentano un pericolo particolare, dal momento che non si tratta di missili d’attacco sebbene possano essere utilizzati in qualità di missili terra-terra. Il peso di questi sistemi è più politico che militare», ha dichiarato il generale Mihailov il quale ha poi proseguito dicendo che «si tratta di sistemi missilistici stazionari, in grado di essere immediatamente localizzati per coordinate. Per cui non vedo la ragione per la quale si debba temere sistemi del genere». «Il fatto che gli americani ci invitino a visitare di persona questi sistemi rappresenta un’iniziativa per lo più di carattere politico al fine di dimostrarci che li installano armati di buone intenzioni, tant’è che sono disposti a farceli vedere uno per uno», ha così commentato il generale Mihailov la recente dichiarazione da parte del direttore dell’Agenzia missilistica difensiva statunitense, generale Henry Obering, il quale aveva proposto ad esperti russi di visitare i cantieri sul territorio polacco che a partire dal 2011 ospiteranno 10 basi missilistiche difensive statunitensi. • Russia. 19 aprile. Il Comandante in capo delle Forze aeree russe, generale Vladimir Mihailov, nel corso della conferenza stampa presso l’Accademia militare aerea di Mosca “Yurij Gagarin”, ha dichiarato che tra Russia e Bielorussia verrà sottoscritto un accordo che prevede la formazione di uno scudo missilistico difensivo in comune. • Russia / India. 19 aprile. Lo storico accordo tra Stati Uniti e India sulla energia nucleare è a rischio perché il governo di New Delhi chiede la riscrittura di clausole chiave della legge già approvata dal Congresso l’anno scorso. Secondo quanto rivelato da fonti del dipartimento di Stato USA, citate dal Financial Times (FT), l’intransigenza dell’India minaccia di fare saltare un accordo che consentirebbe a New Delhi un accesso senza precedenti al combustibile nucleare, senza dovere sottoscrivere il trattato di non proliferazione. Stando a quanto riferito da fonti informate della trattativa, i negoziatori indiani contestano una clausola che riserva agli Stati Uniti la facoltà di ritirare le forniture di combustibile e le apparecchiature per gli impianti nucleari qualora l’India derogasse dalla moratoria unilaterale sui test nucleari, ha scritto il FT. • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. «In Somalia, analogamente ad Haiti, è avvenuta un’invasione di mercenari dall’Etiopia, addestrati, finanziati, armati e guidati da consiglieri militari statunitensi». Lo scrive il docente USA James Petras in una sua analisi sulla struttura dell’impero USA, puntualizzando come Washington, alle prese con due guerre nel Medioriente ed in Asia centrale, faccia affidamento su Stati satelliti per il controllo e la repressione di movimenti antimperialisti. L’invasione etiope della Somalia (dicembre 2006), con il rovesciamento dell’Unione delle Corti islamiche e l’imposizione di un sedicente “governo di transizione” di “signori della guerra”, risponde a strategie geopolitiche di controllo di aree come quella del Corno d’Africa, a ridosso del Medioriente e di paesi a rischio come Sudan ed Eritrea, e caratterizzate dalla crescente influenza cinese (cfr Sudan). Non a caso Washington sta insediando in Africa un comando militare, allo scopo di rafforzare il controllo sulle forze armate africane, accelerare le disposizioni per reprimere i movimenti d’indipendenza o abbattere i regimi antistatunitensi ed aprire i cordoni della borsa verso oligarchie e generali africani già tentati dagli investimenti ed aiuti cinesi. Nel suo scritto Petras compie un’interessante ricostruzione della più recente storia somala. Dal 1991 (caduta del governo di Siad Barre) fino a metà del 2006 la Somalia è stata devastata da conflitti e faide fra “signori della guerra”. Nel mezzo, nei primi anni Novanta, l’invasione USA/ONU e l’occupazione temporanea di Mogadiscio, che ha visto massacrati più di 10mila civili somali ed uccisi e feriti poche dozzine di soldati USA/ONU. 13 • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Perché Washington invase la Somalia? Secondo Petras, ciò rispondeva ad una strategia volta a fare della Somalia uno degli “Stati vassalli” statunitensi in Africa. Il presidente dei democratici Bill Clinton ne fu l’esecutore. A lui Petras riserba parole di fuoco. «Mentre molti commentatori attualmente e giustamente fanno riferimento a Bush come ad un ossessionato fomentatore guerrafondaio a causa delle sue guerre in Iraq e in Afghanistan, costoro dimenticano che il Presidente Clinton, a suo tempo, si era impegnato in diverse azioni belliche simultanee e sequenziali in Somalia, Iraq, Sudan e contro la Jugoslavia. Le azioni militari e gli embarghi di Clinton hanno ucciso e mutilato migliaia di somali, hanno prodotto 500.000 morti solo di bambini iracheni, e causato fra i civili nei Balcani migliaia di morti e feriti. Clinton ha ordinato la distruzione del più importante stabilimento farmaceutico del Sudan, che produceva vaccini indispensabili e farmaci essenziali sia per gli uomini che per il bestiame, procurando una drammatica carenza di questi vaccini e di trattamenti fondamentali». Ritornando in Somalia, Clinton invia nel 1994 migliaia di soldati USA per una “missione umanitaria”. «In realtà Washington interveniva per favorire quei signori della guerra compiacenti con gli USA contro gli altri, contro il parere dei comandanti Italiani delle truppe ONU in Somalia». L’esito fu disastroso per gli USA. «Due dozzine di militari USA rimanevano uccisi in un tentativo di assassinio mal congegnato, e i loro corpi mutilati venivano trascinati per le strade della capitale Somala da una folla inferocita. Washington inviava navi portaelicotteri, che bombardavano pesantemente le aree popolate di Mogadiscio, ammazzando e mutilando per rappresaglia migliaia di civili. Alla fine, gli USA furono costretti al ritiro delle loro forze armate, visto che l’opinione pubblica e del Congresso si era capovolta in modo schiacciante contro la piccola guerra caotica di Clinton. Anche le Nazioni Unite, che non avevano più bisogno di fornire una copertura all’intervento statunitense, si ritirarono». Questo per chi parla di “ruolo della pace” delle Nazioni Unite. • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. È in questo contesto che negli anni Novanta «piccoli gruppi locali, i cui leaders più tardi davano luogo all’Unione delle Corti Islamiche (UCI), cominciarono ad organizzarsi contro i saccheggi dei signori della guerra (…) contrastando le fedeltà tribali e di clan; l’UCI cominciò a mettere fuori gioco i signori della guerra, dando un taglio ai pagamenti estorsivi imposti sui commerci e sulle famiglie. Nel giugno 2006, questa libera coalizione di preti islamici, giuristi, lavoratori, forze di sicurezza e commercianti cacciava dalla capitale Mogadiscio i più potenti signori della guerra». L’Unione delle Corti Islamiche guadagnava frattanto sempre più consensi. «Nella totale assenza di qualcosa che assomigliasse ad un governo, l’UCI cominciò a fornire sicurezza, il governo della legge e la protezione delle famiglie e delle proprietà contro i criminali predatori. Una rete estensiva di centri e programmi per l’assicurazione dello Stato sociale, cliniche sanitarie, mense gratuite per i poveri e scuole elementari venivano costituite per servire il grande numero di profughi, contadini sradicati dalle loro terre e i poveri delle città». È su questo scenario sullo sfondo che l’Unione delle Corti Islamiche riesce a scacciare i signori della guerra da Mogadiscio e dall’intera parte centro-meridionale del paese ed insediare un governo di fatto riconosciuto e ben accettato dalla stragrandissima maggioranza dei somali. • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. A questo punto Washington reagisce, assicurando protezione all’attuale “Presidente” del “Governo Federale di Transizione” (TFG), Abdullahi Yusuf e preparando mercenari etiopi per un’invasione della Somalia su larga scala, per terra e per via aerea. Yusuf è un “signore della guerra” «profondamente coinvolto nella corruzione e in tutti i saccheggi illegali che hanno caratterizzato la Somalia dal 1991 fino al 2006. Per tutti gli anni Novanta, Yusuf è stato Presidente del sedicente stato autonomo separatista del Puntland». Con l’avanzata delle Corti, Yusuf fu costretto a rifugiarsi in una 14 città di provincia sul confine con l’Etiopia, privo del sostegno anche da parte di molti clan di signori della guerra. Significativo a questo punto il ruolo dell’ONU. «Washington si assicurava una risoluzione dal Consiglio di Sicurezza che riconosceva al signore della guerra Yusuf, nella minuscola enclave di Baidoa, il governo legittimo. Questo avveniva malgrado il fatto che l’esistenza del TFG dipendesse dalla presenza di un contingente di diverse centinaia di mercenari etiopi finanziati dagli Stati Uniti». Entra poi in scena il dittatore etiope Meles Zenawi. La forza del suo regime, fondato sul gruppo etnico Tigrayan, meno del 10% della popolazione multietnica dell’Etiopia, è appesa al filo degli armamenti USA per le forze di polizia e per l’esercito, dei prestiti finanziari e dei consiglieri statunitensi. Grazie al sostegno di Washington, Meles ha potuto affrontare l’opposizione armata di movimenti di liberazione interni come quello degli Oromo, l’ostilità di settori dell’esercito che gli rimproverano la guerra con l’Eritrea ed il disprezzo della popolazione degli Amhara, influente nella capitale, che lo accusa di aver truccato le elezioni nel maggio 2005, fatto uccidere, nell’ottobre 2006, 200 studenti che protestavano, e aver imprigionato decine di migliaia di persone. • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Meles, privo di qualsiasi sostegno popolare, è diventato il vassallo degli USA più leale e servile nella regione. «Imitando in modo imbarazzante come un pappagallo la retorica “anti-terroristica” imperiale di Washington per la sua aggressione contro la Somalia, Meles ha inviato più di 15.000 soldati, centinaia di veicoli corazzati, dozzine di elicotteri ed aerei da guerra. Conclamando che stava impegnandosi nella “guerra contro il terrorismo”, Meles terrorizzava il popolo della Somalia con bombardamenti aerei e con una tattica da terra bruciata. In nome della “sicurezza nazionale”, Meles inviava le sue truppe a liberare dall’accerchiamento il signore della guerra, fantoccio degli USA, Abdullahi Yusuf». Il tutto sotto la supervisione di Washington, che coordinava le sue forze aeree e navali e bombardamenti ai somali in fuga con l’avanzata degli invasori Etiopi ed impediva a tutte le navi l’accesso alle coste somale, mentre al Kenya veniva ordinato di catturare e inviare oltre confine i somali in fuga. Il tutto con la scusa di Al Qaeda. Eppure, secondo le stesse fonti USA, «le forze armate statunitensi ed etiope non hanno potuto identificare nemmeno un leader di Al Qaeda dopo l’esame di un gran numero di combattenti o profughi morti o fatti prigionieri». • USA / Etiopia / Somalia. 19 aprile. Dopo aver sostenuto l’offensiva etiope, il passo successivo di Washington è stato di procurare rinforzi per Meles, che data la propria precaria posizione interna «non poteva permettersi di mantenere a lungo in Somalia il suo esercito di occupazione di 15.000 mercenari. E così, «sotto la direzione di Washington, sia le Nazioni Unite che l’Organizzazione per l’”Unità” Africana concordavano di inviare un esercito di occupazione di ‘peace-keepers’» per dare sostegno vitale al regime di Yusuf. Per Petras, comunque, anche l’operazione Somalia è destinata al fallimento. Certo, il caso somalo dimostra l’importanza di una rete di regimi servili o satelliti per ridurre «di molto i costi politici ed economici per conservare gli avamposti imperiali». Senza l’invasione da parte degli etiopi, il fantoccio signore della guerra somalo Abdullahi Yusuf sarebbe stato cacciato via dalla Somalia e il paese si sarebbe unificato. Washington ha però scommesso su un Yusuf «profondamente detestato, con nessuna base sociale nel paese e dipendente da clan delegittimati, sempre in contrasto fra loro, e da signori della guerra criminali». Si sottovaluta inoltre l’ostilità somala verso l’aggressione di un’Etiopia che già nel 1979 aveva devastato il paese e non si tiene conto dell’opposizione interna di quei paesi africani chiamati ad un prolungato e costoso coinvolgimento militare. Ma soprattutto, secondo Petras, l’ambizione imperiale di Washington non riconosce la propria debolezza strategica di fronte ad un fattore decisivo: i movimenti popolari di liberazione nazionale. Contro la cui resistenza di massa non possono nulla “regimi vassalli” dipendenti da eserciti stranieri. 15 • USA / ONU / Haiti. 19 aprile. Le strategie geopolitiche di Washington anche nell’invio dei caschi blu in Haiti. Stavolta, a condurre il lavoro sporco di Washington, il Brasile di Lula, che ha inviato il contingente più numeroso. «Un generale brasiliano è stato messo al comando dell’intera forza militare. Il cileno Gabriel Valdez ha assunto la direzione dell’amministrazione di occupazione delle Nazioni Unite, come funzionario superiore a sovrintendere la sanguinosa repressione dei movimenti di resistenza Haitiani». Il contingente ONU è composto inoltre da truppe provenienti da Uruguay, Bolivia, Panama, Paraguay, Colombia e Perù. Tra il dicembre 2006 ed il febbraio 2007 l’ONU ha invaso ed ucciso nelle baraccopoli più povere e densamente popolate del paese. • USA / Cuba. 19 aprile. Posada esce dal carcere. La spuntano gli anticastristi di Miami. Il terrorista Luis Posada Carriles viene scarcerato su cauzione (350mila dollari) e dopo aver accettato il braccialetto elettronico anti-fuga: attenderà il processo in casa della moglie a Miami. La Corte d’Appello di New Orleans si è rifiutata di rinviarlo a giudizio per terrorismo e lo aveva arrestato solo per immigrazione illegale. Respinta la richiesta di estradizione del Venezuela (dal cui territorio partì l’aereo cubano fatto esplodere nel 1976 in uno degli attentati attribuiti a Posada). Oltre all’attentato del 1976, che costò la vita a 83 persone, Posada è responsabile (per sua stessa ammissione) dell’esplosione che nel 1997 all’Avana uccise il giovane italiano Fabio Di Celmo (32 anni). Il padre di Di Celmo ha detto che la liberazione «è una burla all’umanità». «Non c’è giustizia» negli USA «che pretendono di dominare il mondo», ha detto Giustino Di Celmo. Dopo L’Avana e Caracas, anche Managua ne ha intanto chiesto l’estradizione. • Italia / USA. 20 aprile. L’Italia verrà interamente coperta dallo scudo spaziale antimissilistico USA. Lo ho affermato ieri a Bruxelles il generale Harry Obering, direttore dell’Agenzia statunitense per la difesa missilistica, nel corso del Consiglio fra la NATO e la Russia appositamente organizzato e dedicato alla questione. Come ha affermato il generale Obering, il sistema missilistico difensivo, la cui installazione è prevista in Polonia e nella Repubblica Ceca entro il 2011, «coprirà tutta l’Italia e gran parte dell’Europa del sud». Il generale Obering ha poi aggiunto che lo scudo statunitense non sarà in grado di coprire un’area dell’Europa orientale a partire dalla Grecia • Italia / USA. 20 aprile. Vicenza non dimentica la base. In migliaia sfilano in corteo fino alla basilica palladiana occupata. La città si mobilita contro la cappa di silenzio che sembra avvolgere la battaglia contro l’allargamento della base USA “Dal Molin” che ha il placet del governo Prodi. Anche ieri mattina verso le 6.30, gli occupanti della basilica hanno potuto assistere ad una esercitazione dei militari statunitensi. In piazza dei Signori una squadra di soldati ha svolto la sua ginnastica mattutina. Vista non insolita, dato che i militari della Ederle escono ogni mattina per i loro esercizi. Alcuni sono in maglietta e pantaloncini grigi, ma ci sono anche le squadre in divisa, elmetto e zaino in spalle. «Neanche fossimo a Baghdad», dice Marco Palma del presidio permanente che conferma che «la ginnastica in centro la fanno soltanto da qualche mese, cioè da quando la questione Dal Molin è diventata oggetto della protesta dei cittadini». Una sorta di atto di sfida. Contrastato ogni mattina da un gruppo di cittadini del comitato contro la base di Vicenza est, che alle sei puntuale si piazza davanti ad una delle uscite della Ederle con striscioni che denunciano la guerra, oltre a dire no Dal Molin. «Oggi», dice Palma, «la questione della nuova base è fortemente legata, da tutti i cittadini, al no alla guerra». Una consapevolezza che è cresciuta nel movimento che respinge al mittente le accuse di localismo, o peggio di essere pronto a sbaraccare se solo la base venisse fatta qualche 16 chilometro più in là. Lo slogan del movimento no Dal Molin, «resisteremo un minuto di più» è dunque più attuale che mai. • Francia. 20 aprile. Indipendentisti còrsi invitano al boicottaggio delle presidenziali. Corsica Nazione Indipendente ha lanciato ieri un appello all’astensione alle presidenziali di domenica in Francia come «atto di rifiuto e resistenza» per denunciare il rifiuto dello Stato francese di riconoscere i diritti del popolo còrso. «Come indipendentisti non abbiamo niente da sperare» da queste elezioni. • Ecuador. 21 aprile. L’81,72% vuole la Costituente. È una vittoria schiacciante per il presidente Correa, secondo i risultati ufficiali resi noti dal Tribunale Supremo Elettorale, che ottiene così il consenso per la sua proposta di convocare «un’Assemblea Costituente con pieni poteri per riformare il quadro istituzionale ed elaborare una nuova Costituzione». L’opposizione ha riconosciuto la sconfitta: «Sarebbe assurdo da parte nostra chiudere gli occhi di fronte a quello che la cittadinanza ha espresso nelle urne», ha affermato la deputata del Movimiento Libertario, Gabriela Abarca. • Algeria. 22 aprile. Il premier algerino Abdelaziz Belkhadem ha nuovamente condannato un allarme lanciato qualche giorno fa dall’ambasciata statunitense di Algeri, secondo cui potevano essere imminenti nuovi attacchi terroristici nella capitale algerina che avrebbero avuto come possibile obiettivi l’uffico centrale della posta e la sede della radio-televisione. «Si tratta di qualcosa che non era mai accaduto in nessun altro Paese, che l’Ambasciata di uno Stato in un Paese sovrano pubblichi sul proprio sito Internet un avviso circa l’imminenza di un attacco terroristico, fornendo la data e il luogo dove sarebbe avvenuto. Non accettiamo nessuna interferenza nei nostri affari interni», ha detto Belkhadem alla televisione nazionale algerina. • USA / Iraq. 22 aprile. I comandanti dei marines in Iraq hanno creato un clima di totale disprezzo per la vita dei civili. L’accusa viene addirittura dal Pentagono. Secondo i risultati di un’inchiesta interna, «la vita degli iracheni innocenti era valutata così poco che la loro morte era considerata una insignificante componente della guerra». Il rapporto firmato dal generale Eldon Bargewell è stato anticipato oggi sulle pagine del Washington Post. L’inchiesta ha fatto luce sulla strage di Haditha, nella quale 24 iracheni, tra i quali anche donne e bambini, furono trucidati il 19 novembre del 2005. Inizialmente il Pentagono cercò di giustificare l’eccidio come uno scontro con insorti. • Iraq. 23 aprile. Al Maliki contro il Muro di Baghdad. Il premier iracheno Nouri al-Maliki, parlando al Cairo, ha detto di aver dato disposizioni, affinché la costruzione delle barriere di cemento attorno ad alcuni quartieri sunniti di Baghdad venga sospesa e si trovi una soluzione alternativa per garantire la sicurezza. La decisione arriva a seguito di un diffuso malcontento che serpeggia nella capitale irachena per la separazione fisica che le truppe USA vorrebbero imporre alla popolazione. • Iran / Russia. 23 aprile. Teheran e Mosca hanno firmato un protocollo d’intesa per risolvere i problemi finanziari inerenti alla costruzione della prima centrale atomica dell’Iran a Bushehr nel sud del paese. Proprio ieri il portavoce del ministero degli esteri iraniano Mohamnmad Ali Hosseini aveva detto che il mancato rispetto degli impegni presi a Bushehr rende inaffidabile la Russia, mentre l’agenzia iraniana per l’energia atomica aveva affermato di aver già saldato completamente tutti i conti in sospeso con la società russa Atomstroyexport, incaricata della costruzione. 17 • USA. 23 aprile. Il sistema di missili balistici USA è inaffidabile, vulnerabile, tecnicamente incompleto e non è in grado di difendere l’Europa in caso di attacco missilistico. Lo ha dichiarato al prestigioso quotidiano russo Izvestia Philip Coyle, ex viceministro della Difesa degli Stati Uniti, nonché attuale collaboratore dell’Istituto per la sicurezza mondiale con sede a Washington. Coyle aggiunge che il sistema di missili balistici che gli Stati Uniti hanno recentemente installato sia in Alaska che in California si è rivelato incapace di difendere il territorio degli Stati Uniti nell’ambito di uno scenario militare reale, «dal momento che in base ad uno scenario del genere il potenziale nemico è in grado di portare un attacco missilistico congiunto da diverse direzioni, utilizzando sia missili fasulli che missili armati di testata nucleare». Coyle afferma che «distruggere un missile in volo alla velocità di 25.000 chilometri all’ora è come per un giocatore di golf centrare la buca con la pallina in movimento alla stessa velocità. E se in questo caso il potenziale nemico fa ricorso a trappole ed altre contromisure del genere, risulterà praticamente impossibile stabilire da che parte arriva la minaccia reale». • USA. 23 aprile. Secondo Coyle, i piani USA di “difesa” dell’Europa sono solo una finzione, che nascondono reconditi motivi. «Nei confronti dei governi dell’Europa orientale le spiegazioni fin qui fornite da parte dei funzionari del Pentagono si sono rivelate più che esaudienti. Ma col tempo sia i polacchi che i cechi capiranno che gli americani non hanno nemmeno sfiorato le questioni principali», dichiara Coyle, che non crede oltretutto alla possibilità di Iran o Corea del Nord di portare un attacco missilistico nei confronti dell’Europa. «Bisogna essere dei pazzi per intraprendere un passo del genere che provocherebbe una reazione di massa». Preoccupazione invece di fronte alla minaccia della Russia di fuoriuscire dal Trattato di liquidazione dei missili a media e corta gittata come conseguenza dell’installazione delle basi missilistiche USA in Polonia e Repubblica Ceca. «Se così sarà, si tratterà di un errore mostruoso che comporterà conseguenze inimmaginabili (…) Porterà ad una nuova tappa nella corsa agli armamenti che coinvolgerà, oltre gli Stati Uniti e la Russia, paesi come la Siria, l’Arabia Saudita e molti altri. Nei sistemi missilistici difensivi sia russi che americani sono attualmente presenti molti punti deboli e vulnerabili ed ad entrambe non torna comodo il fatto che al mondo si sviluppino arsenali di nuovi armamenti di carattere offensivo». • Cina / Taiwan. 24 aprile. Taipei si prepara ad una dichiarazione formale di indipendenza? Il presidente di Taiwan Chen Shui-bian aveva promesso di voler giungere ad una dichiarazione formale di indipendenza da Pechino prima della fine del suo mandato, che scade a maggio 2008. Secondo il quotidiano Opinione, Shui-bian starebbe preparando il terreno per il formale annuncio. Delicate manovre diplomatiche sarebbero in corso per far entrare Taiwan nell’Organizzazione mondiale della sanità, delineando uno scenario che potrebbe preludere ad una prossima Dichiarazione di indipendenza dell’isola che assumerebbe la denominazione di Repubblica di Taiwan. Taipei può contare sul concreto appoggio di Stati Uniti e Giappone, che di recente hanno eseguito manovre navali congiunte in prossimità dell’isola, con il chiaro intendimento di lanciare il messaggio di essere intenzionati a sostenere e difendere Taiwan da eventuali possibili azioni di forza per farla recedere dall’iniziativa. • Bolivia. 24 aprile. Un film sulle interferenze USA nelle elezioni boliviane del 2002. Lo girerà George Clooney che lo ha annunciato ieri. Secondo Variety, Clooney adatterà in forma di fiction un documentario dal titolo «Our brand is crisis» che mostra come la società USA di consulenza politica Greenberg Quinlan Rosner abbia aiutato, anche in maniera sporca, Gonzalo Sanchez de Lozada a vincere le elezioni. Sanchez fu poi cacciato un anno dopo dalla rivolta popolare guidata da Evo Morales. Ora è «latitante» a Miami. 18 • Francia. 25 aprile. «The American»: così il Financial Times ha soprannominato Nicolas Sarkozy, il candidato dell’Ump (il partito di Chirac), che secondo molti analisti è quello che promette un significativo miglioramento (leggasi ancor più marcato schiacciamento) delle relazioni con gli Stati Uniti. • Francia. 25 aprile. François Bayrou annuncia l’intenzione di dar presto vita ad un Partito Democratico in Francia, da collegare ai fratelli maggiori dei Democratici USA. Della formazione di tale partito transnazionale ne avevano già discusso Tony Blair e Francesco Rutelli a Downing Street il 30 gennaio 2001, quando il sindaco di Roma uscente era candidato premier del centrosinistra contro Berlusconi alle elezioni politiche. Blair e Rutelli decisero che il futuro “partito democratico europeo” avrebbe avuto in Tony Blair «il motore numero uno, e in Rutelli, se in Italia vince la battaglia (…) il secondo propulsore», scrisse a suo tempo La Repubblica. Il progetto di partito democratico è poi ripartito in grande stile nel luglio 2005, quando il finanziere Carlo De Benedetti mandò Rutelli a Washington, a capo di una delegazione della Margherita per incontrare i “new democrats” di Al Gore e Felix Rohatyn). Il culmine della visita, come riferì candidamente un comunicato della Margherita, fu l’incontro di circa due ore con lo speculatore George Soros. Lo stesso De Benedetti, che in un’intervista al Corriere della Sera nel dicembre 2005 avrebbe poi annunciato di voler prendere la tessera n. 1 del partito democratico, il 15 giugno 2005 a Raisat spiegava la visione di società futura nella quale si sarebbe inserito il nuovo partito. Il finanziere espresse sostanzialmente il concetto che l’Italia come nazione manifatturiera non ha futuro, al massimo come fornitrice di servizi turistici. «Guardi, la manifattura è chiusa, ma non è chiusa per l’Italia, è chiusa per l’Europa. Diamoci dieci anni di tempo, in Europa saranno rimaste le teste, io spero, i centri di ricerca, i centri di comando di grandi imprese che non avranno più nazionalità. La nazionalità delle imprese scompare». Ecco dove condurrà il processo di integrazione europea, sempre più colonia dell’impero a stelle e strisce. • Kosovo. 25 aprile. Mosca minaccia il veto se il piano ONU per la definizione del futuro della provincia del Kosovo non cambia. La Russia «non sosterrà decisioni che non abbiano l’appoggio di entrambe le parti», ossia albano-kosovari e serbo-kosovari (e quindi di Belgrado), ha sostenuto il vice-ministro degli esteri russo, Vladimir Titov. «La soluzione basata sul piano elaborato da Martti Ahtisaari», che prevede l’indipendenza, «non passerà in Consiglio di Sicurezza dell’ONU». • Repubblica Ceca / USA. 25 aprile. Il 68% degli abitanti della Cechia è contrario alla cessione agli USA della base di Brdy per la componente europea del sistema di difesa missilistico (in settembre era il 61%). Il sondaggio dell’istituto Cvvm mostra che il 77% vuole un referendum sulla richiesta del Pentagono. George Bush sarà a Praga il 4-5 maggio. • Polonia / USA. 25 aprile. Il 57% dei polacchi contro base missilistica USA. Lo rileva un sondaggio fra marzo e aprile dall’istituto Cbos. • Unione Europea. 25 aprile. Continua la galoppata dell’euro sul dollaro. La moneta unica ha aperto sui mercati valutari ai massimi da due anni contro il dollaro: quota 1,3669 dollari, vicino al massimo di tutti i tempi a 1,3670. La forza dell’euro si associa ad uno stato di cattiva salute del capitalismo nel vecchio continente, nonostante certi segnali di ripresa. La crescita dell’euro penalizza palesemente le esportazioni. Dal momento che la Banca Centrale Europea pare essere l’unica Banca Centrale intenzionata a proseguire nei rialzi dei tassi di interesse, è prevedibile che l’euro continui a crescere. In questo contesto, intanto, è ripresa la speculazione degli investitori, il cosiddetto carry-trade che consiste 19 nell’indebitarsi in valuta giapponese o in franchi svizzeri, a bassi tassi di interesse, per poi investire in attività più remunerative. • Russia. 25 aprile. Le basi USA in Polonia e Cechia? Possibili obiettivi militari delle forze russe, «strategiche, nucleari o altro. È questione tecnica». Lo ha detto il capo di stato maggiore russo, generale Yuri Baluyevski, che ha accusato gli USA di aver come «unico obiettivo», aprendo basi in Polonia e Repubblica Ceca per il sistema di difesa anti-missile, quello di «difendersi dal potenziale nucleare di Russia e Cina». • Russia. 25 aprile. «Tra il 1992 e il 1994 l’aumento della mortalità in Russia fu così drammatico, che i demografi occidentali non credettero alle statistiche. Le morti per omicidio, suicidio, attacchi cardiaci e incidenti diedero alla Russia una mortalità da Paese in guerra. I demografi occidentali e russi sono concordi: tra il 1992 e il 2000, il numero di decessi “in sovrappiù” (rispetto alle statistiche dei periodi precedenti, ndr) è stato fra i cinque e i sei milioni». Così David Satter del Wall Street Journal, nel commemorare Boris Eltsin, presidente di quello che il giornalista di Forbes poi assassinato Paul Klebnikov descrisse come «uno dei regimi più corrotti della storia», ricorda il periodo dell’introduzione dell’”economia di mercato” in Russia grazie alle “ricette” di personaggi come Jeffrey Sachs, l’economista USA di Harvard. • Libano. 25 aprile. Il presidente libanese, Emil Lahoud, ha condannato l’ingerenza di alcuni paesi occidentali negli affari interni di questo Paese, sottolineando che questa impedisce una soluzione per porre fine all’attuale crisi nel paese. Lahoud inoltre si è appellato alla comunità internazionale perché agisca contro le continue violazioni dello spazio aereo libanese da parte di Israele • Kuwait. 25 aprile. Il ministro degli Esteri kuwaitiano, lo sceicco Mohammad Sabah, al termine dell’incontro a Kuwait City con il premier iracheno, Nouri al-Maliki, ha tenuto a rimarcare il ruolo attivo dell’Iran per la pace e sicurezza in Medioriente. • Pakistan. 25 aprile. Ex primo ministro Bhutto: «abbiamo sbagliato a creare i Taliban». L’ex premier pakistano Benazir Bhutto ammette che i Taliban sono stati creati ed addestrati dal Pakistan sotto la sua amministrazione. La Bhutto, parlando al seminario “condizioni attuali del Pakistan” tenutosi a Londra, ha ammesso che i Taliban vennero creati dal generale Nasirullah Baber, ministro della difesa del suo governo. • USA. 25 aprile. Il senatore USA dei democratici e candidato alle presidenziali del 2008 John Edwards ha chiesto alla Casa Bianca di dialogare con l’Iran e la Siria per poter uscire dalla crisi irachena. • USA. 25 aprile. Le politiche guerrafondaie della Casa Bianca mirano ad innescare guerre interreligiose ed indebolire i paesi islamici. È quanto emerge dall’esito di un sondaggio effettuato dall’istituto World Public Opinion in Egitto, Pakistan, Indonesia e Marocco. Alta l’opposizione degli egiziani all’attuale amministrazione statunitense: l’86% degli interpellati. Il 93% crede che la presenza militare degli USA nell’area è solo un pretesto per controllare le risorse petrolifere dei paesi mediorientali. Sui rapporti tra Tel Aviv e Washington, il 91% degli egiziani sostiene che invadendo i paesi islamici gli USA mirano ad espandere i confini occupati dai sionisti. • Kosovo. 26 aprile. Gli ambasciatori dei 15 Paesi che fanno parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono a Belgrado per una riunione informativa con le istituzioni serbe prima del 20 voto sulla risoluzione che deciderà dello status del Kosovo. L’indipendenza della provincia serba a maggioranza albanofona, delineata dal piano dell’inviato dell’ONU Marti Ahtisaari, è osteggiata dalla Serbia e dalla Russia. Quest’ultima potrebbe opporre il veto a un eventuale voto favorevole al piano. Gli ambasciatori si sposteranno domani a Pristina: sul loro cammino incontreranno migliaia di rifugiati serbi che si sono accampati a Rudnica, località di confine col Kosovo. Sono una folta rappresentanza dei 200mila serbi cacciati dalla provincia alla fine del conflitto, nel 1999, e che non possono tornare. A Pristina, il presidente del Kosovo Fatmir Sejdiu ha intanto espresso l’auspicio che il processo verso l’indipendenza della provincia serba non subisca ritardi e che il Consiglio di Sicurezza riesca ad adottare presto una risoluzione. • Ucraina. 26 aprile. Yanukovic insiste: la decisione di Yushenko di rinviare le elezioni di un mese è incostituzionale. Il presidente filo USA Yushenko aveva proposto di posticipare le legislative di un mese, cioè a fine giugno, per trovare un compromesso politico con il suo rivale. È l’inizio di aprile quando il presidente firma un decreto di scioglimento del Parlamento. Decisione che innesca la peggiore crisi che il Paese abbia vissuto dalla rivoluzione arancione del 2004. Lo scontro è arrivato alla Corte Costituzionale, che deve ancora pronunciarsi sulla legittimità del decreto presidenziale di scioglimento. Un mosaico di bandiere arancioni per Yushenko e azzurre per Yanukovic è lo scenario visibile a Kiev, dove nei prossimi giorni è attesa una delegazione di europarlamentari. • Russia. 26 aprile. Al via i lavori per un nuovo tipo di bombardiere strategico della quinta generazione, da completare in 10 anni. Lo ha annunciato il vicecomandante della 37esima armata delle Forze aeree russe, il generale Anatolij Zhihariov, puntualizzando che il velivolo «non avrà analoghi al mondo». Il nuovo bombardiere strategico sarà in grado di decollare dai più disparati tipi di piste, nonché di penetrare attraverso qualsiasi tipo di difesa contraerea e di venire impiegato in qualsiasi teatro di azioni belliche (terrestri e marine) in qualsiasi condizioni climatica e meteorologica. Sarà inoltre munito allo stesso tempo di bombe e razzi e della cosiddetta “tecnologia Stels”, in grado di appiattirne al massimo la forma. Il lancio del nuovo bombardiere strategico è previsto approssimativamente tra una decina d’anni. È inoltre attualmente in corso la fase di modernizzazione di altri tipi di bombardieri strategici in forza all’aviazione militare russa. • Russia. 26 aprile. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato oggi una moratoria per il trattato sulle Forze convenzionali in Europa del 1990 (CFE). L’annuncio di Putin è arrivato poche ore prima della riunione informale dei ministri degli Esteri della NATO nel quale si discuterà del progetto di difesa missilistica. Washington intende avviarlo piazzando dei missili intercettori in Polonia e una serie di radar in Repubblica Ceca dal 2012. Il trattato CFE era stato negoziato nei mesi successivi alla fine della “guerra fredda” dagli allora 22 Stati membri della NATO insieme con i Paesi del Patto di Varsavia con l’obiettivo di ridurre sensibilmente gli armamenti convenzionali. Finora però, solo Bielorussia, Kazakistan, Russia e Ucraina hanno ratificato una versione modificata del 1999. Putin, nel suo discorso alle camere del Parlamento russo, ha accusato gli alleati NATO di aver ignorato le clausole del trattato e ha detto che il progetto dello scudo missilistico di Washington avrebbe solo peggiorato le cose. «In questo contesto, ritengo utile annunciare una moratoria sull’applicazione per la Russia di questo trattato, in ogni caso, fino a quando tutti i Paesi del mondo non lo avranno ratificato e non inizieranno ad applicarlo in modo corretto», ha detto Putin nel suo discorso annuale al Parlamento. • Libano 26 aprile. Hariri morto per essersi opposto agli USA. Lo ha dichiarato alla radiotelevisione iraniana IRIB l’ex deputato libanese Nasser Kandil. «Ricordo che Hariri 21 era assolutamente contrario alla costruzione di una base militare americana vicino all’aereoporto di Beirut; cosa che invece gli americani volevano a tutti i costi. Resoconti pubblicati dalla stessa stampa statunitense concordano sul fatto che questa sua opposizione fu uno dei motivi per il quale venne assassinato». Nel febbraio 2005 l’allora primo ministro libanese, Rafiq Hariri fu assassinato in un sospetto attentato terroristico. L’episodio contrassegnò l’inizio di una forte crisi politica in Libano. La coalizione politica del “14 marzo”, in stretta collaborazione con gli Stati Uniti e Israele, incolpa fin da subito la Siria. La sua ascesa al potere consentì una maggiore influenza israelo-statunitense nel Libano. Kandil ha anche denunciato la firma di accordi segreti tra il governo Siniora ed il regime sionista sul disarmo di Hezbollah, la messa in atto della risoluzione 1701 ed il mantenimento dei profughi palestinesi in Libano. Per l’intesa avrebbe mediato tra Tel Aviv ed il governo Siniora il rappresentante dell’ONU Terje Roed Larsen. • Libano. 26 aprile. Il Mossad dietro l’assassinio di Hariri. È quanto riportato in un’indagine divulgata dal ricercatore USA Brian Harring, che ha dichiarato di aver ricevuto da un suo amico del ministero degli esteri francese una copia di una relazione ufficiale sulle cause, le azioni e le perdite dell’invasione israeliana del Libano nel 2006. L’assassinio di Hariri è stato il casus belli che ha consentito di creare tensione politica all’interno del Libano e preparare il terreno per la successiva guerra contro il paese dei cedri. • Libano. 26 aprile. Nel rapporto “L’invasione del Libano 2006”, Harring offre prove documentate secondo cui l’offensiva militare –scattata il 12 luglio 2006– dei sionisti nel Libano meridionale era già progettata da tempo da Tel Aviv e che il piano è stato attuato in pieno accordo con la Casa Bianca. Harring sostiene inoltre che i danni provocati ai sionisti dalla resistenza libanese sono assai più consistenti di quanto reso pubblico dai media internazionali. Israele ha aggredito senza tregua il Libano finché Hezbollah non ha causato perdite così gravi tra le truppe israeliane ed anche tra la popolazione civile di Israele che il loro governo ha richiesto con impazienza alla Casa Bianca di imporre una tregua tramite le Nazioni Unite. Il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, pur scusandosi aveva allora difeso gli attacchi alle colonie israeliane affermando che Hezbollah, dopo essersi concentrata inizialmente sulle basi militari di Israele, era stata costretta ad alzare il tiro di fronte agli indiscriminati bombardamenti israeliani su infrastrutture, città e popolazione civile libanese. • Israele. 26 aprile. Alto ufficiale dell’esercito sionista ammette la sconfitta contro Hezbollah. Gadi Izenkot, comandante militare delle forze del nord dei territori occupati da Israele, a distanza di mesi dall’aggressione di 33 giorni del Libano, ammette: «Era chiaro che quella guerra non ci avrebbe mai ridato i nostri militari fatti prigionieri da Hezbollah. Il nostro obbiettivo era solo danneggiare Hezbollah ma di fatto non siamo riusciti in questo intento, pertanto credo che si possa dire che abbiamo perso la guerra». • Iraq. 26 aprile. Moqtada al-Sadr si scaglia contro il muro che si sta costruendo a Baghdad. In un appello diffuso a Najaf, al Sadr condanna il muro in costruzione nel quartiere sunnita di Adhamiya a Baghdad, definendolo «l’espressione della volontà malvagia degli occupanti americani». Al-Sadr ha aggiunto che gli iracheni respingono «la barriera razzista che cerca di dividerli» e che «il popolo iracheno difenderà Adhamiya e gli altri quartieri dove voi (gli USA, ndr) volete rinchiuderci». Il movimento di al-Sadr ha in programma due grandi manifestazioni a Baghdad, nella parte orientale e in quella occidentale della capitale irachena, per protestare contro il muro di Adhamiya, osservando che se le condizioni di sicurezza lo permetteranno, i manifestanti sciiti saranno contenti di potersi unire a quelli sunniti del quartiere “murato”. 22 • Iran. 26 aprile. Come riportato dalla Reuters, il vice ministro degli Interni iraniano Mohammad Bagher Zolghadr ha dichiarato che se la Repubblica islamica subisse un attacco militare per via del suo programma nucleare civile, le forze armate di Teheran sono pronte a rispondere militarmente in particolare con missili a lungo raggio: «Non ci sarà luogo sicuro per l’America, possiamo lanciarne a decine di migliaia al giorno». • Iraq. 26 aprile. Sotto inchiesta l’ex comandante del campo di prigionia di Camp Cropper, nei pressi dell’aeroporto di Baghdad, dove dal 2003 sino ad oggi le forze militari USA hanno tenuto reclusi le più importanti personalità del deposto regime iracheno, tra cui lo stesso Saddam Hussein, e dove è morto nel 2004 il dirigente palestinese Abu Abbas, dopo aver perduto 38 chili in meno di un anno di detenzione. Il colonnello William Steele, in stato di isolamento nel Kuwait dal mese scorso, è accusato di aver fornito «aiuto al nemico, trattenuto documenti classificati, avuto legami con un’interprete e un’altra donna irachena, disobbedito a un suo superiore e di possesso di materiale pornografico»: è quanto si apprende sul sito internet della tv statunitense NBC, che cita un documento riservato del Comando USA in Iraq. In base all’articolo 32 del codice penale militare di guerra USA, l’ufficiale dovrà comparire davanti a una commissione di superiori per essere interrogato ed eventualmente discolparsi: si deciderà in tale sede se rinviarlo o meno a giudizio davanti alla corte marziale. Le forze USA detengono circa 18.000 persone nei suoi due carceri più grandi: Camp Bucca, nel sud del paese, e Camp Cropper. • Pakistan. 26 aprile. La NATO sta perdendo la guerra in Afghanistan contro i taliban. Lo ha dichiarato il presidente e generale del Pakistan Musharraf, intervistato dal quotidiano spagnolo El Pais. Musharraf ha anche respinto le insinuazioni di un supporto ai talebani del famigerato servizio segreto pakistano ISI: voci inventate dal governo afghano e da funzionari della NATO per «nascondere la loro vergogna di fronte alla sconfitta», ha detto. • USA. 26 aprile. Nell’aprile del 2004 il premier britannico Tony Blair avrebbe persuaso George Bush a non bombardare il quartier generale dell’emittente araba al-Jazeera, che si trova a Doha. Così scrive The Daily Mirror, che precisa che le fonti a sua disposizione discordano nel riferire quanto «concreta» fosse la proposta di Bush. Di sicuro c’è che David Keogh, esperto di codici cifrati, e Leo Ò Connor, consigliere legale, sono entrambi sotto processo a porte chiuse con l’accusa di aver leso il segreto di Stato applicato ad un memorandum classificato «top secret», un memorandum che conterrebbe conversazioni private tra l’inquilino della Casa Bianca e quello di Downing Street. • Francia. 27 aprile. Rappresentanti di Batasuna, Corsica Nazione ed Emgann chiamano all’astensione per il secondo turno delle presidenziali francesi. Lo hanno comunicato ieri, in conferenza stampa, a Parigi. I portavoce baschi, còrsi e bretoni hanno chiesto «il rispetto ed il riconoscimento dei nostri diritti come popolo». • Russia / USA. 27 aprile. Mosca e Washington stanno tornando ai tempi della guerra fredda. Lo sostiene l’illustre politologo russo Serghej Rogov, preoccupato dal continuo ammassamento degli arsenali nucleari delle due potenze. Rogov sottolinea che tra due anni scadrà il Trattato SNV-1 e tra sei quello denominato SNP, che prevede la riduzione dei potenziali strategici offensivi. In questo modo tra Russia e Stati Uniti non esisterà più nessun fattore di contenimento. L’esperto russo è sicuro del fatto che attualmente le due superpotenze abbiano raggiunto il limite oltre al quale i propri rapporti bilaterali verranno inevitabilmente deteriorati a lungo termine, con l’unica differenza, rispetto al periodo che va dagli anni ’50 a quelli ’80, che questa volta la contrapposizione tra gli USA e la Russia non sarà di tipo ideologico, «bensì dalla concorrenza per la rivendicazione dei propri rispettivi 23 interessi nell’area postsovietica. Personalmente non mi stupirà se il prossimo anno in America sia i democratici che i repubblicani troveranno un’accordo a proposito dell’indispensabilità di contenimento della Russia», ha infine dichiarato il politologo russo. • Siria. 27 aprile. Il Fronte Progressista Nazionale, coalizione di dieci partiti dominata dal partito Baath del presidente Bashar al Assad, si conferma ancora una volta incontrastata al potere dopo le elezioni parlamentari. Alle urne si è recato il 56% del corpo elettorale. • Libano. 27 aprile. L’ambasciatore USA Jeffrey Feltman era ieri a colloquio a Beirut con il leader delle “Forze libanesi” Samir Geagea, l’esponente falangista cristiano filo-israeliano protagonista del massacro di Sabra e Chatila. Il colloquio si è tenuto a porte chiuse e nessuno dei due ha voluto parlare ai giornalisti dei temi trattati. Ricordiamo che la “coalizione del 14 Marzo”, che annovera anche le forze di Geagea, ancora saldo al governo nonostante la sua incostituzionalità dopo il ritiro dei ministri sciiti, è accusata dal presidente della Repubblica e dal presidente del Parlamento libanese e dall’opposizione di ricevere ordini da Washington. • Palestina. 27 aprile. I militari sionisti usano i civili palestinesi come scudi umani durante le loro irruzioni nei campi profughi palestinesi e le loro perquisizioni casa per casa nei territori palestinesi. A riferirlo, la CNN che ha anche diffuso immagini che dimostrano la crudele pratica dei militari sionisti che effettuano operazioni di “setaccio” a Nablus, Cisgiordania. Il reporter della tv USA ha spiegato che Jeihan Dadush, una bambina di 11 anni di Nablus è stata usata come scudo umano dai militari sionisti nel 2005. Usare civili come scudi umani è vietato dalle leggi internazionali. Ma Israele si sente al di sopra di qualsiasi legge. • Cina / Taiwan. 27 aprile. Taipei rifiuta la torcia olimpica di Pechino 2008. «Il percorso della torcia olimpica non riflette fedelmente lo status di Taiwan, quindi abbiamo rifiutato». Così ha dichiarato Tsai Chen-wei, presidente del Comitato olimpico di Taipei. Gli organizzatori di Pechino 2008 hanno reso noto il percorso che la fiaccola seguirà nei prossimi mesi, fino al via dei Giochi che si apriranno l’8 agosto del 2008. Taiwan, secondo il programma, dovrebbe ricevere la torcia dal Vietnam e passarla a Hong Kong. Non verrebbero, quindi, rispettate le condizioni poste da Taipei per consentire il passaggio della fiaccola: riceverla da un paese terzo e passarla ad un paese terzo, senza contatto diretto con la Cina, come Hong Kong o Macao. • USA / Austria / Iran. 27 aprile. Washington minaccia sanzioni contro una compagnia petrolifera austriaca colpevole di aver firmato un’intesa con Teheran. L’impresa austriaca OMV, la più importante nel settore del petrolio e del gas in Europa centrale, ha annunciato d’aver firmato un memorandum d’intesa con l’Iran per lo sviluppo congiunto del campo di gas di South Pars, uno dei più grandi del mondo. Secondo il sito Granma International, OMV costruirà anche delle installazioni di gas per il progetto e acquisterà gas liquido dall’Iran. Il portavoce del Dipartimento di Stato Sean Mc Cormack ha detto che i funzionari degli USA stanno cercando di dissuadere gli austriaci dall’esecuzione di questo progetto. Il ministro del petrolio iraniano Kazem Vaziri Hamaneh aveva definito l’accordo, del valore di trenta miliardi di dollari, di grande rilevanza per l’esportazione di gas naturale iraniano in Europa. Intanto è giunto in Iran il ministro dell’energìa indiano, Morali Diura, che con le autorità iraniane cercherà di raggiungere un accordo finale per la realizzazione del gasdotto Iran-Pakistan-India. • Brasile. 27 aprile. Durante una visita ufficiale in Cile, Lula ha chiesto ai paesi dell’America Latina di essere più uniti e compatti in funzione anti USA e ha definito il presidente 24 venezuelano Hugo Chavez «un partner eccezionale», ricordando che il piano del gasdotto del sud, che porterebbe il gas del Venezuela in 4 paesi dell’America meridionale, potrebbe incrementare notevolmente lo sviluppo economico nella zona. • Somalia. 28 aprile. «I combattimenti non sono finiti, e perdere una battaglia non vuol dire perdere la guerra ed arrendersi al governo che opera al servizio degli etiopi»: così lo sceicco Daher Aweys, esponente delle Corti islamiche di Mogadiscio, all’annuncio fatto l’altro ieri dal premier del governo transitorio somalo secondo cui le truppe di Addis Abeba avrebbero avuto definitivamente la meglio sui ribelli islamici. Raggiunto dal giornale arabo al-Sharq al-Awsat replica: «I somali non fermeranno il loro jihad contro le forze etiopi che occupano il paese e che violano i nostri diritti umani». • Cecenia. 28 aprile. Almeno 17 militari morti nell’abbattimento di un elicottero russo in Cecenia. L’Mi-8 è stato colpito ieri nella regione di Shatoi, nel sud della Cecenia, secondo fonti militari citate dall’agenzia Interfax. Si intensificano rapporti che certificano una ripresa dell’opposizione armata a Mosca e rivelano un piano in atto di unificazione delle varie formazioni guerrigliere in vista della campagna militare estiva contro l’invasore russo. Il presidente ceceno in clandestinità, Doka Umarov, ha preso il comando dopo la morte, nel giugno 2006, in un’operazione speciale russa di Abdul Jalim Saidulaiev, che a sua volta aveva preso il testimone dopo la morte, un anno prima, dell’ultimo presidente eletto e legittimo della Cecenia, Aslan Masjadov. Recenti rapporti indipendenti e decreti firmati da Umarov e pubblicati sul sito della resistenza rivelano un piano per un compromesso duraturo tra colonne guerrigliere nazionali, i resti dell’esercito regolare ceceno e le colonne guerrigliere islamiste. L’esercito russo parla di crescenti difficoltà e stima in un centinaio i gruppi guerriglieri attivi. • Russia / USA. 28 aprile. L’intervista al The Guardian da parte di Berezovskij, pronto a defenestrare dal trono l’attuale classe dirigente; la dichiarazione da parte del Dipartimento di Stato USA, pronto a finanziare le forze di opposizione del Cremino; le due “marce degli scontenti” a Mosca e San Pietroburgo: tre recentissimi avvenimenti prevedibilmente collegati fra loro. Dopo essere uscita vittoriosa dalla guerra fredda nei confronti dell’URSS, le classi dominanti USA, intenzionate a rimanere statualmente l’unica superpotenza sulla scena mondiale, hanno mirato al completo dominio mondiale ed alla sottomissione globale di nazioni e Stati agli ordini impartiti da Washington. È proprio in quest’ottica che gli Stati Uniti hanno agito tra l’altro nell’invadere l’Iraq e bombardare la Serbia. Sulla scena internazionale sono ben pochi i paesi in grado di stabilire in maniera autonoma e sovrana la propria politica. La piena autonomia nel prendere decisioni sia di carattere interno che esterno non ce l’hanno oggi nemmeno paesi di rango quali Germania, Francia e Giappone: l’autorevole giornalista russo Mihail Leontev ha dichiarato a suo tempo che questi Stati hanno libertà di pescare nel fiume che desiderano, ma chi decide quand’è ora di andare a letto è Washington. • Russia / USA. 28 aprile. Chi non si china alle strategie di Washington è definito “Stato canaglia”. Si tratta principalmente di Iran, Bielorussia, Corea del Nord, Cuba, Siria e Venezuela, ma sullo sfondo cresce la Cina, per via della sua sempre maggiore potenza economica, oltre al suo peso politico all’interno dell’ONU e al suo potenziale militare. In questo contesto, un capitolo a parte merita la Russia. A partire dall’implosione dell’impero sovietico, la Russia di Eltsin si è mostrata prona ad esaudire i desiderata di Washington ed ha continuato a perdere la propria influenza sulla scena politica internazionale, attanagliata oltretutto da problemi e crisi interne. Nel corso degli anni Novanta erano praticamente inesistenti serie divergenze fra Russia e Stati Uniti. Mosca si limitava simbolicamente a 25 gonfiare i muscoli, debolezza che le veniva bonariamente perdonata, dal momento che nel futuro quadro geopolitico disegnato da Washington, alla Russia sarebbe spettato il ruolo di ubbidiente fornitore di risorse nei confronti dell’”Occidente”. Tuttavia con l’ascesa al potere dell’attuale classe dirigente russa, la situazione è mutata radicalmente, e da giocatore debole di terza categoria la Russia si è ben presto trasformata in uno Stato ben determinato a rivendicare i propri interessi sulla scena mondiale: cosa che per gli Stati Uniti ha avuto l’effetto di un pugno sul naso. La contrapposizione è diventata manifesta in occasione del discorso tenuto dal presidente russo Vladimir Putin a Monaco di Baviera, nel corso del quale il leader del Cremlino ha dichiarato apertamente che la Russia non è intenzionata a fare la parte dell’ennesimo esecutore degli ordini di Washington e che anzi avrebbe cercato di fare i propri interessi in maniera completamente autonoma ed indipendente. • Russia / USA. 28 aprile. Per la Casa Bianca ciò è inaccettabile. È proprio in questo contesto che vanno inquadrati sia il rapporto compilato dal Dipartimento di Stato USA, intitolato “Sostegno dei diritti civili e della democrazia nel mondo”, nel quale Washington si prefigge di esportare la democrazia in quei paesi «che necessitano di una correzione del corso politico intrapreso», che in Russia leggono come una aperta dichiarazione senza precedenti di interferenza diretta nelle questioni interne; sia le dichiarazioni dell’oligarca russo Boris Berezovskij al quotidiano inglese, il cui annuncio di promozione di un golpe in Russia presumibilmente è stato concordato con ambienti USA; sia le due cosiddette “marce degli scontenti” di Mosca e San Pietroburgo organizzate dal movimento “L’altra Russia”. Un movimento che dispone di tanti fondi dagli USA quanto di poco consenso all’interno della società russa, e che oltre all’ex primo ministro Kasianov ed al leader dell’inquietante partito nazional-bolscevico Limonov, già dissidente ed esule negli USA in epoca sovietica, vede tra i suoi capi l’ex campione mondiale di scacchi Kasparov, membro dal 1991 del consiglio consultivo del Centro per la politica di sicurezza USA (http://www.centerforsecuritypolicy.org/), che si occupa dell’elaborazione di progetti di sicurezza a favore degli Stati Uniti. • USA / Cina. 28 aprile. Ha fatto il giro del mondo l’immagine di George Bush che durante il ricevimento di una delegazione senegalese alla Casa Bianca rompe il cerimoniale, si unisce agli ospiti e inizia a ballare e a suonare un tamburo africano. Ma quella di Bush è stata semplice goliardia? In realtà pochi mesi prima si è verificata la stessa, identica scena: stavolta, però, il protagonista era il presidente cinese Hu Jintao. In partenza da Nairobi dopo un lungo viaggio in Africa, Hu Jintao si unisce ad una band e strimpella il tamburo per festeggiare gli accordi conclusi su esportazioni e petrolio. Un’immagine divenuta simbolo dell’enorme influenza cinese in Africa, che Washington vorrebbe seriamente ridimensionare. Ecco cosa si nasconde dietro quel tam-tam: un messaggio rivolto alla Cina. Attenti che ve le suoniamo… • Venezuela. 28 aprile. Tensione ieri a Maracay: la Guardia Nazionale e la polizia dello Stato Aragua su ordine del governatore intervengono per reprimere i lavoratori della fabbrica occupata “Sanitarios Maracay”, occupata e autogestita dai lavoratori da vari mesi ormai. Il governatore ha deciso l’intervento per impedire agli operai di andare a Caracas, dove era prevista una manifestazione di lavoratori di varie fabbriche occupate. Lo scopo del corteo era quello di consegnare al governo una serie di rivendicazioni sull’espropriazione delle fabbriche in questione, miglioramenti salariali e riconoscimento di diritti lavorativi. Quando si inizia a parlare di diritti e lotte dei lavoratori emergono confliggenze all’interno del chavismo: c’è una parte della dirigenza che vuole realizzare i cambi necessari nei modelli e nelle relazioni di produzione per la trasformazione del sistema economico verso un sistema socialista, ma ci sono coloro (la destra dello chavismo, la stessa che parla di chavismo senza 26 Chavez) che dicono di essere “rivoluzionari” ma che in realtà sono una nuova élite politica ed economica che vuole inserirsi all’interno di un sistema capitalista al massimo socialdemocratico. Queste contraddizioni stanno emergendo sempre di più, e con l’avvicinarsi della scadenza dei referendum revocatori di fine anno sta salendo la tensione. • Estonia. 29 aprile. Tallinn cercherà di ricollocare la statua del soldato dell’Armata Rossa all’interno del cimitero militare in tempo per l’anniversario della fine della Seconda Guerra mondiale, dopo che la rimozione dalla capitale ha scatenato violente proteste in tutto il paese. Lo hanno riferito oggi funzionari del governo estone. Con la decisione di spostare la scultura, il governo ha cercato di evitare che si tengano manifestazioni per l’anniversario della vittoria dell’URSS sulla Germania nazista, che si celebra il 9 maggio. Inizialmente il trasferimento era stato pianificato per la fine di maggio. In seguito alle violente proteste esplose giovedì scorso in cui un uomo ha perso la vita, però, il governo ha deciso di anticipare l’operazione, e lo scorso venerdì ha spostato la statua in gran fretta. È già successo che in Estonia l’anniversario del 9 maggio provocasse tensioni nella popolazione fra la minoranza russofona e la maggioranza estone. La Russia ha definito la rimozione del bronzo di due metri dedicato al soldato dell’Armata Rossa un insulto a tutti coloro che combatterono il fascismo. Molti membri della minoranza russofona, che in Estonia conta circa 300.000 persone su una popolazione di 1,3 milioni, tengono alla statua, mentre gli estoni la vedono come un simbolo dell’oppressione sovietica. Circa 1000 persone sono state arrestate in relazione alle violente proteste dei scorsi giorni, in particolare nella parte settentrionale del paese, dove vive la maggioranza della popolazione di origini russe. • Israele. 29 aprile. Migliaia di arabi israeliani in corteo ieri a Nazareth (in Galilea) per solidarizzare con il deputato dimissionario Azmi Bishara, al momento in Qatar, che rischia l’arresto e una condanna a molti anni di carcere al suo rientro in Israele perché accusato di «tradimento» e di aver «collaborato» con Hezbollah, la scorsa estate, durante l’invasione dell’esercito israeliano del Libano del sud. «Siamo tutti Azmi Bishara» hanno scandito i manifestanti, certi che il governo Olmert, lo Shin Bet (servizi segreti) e la stampa abbiano orchestrato una campagna volta a delegittimare e criminalizzare non solo Bishara ma tutti gli arabi israeliani, circa il 20% della popolazione del paese. Intanto le abitazioni di Bishara a Haifa e Gerusalemme est, sono state perquisite da agenti dello Shin Bet ed il suo ufficio alla Knesset è stato sigillato. Bishara respinge con forza le accuse e afferma che, al momento opportuno, rientrerà in Israele per difendersi. • Afghanistan. 29 aprile. Migliaia di afghani sono scesi in piazza oggi per protestare contro la strage compiuta da un cacciabombardiere USA. Morti sei civili, tre donne e tre uomini, secondo Abdul Ghafur, portavoce della polizia della provincia di Nangahar. Al grido di «morte agli USA» i corpi delle vittime hanno sfilato in strada avvolti in lenzuoli. L’attacco è stato compiuto nella stessa zona in cui, in marzo, i marines USA avevano fatto una strage di civili dopo che il convoglio in cui viaggiavano i militari era stato attaccato da un’auto bomba. Anche in quel caso, la strage fece scattare dure proteste da parte della popolazione. «Stanno compiendo così tante operazioni contro di noi (…) Non li vogliamo, non vogliamo questo genere di cose», ha gridato un manifestante. • Ecuador. 29 aprile. Rafael Correa ratifica l’espulsione dal paese del rappresentante della Banca Mondiale a Quito, il brasiliano Eduardo Somensatto, e avvia un’azione internazionale contro l’organismo finanziario. «Non siamo la colonia di nessuno», ha affermato il capo dello Stato, accusando la Banca Mondiale di aver sospeso un prestito di 100 milioni di dollari nel 2005, quando lo stesso Correa era ministro dell’Economia. Alla richiesta di spiegazioni, «mi hanno risposto che lo avevano fatto perché avevamo riformato una legge 27 interna [in materia di fondi petroliferi, ndr]; in altre parole hanno punito un paese sovrano per aver modificato una legge nazionale», ha detto Correa, aggiungendo: «Non tollereremo ricatti». • Eire. 30 aprile. Elezioni generali per il 24 maggio. Le ha annunciate il primo ministro irlandese, Bertie Ahern, da dieci anni al potere cn una coalizione di centro-destra e che aspira a un terzo mandato. Il nuovo Parlamento si riunirà il 14 giugno per eleggere il nuovo esecutivo. • USA / Iraq. 30 aprile. Oltre cento i militari USA morti in Iraq in aprile, di fatto uno dei mesi più funesti per le forze d’occupazione statunitensi. Il dato è fornito dal sito indipendente icasualties.org. 28