un mazzo di jolly - bibliodelmandillo

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un mazzo di jolly - bibliodelmandillo
“UN MAZZO DI JOLLY”, SUSIE MORGENTERN
SALANI, Collana I CRICETI, BERGAMO, 2002
Anche la sua voce li colse di sorpresa. Nina sobbalzò quando udì quella
tonalità bassa e grave, sembrava provenire da un altro mondo. Così
come furono sconcertati dalle prime parole emesse da quella voce. Non
“buongiorno” , né “mi chiamo”, né “sedetevi”. Ma semplicemente “Ho
un regalo per voi”.
Quello che sarebbe stato il loro maestro posò un pacchetto regalo sul
banco di ogni alunno… quasi volesse farsi perdonare l’aspetto fisico e
l’età, tutt’altro che giovane. Finì di distribuire i regali senza neanche
guardarli in faccia.
Costanza aprì il suo pacchetto e scoprì un mazzo di carte identico a
quello dei compagni: un mazzo di carte simile a quelli che si comprano
nei negozi, con i cuori e i quadri, i fiori e le picche.
“Allora quest’anno si gioca a carte?” domandò Benedetta ad alta voce,
pensando al nonno che passava le giornate a giocare a carte. Le aveva
insegnato la briscola. E fu lei la prima ad accorgersi che non si trattava
di un vero mazzo di carte. Sul dorso di ogni carta c’era scritto JOLLY. E
dall’altra parte c’erano diverse frasi. Il maestro tamburellò le dita sul
banco di Carlo per fargli capire che doveva leggere che cosa c’era
scritto sulle carte. Carlo pensò che fossero ritornati alla preistoria,
quando le parole venivano sostituite dai gesti e dai grugniti.
Obbedì all’ordine silenzioso del maestro, ma mentre leggeva passò dal
semplice stupore allo stato di choc. Recitò:
UN JOLLY PER RESTARE A LETTO
UN JOLLY PER NON ANDARE A SCUOLA
UN JOLLY PER ARRIVARE A SCUOLA IN RITARDO
UN JOLLY PER PERDERE IL QUADERNO DEI COMPITI
UN JOLLY PER NON FARE I COMPITI
UN JOLLY PER DIMENTICARE L’ASTUCCIO
UN JOLLY PER NON ASCOLTARE LA LEZIONE
UN JOLLY PER DORMIRE IN CLASSE
UN JOLLY PER COPIARE DAL VICINO DI BANCO
UN JOLLY PER NON ANADARE ALLA LAVAGNA
UN JOLLY PER EVITARE UNA PUNIZIONE
UN JOLLY PER MANGIARE IN CLASSE
UN JOLLY PER FAR RUMORE
Carlo non credeva ai suoi occhi, e neanche alla sua voce. Iniziò a
tossicchiare. Il maestro fece segno a Benedetta di proseguire la lettura:
UN JOLLY PER CANTARE A SQUARCIAGOLA IN QUALUNQUE
MOMENTO
UN JOLLY PER BALLARE IN CLASSE
UN JOLLY PER USCIRE DALLA CLASSE
UN JOLLY PER FARE IL PAGLIACCIO
UN JOLLY PER DIRE UNA BUGIA
UN JOLLY PER DARE UN BACIO AL MAESTRO
E a quel punto anche Benedetta crollò. Il maestro fece segno a Maamar
di leggere a sua volta:
UN JOLLY PER FARE UNA COCCOLA A CHI VUOI
UN JOLLY PER PRENDERSELA COMODA
UN JOLLY PER UNA RICREAZIONE CHE NON FINISCE MAI
UN JOLLY PERDIMENTICARE I LIBRI A SCUOLA
UN JOLLY PER PROLUNGARE LE VACANZE
IL JOLLY DEI JOLLY
Dopo la lettura dei jolly, gli alunni erano stupefatti, ipereccitati, ma
l’anno scolastico era appena iniziato ed era decisamente troppo presto
per fare baccano. E poi quel vocione si era messo a fare un discorso: “
Mi chiamo Umberto Natale. Fin da quando ero piccolo – e una volta
sono stato piccolo anch’io – mi chiamano anche Babbo Natale. Ecco
perché ho deciso di fare il maestro: adoro fare i regali. Ho l’intenzione
di farvi dei regali ogni giorno. Regalo di tutto il programma, regalo di
libri, regalo di grammatica, regalo di coniugazioni, regalo di aritmetica,
regalo di scienze, regalo di tutto quello che la vita mi ha dato, compresi
i cataclismi!”
“Che cosa vuol dire cataclismi, signor maestro?” chiese Costanza.
“Bene” disse lui prendendo in mano il dizionario. “Ecco un altro regalo
magico. In questo libro c’è la chiave di tutte le parole”. Tese a Costanza
il dizionario aperto alla lettera C. Lei capì che volava sentirla leggere:
“Cataclisma: grave sconvolgimento, distruzione causata da un
terremoto, un maremoto, un tornado”. Soltanto Carlo era abbastanza
vicino al maestro da sentirlo sussurrare con voce triste: “O dalla morte
di una persona vicina e amata”. “Usate questa parola tre volte e io ve la
regalo, è vostra!”
Carlo non era scemo. Sapeva che ‘cataclisma’ non è una parola che si
possa usare tutti i giorni.
“Potete ritirare i vostri mazzi di jolly. Vi invito a servirvene in caso di
necessità. E ora vi faccio subito un altro regalo”.
Distribuì alla classe un altro pacchetto.
Gli allievi si accorsero di avere tutti lo stesso libro: David Copperfield di
Charles Dickens. Era un libro grosso, con le parole fitte fitte, senza
figure, poco piacevole a vedersi, quasi repellente.
“Ma non è un regalo signor maestro, c’è scritto: PROPRIETA’ DELLA
SCUOLA”.
“Anche se questo non vi appartiene per legge, diventa vostro dal
momento in cui lo leggete. Vi regalo la storia, i personaggi, le parole, le
frasi, le idee, le emozioni di questo libro. Quando l’avrete letto,
diventerà vostro, per tutta la vita”.
“inizio al leggervelo io, e voi lo dovrete finire per venerdì”.
Benedetta non riuscì a trattenersi: “Ma è impossibile!” esclamò. E così
facendo scatenò una rivolta degna della Rivoluzione francese. Tutti i
bambini cercavano nel loro mazzo di carte UN JOLLY PER NON
LEGGERE UN LIBRO. Ma non lo trovarono. Il maestro non vi prestò
attenzione. Si mise a leggere come un vero attore di teatro,
declamando:
“Poiché devo essere io l’eroe di questo libro, affermerò innanzitutto che
sono nato – o almeno così mi è stato detto – un venerdì a mezzanotte”.
Ascoltarono con grande attenzione. Almeno questo era il vantaggio
della lettura silenziosa.
A mezzogiorno, la classe non sapeva se essere contenta oppure no. Sì
certamente sì, ma quel maestro era troppo starno. Non li accompagnò
alla mensa, come volesse risparmiare le forze. “Buonanotte ginnastica!”
disse Lorenzo in tono amareggiato.
Ma a fine pasto il maestro andò in mensa per offrire un altro regalo a
ogni studente – e non soltanto ai suoi: uno spazzolino da denti e un
tubetto di dentifricio. E li accompagnò ai servizi per controllare che se
ne servissero correttamente, facendo loro una dimostrazione pratica. “I
denti sono gioielli preziosi. Abbiatene cura!”.
Carlo passò buona parte della notte a leggere David Copperfield. Non
riusciva a smettere, e per di più l’autore si chiamava Charles, si
insomma Carlo, come lui. Chissà magari sarebbe venuto a scuola per
parlare con loro, come quello scrittore dell’anno scorso. La mattina
dopo era troppo stanco per alzarsi.
“Non sono obbligato ad andare a scuola, mamma. Ho un jolly”. Sua
madre non era convinta, ma Carlo insisteva così tanto che finì per
cedere.
Alle dieci e mezzo gli venne voglia di andare a scuola. E ci andò consegnando il suo jolly per entrare in ritardo. Nel momento in cui lo
posò nella mano del maestro, capì tristemente che l’aveva perduto.
Sussurrò a Maddalena: “Mi dai il tuo JOLLY PER RESTARE A LETTO? In
cambio io ti do quello che vuoi”.
“D’accordo! Te lo do in cambio di tre dei tuoi”.
Carlo accettò e le diede tre carte, a caso.
Alla fine di un’altra curiosa settimana, Lorenzo disse: “Avrebbe dovuto
darci un JOLLY PERV FARE GINNASTICA!”
“A me sarebbe piaciuto UN JOLLY PER PORTARE IN CLASSE IL
PROPRIO CANE” disse Carlo. Aveva già speso quasi tutti i suoi jolly,
mentre Maddalena ne aveva sempre di più grazie al mercato nero.
Lorenzo, dal canto suo, conservava preziosamente nello zainetto tutti i
suoi jolly. Ma a un certo punto li tirò fuori , ne cercò uno, e si mise a
ballare freneticamente nel bel mezzo della lezione di storia, giusto per
sgranchirsi un po’. Il maestro prese il jolly, spostò i banchi e disse: “Ora
vi insegno a ballare il rock’n’roll”.