Impeto e assalto futurista. L`immaginazione al potere prima
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Impeto e assalto futurista. L`immaginazione al potere prima
Impeto e assalto futurista. L’immaginazione al potere prima del ’68 Francesca Franco ARTE. Sulle tracce del futurismo per indagare un periodo della nostra storia recente troppo spesso affidato al nozionismo da manuale o alle semplificazioni di parte di uno o dell’altro schieramento politico. Il centenario del futurismo ha portato ben poche riletture critiche originali e nessuna scoperta storiografica capace di dire qualcosa di nuovo o di ridefinire portati e significati specifici di quello che è stato l’unico movimento italiano d’avanguardia e d’afflato internazionale del primo Novecento. Un’eccezione è il documentario Sulle tracce del futurismo, realizzato a gennaio 2009 grazie alla sensibile regia di Fabio Solimini e Maurizio Carrassi (musiche originali di Alessandro Russo e grafica di Silvia Torri) e con il contributo dell’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione del Comune di Roma. Presentato a febbraio a Palazzo delle Esposizioni a Roma, il documentario è nato in verità nel 197980 da un’idea e un progetto di Marco Rossi Lecce, e in collaborazione con Enrico Crispolti, d’intervistare con un mezzo allora d’avanguardia come il video-tape protagonisti e testimoni del futurismo, coinvolgendo l’artista Agostino Milanese come fonico e Maurizio Carrassi come cameraman per partire alla volta di Milano, Roma e Savona. Frutto di quest’avventura giovanile, scaturita dal mood culturale di un decennio di sperimentazione e auto produzione nella comunicazione audiovisiva, sono circa 10 ore di girato in super 8, che non solo fanno luce su episodi sconosciuti o poco noti del futurismo, ma regalano veri e propri scoop. Innanzitutto, la storia della distruzione dei gessi di Umberto Boccioni e del rocambolesco recupero di Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912) non menzionata neppure nel catalogo ragionato dell’artista; la documentazione visiva oltre che sonora, a oggi unica, della declamazione di Zang Tumb Tumb, il più famoso tra i poemi onomatopeici di Marinetti. O ancora, la ricostruzione filologica delle danze futuriste compiuta da Silvana Barbarini grazie alla collaborazione dell’aeropittore Tullio Crali e di Giannina Censi, che all’inizio degli Anni 30 era stata l’ideale interprete del Manifesto della Danza Futurista (pubblicato nel 1917) per la sua capacità di tradurre in coreografia anche versi di Marinetti e dipinti di Fortunato Depero ed Enrico Prampolini, scindendo il movimento del corpo dalla frase musicale e abbandonando il concetto di danza come successione di passi per crearla a partire da cose reali. Esce, infine, dal buio di una citazione muta anche l’esperienza dei futuristi in guerra nell’8° Plotone del Battaglione lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti (VCA), in cui si arruolarono Marinetti, Boccioni, Luigi Russolo, Mario Sironi, Antonio Sant’Elia, Carlo Erba, Anselmo Bucci, Achille Funi, Ugo Piatti e il critico Mario Buggelli. Un’esperienza collettiva eccezionale e al tempo stesso terribile, in cui furono messe alla prova arroganti posizioni e generosi slanci giovanili. Soprattutto maturarono nuovi intendimenti di ricerca, mentre la guerra mutava da ideologia irredentista e “sola igiene del mondo” in esistenzialità, per una generazione di trentenni illusa di poter cancellare morte e distruzione con la “vitalità a oltranza” dell’arte. È forse a causa di tutte queste novità che il documentario è stato scartato al Doc Fest con la scusa di non essere inedito, a tutto vantaggio di due lavori editi made in RAI, di cui uno esaustivo ma didattico e l’altro sperimentale ma datato? O forse perché la memoria scritta in quelle immagini in movimento lascia intuire l’inaccettabile tentativo di aprire quel passato all’interpretazione e al senso di un presente ancora scottante, gli anni 70, in cui tornavano a intrecciarsi arte, contestazione giovanile e progresso tecnologico? 1/2 Impeto e assalto futurista. L’immaginazione al potere prima del ’68 Insomma, questo documentario spinge a indagare il futurismo anche come fucina dell’inconscio dell’uomo contemporaneo, del quale ha anticipato l’energia dei materiali e l’occupazione dello spazio quotidiano messi in atto dall’arte povera, la tensione dell’arte a occuparsi di tutto ed essere accessibile a tutti proclamata dal movimento Fluxus; ha profetizzato la smaterializzazione dell’opera attraverso la parola dell’arte concettuale, l’estensione tecnologica del corpo post-human, fino a ispirare le forme avvitate e aerodinamiche del Guggenheim Museum di Bilbao progettato da Frank O. Gehry, che fondono l’oggetto con il movimento dello spazio come nella citata scultura di Boccioni. La promessa di cantare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa » (1909) e l’affermazione come principio assoluto del «divenire continuo» e dell’«indefinito progredire, fisiologico ed intellettuale dell’uomo» (1915), aveva spinto nel 1921 Antonio Gramsci a definire la “ricostruzione futurista dell’universo” rivoluzionaria e marxista, per il suo audace contrapporsi all’immobilismo accademico e a ogni inerte tradizione borghese. Asserzione poi sconfessata sul piano politico dal vano tentativo di Marinetti di portare letteralmente “l’immaginazione al potere” e non solo in ogni aspetto della realtà e del costume. Da qui l’esigenza di comprendere di più quell’epopea generazionale di arte e vita, utopia e veemenza che l’insurrezione futurista era anche stata, tanto da potersi dire prossima alla rivolta violenta al perbenismo borghese degli anni di piombo, nonostante la sua lontananza dagli ideali pacifisti del ’68. Una ribellione che, in entrambi i casi, non ha prodotto una reale rivoluzione del pensiero, ripiegando, l’una, nell’adesione suicida alla prima guerra mondiale e nell’alleanza cieca a un regime che promuoveva il “ritorno all’ordine” dell’arte e della società; l’altra, in un terrorismo utile unicamente a cancellare anche solo la possibilità appena emersa di un’identità umana che “diversa” lo fosse davvero, come dimostra la svolta yuppie e conformista dei decenni successi. Con la differenza che i primi potevano non avere le conoscenze scientifiche e gli strumenti teorici per realizzare una nuova realtà, i secondi forse sì. [email protected] 2/2