30 settembre 2016

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30 settembre 2016
ANICA
30 settembre 2016
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INDICE
ANICA CITAZIONI
30/09/2016 Il Mattino - Nazionale
«Fuocoammare? Merita l'Oscar spero che smuova le coscienze»
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ANICA SCENARIO
30/09/2016 Corriere della Sera - Nazionale
McConaughey: basta commedie, meglio il dramma
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30/09/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Berlusconi va da Murdoch
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30/09/2016 Il Sole 24 Ore
Mediaset Premium, riflettori su Sky
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30/09/2016 La Repubblica - Nazionale
Venezia1896, notti e gondole Il sogno del cinema inizia lì
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30/09/2016 La Repubblica - Nazionale
La verità del cinema sul mistero Orlandi "Chi sa è in Vaticano"
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30/09/2016 La Stampa - Nazionale
Anthony Hopkins e il personaggio ossessionato dalla perfezione
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30/09/2016 Il Messaggero - Nazionale
Cinema Emanuela Orlandi indagini e misteri nel film di Faenza: si continui a
cercare
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30/09/2016 Il Messaggero - Nazionale
Mediaset, ecco perché adesso si può trattare con la Sky di Murdoch
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30/09/2016 Il Messaggero - Nazionale
I brand proiezioni di stile
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30/09/2016 Il Messaggero - Umbria
PostModernissimo: «Sarà come un festival costante»
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30/09/2016 Il Tempo - Nazionale
Si riapre al cinema il Caso Orlandi «La Santa Sede sveli i segreti nascosti»
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30/09/2016 Prima Comunicazione
Il modo di Sky per raccontare le storie
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30/09/2016 Prima Comunicazione
Meno burocrazia, più fantasia
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ANICA CITAZIONI
1 articolo
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Andò polemico
«Fuocoammare? Merita l'Oscar spero che smuova le coscienze»
«Nel film di Gianfranco Rosi, "Fuocoammare", c'è un messaggio che mi interessa molto, al di là della sua
"opportunità". Un documentario è un film a tutti gli effetti. È giusto che il cinema non abbia distinzione
alcuna. Un film, quello di Rosi, che sicuramente merita». Non si placano le polemiche sulla scelta fatta dalla
commissione dell'Anica di candidare all'Oscar il documentario di Rosi sull'emergenza migranti a
Lampedusa. E al più autorevole membro della commissione, Paolo Sorrentino, che si era pubblicamente
dissociato («scelta masochistica per il cinema italiano»), replica ora il collega di cinepresa Roberto Andò. E
la sua posizione è tutt'altra: «Non riesco ad esser tecnico ha detto Andò - non so valutare tutti gli aspetti
tecnici dell'opera, ovvero se il documentario sia opportuno e meno. Spero smuova le categorie dei votanti
americane e soprattutto le coscienze». «E poi sono particolarmente contento di questa candidatura - ha
concluso il regista di «Le confessioni» - perché dirigo la Scuola del Documentario al Centro Sperimentale.
A maggior ragione mi fa piacere che si alzi questa bandiera». Intanto, nell'attesa di conoscere la cinquina
che concorrerà all'Oscar per il miglior film straniero, «Fuocoammare» passerà il 3 ottobre su Raitre in prima
assoluta. Su Raitre Aspettando la cinquina finale il docufilm di Rosi arriva anche in tv
Foto: Migranti Una scena del docufilm di Rosi «Fuocoammare»
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ANICA SCENARIO
13 articoli
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L'intervista Tempi liberi
McConaughey: basta commedie, meglio il dramma
Massimo Gaggi
«Il personaggio più importante tra quelli che ho portato sulla scena?». Ti aspetti che parli di Ron Woodroof,
il «cow boy» da rodeo malato di Aids di «Dallas Buyers Club», l'interpretazione che due anni fa gli ha dato
l'Oscar come miglior attore protagonista. O, magari, l'astronauta di «Interstellar» che sacrifica la sua vita
cercando un nuovo approdo per l'umanità. Invece Matthew McConaughey ti spiazza scegliendo Kenny
Wells.
Chi? «Lo vedrai a Natale, quando uscirà "Gold", il mio nuovo film: un uomo sfortunato che, a caccia di
rivincite, va a cercare oro nella giungla dell'Indonesia». Guarda sempre avanti questo attore texano
celebre, fino a qualche anno fa, per i film girati sulle spiagge, i ruoli a torso nudo, le commedie romantiche,
incoronato uomo più sexy d'America dalla rivista «People». Poi ha chiuso bruscamente quella fase della
sua vita professionale, passando ai ruoli drammatici. Svolta decisa con la determinazione dell'uomo delle
pianure aride del Sud allergico alle mezze misure, ma non facile: «Ho dovuto imparare a dire no e a
rinunciare agli assegni pesanti di quei film, cercare spazio nel cinema dei produttori indipendenti. Imparare
ad aspettare. Diciotto mesi, un'eternità».
Poi quei ruoli sono arrivati e McConaughey si è rifatto con l'Oscar, il lavoro con grandi registi, da Spielberg
a Zemeckis, e anche con la pubblicità: prima «testimonial» delle Ford Lincoln, ora col whisky. Anzi il
«bourbon» del Kentucky, quello di Wild Turkey. Ma stavolta Matthew non si è limitato a metterci la faccia:
«Quando mi hanno chiamato sono andato nella distilleria di Lawrenceburg e ho visto che c'era un "brand"
un po' polveroso da restaurare, ma anche una storia da raccontare. Quella delle tre generazioni della
dinastia dei Russell, il loro modo tradizionale di produrre, col capostipite Jimmy che è lì da 62 anni e ancora
non molla. E allora ho detto: "Ok ci sto, ma faccio tutto io: l'attore, il regista e il direttore creativo della
campagna"».
La fase tre
E, intanto, si è messo anche a insegnare cinematografia alla University of Texas di Austin, la sua città.
Dopo i film sexy e quelli drammatici, sta arrivando la fase tre della sua carriera, quella di McConaughey
anche regista?
«E perché no? È una possibilità» risponde l'attore mentre i barman alle sue spalle preparano cocktail a
base di «bourbon». «Mi piace costruire storie, mi interessa la sfida di un modello espressivo da usare su
canali diversi: un racconto da sintetizzare nei 30 secondi di uno spot o in qualche minuto di una storia per il
web. E mi è sempre piaciuto il messaggio pubblicitario. Me ne sono occupato fin dai tempi della mia laurea
in cinematografia in Texas. Prima ancora di esordire come attore ho fatto pubblicità, per il quotidiano di
Austin. Ora ho 46 anni e mi piace insegnare. Tengo corsi insieme a Gary Ross, il regista di "Hunger
Games", l'anno prossimo verrà Jeff Nichols, che mi ha diretto in "Mud"».
Attore molto fisico che la fisicità la esprime anche nel modo di parlare, Matthew è cresciuto in una famiglia
vivace e turbolenta coi genitori, Kay e James, un rappresentante di attrezzature petrolifere con un passato
di giocatore di football americano, che hanno litigato, divorziato, si sono riappacificati e si sono risposati per
ben tre volte.
Personaggio poco hollywoodiano - vive con la moglie Camila Alves e i tre figli in Texas - da quando è
padre ha smesso di fare l'esploratore scavezzacollo: «rafting» sul fiume Niger, «trekking» in Mali fino a
Timbuctù. Per lui il lavoro per Wild Turkey (azienda del gruppo Campari), è anche un modo di soddisfare il
suo bisogno di grandi spazi: «Mi piace stare lì, nella valle del Tennessee River, coi suoi boschi e i suoi
panorami. Poi col Kentucky ho anche un legame sentimentale. Mia madre, del New Jersey, e papà, della
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Louisiana, si incontrarono lì, all'università. Fu amore a prima vista. Poi, mentre lui continuò il campionato in
giro per l'America, Kay prese un aereo e andò a casa dei suoi. Si presentò a sua madre dicendo: "Lei
ancora non lo sa, ma presto io sarò la sua nuora"» .
Famiglia tempestosa
Un padre tempestoso, estroverso, scomparso precocemente. Un rapporto quasi filiale anche col patriarca
della famiglia Russell. Famiglia e paternità significano molto per Matthew e questo in qualche misura
influenza anche il suo modo di fare l'attore. Quando ha girato «Mud» sulle rive di fiumi, tra Mississippi e
Arkansas, ha deciso di prendere un «trailer» e accamparsi sul set con tutta la famiglia: «I ragazzi erano
piccolissimi, ma gli raccontavamo le storie di Tom Sawyer e Huckleberry Finn».
Padre felice
McConaughey ha voluto la famiglia con sé anche quando, l'anno scorso, ha girato il suo ultimo film, «Free
State of Jones», appena uscito nelle sale Usa: la storia di un agricoltore che si arruola nell'esercito
confederato durante la Guerra civile, ma poi diserta, guida una ribellione, mette insieme una milizia
arruolando anche schiavi liberati e crea una sorta di mini Stato indipendente: «È una storia vera. Mi sono
detto: i miei figli sono ancora molto giovani, il più grande ha otto anni, ma è meglio che se ne stiano tutto il
giorno coi loro videogame o provare a fargli vivere l'atmosfera di un altro tempo della storia americana?»
Padre felice, attore appagato. Rimpianti?
«Solo uno. Mi sarebbe piaciuto recitare in "Titanic"». Allora McConaughey era agli inizi della carriera, ma
dopo "A Time to Kill", nel 1996, "Vanity Fair" lo aveva incoronato come il nuovo Paul Newman. «Mi sarei
visto bene a fianco di Kate Winslet. Dicono che James Cameron, il regista, avesse pensato a me prima di
scegliere DiCaprio. Dicono: con me non si è mai fatto vivo nessuno».
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RICHARD SHOTWELL/INVISION/AP
Chi è
Matthew McConaughey è nato il 4 novembre del 1969 a Uvalde, Texas: terzogenito di Mary Kathleen "Kay"
McCabe, un'insegnante, e di James Donald McConaughey, titolare di una compagnia nel settore
petrolifero. È laureato in Cinematografia ad Austin, e lì insegna. Sposato con l'ex modella brasiliana Camila
Alves, ha tre figli
Amore a prima vista Mamma e papà si incontrarono in Kentucky. Mia madre prese un aereo e andò
dai suoi suoceri e disse loro: lo sposerò
Io e Kate Mi sarei visto bene a fianco di Kate Winslet. Dicono che Cameron avesse pensato a me prima di
scegliere
DiCaprio
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il retroscena
Berlusconi va da Murdoch
Tommaso Labate
«sto benissimo. In America andrò per motivi di affari...». Berlusconi oggi vola a New York da Murdoch. a
pagina 6 Ravizza
ROMA «Non preoccupatevi per me, sto benissimo. In America andrò per motivi di affari...». Silvio
Berlusconi lo sapeva. Sapeva che le voci sul suo improvviso viaggio negli Stati Uniti sarebbero state messe
in relazione col suo stato di salute, magari con la necessità di incontrare un qualche specialista americano,
magari con la voglia di sottoporsi a nuove cure dopo l'intervento al cuore d'inizio estate. Indizi compatibili
con la richiesta di un legittimo impedimento per motivi di salute riguardo all'udienza del processo Ruby ter
in programma lunedì a Milano.
Ma prima di mostrare il passaporto e di salire a bordo dell'aereo che lo porterà a New York, cose che farà
questa mattina, ha rassicurato gli amici senza entrare troppo nei dettagli. «Viaggio di affari». Affari che,
secondo quanto risulta a diverse fonti dell'universo berlusconiano, potrebbero avere come oggetto l'ipotesi
di un «accordo» tra Mediaset e Sky. Affari che potrebbero portare l'ex premier, condizionale quanto mai
obbligato, a un faccia a faccia con Rupert Murdoch.
Che cosa potrebbe mettere l'uno di fronte all'altro i duellanti, che si fanno la guerra dall'epoca in cui,
autunno 2008, il quarto governo Berlusconi raddoppiò l'Iva per gli abbonati e tagliò i tetti pubblicitari delle
pay tv, misure a cui Sky rispose decidendo di non partecipare alla gara per l'assegnazione di nuove
frequenze del digitale terrestre? La risposta starebbe proprio là, in quelle due parole. «Digitale terrestre». E
anche nella voglia dei berlusconiani di rispondere allo smacco subito dai francesi di Vivendi, con cui il
contenzioso è ancora aperto, proponendo Mediaset Premium proprio a Murdoch.
Ma non si può capire il possibile «segno di pace» tra il «Biscione» e lo «Squalo» senza ricomporre il puzzle
dell'ultima guerra. Che comincia il 10 febbraio del 2014, quando Cologno Monzese strappa a Sky
l'esclusiva triennale della Champions League di calcio. La cifra è sorprendente, 717 milioni, 239 a stagione,
del 50 percento superiore alla vendita degli anni precedenti. Per alcuni, è la prova che il digitale terrestre di
Mediaset vuole intaccare il dominio satellitare di Sky. Per altri, invece, è la spia del tentativo berlusconiano
di vendere Premium a Sky facendo leva sui diritti.
Davanti a sé, a quel punto, Murdoch ha due strade. Trattare con la famiglia Berlusconi, e quindi inseguire.
Oppure sedersi sulla riva del fiume, e quindi aspettare. I dirigenti marketing di Sky predispongono un piano
di guerra finalizzato a contenere l'attesa emorragia di abbonati verso Mediaset. Ma non ce ne sarà bisogno,
perché non ci sarà. A questo punto, e siamo all'anno scorso, i problemi sono tutti in casa Mediaset. Il gioco
dei 717 milioni dimostra di non valere la candela. E Silvio Berlusconi in persona, in gran segreto, a gennaio
di quest'anno vola a Parigi per incontrare Vincent Bolloré. L'ex premier torna a casa con una stretta di
mano e un accordo di sinergia tra Premium e Vivendi. E l'accordo, destinato a portare la tv del digitale
terrestre (e i relativi guai) fuori dall'orbita di Cologno Monzese, è quello che viene poi annunciato a inizio
aprile, nel giorno in cui ancora nessuno - e men che meno Berlusconi - è in grado di leggere nel cielo gli
oscuri presagi di quello che succederà dopo. E cioè il passo indietro di Vivendi e quindi «l'incredibile
voltafaccia di Vincent Bolloré», come lo definirà Marina Berlusconi in una lettera inviata al Corriere il 29
luglio.
Come dopo uno sfortunato lancio di dadi al Monopoli, adesso Mediaset è tornata alla casella del «via». Da
un lato, c'è il contenzioso con Vivendi a suon di carte bollate. Dall'altro, l'ipotesi di accompagnare Premium
tra le braccia di Sky. E questi sono i dilemmi, e i pensieri, del Berlusconi che ieri sera ha soffiato le sue
ottanta candeline. E che si prepara a salire la scaletta di un aereo per un viaggio che potrebbe cambiare di
nuovo tutto. Potrebbe.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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717 milioni
è la cifra
spesa da Mediaset Premium per assicurarsi l'esclusiva triennale
della Champions League di calcio strappandola all'emittente satellitare Sky, che in precedenza trasmetteva
tutte le partite
Gli auguri
D'Alema: è un politico di razza
Anche Massimo D'Alema fa gli auguri a Berlusconi. E lo fa con un riconoscimento inedito. «Non credevo, e
parlo da politico professionale che ha fatto politica per tutta la vita - ha detto l'ex premier a Matrix - che si
potesse diventare un politico di razza anche venendo da un altro mestiere. E lui ha saputo farlo. Credo che
questo, detto da me, sia il miglior complimento che gli si possa fare». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Mediaset Premium, riflettori su Sky
Andrea Biondi Carlo Festa
pSi fa sempre più quotata la pista che porta verso inizi di trattativa fra Mediaset e Sky sulla piattaforma
Premium. Secondo le indiscrezioni, si sarebbe infatti cominciato a sondare con maggior decisione in questa
direzione, ipotesi che era già stata ventilata prima che venisse firmato un accordo fra Mediaset e Vivendi.
Per ora sarebbero cauti interessamenti al dossier, anche in vista di importantissime scadenze per
acquistare i diritti tv delle grandi competizioni calcistiche: l'asta per i diritti Champions league per il triennio
2018-2021 sarà probabilmente a febbraio 2017, mentre a fine campionato ci sarà pure l'asta per i diritti tv
della Serie A di calcio (sempre 2018-2021) . L'opzione Sky - ma sarà tutto da verificare poi l'esito finale delle
trattative su cui si stanno scaldando i motori - appare come una pista credibile nella misura in cui i tentativi
della diplomazia di arrivare a una soluzione condi- visa fra il gruppo di Cologno e i francesi non sembrano
sortire effetti. Al momento non ci sarebbero stati progressi tra Mediaset e Vivendi che, di fatto, restano in
trincea su Premium. Il consiglio di amministrazione di martedì scorso ha preso atto della situazione di stallo,
si è ricompattato attorno alla prospettiva di continuare con sempre maggiore decisione sulla strada legale
intrapresa, ma di fatto non ha chiuso la porta a Vivendi. Continua u pagina 30 pCerto è che fra Mediaset e
Vivendi per ora non si vedono segnali di distensione. All'interno del consiglio d'amministrazione il giudizio
sull'affidabilità dei francesi nella trattativa è ormai ai minimi e, in assenza dell'arrivo sui tavoli di Mediaset di
una proposta sulla quale si starebbe lavorando sul versante francese, la querelle legale è destinata ad
andare a breve verso un inasprimento con la richiesta di procedura d'urgenza da parte dei legali della
società controllata dalla famiglia Berlusconi. Ma uno spiraglio, minimo, è rimasto aperto in assenza di
comunicazioni da entrambe le parti. E comunque un'escalation legale e la chiusura totale dei possibili
spiragli si accordo fra Mediaset e Vivendi, che a questo punto è sempre meno un'ipotesi campata in aria,
con ogni probabilità dovrà passare attraverso una nuova riunione del Cda con tanto di comunicazioni. Quel
che ufficialmente al momento è certo è che sia il gruppo di Cologno sia la società francese non sembrano
disposte ad arretrare di un centimetro rispetto alle loro posizioni su Premium, visto che considerano la
controparte come inadempiente: Cologno accusa Vivendi di non aver dato esecuzione al contratto firmato,
mentre il gruppo francese ribatte ponendo l'accento sul business plan «gonfiato» di Premium. Ma, nel
frattempo, i consulenti starebbero provando a lavorare a una soluzione condivisa: sul dossier ci sarebbero
infatti Mediobanca e l'imprenditore franco-tunisimo Tarak Ben Ammar, vicino sia a Bollorè sia alla famiglia
Berlusconi. Vivendi, in modo informale, si sarebbe detta disponibilea valutare una nuova proposta che
preveda una struttura del capitale più equilibrata per Premium, in modo che entrambi possano
deconsolidarla: con Mediaset e Vivendi proprietarie di un 40% a testa e un terzo soggetto con il 20 per
cento. Più difficile individuare questo possibile alleato. La spagnola Telefónica, azionista all'11% di
Premium, non sembra intenzionata a partecipare a piani futuri e per quanto riguarda Telecom Italia la
società guidata dal presidente Giuseppe Recchi e dal ceo Flavio Cattaneo ha smentito in più occasioni
(l'ultima in settimana da Bruxelles con parole nette di Recchi) un suo coinvolgimento. In ogni caso oggi il
ceo di Vivendi Arnaud De Puyfontaine sarà in Italia per partecipare al consiglio di amministrazione di
Telecom. Per ora resta vivo il fronte le- gale. Proprio in questi giorni gli avvocati dello studio Chiomenti e il
professionista Vincenzo Mariconda avrebbero fatto il punto della situazione, con l'obiettivo dell'udienza del
21 marzo prossimo al Tribunale di Milano. E lo stesso avrebbero fatto i legali di Vivendi, gli avvocati di
Cleary Gottlieb. Oggi intanto è la data che era stata indicata come limite per il closing e dopo la quale
Vivendi ha dichiarato di voler considerare decaduto il deal. Posizione, questa, non condivisa da Mediaset
che punta a far leva su un contratto che considera il 30 settembre quale data del closing, ma salvo
accadimenti imprevisti in cui rientrerebbe il braccio di ferro fra le due società. Prima di oggi sicuramente da
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Media. Oggi è il giorno indicato per il closing con Vivendi - Si va verso nuovi tavoli negoziali
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Mediaset non potevano muoversi in nessun modo nei contatti con altre controparti. Da oggi in poi la
clessidra è stata inesorabilmente capovolta e l'apertura di nuovi tavoli negoziali diventa una prospettiva
concreta.
IL CONTENZIOSO
Per ora non si vedono segnali di distensione con il gruppo francese, malgrado le diplomazie siano
al lavoro su una soluzione condivisa
Foto: IMAGOECONOMICA La contesa. Fra Mediaset e Vivendi è battaglia legale su Premium
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Venezia1896, notti e gondole Il sogno del cinema inizia lì
IRENE BIGNARDI
SAPETE dove si è acceso il primo schermo italiano? L'anno era il fatidico 1896, data di nascita del sistema
Lumière(ma il cinema, in altri modi di ripresa e di proiezione, esisteva già), data celebrata come l'inizio di
tutto, data della famosa frase dei fratelli francesi: «Il cinema è un'invenzione senza futuro».
Bene, il primo schermo cinematografico italiano non poteva accendersi altro che nella città più raccontata e
fotogenica del mondo, in quella che avrebbe prodotto il primo festival, e che avrebbe avuto l'ambiguo onore
di creare, durante la guerra, quello che fu chiamato il Cinevillaggio, in una parola: a Venezia, il 9 luglio.
Il luogo è il Teatro Minerva, già San Moisé, a due passi da San Marco, dove ogni giorno veniva
programmata con successo una quindicina di "prese vive", come vennero subito chiamate le riprese in
movimento: una signora che si fa portare in gondola, tra lazzi e frizzi popolani, e dimentica a bordo
ombrellino e guanti, i piccioni di piazza San Marco, i tramway sul Canal grande, che non sono un sogno
marinettiano, ma il tentativo di far capire tramite questo assurdo modo di chiamare i vaporetti che Venezia è
una vera città.
Tutto questo ce lo fanno scoprire, ancora una volta, "Le giornate del cinema muto" di Pordenone, un
festival (da domani) sempre alla ricerca di sorprese dal passato, da cui nascono scoperte eccellenti per i
cinèphile del presente.
Ecco dunque, tra le molte sorprese di quest'anno (120esimo anniversario della nascita del cinema) le
prime gondole sullo schermo, in un polveroso bianco e nero firmato Lumière. E poi, personaggi veneziani,
vedute, i reali di Germani in visita ufficiale, immagini di una splendida città in declino, veneziani esagitati
sotto l'occhio della camera, muffe rampanti e acque poco invitanti.
Ma la vera grande sorpresa è il film del 1913, firmato da uno dei più grandi registi della sua epoca e della
scena tedesca, l'austriaco Max Reinhardt, al suo debutto nel cinema, Venetianische Nacht, Notti
veneziane, prototipo di ogni immagine veneziana che da oltre un secolo viene riscoperta dallo schermo.
Reinhardt, lasciata la Germania per evidenti ragioni e approdato a Hollywood, dopo aver giocato con il
neonato cinema in patria (vedi la trasposizione per lo schermo della pantomima Sumurun ), avrebbe poi
firmato nel 1935 un capolavoro assoluto del cinema qual è Sogno di una notte di mezza estate, poesia per
tutti e meraviglioso esempio di riduzione di un altro capolavoro (vi debutterà anche un giovanissimo Mickey
Rooney, perfetto anche se improbabile nel ruolo di Puck, il dispettoso folletto). Non sosterremo che Notti
veneziane sia un capolavoro.
Ispirato anch'esso a una pantomima, con tutti gli ingredienti al posto giusto e Venezia a protagonista. Ci
sono equivoci, allusioni, scambi di persona, una giusta dose di volgarità e di esagerazioni e, in definitiva, gli
elementi di un sogno, quale si scopre essere la storia. Assieme ai primi effetti speciali del cinema. La scena
dello studente che dorme, e sogna, ci introduce infatti - almeno, io credo - a un modo di lavorare che sinora
era stato territorio di Méliès. Sull'immagine fissa dello studente a letto addormentato, passano in azione gli
altri personaggi e Venezia stessa, in una serie di locations che continuano ad essere buone anche oggi.
Foto: A PORDENONE La locandina dell'edizione 2016 de "Le giornate del muto"
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R2 IL FESTIVAL
30/09/2016
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La verità del cinema sul mistero Orlandi "Chi sa è in Vaticano"
MASSIMO LUGLI
ROMA. «Li avete visti quei manifesti alla stazione?». Fu Sandro Mazzerioli, un roccioso capocronista di
Paese sera, a farceli notare: la foto di una ragazza di 15 anni con una fascetta nera sulla fronte e lo
sguardo malinconico nonostante il sorriso solare. In basso, un numero di telefono da chiamare se qualcuno
l'avesse vista. Scomparsa. Una delle tante adolescenti svanite nel nulla in una città in cui ancora si parlava
di tratta delle bianche, di negozi d'abbigliamento con una botola segreta per intrappolare le clienti giovani,
di adolescenti rapite e avviate al mercato della prostituzione d'oltremare. Nessuno di noi giovani cronisti
che cominciammo, svogliatamente, a lavorarci poteva immaginare che quel viso da ragazzina di buona
famiglia sarebbe diventata l'icona di uno dei più grandi misteri degli ultimi cinquant'anni, un groviglio di
intrecci criminali, speculazioni finanziarie, magheggi di servizi segreti italiani e bulgari, false piste,
rivelazioni pilotate, depistaggi, intrighi, imbrogli, speculazioni di ogni genere.
Non fino a quando Paolo VI, dal balcone di piazza San Pietro, lanciò il suo appello per i familiari e
catapultò il caso di Emanuela su una ribalta mondiale. I primi pezzi erano poco più di una breve di cronaca,
poi la storia balzò in prima pagina e ci rimase per anni.
Una tragedia infinita, iniziata il 22 giugno dell'83, negli anni di piombo e di sangue del terrorismo e della
grande mala romana dilaniata da feroci faide interne, che Roberto Faenza ripercorre passo passo fin
dall'inizio, in un film che sembra quasi un romanzo storico tanto quei tempi appaiono lontani: niente
internet, niente cellulari, indagini a suola e tacco di appostamenti e confidenti, intercettazioni rudimentali. E
nello stesso giorno in cui La verità sta in cielo debutta nelle sale, in libreria esce La verità sul caso Orlandi
di Vito Bruschini, Newton & Compton editori, con un inizio molto simile alla sceneggiatura di Faenza,
Murgia e Notariale, ma una conclusione romanzata completamente diversa. Il mistero di Emanuela Orlandi
è un evergreen.
L'inchiesta è stata definitivamente archiviata il 6 maggio scorso, con aspri dissidi interni alla procura di
Roma. Un'indagine controversa e spettacolare, con un colpo di teatro da docufiction quando la tomba di
Enrico De Pedis, detto Renatino, boss del gruppo testaccino sepolto nella Basilica di Sant'Apollinare, fu
riaperta alla ricerca di improbabili indizi. Qualcuno insinuò addirittura che lì dentro potessero esserci i resti
di Emanuela. Un'ipotesi delirante ma del resto, in questi trent'anni, si è sentito di tutto: la ragazza è viva, è
ricoverata in un ospedale psichiatrico di Londra, si è nascosta su un'isola greca, è a Roma, senza memoria
e con un falso nome.
Tra le tante "rivelazioni" a puntate buone per le indagini in tivù, il film di Faenza punta molto su quelle di
Sabrina Minardi, donna di mala e di coca, ex compagna di De Pedis, che ha parlato e straparlato,
rovesciando sugli investigatori qualche mezza verità mista a una montagna di menzogne fino a quando i
pm, spazientiti, le hanno tappato la bocca con un inedito decreto di secretazione. La tesi del film è
sostanzialmente quella: un asse Ior-Banda della Magliana con le immancabili ingerenze dei soliti spioni.
Una pista intrigante e, sostanzialmente, plausibile visto che i legami tra la gang del "Pijamose Roma" e le
speculazioni del Banco Ambrosiano sono stati definitivamente accertati. Per quanto riguarda Emanuela,
invece, solo ipotesi. Esiste veramente una verità sepolta in un dossier segreto promesso e mai consegnato,
nascosto in una "segreta stanza" di Oltretevere? Paolo Orlandi, instancabile fratello di Emanuela che nel
film interpreta se stesso ne è certo. Il regista, evidentemente, anche. Chi ha seguito l'indagine fin dalle
prime battute, invece, continua a ruminare dubbi. Qualcosa, alla lunga, sarebbe venuto fuori. E se lo
scenario fosse completamente diverso? Se Emanuela fosse finita in mano di un predatore sessuale
occasionale e tutto il resto fosse solo una mastodontica montatura di spie e grande criminalità? È
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La storia. Esce il film di Faenza sulla 15enne sparita a Roma nell'83. Il fratello di Emanuela nei panni di se
stesso a caccia di dossier segreti
30/09/2016
Pag. 20
diffusione:251862
tiratura:369812
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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un'ipotesi, non meno probabile di tante altre. Un film, comunque, non deve trovare la verità. Deve dare
emozioni. E le emozioni, di sicuro, non mancano, dalla prima all'ultima scena, quando un vescovo che ha
l'aria di saperla lunga scandisce lapidario: «Meglio il clamore che il silenzio». Su questo, almeno su questo,
non ci sono dubbi. FOTO: ©MATTEO GRAIA
IN SALA SUL GRANDE SCHERMO Il 6 ottobre arriva nelle sale cinematografiche La verità sta in cielo di
Roberto Faenza.
Il film affronta la misteriosa storia della scomparsa di Emanuela Orlandi.
Tra gli attori, Riccardo Scamarcio (foto) interpreta Enrico De Pedis, boss della Magliana detto "Renatino",
sepolto nella Basilica di Sant'Apollinare IL CASO IRRISOLTO Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma, a 15
anni, nel 1983.
Le indagini sono state chiuse lo scorso maggio: il caso resta irrisolto www.repubblica.it PER SAPERNE DI
PIÙ
Foto: Alberto Cracco nei panni di un vescovo e Maya Sansa in quelli di una giornalista televisiva
30/09/2016
Pag. 1
diffusione:163662
tiratura:241998
Anthony Hopkins e il personaggio ossessionato dalla perfezione
Adriana Marmiroli
A PAGINA 31 Wes two rld, la serie tanto attesa e tanto chiacchierata, è in arrivo: il 2 ottobre negli Usa, alle
3 del 3 su Sky Atlantic (in versione originale, dal 10 ottobre quella doppiata). Oggi, inve ce, l 'anteprima al
Roma Web Festival. Parte da lontano la storia di Westworld: dal 1973 e da Michel Crichton, genio letterario
e regista, precorritore di invenzioni e fatti che la realtà avrebbe confermato. In quell'anno aveva diretto un
film di culto, Il mondo dei robot (in originale Westworld ): 10 anni prima di Blade Runner, si parlava di
intelligenza artificiale che acquista coscienza. Si sperimentava anche, per la prima volta al cinema, la
computer grafica. C'era poi Yul Brinner, iconico, vestito come nei Magnifici sette. Così l'attesa era stata
subito alta quando Hbo nel 2013 aveva annunciato l'intenzione di trarre da quel film uno dei suoi kolossal
seriali: prodotto da J.J. Abrams e sceneggiato da Jonathan Nolan ( Interstellar, Person of Interest) con la
moglie Lisa Joy. Nel cast Anthony Hopkins, Ed Harris, Evan Rachel Wood, James Marsden, Thandie
Newton. In corso di lavorazione le polemiche non si erano fatte attendere: alle comparse era stata fatta
firmare una liberatoria - come nei film porno, si disse - per scene di sesso esplicito e di nudo che aprivano
ad abissi di depravazione. Dopo slittamenti nella programmazione e nuove accuse di sesso e violenza il
dubbio era stato: eccesso di zelo moralista o astuto marketing? «Non c'è feticizzazione. Raccontiamo
l'essere umano nella sua totalità, con dignità» disse Lisa Joy. A vedere i primi episodi, in effetti, il sesso c'è,
ma abbastanza casto, e gli ammazzamenti sono molti, ma l'effetto «splatter» è contenuto. Tanti anche i
nudi: quelli dei robot davanti ai loro creatori, immobili, in asettici laboratori dove vengono creati. Siamo
dietro le quinte di un avveniristico parco tematico ad ambientazione Wild West, dove i visitatori, immersi in
un mondo ricostruito (fittizio per loro, non per gli androidi), vanno per sfogare gli istinti peggiori e soprattutto
uccidere. Intanto qualche «macchina» si inceppa, dà segni di malfunzionamento. La mattanza ha inizio, e
coi nvol ge gli into ccabili clienti. Mentre un pistolero in nero (Ed Harris, degno erede di Brinner) va in giro
ammazzando e ponendo domande: cos'è quel tatuaggio sugli scalpi? Il gioco degli uomini che si fanno dio,
ricreando la vita, molto ricorda Jurassic Park, altro Crichton dove la manipolazione della vita genera mostri.
Non è un caso forse se Hopkins, come ruolo e fisicamente, ricordi Richard Attenborough che nel film di
Spielberg è il proprietario del parco. Sci-fi e western si fronteggiano un po' meccanicamente per ora. Ma
quando ci si sposta sotto il sole e la polvere di una simil Monument Valley, il racconto si fa epico. È questa
la serie che raccoglierà l'eredità di Game of Thrones? O sarà una delusione come Vynil? c
Foto: Odissea artificiale Il 3 ottobre arriva su Sky Atlantic la serie tv «Westworld» prodotta da J.J. Abrams e
sceneggiata da Jonathan Nolan con Lisa Joy. Nel cast Anthony Hopkins (a destra, in una scena), Ed
Harris, Rachel Wood, Thandie Newton Il parco tematico La serie tv ha un'ambientazione Wild West (sopra,
una scena): qui i visitatori sono immersi in un mondo fittizio
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CARTELLONE
30/09/2016
Pag. 1
diffusione:123081
tiratura:170229
Cinema Emanuela Orlandi indagini e misteri nel film di Faenza: si
continui a cercare
Gloria Satta
Satta a pag. 29 l caso non è chiuso. E la verità non sta in cielo ma in terra, anche se nessuno finora ha
voluto trovarla». Nel film La verità sta in cielo (nelle sale il 6 ottobre) Roberto Faenza riapre un mistero
sconvolgente e ancora irrisolto della storia italiana recente: la vicenda della quindicenne cittadina vaticana
Emanuela Orlandi, scomparsa dal centro di Roma il 22 giugno 1983 e mai più ritrovata. «Il mio film è un
assist per per continuare a indagare, anche se l'anno scorso la magistratura ha disposto l'archiviazione
dell'inchiesta», dice il regista, «ma basta leggere le carte per capire che c'è materiale sufficiente per andare
avanti». Negli ultimi 33 anni le ricerche si sono intrecciate con ipotesi oscure, depistaggi, servizi segreti, il
coinvolgimento del Vaticano e della Banda della Magliana, l'omicidio del banchiere Roberto Calvi, le
rivelazioni di personaggi più o meno attendibili, perfino l'inchiesta Mafia Capitale: tutto questo è finito nel
film, interpretato da Riccardo Scamarcio nel ruolo del boss Renatino De Pedis, ammazzato da una banda
rivale e incredibilmente sepolto nella Basilica di Sant'Apollinare, Greta Scarano in quello della sua amante
Sabrina Minardi, Maya Sansa e Valentina Lodovini nella parte di due giornaliste coraggiose.
DOSSIER «Non ho inventato niente, tutto quello che appare sullo schermo è frutto di atti giudiziari,
intercettazioni e testimonianze», spiega Faenza. «Il film sarà attaccato, me lo aspetto, ma meglio il clamore
del silenzio». La verità sta in cielo ruota intorno alla certezza che esista in Vaticano un dossier secretato
decisivo per fare luce sul caso Orlandi: rivelerebbe le oscure connivenze fra i sacri palazzi, la finanza
sporca e la criminalità comune. E mentre i fratelli di De Pedis avrebbero chiesto di vedere il film per capire
se diffama Renatino detto "il Dandy" (morto incensurato) il regista si domanda: «Perché il Vaticano non si
decide a rendere pubbliche quel documento? Forse per non rischiare di rivelare segreti imbarazzanti?
Divulgare il dossier sarebbe l'ultimo metro da percorrere per arrivare alla verità. Non mi illudo che il mio film
riesca a convincere il Vaticano, ma spero in Papa Francesco che ama la trasparenza e sono ottimista».
Molti produttori hanno sbattuto la porta in faccia a Faenza. E oggi il regista ringrazia RaiCinema che, con
Jean Vigo di Elda Ferri, ha finanziato La verità sta in cielo: «La Rai ha avuto un coraggio coerente con la
sua missione di servizio pubblico», dice. Paolo Del Brocco, ad di RaiCinema spiega perché: «Crediamo in
un cinema civile, rispettiamo il punto di vista dei registi e siamo convinti che si debba parlare delle vicende
italiane, anche a costo di stimolare la discussione».
GLI ATTORI Il progetto di Faenza è stato appoggiato da Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, spesso
ospite alla trasmissione di RaiTre Chi l'ha visto? che da anni tiene vivo il caso a colpi di scoop. Il titolo del
film è preso proprio da una frase che Papa Francesco avrebbe detto al signor Orlandi: «Emanuela sta in
cielo». E gli attori, rivela il regista, hanno lavorato al minimo della paga. «Avrei interpretato Sabrina Minardi
anche gratis: incarnare questo personaggio in due momenti diversi della vita è stata una sfida
appassionante», spiega Greta Scarano la cui straordinaria performance doppia (la vediamo giovane e sexy,
poi vecchia e sformata da un'esistenza di eccessi) è destinata a fare incetta di premi. Valentina Lodovini,
nel ruolo della giornalista Raffaella Notariale che per prima registrò le rivelazioni della Minardi, dice di aver
girato il film «perché sono una cittadina indignata e non mi arrendo. La memoria storica italiana ha troppi
segreti, ma io voglio conoscere la verità sul caso Orlandi». Sulla stessa linea Maya Sansa, che interpreta
una giornalista anglo-italiana spedita da Londra a indagare su Mafia Capitale cominciando però dalla
sparizione di Emanuela. «Anch'io sono convinta che la verità sia in terra, anche se è difficilmente
accessibile». Riccardo Scamarcio ha voluto «dare una mano al progetto di Faenza, un regista rigoroso e
sempre pronto a rischiare». Nel film c'è anche Shel Shapiro che fa il direttore del giornale in cui lavora
Maya Sansa. «Faenza», dice l'ex frontman dei Rokes, «ha avuto molto coraggio a cercare la verità: l'Italia è
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Cinema
30/09/2016
Pag. 1
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tiratura:170229
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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un Paese pronto ad archiviare tutto». Gloria Satta
Foto: BOSS Riccardo Scamarcio, che nel film è il boss della banda della Magliana Renatino De Pedis, in
una scena di "La verità sta in cielo", diretto da Roberto Faenza in sala dal 6 ottobre. Nel cast anche Maya
Sansa, Valentina Lodovini e Shel Shapiro IL REGISTA: «I MAGISTRATI HANNO ARCHIVIATO
L'INCHIESTA MA LE CARTE DIMOSTRANO CHE SI DEVE ANDARE AVANTI»
30/09/2016
Pag. 8
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tiratura:170229
Mediaset , ecco perché adesso si può trattare con la Sky di Murdoch
Al centro del negoziato c'è Premium, la televisione a pagamento del gruppo
Carlotta Scozzari
R O M A Negli ambienti vicini a Silvio Berlusconi le bocche sono cucite sulla possibilità di un incontro a
New York, in concomitanza con i festeggiamenti per i suoi 80 anni, con Rupert Murdoch. Eppure, qualche
osservatore finanziario, nonostante le numerose smentite arrivate negli ultimi tempi, continua a considerare
niente affatto peregrina l'idea di un accordo tra la Mediaset della famiglia Berlusconi e la britannica Sky del
gruppo Murdoch sulla televisione a pagamento Premium. È proprio su quest'ultima - va ricordato - che si
sta consumando uno scontro senza esclusioni di colpi tra la società della tv italiana e il gruppo francese
Vivendi di Vincet Bolloré. Quest'ultimo si era impegnato ad acquistare Mediaset Premium ad aprile, ma poi
si è tirato indietro adducendo come motivazione una situazione di bilancio della tv a pagamento peggiore di
quella immaginata. Proprio come nel famoso modo di dire, tra i due litiganti, però, potrebbe inserirsi il terzo
gruppo, Sky appunto. L'ipotesi era già stata prospettata in uno studio di inizio settembre della banca d'affari
Ubs, secondo cui una simile operazione avrebbe «sbloccato valore in Italia» per la famiglia Murdoch. Non
soltanto, infatti, Sky conta poco più di 4,7 milioni di clienti in Italia che con l'acquisto di Premium, che ne
porterebbe in dote 2 milioni, salirebbero a 6,7 milioni, rendendola praticamente monopolista nel settore
della televisione a pagamento. Ma c'è anche la questione dei diritti per la trasmissione delle partite tv. LA
STORIA In passato Mediaset ha dato filo da torcere a Sky comprando quelli della Champions League,
sicché acquistare Premium per il gruppo televisivo inglese significherebbe eliminare una pericolosa
concorrente, specie in vista delle prossime aste. Non a caso, già nella primavera dell'anno scorso si dice
che ci siano stati degli incontri al vertice tra le famiglie Berlusconi e Murdoch riguardanti proprio Mediaset
Premium. Ma le trattative si erano subito arenate sul prezzo: si dice che Murdoch offrisse circa 600 milioni,
mentre l'ex premier italiano del centrodestra chiedeva la bellezza di 1 miliardo (che è poi quasi il valore
attribuito alla società nel momento dell'ingresso in minoranza della spagnola Telefonica, risalente proprio a
quel periodo). Oggi però la situazione appare del tutto mutata, perché, complici anche l'inesorabile
trascorrere del tempo e il desiderio di Silvio Berlusconi di sistemare gli affari, Mediaset sembra disposta ad
accettare anche 600 milioni pur di liberarsi di Premium. E questo sia perché la tv a pagamento ha perso
oltre 100 milioni nei primi sei mesi del 2016, sia perché, a meno di un accordo in zona Cesarini, dal primo
ottobre Vivendi potrebbe essere costretta a pagare a Mediaset 50 milioni al mese per il mancato rispetto
dell'intesa. Ad abbassare le pretese di Berlusconi con lo storico avversario Murdoch potrebbe essere
proprio il pagamento ricevuto dal vecchio amico Bolloré.
Foto: GIÀ IN PASSATO LE PARTI SI ERANO INCONTRATE MA NON AVEVANO TROVATO
L'ACCORDO PER VIA DEL PREZZO
Foto: Il magnate australiano Rupert Murdoch
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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IL RETROSCENA
30/09/2016
Pag. 24
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tiratura:170229
I brand proiezioni di stile
PRIMO PREMIO A "SNOWBIRD" GIRATO CON UN IPHONE PER KENZO FUORI CONCORSO
"TROUGH MY EYES" SU 10 MARCHI ITALIANI
V.T.
La moda e il cinema. Due campi che da qualche hanno vanno sempre più a braccetto, sfiorandosi con
grazia, per poi permearsi a vicenda, con il risultato che la moda, dalle sfilate al modo di concepire i brand,
sta diventando sempre più cinematografica. NARRAZIONE La forza emotiva di questo connubio così
particolare è stata compresa da subito da Constanza Cavalli Etro, argentina cosmopolita, che da tre anni
ha dato vita al Fashion Film Festival, un appuntamento internazionale gratuito che punta a lanciare nuovi
talenti provenienti da tutto il mondo, dandogli la possibilità di esprimere il loro punto di vista sulla moda tra
videoclip, storytelling e cortometraggi . E così, il Fashion Film Festival, giunto quest'anno alla terza
edizione, si diverte a mescolare punti di vista, codici estetici, narrativi e stilistici, in uno scambio costante di
espressioni artistiche, di idiomi, di voci e di esperienze provenienti da tutto il mondo. Al cinema Anteo di
Milano sono stati stati 180 i film in concorso, selezionati dalla curatrice Gloria Maria Cappelletti su più di
750 fashion film ricevuti da ogni parte del globo. «Questo appuntamento ogni anno che passa, sta avendo
connotazioni più internazionali ha dichiarato Constanza Etro - Per questa edizione sono giunti lavori dalla
Nigeria, dall'Australia, dal Giappone. La moda non conosce confini». Il riconoscimento del Best Fashion
Film è andato a 'Snowbird', opera di Sean Baker: 12 minuti girati con un iPhone. Quest'anno, fuori concorso
è stata la volta di un progetto particolare "Through my Eyes", realizzato con Vogue Italia. Dieci giovani
registi internazionali, i cosiddetti 'Millenials', hanno raccontato 10 brand simbolo del made in Italy, ognuno
con la propria percezione e il proprio punto di vista. Ed è così che Georgia Tribuiani, giovane regista
italiana che vive a Los Angeles ha raccontato in modo poetico e glamour l'anima emotiva di Etro. Il film
ruota sulla ritualità del mangiare, e la stretta relazione tra il design il food e il fashion, con una coppia
seduta intorno ad un tavolo intorno al quale si consumano silenzi e IL MOOD Decisamente più rock ed anni
'80 è il film di Cavalli firmato da Wiissa, duo creativo formato da Vanessa and Wilson. La loro storia vede
protagonista una donna che aspira a diventare una rockstar, e si veste di conseguenza, ispirandosi alle
donne forti che tanto piacciono a Cavalli, da Cher a Blondie, passando per i look androgini alla David
Bowie. Belli nel film i flash dei paparazzi che danno un tocco di realtà al sogno di questa starlette.
Approccio pulp, ironico ed intimistico quello di Giulia Achenza, la giovane sarda classe 1989 vincitrice della
prima edizione del Fashion Film Festival, che ha realizzato il film per il brand Emilio Pucci. Una donna
sinuosa si muove nella sua casa al mare dove si percepisce la presenza di un'altra persona, da indumenti
sparsi nelle stanze. In scena solo lei, con un atteggiamento che muta dal riflessivo all'alienato, misterioso e
sensuale. Il film è un continuo flashback tra la donna che guida ed immagini di lei nella villa, finché prevale
la sequenza in cui è in macchina e si ferma vicino ad una scogliera con uno strapiombo, da cui getta un
pesante sacco nero estratto dal portabagagli. Quelli dei registi di "Through my Eyes" sono sguardi alla
moda che raccontano storie di vita, in cui gli abiti sono un modo di essere e si porsi davanti alle situazione.
Uno stile inconfondibile.
Foto: LE STORIE In "Trough my Eyes" ognuno dei 10 brand scelti è stato raccontato in un film: sopra
Emilio Pucci, accanto Gucci e sotto Missoni
Foto: IL VINCITORE A sinistra "Snowbird" del regista Sean Baker per Kenzo
Foto: gesti che parlano più di mille parole.
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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Al Fashion Film Festival 180 tra corti e lungometraggi per raccontare le griffe L'APPUNTAMENTO
30/09/2016
Pag. 47 Ed. Umbria
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tiratura:170229
PostModernissimo: «Sarà come un festival costante»
LA STAGIONE
Rassegne e retrospettive dalla struttura leggera: un appuntamento a settimana. Una specie di festival
costante, ispirato dai suggerimenti del nostro pubblico. Così Giacomo Caldarelli ha illustrato ieri la nuova
stagione 2016/17 del PostModernissimo. Tante novità, partnership importanti, due seconde edizioni (dopo i
successi del 2015), molta musica, la consueta proposta di titoli in lingua originale sottotitolata («non è un
vezzo, è rispetto della profondità autoriale»), promozioni speciali per gli universitari e una grande attenzione
nel cogliere le dritte e i desideri degli spettatori. Questi sono i vettori dell'autunno-inverno di un cinema che
mette al centro della sua proposta l'originalità e, soprattutto, la ricerca.
Si inizia la prossima settimana. L'ottobre tedesco del PostMod inizia martedì 4, con Dicke Mädchen di Axel
Ranisch che apre la rassegna Germania in Autunno, organizzata in collaborazione con l'Istituto Tedesco, il
Goethe Institute e l'Università degli Studi: quattro film inediti in Italia, una sonorizzazione live (Der Golem',
affidato al violoncello di Federica Vecchio e alla chitarra di Adriano Lanzi del Duo MU') e una selezione di
cortometraggi prodotti dalla storica Scuola di Cinema di Potsdam.
A novembre si sale ad alta quota: torna Quarta Parete, la rassegna di cinema di montagna, in partnership
con CAI Pg. L'anteprima sarà il 14 ottobre: una serata dedicata all'emergenza Nepal, in compagnia di
Fausto De Stefani, alpinista di fama mondiale e di grande sensibilità civile.
Il Natale, invece, sarà russo. Dicembre e gennaio saranno infatti consacrati alla grandezza di Andrej
Tarkovskij, a 30 anni dalla sua morte, con la retrospettiva integrale dei lungo e cortometraggi.
La musica già protagonista con i due doc dedicati ai Beatles e a Nick Cave tornerà il 7 novembre con
l'uscita di Supersonic', il film sugli Oasis e poi ancora il 10 e l'11 con la festa di Radio3 che quest'anno
celebra la Francia.
Tra le nuove convenzioni c'è quella con la Federazione Italiana Sommelier, che porterà al PostMod, a
novembre, Gianmarco Tognazzi per una serata dedicata ad Amici miei: l'indimenticato Ugo sullo schermo e
i vini prodotti da suo figlio nei calici. E poi ancora quelle con Birra Perugia e Balù con cui si progettano i
giovedì universitari: riduzioni sul prezzo del biglietto, iniziative culturali e mercatini nel foyer. Si inizia il 27
ottobre con la Suburbia Night'.
«Un segnale bellissimo: tante realtà territoriali che promuovono la cultura del cinema», ha commentato
Caldarelli. E i segnali sono tanti. In queste sale colorate e, da due anni, sempre piene si fa vera ricerca
dentro i linguaggi del cinema. Per info: www.postmodernissimo.com.
Ilaria Rossini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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Tanta musica e la solita proposta di titoli in lingua originale Promozioni speciali per gli studenti universitari
Le proposte di un cinema che pone al centro originalità e ricerca
30/09/2016
Pag. 34
diffusione:14229
tiratura:29645
Si riapre al cinema il Caso Orlandi «La Santa Sede sveli i segreti
nascosti»
Nel cast Maya Sansa, Greta Scarano, e Riccardo Scamarcio
Giulia Bianconi
Il 22 giugno 1983 scompare misteriosamente a Roma Emanuela Orlandi, cittadina vaticana di 15 anni, figlia
di un commesso della Prefettura della Casa pontificia. Un caso rimasto ancora oggi irrisolto, tra i più
discussi in Italia, chiuso nel maggio scorso dalla Cassazione. A riaprirlo, almeno al cinema, è Roberto
Faenza che porta sul grande schermo «La verità sta in cielo» con Maya Sansa, Riccardo Scamarcio, Greta
Scarano e Valentina Lodovini, prodotto dalla Jean Vigo Italia con Rai Cinema e dal prossimo 6 ottobre nelle
sale con 01 Distribution. Ieri mattina a Roma durante la presentazione della pellicola, il regista ha lanciato
un appello rivolgendosi al Papa e alla magistratura: «Spero che il Pontefice possa vedere il film e che il
caso venga riaperto, perché se si leggono le 88 pagine dell'archiviazione ci sono dentro tutti gli elementi
per andare a processo. Il dolore di questa famiglia deve avere una risposta». Oltre al cast, era presente
anche il fratello della Orlandi, Pietro, che dopo più di trentatré anni non ha ancora smesso di cercare la
verità e ha deciso di prendere parte alla pellicola interpretando se stesso: «Spero che il film sarà visto
anche da chi ha deciso di archiviare il caso e si renda conto che è stato un errore». Faenza si è
documentato per oltre quattro anni, prima di raccontare una storia che coinvolge politica, criminalità
organizzata, finanza e Chiesa. Il titolo «La verità sta in cielo» nasce dalle parole che Papa Francesco nel
2013 ha rivolto alla famiglia di Emanuela durante un loro incontro: «Lei è in cielo» aveva detto il Pontefice.
Ma, contrariamente al titolo, il regista ha scelto di dirigere questo film per «cercare la verità sulla terra».
Mescolando realtà e finzione, Faenza tenta di ricostruire, con taglio documentaristico (più televisivo che
cinematografico, in realtà) e l'aiuto di immagini di repertorio, cosa è accaduto alla Orlandi. Parte
dall'inchiesta fittizia della giornalista Maria (Sansa) che viene inviata a Roma da una rete televisiva di
Londra, dopo lo scandalo di «Mafia Capitale». Con l'aiuto di una cronista di un programma televisivo
italiano, Raffaella Notariale (Lodovini), scoprirà il legame tra Emanuela e Sabrina Minardi (Scarano), ex
moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e amante di Enrico De Pedis (Scamarcio), boss della
Banda della Magliana che ha gestito il malaffare della Capitale finendo poi sotto i colpi di un gruppo rivale.
Alla sua morte, Renatino verrà sepolto nella Basilica di S. Apollinare, accanto alla scuola di musica
frequentata da Emanuela. La ragazza, stando alla testimonianza della Minardi, dopo essere stata
sequestrata dalla banda della Magliana su ordine dell'allora capo dello Ior (Istituto per le Opere di
Religione), monsignor Marcinkus, è stata uccisa e il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, gettato in una
betoniera a Torvajanica. Scamarcio ha voluto prendere parte al film «per il suo approccio serio e rischioso,
al quale Faenza si è accostato con coraggio e capacità. Un autore puntuale che cerca di accertarsi della
veridicità o plausibilità dei fatti». Per la Scarano (che in molte scene del film vediamo recitare perfettamente
invecchiata) Sabrina Minardi è «personaggio incredibile. Era una ragazza ingenua, vittima e amante di De
Pedis che, da donna ormai matura e con il peso dei suoi peccati, ha deciso di redimersi e fare i conti con
ciò che è stata». La pellicola - da cui è stato tratto il libro «La verità sul caso Orlandi» del giornalista Vito
Bruschini, in uscita come il film il 6 ottobre - si chiude puntando i riflettori su un dossier secretato della
Santa Sede sul caso Orlandi, mai stato consegnato alla magistratura italiana. «Perché il Vaticano non lo
tira fuori? Cosa c'è dentro?» si domanda Faenza. Per il regista, Bergoglio può essere la soluzione: «Il
Pontefice crede nella trasparenza, sono convinto che nel giro di un mese qualcosa salterà fuori. E spero
che il mio lavoro riuscirà a far percorrere quel metro di strada che manca per arrivare alla verità».
Foto: Nelle sale da giovedì 6 Una scena del film con Maya Sansa nei panni di una giornalista Sotto Greta
Scarano
ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 30/09/2016 - 30/09/2016
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La verità sta in cielo
30/09/2016
Pag. 28 N.475 - settembre 2016
diffusione:20000
tiratura:25000
Il modo di Sky per raccontare le storie
L'evento di settembre, il terzo dell'anno dopo i due sportivi, Sky lo dedica alla pubblicità e ai clienti
dell'advertising, ma è ormai diventato un momento imperdibile di networking anche per le case di
produzione di cinema e programmi tivù più ambiziose del nostro scenario. Stavolta, oltretutto, era fresca la
notizia che Sky deterrà il 60% della nuova società di distribuzione cinematografica del nostro Paese,
affidata alla guida di Nicola Maccanico, attuale direttore generale di Warner Bros Italia, e che (ma il
progetto è aperto ad altri player) il restante 40% sarà suddiviso tra le case di produzione
indipendentiCattleya ('Gomorra', ma anche 'Romanzo criminale', tra le operazioni chiave firmate per Sky),
Indiana Production, Italian International Film, Palomar (partner della pay in 'Delitti del BarLume', nei film di
Walter Veltroni e ora in 'Piuma', presentato a Venezia) e Wildside ('The Young Pope', 'In Treatment', le
prodezze di Corrado Guzzanti; due film di Natale della pay sono stati firmati dalla società di Fremantle
animata da Lorenzo Mieli e Mario Gianani). Per i partner più 'caldi' della piattaforma guidata da Andrea
Zappia e, in particolare, per i più costanti interlocutori del ramo aziendale di cui è vice presidente Andrea
Scrosati, si possono dischiudere orizzonti internazionali di visibilità altrimenti difficili da inquadrare. Il
successo fuori dai nostri confini di 'Gomorra', le critiche positive a Venezia per 'The Young Pope' e 'Piuma',
ma anche l'effervescenza di Sky Arte (con l'hub continentale tematico della pay tv europea di Rupert
Murdoch che ha in Ballandi Arte un partner efficace) sono simboli di questo speciale status conquistato da
Sky. Così agli Upfront 20162017, tenutisi come l'anno scorso al Teatro degli Arcimboldi di Milano, è stato
soprattutto l'intrattenimento, insieme alle novità 'tecnologiche' legate all'offerta commerciale, a occupare più
spazio sotto i riflettori e il focus delle diverse conferenze stampa prima della serata di gala. Lo spettacolo
che ha fatto da cornice (curato da Dry, neonata partecipata da Banijay) ha avuto in Alessandro Cattelan un
cerimoniere disinvolto, in un mercoledì che coincideva come l'anno passato con l'esordio della Juventus in
Champions League, esclusiva Premium. Nel carnet di titoli di serie e intrattenimento presentati, da
registrare (oltre al citato 'The Young Pope' e alla terza stagione di 'Gomorra - La serie') anche l'operazione
'The Comedians', con Frank Matano e Claudio Bisio, ma soprattutto il decollo del 'Racconto del reale', un
ciclo di 18 film costruiti con materiali grezzi e fuori formato e senza troppe mediazioni (tra i titoli: 'Ultimo
Stadio', 'Come è profondo il mare', 'Papa Francesco Social Network', 'La fabbrica fantasma' e tanti altri) con
cui Scrosati vuole diventare laboratorio e riferimento anche per i nuovi linguaggi. L'offerta d'intrattenimento
'leggero' coprirà tutta la stagione molto densamente con 'X Factor', 'MasterChef Italia', 'Edicola Fiore' (50
puntate), 'Celebrity MasterChef Italia', 'Hell's Kitchen, 'E poi c'è Cattelan' (da quest'anno in versione
quotidiana). Aggressiva anche la proposta di Tv8 con l'Europa League e la MotoGP, oltre che con la novità
autunnale 'Kid's Got Talent' con Claudio Bisio e Lodovica Comello. In pista quindi, a stare a questi titoli, ci
saranno soprattutto i giganti Fremantle, Endemol Shine (controllata da 21st Century Fox), Banijay-ZodiakMagnolia. Argomento chiave - sia nel discorso dell'ad Andrea Zappia sia in quello di Daniele Ottier, alla
guida della concessionaria - è stato l'avvio dei test di AdSmart (notizia anticipata a luglio da Prima ), il
sistema di erogazione delle campagne pubblicitarie con cui Sky Media (che cresce più del 20% nel primo
semestre del 2016) promette di far avverare anche in televisione il mito della pubblicità personalizzata. Il
decoder di My Sky da gennaio in poi garantirà agli spender la possibilità di raggiungere l'abbonato della pay
che è più funzionale alle loro esigenze di comunicazione e per il numero di volte che sembra opportuno,
alla stessa maniera (o quasi) con cui la garantisce un 'adserver' che gestisce la pubblicità online. Le
prestazioni di My Sky, in particolare la possibilità di raggiungere porzioni molto precise della nostra
penisola, dovrebbero essere messe al servizio anche della neonata alleanza distributiva. L'idea, lanciata da
Zappia nell'annunciare il varo della società ancora senza nome, è che grazie alla potenzialità tecnologica di
AdSmart si allarghi la penetrazione delle prime cinematografiche. "Possiamo garantire una distribuzione
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selettiva. Possiamo rendere disponibile un titolo on demand solo dove non esce in sala". Emanuele Bruno
Foto: 1) Effetti speciali sul palco del Teatro degli Arcimboldi, che ha ospitato gli Upfront di Sky, presentati
da Alessandro Cattelan; 2) Andrea Zappia, ad di Sky; 3) Andrea Scrosati, vice presidente e capo dei
contenuti di Sky; 4) Daniele Ottier, responsabile della pubblicità di Sky; 5) Jude Law, protagonista di 'The
Young Pope', la serie tivù firmata da Paolo Sorrentino e coprodotta da Sky, Hbo e Canal+.
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Meno burocrazia, più fantasia
Ilaria Dallatana, da marzo direttore di Rai2, sta cercando di costruire una rete non ingessata, con una
commistione di cose alte e basse e con nuove modalità di narrazione per parlare a target diversi. Tra le
novità del palinsesto una forte linea informativa, con i programmi di Santoro e di Sortino, e il ritorno in
grande stile della fiction , con quattro nuovi progetti
"Q ualsiasi cosa fai si presta a una strumentalizzazione mediatica. Per quanto me l'aspettassi, non pensavo
fosse una cosa così dirompente. Come le polemiche sugli stipendi: considero il mio un buono stipendio
(300mila euro: ndr), ma prendevo di più prima e non dovevo vivere a Roma, e non avevo questo carico di
responsabilità. Per esempio, la chiusura di 'Virus', nata da una mia esigenza molto sentita di innovare il
linguaggio dell'informazione. C'è stata una reazione violenta che mi ha colto di sorpresa perché, secondo
me, sto solo facendo il mio mestiere". Stacanovista, adrenalinica, e molto determinata, Ilaria Dallatana, da
marzo direttore di Rai2, è la sacerdotessa di una sola religione: la televisione e il suo prodotto. Ex Mediaset
, ex Magnolia, alla Rai si sta muovendo con la libertà di testa che la caratterizza. Per questo ha già fatto
cose strane, mai successe prima: si è comprata direttamente un format che le piaceva da anni e che
vedremo presto in onda, e poi l'ingaggio di Mika, una star internazionale che stava a Sky, al debutto su
Rai2 l'8 novembre. La intervistiamo mentre ha le valigie pronte per andare in vacanza, e ci racconta
l'impatto di questi primi mesi. "Un po' ambivalente", dice. "La sensazione bella è stata vedere tanto
entusiasmo in questa corsa a fare i palinsesti. Mettere in opera tanti programmi nuovi e rimaneggiamenti
strutturali di programmi vecchi riguarda un comparto enorme di settori e, se ci stiamo riuscendo in tempi
così rapidi, è perché tutta l'azienda, vecchi e nuovi senza distinzione, ha pedalato in questa direzione".
Prima - Che cosa invece non le è piaciuto? Ilaria Dallatana - Quello che non va è come funziona ancora la
Rai. Per una stratificazione di procedure e modalità operative si è creata una burocrazia tale che rischia di
farti perdere l'obiettivo del tuo lavoro. Prima - Lei come direttore di rete ha un potere per sveltire un po' le
procedure e saltare qualche passaggio? I. Dallatana - Dal momento che la semplificazione di alcuni iter
amministrativi è un obiettivo del nuovo corso della Rai, con i colleghi di altre direzioni ci stiamo muovendo
moltissimo e in maniera orchestrata per fluidificare le procedure e alcuni passi avanti sono stati fatti. Prima Per esempio? I. Dallatana - È stato accettato che, quando una rete decide di fare un programma appaltato
all'esterno, sia presente alla discussione del budget con il produttore anche la rete e non solo la direzione
Risorse Tv, che ha peraltro condiviso pienamente il cambiamento. Questo a protezione del prodotto. Chi fa
il programma ha una visione di quello che si andrà a fare e sa meglio di tutti su quali parti è necessario
investire di più e quali invece si possono anche tagliare. Prima - E poi? I. Dallatana - Ora stiamo facendo un
lavoro di amalgama con la struttura che ingaggia star, presentatori e ospiti. Anche qui per semplificare e
perché dobbiamo essere un team che lavora per rendere il prodotto editorialmente il più accurato possibile.
Prima - Si cominciano a vedere dei risultati di questa condivisione dei compiti? I. Dallatana - Qualche
giorno fa (il 29 luglio: ndr) c'è stata la presentazione ai manager di Mika della campagna di promozione
dello show. Abbiamo fatto un figurone. L'agente americano è rimasto sorpreso. Un progetto fatto benissimo
e nato dal coinvolgimento di vari settori, dalla Promozione agli Eventi, dal Marketing al Digital. Quest'ultimo
ha sviluppato l'idea di una campagna che forse lanceremo nello show, una cosa che non si è mai vista in
tivù. Un approccio impensabile solo qualche mese fa. Prima - Tra le cose che non si erano mai viste c'è
che lei ha comprato direttamente il format 'Collegio', l'altro programma inedito della prima serata
dell'autunno che sarà prodotto da Magnolia. I. Dallatana - È successo che il format era tornato disponibile
sul mercato, e mi è sembrato sbagliato decidere a priori chi lo potesse fare meglio, chiedendo al
distributore di venderlo a questo o quel produttore che poi lo avrebbe adattato per la rete. Ho provato a
seguire la via lineare che seguono normalmente Sky, Discovery e Mediaset, e cioè comprare il for mat e
affidarlo poi a un produttore in base all'offerta più convincente. Prima - Per la Rai azienda pubblica deve
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essere stato un impazzimento. I. Dallatana - All'inizio penso che internamente mi abbiamo odiato tutti, ma
quando alla fine siamo riusciti a comprarlo, è stata una grande contentezza collettiva. Prima - Siamo al
battesimo del fuoco della sua Rai2: ci sono parecchi programmi inediti di prima e seconda serata, ma
l'ossatura del palinsesto è rimasta quella di prima. I. Dallatana - La prima cosa che ho detto a Campo
Dall'Orto è che nel caso di Rai2 dobbiamo abbandonare la coerenza. Non essendo una rete che ha un
radicamento forte su alcuni target, come Rai1 o Canale 5 o Italia 1, non può rinunciare ad andare a pescare
col miglior prodotto possibile il pubblico che in quel momento c'è davanti alla tivù. Prima - Come immagina
la sua Rai2? I. Dallatana - Non voglio una rete ingessata e mi piace la commistione di cose più alte e più
basse. Non vorrei fare mai una rete 'fighetta' o che disdegna ciò che fa ascolto. Ci sarà un po' di cherry
picking, per cui ognuno si andrà a comporre un menu personale: alla signora che guarda il pomeriggio non
interessa cosa mandiamo in onda in seconda serata, ma ho bisogno di entrambi i target per svolgere la mia
funzione di servizio pubblico. Prima - Mi ha colpito che la vera novità del suo palin sesto sia di ripristinare
una forte linea informativa. Al posto di Nicola Porro ci sarà 'Nemo. Nessuno escluso', ideato da Alessandro
Sortino, e avete ripreso Michele Santoro, che aveva lasciato Rai2 nel 2011. I. Dallatana - Mi sono messa
da subito a ripensare l'informazione. Un po' perché c'è la richiesta forte all'azienda di cambiare il linguaggio
del talk, ma soprattutto perché, se dovevo innovare, sentivo di dover partire da qui: la cifra dell'innovazione
profonda è riuscire a intercettare qualcosa che corrisponde al racconto del Paese. Prima - Con 'Nemo.
Nessuno escluso' la sua strada si incrocia di nuovo con Sortino con cui ha collaborato a Magnolia. I.
Dallatana - Cercavo un'idea partendo da un ragio namento un po' cerebrale: c'è una fetta di popolazione
adulta, ma un po' più giovane di chi guarda i talk, che non ne può più dell'informazione mediata dalla
chiacchiera e, parallelamente, su Internet c'è un esercito di gente di tutte le età che va alla ricerca di filmati
che raccontano il sociale, dalle candid camera ai filmati immersivi. In quel momento è arrivato Sortino, che
stava lavorando con Fremantle a un progetto per portare l'immersivo in prima serata, e mi è piaciuto molto.
Prima - L'immersivo è una modalità di narrazione che presuppone che il reporter abbia fatto un'esperienza
diretta della realtà che racconta. Saranno quindi filmati di lunga produzione? I. Dallatana - Sì, nella grande
maggioranza. Abbiamo però costruito il programma come un vero e proprio show. Unendo l'idea
dell'immersivo alla presenza in stu dio di persone che racconteranno in pochi minuti, un po' come in una
conferenza del Ted, la loro esperienza legata al tema della puntata. Si chiama 'Nessuno escluso' perché ci
saranno temi più pesanti o più leggeri, e potrà venire chiunque, anche un comico, a fare uno stand up.
Prima - Sarà un show targato 'Le Iene'. Se l'ex iena Sortino fa il direttore d'orchestra, arriva Enrico Lucci,
che dopo vent'an ni lascia il programma di Italia 1 per unirsi al vostro progetto. I. Dallatana - Sono molto
contenta. Enrico farà la conduzione in studio, ma il senso è di averlo dentro il progetto, quindi farà anche
altro. Con lui ci sarà anche Valentina Petrini, ex inviata di 'Piazzapulita'. Prima - Mi diverte pensare che a
riavvicinare Santoro alla Rai sia stata lei, che neppure lo conosceva. I. Dallatana - Per me Santoro è il
simbo lo dell'informazione di questa rete, e soprattutto mi piace moltissimo la maestria sua e della sua
squadra nel documentare la realtà Paese come nessun altro. L'intesa è stata molto veloce. Prima - Qual è il
progetto su Santoro? I. Dallatana - C'è un accordo di un anno per alcuni speciali di prima serata: due
quest'anno e quattro a pri mavera. Il primo debutterà subito, agli inizi di ottobre. Si tratta di speciali in diretta
che stiamo ancora mettendo bene a fuoco, la cui ossatura è costituita da docufiction appositamente girate.
Saranno serate happening a cui parteciperanno esponenti della società civile. Le due puntate finali di
primavera potranno diventare il lancio di un nuovo concept da studio che Santoro sta disegnando. Prima Arriva in Rai Mika, un personaggio del tutto nuovo, con quattro puntate in autunno e quattro in pri mavera. I.
Dallatana - Un'operazione che abbiamo condotto bene. Mika aveva già deciso di non rifare 'X Factor'.
Aveva voglia di uno show tutto suo e aveva cominciato a mettere in piedi un format in Francia. Ho pensato
che Rai2 potesse essere in questo momento la sua casa ideale. Prima - La Gialappa's resta per altri due
anni alla Rai per fare a Rai2 'Quelli che il calcio' e un'inedita seconda serata. Teo Mammuccari, invece, le
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ha dato buca. I. Dallatana - Una storia che ancora mi fa girare le scatole. Con Teo avevamo iniziato le
trattative ad aprile, perché lo vedevo bene in un programma di seconda serata tratto da un formato
francese molto divertente. Ho preso accordi con il suo agente, Lucio Presta, ci siamo incontrati con Teo che
sembrava credere nel progetto e ci siamo accordati per un contratto di un anno che non poteva firmare
prima della scadenza a fine agosto di quello con Mediaset. Invece è rimasto là. Prima - La sua stagione
segna an che il ritorno in grande stile della fiction su Rai2, che si apre con il vice questore Schiavone
interpretato da Marco Giallini. Quanta ne vuole di fiction, e che di che tipo? I. Dallatana - Sono avida e ne
vorrei tanta. A prima vera non credo che avremo tutti i pezzi per coprire una serata fissa settimanale, come
avverrà dal prossimo autunno. Al momento abbiamo in sviluppo quattro progetti, ma posso solo dirle che
con Tinni Andreatta abbiamo escluso la comedy pura, troppo ghettizzante, e infatti stiamo lavorando su un
concept che mischia la comedy con altri filoni. Cercando poi cose che vadano più sul maschile,
continuiamo col crime, ispirato maga ri a fatti reali molto aggressivi. Prima - La tavola è imbandita: quale
obiettivo d'ascolto spera di raggiungere? I. Dallatana - Un obiettivo che sia sostanzialmente in linea con il
risultato dell'autunno scorso. Rai2 è soggetta a qualsiasi genere di tempesta: a volte le fa male Italia 1, a
volte Canale 5 o Rai1; in più bisogna tenere sotto controllo la crescita dell'8 e del 9. La partita della
coprogrammazione sarà un gioco complicato. E non mi muovo da sola. Siamo un gruppo, e c'è l'esigenza
di far dialogare almeno le quattro reti principali, e Rai1 comanda. Intervista di Anna Rotili
Foto: Ilaria Dallatana, direttore di Rai2 (foto Alfonso Catalano/SGP).
Foto: 1) Alessandro Sortino condurrà su Rai2 'Nemo. Nessuno escluso'. Il nuovo programma
d'informazione dell'ex Iena prende il posto di 'Virus' di Nicola Porro, migrato a Mediaset per la seconda
serata di Canale 5. 2) Il cantante libanese Mika (al secolo Michael Holbrook Penniman) avrà uno show tutto
suo da novembre su Rai2: un viaggio musicale attraverso il Paese che lo ha adottato, l'Italia. 3) Ilaria
Dallatana, direttore di Rai2, con Costantino della Gherardesca, conduttore di 'Pechino Express'. La nuova
edizione del reality show, gradito soprattutto dal pubblico giovane, ha debuttato il 13 settembre facendo
oltre il 13% di share. 4) Michele Santoro (a destra) con Carlo Freccero. Santoro torna su Rai2 con sei
speciali in prima serata in diretta. Il primo andrà in onda all'inizio di ottobre (foto Olycom).
Foto: 1) La Gialappa's: Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci; 2) Il vice questore Schiavone
interpretato da Marco Giallini; 3) la redazione di 'Sunday Tabloid', in onda la domenica alle 19. In piedi da
sinistra: la conduttrice Annalisa Bruch, Alessandra Mattirolo, Isabella Angius e Francesco Calderola.
Seduti: Alberto Puoti, Mario Sechi e Pia Zorzi, il regista Danio Spaccapeli e, in primo piano, Giulia Foschini.
In squadra anche Aldo Cazzullo e Dario Vergassola.