Sognando San Siro
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Sognando San Siro
EXTRA TIME SPAGNA INGHILTERRA Siviglia vola con Vitolo. Che chiama la Roja L’Everton salvi la Regina e il ranking Uefa 5 FRANCIA Ibrahimovic diventa un caso politico 5 6 1Viaggio in Sicilia nei centri di accoglienza, tra i migranti che vedono nel calcio un mezzo d’integrazione e un obiettivo di vita 1 Con indosso le maglie dei club italiani e stranieri, appena sbarcati, a ET dicono: «Voglio diventare professionista» o «Una volta nella vita desidero andare allo stadio di Milano» Andrea Luchetta alle pagine 2-4 Sognando San Siro Settimanale di calcio internazionale [email protected] - @etgazzetta Martedì 17 Marzo 2015 Numero - 170 CANADA BHUTAN Donadel: «Qui, a Montreal, per la Champions» La nazionale di Thimphu per la storia 7 7 2 EXTRATIME REPORTAGE La palla pr messa 1Siamo andati in Sicilia tra i migranti per scoprire come il calcio è visto quale àncora di salvezza e si è fatto veicolo del mito europeo 1E appena sbarcati dai barconi, con le maglie dei club italiani o stranieri indosso, raccontano: «Voglio diventare professionista da voi», «Io posso fare anche meglio di Balotelli» o ancora «Almeno una volta nella vita voglio vedere San Siro» Andrea Luchetta da Lampedusa, Augusta, Siracusa, Palermo, Catania e Caltagirone E’ notte e freddo, quando la gru della nave Dattilo cala l’ultima bara sulla banchina del porto di Augusta. Tre uomini con tuta bianca e mascherina caricano il feretro in un furgone. Dieci corpi ripescati e decine di punti interrogativi: «Credi davvero che siano affogati solo loro?» sferza la delegata di un’ong. Il primo a darle ragione è un padre di Damasco, sbarcato assieme a tre bambini. Racconta che in mezzo al Canale di Sicilia è scomparso il suo figlio più piccolo, un bimbo di due anni. Impossibile stabilire il numero dei dispersi, stimato intorno alle 50 persone. Badr, un ragazzo marocchino, ci descrive scene infernali: esistono prima e seconda classe anche su quei catorci, e troppo spesso la differenza la fa un salvagente in vendita per 50 euro. «Gli africani non hanno i soldi per comprarlo e non sanno nemmeno nuotare. Quando il gommone si è rovesciato chi non aveva il salvagente si è aggrappato a chi lo indossava, finendo per trascinarlo con sé». I 439 sopravvissuti vengono condotti in una tendopoli nel porto. Stanno in fila per la cena, sulle spalle una coperta di lana grezza per combattere l’umidità che ha vinto le ossa dopo giorni di mare. Un gruppo di palestinesi guarda incuriosito. I FLUSSI MIGRATORI VERSO L’ITALIA Sofia Istanbul TURCHIA MALTA TUNISIA Ouargla SIRIA Bengasi Damasco Tripoli IRAN gli sbarchi in Italia nei primi 2 mesi 2015: per un totale di 7.882 persone, +2.376 rispetto a gennaio-febbraio ’14. Per le stime Unhcr sono stati 3.538 i morti nel 2014 nel Canale di Sicilia Islamabad PAKISTAN Sebha LIBIA EGITTO ARABIA SAUDITA Djanet NIGER Port Sudan Selima MALI RICHIEDENTI ASILO FEBBRAIO 2015 Agadez Bamako SUDAN Kano Gambia 835 NIGERIA SUD SUDAN Senegal ETIOPIA 663 Juba Nigeria 656 SOMALIA GAMBIA COSTA D’AVORIO Mogadiscio Kampala GHANA Pakistan 511 Nairobi KENYA «Totti selfie, Inzaghi offside...» Appena sentono la parola «calcio» distendono il sorriso più largo del mondo. Un ragazzo di 25 anni, una cicatrice sul collo che manco Tevez, comincia a saltellare frenetico: «Totti! Totti, selfie!» ride. «Inzaghi offside, Inzaghi offside! Ac Milan, Barbara Berlusconi!». È scappato dal Libano, orfano di padre («My father… Israel… bum bum bum»), e tale è l’entusiasmo che, dopo averci aggiornato sul risultato del Real Madrid, passa a elencare tutti i commentatori di Al Jazeera per il calcio italiano. A pochi centimetri due ragazzi ridacchiano imbarazzati. Farest ha 23 anni, è cresciuto in un campo per profughi palestinesi in Siria e a causa della guerra ha abbandonato l’università: «Non volevo essere ucciso, né diventare un assassino». Educato, timido, racconta che nel naufragio sono scomparsi almeno sette bambini. Il gommone si è rovesciato dopo l’aggancio a un mercantile giunto AFGHANISTAN Cairo ALGERIA SENEGAL Kabul Baghdad IRAQ Ucraina 498 dati Ministero degli Interni per i soccorsi. Contagiato dall’entusiasmo del vicino, Farest confessa un debole per Totti e il Barcellona. La prima partita che ricorda è Francia-Brasile 3-0, finale del Mondiale 1998. «Quando ha vinto il Brasile...» aggiunge un amico. Come il Brasile? «Noi tifavamo per loro: sai, avevano Ronaldo». Nel quarto d’ora scarso che trascorriamo fra le tende, facciamo in tempo a vedere un ragazzo con la maglia del Milan, un altro con una felpa del Barça e un terzo che indossa scarpe da calcetto: tutto ciò con cui hanno affrontato sole e sale, deserti e mari. Il Milan di Aliou «Nel deserto eravamo in 26, siamo arrivati in 13». Aliou è un ragazzo tranquillo, dallo sguardo dolce. Lo incontriamo in un centro di prima accoglienza per minori a Caltagirone. È tornato prima dal campetto in cui decine di ospiti ridono e litigano, chi esultando come Cristiano Ronaldo e chi giocando scalzo o quasi. «Non saprei dirti in che modo amo il Milan - racconta emozionato, governando a stento la voce -. Rappresenta un sacco di cose per me, è un po’ il sentimento che un padre deve provare per un figlio». Spinto dalle difficoltà materiali e da un sogno segreto, un giorno ha lasciato il Senegal: Mali, Burkina Faso e poi Niger, per attraversare il Sahara e raggiungere la costa libica. «Abbiamo passato 9 giorni nel deserto, ci eravamo persi. Per tre e mezzo siamo rimasti senza cibo e senza acqua. Era tutto finito: il pick-up rotto, abbandonato dal trafficante, e noi lì. C’era una bottiglia da un litro e mezzo per cinque perso- La Champions come Hollywood Dopo giorni di burrasca i nuovi arrivi in Sicilia erano attesi col fatalismo di un’onda. Il 2015 si annuncia come nuovo anno dei record: al primo marzo sulle coste italiane sono sbarcate 7.882 persone, il 43% in più rispetto allo stesso periodo del 2014 (5.506), concluso con oltre 170 mila arrivi (circa quattro volte quelli del 2013, quasi 43 mila). Inevitabile, in una fase storica in cui per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale più di 50 milioni di persone si trovano costrette a lasciare la propria casa, e le istituzioni della principale base di partenza per l’Italia, la Libia, sono collassate sotto il peso della guerra civile in corso da quattro anni. Scopo del nostro viaggio è capire quanto il calcio ha inciso nella formazione dell’immaginario di questi uomini. In che misura la Champions League si è fatta veicolo del mito europeo, un po’ come Hollywood per l’America, contribuendo a scolpire le attese per cui questi giovani hanno sfidato il Sahara, i predoni e il Mediterraneo. Una domanda che ci porterà a girare per mezza Sicilia e oltre, da Palermo a Lampedusa. Dei migranti ospitati nella chiesa del Santo Curato d’Ars, Palermo mila e 128 i migranti presenti in Italia a febbraio 2015 nelle strutture temporanee, Cara e Sprar: in Sicilia sono 13.999, il 21 per cento del totale MARTEDÌ 17 MARZO 2015 LA GAZZETTA DELLO SPORT 1 La squadra più CARA «Ma il razzismo c’è» 1Il Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Mineo, il più grande in Europa, ha messo su un team che dal 2013 partecipa ai campionati Figc1«Non tutti ci accolgono bene»1E alcuni rifugiati lavorano in nero come braccianti Andrea Luchetta a Mineo 2 3 ● 1) In campo a Lampedusa; ● 2) in preghiera a Mineo (Catania); ● 3) un ospite del centro di Lampedusa (foto Reuters, Afp) 4 5 ● 4) Un profugo juventino sbarca al molo Ronciglio di Trapani (foto Ipp). ● 5) Una maglia azzurra fra i superstiti di uno sbarco a Porto Empedocle (Agrigento) ● 6) Un papà in bianconero dà da bere al suo bimbo ad Augusta (Siracusa). ● Sotto, uno dei ragazzi del Centro Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) di Mineo 6 (foto Lapresse) 3 A l 70’ della gara contro il Real Picanello, Seconda categoria, V. crolla e cede ai singhiozzi. I ragazzi del Cara Mineo hanno appena subito il terzo gol: finirà 2-3, in un crescendo di grida e proteste. Il Cara di Mineo (3.200 ospiti quando lo visitiamo) è il centro d’accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa, e dal 2013 partecipa ai campionati Figc. Il direttore Sebastiano Maccarrone ci assicura che il solo obiettivo è regalare un sorriso ai ragazzi: ma nella parte di gara cui assistiamo non troviamo tracce di questi sorrisi, né dei connotati da favola con cui la stampa di mezzo mondo ha descritto la «Nazionale dei rifugiati». I ragazzi giocano con foga, con un’urgenza che incendia. Troviamo, questo sì, la complicità di un gruppo vero e l’empatia dei due operatori-allenatori, Giuseppe Manzella e Gianluca Trombino. «Barbara, voglio il Milan» B., il portiere, è fuggito dal Gambia per ritrovarsi schiacciato in un pick-up nel Sahara, «impacchettato come merce», mentre i trafficanti picchiavano i vicini. Il viaggio è durato più della scorta d’acqua. Poi la Libia, le violenze e un barcone malconcio: storia comune ai suoi compagni di spogliatoio, a iniziare dal concorrente per la porta, Baca, un ragazzo di 21 anni con treccina alla Taribo West: «Cosa dici, io sono solo Baca!» ride, lanciando un appello a Barbara Berlusconi: «Barbara, sto arrivando! Voglio giocare per il Milan, perché non potrei essere meglio di Abbiati? Voglio firmare un contratto a vita!». Uno degli obiettivi della squadra è favorire l’integrazione: non sono mancati i problemi, come nella struttura. A fine febbraio i carabinieri sono dovuti intervenire dopo 90 minuti di botte e insulti - anche a sfondo razziale, denunciano i giocatori. «Molta gente nel territorio siciliano non ci accoglie bene», dice Trombino. «Gli episodi di razzismo sono capitati, anche se quest’anno meno della stagione precedente». Il Residence di Sigonella ne: abbiamo bevuto un sorsetto tre volte al giorno», dice, stringendo pollice e indice per indicare una quantità minima. «Ci ha raccolti una pattuglia della polizia, siamo andati ad Agadez, nel Niger, e là abbiamo dovuto pagare di nuovo per riprendere il cammino. Ma nel Sahara non è stato peggio della Libia»: un anno e mezzo a spaccarsi la schiena nei cantieri, per subire quattro rapimenti e vedersi rubare i dinari risparmiati per il Mediterraneo. Non ti è mai venuta voglia di tornare a casa? «Mai. Ho deciso di venire in Italia per integrarmi e almeno un giorno - almeno un giorno – andare a San Siro a vedere il Milan. Amo il Milan, amo il Milan», ripete veloce, incespicando sulle parole più ancora di quando ricorda il Sahara. Ti piacerebbe diventare calciatore? «Non so cosa mi riservi il destino. Ma almeno una volta voglio vedere San Siro. È il sogno che più mi è caro al mondo, te lo dico dal fondo del cuore». Dopo il deserto, quattro giorni di mare, di cui ricorda soprattutto il freddo. «Col Milan ho imparato ad amare l’Italia: non so se sono mai stato felice come il giorno in cui ha vinto il Mondiale». «Pirlo deve continuare altri 30 anni, perché mi piace. Quando entrerà in campo a 60 anni dimostrerà ancora di sapere il fatto suo». Renzi l’interista Fra i suoi compagni non si contano quelli convinti di poter diventare professionisti. Slavin, gambiano di 17 anni, adora Muntari con buona pace di Salvini. Non credi che faccia troppi falli? «No, a centrocampo bisogna entrare duro», sorride un po’ imbarazzato. Definisce «tumultuoso» il suo viaggio, cominciato quando di anni ne aveva 15: una settimana nel deserto, i compagni che vomitavano sangue, un anno d’inferno in Libia («non voglio parlarne, alcune cose vanno tenute per sé»), e una traversata in balia delle correnti, stretto fra 100 profughi su un gommone malandato di dieci metri e poco I MIGRANTI SBARCATI IN ITALIA 170.100 dati Ministero degli Interni INIZIO CONFILITTO IN LIBIA 42.925 64.261 36.951 22.939 2005 22.016 20.455 2006 2007 2008 9.573 4.406 2009 2010 13.267 2011 2012 2013 2014 più. Simpatizza per il Milan, ma tifa Manchester United, e in Gambia consacrava il weekend al calcio europeo. Dice di essere partito, oltre che per problemi di cui preferisce tacere, «per soddisfare la mia ambizione di diventare professionista». Calcio a parte, dell’Europa conosceva «i diritti umani». Sai chi è Silvio Berlusconi? «Certo, quello del Milan». E Matteo Renzi? «Come no! Gioca nell’Inter». La gara più bella, ricorda distendendo i lineamenti, è la finale ale di un torneo locale che la sua squadra ha vinto 2-0. Abdoul e Supermario gazzo Fra questi sognatori svetta un altro ragazzo gambiano, Abdoul, e non solo per l’altezza za da prima punta. Stupisce la determinazione robon tono tica con cui parla della sua «carriera». Un sogna al titanio, inattaccabile, al punto che bisogna ovare sforzarsi di guardarlo negli occhi per ritrovare ra un il lampo del ragazzino. Per gli altri è ancora gioco, per lui una missione, e si capisce dalla uro e serietà con cui si muove sul campo, maturo intelligente, mentre i compagni si fanno risucsciuto chiare dalla palla. Nel vivaio in cui è cresciuto lrooy. lo paragonavano all’olandese Van Nistelrooy. erico«Sono partito perché la mia vita era in pericodi che lo». Orfano di padre, investiva i pochi soldi ma a gli passava la madre per andare al cinema vo raguardare le gare europee, «e quando vedevo gazzi di 16 anni mi dicevo: wow, posso farr mento. Il glio di loro, quando arriverà il mio momento. hara, calcio è la mia vita». Quattro giorni nel Sahara, due senza bere, «pensavo che sarei morto», ma il peggio doveva ancora venire. Continua a pagina 4 L’ingresso del centro è guardato a vista da un gruppo di soldati. Il Cara sorge nel «Residence degli aranci», un complesso che fino al 2010 ospitava i militari Usa di stanza a Sigonella. Le vie conservano nomi come «Constitution Avenue» e nessuno ha abbattuto le reti con filo spinato. Gli ospiti sono liberi di uscire, ma la domanda è per andare dove: la struttura è isolata is nei pressi della statale. D Difficile integrarsi, quando il pa paese più vicino è così scomod raggiungere. Non lo sono do da però gli ettari di campi intorno r al residence. Nuccio Valenti ( (Flai Cgil) denuncia a ET: «2-300 ospiti del centro lavorano in nero come braccianti, e non sono a alieni a fenomeni di capora ralato. I proprietari li pagano 10-15 euro all’ora, contro i 60 di un bracciante in regola». Non l’unica ombra che lam lambisce la struttura, in cui nel dicembre 2013 si è tolto la vita un ragazzo eritreo. Il Cara è tornato al centro delle cron cronache negli ultimi giorni: il pres presidente dell’autorità Anticorru corruzione, Raffaele Cantone, de ha definito «illegittima» la gad’a ra d’appalto per gestirlo; le indagin della procura di Catania dagini coinv coinvolgerebbero anche il sottoseg tosegretario all’Agricoltura Giuse Giuseppe Castiglione (Ncd). © RIPRODUZIONE RISERVATA 4 EXTRATIME MARTEDÌ 17 MARZO 2015 LA GAZZETTA DELLO SPORT REPORTAGE L’ex pro gambiano Lamin: «Calcio o morte» a.luch. Uno scorcio delle abitazioni del Cara di Mineo. S rompendo una finestra. «Dio ci ha aiutati: se ci avessero visti saremmo morti». Michael tifa Bayern u quei barconi fragili come conchiglie sono partiti anche dei professionisti, per quanto abituati a standard ben diversi da quelli europei: 20 euro al mese, un paio di bonus, al massimo un posto nell’esercito. In estate la Caritas di Palermo ha allestito una squadra niente male, a giudicare dal curriculum degli ospiti. Il più timido è Tamba, difensore di 18 anni, nome di battaglia «Pablo» in onore di Sorin, di cui si è innamorato al Mondiale 2006. Tifa Manchester United come Lamin, mediano di 19 anni, aria spavalda e una stagione nella A gambiana per 20 euro al mese. In Italia cosa vuoi fare? «Calcio o morte», dice ridendo. Per lui deserto significa il gelo patito a dormire sulla sabbia, in notti senza coperte. Poi un incubo libico di un anno e mezzo, fra guerra civile e polizia che arrestava per arraffare gli ultimi spiccioli: Lamin evade dal carcere di notte, Storia simile a quella di Michael, pure lui evaso, regista con una convocazione nell’Under 17. «Mi piace giocare la palla, come Pirlo. Alle nostre partite c’era pubblico, qualche migliaia di persone». Michael adora Effenberg e il Bayern, meno il tiki-taka di Guardiola: «Il Gambia è anglofono, si tifa per le inglesi. La prima partita che ho visto è stata la finale di Champions 1999: tutti per lo United, e così io ho scelto il Bayern. Nel mio villaggio non era arrivata l’elettricità, ci siamo spostati in un paese vicino. Alla fine ero triste: forse non era solo calcio, era la premessa di qualcos’altro». Facile vedere a posteriori quella tendenza a non allinearsi che 15 anni dopo lo porterà a fuggire, lui impegnato contro il regime di «Sua Eccellenza lo Sceicco Professor Dottor» Yahya Jammeh, capace di somministrare pozioni di allucinogeni a centinaia di donne accusate di stregoneria. Il più blasonato fra gli ex pro gioca al Cara di Mineo. S., difensore di 27 anni, ha sfiorato l’ingresso nella Champions con la squadra dell’esercito gambiano: «Vivevo in modo dignitoso, stipendio da sergente più bonus». Un giorno del 2014 lo avvisano che la polizia militare è sulle sue tracce: «Vengo dalla stessa tribù dell’ufficiale che nel ’09 tentò di rovesciare Jammeh. Molti commilitoni sono spariti nel nulla». Macina migliaia di km in poche settimane, e dopo il deserto spera di stabilirsi in Libia, ma i gruppi che danno la caccia ai subsahariani lo convincono a scappare: «Mentre salivamo sul barcone è cominciata una sparatoria violenta, ta-ta-ta-ta ovunque: molti sono fuggiti, noi siamo salpati». DECATREND di Alessandro de Calò PELÉ, IL BIAFRA BABY DONSAH E IL POTERE DEL CALCIO © RIPRODUZIONE RISERVATA 1Fra i profughi arrivati in Sicilia ci sono anche degli ex calciatori, che vorrebbero ora trovare club in Italia1 «Siamo evasi dal carcere di notte» 1 La palla pr messa Segue da pagina 3 Era il Mediterraneo, che lui si ostina a chiamare «fiume»: uno sbaglio candido, ingenuo, capace di svelare il terrore per l’ignoto che questi ragazzi hanno dovuto vincere. «Ohh, ecco… È stata così dura, amico… Voglio solo dimenticare». «Abbiamo visto un elicottero e poi per ore la barca ha continuato ad andare, ad andare, ad andare», si incanta sopraffatto. E da qui, dal terrore di finire inghiottito dall’acqua, nasce il sogno di Abdoul di giocare per l’Italia: «Voglio ringraziare gli italiani, hanno rischiato la vita per salvarmi. Se mi aiuteranno a trovare una squadra, prometto che li ripagherò. Vedo Balotelli di fronte a gente fantastica come Pirlo, De Rossi, Buffon - sospira speranzoso-. Ricordo i gol alla Germania all’Europeo nel 2012, e mi dico che se riuscirò a giocare per l’Italia potrò fare anche meglio di lui. La disciplina è tutto, se vuoi ottenere qualcosa». Da Boko Haram a Pirlo Pedro, nigeriano di 19 anni, ce l’ha a morte con Massimiliano Allegri. Lo incontriamo alla periferia di Siracusa, la sera dopo Juventus-Fiorentina di Coppa Italia (1-2): «La Juventus mi piace e adoro Pirlo: se ci fosse stato ieri sarebbe finita diversamente, sono molto arrabbiato», dice, abbandonando per un secondo l’aria guardinga. Pedro viene dal Nord del Paese, flagellato dagli attacchi dei terroristi di Boko Haram e dalla repressione dell’esercito. Ha perso il padre e due sorelle negli attentati degli islamisti, ed è partito più in fretta che poteva. Tre giorni nel deserto, stretto con altre ventisette persone su un pick-up, picchiato dai trafficanti «che ci trattavano come animali». Poi il «fiume» Mediterraneo, il «capitano» che scappa a nuoto poco dopo la partenza e la carretta che comincia a imbarcare acqua, tre giorni prima dei soccorsi. Da allora soffre di piccole emorragie. «Qualcuno sulla barca è svenuto, ma ci siamo salvati tutti. Se penso di trovarmi in Europa sono molto felice, anche se non ho altri vestiti e ora ho freddo. Amo il calcio da pazzi». Gioca ala sinistra, gli piace imitare il madridista Cristiano Ronaldo, ma la vera passione è il Barcellona: «Messi e Xavi sono incredibili». L’africano bianco «Bravo, africano bianco!», si sente gridare su un campo del Picanello, quartiere incastrato fra le case della Catania più popolare. L’africano bianco - chiamato dai compagni anche «extracomunitario» o «uomo nero» - è Simone Poma, centravanti e unico giocatore non di colore dello Sporting Africa United, prima squadra italiana creata e gestita da immigrati. Simone si muove a suo agio e a fine primo tempo aspetta che l’allenatore termini il monologo in cui alterna wolof, inglese e francese, per ricevere le sue istruzioni. Lo Sporting ha la calma del più forte, e rimonta un doppio svantaggio, per assicurarsi con un 3-2 la qualificazione ai playoff di Terza categoria. Bouba, l’allenatore di 38 anni, è uno spettacolo: pantaloni mimetici e cappellino da rapper, urla in quattro lingue, si agita, ride, protesta, senza mai risultare intimidatorio malgrado il fisico da peso massimo. «Il mio preferito è Simeone», abbozza a fine gare. Il modulo ideale? «Segreto». Questa squadra improvvisata è un osservatorio privilegiato. Ci permette di trovare nel calcio un filtro per leggere la quotidianità dei ragazzi sbarcati, per misurare la distanza che li separa dai sogni, e ci racconta qualcosa sulla nostra disponibilità ad accoglierli. Aram, difensore di 17 anni e una sicurezza fuori dal comune, viene dal Gambia. Preferisce non parlare del viaggio: « Mi sono buttato nel calcio anche per dimenticare il mio PAESI CHE OSPITANO PIU’ RIFUGIATI Dati Unhcr a giugno 2014 PAKISTAN LIBANO IRAN TURCHIA GIORDANIA ETIOPIA KENYA CIAD UGANDA CINA 100.000 1.616.500 1.181.500 982.100 824.900 736.000 587.700 537.000 454.900 358.500 301.000 2 passato e cominciare da capo. La mia vita ruota intorno allo sport, voglio diventare un professionista come Pirlo o Marchisio». Sogno coltivato sin da bambino, quando si stringeva nei cinema con altre centinaia di persone: «C’è caos, la gente grida, litiga: sai com’è, i tifosi del Barcellona vogliono sempre che il Real Madrid perda». Fra Senegal e Rosarno Il direttore sportivo Abdoulaye è già passato per i sogni di Aram. Ex trequartista di Serie A senegalese, innamorato del Barça e di Ivan de la Peña, è atterrato in Sicilia senza trovare squadra: troppi vincoli burocratici, e così è finito prima a vendere merce contraffatta e poi a raccogliere pomodori a Rosarno. «È dura. Dormi nelle tende, quando piove non c’è lavoro: la gente si fa 15 euro al giorno. Per 8 mesi siamo rimasti senza corrente e acqua calda. Ai padroni non fregava nulla se eravamo malati o stavamo giù di testa: o accetti o te ne vai, e a casa ci sono delle persone che aspettano il tuo aiuto». Il punto, per lui, sta tutto nelle attese: «I ragazzi in Africa sognano di partire. In tv vedono una vita da sogno, chi torna racconta cose meravigliose: non ti svegliano su che cos’è l’Europa davvero». Gli inizi dello Sporting non sono stati facili, e la dicono lunga sulla nostra apertura. «Abbiamo perso le prime 4-5 partite perché gli avversari ci provocavano, con cose del tipo “tornate sugli alberi”, “figli delle scimmie”, e i nostri andavano fuori di testa», racconta ridacchiando. «Poi abbiamo fatto una riunione e abbiamo capito: ora vinciamo col sorriso». Mentre camminiamo nei pressi della stazione, non c’è africano che non fermi Abdoulaye per chiedere notizie del risultato. Il presidente dello Sporting è un imprenditore senegalese, Moussa Mbaye. «Il razzismo esiste, stiamo cercando di combatterlo con il calcio. Vogliamo diventare una piattaforma d’integrazione, come dimostra l’ “uomo nero” in attacco. La nostra, da immigrati, è una battaglia per la legalità». Per molti, in Italia come in Niger, il migrante è solo un affare, e chi sogna San Siro rischia di finire a spaccarsi la schiena in qualche campo o fabbrichetta. «In Sicilia esiste la mafia e il caporalato di Rosarno qui si ritrova in condizioni peggiori. Negare la mafia, la mala gestione di questa terra fa male. Lo dice anche un nostro proverbio: quando sei nato non puoi più nasconderti». © RIPRODUZIONE RISERVATA ● 1) Gruppo di ragazzi su un campo del centro di accoglienza per minori di Caltagirone. ● 2) Lo Sporting Africa United milita in terza categoria catanese; fra i migranti un solo bianco detto «l’uomo nero», Simone Poma. Foto Luchetta Il potere del calcio è fragile, impalpabile, enorme. Verso la fine degli anni Sessanta, Pelé era riuscito con la sua sola presenza a fermare una guerra civile in Nigeria, per la secessione della repubblica del Biafra, durata più di novecento giorni con oltre un milione e mezzo di morti. Nelle case per bene del ricco Occidente molti si scandalizzavano e qualcuno si commuoveva, spezzando la crisalide dell’indifferenza, davanti alle immagini di quei bambini scheletrici e affamati, con le pance gonfie di aria. In Biafra e in Nigeria, tra la gente percossa dalla guerra, Pelé incarnava la speranza di una tregua. Fermi tutti, arriva il Santos che non è solo la Perla Nera ma anche Gilmar e Zito, Mauro e Pepe: il migliore esempio di globetrotters applicato al calcio. Nel febbraio del 1969, i guerriglieri biafrani sospendono gli attacchi su Benin per permettere agli assi brasiliani di esibirsi contro una rappresentativa nigeriana (per la cronaca il match finisce 2-1). È normale che nel mondo globalizzato e dominato dai media, ancora oggi milioni di africani cerchino una tregua nel calcio, una via d’uscita da guerre per bande, povertà, dittature, sofferenze. Tanti dopo aver preso un barcone la trovano su qualche campetto in Europa, dove inseguendo un pallone si immedesimano nei loro idoli: Totti, Tevez, Van Nistelrooy o Muntari. La magìa del futbol è anche questa, lo sappiamo bene. Qualcuno, come Godfred Donsah, riesce a sfondare in Serie A. Nasce in Ghana, nel 1996, segue le orme del padre arrivato a Lampedusa su un barcone. Donsah muove i primi passi da calciatore nelle giovanili del Palermo, cresce nel Verona, squadra con cui gioca il Viareggio e debutta in A. In questa stagione Zdenek Zeman l’ha lanciato nel Cagliari, dove sta diventando un nuovo Nainggolan. La Roma gli ha già messo gli occhi addosso, Arsenal, City e Tottenham lo seguono per portarlo in Premier. Di sicuro, a 19 anni gli è già cambiata la vita. E molto ancora potrà cambiare. Il potere del calcio è anche questo. Abbastanza fragile, impalpabile, enorme.