Sognando San Siro

Transcript

Sognando San Siro
EXTRA TIME
SPAGNA
INGHILTERRA
Siviglia vola
con Vitolo. Che
chiama la Roja
L’Everton salvi
la Regina
e il ranking Uefa
5
FRANCIA
Ibrahimovic diventa
un caso politico
5 6
1Viaggio in Sicilia nei centri
di accoglienza, tra i migranti
che vedono nel calcio un mezzo
d’integrazione e un obiettivo di vita
1 Con indosso le maglie dei club
italiani e stranieri, appena
sbarcati, a ET dicono: «Voglio
diventare professionista» o
«Una volta nella vita desidero
andare allo stadio di Milano»
Andrea Luchetta alle pagine 2-4
Sognando
San Siro
Settimanale di calcio internazionale
[email protected] - @etgazzetta
Martedì 17 Marzo 2015
Numero - 170
CANADA
BHUTAN
Donadel: «Qui,
a Montreal, per
la Champions»
La nazionale
di Thimphu
per la storia
7
7
2
EXTRATIME
REPORTAGE
La palla
pr messa
1Siamo andati in Sicilia tra i migranti per scoprire come il calcio è visto quale àncora di salvezza e si è fatto veicolo del mito
europeo 1E appena sbarcati dai barconi, con le maglie dei club italiani o stranieri indosso, raccontano: «Voglio diventare
professionista da voi», «Io posso fare anche meglio di Balotelli» o ancora «Almeno una volta nella vita voglio vedere San Siro»
Andrea Luchetta da Lampedusa, Augusta, Siracusa, Palermo, Catania e Caltagirone
E’
notte e freddo, quando la gru della nave Dattilo
cala l’ultima bara sulla banchina del porto di
Augusta. Tre uomini con tuta bianca e mascherina caricano il feretro in un furgone. Dieci corpi ripescati e decine di punti interrogativi:
«Credi davvero che siano affogati solo loro?»
sferza la delegata di un’ong. Il primo a darle
ragione è un padre di Damasco, sbarcato assieme a tre bambini. Racconta che in mezzo al Canale di Sicilia è scomparso il suo figlio più piccolo, un bimbo di due anni. Impossibile stabilire il numero dei dispersi, stimato intorno alle
50 persone. Badr, un ragazzo marocchino, ci
descrive scene infernali: esistono prima e seconda classe anche su quei catorci, e troppo
spesso la differenza la fa un salvagente in vendita per 50 euro. «Gli africani non hanno i soldi
per comprarlo e non sanno nemmeno nuotare.
Quando il gommone si è rovesciato chi non aveva il salvagente si è aggrappato a chi lo indossava, finendo per trascinarlo con sé». I 439 sopravvissuti vengono condotti in una tendopoli
nel porto. Stanno in fila per la cena, sulle spalle
una coperta di lana grezza per combattere
l’umidità che ha vinto le ossa dopo giorni di mare. Un gruppo di palestinesi guarda incuriosito.
I FLUSSI MIGRATORI VERSO L’ITALIA
Sofia
Istanbul
TURCHIA
MALTA
TUNISIA
Ouargla
SIRIA
Bengasi
Damasco
Tripoli
IRAN
gli sbarchi in Italia nei primi 2 mesi 2015: per
un totale di 7.882 persone, +2.376 rispetto a
gennaio-febbraio ’14. Per le stime Unhcr sono
stati 3.538 i morti nel 2014 nel Canale di Sicilia
Islamabad
PAKISTAN
Sebha
LIBIA
EGITTO
ARABIA
SAUDITA
Djanet
NIGER
Port Sudan
Selima
MALI
RICHIEDENTI
ASILO FEBBRAIO 2015
Agadez
Bamako
SUDAN
Kano
Gambia
835
NIGERIA
SUD SUDAN
Senegal
ETIOPIA
663
Juba
Nigeria
656
SOMALIA
GAMBIA
COSTA
D’AVORIO
Mogadiscio
Kampala
GHANA
Pakistan
511
Nairobi
KENYA
«Totti selfie, Inzaghi offside...»
Appena sentono la parola «calcio» distendono
il sorriso più largo del mondo. Un ragazzo di 25
anni, una cicatrice sul collo che manco Tevez,
comincia a saltellare frenetico: «Totti! Totti, selfie!» ride. «Inzaghi offside, Inzaghi offside! Ac
Milan, Barbara Berlusconi!». È scappato dal Libano, orfano di padre («My father… Israel…
bum bum bum»), e tale è l’entusiasmo che, dopo averci aggiornato sul risultato del Real Madrid, passa a elencare tutti i commentatori di Al
Jazeera per il calcio italiano. A pochi centimetri
due ragazzi ridacchiano imbarazzati. Farest ha
23 anni, è cresciuto in un campo per profughi
palestinesi in Siria e a causa della guerra ha abbandonato l’università: «Non volevo essere ucciso, né diventare un assassino». Educato, timido, racconta che nel naufragio sono scomparsi
almeno sette bambini. Il gommone si è rovesciato dopo l’aggancio a un mercantile giunto
AFGHANISTAN
Cairo
ALGERIA
SENEGAL
Kabul
Baghdad
IRAQ
Ucraina
498
dati Ministero degli Interni
per i soccorsi. Contagiato dall’entusiasmo del
vicino, Farest confessa un debole per Totti e il
Barcellona. La prima partita che ricorda è Francia-Brasile 3-0, finale del Mondiale 1998.
«Quando ha vinto il Brasile...» aggiunge un
amico. Come il Brasile? «Noi tifavamo per loro:
sai, avevano Ronaldo». Nel quarto d’ora scarso
che trascorriamo fra le tende, facciamo in tempo a vedere un ragazzo con la maglia del Milan,
un altro con una felpa del Barça e un terzo che
indossa scarpe da calcetto: tutto ciò con cui
hanno affrontato sole e sale, deserti e mari.
Il Milan di Aliou
«Nel deserto eravamo in 26, siamo arrivati in
13». Aliou è un ragazzo tranquillo, dallo sguardo dolce. Lo incontriamo in un centro di prima
accoglienza per minori a Caltagirone. È tornato
prima dal campetto in cui decine di ospiti ridono e litigano, chi esultando come Cristiano Ronaldo e chi giocando scalzo o quasi. «Non saprei dirti in che modo amo il Milan - racconta
emozionato, governando a stento la voce -.
Rappresenta un sacco di cose per me, è un po’ il
sentimento che un padre deve provare per un
figlio». Spinto dalle difficoltà materiali e da un
sogno segreto, un giorno ha lasciato il Senegal:
Mali, Burkina Faso e poi Niger, per attraversare
il Sahara e raggiungere la costa libica. «Abbiamo passato 9 giorni nel deserto, ci eravamo
persi. Per tre e mezzo siamo rimasti senza cibo
e senza acqua. Era tutto finito: il pick-up rotto,
abbandonato dal trafficante, e noi lì. C’era una
bottiglia da un litro e mezzo per cinque perso-
La Champions come Hollywood
Dopo giorni di burrasca i nuovi arrivi in Sicilia
erano attesi col fatalismo di un’onda. Il 2015 si
annuncia come nuovo anno dei record: al primo marzo sulle coste italiane sono sbarcate
7.882 persone, il 43% in più rispetto allo stesso
periodo del 2014 (5.506), concluso con oltre
170 mila arrivi (circa quattro volte quelli del
2013, quasi 43 mila). Inevitabile, in una fase
storica in cui per la prima volta dalla Seconda
guerra mondiale più di 50 milioni di persone si
trovano costrette a lasciare la propria casa, e le
istituzioni della principale base di partenza per
l’Italia, la Libia, sono collassate sotto il peso della guerra civile in corso da quattro anni. Scopo
del nostro viaggio è capire quanto il calcio ha
inciso nella formazione dell’immaginario di
questi uomini. In che misura la Champions League si è fatta veicolo del mito europeo, un po’
come Hollywood per l’America, contribuendo a
scolpire le attese per cui questi giovani hanno
sfidato il Sahara, i predoni e il Mediterraneo.
Una domanda che ci porterà a girare per mezza
Sicilia e oltre, da Palermo a Lampedusa.
Dei migranti
ospitati nella
chiesa del
Santo Curato
d’Ars, Palermo
mila e 128 i migranti presenti
in Italia a febbraio 2015 nelle
strutture temporanee, Cara e
Sprar: in Sicilia sono 13.999,
il 21 per cento del totale
MARTEDÌ 17 MARZO 2015 LA GAZZETTA DELLO SPORT
1
La squadra più CARA
«Ma il razzismo c’è»
1Il Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Mineo, il più grande in Europa,
ha messo su un team che dal 2013 partecipa ai campionati Figc1«Non tutti
ci accolgono bene»1E alcuni rifugiati lavorano in nero come braccianti
Andrea Luchetta a Mineo
2
3
● 1) In campo a Lampedusa;
● 2) in preghiera a Mineo (Catania);
● 3) un ospite del centro di Lampedusa (foto Reuters, Afp)
4
5
● 4) Un
profugo
juventino
sbarca al molo
Ronciglio di
Trapani
(foto Ipp).
● 5) Una
maglia
azzurra fra
i superstiti
di uno sbarco
a Porto
Empedocle
(Agrigento)
● 6) Un papà
in bianconero
dà da bere
al suo bimbo
ad Augusta
(Siracusa).
● Sotto, uno
dei ragazzi del
Centro Cara
(Centro
accoglienza
richiedenti
asilo) di Mineo
6
(foto Lapresse)
3
A
l 70’ della gara contro il Real Picanello, Seconda categoria, V.
crolla e cede ai singhiozzi. I ragazzi del Cara Mineo hanno
appena subito il terzo gol: finirà 2-3, in un crescendo di grida
e proteste. Il Cara di Mineo
(3.200 ospiti quando lo visitiamo) è il centro d’accoglienza
per richiedenti asilo più grande d’Europa, e dal 2013 partecipa ai campionati Figc. Il direttore Sebastiano Maccarrone ci
assicura che il solo obiettivo è
regalare un sorriso ai ragazzi:
ma nella parte di gara cui assistiamo non troviamo tracce di
questi sorrisi, né dei connotati
da favola con cui la stampa di
mezzo mondo ha descritto la
«Nazionale dei rifugiati». I ragazzi giocano con foga, con
un’urgenza che incendia. Troviamo, questo sì, la complicità
di un gruppo vero e l’empatia
dei due operatori-allenatori,
Giuseppe Manzella e Gianluca
Trombino.
«Barbara, voglio il Milan»
B., il portiere, è fuggito dal
Gambia per ritrovarsi schiacciato in un pick-up nel Sahara,
«impacchettato come merce»,
mentre i trafficanti picchiavano i vicini. Il viaggio è durato
più della scorta d’acqua. Poi la
Libia, le violenze e un barcone
malconcio: storia comune ai
suoi compagni di spogliatoio, a
iniziare dal concorrente per la
porta, Baca, un ragazzo di 21
anni con treccina alla Taribo
West: «Cosa dici, io sono solo
Baca!» ride, lanciando un appello a Barbara Berlusconi:
«Barbara, sto arrivando! Voglio
giocare per il Milan, perché
non potrei essere meglio di Abbiati? Voglio firmare un contratto a vita!». Uno degli obiettivi della squadra è favorire
l’integrazione: non sono mancati i problemi, come nella
struttura. A fine febbraio i carabinieri sono dovuti intervenire dopo 90 minuti di botte e
insulti - anche a sfondo razziale, denunciano i giocatori.
«Molta gente nel territorio siciliano non ci accoglie bene», dice Trombino. «Gli episodi di
razzismo sono capitati, anche
se quest’anno meno della stagione precedente».
Il Residence di Sigonella
ne: abbiamo bevuto un sorsetto tre volte al
giorno», dice, stringendo pollice e indice per indicare una quantità minima. «Ci ha raccolti una
pattuglia della polizia, siamo andati ad Agadez, nel Niger, e là abbiamo dovuto pagare di
nuovo per riprendere il cammino. Ma nel Sahara non è stato peggio della Libia»: un anno e
mezzo a spaccarsi la schiena nei cantieri, per
subire quattro rapimenti e vedersi rubare i dinari risparmiati per il Mediterraneo. Non ti è
mai venuta voglia di tornare a casa? «Mai. Ho
deciso di venire in Italia per integrarmi e almeno un giorno - almeno un giorno – andare a San
Siro a vedere il Milan. Amo il Milan, amo il Milan», ripete veloce, incespicando sulle parole
più ancora di quando ricorda il Sahara. Ti piacerebbe diventare calciatore? «Non so cosa mi
riservi il destino. Ma almeno una volta voglio
vedere San Siro. È il sogno che più mi è caro al
mondo, te lo dico dal fondo del cuore». Dopo il
deserto, quattro giorni di mare, di cui ricorda
soprattutto il freddo. «Col Milan ho imparato
ad amare l’Italia: non so se sono mai stato felice
come il giorno in cui ha vinto il Mondiale». «Pirlo deve continuare altri 30 anni, perché mi piace. Quando entrerà in campo a 60 anni dimostrerà ancora di sapere il fatto suo».
Renzi l’interista
Fra i suoi compagni non si contano quelli convinti di poter diventare professionisti. Slavin,
gambiano di 17 anni, adora Muntari con buona
pace di Salvini. Non credi che faccia troppi falli? «No, a centrocampo bisogna entrare duro»,
sorride un po’ imbarazzato. Definisce «tumultuoso» il suo viaggio, cominciato quando di anni ne aveva 15: una settimana nel deserto, i
compagni che vomitavano sangue, un anno
d’inferno in Libia («non voglio parlarne, alcune
cose vanno tenute per sé»), e una traversata in
balia delle correnti, stretto fra 100 profughi su
un gommone malandato di dieci metri e poco
I MIGRANTI SBARCATI IN ITALIA
170.100
dati Ministero degli Interni
INIZIO
CONFILITTO
IN LIBIA
42.925
64.261
36.951
22.939
2005
22.016
20.455
2006
2007
2008
9.573
4.406
2009
2010
13.267
2011
2012
2013
2014
più. Simpatizza per il Milan, ma tifa Manchester United, e in Gambia consacrava il weekend
al calcio europeo. Dice di essere partito, oltre
che per problemi di cui preferisce tacere, «per
soddisfare la mia ambizione di diventare professionista». Calcio a parte, dell’Europa conosceva «i diritti umani». Sai chi è Silvio Berlusconi? «Certo, quello del Milan». E Matteo Renzi?
«Come no! Gioca nell’Inter». La gara più bella,
ricorda distendendo i lineamenti, è la finale
ale di
un torneo locale che la sua squadra ha vinto
2-0.
Abdoul e Supermario
gazzo
Fra questi sognatori svetta un altro ragazzo
gambiano, Abdoul, e non solo per l’altezza
za da
prima punta. Stupisce la determinazione robon tono
tica con cui parla della sua «carriera». Un
sogna
al titanio, inattaccabile, al punto che bisogna
ovare
sforzarsi di guardarlo negli occhi per ritrovare
ra un
il lampo del ragazzino. Per gli altri è ancora
gioco, per lui una missione, e si capisce dalla
uro e
serietà con cui si muove sul campo, maturo
intelligente, mentre i compagni si fanno risucsciuto
chiare dalla palla. Nel vivaio in cui è cresciuto
lrooy.
lo paragonavano all’olandese Van Nistelrooy.
erico«Sono partito perché la mia vita era in pericodi che
lo». Orfano di padre, investiva i pochi soldi
ma a
gli passava la madre per andare al cinema
vo raguardare le gare europee, «e quando vedevo
gazzi di 16 anni mi dicevo: wow, posso farr mento. Il
glio di loro, quando arriverà il mio momento.
hara,
calcio è la mia vita». Quattro giorni nel Sahara,
due senza bere, «pensavo che sarei morto», ma il peggio doveva ancora venire.
Continua a pagina 4
L’ingresso del centro è guardato a vista da un gruppo di soldati. Il Cara sorge nel «Residence degli aranci», un complesso che fino al 2010 ospitava
i militari Usa di stanza a Sigonella. Le vie conservano nomi
come «Constitution Avenue» e
nessuno ha abbattuto le reti
con filo spinato. Gli ospiti sono
liberi di uscire, ma la domanda
è per andare dove: la struttura
è isolata
is
nei pressi della statale. D
Difficile integrarsi, quando
il pa
paese più vicino è così scomod raggiungere. Non lo sono
do da
però gli ettari di campi intorno
r
al residence.
Nuccio Valenti
(
(Flai
Cgil) denuncia a ET:
«2-300 ospiti del centro
lavorano in nero come
braccianti, e non sono
a
alieni
a fenomeni di capora
ralato.
I proprietari li pagano 10-15 euro all’ora, contro
i 60 di un bracciante in regola». Non l’unica ombra che
lam
lambisce
la struttura, in cui
nel dicembre 2013 si è tolto la
vita un ragazzo eritreo. Il Cara è tornato al centro delle
cron
cronache
negli ultimi giorni: il
pres
presidente
dell’autorità Anticorru
corruzione,
Raffaele Cantone,
de
ha definito
«illegittima» la gad’a
ra d’appalto
per gestirlo; le indagin della procura di Catania
dagini
coinv
coinvolgerebbero
anche il sottoseg
tosegretario
all’Agricoltura
Giuse
Giuseppe
Castiglione (Ncd).
© RIPRODUZIONE RISERVATA
4
EXTRATIME
MARTEDÌ 17 MARZO 2015 LA GAZZETTA DELLO SPORT
REPORTAGE
L’ex pro
gambiano
Lamin: «Calcio
o morte»
a.luch.
Uno scorcio delle abitazioni del Cara di Mineo.
S
rompendo una finestra. «Dio ci
ha aiutati: se ci avessero visti
saremmo morti».
Michael tifa Bayern
u quei barconi fragili come
conchiglie sono partiti anche
dei professionisti, per quanto
abituati a standard ben diversi
da quelli europei: 20 euro al
mese, un paio di bonus, al massimo un posto nell’esercito. In
estate la Caritas di Palermo ha
allestito una squadra niente
male, a giudicare dal curriculum degli ospiti. Il più timido è Tamba, difensore di 18 anni, nome di battaglia «Pablo»
in onore di Sorin, di cui si è innamorato al Mondiale 2006.
Tifa Manchester United come
Lamin, mediano di 19 anni,
aria spavalda e una stagione
nella A gambiana per 20 euro
al mese. In Italia cosa vuoi fare? «Calcio o morte», dice ridendo. Per lui deserto significa
il gelo patito a dormire sulla
sabbia, in notti senza coperte.
Poi un incubo libico di un anno
e mezzo, fra guerra civile e polizia che arrestava per arraffare gli ultimi spiccioli: Lamin
evade dal carcere di notte,
Storia simile a quella di Michael, pure lui evaso, regista con
una convocazione nell’Under
17. «Mi piace giocare la palla,
come Pirlo. Alle nostre partite
c’era pubblico, qualche migliaia di persone». Michael adora
Effenberg e il Bayern, meno il
tiki-taka di Guardiola: «Il Gambia è anglofono, si tifa per le inglesi. La prima partita che ho
visto è stata la finale di Champions 1999: tutti per lo United,
e così io ho scelto il Bayern. Nel
mio villaggio non era arrivata
l’elettricità, ci siamo spostati in
un paese vicino. Alla fine ero
triste: forse non era solo calcio,
era la premessa di qualcos’altro». Facile vedere a posteriori
quella tendenza a non allinearsi che 15 anni dopo lo porterà a
fuggire, lui impegnato contro il
regime di «Sua Eccellenza lo
Sceicco Professor Dottor» Yahya Jammeh, capace di somministrare pozioni di allucinogeni a centinaia di donne accusate di stregoneria. Il più blasonato fra gli ex pro gioca al Cara
di Mineo. S., difensore di 27
anni, ha sfiorato l’ingresso nella Champions con la squadra
dell’esercito gambiano: «Vivevo in modo dignitoso, stipendio da sergente più bonus». Un
giorno del 2014 lo avvisano
che la polizia militare è sulle
sue tracce: «Vengo dalla stessa
tribù dell’ufficiale che nel ’09
tentò di rovesciare Jammeh.
Molti commilitoni sono spariti
nel nulla». Macina migliaia di
km in poche settimane, e dopo
il deserto spera di stabilirsi in
Libia, ma i gruppi che danno la
caccia ai subsahariani lo convincono a scappare: «Mentre
salivamo sul barcone è cominciata una sparatoria violenta,
ta-ta-ta-ta ovunque: molti sono fuggiti, noi siamo salpati».
DECATREND
di Alessandro de Calò
PELÉ, IL BIAFRA
BABY DONSAH
E IL POTERE
DEL CALCIO
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1Fra i profughi arrivati in Sicilia ci sono anche
degli ex calciatori, che vorrebbero ora trovare
club in Italia1 «Siamo evasi dal carcere di notte»
1
La palla
pr messa
Segue da pagina 3
Era il Mediterraneo, che lui si ostina a chiamare
«fiume»: uno sbaglio candido, ingenuo, capace
di svelare il terrore per l’ignoto che questi ragazzi hanno dovuto vincere. «Ohh, ecco… È
stata così dura, amico… Voglio solo dimenticare». «Abbiamo visto un elicottero e poi per ore
la barca ha continuato ad andare, ad andare, ad
andare», si incanta sopraffatto. E da qui, dal
terrore di finire inghiottito dall’acqua, nasce il
sogno di Abdoul di giocare per l’Italia: «Voglio
ringraziare gli italiani, hanno rischiato la vita
per salvarmi. Se mi aiuteranno a trovare una
squadra, prometto che li ripagherò. Vedo Balotelli di fronte a gente fantastica come Pirlo, De
Rossi, Buffon - sospira speranzoso-. Ricordo i
gol alla Germania all’Europeo nel 2012, e mi
dico che se riuscirò a giocare per l’Italia potrò
fare anche meglio di lui. La disciplina è tutto, se
vuoi ottenere qualcosa».
Da Boko Haram a Pirlo
Pedro, nigeriano di 19 anni, ce l’ha a morte con
Massimiliano Allegri. Lo incontriamo alla periferia di Siracusa, la sera dopo Juventus-Fiorentina di Coppa Italia (1-2): «La Juventus mi piace e adoro Pirlo: se ci fosse stato ieri sarebbe
finita diversamente, sono molto arrabbiato»,
dice, abbandonando per un secondo l’aria
guardinga. Pedro viene dal Nord del Paese, flagellato dagli attacchi dei terroristi di Boko Haram e dalla repressione dell’esercito. Ha perso
il padre e due sorelle negli attentati degli islamisti, ed è partito più in fretta che poteva. Tre
giorni nel deserto, stretto con altre ventisette
persone su un pick-up, picchiato dai trafficanti
«che ci trattavano come animali». Poi il «fiume»
Mediterraneo, il «capitano» che scappa a nuoto
poco dopo la partenza e la carretta che comincia a imbarcare acqua, tre giorni prima dei soccorsi. Da allora soffre di piccole emorragie.
«Qualcuno sulla barca è svenuto, ma ci siamo
salvati tutti. Se penso di trovarmi in Europa sono molto felice, anche se non ho altri vestiti e
ora ho freddo. Amo il calcio da pazzi». Gioca ala
sinistra, gli piace imitare il madridista Cristiano Ronaldo, ma la vera passione è il Barcellona:
«Messi e Xavi sono incredibili».
L’africano bianco
«Bravo, africano bianco!», si sente gridare su
un campo del Picanello, quartiere incastrato fra
le case della Catania più popolare. L’africano
bianco - chiamato dai compagni anche «extracomunitario» o «uomo nero» - è Simone Poma,
centravanti e unico giocatore non di colore dello Sporting Africa United, prima squadra italiana creata e gestita da immigrati. Simone si
muove a suo agio e a fine primo tempo aspetta
che l’allenatore termini il monologo in cui alterna wolof, inglese e francese, per ricevere le
sue istruzioni. Lo Sporting ha la calma del più
forte, e rimonta un doppio svantaggio, per assicurarsi con un 3-2 la qualificazione ai playoff di
Terza categoria. Bouba, l’allenatore di 38 anni,
è uno spettacolo: pantaloni mimetici e cappellino da rapper, urla in quattro lingue, si agita,
ride, protesta, senza mai risultare intimidatorio malgrado il fisico da peso massimo. «Il mio
preferito è Simeone», abbozza a fine gare. Il
modulo ideale? «Segreto». Questa squadra improvvisata è un osservatorio privilegiato. Ci
permette di trovare nel calcio un filtro per leggere la quotidianità dei ragazzi sbarcati, per
misurare la distanza che li separa dai sogni, e ci
racconta qualcosa sulla nostra disponibilità ad
accoglierli. Aram, difensore di 17 anni e una sicurezza fuori dal comune, viene dal Gambia.
Preferisce non parlare del viaggio: « Mi sono
buttato nel calcio anche per dimenticare il mio
PAESI CHE OSPITANO PIU’ RIFUGIATI
Dati Unhcr a giugno 2014
PAKISTAN
LIBANO
IRAN
TURCHIA
GIORDANIA
ETIOPIA
KENYA
CIAD
UGANDA
CINA
100.000
1.616.500
1.181.500
982.100
824.900
736.000
587.700
537.000
454.900
358.500
301.000
2
passato e cominciare da capo. La mia vita ruota
intorno allo sport, voglio diventare un professionista come Pirlo o Marchisio». Sogno coltivato sin da bambino, quando si stringeva nei
cinema con altre centinaia di persone: «C’è caos, la gente grida, litiga: sai com’è, i tifosi del
Barcellona vogliono sempre che il Real Madrid
perda».
Fra Senegal e Rosarno
Il direttore sportivo Abdoulaye è già passato
per i sogni di Aram. Ex trequartista di Serie A
senegalese, innamorato del Barça e di Ivan de
la Peña, è atterrato in Sicilia senza trovare
squadra: troppi vincoli burocratici, e così è finito prima a vendere merce contraffatta e poi a
raccogliere pomodori a Rosarno. «È dura. Dormi nelle tende, quando piove non c’è lavoro: la
gente si fa 15 euro al giorno. Per 8 mesi siamo
rimasti senza corrente e acqua calda. Ai padroni non fregava nulla se eravamo malati o stavamo giù di testa: o accetti o te ne vai, e a casa ci
sono delle persone che aspettano il tuo aiuto».
Il punto, per lui, sta tutto nelle attese: «I ragazzi
in Africa sognano di partire. In tv vedono una
vita da sogno, chi torna racconta cose meravigliose: non ti svegliano su che cos’è l’Europa
davvero». Gli inizi dello Sporting non sono stati
facili, e la dicono lunga sulla nostra apertura.
«Abbiamo perso le prime 4-5 partite perché gli
avversari ci provocavano, con cose del tipo
“tornate sugli alberi”, “figli delle scimmie”, e i
nostri andavano fuori di testa», racconta ridacchiando. «Poi abbiamo fatto una riunione e abbiamo capito: ora vinciamo col sorriso». Mentre camminiamo nei pressi della stazione, non
c’è africano che non fermi Abdoulaye per chiedere notizie del risultato. Il presidente dello
Sporting è un imprenditore senegalese, Moussa Mbaye. «Il razzismo esiste, stiamo cercando
di combatterlo con il calcio. Vogliamo diventare una piattaforma d’integrazione, come dimostra l’ “uomo nero” in attacco. La nostra, da immigrati, è una battaglia per la legalità». Per
molti, in Italia come in Niger, il migrante è solo
un affare, e chi sogna San Siro rischia di finire a
spaccarsi la schiena in qualche campo o fabbrichetta. «In Sicilia esiste la mafia e il caporalato
di Rosarno qui si ritrova in condizioni peggiori. Negare la mafia, la mala gestione di questa
terra fa male. Lo dice anche un nostro proverbio: quando sei nato non puoi più nasconderti».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
● 1) Gruppo
di ragazzi
su un campo
del centro di
accoglienza
per minori
di Caltagirone.
● 2) Lo
Sporting
Africa United
milita in terza
categoria
catanese;
fra i migranti
un solo bianco
detto «l’uomo
nero», Simone
Poma.
Foto Luchetta
Il potere del calcio è fragile,
impalpabile, enorme. Verso la
fine degli anni Sessanta, Pelé
era riuscito con la sua sola
presenza a fermare una
guerra civile in Nigeria, per
la secessione della repubblica
del Biafra, durata più di
novecento giorni con oltre
un milione e mezzo di morti.
Nelle case per bene del ricco
Occidente molti si
scandalizzavano e qualcuno
si commuoveva, spezzando
la crisalide dell’indifferenza,
davanti alle immagini di quei
bambini scheletrici e affamati,
con le pance gonfie di aria.
In Biafra e in Nigeria, tra la
gente percossa dalla guerra,
Pelé incarnava la speranza di
una tregua. Fermi tutti, arriva
il Santos che non è solo la
Perla Nera ma anche Gilmar e
Zito, Mauro e Pepe:
il migliore esempio di
globetrotters applicato al
calcio. Nel febbraio del 1969,
i guerriglieri biafrani
sospendono gli attacchi su
Benin per permettere agli assi
brasiliani di esibirsi contro
una rappresentativa nigeriana
(per la cronaca il match
finisce 2-1). È normale che
nel mondo globalizzato e
dominato dai media, ancora
oggi milioni di africani
cerchino una tregua nel
calcio, una via d’uscita da
guerre per bande, povertà,
dittature, sofferenze. Tanti dopo aver preso un barcone la trovano su qualche
campetto in Europa, dove
inseguendo un pallone si
immedesimano nei loro idoli:
Totti, Tevez, Van Nistelrooy o
Muntari. La magìa del futbol
è anche questa, lo sappiamo
bene.
Qualcuno, come Godfred
Donsah, riesce a sfondare in
Serie A. Nasce in Ghana, nel
1996, segue le orme del padre
arrivato a Lampedusa su un
barcone. Donsah muove i
primi passi da calciatore nelle
giovanili del Palermo, cresce
nel Verona, squadra con cui
gioca il Viareggio e debutta in
A. In questa stagione Zdenek
Zeman l’ha lanciato nel
Cagliari, dove sta diventando
un nuovo Nainggolan. La
Roma gli ha già messo gli
occhi addosso, Arsenal, City e
Tottenham lo seguono per
portarlo in Premier.
Di sicuro, a 19 anni gli è
già cambiata la vita.
E molto ancora potrà
cambiare. Il potere del
calcio è anche questo.
Abbastanza fragile,
impalpabile, enorme.