casi clinici nel carcinoma mammario

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casi clinici nel carcinoma mammario
COLLECTIONS CAPECITABINA 3
CASI CLINICI NEL
CARCINOMA MAMMARIO
CASO CLINICO
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Capecitabina in combinazione con
vinorelbina nel setting neoadiuvante
in una paziente di 84 anni affetta da
carcinoma della mammella non operabile
Cristina Raimondi, Maria Sofia Rosati, Silvia Quadrini, Luciano Stumbo,
Rita De Sanctis, Bruno Gori, Marisa Di Seri, UOC Oncologia A, Policlinico Umberto I,
Sapienza, Università di Roma
Dati del paziente
Paziente di sesso femminile, 84 anni, pensionata. Menarca a 12 anni, due gravidanze,
due aborti, nessun parto e menopausa a 52 anni. Fumatrice (5 sigarette/die). Ipertesa.
Anamnesi e presentazione clinica
La paziente giunge alla nostra osservazione nel gennaio 2007. All’esame clinico si riscontra una massa neoplastica palpabile di 9 x 12 cm, che presenta aspetti infiammatori e occupa tutti i quadranti della mammella destra (Figura 1).
L’anamnesi patologica remota rivela, nel 1985, un carcinoma epidermoidale infiltrante
della mammella sinistra (stadiazione pT2 N0 Mx, G1, stato recettoriale non noto), trattato con chirurgia e radioterapia.
Iter diagnostico
e terapeutico
Le condizioni generali della paziente sono eccellenti, con un
ECOG performance status di 0
e nessuna apparente riduzione
clinicamente significativa della
riserva funzionale d’organo.
La TC total body conferma la
presenza di una massa di 7 cm
con numerose aree necrotiche,
senza coinvolgimento della parete toracica e con alcuni linfonodi ascellari omolaterali di naFigura 1. Massa neoplastica palpabile di 9 x 12 cm, con aspetti intura potenzialmente tumorale
fiammatori, occupante tutti i quadranti della mammella destra.
(diametro medio di 12 mm). In
considerazione del quadro clinico, con particolare riferimento alle dimensioni del tumore e agli aspetti infiammatori, si propone alla paziente un trattamento neoadiuvante, al fine di consentire la migliore rimozione chirurgica della massa neoplastica.
La paziente mostra scarsa compliance al trattamento chemioterapico, dovuta al timore di eventi avversi quali alopecia, nausea e vomito e alla difficoltà nel far fronte agli accessi in day hospital richiesti per la somministrazione.
Con l’obiettivo di coniugare l’efficacia terapeutica alle esigenze della paziente, ed escludendo regimi classici a base di antracicline per il maggior rischio di cardiotossicità correla6
to all’età, nel gennaio 2007
si propone alla paziente
una chemioterapia neoadiuvante con capecitabina
(1000 mg/m2 bid ai giorni
1-14) in associazione a vinorelbina (50 mg/m2 ai
giorni 2 e 9 ogni 21), entrambe som-ministrate per
via orale; rispetto allo schema convenzionale, l’assunzione di vinorelbina viene
posticipata al secondo giorno, per una migliore gestioFigura 2. Mammella destra dopo 2 cicli di chemioterapia con capene della terapia domiciliare.
citabina in associazione a vinorelbina, con somministrazione di queLa paziente riceve 3 cicli di
st’ultimo farmaco posticipata al giorno 2 del ciclo rispetto allo schechemioterapia (Figure 2 e 3),
ma di trattamento convenzionale.
che risultano nel complesso
ben tollerati: l’evento avverso clinicamente più rilevante è stato l’insorgenza di
astenia ai giorni 3 e 10,
successivamente alla somministrazione di vinorelbina. Dopo il terzo ciclo di
chemioterapia, una risonanza magnetica della
mammella mostra una
massa di 8,3 x 6,7 x 7 cm,
con un’area colliquativa
senza enhancement contrastografico.
Figura 3. Mammella destra dopo 3 cicli di chemioterapia con capeData la riduzione significacitabina in associazione a vinorelbina con somministrazione di quetiva della componente inst’ultimo farmaco posticipata al giorno 2 del ciclo rispetto allo schefiammatoria, nell’aprile del
ma di trattamento convenzionale.
2007 la paziente viene sottoposta a mastectomia destra, con conseguente diagnosi, all’esame istologico, di carcinoma duttale infiltrante pT3 N0 Mx (stadio IIB), G2, R2b, con recettori ormonali (ER e
PgR) negativi, c-erb-B2 < 10% all’IHC e Ki67 2%. La TC total body postchemioterapia
non documenta alcuna lesione secondaria.
A causa di un evento di ischemia cardiaca, successivo all’intervento chirurgico e apparentemente non correlato al trattamento sistemico, nel maggio del 2007 la paziente rifiuta di ricevere una terapia adiuvante chemioterapica o radioterapica, pertanto viene
invitata a ripresentarsi regolarmente per essere sottoposta a rigorose visite di follow-up.
Contrariamente a quanto consigliato, i controlli successivi non sono stati eseguiti con
regolarità dalla paziente, anche a causa di una successiva ospedalizzazione resasi necessaria per l’impianto di un pacemaker cardiaco permanente, e hanno evidenziato una
lenta progressione della malattia, compatibile con l’età della paziente, che continua a
rifiutare qualunque intervento terapeutico.
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CASO CLINICO
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CASO CLINICO
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Discussione
Gli obiettivi della chemioterapia nel setting
neoadiuvante sono il downstaging della neoplasia e l’aumento delle possibilità di successo di una chirurgia conservativa della mammella[1]. Capecitabina (precursore di 5-fluorouracile, somministrato per via orale) è, alla
luce delle conoscenze attuali, uno dei tre
agenti chemioterapici maggiormente attivi
nel carcinoma della mammella, insieme con
antracicline e taxani.
Nel carcinoma mammario metastatico (metastatic breast cancer, MBC), capecitabina risulta efficace sia in monoterapia sia in combinazione con altri farmaci, come docetaxel
e paclitaxel, in grado di inibire la depolimerizzazione dei microtubuli[2]. In particolare, uno
studio di fase III, pubblicato nel 2007, ha messo a confronto la combinazione capecitabina/docetaxel (XT) con la classica combinazione adriamicina/ciclofosfamide (AC), mostrando una maggiore efficacia del regime XT
rispetto ad AC in termini di incidenza di risposta completa (21% vs 10%), pur mantenendo un buon profilo di sicurezza[3].
La combinazione XT non è la sola tra quelle
a base di capecitabina ad aver mostrato una
promettente attività antitumorale in uno studio clinico di fase III. Molti altri studi, tra cui
uno studio di fase III che prevedeva l’impiego
di capecitabina/epirubicina/docetaxel versus
epirubicina/docetaxel, uno studio di fase III riguardante la somministrazione capecitabina/vinorelbina versus TAC (docetaxel 75
mg/m2, adriamicina 50 mg/m2, ciclofosfamide 500 mg/m2 al giorno 1 ogni 21) e alcuni
studi di fase II relativi a differenti regimi a base di capecitabina, hanno confermato l’elevata efficacia di capecitabina nel setting neoadiuvante, nonché il suo buon profilo di sicurezza[1].
Vinorelbina (alcaloide semisintetico della vinca) rappresenta una buona opzione terapeutica nelle pazienti affette da MBC[4]. Inoltre,
vinorelbina, come capecitabina, risulta ben
tollerata nelle pazienti anziane[5,6].
In molti studi, la combinazione di vinorelbina
con 5-fluorouracile in infusione continua ha
mostrato una significativa attività antitumorale in pazienti pretrattate con antracicline e taxani con una tossicità prevalentemente ematologica (neutropenia)[7,8]. Considerando l’efficacia della combinazione vinorelbina/5-FU,
la sostituzione del fluoro in infusione continua con la somministrazione orale di capecitabina è risultata essere una valida alternativa nel trattamento di pazienti con MBC, con
buoni presupposti teorici come il diverso
meccanismo citotossico e i profili di tossicità
non sovrapponibili mostrati dai due farmaci,
oltre ai differenti meccanismi di resistenza
messi potenzialmente in atto dalle cellule tumorali per contrastarne l’attività.
Il buon profilo di tossicità di capecitabina, la
possibilità di una somministrazione per via
orale e l’effetto sinergico del farmaco in combinazione con vinorelbina hanno spinto alla
valutazione clinica di questa combinazione.
In un primo studio di fase I/II[9], riguardante
l’utilizzo di capecitabina/vinorelbina per via
endovenosa in pazienti con MBC precedentemente trattate, il profilo di sicurezza di questa combinazione è risultato soddisfacente
(neutropenia di grado 3 nel 26% delle pazienti e di grado 4 nel 13%; sindrome manopiede di grado 3 in un’unica paziente) e una
prima valutazione dell’efficacia del trattamento ha fornito dati incoraggianti (ORR
59%). Il GeparTrio, studio clinico del 2005 di
fase III del German Breast Group, mostra, in
pazienti affette da MBC, un’efficacia dello
schema di trattamento XN (capecitabina
1000 mg/m2 bid ai giorni 1-14, vinorelbina
25 mg/m2 per via endovenosa ai giorni 1 e 8
ogni 21) pari a quella conseguibile con lo
schema TAC, con un profilo di sicurezza più
favorevole[10]. Nel 2006, Nolè et al. hanno
pubblicato un esteso studio di fase I sulla
combinazione capecitabina/vinorelbina definendone il dosaggio raccomandato (capecitabina 1250 mg/m2 bid ai giorni 1-14, vinorelbina 22,5 mg/m2 ai giorni 1 e 3 ogni 21),
la tollerabilità (nausea, costipazione, astenia,
mucosite, sindrome mano-piede di grado 1/2
come eventi avversi comuni, febbre e diarrea
8
di grado 4 soltanto nel 2% delle pazienti) e
l’efficacia (risposte obiettive nel 37% delle
pazienti)[11].
Con particolare riferimento ai pazienti anziani, nel 2004 è stato pubblicato uno studio
sulla combinazione capecitabina/vinorelbina
in soggetti con età superiore ai 65 anni, nei
quali questo schema terapeutico è risultato
ben tollerato (tossicità ematologica osservata a dosi inferiori nei pazienti con coinvolgimento midollare, stomatite, diarrea e astenia moderate). L’overall response rate (ORR)
è stata simile a quella riportata in pazienti più
giovani[12].
Nel 2006, Nolè et al. hanno inoltre pubblicato i risultati di uno studio di fase I riguardante la combinazione capecitabina/vinorelbina
a somministrazione interamente orale, identificando un dosaggio raccomandato pari a
60 mg/m2 per vinorelbina a somministrazione orale e di 2250 mg/m2 per capecitabina[13]. La combinazione è risultata sicura, con
una tossicità prevalentemente di tipo ematologico e comunque limitata: in particolare,
sono stati riportati soltanto tre episodi di
neutropenia febbrile. La principale tossicità
non ematologica è stata a livello gastrointestinale, con un’incidenza limitata di tossicità
di grado 3 e nessun episodio di grado 4. Inoltre, la terapia di combinazione capecitabina/vinorelbina a somministrazione orale è risultata di facile somministrazione, priva di
interazioni farmacocinetiche tra i due farmaci ed efficace (con un totale di 15 rispo-
ste parziali e 3 complete, per una RR pari al
40,9%)[13].
Lo studio di fase I del 2006 del Finnish Breast
Cancer Group ha confermato, in pazienti con
MBC, la buona tollerabilità della combinazione di vinorelbina alla dose di 60 mg/m2 al
giorno 1 e 8 e di capecitabina alla dose di
1000 mg/m2 ai giorni 1-14 ogni 21, con dati confortanti in termini di risposte obiettive e
di stabilità di malattia (su 19 pazienti, 7 hanno mostrato una risposta obiettiva o una stabilità di malattia per più di 6 mesi, con un clinical benefit rate del 37%)[14].
Infine, il GOIM (Gruppo Oncologico dell’Italia
Meridionale) ha pubblicato, nel 2006, uno studio di fase II sull’utilizzo dello schema a somministrazione interamente orale VINOCAP
(vinorelbina 60 mg/m2 ai giorni 1, 3 e 8, capecitabina 2000 mg/m2 ai giorni 2-7 e 9-16,
ogni 3 settimane) in pazienti affette da MBC
refrattarie ad antracicline e/o taxani, mostrando un ottimo profilo di sicurezza (su 38
pazienti, neutropenia di grado 2-3 in 7 pazienti e di grado 4 in una sola paziente, anemia di grado 2-3 in 5 pazienti e trombocitopenia di grado 3 in una sola paziente; tossicità non ematologica nella maggior parte dei
casi di gravità lieve) e di efficacia (2 risposte
complete, 13 risposte parziali, 14 casi di malattia stabile e una durata media della risposta pari a 7 mesi), risultati sovrapponibili agli
studi effettuati sulla medesima combinazione con vinorelbina somministrata per via endovenosa[15].
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GOIM (Gruppo Oncologico dell’Italia Meridionale). Ann Oncol 2006; 17 (Suppl. 7): vii15-7
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Trattamento con capecitabina in paziente
anziana affetta da neoplasia
della mammella localmente avanzata:
riduzione degli accessi in ospedale
e della sintomatologia dolorosa
Pasquale Razionale, Day Hospital Interdivisionale Oncologico, Ospedale di Cuggiono,
Cuggiono (MI)
Dati del paziente
Paziente di sesso femminile, 84 anni. Pensionata, casalinga, vive sola.
Anamnesi e presentazione clinica
L’anamnesi oncologica familiare risulta negativa. La paziente si presenta a una prima visita nel gennaio 2007 dopo aver subito, nel giugno 2006, un intervento di biopsia chirurgica, seguita da esame istologico che ha evidenziato un carcinoma lobulare infiltrante G2, con ER 95% e PgR 0%. Dal luglio 2006 assume pertanto exemestano in compresse, al dosaggio di 25 mg/die. L’evoluzione clinica della malattia nel corso del tempo e i trattamenti adottati sono riassunti nella Tabella 1.
La paziente è autosufficiente e presenta un ECOG performance status pari a 1. Al momento della visita lamenta una sintomatologia dolorosa spontanea all’emitorace omolaterale; all’esame obiettivo si nota un’ampia lesione proliferativa, del diametro maggiore di 7,5 cm, fissa sui piani profondi e rilevata (esuberante dal piano cutaneo di almeno 1,5 cm), facilmente sanguinante e con abbondante secrezione siero-emorragica
che necessita di sostituzione della medicazione più volte nella giornata (Figura 1). Non
sono presenti altre comorbilità.
Tabella 1. Evoluzione clinica della malattia nel corso del tempo e trattamenti adottati
Trattamento
Evoluzione clinica
Giugno 2006
Luglio 2006
Carcinoma lobulare infiltrante G2, ER 95%, PgR 0%
Exemestano 25 mg/die
Gennaio 2007
Febbraio 2007
Ampia lesione proliferativa sanguinante
e secernente. Sintomatologia dolorosa spontanea.
Ca 15.3 pari a 54 UI/ml
Capecitabina 1250 mg bid per 14 giorni
ogni 21 giorni + fulvestrant 250 mg im
ogni 28 giorni
Aprile 2007
Secrezione assente. Riduzione nell’assunzione
di FANS
Giugno 2007
Lesione quasi piana, non sanguinante. Assunzione
di FANS al bisogno. Ca 15.3 nella norma
Novembre 2007
Lesione depressa pseudocicatriziale. Assenza
di sintomatologia dolorosa
Gennaio 2008
Stabilità della malattia
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CASO CLINICO
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Iter diagnostico
e terapeutico
Si procede a indagini di stadiazione tramite l’esecuzione di
un’ecografia addominale, una
radiografia del torace e una
scintigrafia ossea, tutte risultate nella norma. Il valore del marcatore Ca 15.3 si presenta lievemente al di sopra dei range
di normalità (54 UI/ml).
In considerazione dei risultati
ottenuti somministrando capecitabina in monoterapia in sogFigura 1. Mammella sinistra con evidente lesione proliferativa, del
getti anziani affetti da neopladiametro maggiore di 7,5 cm, fissa sui piani profondi e rilevata dal
sia avanzata della mammella
piano cutaneo di almeno 1,5 cm, facilmente sanguinante e con ab(lo studio registrativo ha mobondante secrezione siero-emorragica.
strato una sopravvivenza mediana superiore a 1 anno)[1],
della buona tollerabilità prospettabile e della volontà della paziente di ridurre al minimo gli accessi in ospedale, nel febbraio 2007 si inizia un trattamento per via orale con
capecitabina, al dosaggio di 2500 mg/m2 diviso in due somministrazioni (mattino e sera) per 14 giorni ogni 21. In associazione si somministra fulvestrant, in sostituzione al
trattamento ormonale, al dosaggio di 250 mg ogni 28 giorni tramite iniezione intramuscolare.
Dopo 2 cicli di trattamento la lesione non si presenta più secernente: la paziente sostituisce la medicazione a giorni alterni ed esegue un controllo a frequenza settimanale.
Risulta inoltre diminuita l’assunzione di FANS. Nel giugno 2007, dopo 4 cicli di terapia,
la lesione si presenta quasi piana, non sanguinante, il consumo di analgesici si rende
necessario solo sporadicamente e i valori di Ca 15.3 risultano nella norma.
Dopo 10 cicli di terapia, l’esame obiettivo permette di rilevare un’area depressa a fondo fibrinoso, non dolente (Figura 2); la paziente viene quindi invitata a sostituire la medicazione 2 volte la settimana e a presentarsi ai controlli soltanto periodicamente. La
paziente non riferisce sintomatologia dolorosa di altro tipo e non viene riportata tossicità ematologica, gastroenterica o cutanea correlata al trattamento. A gennaio 2008,
la malattia si presenta stabile.
Figura 2. Mammella sinistra con evidente area depressa a fondo fibrinoso non dolente.
12
Discussione
Nel corso del caso clinico qui presentato, il
trattamento con capecitabina ha determinato una cospicua riduzione volumetrica della
lesione tumorale, delle secrezioni e delle
emorragie correlate, che rappresentavano i
sintomi di maggior disturbo per la paziente.
Capecitabina ha inoltre giocato un ruolo importante sulla soppressione della sintomatologia dolorosa, permettendo quindi di diminuire progressivamente l’assunzione di analgesici, e sulla progressione della malattia. Altrettanto buono si è dimostrato il profilo di sicurezza del farmaco, che non è risultato associato a fenomeni di tossicità di rilievo[3].
Le opzioni terapeutiche nel trattamento della neoplasia localmente avanzata della mammella sono oggi molteplici. Nel caso in esame, dal momento che non sussisteva la possibilità di sottoporre la paziente a un intervento chirurgico radicale, la scelta è stata guidata dalla volontà della paziente, anziana e alla prima esperienza di patologia di tale rilievo, di limitare il numero di accessi e il tempo
da trascorrere in ospedale, di evitare di essere sottoposta a cicli di infusione e di vedere
alleviati i disturbi derivanti dalla neoplasia
mantenendo al minimo il rischio di tossicità
della terapia[2-4].
Bibliografia
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