Cancellieri: «Arresto differito per gli scontri

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Cancellieri: «Arresto differito per gli scontri
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50
SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/
BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158
ANNO XLII . N. 279 . VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
LA LISTA
DEL COLLE
PriMario
Norma Rangeri
I
l presidente della Repubblica dice quel che tutti già sanno: Mario Monti è un senatore a vita e dunque non può essere eletto perché è un parlamentare. Tuttavia ripeterlo e poi dettagliare, fin nei minimi particolari,
quando e come potrebbe essere
«coinvolto dopo il voto» per un
Monti-bis, non è certo un omaggio a monsieur Lapalisse, anche
se è da Parigi che il capo dello stato invia in Italia il suo avviso ai
naviganti.
Così evidente è la road-map
tracciata da Napolitano per coronare con successo il traguardo,
così puntuale la spiegazione dei
tempi e delle procedure per indicare il candidato preferito per palazzo Chigi (non imbrigliandolo
in una lista, ma facendone emergere il nome nelle consultazioni
post-elettorali) che non occorre
lavorare di fantasia per ricavarne
una linea coerente del Quirinale.
Già alla fine di ottobre Napolitano aveva voluto esprimere la
sua preferenza («ad aprile si dovrà tener conto dell’esperienza
di Monti»), tornare a ribadirlo oggi aggiunge solo una scintilla in
più a quel che sembra ormai essere un braccio di ferro tra il candidato-segretario del Pd e le indicazioni del Colle. Un ping-pong
sempre più serrato, anche nella
sequenza: Bersani dice «Monti
non deve candidarsi», e scommette sull’ipotesi che «vada al
Quirinale», Napolitano spiega
perché il tecnico deve mantenersi super partes e tutti noi attendere una legge elettorale preferibilmente propiziatoria di maggioranze strane e, soprattutto, montiane. La precisazione successiva, contenuta in una nota del
Quirinale, («il presidente non
sponsorizza»), ha, come succede
alle smentite, l’effetto-boomerang di confermare la sponsorizzazione.
Tra il non essere un Presidente rassegnato a tagliare nastri, e
pronunciare un discorso sulla
consistenza di liste, forze politiche e lavori in corso nell’arcipelago dei cosiddetti moderati e, per
rimbalzo, già definire l’identikit
del futuro centrosinistra, forse
passa la stessa differenza che c’è
tra un sistema parlamentare e
uno presidenziale. Una debole
separazione virtuale di fronte alla più incisiva realtà del cortocircuito politico-istituzionale. Rafforzato oggi dall’esperienza del
tecnico al governo, alimentato
domani nell’ipotesi di un trasferimento del professore al Quirinale.
È quel che sembra aver voluto
polemicamente ricordare ieri il
capogruppo alla camera, Franceschini. In un intervento molto applaudito nell’aula di Montecitorio, il parlamentare ha suonato
la corda della sovranità popolare
contro la pretesa dei mercati di
decidere al posto degli elettori.
Non poteva esserci occasione migliore della fiducia sulla legge di
stabilità per dire che la musica
scritta finora, sulle virtù di Monti
e dei suoi ministri, deve finire. E
tanto il Colle esorta alle lodi perpetue del governo tecnico, quanto dalle fila di una larga parte del
Pd si invoca un nuovo spartito
buttando sulla bilancia il prezzo
pagato in questo anno di via crucis. Anche perché siamo alla vigilia del voto delle primarie, convocate per pesare la volontà, di una
grande area del paese, di chiudere con l’emergenza montiana e
riaprire la pagina della battaglia
politica e del consenso.
EURO 1,50
MEDIO ORIENTE | PAGINA 7
Gaza è incredula,
tra guerra e tregua,
tra funerali e «feste»
Reportage dalla Striscia di Michele Giorgio. Bandiere di
Hamas e Jihad in piazza per la «vittoria», tra i funerali delle vittime dei raid israeliani. In pochi credono che la tregua terrà, che i valichi riapriranno e che manterrà le promesse l’Egitto. Dove Morsi accresce i poteri presidenziali
DIFFAMAZIONE | PAGINA 5
Pdl e Lega salvano Sallusti
Fnsi: carcere ai cronisti
è idea assurda, sciopero
ASSALTO ULTRAS A ROMA
La violenza identitaria
nel vuoto della politica
Alessandro Portelli
L’
MARIO MONTI/FOTO ANGELA QUATTRONE-EMBLEMA
Un Professore è per sempre. Napolitano boccia le «liste Monti» ma chiede
al premier di aspettare il reincarico senza buttarsi nella mischia. Poi la rettifica:
«Nessuna sponsorizzazione». Udc e Bersani tirano dritto. Il Pdl esplode PAGINA 5
FONDI NERI IN SVIZZERA
MOVIMENTI
Il voto tedesco sulla strada
tra Berna e Bruxelles
Gli intermittenti
dell’azione diretta
ELEONORA MARTINI l PAGINE 8 E 9
BENOLD E MARCO BASCETTA l PAGINA 10
PRODUTTIVITÀ
Il sussulto
della Cgil
Loris Campetti
N
aggressione di massa ai tifosi inglesi in un
pub romano è una spedizione punitiva
premeditata e organizzata, quindi un gesto politico. Il problema è: di che politica si tratta?
Molti anni fa, dopo una rissa fra tifosi laziali e livornesi, andammo con Sandro Curzi, Silvio Di
Francia e altri a cercare di convincere il patron della Lazio, Claudio Lotito, a prendere posizione contro il fascismo che dilaga nelle curve (non solo) laziali. Non capì nemmeno di che parlavamo; noi
parlavamo di rifiuto del fascismo, lui continuava a
insistere, come tutte le autorità calcistiche e istituzionali, che «la politica» nello stadio non ci doveva
entrare.
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on dev’essere stato semplice per la
Cgil decidere di lasciare il tavolo sulla
produttività, rifiutandosi di apporre la
firma del sindacato più rappresentativo in calce al testo sottoscritto dalle associazioni imprenditoriali e da tutte le altre «rappresentanze» dei lavoratori. E non per il contenuto dell’accordo separato, che rappresenta la tappa
forse definitiva della cancellazione del contratto nazionale e delle forme di solidarietà generale che hanno caratterizzato le relazioni sindacali degli ultimi quarant’anni. Un accordo infirmabile, ideologico, teso a confondere la bassa
produttività con i costi e le rigidità del lavoro e
ad affermare il primato assoluto dell’impresa
sulla «merce» lavoro.
CONTINUA |PAGINA 2
LA PROTESTA DELLA SCUOLA
ROMA
Cancellieri: «Arresto
differito per gli scontri»
Il suicidio
di un ragazzo
in cerca della
sua identità
Tre manifestazioni di protesta invaderano domani la capitale. I Cobas sfileranno contro i tagli alla scuola da piazza della Repubblica al Colosseo - dove incroceranno gli
studenti - mentre la Cgil, dopo la ritirata di Cisl e Uil dall’annunciato sciopero generale, dà appuntamento a piazza Farnese. Nel pomeriggio l’adunata dei fascisti di Casapound in cerca di visibilità al «nuovo fronte euro-populista». Intanto il ministro dell’interno Annamaria Cancellieri annuncia misure durissime contro eventuali atti di violenza o devastazioni, ovvero la possibilità di arresto anche a distanza di giorni: «L’arresto differito - ha detto il capo del Viminale - è uno strumento molto efficace che ha
già dato risposte positive negli stadi».
CICCARELLI, LANCARI |PAGINA 3
Arianna Di Genova
NEOFASCISMO |PAGINA 3
«Contro euro e banchieri»
L’estrema destra italiana
cavalca la crisi e guarda
ai populismi europei
SAVERIO FERRARI
A. si è tolto la vita a 15 anni.
Viveva tutti i dubbi della sua età
e nessuno può sapere il perchè
del suo gesto, frettolosamente
interpretato come una reazione
all’omofobia. In un primo tempo
era stato infatti detto che il ragazzo veniva continuamente deriso
dai compagni del liceo, i quali,
invece, lo ricordano con affetto.
Forse aperta un’inchiesta dalla
procura di Roma
|PAGINA 6
pagina 2
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
LAVORO
Scoperti •
Rischiano di non avere incrementi di stipendio tutti i lavoratori che non firmano
accordi aziendali. Il sindacato potrà dare l’ok all’aumento dell’orario settimanale e al demansionamento
FERNAND LEGÉR, «LA PARTITA A CARTE», 1917
Il testo dell’intesa
I contenuti e le riserve,
punto per punto
Marco Barbieri
L’accordo sulla produttività offre molti
motivi di contrarietà e di preoccupazione. Infatti, si caratterizza per affermare
alcuni principi condivisibili (che la produttività non sia solo quella del lavoro,
punto 1; che occorrono investimenti
pubblici e privati nella innovazione; che
occorra l’emersione del sommerso e un
sistema di relazioni contrattuali regolato; che il contratto nazionale dovrebbe
«garantire la certezza dei trattamenti
economici e normativi comuni a tutti i
lavoratori», punto 2) ma negarli nelle
pattuizioni concrete, tutte e solo rivolte
al lavoro.
Va osservato innanzitutto che la crisi
richiederebbe una concentrazione delle
DA SINISTRA, IN BASSO, A DESTRA: SUSANNA CAMUSSO, RAFFAELE BONANNI, LUIGI ANGELETTI, CORRADO PASSERA, GIORGIO SQUINZI
risorse per salvare il lavoro: invece si
tagliano le risorse per gli ammortizzatori
sociali in deroga e per i contratti di solidarietà, preparando drammi per l’anno
prossimo, mentre ci sono 1,6 miliardi
nel 2013-2014 per detassare il salario
di produttività concordato a livello aziendale, con il rischio di non erogarlo ai
lavoratori e alle lavoratrici, perché non
è detto che vi siano abbastanza contratti aziendali che prevedano gli accordi
sulla materia.
Comunque saranno esclusi i lavoratori
delle piccole e medie imprese, dove la
contrattazione aziendale è molto più
rara, e quelli delle aziende in crisi.
Insomma, come ha rilevato anche un
esponente del Pd come l’ex ministro del
lavoro Cesare Damiano, rischiamo di
avere nel 2013 decine di migliaia di
lavoratori senza tutele e la gran parte
delle risorse destinate alla produttività
non spese per mancanza di accordi
aziendali.
In secondo luogo, preoccupano i contenuti. Mi pare evidente che si punti a un
ulteriore ridimensionamento del contratto nazionale, spostando funzioni e poteri anche di definizione dei salari verso il
contratto aziendale. Infatti, anche una
parte delle risorse che dovrebbero servire a garantire il potere d’acquisto delle
retribuzioni (cioè il valore reale delle
retribuzioni in rapporto agli aumenti dei
prezzi) secondo l’accordo (punto 2)
saranno destinate dai contratti nazionali «alla pattuizione di elementi retributivi da collegarsi a incrementi di produttività e redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello» (punto
2): talché, ove questi incrementi non
vi siano, i contratti nazionali servirebbero a garantire la diminuzione del
potere d’acquisto dei salari esistenti.
Ecco a voi il Patto
che abbatte i salari
L’accordo separato sulla produttività cancella le tutele
su aumenti, orari, mansioni e videosorveglianza
Mirco Viola
ROMA
A
ll’indomani della firma separata sul patto per la produttività è il momento di un’analisi più attenta, e sono dolori. Il baricentro della contrattazione, e in particolare su questioni delicate come
gli aumenti salariali, gli orari, le
mansioni e la videosorveglianza, si
sposta dal contratto nazionale (e
dalle tutele garantite dalle leggi) alla
contrattazione aziendale. Indebolendo, necessariamente, quanto già
conquistato fino a oggi collettivamente (spesso sarà una crisi a decidere per nuovi accordi) e non garantendo tutti coloro che, tra l’altro,
non riusciranno mai a fare una con-
trattazione aziendale. Intanto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha giudicato l’accordo «un
fatto importante», e subito dopo si è
augurato «che non manchi il contributo della Cgil».
In particolare, per quanto riguarda i salari, si prevede che il contratto nazionale possa perdere gli automatismi previsti fino a oggi, che in
qualche modo tendevano a garantire il potere di acquisto agganciando
gli aumenti all’inflazione: gli incrementi verranno legati alla produttività, contrattata nel secondo livello.
Il tutto sarà sostenuto da una politica di sgravi concessa dal governo:
l’esecutivo dovrebbe decidere entro
il 15 gennaio la platea dei lavoratori
che avranno diritto alla detassazio-
Peraltro, l’accordo non tenta neppure di
ridefinire un sistema in qualche modo
coerente di relazioni sindacali e di rapporti tra contratti nazionali e contratti
aziendali. Bisogna notare che l’aziendalizzazione delle relazioni sindacali, che
è una tendenza perseguita in molti paesi europei su sollecitazione delle autorità dell’Unione, altera e anzi rovescia la
funzione del sistema contrattuale.
ne (al momento è prevista per chi
ha un massimo di 30 mila euro di
reddito ma i sindacati chiedono che
il tetto sia elevato a 40 mila euro), il
tetto della retribuzione per il quale
sarà previsto il vantaggio fiscale (al
momento 2.500 euro ma i sindacati
chiedono sia innalzato) e i criteri
con i quali il vantaggio sarà assegnato (ovvero quale sia da considerare
salario di produttività). Con la tassazione al 10% il lavoratore che dovesse avere un’aliquota del 27% avrebbe un vantaggio di 170 euro per
ogni 1.000 euro erogati come salario
di produttività.
Gravissimo quanto deciso in merito a orari, mansioni e videosorveglianza, perché è previsto che nei
contratti aziendali e territoriali si
possa derogare non solo al livello nazionale ma anche rispetto alla legge.
E, quel che è più grave, le parti hanno chiesto al Parlamento che queste
materie si sottraggano alla tutela legale per metterle tutte in mano alla
contrattazione.
Oggi la legge prevede che l’orario
sia di 40 ore settimanali e di 8 al giorno con un massimo di 48 ore settimanali compresi gli straordinari. La
contrattazione potrebbe prevedere,
nel caso di affidamento della materia da parte della legge, criteri di
maggiore flessibilità a fronte di specifiche situazioni. Si potrebbe naturalmente prevedere che questa flessibilità sia perlomeno remunerata.
Quanto alle mansioni, l'articolo
2103 del codice civile stabilisce che
il lavoratore «deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla
categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La contrattazione potrebbe regolare la materia in modo differente anche se l’accordo parla di «equivalenza delle
mansioni e integrazione delle competenze»: insomma di fatto si potrà
prevedere il demansionamento dei
lavoratori.
Infine, il controllo a distanza: attualmente è vietato dallo Statuto dei
lavoratori. L’accordo prevede «l’affidamento alla contrattazione collettiva delle modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove
tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti informatici ordinari, indispensabili per lo
svolgimento delle attività lavorative».
Un’altra picconata allo Statuto, dopo
lo stravolgimento dell’articolo 18.
La segretaria Cgil Susanna Camusso aveva già spiegato la sera della firma separata le ragioni del no: la
tutela del contratto nazionale e di
aumenti che garantiscano a tutti un
reale potere di acquisto; la difesa di
diritti fondamentali legati a orari,
mansioni, videosorveglianza; nuove
regole di rappresentanza che garantiscano anche chi non firma gli accordi, e in particolare la richiesta
esplicita a Federmeccanica di riprendere a contrattare con la Fiom,
oggi esclusa.
Dall’altro lato, secondo Raffaele
Bonanni (Cisl) «i lavoratori pagheranno 3 volte meno tasse». Per il
leader del Pd Pierluigi Bersani l’accordo centra «l’obiettivo di estendere la contrattazione decentrata», ma poi invita il governo a
«continuare la discussione» per «ricomporre l’unità sindacale».
Quando il baricentro del sistema è il
contratto nazionale (o regionale, come
in Germania), esso assolve anche alla
funzione di mettere fuori mercato (lavoro nero a parte) le imprese meno efficienti, impendendo loro di competere
oltre il limite definito dal contratto nazionale attraverso il peggioramento elle
condizioni di lavoro e di salario. Se invece il baricentro diventa il contratto
aziendale, che può derogare a quello
nazionale e alle tutele legali, lo scopo
del sistema diventa l’opposto: consentire anche alle imprese meno efficienti di
competere legalmente attraverso la penalizzazione del fattore lavoro.
Da questo punto di vista, appare inaccettabile la richiesta al Parlamento
(punto 7) di cancellare le tutele legali
in materia di mansioni, orari e controllo
sui lavoratori, per lasciare solo ai contratti collettivi la regolazione di questi
aspetti del rapporto di lavoro, con lo
scopo unico di diminuire le tutele. Si
segue così la strada dell’articolo 8 della
legge 148/2011 (norma non solo oggetto della raccolta di firme per l’abrogazione via referendum ma anche con
ogni probabilità incostituzionale), con il
quale Sacconi consentì ai contratti
aziendali di superare anche le normati-
ve legali di tutela del lavoro.
Peraltro, il testo (punto 3), rinviando il
tema ad accordi ulteriori, non risolve il
problema del diritto dei lavoratori a votare democraticamente una propria rappresentanza nei luoghi di lavoro, proprio
mentre l’accordo Confindustria - sindacati del 2011 viene violato escludendo
la Fiom Cgil, organizzazione maggioritaria tra i metalmeccanici, dalle trattative
per il nuovo contratto nazionale: con
buona pace degli ingenui i quali avevano sostenuto che l’accordo del 2011
avrebbe posto fine alla stagione dei contratti separati, qui invece riproposti, per
le finalità strettamente politiche di Bonanni e Passera, proprio al livello interconfederale.
Allusivi sono invece i punti 4 e 5, ove si
richiede al governo, molto ben disposto,
di venire incontro alla tendenza alla corporativizzazione del welfare e della formazione, sollecitando ulteriori regimi
fiscali e contributivi di vantaggio per
l’esercizio delle già esorbitanti funzioni
degli enti bilaterali, e aprendo al punto
6 una oscura finestra sulle «misure di
solidarietà intergenerazionali» volte a
«percorsi che agevolino la transizione
dal lavoro alla pensione, creando nello
stesso tmepo nuova occupazione anche
in una logica di solidarietà intergenerazionale»: con il rischio che un soggetto
terzo si carichi degli oneri contributivi
necessari a consentire la non nuova
pratica corporativa di assumere in varia
forma i figli dei dipendenti anziani.
COMMENTO
L’accordo infirmabile e il sussulto della Cgil
DALLA PRIMA
Loris Campetti
Un accordo che accresce quella che Giorgio Airaudo, nel suo libro appena uscito
per Einaudi, chiama «solitudine dei lavoratori». Abbandonati dalla politica, spogliati di diritti e persino della rappresentanza collettiva liberamente scelta, ciascun per sé, spinto a individuare l’avversario non più nel padrone ma nel suo
compagno di lavoro con il quale competere - e
vincerà chi sarà disposto a consegnarsi integralmente a chi rivendica la proprietà del suo corpo e
della sua mente. L’accordo separato sulla produttività è la coerente conclusione di un percorso avviato alcuni governi fa con la scoperta del nuovo
passepatout della flessibilità, automaticamente trasformata in precarietà, proseguito con i progressivi
peggioramenti del sistema previdenziale fino alla
tombale riforma Fornero, con l’assunzione del
«modello Marchionne» fin dentro il sistema legislativo, oltre che nelle relazioni sindacali. Berlusconi
ha dato il via alla guerra contro il contratto nazionale con il suo prode scudiero Sacconi per poi consegnare a Monti il carroarmato, più capace nel farlo
funzionare con l’aiuto della ministra della guerra
sociale Fornero, killer dell’articolo 18 e complice
dell’applicazione del berlusconiano articolo 8.
La difficoltà insita nella giusta scelta di non firmare la capitolazione sindacale da parte della segretaria Cgil, Susanna Camusso, stava nel contesto melmoso di un governo nominato dallo spirito santo e sostenuto dal 90% del Parlamento, ca-
pace dunque di condurre in porto le scelte liberiste e antioperaie più radicali che neanche Berlusconi, che con una qualche timida opposizione
pure doveva fare i conti, era riuscito a completare. Lo vogliono i mercati, lo pretende la troika, lo
chiede il presidente della Repubblica che invoca
il patto politico e la pace sociale, lo stesso Mario
Monti si dispiace per la mancata firma della Cgil.
Il Pd è troppo impegnato nelle primarie e diviso
al suo interno per alzare la voce, e forse è un bene
perché se lo facesse non si sa contro chi potrebbe
scagliarsi. Non si può dunque non condividere il
sussulto di autonomia della Cgil, che dovrà resistere alle mille sirene della deregulation e prendere atto definitivamente che l’attacco della politica
e del padronato non è «semplicemente» contro la
Fiom ma contro la Cgil e il sindacalismo così co-
me l’abbiamo conosciuto nel dopoguerra.
Nel merito dell’accordo separato basti sapere
che saltano i minimi salariali e si archiviano non
le 35 ma le 40 ore settimanali, gli straordinari non
saranno più contrattati ma comandati e detassati, con le fabbriche che boccheggiano in cassa integrazione e i lavoratori tenuti forzosamente a casa a stipendi decurtati e futuro appeso a un filo,
mentre i figli quel filo neppure ce l’hanno, grazie
anche alla riforma delle pensioni. Siccome poi si
detassano i salari legati ai risultati dell’impresa, è
evidente la fine del contratto nazionale e della solidarietà nazionale. Bisognerebbe non solo abbandonare ma rovesciare il tavolo sulla produttività, con sotto tutti gli attori della controrivoluzione italiana. In ogni caso, chi non ha ancora firmato per i referendum sul lavoro si dia una mossa.
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
pagina 3
IL FUTURO CONTRO
In piazza •
Domani giornata di mobilitazioni. Cobas e studenti sfileranno per protestare
contro i tagli al settore. Nel pomeriggio l’adunata fascista di Casapound in cerca di visibilità
/FOTO ALEANDRO BIAGIANTI
ESTREMA DESTRA
Il nuovo fronte euro-populista
Saverio Ferrari
D
Scuola, sindacati divisi
Cgil sola in piazza
Roberto Ciccarelli
I
sindacati della scuola, tranne
Flc-Cgil e Cobas, ritirano lo
sciopero generale previsto per
sabato e annullano la manifestazione «stanziale» a piazza del Popolo.
Ieri mattina, in un incontro chiesto con urgenza dal governo pre-
Cisl, Uil e Gilda
si fanno convincere
dal governo
e ritirano l’adesione
al presidio di sabato
sente in forze (Profumo, Grilli, Patroni Griffi e il sottosegretario Catricalà), hanno ottenuto l’atto di indirizzo all’Aran per il recupero degli
scatti di anzianità 2011 e la promessa di riavviare le trattative sul contratto nazionale nel 2014. Concessioni orchestrate da un governo
messo all’angolo dalla mobilitazione nelle scuole, mirata a rompere
l’unità sindacale fino ad oggi ottenuta miracolosamente contro l’aumento dell’orario di lavoro dei docenti, un provvedimento che è stato cancellato dalla legge di stabilità
a furore di popolo. Si tratta di una
decisione che, nei fatti, intende isolare il movimento studentesco che
tornerà a sfilare sabato a Roma da
Piramide verso il centro, com’è stato confermato in una conferenza
stampa-flash mob ieri all’entrata
del ministero di Grazia e Giustizia.
I ragazzi hanno aperto gli ombrelli
per difendersi da quel palazzone
in via Arenula dove al pomeriggio
piovono lacrimogeni sui cortei caricati dalla polizia. La scelta di alcuni sindacati rappresenta la sconfessione delle occupazioni in decine
di scuole a Roma o a Palermo, tanto per fare un esempio. La conferma più classica del corporativismo
che abbonda nel mondo della
scuola, oltre che del tenue barlume di dignità che lo aveva scosso a
distanza di quattro anni dal taglio
di 8,5 miliardi di euro dal bilancio.
Il governo ha fatto la sua parte con
la consueta assurdità e opportunismo che lo contraddistingue da un
anno. Lo ha fatto notare il segretario confederale della Cgil, Serena
Sorrentino, secondo la quale l’esecutivo è stato colpito da strabismo:
«Ai lavoratori dei settori privati
chiede di superare gli automatismi
salariali, tra cui gli scatti di anzianità, mentre per la scuola li ritiene
una priorità». Dopo aver mostrato
la faccia feroce, quella innovativa
o paternalista, a seconda del vento
che tirava, il governo è andato a Canossa perché da due mesi la scuola è percorsa da un movimento
ben radicato che ha imposto le sue
condizioni e ottenuto solo alcuni risultati parziali. Limitare la portata
generale di questo movimento all’ottenimento degli scatti di anzianità arretrati può sembrare legittimo solo al segretario della Cisl Bonanni che ha prontamente applaudito il ritiro dello sciopero. Non la
pensa così il segretario Flc-Cgil Domenico Pantaleo che ha illustrato,
cifre alla mano, il tranello in cui gli
altri sindacati si sono lasciati trasportare: «Non è una soluzione,
ma il gioco delle tre carte - afferma
- Il ripristino degli scatti di anzianità per l’anno 2011 ha bisogno di
una copertura finanziaria 480 milioni di euro, ma il Mef a fronte dei
tagli epocali, 8 miliardi in tre anni,
ha certificato una miseria di risparmi: 86 milioni. E’ necessario quindi tagliare di un terzo, pari a 384
milioni di euro, il fondo di scuola
per pagare gli scatti». Tradotto:
uno sciopero generale è stato ritirato perché alcuni sindacati pensano di pagare gli arretrati degli insegnanti prendendo i soldi dai fondi
di istituto con i quali si finanziano
le attività delle scuole. Queste partite di giro sono tipiche dell’austerità militante praticata prima da Tremonti e oggi da Grilli e Profumo.
La Flc conferma che sabato organizzerà un presidio a piazza Farnese, mentre i Cobas partiranno da
piazza della Repubblica e incroceranno gli studenti al Colosseo.
Quanto agli studenti ieri sono stati
travolti da un’ondata di paternalismo attivo. Il ministro dell’Istruzione Profumo non solo ha negato
ogni paternità sul ddl «ex Aprea» in
discussione al Senato, motivo scatenante della protesta, ma ha anche detto di capire le ragioni della
protesta. E si mette nei panni di
quanti, come gli agenti di pubblica
sicurezza, garantiranno «l’incolumità dei manifestanti stessi e dei
cittadini». L’involontaria ironia di
questa raccomandazione, in particolare alle forze dell’ordine guidate dal questore di Roma Fausto
Della Rocca, non è stata colta dal
ministro. Oppure, come suggerivano ieri gli studenti in Via Arenula,
forse è una preghiera formulata
con il linguaggio del «tecnico»: evitare che sabato la polizia si accanisca con i manganelli sulla faccia degli adolescenti, com’è accaduto il
14 novembre. Il movimento degli
studenti medi e universitari è stato
molto chiaro. Sabato devono esse-
re rimossi tutti i blocchi, la polizia
deve tenersi a distanza dal corteo
che deve sfilare pacificamente e arrivare ai palazzi del potere. In piazza, precisano, «porteremo anche i
caschi, avendo sperimentato sulla
nostra pelle la violenza ingiustificata delle forze dell’ordine».
a diversi mesi, in modo sempre più chiaro, si stanno evidenziando alcune tendenze
nel complesso e variegato mondo dell’estrema destra. In primo luogo la
spinta a intervenire nella crisi puntando a raccogliere consensi tra gli strati
sociali più colpiti. Da qui un’analisi dell’attuale situazione, da La Destra di
Francesco Storace a Forza nuova, a Casa Pound, fortemente caratterizzata
dall’accusa ai poteri forti, alle banche,
ma soprattutto alle élite finanziarie, di
aver operato a livello mondiale per determinare la crisi, seguite da parole
d’ordine ostentatamente anticapitaliste e antisistema. Una linea antagonista, contro l’Unione europea, rivendicando la piena «sovranità nazionale» e
l’uscita dall’euro.
In questo quadro è stata anche assunta la difesa dello Stato sociale, reinterpretato in senso differenzialista e
razzista, volto alla sola tutela degli italiani. L’obiettivo è cercare di rompere,
da un lato, il fronte delle classi popolari e, dall’altro, di conquistarsi spazi di
rappresentanza. Un indirizzo già assunto nelle regioni settentrionali dalla
Lega, che dove governa tenta da sempre di introdurre discriminazioni nei
confronti degli immigrati e con lo slogan "Prima il Nord", punta ora anche
allo sfaldamento dell’unità nazionale.
Comune è l’idea di una società all’insegna dell’apartheid. Un non trascurabile punto d’incontro tra destre diverse.
Dati i miseri, se non insignificanti risultati elettorali dell’estrema destra italiana di questi ultimi anni, penalizzata
al nord proprio dalla Lega e successivamente dalla confluenza di Alleanza nazionale nel Pdl, più di qualcuno guarda
adesso alle esperienze delle destre populiste e radicali europee in forte crescita,
nella speranza di ripeterne i successi.
Manifestazioni/ PER DOMANI PREVISTI TRE CORTEI A ROMA
Cancellieri: «Favorevole
all’arresto differito»
Leo Lancari
ROMA
M
anifestanti trattati come ultras da stadio.
Con la possibilità di arrestare anche a distanza di giorni il protagonista di eventuali atti di violenza o vandalismo. E’ la
misura a cui il governo sta pensando dopo gli scontri avvenuti
durante le manifestazioni indette mercoledì scorso in occasione
dello sciopero europeo. A riferirlo è stato ieri il ministro degli Interni Annamaria Cancellieri parlando al Senato. «L’arresto differito è uno strumento molto efficace che ha dato risposte positive negli stadi e pensiamo quindi
di applicarlo», ha detto la titolare del Viminale, convinta che
questa misura sia più praticabile
rispetto a un’estensione anche
alle manifestazioni politiche del
Daspo, anch’esso già in vigore
per gli eventi sportivi.
Il giro di vite annunciato solo
pochi giorni dalla stessa Cancellieri comincia dunque a delinearsi. E le misura annunciata ieri
potrebbe essere solo la prima
di una serie di interventi mirati
a contenere la manifestazioni
di piazza. Come già fatto nelle
scorse settimane dal capo della
polizia Manganelli, anche Cancellieri si è infatti detta preoccupata per quanto potrebbe avvenire nei prossimi mesi. «E’ da
mesi che ci stiamo preparando
a momenti difficili - ha proseguito il ministro -. E’ una situazione di grande preoccupazio-
ne ma non è da oggi che lo stiamo dicendo».
Su quanto accaduto il 14 novembre, Cancellieri è infine tornata ad agitare lo spauracchio
di presunti infiltrati nel corteo
degli studenti: «Movimenti an-
tagonisti che da sempre cercano di portare il Paese nelle condizioni di instabilità», ha detto.
Neanche una parola invece,
da parte del ministro, sugli episodi di violenza che hanno invece visto protagonisti alcuni
agenti di polizia. Tra l’altro proprio ieri il ministro della Giustizia Paola Severino ha chiuso
l’indagine sui lacrimogeni che
sarebbero stati sparati dal suo
ministero tornando a escludere
che il lancio si avvenuto dall’interno dell’edificio.
Quella di domani intanto si annuncia come un’altra giornata
calda, con più cortei che attraverseranno Roma. E di segno decisamente opposto.
Al mattino sono previsti due
cortei della scuola: i Cobas, che
contestano i tagli al settore,
hanno dato appuntamento a
piazza della Repubblica per poi
sfilare fino a piazza Santissimi
Apostoli. Alla Piramide si vedranno invece gli studenti medi e universitari che con la parola d'ordine «Riprendiamoci la
città», punteranno verso il centro, I due cortei, Cobas e studenti, dovrebbe confluire in un’unica grande manifestazione al Colosseo. A piazza Farnese è previsto invece un sit in della Cgil
sempre per la scuola.
Per l'occasione la questura,
che si aspetta un’adesione massiccia al corteo degli studenti
(non meno di diecimila persone), ha predisposto il solito dispositivo di sicurezza che prevede la chiusura di tutte le vie di accesso ai palazzi delle istituzioni.
Nel pomeriggio sfilerà invece
Casapound, che però - dopo
giorni di trattativa in Questura ha accettato di modificare il percorso del suo corteo, previsto inizialmente da piazza della Repubblica al Colosseo. Il nuovo tragitto prevede invece l’appuntamento alle 16 in piazza Mazzini per
poi sfilare fino a Ponte Milvio.
Scelta che verrà spiegata da Casapound questa mattina alle 11
in una conferenza stampa convocata nella sede del movimento. La decisione ha comunque
fatto tirare un sospiro di sollievo
in Questura, dove vedono disinnescarsi una situazione che
avrebbe potuto essere rischiosa
per la vicinanza tra i due cortei
contrapposti.
Resta comunque confermata
la mobilitazione antifascista,
con un presidio indetto a partire
dalle 15 a piazza Vittorio, non distante dalla sede di Casapound.
La Destra di Francesco Storace, in
particolare, ambirebbe a reincarnare
in Italia il Front national di Marine Le
Pen, una tentazione, per altro, anche
di non trascurabili settori dello stesso
Pdl. Suoi comunque i tentativi di costruire, come nel marzo scorso, momenti di protesta di piazza ricalcando
alcuni temi d’oltralpe («Prima gli italiani poi gli stranieri»), contro il governo
Monti, le banche e la finanza, vagheggiando tra l’altro l’indizione di un referendum per il ritorno alla lira. In compenso la scissione, tanto attesa, dal Pdl
da parte degli ex di Alleanza nazionale,
con la prospettiva di una nuova forza
politica insieme, è rientrata con una
precipitosa retromarcia di Ignazio La
Russa e Maurizio Gasparri, che dopo
aver verificato, sondaggi alla mano, come il nuovo soggetto politico non fosse destinato a superare il 2%, hanno
preferito schiacciarsi con disinvoltura
su Angelino Alfano, rimandando a tempi migliori ogni altro ragionamento. A
La Destra non resta che reimbarcare i
rimasugli della Fiamma tricolore e agganciarsi alle primarie (se si terranno)
del Pdl puntando su Giorgia Meloni, resasi autonoma nell’ambito degli ex An,
in vista di un accordo elettorale con lo
stesso Pdl.
I modelli per Forza nuova restano invece quelli di Jobbik in Ungheria e più
recentemente di Alba dorata in Grecia.
Pur coscienti delle differenze come delle innegabili difficoltà a innescare, rispetto alla situazione greca, uno squadrismo sistematico ai danni degli immigrati, Fn ha puntato a sua volta sulle
manifestazioni di strada, come il 29 settembre scorso, con una serie di cortei
organizzati in contemporanea in diverse città. Generico il tema: "Italia-futuro-Rivoluzione!". Nell’occasione il
gruppo dirigente, senza mezzi termini,
si è scagliato contro «quell’albero marcio che risponde al nome di democrazia», auspicando un «assalto al parlamento e alle sedi dei partiti». Come se
davvero fosse alle porte una spallata al
sistema. Per motivare i militanti, all’interno della stessa organizzazione, è anche recentemente invalso l’uso di far
circolare notizie di presunti sondaggi,
«occultati dal regime», in cui Forza
nuova verrebbe data in rapida ascesa.
Inquietanti in questo quadro anche le
notizie circa addestramenti tenuti in
boschi isolati e in più località da parte
di militanti forzanovisti. Ma da tempo
Forza nuova guarda all’attuale situazione italiana ripensando alle “camicie
nere” degli Venti.
Casa Pound sembrerebbe, invece,
voler battere una strada in proprio, dopo essersi decisa al gran passo di misurarsi finalmente con il consenso elettorale, anche se solo a livello romano e laziale, dichiaratamente «senza cercare
alleanze». Per questa via tenta anche il
rilancio del proprio progetto incentrato sulla costruzione di un movimento
giovanile fascista, di studenti, ma non
solo (al Blocco studentesco è stato affiancato un Blocco dei lavoratori), dotato di un suo specifico immaginario,
tra passato e presente, da Marinetti a
Brasillach, con l’utilizzo di tutti i “miti
contro”, Bobby Sands o Che Guevara
che sia, in un miscuglio apparentemente “rivoluzionario”. L’ancoraggio
è in realtà al primo movimento fascista, fintamente antiborghese e trasgressivo.
Preceduta dai blitz intimidatori delle ultime settimane nei licei romani,
ancor prima alle sedi della Croce Rossa (contro la sua privatizzazione) e dell’Ue (in solidarietà con i minatori del
Sulcis), ma anche da aggressioni, si veda Trento, grande importanza viene
data ora alla manifestazione nazionale
programmata, lo stesso giorno dello
sciopero generale della scuola, per sabato prossimo a Roma «contro il governo dei banchieri e per lo stato sociale».
Vedremo i numeri. Ma la recente discesa in campo di un movimento studentesco fortemente orientato a sinistra
potrebbe rappresentare il miglior antidoto a tutti questi tentativi, prosciugare gli spazi per le destre e relegare Casa
Pound ai margini.
pagina 4
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
ITALIA
IL LOCALE "DRUNKEN SHIP" DI CAMPO DE FIORI DOPO LA DEVASTAZIONE DELLA SCORSA NOTTE/FOTO EIDON
DALLA PRIMA
NAPOLI
Alessandro Portelli
Pollari indagato
per corruzione
La malattia
identitaria
E invece proprio l’assenza della "politica" lascia il campo a
pratiche che esprimono allo
stato puro la forma dominante della
politica in questi tempi di eclissi della
politica: la politica dell’identità. Più la
politica "vera" si svuota di contenuti,
fra pensiero unico, leaderismi, primarie ad personam, delega dei governabili ai governanti, più quello che conta è
solo lo schieramento, l’appartenenza.
E allora: quando l’Osservatorio del Viminale ripete il luogo comune secondo cui questi episodi «non hanno
niente a che vedere con lo sport» dovremo pure chiederci con che cosa
c’entrano, e come mai si addensano
comunque attorno agli stadi.
Allo stadio si canta: «Noi siamo i
bianco-blu, la Lazio amiamo, la Roma odiamo». Ma se uno gli domanda
perché, non te lo sanno dire perché
non c’è nessun perché, emozioni senza contenuti. Infatti il tifo ha lo stesso
statuto linguistico dei nomi propri: significa solo se stesso. Come "Giuseppe" significa solo "una persona che si
chiama Giuseppe", così "tifoso laziale" (o "juventino") significa solo una
persona che fa il tifo per la Lazio (o
per la Juventus). Non c’è nessuna ragione per fare il tifo per una squadra
o per un’altra: è il grado zero dell’ appartenza spesso casuale e intercambiabile (e quando qualche ragione
c’è, è identitaria anch’essa. Tifi Fiorentina perché sei di Firenze, tifi Lazio – come me – perché mio padre ci
giocava: identità al quadrato). Non sono più le antiche scazzottate fra il romanista e il laziale al derby per un rigore o un fuorigioco, ma semplice aggressione dell’altro perché non è
"noi". Che poi la politica dell’aggressione identitaria sia più consona alla
destra che alla democrazia è solo un
corollario di questo stato di cose
(guarda caso, il Tottenham è vicino al
mondo ebraico): come scriveva qualche giorno fa Marco Lodoli, la forza
bruta e l’aggressione a priori diventano il modo primario di affermare la
propria esistenza, una forma di comunicazione sempre più diffusa in tutti i
rapporti interpersonali. Lo stadio, insomma, parla di tutti.
Infine. Il commento più frequente
sulla radio laziali è: non ci crediamo,
non possiamo essere stati noi. Ora,
l’incredulità è il primo stadio della reazione a un trauma, come quando uno
viene a sapere di avere una malattia
gravissima (e non riguarda solo i tifosi
di calcio: vi ricordate quando cantavamo «Impossibile, un compagno non
può averlo fatto», e invece i "compagni" lo facevano eccome). Certo, non
sono violenti e fascisti solo i tifosi laziali, è una malattia ormai generalizzata,
tanto che pare che i primi arrestati siano ultra romanisti (in questo caso,
non sarebbe la prima azione combinata dei fascisti di entrambe le parti, come è già successo in passato attorno
all’Olimpico e a Brescia). Però alla Lazio abbiamo una storia lunga di razzismo e fascismo che non possiamo diluire in un così fan tutti che azzera
ogni cosa. Solo quando si prende atto
che la malattia esiste si può cominciare la cura. Invece di esorcizzarla, direi
a quei tifosi increduli e alla società che
li rappresenta: guardiamoci dentro.
Magari daremo una mano anche a tutti gli altri infettati.
Franca Pinna
NAPOLI
D
ROMA · Un commando prende di mira un pub di Campo de’ Fiori
L’assalto degli ultras
Giacomo Russo Spena
ROMA
U
n assalto a suon di spranghe, mazze da baseball, cinte, tirapugni e coltelli. Un
pub devastato. Dieci feriti, di cui
uno grave che dovrà essere operato
d’urgenza all’ospedale San Camillo.
Ieri notte Roma è stato terreno ultras: una trentina di tifosi, tra laziali
e romanisti, hanno assalito i supporter inglesi venuti nella Capitale per
assistere alla partita Lazio-Tottenham. Un agguato scattato tra
Nel mirino una
trentina di tifosi
del Tottenham,
uno dei quali ferito
gravemente
mercoledì e giovedì, all’1.30, nel locale The Drunken Ship di Campo de’
Fiori: volti coperti con passamontagna e caschi e giù botte e coltellate
ai malcapitati inglesi finiti lì per una
sbronza. Tutto durato pochi minuti,
poi la fuga per i vicoli del centro. Subito la polizia, chiamata dai cittadini
spaventati, si è messa alla caccia dei
responsabili.
In serata due ultrà della Roma sono stati arrestati: uno ha 26 anni, l’altro 27. Il primo, F. L., è un commerciante ambulante che nel 2007 aveva avuto un Daspo. Al secondo, M.
P., un operaio edile incensurato,
hanno trovato «armi improprie» nell’abitazione. Entrambi sono accusati
di tentato omicidio, danneggiamento e lesioni pluriaggravate. Altre 6
persone invece sono state fermate.
Per alcuni testimoni durante l’assalto la banda avrebbe scandito più
volte «ebrei di merda», tanto che gli
investigatori ipotizzano un raid per
motivi antisemiti: il Tottenham è storicamente la squadra degli ebrei di
Londra. Più volte ieri durante la partita la curva Nord dello stadio Olimpico ha intonato il coro «Juden Tottenham, juden Tottenham». Altri elementi fanno ipotizzare la pista razzista come elemento ulteriore, non però il movente principale. La firm del
Tottenham infatti non detiene più
questa caratteristica, appartenente
al passato. Inoltre gli ultimi movimenti nelle curve capitoline porterebbero altrove.
La Curva Nord laziale è in grande
subbuglio: dopo due anni di assenza, lo storico gruppo degli Irriducibili è tornato a “comandare”. Lo scorso 20 ottobre a Lazio-Milan per la
prima volta viene riesposto lo striscione. Dopo anni di scontri e polemiche col presidente Lotito ricomincia un rapporto con la società per la
gestione dopo le partite casalinghe
del «Terzo Tempo» nei pub di Ponte
Milvio. Nella Nord insomma si rimuove qualcosa, una fase di smottamento interno. Il 25 ottobre la trasferta ad Atene, in 300 «come gli
spartani», per scontrarsi con i tifosi
greci.
Poi l’episodio del giovedì prima
del derby: 40 persone, armate fino ai
denti, si presentano fuori un pub di
Colle Oppio per scontrarsi con una
decina di romanisti. Un piccolo contatto. Non succede il finimondo - come avvenuto invece al Drunken
Ship la scorsa notte - solo per la rapida "ritirata” dei supporter giallorossi. La domenica successiva allo stadio, durante il derby, in curva Nord
viene esposto lo striscione: «Romanista, a Colle Oppio ti sei cagato addosso», oltre allo striscione antisemita
«C’è chi tifa Lazio, kippah la Roma».
Infine, il raid anti-hooligans dell’altra notte: scontrarsi con le firm inglesi - nel codice e nel linguaggio ultras
- «fa curriculum». Coi laziali vanno i
romanisti. Un intreccio fitto tra tifo
calcistico, fede politica di estrema
destra e piccola criminalità (non è
da escludere che nella spedizione ci
fossero anche piccoli «banditi» dell’Est Europa): tre elementi che molto spesso sono intrecciati tra loro.
In ogni caso, non è la prima volta
che nella Capitale avvengono raid
del genere. Già in passato, come nel
2007 l’irruzione a Villa Ada durante
il concerto della Banda Bassotti o
nel 2008 quello ad uno storico pub
(ritrovo dei redskins) di San Lorenzo, ambienti ultras legati all’estrema
destra sono arrivati alle cronache nazionali per raid e violenze.
opo il nuovo processo deciso dalla Corte di Cassazione sul sequestro del mullah Abu Omar, scoppia un
nuovo caso intorno a Nicolò Pollari, ex capo dei servizi segreti militari e attualmente consigliere di Stato. La procura di Napoli lo accusa di corruzione in una serie di presunte compravendite di beni avvenute insieme all’immobiliarista partenopeo Achille D’Avanzo. Ci sarebbero state infatti
delle gravi irregolarità nel dare in affitto e vendere immobili
destinati alla Guardia di Finanza, motivo per cui risulta coinvolto anche Walter Cretella Lombardo comandante delle
Fiamme Gialle venete.
Ieri sono scattate perquiL’ex capo del Sismi
sizioni a tappeto per consultare
documenti utili all’inè coinvolto in una
chiesta condotta dal pm Woinchiesta sulla
odckok. Un filone che nasce dai riscontri ottenuti ducompravendita di
rante il processo a carico
immobili della Gdf
del parlamentare Pdl Alfonso Papa, nell’ambito dell’indagine sulla P4.
Il deputato, finito a Poggioreale nel 2011 e poi scarcerato
era stato infatti accusato, durante un interrogatorio, dal faccendiere Luigi Bisignani, di avere diversi agganci con alti ufficiali della Gdf e di essere in strettissimi rapporti con i servizi
segreti. In particolare Papa, secondo diverse dichiarazioni,
avrebbe avuto un legame diretto con Pio Pompa collaboratore di Nicolò Pollari, da cui avrebbe ottenuto dossier su politici, magistrati e imprenditori da ricattare. In base a questi elementi sarebbe come una matassa che si sbroglia gradualmente, visto che l’ex magistrato è sempre stato ritenuto, da
tutti i testimoni dell’indagine, vicino allo stesso ex capo del
Sismi.
In ogni caso le accuse napoletane di ieri rappresentano
l’ennesima doccia fredda per l’ex 007 italiano che si professa
completamente estraneo alla vicenda: «Ho appreso con profonda sorpresa e con profondo dispiacere – ha dichiarato
l’ex Capo del Sismi - di essere evocato in una vicenda che
non conosco, alla quale sono assolutamente estraneo e rispetto alla quale, con riferimento a taluno dei nominativi
evidenziati, non ho neppure elementi di occasionale conoscenza».
CATANZARO · Annullato per irregolarità il voto del maggio scorso
Il Tar decapita il sindaco del Pdl,
le elezioni sono da rifare
Giacomo De Luca
CATANZARO
A
pochi mesi dallo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria, un analogo destino tocca
a quello di Catanzaro. Per motivi diversi. Qui, il consiglio comunale non è stato sciolto dal
ministero dell’interno per contiguità mafiose, ma decade per effetto di una sentenza del Tribunale amministrativo regionale,
nell’ambito di un giudizio in
cui erano stato impugnate le
operazioni elettorali del maggio scorso.
Le urne avevano portato all’elezione alla carica di sindaco
di Sergio Abramo (Pdl), che aveva superato il 50% dei voti per
appena 128 schede. Da subito
erano emersi forti dubbi sulla
regolarità delle operazioni elettorali. Furono denunciate can-
cellature e correzioni. E’ stato
poi riscontrato che circa 27 elettori avevano votato due volte.
Tanto che la procura ha aperto
un’indagine penale sulla presunta compravendita dei voti,
che ha portato all’iscrizione nel
registro degli indagati di un consigliere comunale, Francesco
Leone, e al sequestro delle schede elettorali di tutti i 90 seggi.
Il comitato del candidato sindaco sconfitto Salvatore Scalzo
aveva quindi proposto ricorso
al Tar chiedendo che venisse invalidato il voto. Ieri, il Tar ha dichiarato l’illegittimità del voto
in otto sezioni e ha così annullato i verbali che avevano proclamato sindaco e consiglieri. La
lettura del dispositivo della sentenza, è stata accompagnata da
un applauso dal pubblico presente. «Giustizia è fatta».
Circa 6.500 cittadini torneranno quindi a esprimere nuovamente il proprio voto. Ancora
non si conoscono le motivazioni poste dal Tar a sostegno della decisione. Ma, come di consueto in questi casi, già abbondano i commenti. Di gioia e di
esultanza da parte di chi ha sostenuto questa battaglia giudiziaria, primo fra tutti, ovviamente, Salvatore Scalzo che avrà
ora una nuova opportunità. Di
rabbia e frustrazione, sul fronte
avverso, dove il sindaco Abramo parla di danni incalcolabili
e ha già annunciato che impugnerà la sentenza davanti al
Consiglio di Stato e chiederà la
sospensiva.
La sentenza, intanto, è stata
già trasmessa, oltre che alla procura, anche alla prefettura. Dopo solo sei mesi, i Commissari
potrebbero quindi tornare a Palazzo De Nobili.
Visto l’esito della sentenza,
ha preso parte ai festeggiamenti anche il segretario nazionale
del Pd, per sottolineare la fondatezza della battaglia condotta
dal suo partito e da Salvatore
Scalzo. Bersani, invocando il ritorno alle urne nel rispetto delle regole democratiche, ha confermato l’impegno a fianco di
Scalzo, «perché la sua vittoria a
Catanzaro sia motore di cambiamento per tutta la Calabria».
Sempre di ieri è la notizia della
nomina della commissione di
accesso antimafia a Rende dopo gli arresti per corruzione dell’ex sindaco Umberto Bernaudo e dell’ex assessore Pietro Paolo Ruffolo, entrambi del Pd.
Su questo, Bersani non ha fatto
commenti.
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
pagina 5
PRIMARIO
ELEZIONI · Napolitano: professore incandidabile, è già senatore. Ma Casini: le nostre liste ispirate al lavoro del premier
FOTO REUTERS
Il Colle : Monti sì, ma dopo il voto
Daniela Preziosi
TRAVAGLIO PDL
U
Gazebo elettronico
il 16 dicembre
n suggerimento a Monti (interpretazione cattivista) di tenersi fuori dalla mischia, non legarsi a una coalizione che prende una
percentuale minoritaria e aspettare
che il nuovo parlamento prenda atto
di non avere una vera maggioranza
per tornare in campo invocato da tutti
per succedere a se stesso. Oppure (interpretazione buonista, soprattutto
nei confronti del Pd) un suggerimento
a Monti di tenersi fuori dalla mischia
per aspettare che il nuovo parlamento
lo invochi - come già fa buona parte
del Pd - come nuovo capo dello stato e
di lì «garantire» il nuovo governo italiano a guida democratica?
A tre giorni dalle primarie che sceglieranno il candidato premier del centrosinistra, ieri il presidente della Repubblica Napolitano, da Parigi, ha elargito l’ennesimo suggerimento alle forze politiche, e anche a Monti stesso.
Con frasi così congegnate, benché i
commenti ufficiali siano pochissimi del resto nel Pd intervenire sulle parole del Colle se non per elogiarle è un tabù - che dopo poche ore il Quirinale è
costretto a una precisazione.
Leggiamo le parole del presidente:
Monti, dice Napolitano, non è candidabile nelle liste perché è già senatore a
vita, «non è un particolare da poco ma
qualche volta si dimentica»; e però «ha
un suo studio a Palazzo Giustiniani dove potrà ricevere chiunque, dopo le elezioni, volesse chiedergli un parere, un
contributo, o un impegno». Ma - appunto a leggere le parole - le frasi sono
autoeveidenti: Monti non può essere
eletto in parlamento perché ne fa già
parte - è senatore a vita, lo ha nominato lo stesso Monti alla vigilia della nomina a premier. E tuttavia, aggiunge il
presidente, «ci sono alcune forze politiche o movimenti, non so come chiamarli perché la situazione oggi è fluida, che pensano che Monti potrebbe
continuare a fare il presidente del Consiglio, dopo il voto, in un governo politico e non più tecnico. È un diritto o
una facoltà che ha qualsiasi partito»,
concede, e però «non mi pare compaia una lista per Monti, non la vedo e
non so che senso avrebbe, ma comunque è pur sempre una lista che deve
avere suoi candidati in parlamento. Bisogna vedere quale sarà il peso di questa ipotetica lista che concorrerà come
Il capo dello stato:
«Fatte le elezioni,
la politica si potrà
rivolgere a lui».
Poi la precisazione
tutti gli altri partiti alle consultazioni
per l’incarico del nuovo governo. Avrà
già un nome in testa? Benissimo. Vedremo quali altri nomi proporranno
gli altri partiti sulla base dei risultati
elettorali. Poi il presidente della Repubblica deciderà».
Monti non è candidabile in parlamento. Ma, a legge elettorale vigente,
nulla vieta che le liste centriste lo indichino come «capo della coalizione»,
cioè candidato premier. Napolitano
sembra sconsigliarlo. Il ministro Riccardi, il tecnico che ha già fatto il salto
in politica, con Montezemolo, non ci
sente: ha ragione Napolitano, dice, il
problema non è candidarlo in parlamento ma «continuare con Monti vuol
dire riparlare agli italiani di politica».
Ci sente benissimo invece Casini, che
infatti replica secco: «Noi presenteremo una lista che si richiamerà espressamente al lavoro politico del governo
Monti e alle necessità di continuarlo.
Saranno gli elettori a giudicarne l’indice di gradimento».
E così vuole capirla anche Bersani,
che negli scorsi giorni ha escluso una
candidatura di Monti. Napolitano - sarebbe il ragionamento - vuole solo preservare l’attuale premier dall’agone politico in vista di un ’dopo’. Che per Bersani però non è la presidenza del consiglio, a cui ambisce lui: «Le parole di Napolitano», dice il leader Pd, «mi sono
piaciute, sono state chiare: tocca alla
politica dare una maggioranza stabile,
coesa» e «toccasse a me il giorno dopo
andrei a parlare con Monti per capire
dal suo punto di vista quale possa essere il suo contributo al paese». Il posto
vede per Monti è il Colle: Tabacci lo dice apertamente, Bersani vi allude or-
GIORGIO NAPOLITANO E MARIO MONTI
mai spesso, sgomberandosi il campo
da un papabile rivale a Palazzo Chigi.
Sono così «chiare» le parole del presidente che dopo qualche ora il Colle è
costretto a precisare: il capo dello stato «non sponsorizza alcuna soluzione
di governo per il dopo elezioni», «ha solo richiamato in modo inconfutabile i
termini obbiettivi in cui il problema
della formazione del nuovo governo si
porrà una volta concluso il confronto
elettorale nel rapporto tra le forze politiche e il nuovo Capo dello Stato».
Certo, toccherà al successore di Napolitano, una volta eletto dal nuovo
parlamento, nominare il nuovo governo. Inconfutabile, almeno quanto il fatto che Monti è incandidabile come parlamentare, ma candidabilissimo come
capo di una coalizione. E che il punto
dolente sia proprio questo, lo conferma l’orgogliosa rivendicazione della
politica che ieri Dario Franceschini capogruppo ma anche papabile segretario del Pd - ha pronunciato alla camera, in occasione dell’ultimo voto sulla legge di stabilità: «In Grecia e in Spagna sono scoppiate tensioni di ogni tipo e in Italia no» grazie ai partiti, Pd in
testa, dice. «Spero che le primarie
del Pd e del Pdl siano una risposta di
buona politica all’antipolitica, che è soprattutto restituire la scelta ai cittadini. La sovranità appartiene al popolo.
Non ai mercati o ai grandi interessi finanziari. E alle prossime elezioni, la parola torna ai cittadini». Alle primarie di
destra e di sinistra, anche questo inconfutabile, Monti non è candidato.
PRIMARIE/ RENZI FUORIONDA: PIAZZO GLI AMICI
Nichi: arrivo secondo
L
e registrazioni degli elettori delle primarie di domenica hanno raggiunto - secondo i dati diffusi dal Pd - il milione. Ed è
già un bell’obiettivo. Negli ultimi giorni di campagna intanto Matteo Renzi infila una gaffe dopo l’altra. Dopo essersi rimangiato la polemica sulle regole «ridicole» e anche l’idea della «rottamazione», ieri è stata la volta di un suo fuorionda nel corso di
un’intervista su Radio 105. «Se io non vado lì», intendeva in parlamento, «avrò un po’ di amici, cercherò di avere un po’ di spazio, ma io non mi faccio comprare, non voglio diventare come loro». E: «se
vinco, con la rottamazione, tutti si aspettano
questo e se non lo faccio mi vengono a rincorrere». In caso di vittoria, dunque, «devo fare
le liste e chiedo: chi vuole stare con me? Chi
ci vuole stare dovrà siglare e dire in campagna elettorale che nei primi cento giorni abolirà le indennità, il vitalizio». Replica di Beppe Fioroni: ora è «più chiaro come ’il caro leader Kim’ nominerà e rottamerà, deciderà e governerà la vera democrazia. ’Il popolo è il mio Dio’, motto noto in Corea da non
esportare... ma Matteo in fondo non pensa ciò che dice... a microfoni accesi». Poi la smentita dello staff: nessun fuorionda, era tutto on air. È proprio quello che pensa Renzi.
Carichissimo invece Nichi Vendola: «Penso di poter vincere al
secondo turno». Il leader di Sel e candidato di sinistra alle primarie, ieri su Radio2 ha ridimensionato le sue ambizioni di vittoria.
Ma neanche troppo: si piazzerà, prevede, secondo al primo turno
davanti a Renzi, e poi giocherà la finalissima il 2 dicembre. «Credo
di stare tra il 20 e il 30 per cento», sopra Renzi, «diciamo io il 25 e
lui il 22». Bersani gli fa sapere «con tutta l’amicizia» che nel caso
voterebbe Renzi, suo (per ora) compagno di partito.
DDL DIFFAMAZIONE · Passa con 122 sì la norma «salva direttori»
Il Senato li vuole mandare in galera
i giornalisti proclamano lo sciopero
Luca Fazio
L
a maggioranza dei senatori,
di questo Senato che ormai
ha le settimane contate, ha
approvato con un voto livoroso
che sa di vendetta il punto più controverso del ddl sulla diffamazione, il cosiddetto emendamento
salva-Sallusti del relatore Filippo
Berselli (Pdl) che esclude il carcere per i direttori responsabili dei
quotidiani. Per la maggioranza dei
senatori, dunque, dietro le sbarre,
fino ad un anno, ci devono finire
solo i giornalisti (122 hanno votato sì, 111 hanno detto no, 6 si sono
astenuti). Hanno votato sì Pdl e Lega, contro Pd, Idv, Udc, Api-Fli, ed
è stato uno spettacolo penoso anche grazie all’intervento di alcuni
«pianisti» che hanno suscitato l’indignazione della presidente di turno, Rosi Mauro (figuriamoci): «E’
vergognoso che alcuni votino per i
colleghi assenti».
Un «pasticcio», per usare l’aggettivo più carino che riecheggiava ieri dalle parti di Palazzo Madama, che costringe la Federazione
nazionale della stampa (Fnsi) a
proclamare una giornata di sciopero per lunedì prossimo. «La maggioranza che si è ricreata nel voto
contro i giornalisti - alza la voce
Franco Siddi, segretario generale
della Fnsi - sta compiendo un atto
di violenza che non potrà restare
senza sanzione pubblica da parte
della categoria e dei cittadini». La
Fnsi sta anche organizzando una
fiaccolata vicino al Pantheon, «per
illuminare quello che gli altri vogliono oscurare».
Prima del voto, il governo, su
iniziativa del sottosegretario alla
giustizia Antonino Gullo, aveva
espresso la propria contrarietà all’approvazione del ddl, «per ragioni tecniche» (per come è formulato, infatti, l’articolo è anche a rischio di incostituzionalità). Ma
non è servito a niente. La discussione, comunque, continuerà lunedì in aula grazie all’iniziativa
ostruzionistica del Pd che ha chiesto un nuovo voto, questa volta segreto trattandosi di una normativa penale. «L’emendamento Berselli - è il parere di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al
Senato - è uno scempio, un mo-
stro che spero vada a morire. Vedremo come andrà avanti lunedì
la discussione in aula, io spero
sempre che il Pdl cambi idea, abbia un sussulto e receda da questa
Lunedì a Palazzo
Madama nuovo
voto a scrutinio
segreto, ma la
stampa si ferma
sua ostinazione di approvare una
legge sbagliata». Anche il senatore
del Pd Vincenzo Vita non ha l’aria
di uno che sta gettando la spugna.
Anzi. «Il testo è un obbrobrio che
non serve a Sallusti - dice - e rischia di danneggiare gravemente
l’autonomia dell’informazione,
quindi faremo di tutto perché venga bocciato già lunedì». Gerardo
D’Ambrosio (Pd) ha deciso polemicamente di non partecipare alla votazione di ieri: «Ma vogliamo
tornare tutti quanti al primo anno
di università? Così come è scritto
questo emendamento è un obbro-
Il Pdl è ormai in totale disfacimento. Angelino Alfano (insieme a La Russa e i capigruppo
parlamentari) ha confermato
che le primarie si faranno e si
terranno addirittura prestissimo,
il 16 dicembre. Rispetto a quelle del Pd l’organizzazione appare parecchio estemporanea:
ognuno potrà votare nel gazebo
che vuole (il voto sarà soltanto
elettronico e perciò non esattamente a prova di bomba) e i
16enni che voteranno dovranno
pagare oltre ai canonici 2 euro
anche i 10 euro della tessera
del partito (paura dei «ggiovani» di Giorgia Meloni?). Berlusconi, com’è noto, resta contrario. E così molti «big» e fedelissimi a cominciare dall’ex ministro
e coordinatore Sandro Bondi.
Compatti invece i colonnelli ex
An stretti attorno ad Alfano.
Il partito ormai perde pezzi ogni
giorno che passa. Tremonti conferma che correrà alle elezioni
con una sua lista (3L) e alla
camera si rafforza la scissione
dei «montisti»: Isabella Bertolini, ex vicepresidente Pdl alla
camera, Gaetano Pecorella, l'ex
legale di Silvio Berlusconi e i
deputati Roberto Tortoli e Franco Stradella raggiungono Giorgio Stracquadanio nel gruppo
Misto e formano «Italia Libera».
Una mini formazione di prossimi «non candidati» che punta
comunque le carte sulle manovre centriste pro Monti. I 5 forzisti della prima ora giurano che
entro la prossima settimana
saranno in 20, teoricamente in
grado cioè di fare un gruppo
autonomo dal Pdl. Il progetto
comunque è l’anticamera di
una lista di ex Pdl affiancata a
quelle o quella «per l’Italia» e
per Monti di Fini e Casini.
Ma i vecchi vizi non si perdono
mai. E con pervicacia in commissione Industria al senato il
pidiellino Valentino insiste nell’infilare un emendamento «ammazza sentenze» che più di un
salvacondotto a Berlusconi sarebbe un quarto grado di giudizio che garantirebbe una possibile impunità totale a chiunque
possa pagarsi dei buoni avvocati. Perfino Renato Schifani ha
dovuto dire che no: così è inammissibile.
brio giuridico, una sceneggiata incredibile».
Il segretario generale della Fnsi
però non ha intenzione di aspettare oltre per proclamare lo sciopero - «è inevitabile» - e si dice disposto a pagare anche le penali previste per il mancato preavviso dello
sciopero. «Il gioco si è fatto talmente scoperto - spiega - che anche il proposito di salvare dal carcere un direttore recentemente
condannato a 14 mesi di prigione
è stato fatto cadere: la condanna
che lo riguarda non è sanata affatto da una norma scombinata e impresentabile. Si tratta di un modo
di legiferare insensato e brutale su
una norma di carattere incostituzionale, che ha il solo scopo di
mandare una minaccia chiara a
tutti i cronisti, con particolare
esposizione per chi sta in frontiera
ed è precario, quindi non titolati
di incarico di direzione».
Politicamente impietoso anche
il giudizio di Assostampa, il coordinamento delle associazioni regionali di stampa. «Siamo alle tragicomiche finali - si legge in una nota Il Senato si propone di creare la figura del direttore irresponsabile e
di mandare in galera i cronisti. E’
il risultato del combinato disposto
fra voti segreti e il prevalere di risentimenti e rancori verso il giornalismo italiano da parte di una
classe politica agli sgoccioli di una
legislatura che avrebbe ben altri temi sui quali esercitarsi prima di
passare agli annali».
BILANCIO UE
Trattativa frenetica
L’Italia rischia
il danno e la beffa
Anna Maria Merlo
I
l grande mercato sul bilancio di previsione della Ue per il periodo 2014-2020
è iniziato ieri sera, con un ritardo di
un’ora e mezza rispetto al previsto ed è andato avanti a oltranza nella notte preceduto da vari incontri bilaterali. Ma, visto che
c’è tempo – Merkel già propone un nuovo
vertice straordinario sul bilancio per inizio
2013, e comunque in mancanza di accordo
i montanti resteranno congelati anno su
anno, cioè in leggero calo a causa dell’inflazione. Nessuno ha intenzione di cedere in
questo primo round, che potrebbe finire
oggi su una constatazione di disaccordo, o
andare avanti anche fino a domenica se
«c’è la volontà politica». Il presidente del
Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, afferma di essere pronto ad andare avanti «fino
all’impossibile».
Le posizioni di partenza dei 27 stati
membri (a cui si è aggiunta in questo vertice la Croazia, che sarà nella Ue da gennaio) sono troppo distanti. C’è il gruppo dei
«contributori netti», quelli che versano più
di quanto prendano (sono i più ricchi, di
cui fa parte anche l’Italia, oltre a Germania,
Francia, Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria). Di fronte, il
gruppo degli «amici della coesione», cioè
15 paesi dell’Est, guidati dalla Polonia, che
non vogliono sentir parlare di tagli ai fondi
che vanno alle regioni più arretrate. Quelli
che pagano vogliono pagare meno perché,
come riassume David Cameron, non si capisce perché gli stati debbano stringere la
cinghia in un momento di crisi, mentre
l’Europa continua a spendere con allegria.
Gli eurotirchi hanno esasperato persino la
Commissione, che già ha proposto un bilancio su 7 anni di 1060 miliardi, 30 miliardi meno di quanto chiesto dall’Europarlamento: «Tagliare, tagliare, tagliare – ha detto ieri il presidente della Commissione, José Manuel Barroso – tutto il dibattito verte
sulla riduzione della spesa, non si discute
sulla qualità degli investimenti».
Il fronte dei contributori netti non è per
nulla unito. Tutti propongono risparmi,
più o meno grandi – si va dal taglio di 200
miliardi della Gran Bretagna (880 miliardi
di budget su sette anni) ai 960 miliardi di
Francia e Germania (pari all’1% del pil europeo). Ma gli interessi nazionali divergono. La Francia difende con tutte le sue forze la Pac (Politica agricola). La Commissione propone tagli alla Pac di 35 miliardi,
Van Rompuy, nel suo rapporto, ne ha aggiunti altri 25. Per gli agricoltori francesi,
principali beneficiari, significherebbe un
calo del 6% di aiuti diretti e del 10% di aiuti
indiretti. Inaccettabile per Parigi. Il fronte
degli «amici della Pac» (oltre alla Francia,
anche Spagna, Irlanda, Romania, Austria e
Portogallo) non intende cedere.
In tutto questo, l’Italia rischia di essere il
piccione di turno: già versa quasi 6 miliardi
in più di quanto riceva dalla Ue e per di più
è, assieme alla Francia e alla Spagna, il paese che paga di più per il rebate britannico,
cioè l’assegno di rimborso che la Thatcher
ottenne nell’84 e che ora anche altri paesi,
tra cui la Germania, hanno ottenuto in parte. Sull’esito del vertice molto dipende dalla Gran Bretagna. Cameron tira la corda e
minaccia il veto sulla spesa, perché deve fare i conti con una maggioranza euroscettica. Per di più, visto che il premier britannico ha promesso un referendum sulla partecipazione alla Ue entro il 2015, Londra potrebbe non essere più coinvolta dal prossimo bilancio settennale.
Il vertice potrebbe anche essere investito dalla crisi greca: anche qui è questione
di soldi. L’Fmi chiede una ristrutturazione
del debito di Atene. Ma i privati hanno già
fatto la loro parte (53% annullato) e adesso
tocca agli stati della Ue creditori: ma quale
politico europeo può spiegare ai propri
contribuenti che bisogna compensare con
le tasse le perdite in Grecia, mentre tutti subiscono il rigore dell’austerità?
pagina 6
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
ITALIA
SALUGGIA
Ripartono i treni
nucleari. All’oscuro
della popolazione
Mauro Ravarino
I
DA RATZINGER I DIRETTORI PENITENZIARI EUROPEI
«Nelle carceri solo
stranieri e poveri»
ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR
ROMA · Il suicidio dello studente 15enne non sembra dovuto all’omofobia
Aveva i pantaloni rosa
Arianna Di Genova
L
a pagina di Facebook dove A.
veniva deriso è diventata oggi
la pagina della vergogna. In
molti ne chiedono, ora, la sua rimozione. Altri, vi lasciano commenti
durissimi. E sempre sul Social
Network, dove esistevano due profili dello studente liceale morto suicida a Roma a 15 anni – quello reale
e quello del «Ragazzo dai pantaloni
rosa» – si sfoga, spaesata, anche la
madre. E’ lei la prima a non recriminare sui compagni, sulla scuola (il
liceo scientifico Cavour), neanche
su chi ha sbagliato e ha infierito su
una persona in crescita, fragile e
forte, come si sente in oscillazione
perenne ogni giovane adulto. Sa
che A. era amato da molti suoi coetanei. Anzi, insieme a suo marito
chiede agli amici di raccontare
«quello che non sappiamo, i momenti che avete vissuto con lui, anche le cazzate… Scrivete che vi leggeremo e rileggeremo». Loro, i geni-
tori, quei compagni di classe e amici li aspettano pure a casa, con le foto che non conoscono, con le ore
della quotidianità che non hanno
avuto, con le battute del figlio che
altri riporteranno. Ma le ragioni di
quel gesto estremo e disperato non
sono a disposizione più di nessuno. Le sa solo chi l’ha compiuto.
A. si metteva lo smalto, e sicuramente in classe, e anche in quelle
accanto, c’era chi invece si tagliava
i capelli in modo strano, chi aveva
calze a righe, chi troppi piercing. Riti d’identità, riti comunitari, pure
vestirsi in modo creativo può aiutare a trovare «la stanza tutta per sé»
di cui parlava Virginia Woolf. E allora, non può accadere che ci si debba uccidere, impiccandosi, per esistere. Che ci si debba negare il futuro e il presente perché la pressione
è troppa, perché l’angoscia tipica
dell’adolescenza, a un certo punto
supera la misura.
«Ti piace fumare? No, però penso che ognuno debba fare quello
ILVA
La procura tira dritta,
no al dissequestro
Alessandra Congedo
TARANTO
L
a procura di Taranto ha detto no alla richiesta di dissequestro degli
impianti dell’area a caldo dell’Ilva, presentata martedì scorso dal
presidente Bruno Ferrante e dall’avvocato Marco De Luca. Il parere negativo è stato inviato nel primo pomeriggio di ieri al gip Patrizia Todisco. Ed è proprio al giudice che lo scorso 26 luglio ha disposto il sequestro che spetta la decisione finale, attesa in settimana.
Nelle poche pagine contenenti le motivazioni del parere negativo si legge che potranno essere accolte solo istanze di accesso agli impianti finalizzate allo svolgimento di attività di messa a norma ed adeguamento.
Non saranno accolte, invece, richieste contrarie a quando stabilito sia dal
gip che dal tribunale del Riesame. Il pool di magistrati che indaga sulle
ipotesi di disastro ambientale
ed avvelenamento di sostanA Taranto intanto
ze alimentari ribadisce che
il comitato dei cittadini
non è prevista alcuna facoltà
d’uso. Pertanto, l’Ilva non
annuncia una grande
può produrre.
manifestazione
Ed è proprio questo il nodo
cruciale. Nell’istanza di disseper il 15 dicembre
questro avanzata dal presidente Ferrante si dice apertamente che se non cessa il vincolo cautelare posto sull’area a caldo del siderurgico, «l’ottemperanza all’incisivo piano di
interventi di adeguamento e il rispetto dei nuovi limiti di emissione diviene – da subito – economicamente insostenibile». Ciò, costringerebbe
l’azienda «alla definitiva cessazione dell’attività produttiva ed alla chiusura del polo produttivo».
L’Ilva non si è fermata qui allegando all’istanza anche una controperizia realizzata da un gruppo di esperti che punta a smontare le due perizie
(chimica ed epidemiologica) messe a punto dagli esperti incaricati dal
gip Patrizia Todisco. Inoltre, l’azienda ha specificato che in assenza del
dissequestro degli impianti non sarebbe possibile elaborare un piano industriale da 3,5 miliardi di euro ed ottenere i finanziamenti bancari necessari per adeguare gli impianti alle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente e recentemente sottoposta a riesame.
Il diktat dell’Ilva ha alzato i livelli della tensione, anche sul fronte sindacale. Così si sono espresse le segreterie nazionali dei sindacati dei metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil: «Gravi e inaccettabili sono le
dichiarazioni dell’Ilva sulla possibile chiusura dello stabilimento di Taranto. È urgente la convocazione da parte della Presidenza del Consiglio dei
Ministri». In caso contrario si dicono pronti allo sciopero e alla mobilitazione per il 13 dicembre a Roma. È una nota unitaria a sollecitare un intervento dell’esecutivo per la definizione di «un piano strategico sulle prospettive industriali ed occupazionali del Gruppo».
che vuole e, secondo la mia politica di tolleranza, se qualcuno dei
miei amici o conoscenti dovesse fumare, o iniziare a farlo, io accetterò
la sua decisione e gli vorrò lo stesso
bene», scriveva A. su Facebook rispondendo a un test su di sé. E ancora: «L'amicizia è quel grandissimo legame che ti permette di essere te stesso insieme ad altre persone che ti vorranno sempre bene,
qualsiasi scelta tu prenda. Loro ci
saranno sempre, per aiutarti e confortarti». «Ci hai dimostrato in tutti
i modi che sei bravo a correre, ma
adesso hai esagerato, hai corso
troppo. Ti prego torna indietro, almeno a salutarci», è il messaggio lasciato invece da un amico. Un altro: «Ma che hai fatto?». Come tutti
alla sua età, A. in quel test fatto per
divertimento, un po’ come fosse davanti a uno specchio, confessava di
aver paura della solitudine. E diceva anche che se avesse avuto la fortuna di rinascere, avrebbe scelto di
essere donna, ma poi parlava di nomi da dare ai figli, di una moglie
eventuale, degli stupidi che lo prendevano in giro e ribadiva ancora il
suo desiderio di essere come voleva. Entrava e usciva da se stesso, a
volte riconoscendosi, a volte sentendosi un estraneo.
C’è qualcosa in questa morte
drammatica che non può essere archiviato né cavalcato come una
bandiera. I docenti e gli studenti
hanno scritto una lettera per prendere le distanze dal modo in cui il
suicidio di un ragazzo estroso, originale, che amava il travestimento e i
suoi paradossi è stato «usato». Loro
hanno scelto il silenzio e l’affetto. I
compagni di A. parlano di «un dolore doppio. Per la sua perdita e per
come siamo stati descritti».
La procura di Roma avrebbe intanto aperto un’inchiesta: non ci
sono indagati al momento, ma
l’ipotesi di reato potrebbe essere
istigazione al suicidio. Ieri sera le associazioni lgbt e degli studenti hanno manifestato insieme in via dei
Fori Imperiali.
A. preferiva il rosa agli altri colori: rosa allora quello richiesto a più
voci su internet come abbigliamento di tutti per la manifestazione degli studenti di sabato.
ROMA
«I
l continuo aumento della popolazione carceraria e la massiccia presenza di reclusi di diverse etnie rendono estremamente complesso e spesso vanificano il perseguimento delle finalità rieducative della pena delineate dall'art. 27 della Costituzione». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tornato
ieri a parlare di carcere con un messaggio inviato all’assise dei direttori delle Amministrazioni penitenziarie d’Europa e del bacino del
Mediterraneo riuniti a Roma per la Diciassettesima conferenza promossa dal Consiglio d’Europa di concerto con il Dap italiano. Per
l’occasione, in via Arenula, a pochi passi dal ministero di Giustizia,
alcuni poliziotti penitenziari hanno inscenato un sit-in di protesta
per denunciare la carenza di organico.
Al capo del Dap Giovanni Tamburino e alle delegazioni europee
che da ieri e fino a sabato discuteranno principalmente di detenuti
stranieri e di sovraffollamento carcerario, il capo dello StaRiuniti a Roma i capi
to ha scritto di «auspicare fordelle amministrazioni
temente la ricerca di soluzioni normative e organizzative»
d’Europa. Napolitano:
affinché la pena non sia «in
«La pena rispetti
contrasto con il senso di umanità e la funzione di reinserila dignità umana»
mento sociale dei detenuti».
Prima dell’apertura dei lavori nella sala della Protomoteca in Campidoglio alla presenza del sindaco Alemanno, i direttori europei insieme alla Guardasigilli Paola Severino sono stati in udienza da Benedetto XVI. Il Papa ha ricordato che «la crescente presenza di detenuti stranieri, spesso in situazioni difficili e di fragilità, è una delle caratteristiche di un tempo in cui le differenze economiche e sociali
ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità». Da parte sua, la ministra Severino ha assicurato che «con tenacia» completerà la riforma del sistema penitenziario «con le misure
alternative alla detenzione, con l'istituto della messa alla prova, con
l'istituto del lavoro carcerario che rappresenta, veramente, la più
importante forma di reinserimento sociale del detenuto».
Anche gli avvocati penalisti ieri hanno scioperato contro il sovraffollamento carcerario, mentre i Radicali hanno organizzato manifestazioni in decine di città italiane a conclusione di quattro giorni di
mobilitazione nonviolenta lanciata da Marco Pannella per il diritto
di voto dei detenuti e l'amnistia. Ieri sera, poi, in più di 80 carceri i
detenuti (alcuni dei quali in sciopero della fame dal 24 ottobre, assieme alla deputata Rita Bernardini e a Irene Testa) hanno fatto sentire la loro voce attraverso la battitura delle sbarre ripetuta. g. mau.
SICILIA · Crocetta «licenzia» i primi dirigenti
Saltano le prime teste nell'amministrazione regionale siciliana. Il neo presidente della Regione
Rosario Crocetta, ha snocciolato ieri i primi nomi
dei dirigenti "licenziati": «Da trenta dovranno
passare a 13. Dobbiamo risparmiare ed è giusto
che ogni assessorato abbia un solo dirigente,
non due o tre». Saranno rimpiazzati da alcuni
esterni. I dirigenti generali che non avranno più
incarichi «saranno riassegnati come dirigenti di
terza fascia». Crocetta ha anche sferrato un duro colpo all'ex assessore al Bilancio della
Giunta Lombardo: «L'assessore Gaetano Armao è un traditore della Sicilia, lo accuso
pubblicamente davanti ai cittadini siciliani, perché ha presentato un rapporto dove afferma di non poter erogare nessun contributo, dopo essere stato corresponsabile dello
sfascio dei conti della Sicilia, creando così i presupposti per lo scioglimento. Se qualcuno pensa di delegittimare lo Statuto siciliano si sbaglia. Le mie prossime mosse saranno di esaltazione dello Statuto, penso di istituire un'Alta Corte che lo faccia rispettare».
prossimi trasporti di scorie nucleari da Saluggia (Vercelli) a La Hague, in Francia, potrebbero svolgersi il 26 novembre e il 10 dicembre.
Il condizionale è d’obbligo, perché
non esiste una comunicazione ufficiale, i cittadini che vivono nel raggio di
300 metri dal passaggio dei convogli
non sono informati dalle istituzioni,
non sanno quando passeranno, né il rischio né come tutelarsi, come invece
vorrebbe la legge regionale del 2010
«norme sulla protezione dai rischi da
esposizione a radiazioni ionizzanti» e
la direttiva europea del 1989. Le voci
trapelano dalla Francia o dal mondo
ambientalista. Spesso ci azzeccano,
ma rimane l’incertezza (rinvieranno al
prossimo anno?). È da anni che le associazioni reclamano il diritto all’informazione.
Il combustibile irraggiato viene trasferito dal deposito Avogadro di Saluggia all’impianto di La Hague per il riprocessamento («operazione altrettanto assurda» dice Gian Piero Godio di
Legambiente), le barre torneranno nei
prossimi anni in Italia. I trasporti sono
inseriti all’interno del programma di
disattivazione degli impianti nucleari
italiani gestito dalla Sogin. Prima di
raggiungere la frontiera, i convogli passano in Val di Susa. L’ultimo viaggio,
contestato dai No Tav, si è svolto nella
notte tra il 23 ed il 24 luglio 2012, all’oscuro della popolazione interessata.
Ma perché? In contrasto con la normativa regionale e comunitaria, esiste un
decreto del governo del 2006, ripreso
da una delibera regionale e dal piano
d’emergenza della prefettura di Torino, che non contempla il diritto all’informazione preventiva sul rischio a cui
siamo esposti. L’avvocato Daniela Bauduin, insieme ai colleghi Ilaria e Mario
Zarrelli, ha presentato, per conto di
Pro Natura, del Comune di Villar Focchiardo e dei consiglieri regionali Davide Bono e Fabrizio Biolé, un ricorso al
Tar contro questi atti considerati illegittimi. Da oltre un anno attendono
l’udienza di discussione del ricorso.
Ma non è certo solo una questione
di giurisprudenza. Il tema è politico e
culturale. «Il principio da cui partire –
spiega l’avvocato Bauduin – è la libertà
delle persone, libere di scegliere e di essere informate. Non è, dunque, il caso
di procurare allarme, ma nemmeno di
considerare il cittadino come un soggetto potenzialmente disturbato». È risaputo che un’informazione preventiva sarebbe stata utile, oltre che per il
passaggio delle scorie, a L’Aquila, a Genova o a Taranto. «Il contesto normativo c’è – aggiunge Bauduin - perché
non applicarlo? Rispetto al diretto all’informazione prevale quello della sicurezza pubblica. È questione di bilanciamento dei valori. Il legislatore dovrebbe fare una scelta di politica del diritto, cambiando l’approccio nella gestione dell’ambiente potremmo così ridurre i disastri. La consapevolezza si
scontra con un dato economico, sembrerebbe quasi più conveniente non ci
fosse. È ora di ribaltare questo concetto e riappropriarsi di principi fondamentali come quelli della cittadinanza
e dell’autoderminazione. Se i cittadini
saranno consapevoli avremo scelte altrettanto consapevoli. Sicuramente,
una fonte di cautela».
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
pagina 7
INTERNAZIONALE
Medio Oriente • L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas porterà a cambiamenti
reali nella vita dei palestinesi? Riapriranno i valichi con Israele e con l’Egitto? Sono in pochi a crederci
Michele Giorgio
INVIATO A RAFAH (GAZA)
S
olo una bomba ad alto potenziale poteva aprire un cratere
così profondo. Un jet israeliano l’ha sganciata l’altra sera, poco
prima dell’inizio del cessate il fuoco
con Hamas. Giù in basso si intravede
ciò che resta dell’ingresso di un tunnel sotterraneo che arriva dall’altra
parte del confine, in Egitto. Il figlio di
Abu Raed, uno dei 18 «gestori» della
galleria, si affanna a capire se è andato tutto perduto. «Papà, niente da fare. È crollato tutto». Abu Raed scuote
la testa. «Sapete quanto è costato
quel tunnel? Ben 200mila dollari tirati fuori da 50 famiglie palestinesi.
Adesso come mangeremo?». A Gaza
si celebrava ieri la «vittoria» su Israele, ma qui sulla frontiera tra Gaza ed
Egitto, a poche centinaia di metri dal
posto di blocco della polizia di Hamas che da accesso al terminal di Rafah, sono in molti a piangere. I raid
aerei hanno ripetutamente preso di
mira i tunnel usati dai palestinesi per
i traffici clandestini, gettando nella
disperazione centinaia di famiglie di
Rafah che vivono del contrabbando
con l’Egitto.
Per Israele da queste gallerie sotterranee entrano le armi, missili compresi, per i gruppi militanti palestinesi, a cominciare dalle Brigate Ezzedin al Qassam che nei giorni scorsi
hanno lanciato razzi M 75 e Fajr 5
che hanno lambito Tel Aviv e Gerusalemme. In realtà gran parte dei tunnel servono a far entrare a Gaza merci di ogni tipo, quanto serve per aggirare, almeno in parte, il blocco israeliano e tenere la Striscia in linea di
galleggiamento. «Non cambierà nulla – ci dice Abu Raed - le gallerie non
chiuderanno mai, perchè gli egiziani
non apriranno mai Rafah al passaggio delle merci». Poi aggiunge «La nostra attività è solo commerciale», riferendosi all’accusa di Israele. Che da
questo tunnel non passino armi è
possibile, perchè intorno non ci sono agenti della sicurezza di Hamas,
che abitualmente presidiano le gallerie «militari», come le chiamano da
queste parti.
Bandiere verdi
in festa per la
«vittoria». Invece
piangono al confine
per i tunnel distrutti
Abu Raed indirettamente risponde all’interrogativo che si pongono
un po’ tutti i palestinesi della Striscia: l’accordo di tregua tra Israele e
Hamas porterà ad un cambiamento
radicale della condizione di Gaza?
Riapriranno i valichi di frontiera con
Israele e con l’Egitto? Pochi credono
che Israele allenterà il blocco attuato
dal 2007. E non molta fiducia viene riposta anche nelle «nuove» autorità
egiziane che più volte hanno promesso «cambiamenti radicali» verso i
«fratelli palestinesi», per poi fare marcia indietro. Ieri le bandiere verdi di
Hamas, nere del Jihad e anche quelle
gialle dei rivali di Fatah, venivano
portate in giro in segno di trionfo dalla schiera di improbabili moticiclisti
che affollano le strade di Gaza, per rimarcare «la vittoria della resistenza»
sulle potenti forze armate di Israele,
sancita dalla «giornata di festa» proclamata dal governo di Ismail Haniyeh. Oltre alla retorica di guerra e
alla fine dei bombardamenti aerei, i
palestinesi di Gaza hanno capito
piuttosto in fretta che l’intesa raggiunta al Cairo che tanto ha impegnato il presidente Morsy non è destinata a trasformare radicalmente la condizione del milione e settecentomila
abitanti della Striscia sotto assedio
da cinque anni.
D’altronde su questo l’accordo di
cessate il fuoco è molto vago. I suoi
punti principali stabiliscono: Israele
deve fermare tutti gli attacchi alla terra, il mare e il cielo di Gaza; Tutte le
fazioni palestinesi devono fermare
gli attacchi dalla Striscia verso Israele, compresi il lancio di missili e attacchi al confine; Apertura dei valichi e facilitazione del movimento delle persone e del trasferimento di be-
LA STRISCIA · Non c’è fiducia nelle nuove autorità del Cairo: troppe le promesse non mantenute
Gaza, le ferite aperte
tra guerra e tregua
leader di al Fatah, Abu Mazen, ha fatto le congratulazioni al premier di
Hamas Haniyeh per la sua "vittoria"
su Israele. Abu Mazen nei giorni scorsi ha riaffermato la volontà di presentare alle Nazioni Unite, il 29 novembre, la richiesta di adesione dello Stato di Palestina, a dispetto dell’opposizione di Israele e degli Stati Uniti.
In Cisgiordania la tensione rimane alta. L’offensiva aerea israeliana
contro Gaza ha messo in moto forti
proteste e ricompattato se non i leader politici almeno la popolazione civile. Nei social network, Facebook e
Twitter, girano manifesti di unità nazionale che inneggiano a scendere
nelle piazze contro l’occupazione.
L’esercito israeliano ha risposto con
forza, facendo tre morti e oltre cento
KHAN YOUNIS (GAZA) IERI I FUNERALI DELLE VITTIME. A DESTRA HANIYEH, IL LEADER DI HAMAS/FOTO REUTERS
ni, riduzione delle restrizioni al movimento dei residenti e attacchi ai residenti nelle aree di confine.
Gli ultimi due punti sono i più importanti per i civili di Gaza ma vanno
verificati sul terreno. Mentre ieri il
premier di Hamas Haniyeh invitata
(di fatto intimava) a tutte le fazioni armate palestinesi di non aprire il fuoco contro Israele e di rispettare la tregua, il governo Netanyahu non ha
tardato a lasciar trapelare che l’allentamento di certe misure è possibile oggi, ad esempio, i pescatori palestinesi andranno oltre il limite delle 3
miglia marittime imposte per anni
dalla Marina israeliana, sulla base di
assicurazioni ricevute ieri da Tel Aviv
– ma l’assedio rimane. A cominciare
dalla gestione dei valichi e dal blocco
navale di Gaza, che resterà inaccessibile del mare. Allo stesso tempo è improbabile che il Cairo consenta l’ingresso di merci a Gaza attraverso il
terminal di Rafah, stracciando gli accordi che ha sottoscritto nel 2005
con Israele, Stati Uniti ed Europa. Il
traffico commerciale continuerà per
il valico israeliano di Kerem Shalom.
«Il cessate il fuoco da solo non è
sufficiente» ha avvertito Martin Hartberg, portavoce di Oxfam, importante Ong internazionale con molti progetti nei Territori occupati palestine-
si. «Da cinque anni Gaza è soggetta a
un blocco paralizzante che ha limitato le importazioni e le esportazioni e
ha distrutto la sua economia. Da
quando il blocco di Gaza è iniziato,
un terzo delle imprese di Gaza hanno chiuso e l’80 per cento della popolazione ha ora bisogno di aiuto per
farcela», ha proseguito Hartberg,
esortando la comunità internazionale «ad essere coraggiosa» perchè «se
il blocco di Gaza continuerà e i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania rimarranno separati e sarà impossibile raggiungere una soluzione» del
conflitto. Proprio da Ramallah, in Cisgiordania, il presidente dell’Anp e
In Cisgiordania
l’offensiva aerea
israeliana su Gaza
ha mobilitato
la protesta unitaria
feriti a Tulkarem, Betlemme, Ramallah, Hebron, Nablus e Nabi Saleh. I
palestinesi denunciano che un lacrimogeno sparato dalle truppe israeliane è finito in una casa dove si trovava un neonato di un anno che è morto soffocato. L’altra vittima è Rushdi
Tamimi, morto lunedì pomeriggio,
dopo essere stato colpito da un proiettile a Nabi Saleh. La terza vittima è
un ragazzo di 22 anni, Hamdi
Jawwad Al Fallah, ucciso a Hebron.
Nel giro di una settimana, denuncia
il centro per i diritti umani Addameer, i militari israeliani hanno arrestato oltre 200 persone, 55 solo nella
notte tra mercoledì e giovedì.
EGITTO · Morsy accresce i poteri presidenziali e riavvia i processi sulle violenze di piazza
Il colpo di mano del presidente
Giuseppe Acconcia
S
ull'onda del successo egiziano nella mediazione per la tregua tra Hamas e governo israeliano, il presidente, Mohammed
Morsy, ha reso nota ieri sera in diretta televisiva
una dichiarazione costituzionale temporanea.
In base al decreto presidenziale, ogni riforma
costituzionale, legge o decreto presidenziale,
emesso a partire dallo scorso 30 giugno, non potrà essere abrogato o emendato fino all'elezione del nuovo parlamento e all'entrata in vigore
della nuova costituzione. Con questo atto, si
conclude definitivamente il dibattito sui poteri
presidenziali, sorti in seguito alla dichiarazione
costituzionale emessa dalla giunta militare
(Scaf) per limitare i poteri decisionali del nuovo
presidente eletto lo scorso giugno. Ma il testo
va ben oltre, il presidente ha piena autorità di
prendere ogni decisione in materia di unità nazionale, difesa della rivoluzione e sicurezza nazionale.
Inoltre, verranno di nuovo messi a processo i
responsabili delle violenze contro i manifestanti a partire dagli attacchi del 25 gennaio 2011,
data di inizio delle rivolte. Su questo punto, il
leader dei Fratelli musulmani ha assicurato con
un messaggio su Twitter che «ha inizio una vera
vendetta per il sangue versato dai martiri della
rivoluzione». Per fare questo, è stato immediatamente rimosso il procuratore generale, Abdel
Meguid Mahmoud, responsabile, secondo la
Fratellanza, di aver assolto i responsabili della
«battaglia dei cammelli», l'episodio del due febbraio 2011 in cui si sono scontrati direttamente
i sostenitori e gli oppositori del deposto presi-
Sull'onda del successo
internazionale egiziano
nella mediazione
per la tregua tra Hamas
e il governo israeliano
dente Mubarak. Inoltre, Morsy ha assunto il potere di nomina del nuovo procuratore generale,
ed è stato immediatamente incaricato, Talat
Ibrahim Mahmoud. Ma le novità non finiscono
qui, secondo il testo annunciato ieri, la corte costituzionale non può sciogliere l'Assemblea costituente, che dovrà raggiungere un accordo sulla nuova costituzione entro due mesi né può
dissolvere la Shura (Camera alta), la cui costituzionalità era stata messa in discussione dopo il
controverso scioglimento dell'Assemblea del
popolo (Moghles el-Shaab), disposta lo scorso
giugno. Morsy ha poi mandato in pensione tutti coloro che sono stati condannati per violenze
contro i manifestanti, assicurando la loro interdizione dai pubblici uffici.
In attesa dell’annuncio, migliaia di simpatizzanti dei Fratelli musulmani si sono assembrati
nei pressi del palazzo di giustizia, su via Ramsis,
nel centro del Cairo. «Il popolo sostiene le decisioni del presidente», gridavano. Dal fronte opposto, giovani rivoluzionari e forze laiche si sono date appuntamento in piazza Tahrir per domani con l'obiettivo di contestare il governo di
Hesham Qandil e la nuova dichiarazione costituzionale. «Non permetteremo a Morsy e al suo
partito di rovesciare lo stato di diritto», ha dichiarato l'attivista del partito degli egiziani liberi,
Mohammed Abu Hamid. Molto duro anche il
commento del liberale Amr Hamzawi: «con l'atto di oggi si dà il via ad una tirannia assoluta del
presidente, è il colpo di stato degli ideali democratici e del principio di legalità». «Da oggi Morsy è il nuovo faraone», ha tuonato caustico, il
premio Nobel per la pace Mohammed el-Baradei. Contemporaneamente proseguono le manifestazioni per ricordare la strage di via Mohammed Mahmoud, che è costata lo scorso anno la
vita di oltre 50 persone. Nei giorni scorsi, ci sono
stati duri scontri nei pressi del ministero dell’interno, al centro del Cairo. Tra gli slogan cantati
dai giovani attivisti si sentono «Abbasso Morsy e
Mubarak» e «Fine al governo del murshid» (guida spirituale islamica). Lo scorso anno gli scontri di via Mohammed Mahmoud avevano segnato la definitiva uscita di scena dei Fratelli musulmani dalle manifestazioni di piazza. Da quel momento, i movimenti giovanili, liberali e di sinistra sono stati ampiamente discreditati. Ed infine, estromessi dai palazzi delle istituzioni.
DOPO JAABARI UCCISO
Ecco chi sarà
il nuovo capo
militare di Hamas
E
zzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, esce ulteriormente rafforzato dall’offensiva
militare lanciata da Israele contro la
Striscia di Gaza. I combattenti del movimento islamico, nonostante i raid
aerei, e i rapporti iniziali israeliani sull’avvenuta distruzione delle rampe di
lancio dei missili Fajr 5 e dei razzi
Grad, sono stati in grado di sparare
sempre in direzione del territorio dello Stato ebraico, arrivando fino alle
porte di Tel Aviv e di Gerusalemme.
Grazie, di fatto, all’operazione militare voluta a tutti i costi dal premier Netanyahu, le Brigate al Qassam si affermano come un fattore strategico in
questa parte del Medio Oriente, così
come la guerra del 2006 in Libano si
era conclusa con la conferma di
Hezbollah come attore principale sulla scena regionale.
«Successi» che l’ala militare di Hamas ha raggiunto in assenza del suo
comandante, Ahmed Jaabari, assassinato da un aereo israeliano il 14 novembre, che aveva dedicato gli ultimi
tre anni alla formazione e all’addestramento della milizia, ispirandosi
proprio alla disciplina e preparazione dei combattenti di Hezbollah.
Non sarà facile per Hamas trovare un
successore tanto carismatico, stando
a ciò che raccontano i palestinesi, come Jaabari, noto anche per aver gestito la prigionia del soldato israeliano
Ghilad Shalit, catturato nel giugno
2006 da un commando palestinese a
Kerem Shalom e liberato lo scorso anno in cambio della scarcerazione di
un migliaio di detenuti politici palestinesi.
Secondo voci che circolano a Gaza, il successore potrebbe essere
Marwan Issa (Abu al-Bara), attuale
comandante delle unità speciali di Ezzedin al Qassam, con alle spalle cinque anni di carcere in Israele, un arresto nel 1997 da parte dell’Anp di Abu
Mazen, oltre ad essere sopravvissuto
ad un tentativo di assassinio da parte
di Israele. Un altro candidato è la «primula rossa» Mohammad al-Daif, rimasto paralizzato in un attacco israeliano e che viene indicato come successore di Jaabari nonostante la sua
disabilità. Il candidato più concreto
però dovrebbe essere Raed al-Attar,
comandante delle Brigate al Qassam
nella regione meridionale. A confermarlo è stato proprio, qualche giorno
fa, l’attacco che l’aviazione israeliana
ha lanciato contro la sua abitazione
nel tentativo, andato a vuoto, di ucciderlo. Attar sarebbe famoso tra le Brigate di Hamas per la sua abilità nel
progettare e realizzare tunnel sotterranei che sbucano dall’altra parte del
confine, in Israele ma anche in Egitto. Attraverso una di queste gallerie
sarebbero passati gli uomini che nel
2010 lanciarono razzi dal Sinai verso
la città israeliana di Eilat.
I media israeliani, specializzati in
intelligence, invece indicano Ahmed
Ghandour (Abu Anas), 45 anni, che
ha trascorso metà della sua vita in carcere in Israele e nelle celle dei servizi
di sicurezza dell’Anp. Ghandour, secondo queste fonti israeliane, è stato
assistente di Adnan al-Ghoul, uno degli primi capi militari di Hamas, assassinato da Israele nel 2004, ed è sostenitore della collaborazione con altre
formazioni armate che agiscono a Gaza, in particolare con i Comitati di Resistenza Popolare.
mi. gio. da Rafah (Gaza)
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il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
REPORTAGE
CONTI SVIZZERI
A Berlino, oggi, in gioco il futuro degli accordi bilaterali
tra la Confederazione e alcuni Paesi europei
per l’emersione dei fondi neri depositati nei forzieri elvetici
Il voto tedesco
tra Berna e Bruxelles
Eleonora Martini
INVIATA A BERNA E ZURIGO
È
un giorno importante, questo,
per la Svizzera e per l’evoluzione
degli accordi bilaterali di regolarizzazione dei patrimoni neri detenuti da
cittadini europei nelle banche della confederazione elevetica. Oggi, infatti, in
Germania si deciderà, con il voto del
Bundesrat, la camera dei Länder tedeschi, la ratifica della convenzione fiscale
sul modello denominato non a caso Rubik, come il famoso cubo rompicapo in
voga negli anni ’80.
Le previsioni sono tutt’altro che rosee
per il governo della Cdu-Fdp che nella
camera alta non ha la maggioranza e trova un netto rifiuto da parte dell’opposizione socialdemocratica e verde. L’accordo deve essere ratificato entro il 14
dicembre, pena l’annullamento. La sua
bocciatura, data ormai quasi per sconta-
NEL GRAFICO
IN BASSO:
IL 51% DEI
PATRIMONI GESTITI
IN SVIZZERA
(IN MILIARDI DI
FRANCHI SVIZZERI,
COMPRESI TITOLI
E ALTRI
STRUMENTI
FINANZIARI) SONO
STRANIERI
ta malgrado i tentativi del ministro delle
Finanze Wolfgang Schäuble che promette maggiori risorse ai Länder più reticenti, potrebbe compromettere i tavoli già
aperti tra Berna e altri Paesi europei – a
cominciare dalla trattativa con l’Italia
che nelle aspettative delle banche elvetiche dovrebbe concludersi entro la fine
dell’anno – e quelli ancora da aprire, prima di tutto con Parigi.
Vista da Berna, la prospettiva è inquietante. Entrando negli uffici della Segrete-
La corsa contro il tempo
dei banchieri e del governo
svizzero per concludere
la convenzione fiscale
con l’Italia di Monti
LA PIAZZA FINANZIARIA SVIZZERA NEL MONDO
ria di stato per le questioni finanziarie
internazionali (Sfi) o in quelli dell’Associazione svizzera dei banchieri (Asb), o
superando la soglia marmorea della sede centrale della Banca nazionale svizzera, a Zurigo, l’ansia di convincere il governo italiano - e poi, soprattutto, il parlamento che dovrà ratificare - è quasi
palpabile. «Noi non forniamo dati ma
entrate fiscali: i soldi entreranno nella
casse italiane senza bisogno di mobilitare eserciti di finanzieri», sottolinea
Jakob Schaad, vicepresidente dell’Asb.
Gli accordi di cui si discute ormai con
cadenza settimanale tra i tecnici dei ministeri italiano e svizzero sono due: uno
fiscale e uno sulla doppia imposizione
dei lavoratori frontalieri (rinnovo di
quello esistente dal 1974). È una corsa
contro il tempo, «per evitare che dopo
le elezioni il nuovo parlamento italiano
possa non ratificare», spiega Mario
Tuor, portavoce dell’Sfi.
La convenzione fiscale prevede intanto l’imposizione di una multa forfettaria
unica per regolarizzare il passato dei depositi italiani in Svizzera, con un’aliquota ancora da stabilire. I correntisti potranno decidere se pagare, chiudere il
conto o autodenunciarsi alle autorità italiane. Per il futuro, invece, le banche
svizzere si impegnano ad imporre alla
fonte una tassazione pari all’aliquota fiscale italiana (intorno al 20%), e ad accettare altro denaro solo se fiscalizzato.
In cambio, la Svizzera evita l’automatismo nello scambio di informazioni, preservando così l’anonimato dei clienti
(salvo gravi reati fiscali ipotizzati dalla
magistratura), e ottiene lo stop all’acquisto dei cd contenenti i dati trafugati degli evasori, come è avvenuto anche recentemente in Germania. Ma soprattutto conquista lo stralcio dalle black list
italiane, indispensabile per favorire il
mercato e lo sviluppo industriale transfrontaliero.
Le trattative con l’Italia si sono sbloccate con Monti e il 9 maggio scorso, dopo che la Commissione europea aveva
dato il via libera agli accordi Rubik, c’è
stata la prima conferenza stampa comune dei dipartimenti finanziari dei due
Paesi. Prima, né Tremonti né Berlusconi avevano alcun interesse ad abbando-
nare la via degli scudi fiscali (di cui non
a caso in questi giorni si ricomincia a
parlare, in casa Pdl). Su questo, a Berna,
sono tutti d’accordo: governo, parlamento e banche svizzere attribuiscono
molto chiaramente all’esecutivo di centrodestra italiano la responsabilità dell’empasse. A oggi, la rete bancaria elvetica ha già speso circa 500 milioni di franchi per organizzare un sistema di attuazione delle convenzioni già stipulate
con Germania, Austria e Gran Bretagna
(queste ultime due entreranno in vigore
il primo gennaio 2013), cosicché il costo
aggiuntivo per operare come esattore
d’imposte straniero anche per l’Italia
non sarà molto rilevante. Al contrario,
di strappare una stima sull’ammontare
dei fondi italiani nei cassieri svizzeri
non se ne parla nemmeno. L’unica cifra
orientativa viene fuori durante l’incontro a Berna con l’ambasciatore Oscar
Knapp, responsabile divisione mercati
dell’Sfi: nelle banche svizzere ci sono circa 650 miliardi di franchi appartenenti a
clienti privati (non istituzionali) stranieri di tutto il mondo. Ma va tenuto presente che l’Italia è il secondo partner
commerciale svizzero e tra i Paesi più
importanti per il sistema finanziario elvetico. Dunque, una buona fetta di quei
650 miliardi è possibile che sia di prove-
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
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REPORTAGE
ZURIGO 2008, PROTESTA DAVANTI ALLA SEDE CENTRALE
DELLA BANCA SVIZZERA UBS /FOTO REUTER
TABELLA IN BASSO:
FONTE, DIPARTIMENTO FEDERALE DELLE FINANZE DFF
SEGRETERIA DI STATO PER LE QUESTIONI FINANZIARIE
INTERNAZIONALI (SFI)
CONVENZIONI SULL'IMPOSTA ALLA FONTE CON GERMANIA, GRAN BRETAGNA E AUSTRIA
Sintesi dei punti principali e delle differenze
nienza italiana. Quanti di questi soldi
però prenderanno la strada verso altri
paradisi fiscali in vista dell’accordo, è
tutto da verificare. Secondo l’avvocato
Paolo Bernasconi, uno dei massimi
esperti della politica finanziaria e della
piazza svizzera, il Paese dei cantoni non
ha praticamente concorrenti dal punto
di vista dell’affidabilità, della sicurezza e
della stabilità anche monetaria. Isole
Cayman, Panama, Singapore, Cipro,
Malta, Tanzania, non possono garantire
altrettanta salvaguardia dei depositi né
lo standard qualitativo svizzero. Inoltre,
dal giugno 2013 scatteranno a Singapore le nuove norme di adeguamento agli
GERMANIA
GRAN BRETAGNA
AUSTRIA
Regolarizzazione
del passato
Ammontare d'imposta unico
(tra il 21 e il 34%) sulla base di una
formula fissa, in casi speciali fino al
41% o comunicazione
volontaria.
Ammontare d'imposta unico
(tra il 21 e il 34%) sulla base di una
formula fissa, in casi speciali fino al
41% o comunicazione
volontaria.
Ammontare d'imposta unico
(tra il 15 e il 30%) sulla base
di una formula fissa, in casi
speciali fino al 38%
o comunicazione volontaria.
Pagamento anticipato da parte
degli agenti pagatori
Importo di 2 miliardi CHF. Rimborso
integrale quando il sistema dei
pagamenti unici ha prodotto 4 miliardi
CHF.
Importo di 500 milioni CHF.
Rimborso integrale quando
il sistema dei pagamenti unici
ha prodotto 1,3 miliardi CHF.
Nessun pagamento anticipato
Stato di destinazione del denaro
prelevato
Indicazione dei 10 Stati e Territori in cui la maggior parte dei valori patrimoniali è stata trasferita,
completata dal rispettivo numero di persone interessate
Imposta alla fonte
su redditi da capitale
26,375% per redditi e utili da
capitale. 35% sui redditi derivanti da
pagamenti di interessi secondo
l'Accordo sulla fiscalità del
risparmio tra la Svizzera e l'UE
o comunicazione volontaria.
Aliquota secondo tipo di reddito
da capitale: interessi 48%, dividendi
40%, altri redditi da capitale 27% o comunicazione volontaria.
Acquisto di dati rubati
Non è permesso l'acquisto di dati rubati.
Migliore accesso
al mercato
E' ora possibile avviare una
relazione con il cliente direttamente
dalla Svizzera (controlli in loco
a protezione degli investitori);
possibilità di distribuire fondi
standard Ocse sui «gravi reati fiscali».
Non solo: «dal primo gennaio 2013 entrerà in vigore scaglionata nel tempo la
legge Usa denominata Facta sulla conformità fiscale dei conti bancari stranieri - spiega ancora il professore Bernasconi - e nel 2014 ci sarà anche la revisione
dell’accordo Berna/Bruxelles sull’euroritenuta, oltre all’entrata in vigore delle
norme svizzere di applicazione delle raccomandazioni del Gafi sul riciclaggio».
Insomma, un vero giro di vite. Ecco perché la Svizzera ha molta fretta di concludere gli accordi bilaterali con i Paesi europei, in modo da poter mantenere almeno in parte il segreto bancario e non
perdere i clienti stranieri.
Può però succedere che i fondi neri
migrino al momento giusto verso le filiali delle banche elvetiche aperte negli altri paradisi fiscali. Quelle filiali, infatti,
sono esenti dal rispetto delle convenzioni sull’imposta alla fonte. Ma se dopo la
firma dell’accordo con la Germania, «solo lo 0,4% dei clienti tedeschi ha chiuso
il conto svizzero», come assicura Mario
Tuor, con l’Italia la musica cambia: «Più
alta sarà l’aliquota imposta per la regolarizzazione del passato, più alto sarà il rischio di fuga dei depositi italiani», spiega Jakob Schaad. L’Asb è convinta infatti che a causa dei nostri precedenti scudi fiscali - 2001, 2003, 2009, 2010, con aliquote dal 2% al 7% - il Belpaese non
può stipulare un accordo simile a quello
sottoscritto da Berlino o da Londra, con
aliquote tra il 21 e il 40%. Scapperebbero tutti. «Bisognerà tenersi - suggeriscono i banchieri svizzeri - giusto un po’ al
di sopra del tasso per i capitali scudati».
Chiariti processi e disposizioni,
raggiunta la trasparenza giuridica.
25% per redditi e utili da capitale.
35% sui redditi derivanti
da pagamenti di interessi secondo
l'Accordo sulla fiscalità del
risparmio tra la Svizzera e l'UE.
E' ora possibile avviare una
relazione con il cliente
direttamente dalla Svizzera,
maggiore attività di consulenza,
possibilità di distribuire fondi.
Esattamente l’ipotesi più sciagurata,
secondo le associazioni dei consumatori italiani. Dopo tanti scudi fiscali «varati
a misura di elusori e riciclatori», proprio
non si sente ora il bisogno di «studiare
norme ad hoc per non disturbare troppo banchieri e grandi evasori», dicono.
C’è da scommettere che perfino a Zurigo più di qualcuno non comprenderebbe perché, dopo tanta condivisione di rigore teutonico, anche su questo aspetto
– almeno su questo – l’Italia non possa
seguire l’esempio tedesco.
DI STEFANO, CANDIDATO DEI MOVIMENTI ALLE PRIMARIE LOMBARDE
«Il segreto bancario nutre la finanza frankenstein
ma l’accordo bilaterale è meglio degli scudi»
E. Ma.
«S
empre meglio di un nuovo scudo fiscale». Seppur contrarissimo al segreto bancario e niente
affatto entusiasta di vedere all’orizzonte
un possibile "condono tombale" per gli
evasori, Andrea di Stefano, candidato alle primarie del centrosinistra per la presidenza della Regione Lombardia e direttore della rivista Valori promossa da
Banca Etica (www.valori.it), non ha dubbi: «Si faccia, purché con la maggiore trasparenza possibile e con un aliquote
adeguate», dice.
Cosa pensa dell’accordo bilaterale con
la Svizzera per la tassazione diretta dei
fondi neri italiani depositati nelle casse
elvetiche?
La riflessione viaggia su due binari,
uno di opportunità di bilancio dello Stato italiano e uno di accettabilità di valori
condivisi che dovrebbero essere ispirati
alla lotta senza quartiere all’evasione. Rispetto alla situazione drammatica che viviamo, incassare 15-25 miliardi in più
(anche se le stime sono molto difficili da
fare) è una ciambella che non si può rifiutare. Capisco che lo Stato italiano stia
cercando di raggiungere al più presto
l’accordo con la Svizzera perché questi
nuovi introiti, malgrado Bruxelles impedisca di usarli per il bilancio corrente,
possono però servire a tamponare
l’esposizione dovuta al finanziamento
del fondo salva stati.
In realtà, attualmente sembra che a
spingere di più siano gli svizzeri.
Figuriamoci, i nostri non lo ammetteranno mai che vogliono chiudere al più
presto. Anche perché Monti ritiene che
fare l’accordo va contro la trattativa globale aperta da alcuni anni tra Bruxelles
e Berna sulla nuova convenzione fiscale
quadro. Sono convinto però che a Grilli
non dispiace affatto di chiudere il tavolo
entro fine anno, anche perché si garantisce un flusso niente male per i prossimi
anni.
Diceva invece che dal punto di vista dei
valori...
È un accordo estremamente discutibile. Soprattutto perché andiamo ad accettare il principio del segreto bancario.
Eppure per il popolo svizzero - non solo
per le banche - è un principio liberale irrinunciabile in una società civile.
In un sistema globale, finché ci sarà il
segreto bancario, non riusciremo mai a
mettere sotto controllo la finanza
«frankenstein». Non solo non possiamo
combattere l’evasione e l’elusione, ma
soprattutto avremo sempre meccanismi
che spuntano le armi alla lotta alla criminalità organizzata. Finché esisterà il segreto bancario, di fatto le cosiddette banche ombra – che sicuramente non sono
nate per proteggere né i criminali né gli
evasori – contribuiranno però a rendere
non trasparente il sistema finanziario
mondiale che purtroppo è multiplo del
Pil mondiale. Non lo dico io, sono cose
che ha scritto il Financial stability forum. Si tratta di uno dei cardini della filosofia che aveva ispirato anche gli accordi
di Bretton woods. Se si va a guardare il sistema monetario che aveva ipotizzato
Keynes dopo la guerra, gli squilibri economici mondiali alla base delle crisi come quella attuale sono alimentati da
squilibri finanziari monetari.
L’accordo si presenta quasi come un
condono tombale per gli evasori anche
se il ministro Grilli dice che non può essere «nè un condono né un’amnistia».
Certo, è un condono tombale, ma comunque sempre meglio dello scudo fiscale.
L’associazione svizzera dei banchieri
spiega però che se l’aliquota sul passato sarà troppo più alta di quella degli
scudi fiscali attuati dal governo italiano, i fondi italiani emigreranno verso altri paradisi fiscali.
In linea teorica hanno ragione a dire
che l’imposizione fiscale non può essere
molto superiore a quella prevista per la
tassazione futura dei conti rimasti anonimi. L’aliquota però deve essere calcolata in base ai mancati introiti fiscali,
adeguata alla duration e alla consistenza dei depositi finora defiscalizzati. Per
quanto riguarda lo scudo, si ricordi che
lo hanno fatto anche gli inglesi con una
percentuale superiore alla nostra. Io
non credo molto alla fuga dei fondi verso altri paradisi fiscali. E poi mi chiedo:
ma siamo sicuri che questa aliquota verrà applicata davvero e che le banche
svizzere non contribuiscano invece in
parte alla tassazione di certi clienti importanti pur di evitare che scappino?
L’intera operazione non è affatto trasparente e potrebbe essere applicata in modo molto discrezionale.
Eppure i depositi di italiani in Svizzera
non sono tutti fondi neri...
Non scherziamo, stiamo parlando di cifre talmente consistenti da non essere riconducibili ai soli lavoratori frontalieri o
alle imprese che operano in Svizzera. Noi
abbiamo un tasso di evasione cronico; negli ultimi anni almeno il 16% del Pil italiano è sommerso, pari a tre volte la media
dei paesi Ocse. È francamente inaccettabile dire che i capitali depositati in Svizzera
sono quelli dei poveri frontalieri. Capisco
Grilli quando dice che ci sono tante cose
da mettere ancora a posto: un errore adesso si trasformerebbe in un precedente storicamente pericoloso anche per gli altri
Paesi europei. Già si cede sulla segretezza, non si può evitare di far pagare
un’una tantum commisurata a quanto
evaso finora.
Secondo un esperto come il professore
Paolo Bernasconi, quando, nel marzo
2009, la Svizzera ha sottoscritto gli
standard Ocse, ha di fatto intrapreso la
strada dello smantellamento progressivo del segreto bancario totale.
Se è così, è un gran passo avanti. Io so
che tutte le inchieste aperte in Italia per
chiedere collaborazione sul reato di evasione non sono mai andate da nessuna
parte. I magistrati finora hanno ottenuto
informazioni solo se erano in grado di dimostrare che c’erano in ballo reati più gravi, tipo il riciclaggio.
Stralciare la Svizzera dalla black list italiana è questione che riguarda anche
una grande fetta della popolazione lombarda, perché?
È vero, è un problema molto serio. Se si
raggiunge l’accordo sul prelievo, si stemperano le tensioni tra i due Paesi e non si
verificheranno più fenomeni di ostruzionismo come quelli messi in atto da Berna
sulla questione della doppia imposizione,
quando congelò i trasferimenti ai comuni. È un dato oggettivo che se la Svizzera
esce dalla black list si aiutano gli stessi lavoratori transfrontalieri e tutti quelli che
hanno attività commerciali al di là del
confine.
pagina 10
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
CULTURA
IN MOVIMENTO
BenOld
U
na cosa è certa. David Graeber non è un antropologo che
ama le mezze misure. Non ha
mai nascosto di essere un anarchico,
né ha mai dissimulato la sua partecipazione ai movimenti sociali. Ha partecipato alla preparazione di Seattle e
alle mille iniziative dell’altermondialismo made in Usa. Ha preso più volte
posizione contro la guerra in Iraq e in
Afghanistan, Un attivismo che lo ha
portato a scontrarsi con l’università di
Yale dove teneva la cattedra di antropologia. Ma il suo nome ha «esondato» gli ambiti dei movimenti con la
pubblicazione del volume Debito. I
primi 5000 anni (tradotto in Italia dal
Saggiatore). Un saggio dove l’antropologo statunitense analizza il ruolo del
debito provando ad opporre al suo
uso politico contemporaneo - strumento di un generalizzato controllo
sociale - la «filosofia del dono». E
quando il suo volto è apparso ripetutamente nei video che documentavano
l’occupazione di Zuccotti Park, è stato
indicato come uno dei «cattivi maestri» di Occupy Wall Street.
Ora giunge nelle librerie un volume
che raccoglie gli scritti di Graeber sull’azione diretta. Il titolo scelto per
l’edizione italiana è sottilmente ironico - Rivoluzione: istruzioni per l’uso,
Rizzoli, pp. pp. 454, euro 15 -, sebbene la rivoluzione ipotizzata dall’autore non ha niente del significato corren-
Gli intermittenti
dell’azione diretta
L’ultimo libro dell’antropologo David Graeber affronta le modalità
di azione dei movimenti sociali. Una preziosa fotografia
sulla capacità che hanno nel costruire consenso, ma che nulla dice
sulla loro incapacità di modificare i rapporti di forza nella società
te in Europa. Graeber, infatti, pensa
che non ci sia nessuna insurrezione
da organizzare, né presa del palazzo
di Inverno da mettere in conto. Semmai l’invito è a sviluppare forme produttive, di consumo, di distribuzione,
di formazione autonome da quelle dominanti. La loro diffusione deve esse-
re il virus che indebolisce le strutture
di potere esistenti al punto tale che diventano inutili. È la vecchia proposta
della cultura utopica socialista ottocentesca, unita alla convinzione che
lo sviluppo tecnologico consenta di
sfuggire ai limiti e alle aporie che tale
proposta incontrò agli albori del movi-
Saggi/ «RIVOLTA O BARBARIE» DI FRANCESCO RAPARELLI
Surfare sull’ultima onda
contro le oligarchie finanziarie
allontanò i contadini dalla terra alle origini del
capitalismo, facendone dei «proletari». Analogal quadro della barbarie è davvero completo.
mente, il capitale finanziario, demolendo il welDa una Unione europea piegata alla Weltanfare, sottraendo risorse collettive e individuali atschaung dell’oligarchia finanziaria e alle ratraverso la dittatura pervasiva del debito e ricongioni di una moneta che ha inglobato o sostituifigurando in forme sempre più ricattatorie il
to tutte le prerogative della sovranità, alla riconmercato del lavoro, produce una massa crescenduzione di quasi tutto l’esistente sotto il regime
te di poveri, di soggetti attivi che non sono capidella proprietà privata, dall’enorme potere di ritale né umano, né disumano, ma, nonostante la
catto e di controllo esercitato dal debito, sui sinspoliazione subita, dispongono in ogni modo
goli e sulle collettività, alla demolizione del welfadella forza produttiva costituita dalle loro facoltà
re e alla produzione di nuove povertà. Lo troverecognitive, linguistiche, relazionali, corporee, in
te tutto, questo quadro, dettagliato e accompabreve di una soggettività generatrice di ricchezgnato da una attenta analisi dei passaggi, degli
za potenzialmente in grado di sottrarsi al rapporeventi, delle scelte e delle metamorfosi che, soto di capitale in cui è imprigionata e sfruttata, di
prattutto nel corso dell’ultimo trentennio, sono
rendersi, cioè, autonoma. Questa potenza prenandati a comporsi nel mondo del neoliberismo
de corpo e cognizione di sé in numerose espedispiegato. Stiamo parlando di Rivolta o barbarienze di lotta e di movimento, dagli indignados
rie, il nuovo libro di Francesco
a Occupy , ma non si realizza
Raparelli (Ponte alle Grazie,
mai pienamente, nonostante il
Radiografia
pp. 224, euro 10), recentemenriconoscimento sempre più vate approdato in libreria, che risto di una condizione comune.
dall’interno
percorre insieme la marcia
Non riesce insomma ancora a
della resistenza
trionfale delle oligarchie capitasviluppare una forza e una forliste e la storia accidentata dei
ma che ne contrasti il logoraalle politiche
soggetti molteplici e dei movimento, metta a tacere le sirene
di austerità
menti che le hanno opposto redel ricatto e sappia contrastare
sistenza, rifiutandone le regole
gli strumenti di divisione. Ree spendendosi nella ricerca di nuove forme di
sta una lacerazione temporanea del tessuto libeazione politica e immaginazione sociale. Talvolrista che però sostanzialmente tiene facendo leta mancando l’obiettivo, cullandosi in una alluva sul terrorismo della crisi. Cosa istituisce quesione, sia pur razionalmente argomentata, all’«
sto limite, quale è l’argine che i movimenti non
altrove» o coltivando con rischio e generosità
riescono a valicare?
una destabilizzazione sempre latente dell’ordiNon è facile dare una risposta, ma forse done sociale.
vremmo cercarla nella natura della sovranità, poDue elementi decisivi, messi in luce dall’evolulitica ed economica ad un tempo, propria del cazione della crisi, fanno da cornice alla riflessione
pitale finanziario «postmoderno» (in questo caso
dell’autore. Il primo è il carattere permanente
forse l’abusato termine riacquisisce un senso) e
della cosiddetta «accumulazione originaria» la
nelle forme di assoggettamento ferree e sfuggenquale, lungi dal rappresentare il peccato originati che esso esercita. Rispetto alle quali il possesso
le di una violenza extraeconomica che pone i
della propria soggettività produttiva rischia di esfondamenti dell’economia, si rinnova costantesere ancor più indifeso del possesso delle promente come brutale rapporto di forze che raprie braccia che caratterizzava l’antico proletariastrella e piega le risorse naturali e sociali del piato. La signoria dei «mercati» è eticamente molto
neta alle pretese della rendita. Il secondo, che impiù detestata di quella dei vecchi padroni delle
mediatamente ne discende, è l’esaurimento di
ferriere, ma decisamente più al riparo dal raggio
ogni ipotesi riformista, nel senso (sempre più fledi azione della rivolta e dall’esercizio di un diritto
bile anche tra coloro che la professano) di una
di resistenza. Possiamo colpirla solo attraverso
correzione minimamente efficace delle politiun meccanismo di sottrazione (o esodo) cui anche liberiste veicolata dalla rappresentanza poliche Raparelli fa riferimento, ma è una sottraziotica del disagio sociale ingigantito dalla crisi. Da
ne né agevole, né pacifica che a molti poveri, sia
qui, non vi è dubbio, bisogna ripartire, consapepur ricchi di soggettività, fa ancora molta paura.
voli del fallimento irreversibile del vecchio struL’incubo del bancomat che ti sputa in faccia ha
mentario del socialismo.
terrorizzato a dovere non solo i Greci. Il sovrano
Ma chi e come e in quale direzione deve riparbancario ha in mano i nostri soldi e, attraverso
tire? Il soggetto della rivolta si staglia, per fare il
questi, i nostri diritti. In fondo l’usura è sopravvisverso all’ autodefinizione del movimento altersuta per secoli all’indignazione, alla riprovazione,
globalista, come un «soggetto di soggetti». Moltealla condanna morale. Anche se non reggeva, coplice, dunque, ma vittima di un medesimo prome invece oggi, le sorti del mondo. Potrebbe essecesso di spoliazione, non dissimile da quello che
re questa estensione, forse, a fare la differenza.
Marco Bascetta
I
MANICHINO
COSTRUITO
DOPO IL
PASSAGGIO
DALL’URAGANO
KATRINA
/FOTO
REUTERS
mento operaio. Insomma, la versione
libertaria di chi vuol cambiare il mondo senza prendere il potere.
Il libro di Graeber è tuttavia più interessante laddove si sofferma sull’analisi dei movimenti, sulle loro potenzialità, sulle loro forme organizzative. Graeber insiste molto sulla eterogeneità sociale dei movimenti contemporanei. Non c’è nessun soggetto
operaio che occupa il centro della scena; né un partito che lo rappresenti,
costituendone la sintesi politica. Siamo di fronte a una pluralità di figure
sociali indisponibili a qualsiasi ricomposizione o al riconoscimento di una
comune condizione produttiva. Per
questo le forme organizzativa sono legate alla contingenza, mutevoli nel
tempo e nello spazio.
La sua, tuttavia, è una fotografia delle dinamiche che presiedono le mobilitazioni, la «vita interna». Non restitui-
sce cioè nessun contesto in cui operano i movimenti sociali. Non è infatti
un caso che l’analisi del capitalismo
di Graeber si attesti sempre su una lettura che rimuove le discontinuità nello sviluppo capitalistico. La crisi attuale, ad esempio, è dovuta solo a una sovraproduzione, mentre la finanza è
un elemento parassitario, un’anomalia rispetto il funzionamento normale
dell’attività economica. Nulla viene
detto sui mutamenti della composizione della forza-lavoro.
Ma è da questa prospettiva che
l’azione dei movimenti andrebbe vista e valutata. L’eterogeneità sociale
dei movimenti, la centralità di forme
organizzative «reticolari» nelle mobilitazioni locali o globali, ne costituiscono, infatti, il punto di forza, ma anche
un evidente limite
laddove
n o n
riescono a modificare i rapporti di
forza nella società. L’immagine che
sempre più viene usata per rappresentare la loro potenza - in modo particolare nella capacità di costruzione
del consenso attorno al loro punto di
vista - è quello dello sciame, che si
forma, si sviluppa, si muove in perfetta sincronia per poi dissolversi così
repentinamente come si è formato.
Alla fine, però, il cielo torna ad essere
quello precedente la comparsa dello
sciame, come se nulla sia accaduto.
La posta in gioco è cercare non solo di spiegarne la genesi, ma di trovare il modo affinché lo sciame abbia
continuità nel tempo e nello spazio.
In Graeber c’è diffidenza verso forme stabili di organizzazione. Per giocare con il titolo del libro, l’unica
istruzione per l’uso dei movimenti è
come dare continuità alle loro forme
di organizzazione. Questo significa
dunque mettere in relazione, e in tensione, i movimenti con il contesto in
cui operano. Come scrive, a ragione,
Manuel Castells nel suo ultimo libro
Reti di indignazione e speranza (Università Bocconi Editore) i movimenti
sociali contemporanei non sono
comprensibili se si dimentica l’ascesa del capitalismo informazionale.
Detto più banalmente, i movimenti
non sono l’immagine riflessa, seppur
conflittuale, del modo di produzione
capitalista. Sono semmai uno spazio
di politicizzazione dei rapporti sociali dominanti. La loro incapacità di
modificare le forme di potere - economico, sociale e politico - deriva
dunque dall’assenza di una teoria
dell’organizzazione commisurata alle forme assunte dal capitalismo contemporaneo.
Ogni ritorno al passato è però impossibile; ogni sua riedizione è destinato a trasformarsi un un grottesco e
«postmoderno» revival dei bei tempi
andati. È cioè tempo che questa forma dell’azione politica rompa i confini angusti in cui ha fin qui operato.
Accettando così di essere una forma
originale della politica.
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
pagina 11
CULTURA
oltre
tutto
GIOVANI E ANZIANI I PIÙ ASSIDUI ONLINE
A dispetto delle statistiche che indicano nell’Italia uno tra i
paesi più arretrati nell’uso del computer e nella pratica di
Internet, uno studio della Ericsson realizzato su un campione
di 1500 persone tra i 15 e i 69 anni mostra che la
navigazione online è uno sport sempre più diffuso anche da
noi. In particolare, stando al sondaggio, quasi tre quarti degli
italiani (il 72 %) va su Internet almeno una volta a
settimana. La percentuale, come è prevedibile, sale fra gli
utenti più giovani (90 %), ma – meno prevedibilmente – gli
ultrasessantenni si dimostrano attivi davanti allo schermo,
con un buon 40 %. E non basta: il 65 % di loro usa
regolarmente l’email e il 25 % non teme di frequentare social
network e chat. Dati incoraggianti che dovrebbero comunque
essere confrontati con quanto succede negli altri paesi.
ROMANZI 1 · «Non c’è arte» di Péter Esterházy
ROMANZI 2 · Pavolini, «Tre fratelli magri»
Nel calcio
la vita segreta
di una madre
Legami di famiglia
tra inciampo e slancio
Attraverso la «assurda»
figura materna,
nobildonna e tifosa,
lo scrittore ungherese
individua nel football
una potente allegoria
per decodificare il mondo
Alberto Scarponi
L’
Ungheria è un piccolo strano
paese europeo (di lingua non
indoeuropea) e ogni tanto
l’Europa si avvede di una sua, inattesa, forte presenza nella propria storia.
Nella modernità per esempio la difese
dall’invasione ottomana, più tardi partecipò al suo condominio come impero austro-ungarico, cosa che finì nel
1919, da un lato, con la sorprendente
fiammata rivoluzionaria della budapestina Repubblica dei Consigli e, dall’altro, con il depressivo contenuto del parigino Trattato del Trianon. Più di recente è tornata a far parlare di sé, politicamente, nel 1956 (quando si ribellò
alla dittatura del socialismo reale), poi
nel 1989 (quando aprì le porte dell’occidente ai tedeschi della Ddr, rendendo di colpo inutile, per tutti, il Muro di
Berlino), e ora, in senso storicamente
inverso, con questo nazionalismo autoritario del governo di Viktor Orbán,
parolaio e surreale (eppure reale) nel
mondo vero.
Lo stesso – probabilmente per ragioni di virtuosa glocalità – va verificandosi nel campo letterario: sempre per
esempio, si ha nel 1985 Libro di memorie di Péter Nádas, nel 2000 Harmonia
cælestis di Péter Esterházy, nel 2002 Essere senza destino di Imre Kertész (la
cui prima pubblicazione risaliva al
1975, ma di cui si parla solo quando
viene tradotto in tedesco e l’autore riceve il premio Nobel). È di quest’anno
poi il rumore che ha accompagnato la
traduzione tedesca delle Storie parallele di Nádas, e ora esce anche in traduzione italiana – di Mariarosaria Sciglitano per la cura di Giorgio Pressburger – Non c’è arte (2008) di Péter Esterházy (Feltrinelli, pp. 204, euro 16).
Quest’ultimo libro ha un suo specifico interesse anzitutto come ulteriore
prova del lavoro di prosatore di uno
che fin dagli anni settanta, matematico e calciatore dilettante, come persona sperimenta che occorre «spostare
il linguaggio dal posto in cui si trova»,
che occorre cioè «una rivoluzione»
per sollevare il linguaggio dal compito
improprio di impedire alla gente di
parlare di ciò di cui non si deve parlare. Quel che non si deve dire viene
chiamato a tal uopo: pornografico. Di
qui nel 1984 la Piccola pornografia ungherese di Esterházy, che insieme ad
altri testi, narrativi e no, l’anno successivo comporrà il volume intitolato Introduzione alle belle lettere.
Perché le belle lettere hanno bisogno di essere introdotte? È che nel
1979 in Romanzo di produzione Esterházy ha scoperto il linguaggio come
atto manipolatorio, mentre occorrerebbe che il mondo fosse un puro
«spazio grammaticale», così che l’io
possa semplicemente vivere la propria vita, e dire: «lo spazio grammaticale sono io». Da allora sarà questa
scrittura strutturalmente libera, se si
vuole anarchica, a plasmare i suoi testi: ironizza il proprio dire, varia il già
detto, svela il non detto, si ripete, si cita, riformula, illumina sé con le parole
altrui, in un «libromondo» dove l’io,
con il suo vivo sguardo da bambino
stupito, lotta contro il linguaggio delle
metafore morte.
Quasi a fondamento, citerà più volte senza dirlo un brano dell’austriaco
Thomas Bernhard (da La fornace) per
ripeterne l’indignazione contro il proprio paese («un mondo non solo orribile e spaventoso, ma anche ridicolo...
non si poteva dire la verità, con nessuno e su nulla, perché in questo paese
tutto procedeva grazie alla menzogna... La menzogna era tutto, la verità
esisteva solo perché si potesse accusarla, condannarla e schernirla»). «La
letteratura lavora così», dunque. Come la vita, che di suo non è lineare. La
scrittura letteraria è infatti vita in atto,
perciò sempre incompiuta, vita che
per vivere mette a nudo vita, inesauribilmente. Quando nel 1985 muore la
madre, Esterházy resta muto, ottusamente, ma poi al funerale sente «bisogno di scrivere di lei». Non però una
storia «molto bella», scontata e spenta. Quando perciò il giorno dopo si
mette all’opera non intende «scoprire
la verità né tantomeno rivelarla a Lor
Signori», invece, – appellandosi a Mallarmé (le cose vengono al mondo per
farsi libro), – scrive un libro e vi lavora
con lo spirito semplice di «una macchina che ricorda e formula». Poi lo intitola I verbi ausiliari del cuore. Anzi lo
aprirà e chiuderà con le parole: «Nel
nome del Padre e del Figlio...». Vero
che dopo la parola «Fine» aggiunge:
«Più avanti scriverò di tutto questo in
modo più preciso» (che è la frase con
cui Peter Handke aveva chiuso un suo
libro, Infelicità senza desideri, dedicato alla propria madre suicida).
Allora il libro che abbiamo da leggere oggi in italiano – Non c’è arte, di cui
(quasi) protagonista è di nuovo la madre e che inizia così: «Nel nome della
madre e del figlio!» – potrebbe essere
inteso come l’adempimento ironico
di quel proposito?
Sembra di sì. Tanto più che nel frattempo è intervenuto il finimondo. È
accaduto che per tutti gli anni novanta Esterházy ha lavorato a Harmonia
cælestis, il monumentale romanzo in
cui riconduce tutto al «padre», non al
concetto, ma alla parola, una parola
che «ha qualcosa di sacro» (certo,
«che questo concetto stia al centro del-
WRITERS · Un nuovo (non) festival letterario a Milano
Prevedendo la reazione di quelli – e sono sempre di più – che oppongono una reazione annoiata, se non infastidita, di fronte all’annuncio di un nuovo festival letterario, gli scaltri organizzatori di «WRITERS #0» (in programma domani e dopodomani negli spazi dei Frigoriferi
Milanesi) si affrettano a spiegare, nel comunicato di presentazione, che la loro è una cosa
diversa: non festival, non fiera, e neppure presentazione di libri, ma «una forma più intima
d’incontro con gli autori, che (si) raccontano in luoghi inconsueti attraverso ciò che più loro
piace – un quadro, uno strumento, una lettura, un suono, un cibo – mettendo in relazione
linguaggi diversi e sparigliando la loro forma espressiva con agganci all’arte, alla musica, al
teatro, alla memoria di odori e sapori». Lunga la lista degli scrittori invitati, (l’elenco su www.
writersfestival.it); tra le iniziative «di corredo», un omaggio a Wislawa Szymborska.
Paola Splendore
L
«BUDAPEST, APRILE 1989» / FOTOGRAFIA DI LUIGI BALDELLI (CONTRASTO)
la nostra cultura, è dire troppo», ma
comunque «il padre non si tocca»), epperò il 28 gennaio 2000, mentre è in attesa eccitata delle prime copie stampate di Harmonia, riceve ufficialmente 4
faldoni in cui sono raccolti i rapporti
forniti dal padre ai servizi segreti dal
1957 al 1979. Non soltanto la «dittatura» ha desacralizzato il basamento della sua Weltanschauung, per cui ne risulta scardinata, ma soprattutto – il
che è peggio, distruttivo per uno scrittore – è la poetica che gli si annulla.
«Ora mi devo adeguare alla realtà. Finora mi sono adeguato alle parole»,
scrive in L’edizione corretta (il «romanzo a chiave» pubblicato nel 2002, in realtà un diario in cui protocolla la propria drammatica lettura di quei faldoni). E ne concluderà: «Di Harmonia
talvolta dicevo che è "soltanto letteratura" (che cioè non è la cronaca della
mia famiglia ma di quella che si è costituita proprio tramite questa stessa
cronaca... L’edizione corretta invece
non ha niente di letterario. In essa
non c’è più niente. C’è solo il tutto puro e semplice (ovvero il nulla)».
A sorpresa in Non c’è arte è il gioco
del calcio a divenire allegoria di questo nulla che è il tutto. La protagonista, la madre, non è più il borgesiano
recondito aleph della famiglia patriarcale, come nei Verbi ausiliari del cuore, ma torna la signorina e poi signora
Lili. Una nobildonna, sì, elegante al
punto che la dittatura proletaria sembra non esistere. Pur essendo proibito
tutto, tutto quanto non sia permesso
(solo negli anni ’60 viene permesso
tutto quanto non sia proibito), esiste
«un tempo segreto, non ufficiale» dove Lilike per tutti è la dama Irén
Mányoky poi Esterházy (ma lei «odia»
il nome Irén). Ed è anche una scatenata tifosa di calcio. Forse proprio perché «incapace di comprendere la regola del fuorigioco», perché outside or
not outside non è altro che un falso
dubbio del Maligno, lei del calcio vive,
sempre e per intero, «la storia e l’ontologia, la psicologia e il mistero, la mistica, il miracolo, la genialità celata nella
semplicità».
In questo libro è attraverso «l’assurdità» della madre che Esterházy conosce il mondo. Ed esplicitamente si fa
avvertire da lei circa il proprio lavoro:
ora «non hai solo parole, hai anche
una madre». Che poi narrativamente
Lilike possa ottenere da Puskas un intervento con cui la famiglia Esterházy
evita il confino, è solo un segnale della
potenza di questa nuova chiave di lettura del mondo in possesso dello scrittore. Al quale capiterà di scrivere: «Come accade a Roma, dove dall’eterna
compresenza delle forme e dei tempi
individuali costantemente traspare
una premessa: che la verità è storia,
storia comune». Insomma, non c’è arte. Dopodiché nessuno più potrà confondere la letteratura ungherese – come lamentava Sándor Márai nel 1948
– con una artigianale «industria levantina dell’aneddoto».
a leggerezza è la metafora
centrale del nuovo romanzo di Lorenzo Pavolini Tre
fratelli magri (Fandango, pp.162,
euro 13) che nelle sue smilze pagine condensa una storia avventurosa che spazia negli anni e nel mondo. Come in una fiaba, tutto comincia nella baita di legno, in
montagna, dove i tre fratelli, «i
bambini leggeri», sono un grumo
comune di fantasie e di sogni. Ma
una volta cresciuti i tre si separano sperdendosi ai vari capi del
mondo, ciascuno inseguendo il
suo desiderio. Il primo in montagna, a fare il maestro di sci, l’ultimo per mare, in barca a vela fino
ad acque lontane; il fratello di
mezzo lì dove è sempre stato. Se
gli altri hanno trovato nella natura «lo specchio per la loro irrequietezza», a lui bastano i libri a «compiere la fuga».
L’infanzia, improrogabilmente
trascorsa, è tuttavia per i fratelli
un tempo dilatato a oltranza, come per un’ostinata fedeltà ai propri sogni. Forse è questo che ha
fatto parlare Carola Susani, presentando il volume recentemente
a Roma, di «fedeltà all’infanzia»
come motivo centrale del libro.
Da adulti, i fratelli si incontrano
poco, sempre due per volta e in
circostanze eccezionali, come se
solo così avesse un senso ritrovarsi. E non a caso il sogno, in fondo
modesto, perseguito dall’autore,
di riunire i fratelli proprio nel posto mitico dell’infanzia, «il nostro
piccolo Tibet», sarà realizzato solo sulla carta.
La casetta prefabbricata in
montagna sorgeva proprio di fronte alla vetta che nel 1954 aveva visto morire, a soli diciannove anni,
lo zio Eugenio, fratello della madre dell’autore, precipitato nel
corso di un’ardua scalata del
Gran Sasso. Quella vicenda familiare, indagata come un’oscura ossessione, il riscatto di un’ombra
da intrecciare alla propria esisten-
ROMANZI 3 · Da Caratteri Mobili «Voi onesti farabutti» di Simone Ghelli
Nonno e nipote, in assenza del padre
Demetrio Paolin
V
oi, onesti farabutti (Caratteri
Mobili, pp. 104, euro 12), il
nuovo romanzo di Simone
Ghelli, ha alla base il trauma di
un’assenza. Il libro è infatti una sorta di lungo monologo interiore in
cui l’io narrante, nel quale non si fatica riconoscere l’autore, ripercorre
le vicende del nonno: non sui padri
punta dunque la propria attenzione Ghelli, ma sui vecchi, uomini
che hanno vissuto la guerra partigiana e hanno fatto dell’antifascismo e
del comunismo (inteso come sovvertimento di una società borghese
e falsa) il loro ideale di vita.
Alla loro remota giovinezza si oppone il presente dei nipoti, che è il
tempo attuale, fatto di lavori e di vite precarie: il protagonista, laureato
in lettere e con il vizio assurdo della
scrittura, lavora in un call center.
Anche l’impegno politico è descritto come un graduale impoverimento: dalla frequentazione dei circoli
anarchici al disinteresse per una società sempre uguale a se stessa. E
neppure l’impegno sociale – un anno di servizio civile in una struttura
psichiatrica pubblica a Siena – conduce a qualcosa di concreto: invita
anzi a una sorta di vacanza da tutto
e da tutti, ben descritta in una fuga
al mare con alcuni degenti. Una so-
cietà che non fornisce futuro, una
politica nauseabonda, si possono
rappresentare con una assenza: il
padre dell’io narrante, che racchiude i padri di tutti, sembra trasparente. In effetti, l’uomo invita il figlio a
una scelta di concretezza, ma è una
concretezza ben diversa da quella
predicata dal nonno, una concretezza legata al particulare e alla mediazione per avere il posto assicurato.
In base alla dicotomia che impernia il romanzo, al mondo liquido lasciato in eredità dai padri si oppone
il mondo robusto dei vecchi. Evitando qualsiasi intento nostalgico Ghelli descrive un nonno incendiario,
deciso a far valere le sue opinioni,
pronto a rinunciare a agi e amici
pur di non venire meno alle sue
idee. Ma il vecchio non è un laudator temporis acti, non si configura
come il tipico reduce, e anzi nella vicenda raccontata dall’autore ha il
ruolo dello sprone che mette in discussione ogni cosa.
Al tempo stesso, il libro di Ghelli
è un’orazione funebre per i testimoni che uno alla volta spariscono. La
domanda che si (e ci) pone l’autore,
cantando le gesta del nonno, al momento della sua scomparsa, è: chi
porterà avanti la sua testimonianza? In questa ottica Voi, onesti farabutti acquisisce una valenza politica: il venir meno biologico del nonno sembra coincidere con la sparizione dei pilastri su cui si tiene la
nostra repubblica: la lotta partigiana, l’antifascismo.
Non a caso il romanzo si chiude
con un tradimento. Luciano, amico
di lunga data del nonno, ha smesso
d’un tratto di frequentare la sua casa e all’autore, che gli chiede il perché di questo allontanamento, risponde con disarmante semplicità:
gli è stato imposto di scegliere tra il
lavoro e l’amicizia con il nonno, uomo pericoloso e rivoluzionario. Luciano ha scelto il lavoro e ha sacrificato il vecchio. Una parabola meschina in cui si rispecchiano i nostri
tempi cupi, raccontati da Ghelli
con una lingua impastata di realtà.
za, diventa per lui un modo per ricostituire l’unità perduta. È da
qui che nasce la scrittura erratica
e inquieta di questo libro, opera
di uno dei fratelli, mai chiamato
per nome, ma evidente alter ego
dell’autore, e dal suo pervicace bisogno di fare – ricercare persone,
ritrovare carte private, leggere pagine dolorose di quaderni e diari,
e perfino scalare montagne e raggiungere un atollo nell’Oceano Indiano. Imprese in cui si accompagna ogni volta a qualcuno, la madre, un fratello, un amico, e dall’incontro nasce qualcosa, quasi
una scrittura a più mani, come
nelle lucide e bellissime pagine,
incluse nel volume, del compagno di scalata di Eugenio nel giorno fatidico della sua morte.
All’incapacità dei fratelli di considerare chiusa l’infanzia corrisponde una maturità che stenta
ad affermarsi: ormai adulti i fratelli magri continuano ancora a cercare se stessi, il maestro di sci si è
convertito all’Islam e va a sposarsi a Tunisi, lo skipper ha perso la
sua barca e deve ricominciare tutto da capo. Nel frattempo ha per-
In un gioco di incastri
il testo oscilla
tra il tempo sospeso
dell’infanzia e quello
fermo della morte
so anche una figlia, e la deve ripescare chissà dove, forse in Thailandia. Lo scrittore riapre scatole rimaste a lungo chiuse, incerto a
volte su cosa stia scrivendo. Questo senso di precarietà è collegato
alla necessità di capire, di riflettere sulle cose accadute – non per
trovare risposte, ma forse per trovare il coraggio di procedere nella
sua impresa, realizzare un libro
fatto di divagazioni, che è insieme
trama d’infanzia, educazione sentimentale, elegia, avventura. Un libro scritto con grande eleganza e
cura dei dettagli, che si parli di
un’arrampicata, di una tavola da
windsurf, di un naufragio.
Tre fratelli magri ha molto in
comune con il romanzo precedente di Pavolini, Accanto alla tigre
(Fandango 2005). Ambedue nascono dal bisogno di riflettere su
una storia familiare in parte rimossa, ma soprattutto raccontano una difficile educazione sentimentale scavando nel mistero delle origini. Le piccole foto di case,
persone, radici, ritagli di giornale,
disseminate nel volume, benché
poco significative per chi legge,
servono tuttavia a dare concretezza a qualcosa che è scomparso. E
fanno pensare alla scrittura di
W.G. Sebald, e in particolare ad
Austerlitz, le cui pagine si avvertono in filigrana, fondamentali nell’
archivio di letture di Lorenzo Pavolini.
A distinguere Tre fratelli magri
dal volume precedente è tuttavia
proprio la sua leggerezza. In Accanto alla tigre la leggerezza non
era possibile. Lì c’era la Storia, il
bisogno di fare i conti con l’eredità di un nome pesante, l’affondo
nella memoria e nel dolore, e la
difficoltà evidente di trovare una
forma in cui tradurre tutto questo. Più risolto nel suo gioco di incastri temporali, Tre fratelli magri
intreccia e riavvolge i suoi fili oscillando tra il tempo sospeso dell’infanzia e quello fermo della morte.
Assunto il ruolo di chi «vuole riunire ciò che naturalmente si disperde» Pavolini riesce a portare a
compimento quel gesto «tra l’inciampo e lo slancio» che restituisce, ancora palpitante, quello che
«si è ripescato in cantina».
pagina 12
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
VISIONI
Intervista •
Gianni Martini, passato per mille avventure musicali della Genova
«progressive» e diventato poi fondamentale collaboratore, fino all’ultimo, di Giorgio Gaber
GIANNI MARTINI, A DESTRA
UNA FOTO CHE LO RITRAE A FIANCO
DI GABER DURANTE UN TOUR DEL 1998
«Il pensiero gaberiano, i testi di Sandro Luporini,
dimostrano ancora oggi una lucidità di analisi sicuramente
fuori dal comune. Un esempio di scrittura indipendente,
e non ideologica, ricca di un ’buonsenso sano’. Monologhi
e singoli brani contengono spunti critici tutt’ora attuali
nei temi di sempre, ossia il tentativo di indagare e capire
la dimensione umana. Con sincerità e onestà intellettuale»
Gli anni del canto
critico anticonformista
Guido Festinese
OMAGGIO
N
«Io ci sono», box
di 3 cd e 2 dvd
el ’78, in Italia, succedono molte cose, che sembravano indicare un vero e proprio sfarinamento degli anni Settanta, e del Movimento giovanile che s’era dato convegno, giusto un anno prima, a Bologna.
Anche la musica cambia: finito il grande sogno del progressive rock, per molti che non seguono la spallata punk la
musica diventa un mestiere: serio e
quotidiano. Come per Gianni Martini,
«musicista per musicisti», come dicono gli anglosassoni, passato per mille
avventure musicali, e diventato poi anche fondamentale collaboratore, fino
all’ultimo, di Giorgio Gaber. Nel ’78
Gianni Martini assieme a Bruno Biggi
e Piero Spinelli fonda la scuola Music
Line. Ora la scuola festeggia 35 anni di
attività. Come hai visto cambiare la società, attraverso la scuola? «35 anni è
un traguardo tutt’altro che scontato in
una città difficile come Genova. Non
mi ritengo un apocalittico, ma certamente non c’è da essere ottimisti.
L’orizzonte su cui si sono affacciate le
generazioni degli ultimi venti anni almeno è pesantemente segnato dall’incertezza. La globalizzazione sta sempre più minacciando le condizioni di
vita frutto di decenni di lotte popolari.
Oggi i giovani mi sembrano smarriti,
incazzati ma disorientati. Bravissimi
con le tecnologie, ma al tempo stesso
incostanti, incapaci di impegnarsi in
qualcosa perché nulla vale la pena. Cito il titolo di un bel libro, L’epoca delle
passioni tristi. Si fanno le cose per inerzia, senza entusiasmo ed un reale coinvolgimento, rimbalzando da un’esperienza a un’altra. La mia generazione
ha vissuto il futuro come attesa, speranza: si pensava, spesso ingenuamente di poter cambiare il mondo e ci si
impegnò politicamente per cercare di
farlo. I ragazzi, oggi, mi sembra che
percepiscano il futuro come minaccia,
come un qualcosa che incombe: non
si sa letteralmente cosa succederà tra
1 o 2 anni. Da qui un consumismo delirante e senza senso, come un bisogno
di stordirsi.
Da dove arriva la tua passione per la
direzione e l’ideazione di cori polifonici?
Quando, nel 1999, una maestra della scuola elementare G. Daneo (scuola
multietnica situata nel centro storico
di Genova, sempre in prima linea) con-
Il decennale della scomparsa
dell’artista meneghino, viene
celebrato dalla Fondazione Gaber con un triplo box intitolato
«...Io ci sono», uscito la scorsa
settimana e primo da ieri nella
speciale hit dedicata alle raccolte di artisti vari, che nella versione deluxe si amplia con un doppio dvd. Il primo contenente
materiali inediti selezionati per
l’occasione, con ampia attenzione riservata al «teatro canzone», mentre il secondo propone
filmati amatoriali e in esclusiva,
l’ultima sua apparizione televisiva, nel 2001, nel corso dello
show «125 milioni di cazz..te»
di Adriano Celentano («Non torno in televisione - disse a un
sorpreso giornalista alla vigilia
della ’riapparizione’ su piccolo
schermo - vado da Adriano..»).
Il titolo del disco è relativo al
verso finale del brano «Io come
persona» ed è una sorta di filo
conduttore che ripercorre per
tappe la sua vita professionale
attraverso le voci di «colleghi»
che l’hanno cantato nel corso
degli anni. Si parte con la classica « Ciao ti dirò», anno di grazia 1958, l’ultima cantata dal
vivo con Celentano, e poi «Non
Arrossire» nella voce di Renzo
Arbore, per passare a «Una fetta di limone» riletta da Jannacci
e una curiosa «Piena di sonno»
riproposta dal giovane cantautore Dente. Elenco fittissimo di
nomi, di ogni stile, di ogni tendenza: dai Baustelle a Nada,
Daniele Silvestri, Ligabue, Ornella Vanoni, Mina (ma in una vecchia versione di «Shampoo»,
incisa nel 1992), Morgan. Citazione a parte per una intensa
Patti Smith che traduce «Io come persona» in «I, as a person». Abbondanza di presenze e
di materiali, a volte eccessivamente bulimica e che necessitava di qualche riduzione (D’Alessio o J-Ax francamente risultano
assai poco credibili). d.pe.
tattò Music Line per dirigere un coro
formato da insegnanti e genitori della
scuola accettai con entusiasmo. Non
si trattava di dirigere un coro tradizionale, bensì un coro che cantasse delle
canzoni, ovvero cercare di valorizzare,
attraverso un lavoro rigoroso, quello
che mi piace indicare come «musica
popolare metropolitana». Dodici anni
fa, quando ho iniziato, penso di essere
stato tra i primi. La cosa è cresciuta e
adesso dirigo 3 cori distinti: Coro Daneo, Coro 4 Canti, Coro Canto Libero.
Oggi c’è una grande rivalutazione critica del periodo progressive, e un rinnovato interesse per la Genova di allora fucina di molti gruppi. Tu hai fatto parte di molte realtà del periodo,
dai Delirium a la Famiglia degli Ortega, fino all’Assemblea Musicale Teatrale. Quali i tuoi ricordi?
Ricordo con grande simpatia, quando ero ragazzino, il Christie’s Club gestito da Alberto Canepa, con cui poi
strinsi una profonda amicizia e insieme si visse l’esperienza dei Delirium,
1972, della Famiglia Ortega (1973-74),
dell’Assemblea, dal ’75 al ’78. Una specie di fucina, di informale laboratorio
con le migliori band della città: Garybaldi, Nuova Idea (prima Plep), con
Marco Zoccheddu alla chitarra e Giorgio Usai alle tastiere (poi con i New
Trolls), Dede Loprevite (poi con Kim &
Cadillac e altri). L’Assemblea è stata
un’esperienza unica: in quanto spalla
di Guccini e Lolli, suonavamo sempre
di fronte a 10/20.000 persone, e quindi
grande, costante emozione.
Quando e come hai conosciuto Giorgio Gaber?
Ho conosciuto Gaber nel 1976, ai
tempi di Libertà obbligatoria. Andammo a trovarlo nei camerini dopo lo
spettacolo, come già si fece qualche
mese prima con Guccini. Alloisio e Canepa gli parlarono dell’Assemblea,
chiedendogli se fosse disponibile ad
ascoltare qualcosa. Lui fu molto gentile e disponibile. Ci si vide la sera successiva , dopo lo spettacolo, e da lì inizio la nostra conoscenza.
Quale ritieni sia, senza retorica, il
suo posto nella cultura italiana?
Un posto di primo piano. Giorgio
Gaber e Sandro Luporini hanno dato
prova di una lucidità critica fuori dal
comune, un chiaro esempio di pensiero libero, indipendente e non ideologico, ricco di un «buonsenso sano». I testi delle canzoni e dei monologhi contengono spunti critici tutt’ora attualissimi nei temi di sempre, ossia il tentativo di indagare a capire la dimensione
umana, le fatiche, le miserie, le lacerazioni quotidiane di tutti. Tentativo condotto sempre con grande sincerità ed
onestà intellettuale.
Com’era Gaber con i «suoi» musicisti? Avevate discussioni, attriti, momenti di confidenza?
In prima battuta mi vien da dire che
Giorgio era una persona gentile, riservata, normale insomma. Ciò che lo rendeva unico era il suo rigore nella ricerca dell’essenzialità, con l’obiettivo di
arrivare ad essere preciso e chiaro senza atteggiamenti intellettualistici.
Quindi grande sobrietà nel lavoro musicale e teatrale, senza cercare facili soluzioni ad effetto. E poi rispetto per il
pubblico mantenendo però la propria
autonomia. Gli spettacoli di Gaber risultavano molto «diretti» proprio per
la sua spiccata capacità comunicativa:
la gente si commuoveva, si incazzava
perché c’era un effettivo coinvolgimento. Le tournée di Gaber si dividevano
in lunghe e molto lunghe. Si stava
quindi insieme parecchio tempo. La
sera a cena spesso si aggregavano amici e conoscenti vari, raramente qualche politico. Si discuteva. Spesso si iniziava commentando la resa dello spettacolo di quella sera per poi, allargarsi
a discutere di tutto: musica, teatro,
amore, quotidianità, vicende politiche, filosofia, calci, Nella fase delle prove, periodo in cui solitamente eravamo solamente noi dello staff, spesso si
parlava delle intenzioni da dare a un
brano, ad una musica di scena. L’ambiente era molto vivo. Le chiacchierate
fino alle tre/quattro del mattino e oltre, e mi mancano tantissimo. Raramente sono riuscito a trovare chi ami
discutere, approfonditamente, con la
radicale voglia di capire, senza misere
parrocchie da difendere.
C’erano momenti di improvvisazione
negli spettacoli, o come per De André, tutto era stabilito?
Lo spettacolo era tutto scritto. Anche gli assoli erano sostanzialmente
scritti. Poteva capitare che, se un brano non risultava convincente, lo si tornasse a provare. Però la stesura dello
spettacolo, una volta stabilita, senza
particolari variazioni, e restava quella
fino alla conclusione della tournée.
Cosa pensi dei molti spettacoli di «rilettura» del teatro canzone di Gaber
che si sono alternati nel corso delle
ultime stagioni?
Ho visto diverse riprese e riletture di
Gaber e, devo dire, l’esito mi è sempre
sembrato complessivamente buono.
Certo, occorre liberare la mente dal ricordo dell’interpretazione di Gaber.
D’altra parte se Gaber e Luporini hanno scritto pièces teatrali effettive, allora queste devono poter essere reinterpretate, come si fa con Pirandello o
Molière. Non bisogna imbalsamare la
scrittura nell’interpretazione di Gaber,
altrimenti è finita. Comunque Neri
Marcorè, su regia di Giorgio Gallione
mi è sembrato quello più decisamente
più efficace. Bravo anche Giulio Casale, nonostante mi sia parso inutile cercare di imitare Giorgio perfino nel tono della voce e nei movimenti. Ma
quella più riuscita, mi sembra quella
del mio amico Alloisio...
DE GREGORI
«Sulla strada»
per ricomporre
pezzi di vita
Diego Percassi
S
gombriamo il campo dai pregiudizi. Dimenticate il (brutto) precedessore di quattro anni fa, Per
brevità chiamato artista, inutile rimasticamento di cose passate, decisamente pleonastico. Francesco De Gregori è
tornato in studio (finalmente) con
idee, compiute, canzoni ispirate e una
leggerezza probabilmente garantita da
una libertà creativa garantita dallo
sganciamento dalle major. I nove pezzi che compongono Sulla strada (nei
negozi e in digitale su etichetta Caravan)- ogni citazione all’opera omonima di Kerouac è assolutamente voluta, rappresentano al meglio la capacità
del cantautore romano di confrontarsi
con il presente senza sganciarsi dal
passato, recuperando l’abilità - un po’
sopita nelle ultime uscite discografiche - di costruire storie e memorie.
Fondamentali, visto che intorno sono
solo macerie di un’Italia smaterializzata e confusa. Un belpaese da Belle epoque, cantato su un tempo rebetiko dove in un film di quattro minuti, appaiono minute figurine. Un sergente, un
gruppo di prostitute di un mondo arrivato alla fine e che sta per piombare
negli orrori della Prima guerra mondiale, dove «Non è ancora già domani ma
non è nemmeno ieri». E in Guerra, in
mezzo alle bombe De Gregori ci porta
davvero, nella figura di un soldatino
stropicciato che «ripensa al suo rancio
disgraziato e all’odore della notte e del
sangue che ha versato».
Non è solo De Gregori in questa avventura, è in compagnia di Malika
Ayane che partecipa con la sua voce
ammaliante sui ritmi latini che muovono Omero al Cantagiro e la deliziosa
Ragazza del ’95. Ma il capolavoro è l’incontro con Nicola Piovani, che scrive e
dirige gli archi di Guarda che non sono
io («Cammino per la strada. Qualcuno
mi vede e mi chiama per nome. Si ferma e vuol sapere. E mi domanda qualcosa di una vecchia canzone»...), e il
pensiero torna indietro alle pagine liriche più riuscite e intense. Il pathos de
La donna cannone è dietro l’angolo,
tanto per intenderci...
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
pagina 13
VISIONI
ANDREA SEGRE
«Io sono Li» di Andrea Segre vince il Premio Lux 2012, attribuito ogni anno dal Parlamento europeo a
un film dedicato a tematiche sociali. «Ringrazio il Parlamento europeo - ha commentato Segre - per
questo premio, importante per la diffusione del cinema europeo indipendente, affinché si possa parlare
dei problemi e delle tensioni delle nostre società».
MED FREE ORKESTA
Stasera alle 21 all’Auditorium Parco della Musica di Roma, concerto della Med Free Orkestra insiema a
Erri De Luca (in video), Ennio Fantastichini, Angelo Olivieri e Claudio Prima (Banda Adriatica). Verrà
presentato il cd «Solo andata», ispirato all’omonimo lavoro di Erri De Luca, ispirazione e linfa vitale per
il racconto della vita, delle tragedie, delle opportunità, dei suoni che il Mediterraneo offre alle sue genti.
TFF · Caso Loach. Oggi il presidio dei lavoratori
FOTOGRAFIA · Fino al 14 dicembre una mostra dedicata alla Modotti
Una vita fuori dal coro,
la vera rivoluzione di Tina
Federico Cartelli
LECCE
S
olo di recente, e dopo la dissoluzione della dottrina comunista nel nostro paese, è stato
possibile che la figura di una proletaria per nascita come Tina Modotti
votata agli ideali sociali della sinistra
emergesse dall’oblio. A questa donna eclettica e controversa con l’interesse per la fotografia (Udine 1896 –
Città del Messico 1942) è dedicata la
mostra Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria, ospitata fino al 14 dicembre nel cineporto di Lecce col sostegno di regione Puglia e Apulia
film commission. La rassegna comprende una selezione di 80 fotografie, realizzate fra il 1923 e il 1930, a
cura di Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino e del Center
for creative photography di Tucson
(Arizona). Una vita che incrocia
eventi storici (dalla Rivoluzione messicana del 1917 alla Guerra civile spagnola del 1936) e personaggi in vista
(da Robert Capa a Pablo Neruda),
non priva di risvolti trasgressivi,
quella della Modotti, ritenuta scomoda per sistemi partitici fondati su rigidità e immobilismo durante la prolungata stagione del dopoguerra italiano. Perché l’aura di rivoluzionaria
(riprendendo il titolo della mostra)
attribuita a una fotografa?
La Modotti non si cala contemporaneamente in più ruoli, ma li interpreta uno alla volta, peraltro fuori
dall’Italia. Che abbandona appena
diciassettenne facendo rotta per
l’America. Da New York a Mexico City, imbevendosi di eccitante cultura
post-rivoluzionaria (messicana) che
la eleverà, in notevole anticipo sui
tempi, a campione dell’emancipazione femminile e della liberazione
sessuale. Prima di approdare in Messico, dedicandosi all’esercizio del ri-
tratto e del reportage, sarà l’incontro
con l’americano Edward Weston, guru dell’arte fotografica, a iniziarla e a
infonderle la passione. Che lei, già
da sposata, nutrirà sia per la fotografia che per lo stesso Weston, divenendone amante. In precedenza, negli Stati uniti, si era avvicinata al teatro e al cinema, lavorando a Hollywood come protagonista in film
muti.
Modotti è donna battagliera ma
anche una bella donna, tanto da concedere le grazie di modella a pittori
come Alvaro Siqueiros e Pablo Rivera. Conclusa l’esperienza di fotografa e di musa di Weston, abbraccia la
lotta politica nell’ideologia marxista.
Diviene una perseguitata e non le rimane che riparare in Europa: entrerà a far parte, rifugiatasi in Unione
Sovietica, del Comitato esecutivo
del soccorso rosso internazionale.
L’accoglie la cerchia di nuovi compagni, di vita e di partito, con i quali
partecipa all’organizzazione del VII
Congresso mondiale dell’Internazionale comunista.
Si giunge agli anni della guerra civile spagnola, vi accorre: conoscerà i
fotoreporter Robert Capa e Gerda
Taro, ma anche scrittori e poeti che
militano nelle fila repubblicane.
Con la vittoria fascista di Francisco
Franco, ritorna in Messico insieme
col compagno Vittorio Vidali (gli
Usa ne avevano respinto l’ingresso).
In ultimo, si fa assidua la frequentazione con il poeta premio Nobel e attivista cileno Pablo Neruda. Sulle
cause della morte di Tina Modotti,
avvenuta nel 1942, scende un alone
di mistero. Lo spirito ribelle di femminista ante litteram, al pensiero
unico precostituito, pervaso da quegli ideali cristallini di uguaglianza e
di giustizia sociale sbandierati dal socialismo, la faceva apparire poco addomesticabile ai precetti dell’ortodossia. Si è sospettato a lungo sullo
stesso Vidali: che l’avesse assassinata per ordine dei servizi segreti sovietici. Anche se l’autopsia dirà che il
decesso era stato determinato da infarto cardiaco.
Si può individuare un senso alla
sua opera fotografica, restando così
agganciati al tema della mostra? Per
il fatto di registrare la realtà oggettiva, la fotografia della Modotti riveste
soltanto (ma non è poco) valore documentale, che può fornire un importante contributo al progredire
della società contemporanea. Adeguando questo assunto alle conseguenze dello sconvolgimento provocato dalla Rivoluzione messicana degli anni dieci, in Centroamerica, la
fotografia diventa uno straordinario
strumento di testimonianza. Alla
stessa fotografia della Modotti si
guarda peraltro come a un sunto della cultura rivoluzionaria messicana
e dell’estetica fotografica d’avanguardia propria di quell’epoca. Di
corollario alla mostra è la proiezione
del documentario Tina in Mexico, girato dalla cineasta Brenda Longfellow. La quale, nello scorrere della
narrazione filmica, illustra le fasi di
trasformazione di una donna che da
attrice del cinema muto, ancorchè
modella per pittori naturalisti, matura in fotografa documentarista e, in
modo definitivo, in rivoluzionaria
non catalogabile ma inevitabilmente compromessa con i regimi del
tempo
ROMA · L’invasione Queer alla Casa del Cinema
Inaugura oggi alla Casa del cinema di Roma la terza edizione di Queering Roma (www.queeringroma.it), la festa del cinema Lesbico Gay Bisex Trans Queer della Capitale organizzata
dall'associazione Armilla, grazie al sostegno della Provincia di Roma e in collaborazione con
il Torino GLBT Film Festival Da Sodoma a Hollywood. Tre giornate in cui verranno proposte
una selezione di di lungometraggi, corti e doc, presentati in lingua originale con sottotitoli in
italiano, accanto a dibattiti e mostre. Tra i titoli «Partners» (domani), racconta in una vicenda ambientata nel 1990, nel momento di massimo allarme sulla malattia, la difficile convivenza con il virus dell’Aids. «The Perfect Family», oggi e domenica, parlano in maniera ironica di famiglia poco tradizionale. Tra le curiosità, arriva oggi dall’Italia l’unico corto animato:«Il mondo sopra la testa» del regista sardo Peter Marcias, che illustra le gesta di un gruppo di attivisti LGBTQ che rapisce un leader politico.
stasera tv
Un altro venerdì dedicato al mondo della Comunicazione, quello
proposto al «Tiggì Gulp». Il programma di Rai Gulp, realizzato in
collaborazione con il Tg3, in onda alle 16.45, aprirà i battenti
alla storia della TV e della Radio grazie a Rai Teche. L'appuntamento vedrà ospiti i ragazzi della Scuola Media Giuseppe Verdi
di Roma che, sotto la guida del Direttore di Rai Teche, Barbara
Scaramucci, visiteranno il Centro di Produzione di Saxa Rubra,
dove hanno sede tutte le testate Rai, per scoprire com'è fatto
uno studio televisivo e come nasce un telegiornale, dal sommario alla messa in onda. Su Rai storia - ore 21 - un documentario
girato nel 2007 da Fabrizio Berruti dedicato alla figura del principe De Curtis, in arte Totò. «Un principe chiamato Totò», il titolo,
rivela documenti sconosciuti, manoscritti, lettere d’amore, poesie
e canzoni mai pubblicate. Un ritratto inedito dell’artista napoletano. Per i nottambuli - Raitre ore 5.15 (!) - offre «L’enigma di
Kaspar Hauser», girato da Werner Herzog nel 1974, mentre Steel
- sul dt a pagamento di Premium Mediaset - ripropone un Cronember d’annata con «La zona morta» (1983), con Christopher
Walken protagonista di questo film tratto da un romanzo di Stephen King, sul tema della «preveggenza».
Rai1
6.45 UNOMATTINA Attualità
10.00 UNOMATTINA OCCHIO
ALLA SPESA Rubrica
10.25 UNOMATTINA
ROSA Attualità
11.05 UNOMATTINA STORIE
VERE Rubrica
12.00 LA PROVA
DEL CUOCO Varietà
13.30 TG1 - TG1 ECONOMIA
Informazione
14.10 VERDETTO FINALE
Attualità
15.15 LA VITA IN DIRETTA
Attualità
17.00 55° ZECCHINO
D’ORO Evento (Dir)
18.50 L’EREDITÀ Gioco
20.00 TG1 Informazione
20.30 AFFARI TUOI Gioco
21.10
TALE E QUALE
SHOW Varietà
23.25 TV7 Attualità
0.25 L’APPUNTAMENTO
Rubrica
0.55 TG1 NOTTE Info
Rai2
10.00 TG2 INSIEME Attualità
11.00 I FATTI VOSTRI
Attualità
13.00 TG2 GIORNO Info
14.00 SELTZ Rubrica
14.45 SENZA TRACCIA Tf
15.30 COLD CASE Telefilm
16.15 NUMB3RS Telefilm
17.00 LAS VEGAS Telefilm
17.50 RAI TG SPORT
Notiziario sportivo
18.15 TG2 Informazione
18.45 SQUADRA SPECIALE
COBRA 11 Telefilm
19.35 IL COMMISSARIO REX
Telefilm
20.30 TG2 - 20.30
Informazione
21.05
ARMAGEDDON GIUDIZIO FINALE FILM
con Bruce Willis
23.40 TG2 Informazione
23.55 L’ULTIMA PAROLA
Attualità
1.15 RAI PARLAMENTO
TELEGIORNALE Att.
I lavoratori licenziati dalla Coop Rear manifesteranno stasera davanti al Museo del Cinema di Torino. Il presidio è organizzato dall'Unione sindacale di base che ringrazia Ken
Loach perché con il suo gesto di rifiutare il premio conferitogli dal Torino Film Festival,
«ha contribuito in modo determinante a mettere in luce la realtà di sfruttamento e precarietà a cui sono sottoposti dei lavoratori che svolgono servizi appaltati da una istituzione pubblica, proprietà della città di Torino». Sulla vicenda si esprime anche la Filcams Cgil, che si dice «pienamente solidale con i soci-lavoratori della Rear del Museo
del Cinema». Auspicando che «cooperative come la Rear abbandonino strade sbagliate
come quella dell'utilizzo di contratti «pirata quale l'Unci». «Queste storture nell'uso di
contratti impropri per i lavoratori di servizi appaltati - aggiunge il sindacato - spesso
avvengono nel totale disinteresse della committenza, pubblica e privata». Al contrario,
secondo Filcams Cgil, «le committenze dovrebbero garantire sempre le clausole sociali,
come pure vigilare nel corso degli stessi rispetto all'applicazione dei contratti di settore». Intanto, il direttore del Tff, Gianni Amelio ha ribattuto al rifiuto del regista, definendolo: «un gesto narcisistico con una punta di megalomania. Se Ken Loach avesse voluto difendere la causa dei lavoratori non doveva restare a casa propria, ma venire qui a
Torino per difenderla». Anche per Ettore Scola: «La scelta dell'Aventino è sempre un po’
aristocratica e di solito non aiuta a risolvere i problemi».
LIRICA
FESTIVAL DI ROMA 2013
Il povero Rigoletto
voce senza carattere
Marco Muller:
«Stiamo lavorando,
dovevamo prendere
un po’ le misure»
MILANO
13.10 Prima tv JULIA Telefilm
14.00 TG REGIONE - TG3
Informazione
14.50 TGR LEONARDO Rubr
15.05 TGR PIAZZA AFFARI
Rubrica
15.10 LA CASA NELLA
PRATERIA Telefilm
15.50 COSE DELL’ALTRO
GEO Documentario
17.40 GEO & GEO Doc
METEO 3 Informazione
(all’interno)
19.00 TG3 - TG REGIONE
Informazione
20.00 BLOB Varietà
20.10 COMICHE ALL’ITALIANA Documenti
20.35 UN POSTO AL SOLE
Soap
AMORE CRIMINALE Attualità
23.10 CORREVA L’ANNO
Documentario
0.00 TG3 LINEA NOTTE
Attualità
A
ncora una volta il Teatro alla Scala si affida a Giuseppe Verdi, in
prossimità del bicentenario della sua nascita. Ancora una volta
si affida alla parabola senza tempo del potere e delle sue degenerazioni inscenata nella sua quindicesima opera, Rigoletto (1851). In
uno stato corrotto, invece che occuparsi di politica, uno stuolo di cortigiani prezzolati trascorre festosamente il tempo assecondando i desideri e nascondendo le malefatte di un egotico imperatore in sedicesimo che soffre di un incurabile priapismo: passa di donna in donna,
tutte per lui pari d’importanza, con una rapidità crassa che lo fa apparire come una parodia del tragico Don Giovanni e con un’insolenza
che gli fa sprezzare come un morbo crudele la costanza (di sentimento e d’opinione) e il pubblico giudizio. Lo affianca un deforme e istrionico lacchè, che lo magnifica con retorica beffarda, fino a diventare
vittima egli stesso della volubilità senza freni del signore.
Le censure dei diversi stati dell’epoca, miopi come solo la censura
di regime sa essere, temerono che gli spettatori potessero essere turbati dall’immoralità del duca di Mantova e dalla gibbosità di Rigoletto, non
rendendosi conto del messaggio
eversivo che l’opera formulava nonostante l’epilogo tragico: lo smidollato
baciapile, forte coi deboli e debole
coi forti, quando il potere tocca i
suoi affetti (il duca gli deflora la figlia), raddrizza la schiena nel tentativo di consegnare alla propria famiglia un futuro di dignità. Il Teatro alla
Scala resuscita per l’ennesima volta
una produzione del 1996 già più volte ripresa, firmata da Ezio Frigerio
(scene), Franca Squarciapino (costumi) e Gilbert Deflo (regia).
Tutto ciò che in questo allestimento ha a che fare con la vista tende
a neutralizzare ogni effetto di sorpresa, non solo per il suo inevitabile
carattere di dejà vu, ma per il suo chiaro obiettivo di consegnare l’opera a un’illusione di sacralità, o meglio di quella che Frigerio chiamava
«scaligerità», che è la quintessenza del teatro operistico tradizionale:
dallo stravisto vezzo metateatrale dell’inizio, quando si alza il sipario
su un altro sipario a incorniciare la sala delle feste del palazzo ducale,
alla stereotipia dei gesti dei cantanti, che spesso, e in punti chiave della vicenda, escono senza rendersene conto dai personaggi. Ciò che ha
a che fare con l’udito sorprende invece per l’appassionato e poco filologico lavoro sul colore orchestrale fatto dal direttore Gustavo Dudamel e per l’imprecisione e/o la sfocatezza delle voci.
Insomma, siamo molto lontani dal volere di Verdi, che a proposito
di Rigoletto scrisse: «le mie note, belle o brutte che siano, non le scrivo
mai a caso e procuro sempre di darvi un carattere». Un carattere, appunto: il grande latitante di questo allestimento, che sembra affidato
alla tempra e alla volontà estemporanea dei singoli esecutori.
Rai3
21.05
«Dovevamo un pò prendere le misure
non solo del Festival ma del rapporto
del Festival col territorio. E d'altronde
senza fare una prima edizione sarebbe impossibile anche parlare di correttivi. Ma sapete tutti che già da lunedì
siamo al lavoro sulla prossima edizione». Marco Muller è intervenuto ieri
nel corso di una sorta di «processo
pubblico» organizzato dal sindacato
nazionale dei giornalisti e critici cinematografici alla Casa del cinema all'edizione 2012 del Festival di Roma,
la prima con la sua direzione artistica.
Ad accompagnarlo seduti in platea il
presidente Paolo Ferrari e il direttore
generale Lamberto Mancini. Muller
insiste sui tempi stretti di questa prima edizione: «abbiamo iniziato a lavorare di fatto nei mesi estivi e per avere le prime mondiali abbiamo selezionato molti film aspettando che i registi finissero di montarli». L'altra convinzione del direttore artistico, che ha
un contratto triennale, è che il Festival
«non debba durare solo i giorni della
kermesse vera e propria a novembre
ma debba avere delle attività permanenti spalmate durante tutto il corso
dell'anno.Ma per fare questo bisogna
anche parlare di un budget adeguato». Resta però fermo sulla massima
eterogeneità delle scelte: «Deve restare una rassegna schizofrenica a metà
tra la festa e il festival, tra l'evento da
tappeto rosso e le proposte autoriali».
Fabio Vittorini
Rete4
9.50 CARABINIERI 7 Tf
10.50 RICETTE DI FAMIGLIA
Varietà
11.30 TG4 Informazione
12.00 UN DETECTIVE IN
CORSIA Telefilm
12.55 LA SIGNORA IN
GIALLO Telefilm
14.00 TG4 Informazione
14.45 LO SPORTELLO DI
FORUM Real Tv
15.35 AIRPORT FILM
con Dean Martin,
Jacqueline Bisset
18.55 TG4 Informazione
19.35 TEMPESTA
D’AMORE Soap
20.30 WALKER TEXAS
RANGER Telefilm
21.10
QUARTO GRADO
Attualità (Diretta)
23.55 NET 2.0 Film
con Nikki Deloach,
Cengiz Bozkurt
1.45 TG4 NIGHT NEWS
Informazione
Canale5
8.50 MATTINO CINQUE
Attualità
11.00 FORUM Real Tv
13.00 TG5 Informazione
13.40 BEAUTIFUL Soap
14.10 CENTOVETRINE Soap
14.45 UOMINI E DONNE
Talk show
16.20 POMERIGGIO CINQUE
Attualità
18.50 AVANTI UN ALTRO
Gioco
20.00 TG5 Informazione
20.40 STRISCIA LA NOTIZIA LA VOCE
DELL’INSOLVENZA
Attualità
21.10
Prima tv
I CESARONI 5 Telefilm
23.40 SUPERCINEMA
Rubrica
0.05 TG5 NOTTE Info
0.35 STRISCIA
LA NOTIZIA - LA VOCE
DELL’INSOLVENZA
Attualità (Replica)
Italia1
8.45 E.R. Telefilm
10.30 GREY’S ANATOMY Tf
12.10 COTTO E MANGIATO
Rubrica
12.25 STUDIO APERTO Info
13.00 SPORT MEDIASET
Notiziario sportivo
13.40 Cartoni
15.00 Prima tv Mediaset
FRINGE Telefilm
16.00 Prima tv Mediaset
SMALLVILLE Telefilm
16.50 Prima tv NATIONAL
MUSEUM Telefilm
17.45 TRASFORMAT Gioco
18.30 STUDIO APERTO Info
19.20 C.S.I. Telefilm
21.10
Prima tv
C.S.I. MIAMI Telefilm
22.00 Prima tv
C.S.I. NY Telefilm
22.55 Prima tv Mediaset
PERSON OF INTEREST
Telefilm
23.55 L’ITALIA CHE
FUNZIONA Rubrica
FIRENZE
ECCO BOLLYWOOD
IN RIVA ALL’ARNO
Si svolgerà dal 7 al 13 dicembre al
cinema Odeon di Firenze la XII edizione di River to River - Florence Indian
Film Festival, l'unico festival in Italia
totalmente dedicato al Cinema indiano. È previsto un omaggio alla super
star di Bollywood, l'attore Amitabh
Bachchan, ospite per la prima volta in
un festival in Italia, sarà a Firenze per
presentare alcuni suoi film. Il 13 dicembre Imtiaz Ali, regista della commedia di Bollywood, presenterà il suo
ultimo film, «Rockstar», girato in parte
a Verona.
La7
12.20 TI CI PORTO IO...
IN CUCINA CON
VISSANI Rubrica
12.30 I MENÙ DI BENEDETTA Rubrica (R)
13.30 TG LA7 Informazione
14.05 CRISTINA PARODI
LIVE Rubrica
16.30 IL COMMISSARIO
CORDIER Telefilm
18.20 I MENÙ DI BENEDETTA Rubrica
19.15 G’ DAY Varietà
20.00 TG LA7 Informazione
20.30 OTTO E MEZZO
Attualità
21.10
CROZZA
NEL PAESE DELLE
MERAVIGLIE
Varietà (Diretta)
22.20 ITALIALAND
REMIXATA! Varietà
22.55 ZORO 2011. FINALE
DI PARTITA Film
0.25 OMNIBUS NOTTE
Attualità
Rainews
18.30 TRANSATLANTICO
Attualità
19.00 NEWS Notiziario
19.25 SERA SPORT
Notiziario sportivo
19.30 IL CAFFÉ: IL PUNTO
Attualità
20.00 IL PUNTO
ALLE 20.00 Attualità
METEO Previsioni
del tempo
(all’interno)
20.58 METEO Previsioni del
tempo
21.00
NEWS LUNGHE
Notiziario
21.26 METEO Previsioni del
tempo
21.30 VISIONI DI FUTURO
Attualità
21.56 METEO Previsioni del
tempo
22.00 VISIONI DI FUTURO
Attualità
22.26 METEO Previsioni
del tempo
pagina 14
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
❚
terraterra
Luca Manes
Quella diga costa troppo
L
a grandeur idroelettrica dell’Etiopia
non si arresta davanti a nulla, nemmeno alla paventata mancanza di fondi. O
almeno così promette il ministro dell’energia
del paese africano, Alemayehu Tegenu, il quale negli ultimi giorni ha smentito l’esistenza
di problemi di natura finanziaria per la realizzazione della prima tornata di mega-dighe
(tre in totale) voluta con forza dal defunto primo ministro Meles Zenawi, tra cui spicca la
Grand Renaissance Dam sul fiume Nilo.
Si tratta di un’opera gigantesca che sta sorgendo nella regione occidentale di Benishangul-Gumuz, capace di generare 6mila megawatt di energia e che una volta ultimata diverrà la diga più grande di tutta l’Africa.
Ma è anche un’opera che costa molto, forse troppo per le esangui casse dell’Etiopia,
una delle realtà più povere dell’intero continente africano: ben 4,1 miliardi di dollari. Per
fare un utile raffronto basta considerare che il
pil etiope nel 2011 si è attestato intorno ai 30
miliardi, con un reddito pro-capite di circa
400 dollari l’anno. Per il momento lo stesso
esecutivo di Addis Abeba ha ammesso di aver
trovato poco meno di 300 milioni di dollari, il
grosso raccolto tramite obbligazioni governative. Dietro l’angolo c’è il possibile coinvolgimento cinese e una sorta di «contributo obbligatorio» da parte dell’intera cittadinanza.
Ma la cifra totale prevista per il completamento dell’ambizioso piano di costruzione,
da attuarsi entro il 2035, è addirittura di 12 miliardi di dollari, con l’obiettivo di produrre circa 40mila megawatt di elettricità. Energia che
in buona parte sarà destinata all’esportazione
e i cui proventi ci si augura in maniera forse
fin troppo ottimistica possano assestare il traballante bilancio etiope.
Al momento la Grand Renaissance Dam, la
cui realizzazione fa capo all’impresa italiana
Salini, è nella fase iniziale dei lavori. Lo stesso
ministro Tegenu ha comunicato che è completa solo per il 13 per cento, ma si è detto sicuro che sarà perfettamente funzionante entro il 2015.
In realtà i punti controversi legati al progetto non sono solo di natura finanziaria. Entro
maggio dell’anno prossimo una commissione indipendente dovrà stabilire se il megasbarramento ridurrà in maniera sensibile i
flussi del Nilo diretti verso l’Egitto, le cui autorità sono giustamente preoccupate che il progetto possa comportare un danno agli equilibri idrogeologici del paese.
I pesanti impatti ambientali a valle non sono «prerogativa» solo della Grand Renaissance Dam. In Etiopia dovrebbe diventare operativa entro la fine del 2013 un’altra diga molto
controversa, che ha preceduto i nuovi piani
di gigantismo idroelettrico di Zenawi: la Gilgel Gibe III. La muraglia sul fiume Omo, la cui
costruzione è affidata anche in questo caso alla Salini, sarà alta 240 metri e causerà l’allagamento di un’area di oltre 150 chilometri quadrati. Tale enorme bacino artificiale comporterà conseguenze disastrose per l’ecosistema
della valle dell’Omo e del lago Turkana, in
Kenya, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di non meno di mezzo milione di
persone.
E del fatto che il progetto non tenesse troppo in considerazione l’ambiente e le popolazioni locali è sembrato dare conferma il ritiro
di importanti finanziatori come World Bank,
la Banca europea per gli investimenti e la cooperazione italiana, che pure avevano erogato
fondi per Gilgel Gibe II.
Le istituzioni finanziarie internazionali, in
primis la Banca mondiale, da sempre grande
sostenitrice del comparto idroelettrico, per il
momento non appaiono intenzionate a un
coinvolgimento nel progetto Grand Renaissance Dam. Forse perché stanno già adocchiando un’opera ancora più mastodontica,
la diga di Grand Inga sul fiume Congo. Costo
stimato oltre 50 miliardi di dollari.
il manifesto
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chiuso in redazione ore 21.30
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CAMPANIA
Venerdì 23 novembre, ore 18
LAVORO E POLITICA Per la serie di incontri «I venerdì della politica - Che cos'è il
lavoro», Stefano Rodotà terrà una lezione
sul tema: «Lavoro e dignità». Introduce Ciro
Tarantino.
■ Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14, Napoli
EMILIA ROMAGNA
Domenica 25 novembre
ACQUA BENE COMUNE Il Comitato
provinciale acqua bene comune - Reggio
Emilia & Comitato lottoperildiciotto novellarese organizzano «A tavola coi beni comuni
(lavoro - scuola - acqua)».
■ Circolo ricreativo aperto novellarese, via Vittorio Veneto, 30 Novellara
(Re)
FRIULI VENEZIA GIULIA
Venerdì 23 novembre, ore 18
LE DESTRE D’EUROPA Presentazione
del numero di «Guerre&Pace» dedicato alle
estreme destre d'Europa. Con Claudia Cernigoj (storica) e Gianluca Paciucci (redattore
di Guerre&Pace, curatore del numero)
■ Casa del Popolo, via Ponziana,
14, Trieste
le lettere
COMMUNITY
alla sua rete di alleanze. Purtroppo, essendo di sinistra, questa
compagine viene totalmente ignorata dal Partito Americano, dalla
totalità delle cancellerie occidentali e dai nostri Tg. In ogni modo,
grazie ad un ottimo lavoro di mediazione, il Forum ha potuto partorire un bel documento sulla Siria
che condanna la lotta armata e
chiede di rinforzare la società civile
siriana, desiderosa della riconciliazione. Poi in una successiva Assemblea, sempre tra pacifisti, il
Forum ha condannato recisamente
l'occupazione israeliana della Palestina a suon di bombe. Stranamente, però, i pacifisti del Forum non
hanno trovato il tempo per condannare anche la guerra che l'Europa
e gli Usa infliggono al popolo afgano da oltre dieci anni. Ma forse
non è così strano: i nostri tg fanno
vedere di continuo le immagini dei
morti attribuiti ad Assad, per battere i tamburi di guerra, e mai e poi
mai una sola immagine degli afghani uccisi dai militari europei
(più di 2000 per mano italiana).
Perciò, per il pacifismo del telecomando, quella guerra non esiste.
Patrick Boylan, statunitensi per la
pace e la giustizia, Roma
Hai più di 65 anni?
Niente farmaco anticancro
LAZIO
Venerdì 23 novembre, ore 18.30
CAMPI ROM Incontro-dibattito sulla questione dei campi Rom e presentazione del
libro: «Sulla pelle dei Rom - Il piano nomadi della giunta Alemanno», con Carlo Stasolla (autore del libro), Antonio Ardolino (coautore del rapporto), rappresentanti ed operatori del campo nomadi. Visione del report:
«Diritti rubati - Il campo nomadi di via della Cesarina», rapporto sulle condizioni di
vita dei minori Rom e delle loro famiglie
nel «villaggio attrezzato» di via della Cesarina. Organizza la rete antirazzista del IV
municipio
■ Centro cultura popolare Tufello,
via Capraia, 81, Roma
Venerdì 23 novembre, ore 18
CHE BRUTTO RACCORDO Incontro-dibattito pubblico su: «Le conseguenze devastanti del progetto del grande raccordo
anulare bis: centinaia di ettari di terreni
agricoli distrutti etc. etc ». A cura di Enrico
Del Vescovo.
■ Sala degli Specchi, palazzo del
Comune, piazza Marconi, Frascati
PIEMONTE
Sabato 24 novembre, ore 17
NO TAV Una giornata promossa dal comitato NoTav di Ciriè-Valli di Lanzo e dal Comitato pace di Robassomero che si aprirà
con una mostra fotografica. A seguire gli
interventi di Aldo Chiariglione, Ilio Amisano
e Luca Rastello che presenterà, insieme
con Andrea Debenedetti, l'inchiesta da lui
condotta sul corridoio n˚ 5.
■ Centro Socio Culturale, Corso Nazioni Unite 34, Ciriè (To)
TOSCANA
Venerdì 23 novembre, ore 23
MUSICA INDIPENDENTE 2Show presenta la quarta ed ultima serata della rassegna di musica indipendente «Fisheye gigs».
Sul palco salirà Nicolo Carnesi, giovane
cantautore palermitano che con il suo disco «Gli eroi non escono il sabato» ha confermato di essere una stella nascente del
panorama pop indipendente. Ingresso 8
euro.
■ Auditorium Le Fornaci, Terranuova
Bracciolini (Ar)
Tutte le segnalazioni vanno inviate a:
[email protected]
–
Il suolo ha perso il suo manto e i re
guaritori sono tornati ad Avalon da
tempo. Diecimila anni fa in alcune
regioni del mondo cominciò un’era
nuova per l’umanità, non più nomadi
cacciatori ma agricoltori stanziali.
Una lenta transizione avvolta nel mito
dell’antenato maestro, storicamente
agita dalle donne raccoglitrici. Domesticate alcune specie selvatiche, create varietà. Un lavoro d’ingegno che ha
prodotto un patrimonio agroalimentare ricchissimo. Dalle innumerevoli varietà di patate andine alla frutta degli
orti medicei rinascimentali dipinta da
Bartolomeo Bimbi. Dalla fine del Settecento le tecniche cambiano. Riscoperta di saperi dimenticati, nuovi attrezzi e il guano del Perù (una scoperta di Alexander von Humboldt) poi la
Rivoluzione industriale in ascesa infor-
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Il re è nudo,
non copriamolo
Le manifestazioni studentesche
della scorsa settimana, e anche
quelle a Susa contro i sondaggi
per il Tav, confermano alcune cose
che accadono da tempo.
La prima, preoccupante, è quella
che, salvo rare eccezioni, tutte le
manifestazioni che si oppongono
in modo netto all'operato del governo finiscono con manganellate,
lacrimogeni con gas CS, feriti e
fermati. Che si tratti di studenti o
pastori sardi, di operai o insegnanti o Valsusini, il risultato non cambia. Anche dove non vola un fumogeno, anche dove i manifestanti
sono a volto scoperto e mani alzate. Questo conferma che siamo a
pieno titolo in Europa, perché è
quanto sta accadendo anche in
Grecia, a Stoccarda, a Notre Dame
de Lande....
La seconda, ancora più preoccupante, è che questi comportamenti
non sono attribuibili a singoli agenti esagitati o a qualche reparto particolare. Certo, alcune differenze si
notano, ma che ci sia una regia e
ordini precisi è evidente.
La terza, inquietante, è che tutto
avviene nel silenzio, nell'arrendevolezza, o nell'aperta condivisione
dell'operato delle forze dell'ordine
da parte di quasi tutte le forze politiche.
La scorsa settimana, però, è accaduto un fatto nuovo. Grazie a molti
filmati inequivocabili delle manifestazioni studentesche, e grazie alla
popolazione di San Giuliano di Susa che si è ribellata alla tempesta
di lacrimogeni sulle loro case e sui
loro orti, è caduto il velo delle quotidiane menzogne, e le violenze
gratuite della polizia e la responsabilità politica di tali atti sono finalmente emerse (con la Cancellieri
che difende a spada tratta l'operato delle forze dell'ordine).
Il Re è improvvisamente nudo, e
mostra le sue vergogne al popolo.
E allora non copriamolo! Non forniamogli foglie di fico per mascherare la verità. Non forniamogli alibi
per dire che: «Certo, ci sono state
alcune reazioni eccessive da parte
della polizia, ma in risposta a violenze efferate dei manifestanti
ecc...», il ritornello che sanno a
memoria. Continuiamo a scendere
in piazza con ancora più determinazione e con la coscienza di difendere un diritto sancito dalla Costituzione. Non cediamo alla rabbia o
alla tentazione di reagire sullo stesso piano. La nostra forza è quella
dei movimenti popolari di massa,
che nessuna violenza di Stato può
piegare a lungo.
Se qui, come in Grecia, in Spagna,
o negli Stati Uniti, è questa la loro
medicina per guarire i conflitti sociali, ovvero manganelli, lacrimogeni e arresti, questo deve essere
sempre più chiaro agli occhi di tutti.
Enzo Vitulano, Rivoli
Come ti terrorizzo
il «corpo medio»
Ricordo che al G8 di Genova la
polizia lasciava tranquillamente
fare ai «black» che rompevano vetrine e devastavano negozi, ma
puntava manganelli e lacrimogeni
diritti contro i poveri boy-scout o la
Rete Lilliput (che bastava la parola
a denunciarne la pericolosità!).
Quello che interessava allora ed
oggi (il 14 novembre in piazza è
riuscito perfettamente) era terrorizzare il «corpo medio» dei manifestanti, possibilmente quelli alle
prime esperienze e persuaderli a
non ritornare più in piazza. Non
speravano certo di convincere di
ciò i militanti sperimentati o gli
appassionati di arti marziali che
consideravano i cortei, purché sufficientemente numerosi da dar loro
copertura, eccellente occasione di
esercizi ginnici. Minoranze a cui
era sufficiente togliere l'acqua attorno. Credo e spero che oggi sia
molto più difficile di un anno fa
l'operazione. Ma vorrei aggiungere
qualcosa ai ragazzi con i cappucci
neri: sono convinto che i più si ritengono guerriglieri di una nobile
causa, e a volte lo dimostrano con
grande coraggio, ma li vediamo
sempre tenere gli occhi bassi, non
parlare mai con nessuno ed essere così indistinguibili da quegli altri, a cui la felpa nera nasconde le
mostrine. Ci riflettano.
Giorgio Carlin, Torino
Pace in Siria
pace in Palestina
All'Assemblea sulla Siria al Social
Forum Europeo di Firenze del 10
novembre scorso, i cinque oratori
iniziali, nonché i siriani fatti venire
dagli organizzatori, hanno asserito
tutti quanti che l'unica strada per
arrivare alla democrazia in Siria è
la lotta armata, perciò ben vengano le armi fornite dagli Usa tramite
terzi. Ma così, hanno risposto in
molti dalla platea, saranno gli Usa
a dettare poi il futuro governo, proprio quel governo che indicherà il
Consorzio di miliziani siriani che la
Clinton ha riunito a Doha la settimana scorsa! Il Forum ci ha fatto
conoscere, dunque, l'esistenza in
Siria di un Partito Americano a tutti gli effetti, persino con portavoce
al Forum. Inoltre ha fatto conoscere, grazie ad un incontro in parallelo organizzato dal Campo Antimperialista, l'opposizione siriana nonviolenta, convinta di poter spodestare Assad senza le armi, grazie
AMBIENTE VIZIATO
Humus, semi e giardinieri
Giuseppina Ciuffreda
ma anche l’agricoltura. Franklin Hiram
King, professore di scienze naturali
negli Stati Uniti, decise di lasciare
l’università in polemica con il suo capo che non riteneva importanti le proprietà chimiche e fisiche del suolo per
la coltivazione. Viaggia in Asia per
capire la permanenza nel tempo di
tre grandi civiltà millenarie, Cina, Corea e Giappone. «Farmer of Forty Centuries», pubblicato nel 1911, conferma la sua ipotesi: il successo dipendeva dall’aver conservato la fertilità
del suolo. King influenzò sir Albert
Howard, botanico imperiale in India
❚
dal 1905. Nei 25 anni seguenti al
contrario degli altri funzionari inglesi
sicuri della bontà delle tecnologie
occidentali osservò ed apprese il modo di coltivare tradizionale indiano
che utilizzò poi nell’Istituto di ricerca
creato da Lord Curzon e come consigliere del raja di Indore, convinto che
se il suolo è in buona salute può difendersi dalle malattie con successo.
Per questo il ruolo dell’humus è centrale e per mantenerlo bisogna restituire al suolo i residui animali e vegetali, la «legge del ritorno» appresa dai
contadini. Il suo fertilizzante naturale,
il composto indore, verrà adottato in
Gran Bretagna negli anni Quaranta
dalla Soil Association per la coltivazione organica. Ma già i padri dell’agricoltura chimica, lo scienziato tedesco
Justus von Liebig e l’imprenditore inglese John Bennet Lawes, raccomandavano di non abbandonare l’uso del
letame e Darwin scrisse un piccolo
saggio sul ruolo benefico del lombrico. In soli 150 anni le tecnologie chimico-industriali, il commercio e la
ricerca totalizzante del profitto hanno
ridotto drasticamente il millenario
patrimonio agroalimentare, perso per
E' con stupore misto a raccapriccio
che ho letto nell'edizione veneta
del Corriere della Sera che la Regione Veneto nella persona del
Segretario Domenico Mantoan ha
deciso di limitare, per motivi di
costo, la prescrizione del farmaco
antitumorale «Abraxane» (specifico
per il cancro al seno) alle donne di
età inferiore ai 65 anni. Mi domando se questo signore si è reso conto della portata simbolica del suo
provvedimento. Limitare strumenti
di cura ad un'anziana per puri motivi economici è una decisione che
riporta la nostra società ai limiti
della barbarie; tipico infatti delle
società primitive era il disfarsi degli anziani quando si credeva che
questi non servissero più. Gli Esquimesi li abbandonavano nella neve
a morir di freddo, mentre, più pratici, gli indigeni della Terra del Fuoco (Fuegini) se li mangiavano negli
inverni di carestia. Ci arriveremo
anche noi? Al di là di tutto questo
mi auguro che l'articolo non passi
sotto silenzio e che le proteste non
si limitino a quelle della Federanziani, ma che qualche politico sia
sensibile ad una questione tanto
grave e faccia in modo che un decreto tanto vergognoso venga abrogato.
Mario Mavolo
LUTTO
E' morto Stefano Musacchio. Un
grande compagno. Per tutta la vita
ha lottato per i diritti e la dignità
dei lavoratori alla Fiat di Termoli, e
non solo. Prima come segretario
della Fiom e come militante del
Pci, poi -dal 1994- come fondatore dello Slai Cobas. Licenziato vergognosamente dalla Fiat nel
2003(e poi riassunto dal tribunale) perché espose la bandiera della pace in fabbrica contro la guerra in Iraq, Stefano è stato ed è un
esempio per tutti coloro che non
intendono abbassare la testa davanti all'ingiustizia e alla tracotanza.
Ciao Stefano. Terremo alta la bandiera rossa e della pace.
I tuoi compagni
–
il 75%, ed eroso l’humus: materia
oscura, strato «incompreso» del suolo
che dona fertilità, residuo finale di un
intrico di foglie e carcasse di piccoli
animali, letame, rametti, aghi e microrganismi (William Bryant Logan, La
pelle del pianeta, 2012). Nel «Signore degli anelli» Galadriel, la regina
degli elfi, dona a Sam, hobbit giardiniere, un sacchettino di terriccio elfico con cui potrà risanare la Contea
devastata da Saruman, servitore dell’Oscuro Signore: foreste tagliate per
le fucine industriali, fumi inquinanti,
abitanti impauriti e depressi. Sam,
«l’eroe che riporta la vita dalla morte»
(Wu Ming 4, L’eroe imperfetto), farà
rifiorire la Terra-di-mezzo tanto amata
dai piccoli uomini che mangiano funghi, bevono birra e fumano erba-pipa
mentre raccontano storie.
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
pagina 15
COMMUNITY
Cosa si potrebbe fare
all’Ilva di Taranto
LOMBARDIA
CON DI STEFANO
PER AZZERARE
IL FORMIGONISMO
Luciano Muhlbauer
I
n Lombardia l’unica certezza è che Formigoni è finito, ma quanto al formigonismo, vabbè, è tutta un’altra storia. 17
anni sono infatti un tempo lunghissimo,
che non solo annebbia la mente degli uomini, ma soprattutto sedimenta un sistema di potere pervasivo e un intreccio di interessi e complicità allargato, dove pubblico e privato, lecito ed illecito si confondono strutturalmente. Forse a qualcuno questa premessa potrà sembrare superflua o
persino banale, ma sono ancora troppi
quelli che pensano che sia sufficiente togliere Formigoni per togliere anche il dolore. Le cose sono però più complicate.
Primo, il fatto che il regno di Formigoni
sia stato travolto dagli scandali, dal malaffare e persino dall’infiltrazione mafiosa, non
significa affatto che le destre lombarde siano sconfitte. Anzi, gli interessi da salvaguardare sono molti e in Lombardia, che non
va confusa con Milano. Ed è per questo
che i capi di Pdl e Lega tenteranno di tutto
per evitare di correre divisi.
Secondo, tutta la vicenda poco edificante delle primarie regionali in fondo altro
non è che la fotografia dello stato delle cose, cioè di un’opposizione, politica e sociale, che si è fatta cogliere impreparata di
fronte all’appuntamento più annunciato
dell’anno. Già, 17 anni sono un tempo lunghissimo anche per chi sta all’opposizione.
Terzo, se è vero com’è vero che Lega,
Pdl e dintorni costituiscono la continuità
con il formigonismo, non è assolutamente
sufficiente battere le destre nelle urne perché si produca automaticamente una discontinuità. In altre parole, il punto non è
semplicemente mandare a casa quanti
hanno malgovernato la Regione, bensì
rompere con il sistema che quel malgoverno l’ha generato, ripristinando dunque l’indipendenza dell’istituzione rispetto ai
gruppi politico-affaristici e la preminenza
dell’interesse pubblico su quello privato.
Quarto, le elezioni si vincono soltanto se
ci sono i voti, cioè le persone in carne ed ossa che decidono di scegliere una proposta
di cambiamento, piuttosto che optare per
l’astensione o il vaffa generalizzato, considerato che il M5S non sembra porsi il problema di un governo regionale alternativo
a quello delle destre.
Insomma, oggi in Lombardia non è soltanto necessario, ma anche possibile voltare pagina ed impedire un revival delle destre, a patto però di fare sul serio, di costruire una coalizione plurale, che includa le
aspirazioni e anche le incazzature di quanti e quante in questi anni hanno resistito,
lottato e praticato alternative. E che metta
al primo posto quello che per Formigoni e
la Lega arrivava sempre dopo, cioè il lavoro, inteso come occupazione e come persone dotate di dignità e diritti, i beni comuni,
la scuola pubblica, il diritto alla salute, lo
stop al consumo di suolo, la mobilità alternativa all’automobile, eccetera.
Tutto questo non c’è ancora, ovviamente, ma ci sono appunto le primarie lombarde, che si terranno il 15 dicembre e che servono non soltanto e tanto per scegliere un
uomo o una donna, ma soprattutto per costruire in forma pubblica, trasparente e
possibilmente partecipata il programma. E
c’è anche un candidato presidente, Andrea
Di Stefano, che rappresenta più che bene i
contenuti che abbiamo ricordato. Io ho deciso di sostenere Andrea Di Stefano e penso che la sua candidatura alle primarie sia
un’opportunità per tutta la sinistra lombarda, non solo politica, ma anche sociale e di
movimento.
Maschere
bianche
In scena la dignità
dei senza fissa dimora
SPAGNA
Volontari di locali
Organizzazioni non governative
e della Caritas, insieme a tanti
senza fissa dimora, si sono
dati appuntamento ieri
pomeriggio davanti al Teatro
Regio di Madrid. Protestano
affinché «la protezione sociale
sia un diritto, non un regalo».
(Reuters)
I
l caso Ilva è in genere presiano per forza inquinanti.
sentato dai media come
Sono già oggi disponibili tecla contrapposizione tra
nologie ormai mature, adottale ragioni dell’occupazione –
te da impianti concorrenti,
sono in ballo decine di migliache permettono di ridurre in
ia di posti di lavoro tra dipenmodo significativo i livelli di
denti diretti e indiretti - e
inquinamento.
quelle della tutela ambientaGli investimenti richiesti
le. Abbiamo così assistito allo
dall’adeguamento degli imspettacolo di alcuni sindacati
pianti di Taranto possono esche sono arrivati a scioperare
sere stimati, sia pure in macontro la magistratura e a
niera grossolana, intorno ai
continue manovre di distur3-3,5 miliardi di euro, distribo da parte dell’azienda e delbuiti nell’arco di alcuni anni.
lo stesso governo nei confronDi questi solo una parte è
ti dei magistrati. In realtà
esclusivamente di tipo amquello della Riva Fire-Ilva è
bientale, in quanto la quota
un caso abbastanza esemplapiù rilevante (come il rifacire dell’incapacità delle nostre
mento della cokeria e degli alclassi dirigenti, a livello ecotiforni) permetterebbe anche
nomico come a quello politidi migliorare la competitività
co, ad adattarsi a un mondo
complessiva dello stabilimenin profondo mutamento.
to, assicurandogli una proLa società Ilva fa parte del
spettiva di lungo periodo.
gruppo Riva Fire, di cui costiIl problema di Ilva non è
tuisce la principale realtà insolo impiantistico e ambiendustriale: il fatturato della sotale. L’analisi del posizionacietà di Taranto si aggira più
mento rivela un’azienda fragio meno sul 60% di quello tole sotto il profilo organizzatitale del gruppo. L’insieme è
vo e commerciale, se compacontrollato dal punto di vista
rata con i grandi gruppi conazionario dalla famiglia Riva
correnti. Mancano inoltre le
attraverso alcune finanziarie
risorse finanziarie. La capaciper lo più collocate in Lustà di copertura finanziaria insemburgo e in Olanda.
terna al gruppo di tali investiLa Riva Fire è tra le princimenti, in assenza di aumenti
pali realtà dell’acciaio eurodi capitale, può essere stimapeo, potendo essere collocata in effetti, sempre grossolaFOTO ANDREA SABBADINI
ta al terzo-quarto posto conamente, intorno a poco più
me dimensioni del fatturato
di 1 miliardo di euro nell’arRiccardo Colombo, Vincenzo Comito
tra le società del continente,
co di quattro anni. Questo
mentre essa è solo al ventitresenza tenere conto di possibiesimo posto nel settore a lili e plausibili ulteriori cattive
vello mondiale, rappresentando quindi, alla fiL’andamento economico della società reginotizie sul fronte della gestione economica,
ne, una realtà trascurabile in un mercato dostrava profitti importanti sino al 2007-2008,
sia in relazione alla crisi del settore che ai prominato dalla Cina, che produce attualmente
poi le cose peggiorano fortemente e dal 2009
blemi tecnici della ristrutturazione.
circa il 45% di tutto l’acciaio mondiale e cosi manifestano perdite più o meno rilevanti a
Sembra a questo punto evidente che, data
munque dai grandi gruppi asiatici.
livello della gestione, mentre anche le prospetla difficoltà di reperire risorse finanziarie adeIl fatturato del gruppo, che è crollato nel
tive per il 2013, per l’Ilva come per le altre realguate e l’apparente scarsa capacità di affronta2009 in seguito alla crisi, per poi riprendersi netà italiane, appaiono ancora negative.
re da soli un mercato sempre più competitivo,
gli anni successivi senza raggiungere peraltro
All’interno di tale quadro un’analisi della sosia necessario l’ingresso nel gruppo di nuovi
più i livelli precedenti, appare molto concenla Ilva mostra in genere risultati sia economici
azionisti, contemplando anche la possibilità
trato sull’Italia (più del 67% del totale) e inesiche finanziari della società peggiori di quelli
di utilizzare il Fondo Strategico della Cassa Destente al di fuori del continente europeo. Semmedi del gruppo.
positi e Prestiti.
pre in relazione alla crisi, gli investimenti del
Il recente documento del ministero dell’Amgruppo sono fortemente diminuiti negli ultimi
biente del 12 ottobre 2012, anche se non colliDietro
la
questione
anni. Lo stesso gruppo ha negli anni recenti suma perfettamente con la posizione della magibito diversi procedimenti giudiziari sia per
stratura, è una buona base di partenza per un
ambientale, quali sono
quanto riguarda la gestione della manodopera
piano di risanamento ambientale, ma è indile condizioni economiche
che i problemi ambientali.
spensabile che il governo non dia spazio a ulL’industria siderurgica mondiale si trova ogteriori slittamenti da parte dell’azienda, rigete finanziarie del gruppo Riva,
gi stretta tra l’eccesso di offerta, che compritando duramente anche eventuali ricatti di cache prospettive ha l’azienda?
me i prezzi di vendita, e l’estrema volatilità
rattere occupazionale. Ma senza un piano svidei prezzi delle materie prime. I grandi grupluppo più complessivo, che ridefinisca l’assetUn’anticipazione dello studio
pi, ma non la Riva Fire, hanno reagito a tale
to organizzativo e societario di Ilva Taranto codi Sbilanciamoci! per la Fiom
situazione avviando strategie di integrazione
sì come indichi le fonti di finanziamento per
verticale, di diversificazione geografica, di risostenere gli investimenti, è difficile pensare
duzione dei costi. La situazione del mercato
Il problema ambientale è di fondamentale
di uscire dall’attuale situazione. Al Gruppo Riè particolarmente critica in Europa, dove tutimportanza, ma occorre tener presente che
va Fire toccherebbe predisporre questo piano
ti i principali produttori tendono in questo
l’impianto richiederebbe un totale rinnovo, in
di sviluppo, ma, se non lo facesse, lo faccia
momento a mostrare perdite più o meno conquanto molte sue parti ( come la cokeria e due
senza indugio il governo, non delegando al Misistenti. L’industria italiana, di cui la Riva Fire
dei quattro alto forni) hanno superato da temnistero dell’Ambiente un ruolo che deve essecostituisce la principale realtà, appare partipo la vita tecnica utile. L’intervento della magire svolto in prima persona dal Presidente del
colarmente debole, tanto è vero che contistratura ha anticipato e concentrato un investiConsiglio e dal ministero dello Sviluppo econuano a crescere le importazioni e il gruppo
mento che andava comunque fatto se si volenomico. Non bisogna nascondersi dietro alle
in particolare sta perdendo quote di mercato,
va dare all’Ilva di Taranto una prospettiva di
questioni ambientali e non si può essere latimentre più in generale la sua situazione stramedio/lungo termine. Non è vero che si deve
tanti di fronte a questioni che riguardano il futegica, organizzativa, economica, finanziaria,
investire solo per l’ambiente, così come è falturo del settore siderurgico italiano e del terriappare molto fragile.
so il luogo comune che gli impianti siderurgici
torio tarantino.
–
PRODUTTIVITÀ
UN PASSO INDIETRO
CHE NON FERMA
IL DECLINO ITALIANO
Paolo Pini
L’
accordo sulla produttività voluto da governo e Confindustria, accettato da Cisl e Uil
e rifiutato dalla Cgil non fa crescere
l’efficienza, rende il contratto nazionale più debole, non fa chiarezza sulle rappresentanze sindacali. Il testo
proposto non è un passo avanti nelle
relazioni industriali, nella regolazione del legame tra retribuzione del lavoratore e risultati aziendali, e neppure contribuisce a fermare il declino della produttività italiana.
Le carenze nel meccanismo che lega la retribuzione a indicatori di risultati economici d’impresa, la focalizzazione su indicatori di output
produttivi del tutto tradizionali anziché su indicatori di input centrati
sullo sviluppo delle competenze dei
lavoratori, sulle innovazioni organizzative, sul design dei luoghi di lavoro, prefigura l’inefficacia del meccanismo premiante, e quindi uno strumento inadeguato per invertire il
trend negativo della produttività e
competitività delle imprese, con effetti nulli sulle retribuzioni dei lavoratori.
Al contempo si realizza una riduzione del ruolo del contratto nazionale a favore dei contratti collettivi
di secondo livello, di una riduzione
delle tutele e protezione del lavoro
in ragione anche della ridotta estensione della contrattazione decentrata a tutte le imprese, infine il rischio
che una quota della retribuzione certa fissata col contratto nazionale sia
trasformata in retribuzione incerta
perché variabile definita a livello decentrato, per cui quell’aumento delle retribuzioni reali auspicata da molti come utile misura per sostenere la
domanda interna risulterebbe solo
una illusione.
Infine, tutto ciò verrebbe realizzato senza porre in essere regole certe e
democratiche sulla misurazione del
peso relativo delle diverse rappresentanze sindacali, sulla esigibilità dei
contratti sottoscritti, sui diritti dei firmatari e dei non firmatari degli accordi a partecipare alla negoziazione a livello decentrato, estendendo il modello Pomigliano a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con prevedibili estensioni dei ricorsi in sede
giudiziale sull’insieme delle materie
regolate dalla contrattazione collettiva, oltre che sulle specifiche dei premi negoziati a livello d’impresa.
Tale accordo non propone quindi
soluzioni avanzate rispetto a quanto
vi era già di sbagliato nell’accordo
del 2009 (Accordo quadro sulla contrattazione del 22 gennaio 2009).
Semmai esso scriverà un ulteriore capitolo delle difficoltà che incontra la
sfera delle relazioni industriali nel
nostro paese, segnate da fattori sia
esogeni (la politica) che endogeni
(l’economia) che hanno minato la loro efficacia, riducendone lo spazio
di intervento e la credibilità. Una occasione persa, ancora una volta, per
indirizzare il nostro paese su un sentiero di crescita che distribuisca i
suoi benefici sia alle imprese che al
mondo del lavoro.
Un’analisi più ampia dell’accordo
sulla produttività è sul sito www.sbilanciamoci.info
–
DIVINO
«Matrimonio per tutti»
Filippo Gentiloni
Tutte le chiese - si potrebbe dire tutte le religioni - sono in crisi. Le difficoltà nascono dai cambiamenti sociali che stanno sconvolgendo tutti i
paesi. Più o meno tutte le crisi vertono sulle
problematiche relative al matrimonio e, in genere, ai rapporti sociali. Vale la pena di riflettere
in particolare sul protestantesimo, soprattutto
francese, che ha recentemente resa nota una
dichiarazione che tocca indirettamente anche il
mondo cattolico. La dichiarazione si intitola
«matrimonio per tutti» e quindi riconosce il matrimonio civile anche alle coppie dello stesso
sesso, riprendendo una discussione in corso al
parlamento. Ne riferiamo l’essenziale. Le chiese
protestanti non hanno mai considerato il matrimonio come un sacramento. La questione ha a
che vedere con il modo in cui una società perce-
pisce se stessa e con i simboli con cui essa
segna il campo della propria identità. Ora, qualunque interpretazione si faccia dei testi biblici,
si deve constatare che Gesù nei vangeli non
affronta questo tema. Il suo silenzio non significa certamente approvazione del «matrimonio
per tutti». Esso indica in ogni modo che le varie
questioni legate alla sessualità non erano per
lui più importanti di quelle legate, ad esempio,
al denaro o al potere. Non si tratta, dunque, né
per i protestanti né per altri, di fare del matrimonio delle persone dello stesso sesso il centro
del dibattito teologico. La questione è fondamentalmente sociale e collettiva più che teologica. Il dibattito fra omosessualità ed eterosessua-
lità non ha a che vedere con una profonda esigenza religiosa. In realtà, per le varie forme di
religione cristiana, il matrimonio non è tanto la
messa in scena di sentimenti, quanto una organizzazione sociale che, a seconda delle varie
forme culturali, mette «chiarezza dei fatti e gerarchia dei valori». Anche fra i protestanti italiani si è discusso sulla questione della benedizione delle coppie omosessuali. Nelle chiese protestanti di Portogallo, Spagna, Francia, Belgio e
Svizzera, la questione è arrivata ad una decisa
presa di distanza rispetto alla società civile e
allo Stato. L’argomento ha suscitato nelle chiese difficoltà, discussione e fatica per giungere a
una posizione condivisa. In Italia si è arrivati,
soltanto, all’auspicio che le comunità continuino a riflettere su questo difficile tema.
pagina 16
il manifesto
VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012
L’ULTIMA
storie
Anche qui, le ricadute ambientali ed economiche sarebbero dannosissime e strazianti.
Si arriva così ai confini del Parco archeologico dell’Appia antica, che è un meraviglioso
patrimonio bio-culturale, dove la storia e la
natura hanno depositato un paesaggio incantato: quel paesaggio che con i suoi acquedotti romani, le ville patrizie, i boschi e i pascoli ipnotizzò sentimentalmente Wolfgang
Goethe. La superficie del parco verrebbe tuttavia risparmiata grazie a un’interminabile
galleria che affiorerebbe solo dopo aver superato Ciampino e il suo aeroporto e il quartiere romano di Morena. Peccato che, appena
emersa, con uno spericolato svincolo, l’opera si ritroverebbe in un grumo urbano tra i
più densi e urbanisticamente compromessi,
Sandro Medici
L
a domanda è: meglio ridurre di qualche minuto la percorrenza di traffico
merci e viabilità automobilistica, oppure salvaguardare le riserve naturali, i pascoli, i reperti archeologici, i vigneti, insomma il paesaggio e l’agricoltura? Va da sé
che, dietro quest’interrogativo ce ne siano
altri, più strutturali, più strategici. La nostra
economia deve continuare a puntare sul
modello «pesante», incardinato nel circuito
produzione-distribuzione-consumo, oppure valorizzare uno sviluppo locale “leggero”, legato alle coltivazioni di pregio, all’ambiente, alla cultura? Gli investimenti pubblici vanno impiegati per realizzare grandi
opere che garantiscono grandi appalti per
grandi imprese, oppure è preferibile che salvaguardino il territorio, attraverso sostegni
all’agricoltura e finanziamento di progetti
culturali, oltreché programmi di risanamento ambientale e manutenzione del suolo?
Aspettate a rispondere. Proviamo a entrare nel merito raccontando una storia
che esemplifica con chiarezza i quesiti di
cui sopra.
Si tratta del raccordo autostradale che dovrebbe collegare l’A12 Roma-Fiumicino Civitavecchia (Genova) con l’A1 Milano-Napoli.
Una grande infrastruttura a otto corsie e a
pedaggio, decisa e confermata dai vari governi che si sono succeduti dal 2004 in poi, che
in sostanza raddoppierebbe il Grande raccordo anulare di Roma nel quadrante sudovest/sud-est, consentendo di far risparmiare una manciata di minuti (19 circa) ai mezzi
che transitano sul versante tirrenico del paese. L’opera è stata sostanzialmente progettata e attualmente viaggia sui tavoli di quella liturgia farraginosa e dispersiva che si chiama
conferenza dei servizi, dove tutti gli enti pubblici investiti dal processo attuativo hanno
l’obbligo di esprimersi. E in quest’ambito, a
parte qualche perplessità, l’unico parere contrario è stato quello della Provincia di Roma.
Ma il dissenso è molto più vasto e comincia a organizzarsi in comitati e associazioni
sempre più combattivi, che organizzano
riunioni, assemblee, manifestazioni di protesta. Ad affiancarli, i partiti della sinistra
(Verdi, Sel, Federazione della sinistra) e le
stesse centrali ambientaliste (Italia nostra,
Legambiente, ecc.). Un dissenso che co-
Una tangente
CONTRO ROMA
mincia a contagiare le stesse amministrazioni locali: ovviamente non il Comune di
Gianni Alemanno né la Regione dell’imbalsamata Renata Polverini, ma tutti i comuni
dei Castelli romani e i Municipi romani attraversati dal tracciato autostradale. Per
contrastare o anche semplicemente condizionare questa progettazione, è stato costituito qualche giorno fa un coordinamento
metropolitano che raccoglie gli enti locali
di Frascati, Grottaferrata, Marino, Montecompatri, Ciampino, Gallicano, Zagarolo e
Monte Porzio Catone, oltre ai quattro Municipi di bordo, VIII, X, XI, XII.
Quel che si sta profilando è insomma un
conflitto territoriale tra una pianificazione in-
frastrutturale definita strategica e gli interessi (e i bisogni) delle comunità locali. Percorriamo allora la traiettoria autostradale e vediamo più in dettaglio quali siano questi in-
PASCOLO
ROMANO, SOTTO
IL TRAFFICO SUL
GRA DI ROMA
Una mega-tangenziale da otto corsie e a pedaggio dovrebbe collegare l’A12
Roma-Fiumicino Civitavecchia (Genova) con l’A1 Milano-Napoli. Così, per
risparmiare pochi minuti, viene distrutto l’intero ecosistema dell’Agro romano
teressi (e bisogni) locali.
Uscendo dalla A12 ci si ritrova subito in
un’area delicatissima, quella della Riserva
del litorale romano, che è un esile consolidato appena al di sopra (circa due metri)
dal livello del mare; fino a qualche decennio lì fa il Tevere scorreva lungo un’ampia
ansa, che si decise di ricoprire con enormi
quantità di terra di riporto. Attualmente vi
operano tre aziende che allevano una pecora assai pregiata, oltreché protetta, la sopravvissana: un animale prezioso perché
dal suo latte si ricavano due prodotti tipici,
la ricotta e il pecorino romano, entrambi
garantiti da una Dop. La nuova autostrada
dovrebbe dunque «galleggiare» su una terra spugnosa e spezzare irrimediabilmente
un ciclo produttivo d’eccellenza.
Andiamo avanti. Il transito prosegue e incontra la Riserva di Decima Malafede, che è
un territorio sostanzialmente incontaminato, un pezzo di agro romano ancora integro.
tra le vie Tuscolana e Anagnina. Come sia
possibile districarsi in quel fritto misto urbano, tra borgate ex abusive, piani di zona e capannoni industriali, è davvero un mistero.
Da qui in poi, il progetto prevede una lenta salita a mezza costa sui Colli Albani, transitando per i territori dei diversi comuni che si
affacciano sulla capitale, e così squarciando
grossolanamente il millenario profilo dei Castelli romani, un paesaggio universalmente
consolidato nel nostro immaginario, generazione dopo generazione. Ma il peggio è che
nel suo incedere sempre più invasivo, l’autostrada calpesterà e contaminerà i filari della
malvasia puntinata, la preziosissima uva che
da millenni ci regala uno dei vini più buoni
d’Italia: il Frascati, prossimo a ricevere, primo bianco italiano, la Docg. Per la produzione vinicola, una vera e propria catastrofe.
Per concludere, torniamo alla domanda
iniziale. È più importante salvaguardare la
pecora sopravvissana e il suo pecorino, la
malvasia puntinata e il Frascati, l’agro romano e gli antichi acquedotti, i parchi archeologici e le riserve naturali, oppure continuare a consumare la nostra vita tra asfalti, cementi ed emissioni inquinanti, alimentando desideri su merci sempre meno desiderabili e in fondo non più necessarie?
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