“Nata a Parigi travagliata nell`epopea della nosrta generazione
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“Nata a Parigi travagliata nell`epopea della nosrta generazione
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA POTENZA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN LETTERE INDIRIZZO MODERNO Tesi di laurea in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea AMELIA ROSSELLI E ROCCO SCOTELLARO Relatore: Prof. Anna Maria Andreoli Candidata: Maria Teresa Langerano Matr. 9492 ANNO ACCADEMICO 2000/2001 Maria Teresa Langerano AMELIA ROSSELLI E ROCCO SCOTELLARO 1 Introduzione Lo spettacolo teatrale “Contadini del sud”, che in molta parte tratta del rapporto tra Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro, ha suscitato in me curiosità e interesse tali da spingermi a sviluppare la ricerca riferita a questo aspetto della vita dei due poeti. Nel lavoro teatrale Letizia Gorga veste i panni di Amelia Rosselli e Ulderico Pesce quelli di Rocco Scotellaro. Lei è diafana, eterea, cammina come distaccata dal suolo, quasi volando. Lui è più greve, come attaccato alla terra. Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro nella diversità delle loro esperienze culturali ed esistenziali si sono incontrati e si sono scambiati sentimenti autentici e profondi. La vita di Rocco Scotellaro, pur se breve (muore a soli trent’anni), è ricca di eventi, di impegni, incontri e amicizie. Ha numerose frequentazioni e intrattiene rapporti d’amicizia con persone di provenienza sociale e di cultura alquanto diversa dalla sua. L’impegno politico e sociale, come gli amori e gli affetti, gli offrono materia d’ispirazione e diventano poesia. Quando incontra Amelia Rosselli, nel 1950, è uscito da poco tempo dal carcere e sta vivendo un periodo di disillusione. Amelia è la figlia di Marion Cave e Carlo Rosselli, il fondatore del movimento politico “Giustizia e libertà”. Insieme alla famiglia, nel 1946, torna in Italia dopo un esilio involontario. Vive per un periodo a Firenze, vicino alla nonna Amelia Pincherle. Nel 1949, dopo la morte della madre Marion Cave, si trasferisce a Roma. Il peregrinare per il mondo le ha fornito una cultura cosmopolita e un modo di sentirsi interiormente apolide. Nel primo capitolo di questo mio lavoro tratto della vita e della poesia di Amelia Rosselli, rilevando, per quanto possibile, l’identificazione tra la sua vita e la sua arte. Gli elementi fondamentali della sua poesia emergono dai sui interessi musicali, sociologico-politici e psicologici. Pensa e scrive in tre lingue, attingendo a diversi registri linguistici. È alla ricerca delle forme universali e dell’esperienza sonora, logica e associativa comune a tutti gli uomini e trasferibile in tutte le lingue: ricerca il linguaggio universale. Amelia Rosselli, prima di essere poetessa è musicista; l’interesse musicale suscita in lei quello poetico, per cui traspone in poesia le strutture della musica. La musica non è linguaggio universale? È interessata allo sperimentare in lingua e vuole appropriarsi di una scrittura alternativa. Nella sua arte è forte il desiderio d’innovazione, ma ugualmente è presente la necessità di sentirsi ancorata alla tradizione. Legge autori classici e moderni, inglesi e americani, francesi e italiani. C’è in lei uno scollamento tra vita vissuta e vita sognata, quest’ultima universo di parole e di suoni. 2 Il nutrimento della sua anima è la musica, la poesia. Quando questo viene meno i tormenti, che l’accompagnano per tutta la vita, la sconfiggono. La sua esistenza si conclude con l’atto pensato, meditato, quasi goduto del suicidio. Nel secondo capitolo ripercorro la vita di Rocco Scotellaro. Scotellaro nasce da una famiglia di piccoli artigiani e, per studiare, trascorre lunghi periodi in diverse località: Sicignano degli Alburni, Cava dei Tirreni, Matera, Potenza, Trento, Roma. Nel 1942 s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza degli Studi di Roma. La morte del padre, il 14 maggio 1942, e la guerra determinano il suo ritorno a Tricarico e il cambio di Università, prima a Napoli, poi a Bari. Scotellaro anche a causa di tutte le traversie della vita non consegue la laurea. Impegnato in campo politico e sociale, nell’ottobre del 1946, a soli ventitré anni, è il sindaco più giovane d’Italia. Il suo operato di onesto ed irreprensibile amministratore non si conclude positivamente, infatti, è arrestato l’8 febbraio 1950 con l’accusa infondata di concussione e peculato. Condotto nelle Carceri giudiziarie di Matera è scarcerato, il 25 marzo, dopo l’assoluzione della Corte d’Appello di Potenza con formula piena. La triste esperienza del carcere fa maturare in lui la volontà di emigrare; deluso e disilluso vuole cambiare vita, è alla ricerca di una funzione che gli sia positivamente riconosciuta entro la società in cui vive. Il terzo capitolo riguarda l’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli, durante il convegno su “La resistenza e la cultura italiana” tenutosi a Venezia il 2224 aprile 1950. Scotellaro è affascinato dalla Rosselli; in lei vede rivivere gli ideali del padre Carlo. Amelia ha una cultura aperta, straniera; più giovane di sette anni, consiglia a Rocco i libri da leggere, di scrivere e di lasciare il lavoro presso l’Osservatorio di economia e politica agraria di Portici. Il poeta lucano le confida le insoddisfazioni per la gestazione del suo romanzo “L’uva puttanella”, le disillusioni, la sua volontà di lasciare l’Italia. All’interno del terzo capitolo analizzo i “Taccuini” di Scotellaro, che forniscono degli stimoli per approfondire temi importanti, come il rapporto dei due poeti con i genitori, con la politica, con i familiari defunti. Ci sono le lettere1, scritte in minuta, una di Amelia e due di Rocco. Lo “Scambio” o “Gioco”2 poetico intercorso tra i due poeti è composto da una poesia di Amelia dedicata a Rocco, e da due di Rocco dedicate ad Amelia. Rocco le si rivolge, chiamandola sempre con il nome materno; Amelia nella lettera e nella poesia dedicata a Rocco, si firma con il nome della madre: Marion. Nel quarto capitolo analizzo l’opera poetica di Amelia Rosselli, in cui è presente la figura di Rocco Scotellaro. 1 2 Ivi,p. 262-264 Ivi, p. 261-262 3 La morte del caro amico offre alla giovane donna una strana ispirazione, fino a quel momento ha scritto soltanto in inglese, ora comincia a scrivere in italiano. Compone Cantilena3, ventisette poesie per Rocco Scotellaro: un vero lamento funebre. In Sanatorio4 (1954) la morte si configura come una donna. Lei è disperata, ironicamente afferma che le occorre un marito, per guarire dalla sua malattia. In Diario Ottuso5 del 1968, cerca di far chiarezza su un periodo molto delicato della sua vita e cerca di guardare dal di fuori se stessa. Nei capitoli III e IV descrivo l’incontro con Rocco Scotellaro. Amelia vede dal di fuori “lei e lui come due passerotti”. Vi affiora un sentimento non vissuto a pieno “L’ uno non fu mai uomo pienamente e l’altra rifiutò d’esser donna. L’uno morì, l’altra se ne pentì.”6 Amelia può essere sorella, figlia e madre di tale uomo. Pur essendo i tormenti di Amelia Rosselli dilatati, estremi, come donna mi sento a lei molto vicina: il suo dolore, la sua ricerca d’amore mai completamente appagata, suscita in me curiosità, compassione e tenerezza. La sua sofferenza personale affonda le radici nel dramma storico-politico del fascismo e della guerra. Non crede nell’esistenza della libertà, perché vive in uno stato di necessità. Come compaesana di Rocco Scotellaro sono molto interessata alla sua poesia e al suo operato politico e sociale. Scotellaro realizza alti esempi di democrazia partecipativa: organizza i consigli di borgo, dialoga con i contadini e gli artigiani per conoscerne le esigenze. La sua è una personalità complessa, e le semplicistiche definizioni non sono utili per la comprensione dei fatti; si fa interprete del mondo contadino, ma anela ad una cultura non provinciale. La sua poesia e il suo operato vanno al di là dei confini locali. È sintomatica la sua capacità tutta poetica di tradurre momenti di vita quotidiana in poesia, vivendo una tensione tra l’attaccamento alla realtà lucana e il desiderio di distaccarsene. Amelia Rosselli vive una tensione opposta a quella del suo tenero amico, tra la sua condizione di apolide e il desiderio di creare legami, di mettere radici. Oggi molte situazioni sono cambiate, non è più necessario prendere il “biglietto per Torino”, perché nella terra dei “padri saraceni” soffia il “vento della Fiat”. Nel tempo della globalizzazione dell’economia, dei conflitti globalizzati, ma anche del rilancio di una nuova globalizzazione equa e solidale e del sogno europeo che si sta realizzando, i problemi di cinquanta anni fa, come il lavoro e l’equità sociale, sono più che mai attuali. Rocco Scotellaro può fornirci un chiaro esempio di come la ricerca di identità si concilia con l’apertura verso la diversità. 3 Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, p. 13-19 Ivi, p.23-31 5 Amelia Rosselli, Diario ottuso, prefazione di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN Editore, 1990 6 Ivi, p. 35 4 4 Capitolo I La vita, la poesia di Amelia Rosselli Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti e dello Stato statale. Vissuta in Italia paese barbaro. Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati. Speranzosa nell’Ovest ove niente per ora cresce.7 (“V.B.Variazioni” vv.10-14) Amelia, la secondogenita di Carlo Rosselli e Marion Cave, nasce il 28 marzo del 1930 a Parigi. Nel 1937, anno in cui Carlo e Nello Rosselli sono assassinati, si trasferisce con il resto della famiglia in Svizzera, dove vive per un anno e mezzo. Dopo il soggiorno in Svizzera, la famiglia Rosselli si stabilisce per due anni in Inghilterra e, infine, per sei anni negli Stati Uniti d’America. Nello Stato di New York Amelia compie un’esperienza presso la comunità dei quaccheri americani: impara a raccogliere il fieno, a pulire i cavalli, a mungere le vacche, dipinge i grandi granai di legno. È per lei quasi un’oasi di tranquillità, che per poco tempo interrompe il suo peregrinare di esule. Nel giugno del 1946 la famiglia Rosselli ritorna in Italia. Amelia, per un certo periodo, vive a Firenze con la nonna Amelia Pincherle. Nell’autunno del 1949, dopo la morte della madre Marion Cave avvenuta a Londra, Amelia da Firenze parte per Roma. Dopo il trasferimento stabile a Roma, la poetessa fa solamente due tentativi di evasione dalla capitale: il primo nella seconda metà degli anni settanta, quando vende la sua casa romana per acquistarne una a Londra. Durante l’anno trascorso nella capitale londinese è delusa dall’indifferenza culturale che vi respira. Dopo il soggiorno a Londra torna a Roma e compra la sua ultima casa, la mansarda in via del Corallo, nei pressi di Piazza Navona. Il secondo episodio di evasione da Roma dura un solo mese: si reca a Mosca insieme al poeta Gino Scartaghiande durante il periodo gorbacioviano. Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza sono considerati fondamentali per la formazione della personalità di ogni individuo. Amelia durante il periodo infantile e nel primo adolescenziale vive un trauma molto forte: l’assassinio del padre e dello zio avvenuto il 9 giugno 1937 a Bagnoles-de-l’Orne a opera di sicari francesi appartenenti al gruppo terroristico di estrema destra “La Cagoule”, assoldati e istruiti dal servizio segreto italiano su ordine dei vertici del fascismo. La Rosselli vive un esilio involontario, che la porta da una parte all’altro del mondo, la mette in contatto con realtà, culture, concezioni morali, lingue differenti. Questi anni sono fondamentali nella formazione della sua personalità angosciata e sofferente, ma le forniscono anche molti stimoli che, dilatandosi, diventano la sua poesia: l’interesse musicale e una formazione culturale internazionale. 7 Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, 1998, p. 202 5 La condizione di esule struttura il suo modo di sentirsi interiormente apolide e cosmopolita. La condizione di apolide è essa stessa causa di angoscia, perché la poetessa vive uno sradicamento: quali sono le sue radici, la sua lingua, la sua cultura? E’ particolarmente difficile per chi ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza come quella di Amelia Rosselli rispondere a queste domande. Dal 1953 diventa romana e, secondo la testimonianza del cugino Aldo Rosselli, ama la città come pochi romani la amano. Bella la riflessione poetica su quella che fu “caput mundi” in “Prime Prose Italiane”: Roma città eterna che silenziosamente di notte ti bevi il tuo splendore hai tu nulla da predire. Ti sei fatta principessa e languisci. Nulla ti vieta. Arrotonda pure i tuoi seni bianchi e lustri. Le massaie si sono stancate di portarti le acque piovane. Tu hai succhiato latte di volpe hai rubato hai saccheggiato e ora siedi riposi assestata.8 Amelia Rosselli compie gli studi liceali e poi studi specialistici di musica e di composizione musicale; studia solfeggio e canto a scuola, in America. Fin da adolescente suona il violino, poi l’organo e infine il pianoforte. Gli studi di musica e di musicologia destano in lei l’interesse per le strutture della poesia. In “Spazi metrici” (1962) scrive: Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, e non ho in realtà mai scisso le due discipline considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche suono, e il periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema. Definire la sillaba come suono è però inesatto: non vi sono suoni nelle lingue:- la vocale o la consonante nelle classificazioni dell’acustica musicale si definiscano come rumore, e ciò è naturale, vista la complessità del nostro apparato fonetico-fisiologico, (…). Comunque nel parlare di vocali generalmente noi intendiamo suoni, o anche colori, visto che ad esse addebitiamo le qualità “timbriche”; e nel parlare di consonanti o di raggruppamenti di consonanti, intendiamo non soltanto il loro aspetto grafico ma anche movimenti muscolari e forme mentali (…).9 Prima di essere poetessa è musicista: il nesso musica-poesia è per lei inscindibile. Scrive ascoltando Bach, oppure prima suona Chopin, Bartòk o Webern e poi scrive; prima le sue dita si muovono sulla tastiera del piano e poi su quella della macchina da scrivere come su uno strumento gemello. Altri poeti sono anche musicisti: Montale, Joyce. Questo fatto non è eccezionale se si pensa alla lirica greca. In origine il vocabolo ‘lirica’ indicava la poesia con l’accompagnamento della lira. Lirici furono poeti come Alceo, Saffo, Alcmane, Simonide, Pindaro, le cui composizioni non erano recitate, ma cantate, associando le parole agli strumenti. Nella lirica greca esiste un rapporto diretto tra musica e poesia: la poesia è anche musica. 8 9 Ivi, p. 44 Ivi, p. 337 6 Alcuni cantautori di talento, come Fabrizio de Andrè e altri, associano alle composizioni musicali vere e proprie poesie. Amelia all’interno della sua poesia evidenzia due elementi: quello musicale e quello sociologico-politico, quest’ultimo mediato dalla lettura di autori come Carlo Levi e Rocco Scotellaro. A tale proposito fondamentale è “Contadini del sud”, che le fornisce un importante esempio di analisi sociologica. Per Amelia “Contadini del sud” è un capolavoro dal punto di vista letterario. La Rosselli non ama l’ambiente letterario; comincia a pubblicare a trentatré anni quando si rende conto che gli studi specialistici di musica non le daranno mai alcun reddito. Invia a Vittorini il suo primo manoscritto: “Variazioni belliche”. Vittorini lo trova buono e pubblica ventisei poesie sulla rivista il “Menabò”. Successivamente incontra da Alberto Moravia Pier Paolo Pasolini che l’aiuta a pubblicare l’intero libro. P. Paolo Pasolini è una scoperta tarda per la Rosselli. Comincia ad apprezzarlo dopo “Accattone”, conquistata dalla sua capacità di sincronizzare le immagini del film con la musica di Bach. Amelia non ama la scrittura ottocentesca dei romanzi di Pasolini, ma ritiene splendide le sue poesie giovanili in dialetto friulano. Scrive e dedica (a Pier Paolo Pasolini) E posso trasfigurarti, passarti ad un altro sino a quell’altare della Patria che tu chiamasti puro… E v’è danza e gioia e vino stasera:- per chi non pranza nelle stanze abbuiate del Vaticano. Faticavo: ancora impegnata ad imparare a vivere, senonché tu tutto tremolante, t’avvicini ad indicarmi altra via. Le tende sono tirate, il viola dell’occhio è tondo, non è triste, ma siccome pregavi io chiusi la porta. Non è entrata la cameriera; è svenuta: rinvenendoti morto s’assopì pallida. 7 S’assopì pazza, e sconvolta nelle membra, raduna a sé gli estremi. Preferii dirlo ad altra infanzia che non questo dondolarsi su arsenali di parole! Ma il resto tace: non odo suono alcuno che non sia pace mentre sul foglio trema la matita E arrossisco anch’io, di tanta esposizione d’un nudo cadavere tramortito.10 (“da Appunti sparsi e persi”) “Variazioni belliche” presenta, come “Serie ospedaliera”, una compatta struttura poematica: Variazioni belliche sono appunto variazioni intorno all’unico tema di un travaglio, un conflitto interiore, motivi non soltanto di racconto, ma anche ritmici, lessicali, prosodici, che si sviluppano come un’ostinata e ossessiva sequenza musicale quasi inseguendo un acme, una sempre incompiuta compiutezza.11 Amelia Rosselli compone “Variazioni belliche” stando come sospesa tra la tastiera di un pianoforte ed una macchina da scrivere. Nel suo libro esprime il nascere e il morire di una passionalità dapprima imbrigliata, e poi sfociata in lotta e denuncia. Pasolini rileva nella poesia di Amelia Rosselli la presenza del lapsus linguistico come “errore creativo”. Pier Paolo Pasolini scrive: Uno dei casi più clamorosi del connettivo linguistico di Amelia Rosselli è il lapsus. Ora finto, ora vero: ma quando è finto, probabilmente lo è nel senso che, formatosi spontaneamente, viene subito accettato, adottato, fissato dall’autrice sotto la specie estetica di una invenzione “che si fa da sé”. (…). In realtà questa lingua -ripeto- è dominata da qualcosa di meccanico: emulsione che prende forma per suo conto, imposseduta, (…). Tuttavia, io direi che più che di specie culturale (e lo sono), i lapsus della Rosselli sono di specie ideologica. Il lapsus dà una profonda liberazione: consente, alla buonora, di liberarsi del peso istituzionale - gravante su tutta la lunghezza dell’anima - e nel tempo stesso, di rispettarlo. (…). Il Mito dell’Irrazionalità (mettiamo le maiuscole), ha con le poesie della Rosselli, negli anni sessanta, il suo prodotto migliore (…). E aggiungo che il tema dei lapsus è un piccolo tema secondario e irrisorio rispetto ai grandi temi della Nevrosi e del Mistero che percorrono il corpo di queste poesie: è solo un filo che ho 10 11 Ivi, p. 638-639 Ivi, p.x 8 seguito per poter produrre qualche effato su questo splendido testo che si propone come ineffando.12 Per Giacinto Spagnoletti si tratta di lapsus in casi sporadici. Si deve invece parlare: …di una conoscenza non perfettamente assimilata della lingua italiana, e del relativo apparato poetico. Spesso nei testi della Rosselli sono presenti espressioni, modi concettuali, che non si potrebbe definire se non arbitrari, (…) Se vogliamo considerarle “forzature analogiche o metaforiche”, occorre avvertire che la Rosselli si serve di esse per esplorare il suo territorio psichico, o alcuni lembi di esso, dando alla scrittura lo stesso peso che di solito si affida all’ambiguità, alla duplicità di un pensiero verso i confini dell’inespresso.13 Per Giovanni Giudici: …l’illuminazione poetica si ha in una zona, per così dire, trascendentale della lingua, a mezza via tra l’intenzione di dire e il già detto, tra il pre-fato e l’el-fato, in terra di nessuno ossia di ispirazione14. Se “Variazioni belliche” denuncia la presenza di una “malattia” e delle sue conseguenze, la successiva “Serie ospedaliera” (1963-1965) appare tutta pervasa da una sorta di necessità terapeutica identificata nell’isolamento, nell’interiorizzazione, nella “malinconica privazione di vita”. Amelia scrive “Serie ospedaliera” durante un periodo molto doloroso: ha un acutizzarsi della malattia, che le impedisce di camminare, di leggere, di vivere. La serie di poesie è ospedaliera, in quanto rassegnata a un ritornare criticamente sui propri passi. L’apertura discorsiva è riscontrabile anche in “Documento”, che raccoglie poesie scritte tra il 1968 e il 1973. “Documento” è il libro meno programmatico della Rosselli che vuole restituire quantità e durata acustica alle parole della realtà. Vuole essere il libro della realtà, definito “libro del sangue e del cuore”, è un labirinto d’amore non una serie di variazioni (come “Variazioni belliche”). Nel suo terzo libro in italiano Amelia Rosselli aspira ad eliminare sia il tu, sia l’io, per il raggiungimento in poesia dell’obiettività di Pasternak, dove l’io è il pubblico, dove l’io è le cose. Vuole eliminare la tendenza autobiografica. In “Documento” è ricorrente la tematica dell’amore e della morte, scrive del suo stesso estinguersi, che è il contrario della poiesis: il suo disfarsi, non il suo farsi. La struttura metrica di “Documento” è più leggera, l’attrezzatura degli artifici retorici e fono-simbolici del passato si è andata smantellando. Nel più largo periodare sono comunque presenti le iterazioni, i paradossi, le interiezioni e le interrogazioni retoriche. Le visioni nelle liriche di “Documento” sono le 12 Pier Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, “Il menabò”, 6 (1963), Torino, Einaudi, p. 66-69 Giacinto Spagnoletti, Amore e solitudine, in “Galleria”, a. 48, 1/2 (1997), Caltanissetta, Sciascia editore, p. 31-33 14 Giovanni Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli, in Novecento, XI, tomo 2, Settimo Milanese, Marzorati, 1989, p. 1050 13 9 “felici / visioni di una tranquilla morte” (Tende rivoluzionarie nel mio cuore, vv. 16-17); il riconoscere nella vita una continua morte “la vita che ha nascosto la morte per / tanto tempo finché un giorno ritrovarono / la notte stesa come un morto”, (Hanno fuso l’ordigno di guerra con le, vv. 28-30); e infine il vuoto cercato e desiderato “Vola nel vuoto questo mio oblioso cuore” (Tende rivoluzionarie del mio cuore v. 5); “Muta e in soggezione rincorro il vuoto”, (Questo gioco v. 6); ora “nulla / divenuto però incandescente / e separato dal vostro vivere / ostile”, (Conversazioni molto sofisticate, vv. 16-19); ora “vivo vuoto”, (Gelosa dello spazio che ti contiene, v. 17).15 “Impromptu”, composto nel 1979, è l’ultimo scritto di Amelia Rosselli; interrompe un silenzio di sette anni e riassume i tratti essenziali e tipici della sua poesia. “Impromptu” è definito dalla stessa autrice un po’ d’élite, un po’ leopardiano. È scritto nel corso di una mattinata. L’uso del lapsus linguistico come errore creativo, messo in evidenza da Pasolini, non è qui tanto nel soggetto-autrice, quanto nella parola stessa affrancata in parte dalla normativa convenzionale e restituita a una condizione di autonomia autoinventiva. Scarto originale e profondo che nasce da un’idea non statica, ma dinamica e in divenire della parola. La parola è portatrice di un suo significato da dizionario, ma sempre più diventa portatrice di suono e di segno grafico che coinvolgono aree di segno e di suono contigue e affini. La parola della lingua poetica ha una ridondanza spontanea. Il poeta non condurrà la parola, ma dovrà farsi condurre da essa. In “Impromptu” “tank” ridonda in “tango”. La parola nella disposizione metrica delle strofe fa da ponte fra una strofa e la successiva che la riprende, o riprende altra parola semanticamente, fonicamente o graficamente contigua. La casualità della rima è utilizzata come generatrice di significati. Nel ritmo si esercita il più alto impegno di una prosodia non più fondata sul rapporto fra accenti tonici e numero di sillabe, ma su valori di quantità, intensità e durata. In “Impromptu” Amelia Rosselli applica il procedimento per cui alla fine del verso sono presenti parole monosillabiche: articoli, preposizioni, congiunzioni o particelle pronominali, che nella lingua comune non sono funzionalmente e semanticamente autonome.16 L’argomento principale della poesia di Amelia Rosselli è la lingua considerata nel senso generale di linguaggio, in quanto facoltà umana, mezzo di esplorazione, di sperimentazione e invenzione. 15 16 Rosselli, Le poesie cit. p. 511, 518, 544, 550 Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli cit. p.1048-1051 10 Amelia Rosselli ha una triplice coscienza linguistica, culturale e letteraria; pensando e scrivendo in tre lingue ricerca le forme universali e il linguaggio universale. In “Spazi metrici”: (…) la lingua in cui scrivo di volta in volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica e associativa è certamente quella di tutti i popoli, e riflettibile in tutte le lingue.17 La sua poesia può collocarsi in un ambito letterario sia inglese, che francese ed italiano. In “Diario in Tre Lingue” (1955-1956) mescola francese, inglese e italiano, alterna frammenti in prosa con il verso. La Rosselli oltre a scrivere in lingue diverse attinge a registri differenti. linguistici È interessata eminentemente allo sperimentare in prosa, ritenendo che si dica di più in prosa che non in poesia, spesso manierista e decorativa. “Prime Prose Italiane” è un breve testo del 1954. Per la prima volta Amelia scrive in italiano, in prosa non scientifica o semplicemente saggistica e razionale. Lo scritto è breve e ispirato dal Tevere. La Rosselli scrive “Nota” una prosa difficile, interiore quanto la poesia, viaggiando in treno, o stando seduta ad un caffè assolato, o dinnanzi a una macchina da scrivere. Vuole dotarsi di una lingua propria ed esclusiva, liberata dall’usura, dall’abitudine ed investita di una maggiore potenzialità comunicativa. Come per gli strutturalisti così per la Rosselli il linguaggio è ambiguo a tutti i livelli: esso è logico (simile alle strutture matematiche), ma anche espressivo e quindi sociale in quanto garantisce la comunicazione tra gli individui; infine è individuale perché serve come mezzo di espressione di ogni personalità. In “Spazi metrici” Allegato a “Variazioni belliche” descrive la sua ricerca “di forme universali”, avvalorando l’idea che le parole escano dal vuoto, appartengano a un linguaggio affrancato dalla parola piena e ordinata della razionalità, e siano linguaggio universale dell’origine e della passione, corporeo, rumore, suono, soffio, e respiro, idea, musica. Nelle analisi freudiane di sogni, lapsus e motti di spirito “l’inconscio” si permette qualunque mescolanza o slittamento da un significato a un altro, se i significanti offrono la coincidenza anche più accidentale, la somiglianza anche più approssimativa, la possibilità più assurda di scomposizione. Per Freud “l’inconscio è solito trattare le parole come cose”. Lacan definisce “l’inconscio come ciò che prende tutto alla lettera, come il regno del significante ecc….”.18 Questo mette in crisi la concezione saussuriana del segno come combinazione di signifiant e signifié (significante e significato), paragonabile a un foglio con il suo 17 Rosselli, Le poesie cit. p. 338 Gabriella Palli Baroni, Disuguali incantamenti di Amelia Rosselli, in “Quaderni del Circolo Rosselli”, 17 (1999), Firenze, Giunti, p. 28-29 18 11 recto e il suo verso. Per Saussure il segno è arbitrario rispetto al referente, ma necessario poiché il significante non può sussistere senza il significato e viceversa. Nella Rosselli fondamentale è l’insistenza sul significante, sulla lettera, sulla parola. In “Spazi metrici” a proposito della sillaba, della parola, della frase e del discorso dice: “Per una classificazione non grafica o formale era necessario, nel cercare i fondi della forma poetica, parlare invece della sillaba, intesa non troppo scolasticamente, ma piuttosto come particella ritmica Salendo su per questa materia ancora insignificante, incorrevo nella parola intera, intesa come definizione e senso, idea, pozzo della comunicazione.(…). Io invece (e qui forse farei bene ad avvertire che essendo il mio sperimentare e dedurre assai personali e in parte incomunicabili, ogni conclusione ch’io ne possa aver tratto è da prendersi davvero “cum grano salis”), avevo proprio altre idee in proposito, e consideravo perfino “il” e “la” e “come” come idee e non meramente congiunzioni e precisazioni di un discorso esprimente una idea. Premettevo che il discorso intero indicasse il pensiero stesso, e cioè che la frase (con tutti i suoi coloriti funzionali) fosse una idea divenuta un poco più complessa e maneggiabile, e che il periodo fosse l’esposizione logica di una idea non statica come quella materializzatasi nella parola ma piuttosto dinamica e in “divenire” e spesso anche inconscio. Volendo allargare la mia classificazione davvero non troppo scientifica, inserivo l’ideogramma cinese tra frase, e la parola, e traducevo il rullo cinese in delirante corso di pensiero occidentale. (…)”.19 L’ideogramma cinese diventa, così, uno strumento di affrancamento della parola. Questa riflessione può scaturire dallo studio di Pound. Nei “Cantos” Ezra Pound si serve dell’ideogramma cinese per intervallare italiano, inglese, greco, latino. Fin dall’inizio del secolo Pound si interessa alla scrittura cinese come mezzo espressivo. È particolarmente importante e interessante studiare la poesia della Rosselli dal punto di vista musicale quando si esamina la ritmica. È attratta dalla studio della metrica, aiutata in questo dai suoi studi di etnomusicologia, della musica del terzo mondo e dell’oriente su indicazione di Bartòk. Il suo punto di partenza per le ricerche della metrica è il rifiuto del postmajakovskismo. Per l’eminente interesse musicale si reca a Darmstdat, dove trascorre le estati degli anni 1959-1960. Darmstdat è il centro della Neue Musik, musica d’avanguardia ispirata da Schoenberg e Webern. In questo centro collabora con John Cage. Esistono forti elementi di similarità tra le teorie poetiche della Rosselli e le teorie della musica dodecafonica: la parola è isolata nel verso, così come nel dodecafonico la nota classica è isolata in mezzo al silenzio. Si fa costruire uno strumento sperimentale per riprodurre le scale musicali con molti più toni della scala occidentale a dodici toni. 19 Rosselli, Le poesie cit. p. 338 12 Applicato alla poesia, questo interesse nella divisione in minime unità dell’ottava armonica si traduce nella preoccupazione della poetessa di annotare le divisioni minime del tempo dei suoi versi. Le sue idee sul ritmo e il tempo nella recitazione dei versi assomigliano a un tipo di musica dell’avanguardia contemporanea. Afferma che i suoi versi vanno recitati entro un intervallo di tempo, a seconda della lunghezza del primo verso. La tesi è molto vicina al principio teorico di alcuni brani di musica cantata non in tempi o battute (piedi o sillabe per la poesia) ma in secondi e altre misure di tempo assoluto. Questi sono aspetti innovativi della poesia della Rosselli, che si conciliano con le linee dello sviluppo della musica d’avanguardia, ma è anche molto importante il legame con la tradizione. Infatti parla dell’invenzione di questa forma nuova-antica che nasce dalla lettura delle origini. Scrive: “Volli rileggere i sonetti delle prime scuole italiane; affascinata dalla regolarità volli tentare l’impossibile. (…)”20 (“Spazi metrici”). Ritiene esaurita la scoperta del metro libero e necessario scoprire nuovi ordini metrici; ma non torna al sonetto della tradizione, cerca un’altra strada, una nuova forma d’invenzione personale. Il risultato è la “forma-cubo”, come la chiama nell’intervista rilasciata a Giacinto Spagnoletti. La nuova forma è breve, estremamente condensata, rigorosa e regolare come il sonetto, ma anche diversissima in quanto sostituisce all’endecasillabo del sonetto classico dei versi di misura fissa. Da “Variazioni belliche” a “Serie ospedaliera”, da “Documento” a “Impromptu”, la sua poesia è un “continuum” dove fondamentale è la componente letteraria. Legge un considerevole numero di autori e di opere, che sono captati dal suo ascolto e su cui si leva la sua voce: gli stilnovisti, gli elisabettiani, i romantici, gli ermetici, Donne, Leopardi, Campana, Montale, Mallarmè, Verlaine, Rimbaud, Kafka, Saba, Penna, Pavese, Scotellaro, Pasternak, Pound, Eliot, Dickinson, Plath, Shelley, Pascal, Kierkegaard, Kant, Bergson. Legge testi freudiani e, quando non ha ancora vent’anni, Karl Marx. Ha trascorso diversi periodi della sua esistenza in psicanalisi con Ernst Bernadt, diretto allievo di Carl Gustav Jung: più che sedute sono stati veri e propri “incontri psicanalitici”, che hanno esercitato un’influenza sui suoi interessi culturali. Per la Rosselli è importante fare analisi, prima di dedicarsi alla scrittura: questo permette di scrivere cose generali e utili. L’analisi psicanalitica serve per non incorrere, nella poesia, in un’autoanalisi confusa e impasticciata di uso privato. Gli scrittori in un certo senso sono i dottori dei loro lettori: perciò rifugge da una poesia di tipo confessionale o privato. Il suo itinerario poetico non è collocabile entro nessun ambito letterario; né antologie, né movimenti letterari ottengono il suo incondizionato favore. 20 Ivi, p. 339 13 La poetessa definisce il “Movimento Beat”, nel testo della prima trasmissione radiofonica dedicata alla Poesia d’elite nell’America d’oggi, “urgente e chiassosa scuola Beat”. Nei confronti della neoavanguardia nutre un tiepido interesse; a proposito degli incontri del Gruppo ’63, racconta a Renato Minore in un’intervista: Stavo a sentire tutto quel chiacchiericcio critico, era un po’ pesante. Scoprivano Pound, Joyce e tanti altri che io avevo letto mille volte, che io avevo scoperto tanti anni prima, per via della mia formazione non italiana.21 Del “Gruppo 63” apprezza Antonio Porta per la serietà della ricerca e Pagliarini de “La ragazza Carla”, anteriore alla nascita dell’avanguardia. Ne “La Libellula”: “E io lo so ma l’avanguardia è ancora cavalcioni su de le mie spalle e ride e sputa come una vecchia fattucchiera,(…).”22 Per la Rosselli il poeta non è un veggente, non crede nel ruolo salvifico della poesia: il poeta non è colui che addita e salva, non è il vate. La poesia è piuttosto una testimonianza, che va resa con mezzi esatti e sottili; “la poesia è scienza e istinto insieme”, “deve avere precisione scientifica ed essere accettazione immediata delle percezioni”.23 L’esempio più alto di artista scienziato è rappresentato da Ghoethe. Nel poemetto del 1958 (“La Libellula”): “io non so se io rimo per incanto o per travagliata pena. Io non so se rimo per incanto o per ragione e non so se tu lo sai ch’io rimo interamente per te, (…)”24 dichiara di non sapere se rima per incanto, l’incantamento degli antichi, o per il travaglio di una sofferenza, per ammaliamento, incantamento o per buon senso, per ragione. Gli elementi che costituiscono la personalità e lo stile letterario di Amelia da un lato sembrano essere scritti nel suo corredo genetico, (i nonni paterni, provenienti da agiate famiglie ebree erano artisti; il nonno Giuseppe Emanuele Rosselli era un raffinato musicista e compositore, la nonna Amelia Pincherle era un’affermata autrice di drammi teatrali), dall’altro questi elementi sono determinati dalle contingenze di vita, i traumi infantili, l’esilio involontario che la mette in contatto con diverse culture. Anima in pena, sofferente fin dalla giovinezza di schizofrenia, malattia che lei chiama morbo di Parkinson, si toglie la vita l’11 Febbraio (di domenica) del 1996. Forse non è una coincidenza che la poetessa Sylvia Plath, le cui poesie sono state tradotte da Amelia, si sia suicidata proprio un 11 febbraio di trentatré anni prima. La poetessa durante una conversazione con la scrittrice Sandra Petrignani dichiara: “la poesia non si addice alla vita normale, quella di tutti i giorni. Per questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi. È come se lo scrivere dovesse essere legato a una visione adolescenziale del mondo e quando si raggiunge la cosiddetta maturità, il desiderio di scrivere vien meno”. 21 Francesca Caputo, La scrittura pratica di Amelia Rosselli, in “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p. 74 22 Rosselli, Le poesie, p.142 23 Elio Pecora, Un incontro con Amelia Rosselli, in “Galleria” cit. p. 151-152 24 Rosselli, Le poesie cit. 147 14 E confida: Non mi riconosco più scrittrice da cinque anni. Prima avevo la poesia. Ho scelto di non sposarmi per non distrarmi da lei. Ma ora che la scrittura mi ha abbandonato non ho più nulla.25 (Intervista da “Il Messaggero”, 23/6/1978). Per la Rosselli vivere è ben più che scrivere. La vita è la prima fonte d’ispirazione, e non di rado la poesia tradisce la sua fonte vitale d’ispirazione. Dalla sua ultima opera “Impromptu”, pubblicata nel 1981, alla morte passano quindici anni. Amelia nell’ultimo periodo della sua vita soffre molto. Trascorre lunghi periodi in ospedale. Agli amici confida di avere “idee suicidali”. I fantasmi sempre presenti nella sua vita entrano con violenza in casa sua, diventano reali e l’afferrano per i capelli trascinandola alla finestra. Si allontana dalla vita, si abbandona ad una dimensione vegetativa, non vitale. Quella costante espressa tante volte nella sua poesia della “morte in vita”, quella specie di limbo tra vita e non vita, quella condizione confinante tra la vita e la morte in cui la poetessa si trova e si muove, si tramuta poi nel gesto pensato, meditato, quasi goduto del suicidio. Sulla sua vita aleggia come un’ombra: “il suicidio”; sceglie di lanciarsi non dal balcone della camera da letto-studio, più comodo per una simile impresa, ma dalla finestra della cucina, per affacciarsi alla quale è necessario prendere una sedia, e poi fare altri movimenti come la torsione del busto per sedere sullo stretto davanzale. Nell’attimo del lancio voluto e scelto coincidono la sua malattia, la sua sofferenza, la sua solitudine, la sua poesia che ha sempre costituito una dimensione altra, proprio come la sua vita sospesa tra cielo e terra. E ritornano i versi di “Hanno fuso l’ordigno di guerra” (“Documento”) “Pregano che non se ne andrà così presto / la vita che ha nascosto la morte per / tanto tempo finché un giorno ritrovarono / la notte stesa come un morto”.26 E in “Il Cristo (Pasqua 1971)”: “Così come la finalità di tutte le cose / così come il conto festoso e a rima / ti precipiti al balcone, dal balcone / per vederti camminare.”27 Da “Sanatorio” (1954) “Il faut mourir pour vivre tranquilles.”28 Infine in “Notte, labirinto sorteggiato”(“Documento”) «Inno alla vita nel punto di morte»29 Come la sua poesia si identifica con la sua vita, così nel suo lancio vuole identificarsi con “la sua libellula” e si libra alla ricerca di nuovi lidi e nuove terre. Come la vita ha nascosto la morte, così la morte può nascondere la vita, e la può liberare. 25 Biancamaria Frabotta, Una lettura di Documento, in “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p. 20 Rosselli, Le poesie cit. p. 517 27 Ivi, p. 614 28 Ivi, p. 23 29 Ivi, p. 507 26 15 Capitolo II La vita, l’impegno politico e sociale, la poesia di Rocco Scotellaro Rocco Scotellaro nasce a Tricarico il 19 Aprile del 1923 da una famiglia di piccoli artigiani. Il padre, Rocco Vincenzo, era calzolaio ed aveva un piccolo negozio di scarpe; la madre, Francesca Armento, era sarta casalinga e scrivana degli analfabeti del vicinato. Il 24 giugno del 1923, secondo la tradizione della religione cattolica, riceve il battesimo, i padrini sono Battista Lomastro e Annunziata Scotellaro. Dopo aver frequentato le scuole elementari a Santa Croce, presso il vecchio Convento delle Clarisse, si trasferisce a Sicignano degli Alburni nel Convitto Serafico dei Cappuccini per il primo ginnasio. Dopo Sicignano è la volta di Cava dei Tirreni, dove rimane per circa tre anni. Nel 1937 a Matera, da privatista, sostiene gli esami conclusivi del triennio ginnasiale; sempre a Matera frequenta il quarto ginnasio, il quinto a Tricarico, dove nel frattempo è stato istituito un normale corso di studi ginnasiali. Nell’anno 1939-1940 studia al Liceo classico “Quinto Orazio Flacco” di Potenza. All’inverno del 1939 risale il primo incontro tra Rocco Scotellaro e Giovanni Russo. I due giovani studenti scrivono i loro primi articoli su un settimanale del Sud, “Potenza Fascista”, dove Russo fa le sue prime prove come letterato e giornalista e Scotellaro come critico. Nell’anno 1940-1941 si iscrive a Trento per il secondo liceo, che frequenta presso l’istituto “Giovanni Prati”, ospite della sorella Serafina e del cognato Terzilio (sottufficiale dell’esercito). A Trento ha per insegnante Giovanni Gozzer, e stringe rapporti di amicizia con Alfredo Pieroni (poi direttore del quotidiano “Il resto del Carlino”). Durante la permanenza a Trento prepara da privatista gli esami della maturità classica, che supera in maniera brillante nel giugno del 1941. Rocco Scotellaro consegue ottimi risultati scolastici, ottenendo voti molto alti in greco e latino. Anni dopo, così traduce poeticamente “O fons bandusiae” (Carminum Libro terzo, 12-13) di Orazio: Bella fontana di Banzi, ti luccica un’acqua di vetro, ti porteremo domani in un cesto di fiori un capretto che allatta e pasce. Le prime corna gli promettono guerre di amore, peccato perché noi laveremo il tuo sangue nel tuo rivolo gelato. Perché non ti prende il sole cane e tu puoi rinfrescare i buoi aratori e le greggi camminanti. La bella fontana di Banzi, dicono che sarai tra le nobili fonti, perché rompe il cuore delle pietre la tua canzone lontana.30(1949) 30 Rocco Scotellaro, È fatto giorno, a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori, 1954, p. 120 16 Nel 1942 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma, guadagnandosi contemporaneamente da vivere con il lavoro di istitutore presso un collegio di Tivoli. La morte del padre, avvenuta il 14 maggio 1942, e la guerra determinano il suo ritorno a Tricarico e il cambio di Università, prima a Napoli, poi a Bari, dove non frequenta, ma si reca per sostenere gli esami, come tutti gli studenti universitari poveri. A causa degli impegni politici e delle traversie della vita non consegue la laurea. Nella primavera del 1943, all’età di vent’anni, partecipa a Potenza ai “Ludi lucani della cultura” indetti dal Gruppo dei Fascisti Universitari (GUF) di Potenza, dove si classifica al secondo posto per la cultura letteraria (la notizia è in Potenza fascista del 25 aprile 1943). Durante questo convegno letterario, dove si è distinto per l’acume dell’intelligenza e per la preparazione, Scotellaro incontra Rocco Mazzarone. Mostra al dottor Mazzarone un articolo di critica cinematografica e poi tira fuori di tasca una poesia intitolata “Lucania” M’accompagna lo zirlìo dei grilli e il suono del campano al collo di un’inquieta capretta. Il vento mi fascia di sottilissimi nastri d’argento e là, nell’ombra delle nubi sperduto, giace in frantumi un paesetto lucano.31(1940) Questi sono i primi versi sicuramente databili di Scotellaro. Rocco Mazzarone è colpito positivamente da questa poesia e lo considera poeta compiuto. All’inizio del mese di luglio del 1943 incontra Tommaso Pedio a Potenza. Tommaso Pedio, da studente liceale a Pisa nel 1936, frequenta il gruppo di Carlo Rosselli e poi cellule comuniste di Napoli, di Brindisi e Taranto. Nell’estate del 1938 è nelle Marche, dopo nel Polesine, a Ferrara dove conosce molti esponenti del partito liberale democratico dei Rosselli denominato “Giustizia e Libertà”. Pedio, rientrato a Potenza nel 1939, organizza attorno a sé un gruppo di vecchi socialisti e di studenti, che indirizza verso le varie compagini partitiche della sinistra rivoluzionaria. Tra questi giovani c’è Rocco Scotellaro, che rimane sulle posizioni di Pedio fino al 1944. La posizione di Pedio è incerta tra l’accettazione incondizionata del programma politico del PSIUP e un’ideologia libertaria vagamente anarchica. Si sviluppa un intenso rapporto dialogico ed epistolare tra Rocco Scotellaro e Tommaso Pedio, testimoniato dalle lettere intercorse tra i due in due periodi distinti. Il primo periodo è compreso tra gli anni 1943-1944, durante il quale si ricostituisce la sezione del Partito Socialista, intitolata a “Giacomo Matteotti” (deputato e segretario del PSU sequestrato e ucciso il 10 giugno del 1924 da una squadra di sicari comandata dallo squadrista toscano Amerigo Dumini). Il 4 dicembre 1943 Scotellaro si iscrive al PSIUP. 31 Ivi, p. 41 17 La casa di Rocco, in via Roma numero 65, diventa provvisoriamente la sede locale del partito. Nel dicembre del 1943 si svolge una prima riunione di iscritti e simpatizzanti. Nelle lettere del secondo periodo, compreso tra gli anni 1950-1953, Scotellaro chiede aiuto e assistenza al Pedio avvocato, per difendere tanti contadini disoccupati e compromessi per le occupazioni dei latifondi. Del 1944 è uno dei primi articoli politici scritti da Scotellaro. L’articolo su Camillo Prampolini è pubblicato sul periodico “Battaglie Gogliardiche”, un foglio stampato a Potenza a cura di un gruppo di giovani, di cui fanno parte Renato Matteo Pistone, Giuseppe Ciranna e Giovanni Russo, riuniti in un’associazione studentesca universitaria “Luigi La Vista”, di spirito innovatore e progressista. Dalle lettere scritte a Pedio si evince uno Scotellaro concreto, legato a una progettualità politica realistica, che alle astratte ideologie e alle utopie preferisce il miglioramento immediato delle condizioni dei braccianti, dei contadini, degli artigiani. Mentre a Potenza Pedio lavora per la costituzione di un Fronte di Azione Nazionale (FAN), formato da tutti gli antifascisti, a Tricarico Scotellaro costituisce, nel febbraio del 1944, il Comitato di Liberazione, alla presidenza del quale si pone l’avvocato Carlo Grobert, un militante del Partito d’Azione. Nella lettera del 21 febbraio 1944 Scotellaro scrive: (…), se vogliamo rappresentare sia pure una forza minima di critica nel partito che ci può apparire traviato da manovre ascose, ebbene entriamoci dentro a vedere con i nostri occhi, per correggere se possiamo e se qualcosa c’è che sia da correggere e smettiamola di fare gli intellettuali di un partito che ha bisogno anzitutto di opera e di azione(…).Io non ho una cultura comunista (…). Esprime una critica nei confronti delle tendenze intellettualistiche di un partito che ha necessità, invece, di agire in modo concreto. Ammette di non avere una cultura marxista. La sua visione politica non è influenzata dalla lettura e dallo studio del Manifesto e del Capitale di Karl Marx, ma piuttosto dalla lettura della Bibbia. Il suo socialismo è imperniato sull’idea utopica di Gioacchino da Fiore ed è caratterizzato dal rigorismo morale di Girolamo Savonarola. Nel 1944 si celebra a Tricarico il “Primo maggio” in modo unitario. Si tiene un comizio durante il quale partecipano Abdon Alinovi per il Partito Comunista, il sindaco di Tricarico, l’avvocato Carlo Grobert per il Partito d’Azione, e Rocco Scotellaro per lo PSIUP. Nel 1946 Carlo Levi partecipa in Lucania, nella lista di “Alleanza Repubblicana” insieme con Manlio Rossi Doria, Guido Dorso, Michele Cifarelli, alla campagna elettorale per la Costituente e per il Referendum istituzionale. In tale occasione Scotellaro conosce, nel mese di maggio, Carlo Levi. È Rocco a presentarlo come candidato durante un comizio svoltosi a Tricarico. Inizia una profonda amicizia tra i due, alimentata dalle frequentazioni romane del giovane lucano. Rocco Scotellaro si inserisce nell’ambiente culturale romano, confermando una personalità singolare e autonoma. Ma non dimentica la sua regione. È intensamente impegnato nell’attività politica e sindacale che svolge nell’entroterra della collina materana (Irsina, Stigliano, Calciano) tra Matera e Bari. 18 Le elezioni amministrative dell’ottobre 1946 vedono la lista del Fronte Popolare Repubblicano, capeggiata da Rocco Scotellaro, ottenere la maggioranza dei voti. A ventitre anni è il sindaco più giovane d’Italia, un sindaco socialista. L’azione che qualifica al meglio il suo operato di amministratore è la fondazione dell’Ospedale Civile di Tricarico (il terzo della Lucania). “Egli non inventò l’ospedale; inventò invece, nel 1947 la maniera di trasformare un’azione amministrativa in movimento di partecipazione popolare”.32 Questa espressione è usata da Rocco Mazzarone, concittadino e sincero amico di Scotellaro. Mazzarone (medico e direttore Sanitario del Consorzio Provinciale antitubercolare di Matera), nel suo operato è mosso da uno spirito di concretezza e di empatia verso i suoi concittadini e corregionali più umili, comune al giovane sindaco. L’inaugurazione dell’Ospedale Civile di Tricarico si svolge il 7 agosto del 1947 ed è collocato in un’ala del Palazzo Vescovile. Le elezioni politiche del 18 aprile 1948 conferiscono alla Democrazia Cristiana una clamorosa vittoria. Il Fronte popolare in cui sono schierati socialisti e comunisti è sconfitto. Grande la delusione di Scotellaro per l’esito elettorale: scrive “Pozzanghera nera il diciotto aprile” Carte abbaglianti e pozzanghere nere hanno pittato la luna sui nostri muri scalcinati! I padroni hanno dato da mangiare quel giorno, si era tutti fratelli, come nelle feste dei santi abbiamo avuto il fuoco e la banda. Ma è finita, è finita, è finita quest’altra torrida festa siamo qui soli a gridarci la vita siamo noi soli nella tempesta E se ci affoga la morte nessuno sarà con noi, e col morbo e la cattiva sorte nessuno sarà con noi. I portoni ce li hanno sbarrati si sono spalancati i burroni. Oggi ancora e duemila anni porteremo gli stessi panni. Noi siamo rimasti la turba la turba dei pezzenti, quelli che strappano ai padroni le maschere coi denti. 33 32 Rocco Mazzarone, in Scotellaro trent’anni, Atti del Convegno di studio (Tricarico-Matera, 27-29 maggio 1984), Matera, Basilicata editrice, 1991, p. 12 33 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 71 19 Le dimissioni dei repubblicani e degli indipendenti, sollecitate da interventi sotterranei, riducono il gruppo di sinistra, e provocano lo scioglimento dell’amministrazione del Fronte popolare repubblicano. Rocco Scotellaro dà le dimissioni da sindaco con una lettera, che reca la data del 2 giugno 1948. In una relazione inviata al Comitato provinciale del Fronte popolare, riferisce del suo complesso e delicato lavoro politico, svolto nei diciotto mesi dell’amministrazione comunale da lui presieduta. “(…) io personalmente dovevo essere nello stesso tempo il Sindaco, l’organizzatore sindacale e politico, l’assistente sociale. Ed è pure utile che io accenni per sommi capi a quello che abbiamo fatto: Risanato il bilancio, eseguito lavori di strada di campagna, condotti in economia i servizi della nettezza urbana e delle imposte di consumo; (…) riuscite pressioni per la costruzione di un ponte sul Bilioso richiesto dai contadini da più di cento anni (…). Abbiamo riaffittato zone di pascolo, (…) Vi sono state le concessioni delle terre che hanno tratto dalla fame più di cento poveri braccianti (…). È stata istituita una refezione scolastica frequentata da quattrocento alunni. Sette corsi popolari serali mantenuti da noi contro i due del Ministero (…). Abbiamo dato infine la possibilità del funzionamento di un ospedale a Tricarico.” 34 Le elezioni amministrative, ripetute il 28 novembre 1948, riconfermano Scotellaro sindaco. La lista elettorale del Fronte democratico popolare (con simbolo l’aratro) ottiene sedici seggi contro i quattro della Democrazia Cristiana. Da tempo il movimento per l’occupazione delle terre portava avanti le sue battaglie, ora più assopite, ora più palesi. Questo movimento di riscossa popolare, di braccianti, di contadini, e di donne con bambini al seno, riprende con vigore nei mesi di novembre e dicembre del 1949. Il Congresso per l’Assise della terra si apre a Matera alla presenza di quattrocento delegati. L’evento più drammatico è l’uccisione, il 17 dicembre del 1949, a Montescaglioso di Giuseppe Novello. Il bracciante montese è ucciso durante le sommosse per l’occupazione delle terre del demanio comunale e di quelle delle aziende Tarantino, Strada, Miami, Galante, Lacava. Rocco Scotellaro in tale drammatica occasione scrive una poesia che dedica alla vedova del bracciante Giuseppe Novello: “Montescaglioso” Tutte queste foglie ch’erano verdi: si fa sentire il vento delle foglie che si perdono fondando i solchi a nuova bella terra macinata Ogni solco ha un nome, vi è una foglia perenne che rimonta sui rami di notte a primavera a fare il giorno nuovo. È caduto Novello sulla strada all’alba, a quel punto si domina la campagna, a quell’ora si è padroni del tempo che viene, il mondo è vicino da Chicago a qui sulla montagna scagliosa che pare una prua, 34 R. Salina Borello, A giorno fatto, Matera, Basilicata editrice, 1977, p. 15 20 una vecchia prua emersa che ha lungamente sfaldato le onde. Cammina il paese tra le nubi, cammina sulla strada dove un uomo si è piantato al timone, dall’alba quando rimonta sui rami la foglia perenne in primavera.35 Nella primavera del 1949 stringe un rapporto di amicizia con Carlo Muscetta, inoltre conosce Vittorini e Pavese. Per Rocco Scotellaro è determinante il rapporto con Carlo Levi, non di dipendenza o di filiazione, ma paritario. Così Levi scrive a proposito della relazione di amicizia con Scotellaro: (…), e la nostra amicizia, che a me fu, più di ogni altra, preziosa; e che forse contribuì, in qualche modo, alla sua presa di coscienza del mondo contadino di cui faceva parte, e al suo guardarlo per la prima volta con distacco e amore, al suo farne poesia, attraverso un linguaggio libero, personale, non letterario.36 Giovanni Russo ha vissuto momenti di vita, di confronto e di crescita con Levi e Scotellaro. In “Lettera a Carlo Levi”: Mentre per Levi il mondo della “civiltà contadina”, pur avendo una dimensione politica e sociale, era, tuttavia immerso nel mito della memoria, per Scotellaro era una realtà di cui egli, personalmente interpretava il dramma presente, le aspirazioni, le contraddizioni interne come i momenti di speranza e il destino fatale di inarrestabile dissoluzione.37 Non è esatto parlare di maestri a proposito di Scotellaro, la strada è stata forse la sua vera maestra, la vita l’unica e autentica fonte di ispirazione. Il giovane lucano è una persona ricettiva, aperta alle nuove esperienze ed alle esistenze di cultura diversa dalla sua. Ha un atteggiamento intellettuale, ma aperto, modesto, anche fermo, che gli permette di apprendere da quanti hanno un’esperienza maggiore e differente dalla sua. L’8 febbraio del 1950 è arrestato con l’accusa di concussione e peculato per la distribuzione delle lanerie UNRRA (United Nations and Rehabilitation Administration). Condotto nelle Carceri Giudiziarie di Matera, è scarcerato il 25 Marzo del 1950. Dall’accusa, nata dalla denuncia di un democristiano monarchico, è assolto dalla sezione istruttoria della Corte d’Appello di Potenza con formula piena. Durante questo triste periodo, può sempre contare sull’assistenza fraterna e sincera di Carlo Levi, e sulla solidarietà concreta di Ignazio Silone, Giulio Einaudi e di tanti altri amici. In carcere Scotellaro va scrivendo “L’uva puttanella”, il romanzo o “memoriale” autobiografico, non condotto a termine. 35 Rocco Scotellaro, Margherite e rosolacci, a cura di Franco Vitelli, prefazione di Manlio Rossi Doria, Milano, Mondadori, 1978, p. 66 36 Carlo Levi, in Omaggio a Scotellaro, a cura di Leonardo Mancino, Manduria, Lacaita, 1974, p. 410411 37 Giovanni Russo, Lettera a Carlo Levi, Roma, Editori riuniti, 2001, p. 79 21 È difficile dire se Scotellaro avesse fin dall’inizio in mente una vera e propria autobiografia o piuttosto un diario di memorie. Forse è più corretto affermare che “L’uva puttanella” è un’opera frammentaria e non incompiuta. Il poeta lucano crede molto in quest’opera che definisce il suo “Cristo si è fermato a Eboli”. Durante i quarantacinque giorni di detenzione conquista molte simpatie, sia tra chi è stato arrestato per reati comuni sia tra i molti contadini arrestati per gli scioperi e le occupazioni delle terre, leggendo le pagine del “Cristo si è fermato a Eboli”. Dopo la sentenza di assoluzione è reintegrato nella carica di sindaco, da cui si dimette l’8 maggio 1950. Nella primavera del 1950 Scotellaro partecipa a Venezia al convegno su “La resistenza e la cultura italiana”. Qui incontra Amelia Rosselli. Nello stesso anno Rocco Scotellaro conosce Friedrich George Friedmann, tornato in Italia dopo esserci già stato in un periodo compreso tra gli anni 1933-1939, dopo la fuga dalle persecuzioni degli ebrei nella Germania nazista. Nel 1933 trova rifugio a Roma dove, dagli studi di medicina che frequentava a Friburgo passa a quelli di lettere e filosofia. Lascia l’Italia dopo che anche qui, nel 1939 sono estese le leggi razziali. Fugge prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti d’America. A riportarlo in Italia è l’interesse verso la società e le culture contadine del Mezzogiorno. Per il programma Fulbright propone come progetto di ricerca “La filosofia di vita dei contadini italiani”. Dopo aver ricevuto, nel febbraio del 1950, dal Dipartimento di Stato Americano una borsa di studio, si trasferisce con la famiglia in Italia. Quando giunge in Italia è già presente a Tricarico il sociologo americano George Peck, appartenente a un’importante famiglia di commercianti di New York. Peck studia l’economia domestica delle famiglie più povere del Mezzogiorno d’Italia: nella sua ricerca è aiutato da Rocco Scotellaro, suo amico. Friedmann, durante la permanenza a Roma è in stretto contatto con l’autore del “Cristo si è fermato a Eboli”. È Carlo Levi a indirizzarlo da Rocco Scotellaro. Il primo incontro tra i due si svolge a Tricarico, a casa di Scotellaro. Subito dopo Friedmann, insieme allo storico delle religioni Ernesto de Martino e a Rocco Scotellaro, assiste alla festa della Madonna di Fonti. Alla fine degli anni cinquanta, terminata la borsa di studio del programma Fulbright, Friedmann ne ottiene un’altra. Con il finanziamento dell’UNRRA-CASAS realizza un progetto che ha per oggetto di studio la comunità di Matera. Friedmann durante il suo soggiorno di studio in Lucania rileva ed evidenzia una “certa qualità cosmica del mondo contadino”. Il modo di vita e la dignità personale dei contadini aderiscono a un ordine cosmico, un ordine non creato dall’uomo. Friedrich George Friedmann afferma l’esistenza di un “mondo arcaico” e di un “mondo contadino”; il mondo arcaico ha una priorità assoluta, il mondo contadino almeno una priorità secondaria, essendo molto più vicino al mondo arcaico rispetto al mondo borghese o industriale. Letteralmente, archè significa principio non in senso cronologico. L’archè, è ciò che sempre fu e che sempre sarà. 22 Il mondo arcaico non ha solamente il carattere del primordiale, ma anche del permanente, la permanenza può esprimersi metaforicamente nel paesaggio, con cui contadini e pastori stanno in stretto contatto, oppure psicologicamente come strato subcosciente di tutta l’umanità. È questo elemento arcaico-e non il mondo contadino-che noi tutti abbiamo in comune.38 Rocco Scotellaro nello scritto “I contadini guardano l’aria”39 evidenzia il carattere di primogenitura del mondo contadino. I contadini sono i primo generati, perché il primo lavoro umano è stato quello “di sollevare la zolla”, quello “della terra”. Il lavoro dei contadini dà il pane e il vino (il pane e il vino nella religione cristiana attraverso la transustanziazione diventano il corpo e il sangue di Gesù Cristo). Rocco Scotellaro afferma che i contadini si muovono entro un universo dove gli elementi fondamentali sono la terra e il cielo. La terra è madre, il cielo è un bambino capriccioso, che sa fingere e mordere. La terra madre e il cielo padre (fecondatore per esempio per via della pioggia) costituiscono i quadri cosmologici e gli elementi focali dell’esistenza di un popolo. Il cielo è guardato con sospetto dai contadini perché ha il carattere dell’imprevedibilità. Nel suo breve ma significativo scritto descrive un mondo contadino chiuso da un patto incrollabile che non ha paragoni nel mondo borghese o industriale. Mondo nel quale riesce ad entrare ogni giorno perché aderisce agli “statuti della concezione contadina”, che sono la “primogenitura dei contadini” e i “capricci del cielo”. È attraverso il lavoro dei contadini che il mondo si muove e va avanti. Di questo loro carattere di indispensabilità i contadini sono consapevoli e quindi fieri. Oltre ad affermare la consapevolezza e la fierezza dei contadini parla anche di una “loro combattività intelligente”, che contrasta con tutta una “vecchia storia del conservatorismo contadino”. I contadini “hanno aperto gli occhi”, sono “entrati in gioco” con “i loro panni e le loro scarpe e le loro facce”, da soggetti passivi diventano protagonisti di quella “Storia”, che per troppo lungo tempo li ha tenuti ai margini. Evidenzia il moto di risveglio, di riscossa dei contadini, espresso anche in quella che Carlo Levi definisce una Marsigliese del movimento contadino, “Sempre nuova è l’alba”. Non gridatemi più dentro, non soffiatemi in cuore i vostri fiati caldi, contadini. Beviamoci insieme una tazza colma di vino! che all’ilare tempo della sera s’acquieti il nostro vento disperato. Spuntano ai pali ancora le teste dei briganti, e la caverna, 38 39 Friedrik G. Friedmann, Mondo contadino e mondo arcaico, in Scotellaro trent’anni dopo cit. p. 26 Rocco Scotellaro, I contadini guardano l’aria, in Omaggio a Scotellaro cit. p. 18 23 l’oasi verde della triste speranza, lindo conserva un guanciale di pietra. Ma nei sentieri non si torna indietro. Altre ali fuggiranno dalle paglie della cova, perché lungo il perire dei tempi l’alba è nuova, è nuova.40 I contadini sono i padri operosi dell’umanità, per questa, proprio come buoni padri da sempre si sacrificano e sopportano. I contadini guardano l’aria e riescono a predire il tempo della mattina, a presagire se c’è qualcosa di nuovo. Rocco Scotellaro nello scritto “I contadini guardano l’aria” descrive in maniera molto bella il mondo contadino, un mondo nel quale entra ogni giorno, non violandone gli statuti, ma rispettandoli. Il poeta lucano comprende, ama e riesce a farsi interprete del mondo dei contadini. Dopo gli ultimi eventi, l’amministrazione, il carcere, matura sempre più in Rocco la volontà di lasciare Tricarico. Sempre presente è in lui la volontà di arricchire la sua esperienza di vita, oltre il desiderio di evasione è presente anche una necessità economica a determinare l’allontanamento dalla regione nativa. Dopo il lavoro di qualche mese da Einaudi ottiene un’occupazione dal professor Manlio Rossi Doria, presso l’osservatorio di Economia e politica agraria di Portici. Scotellaro collabora alla stesura degli studi preliminari del Piano regionale per la Basilicata, sotto commissione della Svimez, cura la parte relativa ai problemi igienico-sanitari (sotto la guida del dottor Mazzarone), la parte riguardante l’analfabetismo e la scuola. Insieme con Manlio Rossi Doria progetta la costituzione a Portici di un centro di sociologia rurale e di avviare studi di comunità rurali. Nel 1952 accetta, pur avendo un atteggiamento critico nei confronti del PSI materano, la candidatura per la provincia alle elezioni di maggio; in tale occasione non è eletto. Agli inizi di dicembre dello stesso anno con Carlo Levi viaggia in Calabria per verificare sul posto gli effetti della Riforma Agraria. Nel gennaio del 1953 aderisce ad una proposta di Tristano Codignola e collabora a “Nuova Repubblica”. Partecipa a Pisa ad un convegno promosso dai gruppi toscani di Giustizia e Libertà (tra cui ci sono Cassola e Capitini). Dopo aver viaggiato per i paesi della Basilicata e della Puglia (Tricarico, San Chirico, Accettura, Stigliano, Pisticci, Taranto, Lecce) con il fotografo Maraini, incontra, il 13 maggio a Bari, Vito Laterza, che gli propone di realizzare un libro sulla cultura dei contadini meridionali. Scotellaro abbozza un primo schema di lavoro, che consegna all’editore Laterza il 24 giugno. Nel breve scritto intitolato “Per un libro su i contadini e la loro cultura”, Scotellaro afferma: ‘i contadini dell’Italia meridionale formano ancora oggi il gruppo sociale più omogeneo e antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali, per la generale concezione del mondo e della vita.’41 Fin dall’inizio Scotellaro sceglie come metodo di ricerca quello delle interviste e dei racconti autobiografici. Vuole far parlare in prima persona i diretti interessati. 40 41 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 82 Manlio Rossi Doria, in Omaggio a Scotellaro cit. p. 270 24 Questo gli permette di ottenere documenti vivi e un’interpretazione più profonda della realtà contadina. L’impegno del libro è per l’intero Mezzogiorno. In un primo momento Rocco vuole limitare l’indagine a tre regioni soltanto, ma poi le porta a quattro, si tratta della Campania, la Calabria, la Lucania e la Puglia. In Campania si ferma a Nola dove abbozza una prima biografia, e nella Valle del Sele, dove vive il giovane bufalaro, la cui storia è presente in “Contadini del Sud”. Di ritorno dalla Sicilia dove ha ricevuto il Premio Borgese per le sue poesie, si ferma a Reggio Calabria, dove intende intervistare donne raccoglitrici di olive a Polistena, di gelsomino a Brancaleone, di bergamotto a Melito, portatrici di sale di Bagnara e poi contadini piccoli affittuari delle colline alluvionate presso Reggio, poveri sfollati di Africo, greci di Rogudi, piccoli assegnatari di Caulonia. Dal 10 luglio al 4 agosto è in Puglia, dove viaggia nel Salento passando per Lecce, Tricase, Alessano, Leuca, Patù e Taranto per arrivare a Bernalda e Matera. Le quattro vite ultimate e pubblicate in “Contadini del Sud” riguardano contadini di Tricarico e della frazione di Calle. Da un elenco di capitoli ritrovato e scritto due giorni prima di morire si evince un progetto di ampio respiro. L’ordine dei capitoli ritrovato è il seguente: 1. 2. 3. 4. I contratti agrari (Beneventano); La rivoluzione insubordinata (Montano Altilia nel Cilento); Le roccaforti comuniste (Cerignola, Andria, Irsina); La grande Reggio (Reggio Calabria, Rosario Valaniti, San Gregorio, il Lazzaretto, ecc.); 5. Il profumo del Sud (bergamotteti e gelsomini); 6. Obelischi e piantine di tabacco (Salento); 7. Il mare d’olio (Taurianova, Palmi,ecc.); 8. L’oro bianco (zone canapicole) 9. Le ceneri del Vesuvio (San Vito e Terzigno); 10. Il mini fondo (Avigliano, Ruoti e frazioni)42 Mentre procede nel suo lavoro Rocco acquista consapevolezza della varietà e complessità del mondo contadino, per questo decide di non realizzare un’inutile ricerca estensiva, ma studia e analizza alcuni ambienti particolari per poi rappresentarli attraverso diverse vite e interviste individuali. L’inchiesta sui “contadini meridionali e la loro cultura” è un’iniziativa di conoscenza scientifica e non di letteratura o di folclore, quindi le pagine dei contadini lucani o campani o pugliesi devono essere leggibili e comprese da qualsiasi lettore italiano, qualunque sia la regione di provenienza. Rocco nell’affrontare il lavoro resta comunque poeta. La ricerca sociologica, proprio come la vita con le speranze e le delusioni, è materia d’ispirazione e diventa poesia. Delle cinque vite pubblicate soltanto quella del bufalaro Cosimo Montefusco è scritta interamente da Scotellaro, le altre quattro sono dettate o scritte direttamente dai protagonisti. 42 Ivi, p. 277-278 25 Le autobiografie sono di gente di Tricarico: Antonio Laurenzana, piccolo affittuario e piccolissimo proprietario, scarsamente interessato alla politica, forse socialista; Andrea Di Grazia, piccolo proprietario coltivatore diretto, cattolico, democristiano; Michele Mulieri, contadino-artigiano, indipendente e anarchico; Francesco Chironna, mezzadro, innestatore e potatore specializzato, indipendente politicamente, di fede evangelica. Il lavoro sociologico è rimasto incompiuto per l’improvvisa e prematura morte di Scotellaro. Il 5 dicembre con l’amico Antonio Albanese da Irsina giunge a Tricarico. Rocco sta già molto male; amici medici accertano che la pressione è a 60. Nei giorni successivi le sue condizioni di salute migliorano, tanto che i medici acconsentono ad un suo viaggio a Napoli, dove deve sottoporsi ad una serie di analisi. Insieme con Manlio Rossi-Doria parte il 12 dicembre da Tricarico. Rimane a casa dell’amico due giorni, per poi partire diretto verso Portici dove deve rimettersi al lavoro. Il 13 dicembre scrive l’ultima poesia dedicata alla madre: “Tu sola sei vera” Colei che non mi vuol più bene è morta È venuta anche lei a macchiarmi di pause dentro. Chi non mi vuol più bene è morta. Mamma, tu sola sei vera. E non muori perché sei sicura.43 La sera del 15 dicembre, durante la cena, si sente male, si porta la mano alla testa e con un’espressione di dolore cade a terra. Muore immediatamente alle otto e mezza. Il poeta lucano nell’ “Uva Puttanella” a proposito di Pasquale il fuochista, morto suicida, scrive: (…).Il prete non volle ragionare con me il suicidio, io capii infine, era l’unico fatto degli uomini che la chiesa rispettava e fui contento che Pasquale non andasse in chiesa e corresse senza campanelli e acqua santa e giaculatorie, al suo riposo. Andai a rileggermi il libro di quegli anni al punto che dice “Quando presterai qualsivoglia cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno; te ne starai di fuori, e l’uomo a cui avrai fatto il prestito, ti porterà il pegno fuori. E se quell’uomo è povero, non ti coricherai, avendo ancora il suo pegno. Non mancherai di restituirgli il pegno, al tramonto del sole, affinché egli possa dormire nel suo mantello, e benedirti; e questo ti sarà contato come un atto di giustizia agli occhi dell’Eterno, ch’è il tuo Dio” (10-13, cap.24, Deuteronomio).44 Anche Scotellaro, morto, non è entrato in chiesa, e al suo riposo è andato senza campanelli, acqua santa e giaculatorie; accompagna il feretro un nutrito corteo di familiari, di amici e risuona come una ninna nanna di morte il lamento funebre di braccianti, di contadini, di artigiani, la sua tanto amata gente. 43 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 46 Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, Contadini del sud, Prefazione di Carlo Levi, Bari, Laterza, 1986, p. 43-44 44 26 Capitolo III L’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli Rocco Scotellaro incontra Amelia Rosselli durante il convegno su “La resistenza e la cultura italiana”, svoltosi a Venezia il 22-24 aprile 1950. Amelia ha vent’anni, Rocco ventisette. Rocco Scotellaro, uscito da un mese dal carcere, sta vivendo un periodo di disillusione; Amelia Rosselli vive a Roma, alla ricerca di un lavoro. Scotellaro annota gli eventi all’interno dei “Taccuini”, esordendo con una considerazione personale sui convegni, che può valere per tutti: “Sono molto pratico dei convegni: quando è solo necessario assicurare la propria presenza, si può pensare ad altro, perché gli applausi o i commenti sgradevoli non ti toccheranno”.45 Dopo descrive il viaggio in treno e l’arrivo a Venezia “che il sole metteva” 46, ossia al sorgere del sole, all’alba. Dalla stazione ferroviaria Rocco si dirige alla segreteria e poi all’albergo assegnatogli. Vive la “prima traversata della vita, su un vaporetto che ti tiene dentro proprio come una vasca”47. Descrive una “città già sveglia”, quando il sole non è alto nel cielo, “non tocca ancora le case”48. Durante il convegno Rocco si siede accanto ad una signorina dal “volto biondo come una lampada, i capelli corti tagliati alla nuca”49, il portamento altero e lo sguardo eretto dinnanzi a sé. Per il giovane poeta lucano “incontrarsi o star vicini e poi dire una parola è rompere con i miti”50. È subito impressionato positivamente dalla “ragazza nella bellezza bianca”51, un mito per lui. Non è soltanto la bellezza e il portamento a impressionarlo e affascinarlo, ma soprattutto il comportamento non remissivo, ma cortesemente partecipativo alle questioni che si affrontano durante il convegno. Rocco Scotellaro esprime in altre occasioni il fascino esercitato su di lui da donne dall’aspetto fisico e dal comportamento differente da quello delle donne contadine del suo paese. Le donne contadine hanno una grande forza, svolgono lavori molto duri, ma hanno compiti ben determinati, che le vede impegnate nei lavori casalinghi o nel lavoro dei campi. 45 Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco.Un epistolario,a cura di Franco Vitelli, “Lo straniero”, 13/14 (2001), p. 254 46 Ivi 47 Ivi 48 Ivi 49 Ivi 50 Ivi 51 Ivi 27 Nel racconto “Fili di ragno”, Rocco è innamorato di Tilde (l’aiuto svizzero all’Italia): Allora venisti tu. Ti vidi in una macchina lucida, di profilo. Erano i tuoi capelli, era la tua carne bianca e lentigginosa. (…) ricordo come ti rispondevano gli interpellati fissandoti la faccia bianca e lentigginosa, meravigliandosi della tua bellezza e che il tuo corpo lungo era impegnato in quelle minute faccende. (…)52 La meraviglia dei compaesani di Rocco per una donna dalla carnagione chiara e dal corpo snello è la sua stessa meraviglia. Scotellaro è attratto da una donna dalla bellezza nordica e non mediterranea, è affascinato da una donna che svolge un lavoro intellettuale e non un lavoro manuale. La pelle delle donne contadine non è chiara e liscia, ma ruvida per la pioggia e il vento e cotta dal sole. L’innamoramento per una donna straniera diventa un topos della poesia di Scotellaro. Il poeta lucano scrive: “Per una donna straniera che se ne va” 53, dichiarazione di amore a una straniera” “Una …………………….. Senti le nostre donne il silenzio che fanno. Portano la toppa dei capelli neri alla nuca hanno tutto apparecchiato le mani nel grembo per l’uomo che torna dalla giornata54. Le donne della realtà contadina hanno un atteggiamento remissivo, non pongono interrogativi, attendono ossequiose il ritorno degli uomini. È evidente il contrasto con la ragazza “che agita appena un dito quando sorgeva un problema, e riporlo sul grembo dopo la risposta”55. La signorina “mito nella bellezza bianca” non è una ragazza qualsiasi, è la figlia di Carlo Rosselli. Rocco Scotellaro apprende il nome della ragazza (pronunciato con accento inglese) e rimane confuso. Non sa se prova un sentimento d’amicizia, se è legittimato a sentirsene innamorato, o piuttosto se deve venerarla, in quanto “figlia di un grande martire che parlava più di tutti in quel convegno”.56 Rocco vede rivivere in Amelia gli ideali del padre Carlo Rosselli57, di cui avverte chiara la contiguità. Esiste un’affinità ideologica tra Carlo Rosselli e Rocco Scotellaro: Rocco non ha una cultura marxista, ma ha letto le opere di Rosselli, “Socialismo liberale”, e 52 Rocco Scotellaro, Fili di ragno, in Uno si distrae al bivio, prefazione di Carlo Levi, Matera, Basilicata editrice, 1974, p. 54 53 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 49 54 Ivi, p. 50 55 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 254 56 Ivi 57 Vedi Carlo Rosselli fine del presente capitolo 28 “Oggi in Spagna, domani in Italia”(nuova edizione degli scritti rosselliani), ha inoltre avuto contatti con i gruppi toscani di “Giustizia e Libertà”. Carlo Rosselli è in polemica con il materialismo economico di stampo marxistico, ritiene il socialismo essere tensione verso la libertà e l’emancipazione del maggior numero di uomini, quindi il suo socialismo non è in contrasto con il liberalismo, ma ne rappresenta il logico sviluppo. Il “revisionismo socialista”di Carlo Rosselli deve piacere molto a Rocco Scotellaro. Rocco incontra Amelia Rosselli, la figlia del “suo ideale politico”. Quando si presenta ad Amelia-Marion è già noto come il “sindaco-poeta”, la giovane donna conosce la sua opera poetica “Mi sapeva. Lesse le mie poesie” 58; in seguito accenna dei giudizi sulla poesia scotellariana non completamente positivi “Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri: ciò che mi permise uno scambio di sguardi che mi fece più ardito”59 La seconda sezione dei “Taccuini” è intitolata “La grande batosta di Venezia”. Il convegno passa in secondo piano, non è importante quanto l’incontro con una donna; Rocco scrive: “In breve non si tratta di un convegno, ma di una donna e me”60. Amelia–Marion appaga il desiderio di Rocco, che da sempre desidera una donna dominante. Amelia (chiamata sempre con il nome della madre, Marion), è la donna alla quale Rocco può offrirsi come un servitore soggiogato e a lei sottomesso. Amelia-Marion è per Rocco “la più grande batosta dell’anima”61;prova grande ammirazione, ma anche soggezione, forse prova un sentimento d’inferiorità nei confronti della Rosselli: Mi sento schifoso a confronto della sua bellezza. È una bellezza intera, perché anche dentro deve star bene. (…) Intanto lei nel suo splendore pare che abbia gli occhi in alto, in alto. Sorride da lontano, la sua voce ha un suono d’uccello che non si preoccupa di essere ascoltato. Io sono fuori di lei.”62. Queste sono le opinioni, i sentimenti suscitati dal primo incontro con Amelia, ma ben presto Rocco comprende l’angoscia, la sofferenza che tormenta l’anima, la vita della giovane donna fino a paragonarla alle figure sacre: “Non mi è mai capitato di vedere i santi o la Madonne o Gesù Cristo che si muovono, che appaiono ai bambini, agli uomini, alle donne che restano inchiodati per terra e non vogliono sapere più del mondo. Ma una ragazza è capace? Non voglio inginocchiarmi a lei. Chi è?”.63. Afferma di avere una morale da bigotta: la spoglia, la paragona alla “solita ragazza illibata dagli occhi melanconici e dalla carne che aspetta ancora di essere toccata”64. 58 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 255 Ivi 60 Ivi 61 Ivi 62 Ivi 63 Ivi 64 Ivi 59 29 Ma è l’amica “che si salva e vince, va in alto, guardo lontano e mi annienta, io sono a terra”65. Quello scritto in seguito da Scotellaro non ha semplicemente un tono di sottomissione, ma è ai limiti del masochismo: “Sconfitto, dico male parole, mi abbandono per difendermi, ai gesti volgari, potrei –senza volerlo dirle: Donnaccia! Ma non me la sento, mi amerebbe, io le andrei sotto per farmi pungere a sangue. No, questo no. Allora scappo via, in cerca di amici, c’è buio, il suo splendore è, per lo meno, nascosto”66. Tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli intercorre uno scambio di opinioni e conoscenze letterarie. La Rosselli ha già opinato in modo non proprio lusinghiero a proposito della poesia di Scotellaro, poi si delinea la volontà di dargli da leggere un libro di versi di Eliot, molto probabilmente “Four Quartets” pubblicato nel 1944 dalla Faber and Faber di Russel Square a Londra. Possono rinvenirsi delle similarità tra la produzione poetica di Amelia Rosselli e quella di Thomas Stearnes Eliot anche nel richiamo reciproco a Cavalcanti. Il primo verso di un componimento di Amelia Rosselli Perché non spero tornare giammai nella città delle bellezze eccomi di ritorno in me stessa. Perché non spero mai ritrovare me stessa, eccomi di ritorno fra delle mura. Le mura pesanti e ignare rinchiudono il prigioniero67 (“Variazioni belliche”) riprende quasi alla lettera l’incipit della ballata cavalcantiana: “Perch’i’no spero di tornar giammai, ballatetta, in Toscana, va tu, leggera e piana(…)”68 Se Guido Cavalcanti è la fonte più ovvia del componimento della Rosselli, il termine di confronto più interessante è T. S. Eliot. “Ash-Wednesday” di Eliot inizia con una traduzione del primo verso “Perch’i’no spero di tornar giammai” di Cavalcanti, il poemetto di Eliot è composto da sei parti, la prima e l’ultima iniziano con versioni dello stesso incipit: Because I do not hope to turn again Because I do not hope Because I do not hope to turn Desiring this man’s and gift and that man’s scope69. Come Amelia Rosselli in “Perché non spero tornare giammai nella città delle bellezze”, così Eliot nel suo poemetto parte dal primo verso della ballata cavalcantiana, e lo utilizza come tema base per una serie di variazioni. 65 Ivi Ivi 67 Rosselli, Le poesie cit. p. 316 68 Guido Cavalcanti, in Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, I, Milano, Mondadori, 1969, p. 81 69 Thomas Stearns Eliot, Ash Wednesday, New York, Knickerbocker Press, 1930 66 30 Le “Variazioni belliche” di Amelia Rosselli hanno aspetti innovativi, che rientrano nelle linee della musica d’avanguardia, ma anche un forte legame con la tradizione: da una parte è presente la volontà di innovazione radicale, dall’altra il desiderio di sentirsi ancorata alla tradizione. La forma creata dalla Rosselli ha dei forti legami con le forme poetiche classiche della tradizione: predilige una specie di neo-sonetto. Anche dal punto di vista musicale l’idea base di un tema e di variazioni è antica, essendo una consuetudine diffusa fin dal Rinascimento. La forma della poesia di “Variazioni” (“Variazioni Belliche”) si rifà a schemi musicali classici; la poetessamusicista confida di aver suonato prima un preludio di Bach o di Chopin, per poi interpretarlo in forma poetica. Thomas Stearne Eliot è un poeta dal forte carattere classicista, ma inteso in senso moderno. In “Ash-Wednesday” T. S. Eliot si rifà a Cavalcanti, ai poeti del Trecento italiano, a Dante, ai Vangeli e al Vecchio Testamento. Il rimando alla liturgia romana non è una scelta religiosa o ecclesiastica, ma tematica e poetica; riflette la necessità eliotana di innestarsi nel terreno della tradizione classica, rivisitata in forma moderna. Questo modello attrae i poeti italiani come Eugenio Montale e Amelia Rosselli. “Perché non spero di tornare giammai nella città delle bellezze” della Rosselli non è un riferimento diretto a Cavalcanti, ma un riferimento indiretto ad Eliot. La ballata cavalcantiana è tradotta due volte, una prima volta da Eliot in inglese e poi una seconda volta dalla Rosselli in italiano attraverso il poemetto di T. S. Eliot. La Rosselli è, perciò, vicina ad Eliot non sul piano testuale, ma per un’affinità di stile, nella maniera di realizzare il rapporto con la tradizione. L’influenza di Thomas Stearns Eliot su Rocco Scotellaro può rinvenirsi nel tentativo di realizzare una poesia salmodica. Scotellaro nell’ultimo periodo della sua breve esperienza poetica assume come modello ideale di poesia il “salmo”, la sua produzione poetica si caratterizza per i connotati biblici e corali. Dopo il 1950 la poesia salmodica di Scotellaro diventa “un pianto senza speranza”. Il poeta lucano medita sul suo fare poesia e così la sua stessa poetica diventa salmodica. Nei “Frammenti e appunti” dai quaderni dell’“Uva puttanella”, Scotellaro scrive: Il tema? Io; sempre io? Non può essere diversamente. E noi? È equivalente come tutto. Cominciamo i soliti ritmi. Deve scegliere la forma per esprimere l’io e il noi Epica: è falsa, ora. Elegia: è facilissima. Ode: per chi e che? Sonetto: ci vuol pace e molti giorni di incubazione, non delle rime, del fatto. Canzone: sono solo. Comizio: idem. Epicedio: i morti sono freddi. Salmo: sto per arrivarci, ma l’ignoto è lontano. Vada per una specie di salmo70. Di questa tensione e aspirazione poetica è la poesia “Salmo alla casa e agli emigrati”, scritta a Portici, il 7 novembre, del 1952 Inchinati alla terra, alla piccola porta mangiata della casa, noi siamo i figli e la porta è carica di altri sudori, 70 Scotellaro, Uno si distrae al bivio cit. p. 132-133 31 e la terra, la nostra porzione, puzza e odora. Mi uccidono, mi arrestano, morirò di fame, affogato perché vento e polvere, sotto il filo della porta, ardono la gola; nessuna altra donna mi amerà, scoppierà la guerra, cadrà la casa, morirà mamma e perderò gli amici. Il paese mio si va spopolando, imbarcano senza canzoni con i nuovi corredi di camice e mutande i miei paesani. Che vanno a pigliare l’anello? Come nel giuoco sui muli bardati di coperte, e con le aste di ferro uncinate, al filo teso sulla rotabile, nel giorno di San Pancrazio? Ve ne andate anche voi, padri della terra, e lasciate il filo della porta più nero del nero fumo. Quale spiraglio ai figli che avete fatto quando la sera si ritireranno?71 Nel salmo la disfatta personale è anche quella del suo popolo; emerge limpida e forte una visione negativa della terra, che non ha niente da offrire ai “suoi figli”. Si prospetta un futuro senza speranza per la sua gente, funesto per lui. Il “popolo del sud” deve emigrare perché non c’è alcuna aspettativa per i “figli della terra”. Il 26 Marzo del 1951 (l’annotazione è nella sezione quinta dei Taccuini) Rocco Scotellaro, Amelia Rosselli e Manlio Rossi Doria incontrano Gaetano Salvemini a Sorrento, nella villa “La Rufola” della marchesa Giuliana Benzoni. In questa villa Gaetano Salvemini muore nel settembre del 1957. Gaetano Salvemini è stato storico e uomo politico, ha scritto varie opere tra cui “Le origini della reazione”, “I partiti politici milanesi del secolo diciannovesimo”, “La rivoluzione francese”. Ha svolto un ruolo antifascista molto importante col gruppo del “Non mollare”. L’ultimo lavoro a cui attende è la raccolta dei suoi “Scritti sulla questione meridionale 1896-1955”, del 1955. Così Rocco Scotellaro descrive Gaetano Salvemini nei suoi Taccuini: Salvemini, Don Gaetano lo chiama, abbracciandolo Rossi-Doria: ha la barba un grano tenero, marzolino, si vede la pelle sotto. Gli occhiali sono aderenti come due grosse monete: l’occhio sinistro è più piccolo, sta fermo pare inanimato, quello destro è mobile, paterno, largo, raccoglie intorno e dona. Pare subito che l’occhio sinistro è il padrone dello sguardo; nella immobilità sono le riserve, e l’indecisione di Gaetano Salvemini.72 Salvemini sta preparando il discorso commemorativo sui fratelli Rosselli. A villa “La Rufola” si parla di politica; Salvemini per le elezioni amministrative di Firenze auspica la candidatura di Gaetano Pieraccini. Il barone Ruffino afferma che bisogna adoperarsi da subito per la salvezza dell’Italia dal “governo democlericale” e per il rilancio dell’ “alternativa democratica”. In seguito Amelia Rosselli incontra gli studiosi con i quali Rocco Scotellaro lavora presso l’Osservatorio di economia e politica agraria di Portici; non prova 71 72 Scotellaro, È fatto giorno cit. 137-138 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 256 32 simpatia nei loro confronti, suggerisce a Rocco di andare via da lì, perché “i soldi sono l’ultima cosa”. Scotellaro affronta una questione importante e delicata, il rapporto tra Amelia Rosselli e la madre. Marion Cave è una giovane inglese, cresciuta in ambiente liberal-laburista; giunge a Firenze, per la tesi di laurea, si guadagna da vivere dando lezioni d’inglese al British Institute. Dopo aver conosciuto Gaetano Salvemini, in questo istituto, si unisce al gruppo di giovani formato dai fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Ludovico Limentani, Piero Jahier e altri; la sua funzione principale è quella di occuparsi della dattilografia e dell’archivio del “Non Mollare”, il primo foglio antifascista. Il 25 luglio 1926, con rito civile, Carlo Rosselli sposa Marion Cave. L’8 luglio 1927 Marion dà alla luce nella casa fiorentina di via Giusti il primogenito John, Mirtillino per i genitori. La secondogenita Amelia, Melina per i genitori, nasce il 28 marzo 1930. Il 12 marzo 1931 nasce il terzogenito Andrea (Aghi). Marion Cave, sofferente di cuore, ha un peggioramento delle condizioni di salute. Quando Amelia ha quindici anni la madre ha un embolo, non la vede per lunghi periodi. Marion Cave Rosselli muore a Londra nell’ottobre del 1948. Riferisce Scotellaro: Quando morì la madre le andarono in bocca le parole della lingua della fanciullezza “les choses vont à changer”. Non si erano mai detto l’amore che si volevano. Da bambina la stuzzicava al limite della fronte, dove i capelli scendono a punta e sconsolata doveva dire “Così era lui”. Ma si odiarono nel dubbio reciproco di non amarsi; sciupando tutti quei momenti di una carezza, di una sguardo, di una parola, che sono a portata di mano nella vita e uno li sciupa e li butta via, eppure non c’è altro che conti. Dieu veux que Tu lui lit en face Rien n’est bien Si ta mère ne te laisse pas L’illusione che morta lei, le cose cambiassero è scontata. Niente è buono, ora che tua madre ti ha lasciato.73 Amelia Rosselli ha perso, in modo violento, il padre in tenera età, ha avuto un rapporto non idilliaco con la madre. Madre e figlia non si sono rivelate l’affetto, temendo di non amarsi reciprocamente, si sono odiate. La paura d’amare, di rivelare l’amore e manifestare l’affetto le ha tenute distanti. La poetessa non ha sofferto soltanto l’assenza fisica del padre, ma anche quella affettiva e fisica della madre; ha avvertito un senso di non corporeità non solo con riferimento al padre, ma anche alla madre. Scrive ancora Scotellaro “Si mise a piangere a tavola: mi avessero dato l’affetto che mi dovevano. Oh no avrei dovuto morire con loro forse”.74 73 74 Ivi, p. 257 Ivi, p. 260 33 La radice della sofferenza di Amelia è nell’infanzia: oltre al trauma subito all’età di sette anni, la morte tragica e violenta del padre e dello zio, ha sperimentato una carenza affettiva, non ricevendo l’amore e l’affetto di cui ogni bambina, ogni adolescente, ogni persona ha bisogno. Prova sentimenti contrastanti, sente di non essere stata amata abbastanza, avverte come un senso di colpa per non essere morta, per essere viva, per essere sopravvissuta ai suoi genitori, ai suoi familiari. L’assenza dei genitori, la carenza affettiva porta Amelia a interrogare e interrogarsi sull’amore, sul dare e ricevere, sulla giustizia, sulla libertà d’amare e di scegliere. Figlia di un amore che ti divorò fui mai quella che scelse? O che travolse in un gaudio completo? La libertà di ricevere e di dare è dei pochi-altri combattono delusi, con sé stessi e la loro verginità, combattuta, imbattuta. ……………………………………… È la giustizia un caso di coscienza? È l’amore un possedere troppo voracemente? Nelle notti che passano come bianchi lenzuoli vi è un’urgenza che ci divora malgrado le molte premesse ad una vita interamente dedicata alla ragione.75 (“Documento”) La possibilità di vivere una vita se non proprio felice almeno serena è andata perduta ………………………………………. Contaminata la gioia da parenti illustri un dovere in più illustra situazioni che non vengono chiarite: sei tu! A non chiarirle: donna ed amore, forza o poliziotto: guerra o revisione tutti sistemati in un intero mondo verde di lusinghe al povero e all’imbarazzato che non potendo pane ai denti e al cuore portare illustra sgabellando la sua intera moralità.76 (“Documento”) Amelia Rosselli in “Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath” confuta la tesi di Rossana Rossanda, (presente nella recensione del volume “Lettere alla madre” pubblicato da Guanda nel 1979), secondo cui tra Sylvia Plath e la madre Aurelia Shober esiste addirittura un rapporto truce. La Rosselli interpreta in maniera differente il rapporto madre-figlia: (…) Chi era Sylvia Plath? E chi era sua madre? Di quest’ultima, Aurelia Schober, si sa soltanto che, d’origine piccolo borghese, dopo essere rimasta vedova, 75 76 Rosselli, Le poesie cit. p. 459 Ivi, p. 467 34 s’attenne alla sua passione per le lettere, pur sacrificandola in parte per metter su famiglia assieme a un tedesco polacco (…). Se la Rossanda analizzava lo spirito tipicamente ottimista e pseudo-candido delle lettere di Sylvia alla madre, scritte in quel particolare stile che molte ragazze americane pensano essere doveroso per tirar su il morale delle loro madri rimaste sole, e specie in quelle lettere scritte tra i venti e i ventiquattro anni, è perché in un certo senso le “conviene” analizzare il rapporto madre-figlia in un solo senso: dimenticando che anzi quando la Plath si sposa, lo stile delle lettere acquista a volte un tono più pacato e riflessivo e non più giubilare.(…) La Rossanda, pur mettendo il dito sulla piaga per quanto riguarda l’infelicefelice giovinezza americana di Sylvia Plath (che si sforzava di nascondere la sua diversità di creatrice ed artista in ambienti che poco favorivano l’eccentricità del suo talento), non rivela che il romanzo semibiografico della Plath (“La campana di vetro” del 1961-1963, trad. ita. Mondadori 1968) scritto per ragioni purtroppo commerciali, fu nettamente ripudiato dalla poetessa, che di questo avvertì la madre. E bene fece Aurelia Schober – insegnante di liceo, poi segretaria e stenodattilografa - a cercare, dopo la morte di Sylvia, di toglierlo dalla circolazione non perché, come sostiene la Rossanda, vi sia (in un sol punto) risentimento della figlia nei suoi confronti, ma soprattutto perché l’ovvietà dello stile e dell’analisi biografica commercializzata è di tale discrepanza rispetto all’alto valore e all’invidiabile acutezza della poesia della Plath da lasciare sbalorditi che l’autrice si sia ingenuamente venduta per quei pochi soldi che un romanzo, al dunque neppure un bestseller, poteva fruttarle.(…) Se proprio dobbiamo commentare in senso psico-biografico le lettere e la vita della Plath possiamo soltanto aggiungere che non è certo la madre Aurelia che dev’essere ritenuta responsabile, come è stato più volte fatto di quell’inevitabilmente riuscito suicidio del 1963.(…) Non dimentichiamo del resto che fondamentale (probabilmente) resta nella Plath il non chiarito problema del padre, perso quando lei aveva nove anni, e mai ritrovato in forma “sostitutiva”. E dunque male o mai risolto psicologicamente quel suo problema di fondo, visto che il trauma infantile e poi adolescenziale (gli ospedali psichiatrici, gli elettroshock) ad esso aggiunto è un duplice trauma non risolvibile attraverso la “confessionalità”(…). Così, dalle lettere e dalla biografia d’una poetessa di tanto inusuale talento, forse una sola interpretazione è ricavabile: se accusando simbolicamente “la madre” si accusa in sua vece una società terapeuticamente ignorante e meccanicistica e quel che è peggio, incosciente nel suo matriarcato di stampo capitalistico (…).77 Sylvia Plath per alcuni versi può considerarsi un alter-ego di Amelia Rosselli, che vede nella poetessa americana la proiezione di alcuni aspetti di sé stessa: la perdita del padre in tenera età, un rapporto difficile con la madre, poi rivalutato, i traumi adolescenziali e infantili (gli ospedali psichiatrici). 77 Amelia Rosselli, Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath, “Poesia”, 44 (1991), p. 2-5 35 Per altri aspetti Sylvia Plath è molto diversa dalla Rosselli, avendo avuto una vita matrimoniale e famigliare completa. L’atto finale della vita, il suicidio, accomuna le due poetesse. “Per il suicida che ero io mi rassegnavo”78 (“Variazioni”) Forse rivalutare il rapporto della Plath con la madre è per la Rosselli la maniera di rivalutare il proprio rapporto con la madre. A tale proposito è significativo che Rocco Scotellaro si rivolga alla Rosselli chiamandola sempre con il nome materno, Marion. La figura della madre è molto presente nell’opera e nella vita di Rocco Scotellaro. Nel racconto giovanile “Uno si distrae al bivio” le esperienze amorose del protagonista Ramorra (Rocco Scotellaro) sono legate al sentimento materno. Ramorra vive il suo primo amore avvertendolo come un tradimento nei confronti della madre. Nel vicinato giocava a marito e moglie con molte bambine che se lo litigavano, a quattordici anni si fidanzò con una ragazza lontana da casa sua e l’amore era un’altra cosa. Se la sbaciucchiava, sul collo, sulle orecchie e sui denti, ma non l’amò a dovere.(…). E quando ritornava a casa e guardava sua madre, pensava di tradirla, e se per caso partiva, faceva tanto che la mamma non la baciasse.79 È presente il desiderio di vivere un amore tanto grande da poter giustificare il sacrificio della morte della madre. ”Potere amare una fanciulla cui dire: Per te domani mi possa morire mia madre. Farmi scompigliare dalle sue mani i radi capelli, amorevolmente”80 Emerge un desiderio edipico di ritornare ad essere feto: “Nel suo grembo, come in quella di mia madre un tempo viaggiare nei sogni contento”.81 Ramorra si identifica con la madre, ravvisando in lei il suo stesso desiderio di vivere diversamente, di evadere da una realtà troppo stretta. Dopo c’è la pronuncia di una bestemmia “Muorimi mammamia che ti vorrò più bene!”82 L’assenza, la privazione affettiva e fisica, può amplificare l’affetto che nutre nei confronti della madre. Rocco Scotellaro scrive la poesia 78 Rosselli, Le poesie cit. p. 216 Scotellaro, Uno si distrae al bivio cit. p. 18 80 Ivi, p. 22 81 Ivi 82 Ivi, p. 39 79 36 “A una madre” Come vuoi bene a una madre che ti cresce nel pianto sotto la ruota violenta della Singer intenta ai corredi nuziali e a rifinire le tomaie alte delle donne contadine? Mi sganciarono dalla tua gonna pollastrello comprato alla tua chioccia. Mi mandasti fuori nella strada con la mia faccia. La mia faccia lentigginosa ha il segno delle tue voglie di gravida e me la tengo in pegno. Tu ora vorresti da me amore che non ti so dare. Siamo due inquilini nella casa che ci teniamo in dispetto, ti vedo sempre tesa a rubarmi un po’ d’affetto. Tu che a moine non mi hai avvezzato. Una per sempre io ti ho benvoluta quando venne l’altro figlio di papà: fu venduto a due sposi sterili che facevano i contadini in un paese vicino. Allora alzasti per noi lo stesso letto e ci chiamavi Rocco tutt’e due.83(1948) Nella poesia “Casa” del 1951 Rocco Scotellaro scrive: Come hai potuto, mia madre, durare gli anni alla cenere del focolare, alla finestra non ti affacci più, mai. E perdi le foglie, il marito, e i figli lontani, e la fede in dio t’è caduta dalle mani, la casa è tua ora che te ne vai.84 Ne “Il grano del sepolcro”, poesia scritta a Portici nel Marzo del 1951: 83 84 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 55-56 Ivi, p. 113 37 È cigliato nello stipo il grano del sepolcro per Gesù bendato. Verrà giugno, morirà anche mia madre, voglio portarle spighe spigolate dentro il suo scialle sacro che per altro non avrò toccato. Allora la casa sarà la via che mi mantiene: non morire mammamia, che ti vorrò più bene.85 L’ultima poesia, scritta da Rocco Scotellaro, pochi giorni prima di morire, di cui esiste una versione del 2 marzo 1950, più complessa, è “Tu sola sei vera”, dove contrappone una donna di cui è innamorato: Colei che non mi vuol più bene è morta. È venuta anche lei A macchiarmi di pause dentro. Chi non mi vuol più bene è morta Mamma, tu sola sei vera. E non muori perché sei sicura.86( 13 dicembre 1953) La madre di Rocco Scotellaro, Francesca Armento, ha scritto i “Racconti sconosciuti” e “Lettera al figlio”. Carlo Levi, scherzando con il giovane lucano, afferma che il vero poeta non è lui, ma la madre. Nella parte conclusiva della sezione quinta dei “Taccuini”, Scotellaro annota un suggerimento, fattogli da Amelia Rosselli Scrivi-disse un’altra volta 1) abboccando l’aria che ti sta intorno 2) senza il tempo di dieci anni fa senza l’esaltazione per i venti anni fra Né dieci anni fa, né venti anni fra.87 Per la Rosselli si realizza un annullamento temporale. Svanendo il ricordo del tempo andato, non esiste passato; non avendo alcuna aspettativa per il tempo avvenire, non esiste futuro. Vive in una dimensione atemporale, in cui non esiste il ricordo del passato, né l’attesa e la speranza nel futuro. Non ricordare il passato, né sperare nel futuro, può far vivere e godere il presente, è il “carpe diem” di oraziana memoria. Ma per lei non è così, lo scorrere del tempo è insieme persistenza angosciosa e perdita, identificazione di un presente perduto nell’atto stesso in cui lo s’identifica “Cara vita che mi sei andata perduta con te avrei fatto faville se solo tu non fosti andata perduta”.88(“Documento”) La sezione sesta dei “Taccuini” è intitolata “Pace e disamore”. 85 Ivi, p. 113-114 Ivi, p. 146 87 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 257 88 Rosselli, Le poesie cit. p. 466 86 38 Affiora la volontà di Rocco di lasciare l’Italia, nel suo paese natale, Tricarico, non vive più. Scotellaro riferisce “Vado girando l’Italia, per sapere dove posso prendere il “Lippo”, come una pietra, pietra che non si posa non piglia lippo”.89 È alla ricerca di un ruolo, di una funzione da assolvere. Non ha conseguito la laurea, non ha un lavoro fisso, l’esperienza politica lo ha deluso. A ventottoanni è “senza arte né parte”.90 Si è disinnamorato da quella passione politica, che prima lo ha infiammato. Vive un periodo non di illusione, ma di disillusione, confortato dalla memoria del padre, morto il 14 maggio 1942. La figura paterna, come quella della madre, è ricordata sovente da Rocco nella sua poesia, scrive varie poesie dedicate al padre, “La benedizione del padre”, “Nel trigesimo di mio padre”. Nella poesia “Mio padre” ne ripercorre alcune tappe della vita, ricorda il lavoro di calzolaio, l’evento durante il quale uccise un uomo, descrive gli ultimi attimi di vita, il malore che lo colpisce, e la memoria di brav’uomo tipica di ogni uomo che, abbandonata la vita terrena, è affidato all’eternità. “Mio padre” Mio padre misurava il piede destro Vendeva le scarpe fatte da maestro Nella fiere piene di polvere. Tagliava con la roncella La suola come il pane Una volta fece fuori le budella A un figlio di cane. Fu in una notte da non ricordare E quando gli si chiedeva di parlare Faceva gli occhi piccoli a tutti. A mio fratello tirava i pesi addosso Che non sapeva scrivere I reclami delle tasse. Aveva nelle maniche pronto Sempre un trincetto tagliente Era per la pancia dell’Agente. Mise lui la pulce nell’orecchio Al suo compagno che fu arrestato Perché un giorno disperato Mandò all’ufficio il suo banchetto E sopra c’era un biglietto: “Occhi di buoi fatigate voi”. Allora non sperò più Mio padre ciabattino 89 90 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 258 Ivi 39 Con riso fragile e senza rossore Rispondeva da un gradino ‘Sia sempre lodato’ a un monsignore. E si mise già stancoDal largo mantello gli uscivano gli occhiA posare sulla piazza, di fianco, a difesa degli uomini che stavano a crocchi. E morì-come volle-di subito, senza fare la pace col mondo. Quando avvertì l’attacco Cercò la mano di mamma nel letto, gliela stritolava, e lei capì e si ritrasse. Era steso con la faccia stravolta, gli era rimasta nella gola la parola della rivolta. Poi dissero ch’era un brav’uomo, anche l’agente, e gli fecero frastuono.91 Le altre poesie in cui Rocco Scotellaro parla del padre sono “Così papà mio nell’America”(1948), “Al padre”, “Papà mio”(1952). Esiste nella poesia di Rocco Scotellaro e in quella di Amelia Rosselli una vicinanza tematica: il dialogo con i morti, con i famigliari defunti. Per Amelia Rosselli quello con i morti è un rapporto tormentato, addirittura massacrante. “Dialogo con i morti” scendete voi, abbracciate questa vostra figlia che annaspa tra tomboloni e mussulmani che giocano con le sue braccia che invece, bianche, vorrebbero abbracciare o strozzare ma mai fallire questi colpi che diurnamente ricevono, pieni di lividi e lividamente promuovete una sete di dolcezza e aspra giustizia oppure non lasciate più ch’io tormenti (ed essi tormentano) questa mente che muore ad ogni istante piena di stretti nodi che ingombrano la sua piana marcia ad un paese più bello introvabile mentre muore lividamente anche la voglia di essere più belli di quello che si è Scendete, e scendete ancòra-e infilate Nella vostra banale gioia il significare D’una vita che ballonzola rattristata Dalla piena potenza del male degli Altri e del mio-il non sapere difendermi Da ottusa voglia. 91 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 58-59 40 Vivere un istante o mezz’ora e poi Ritrovarsi per una svista del pensiero Ancora più ingombra di inessenziali Rabbie! Voce in capitolo non ebbero le sagge mani: vi incontrai per poi farmi ostinatamente Massacrare da voi.92(“Documento”) Per Rocco Scotellaro il rapporto con i morti è sereno, infonde tranquillità e gioia. “Pace con i miei morti” ………………………… Allora so condiscendere Alle voci serene dei miei morti Che fecero la casa dove abito. ……………………………… Sono in pace con i miei morti, non voglio dormire, ma cantare.93(1949) Nella parte conclusiva della sezione sesta, tratta dai “Taccuini”, Scotellaro annota: “Mia cara Francis, aspetto la tua voce ora che squilla il telefono, la tua voce straniera che ti esce dai seni come è dolce e affannosa,(…)”.94 Francis è Amelia-Marion. Ripercorre i momenti del loro incontro e alcuni avvenimenti importanti della vita della sua amica: La incontrai a Venezia, in un aula del Comune, io battevo le mani, un amico mi disse:-Guarda c’è un posto libero siediti, ed è bella. Quanti eroi-disse lei le prime parole per conto suo, mentre io battevo le mani agli oratori. E se ne venne con me a mangiare. Seppi da altri che la conobbe e la salutò l’eroina che era stata anche lei in Francia, in Inghilterra, bambina che aveva seguito il cammino della guerra, perduto padre e madre e fratelli e ora era qui per quelli che erano morti lontani dalla patria, chi fucilato, chi straziato.95 La sezione sette sempre tratta dai “Taccuini” di Rocco Scotellaro, è scritta a Portici, il 13 novembre del 1952. Amelia-Marion gli ha confidato la sua intenzione d’iscriversi al PCI. Scotellaro condivide le intenzioni della Rosselli, ma è anche critico a tale riguardo, afferma il poeta lucano: “Posso dirti che hai ragione di avere simili tentazioni. Ciò vuol dire che cominci a occuparti di te occupandoti degli altri, come ho fatto io finora”.96 92 Rosselli, Le poesie cit. p. 487 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 83 94 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 260 95 Ivi 96 Ivi 93 41 Rocco scorge in Amelia la sua stessa ansia, la sua stessa volontà di occuparsi di sé stesso, attraverso la cura degli altri, ma è critico nei confronti dei partiti tradizionali, incluso PSI e PCI : “Faremo un altro partito, già lo siamo noi tanti membri sparsi. Noi siamo con la tentazione, ma anche con la nostra attiva presenza in questo o quel campo di attività, con i nostri atteggiamenti, un altro partito.”97 Bella e veritiera è l’affermazione: “Una tessera non si prende, in ogni caso, per disperazione, ma per entusiasmo.”98 Nella Rosselli c’è un filo rosso, che corrisponde a un “idealismo comunista”, questo percorre e unisce la sua esistenza e la produzione poetica. Quando Amelia, nel 1953, si stabilisce a Roma, si iscrive al Partito Comunista, intraprende un duro lavoro di base, prima nella sezione di Trastevere e poi in via dei Giubbonari; pulisce a terra, sistema le sedie, partecipa ai dibattiti politici con umiltà e al livello più basso. La Rosselli non ha ambizioni politiche; nel partito cerca un asilo, desidera appartenere a un gruppo, a qualcosa di grande, di cui condivide gli ideali, poiché è alla continua ricerca di un padre in forma sostitutiva, e di una famiglia adottiva. La Rosselli, nella sua poesia, esprime una tematica mutuata dalla cultura marxista; parla di partito: “L’amore che ci divide e ci unisce subisce incartamenti, spezie e riunioni di partito combattuto da storie di partito affatto trascurabili mentre m’addormentavo sul tovagliolo. ………………………………………..”99 di rivoluzione in “Ho venti giorni per fare una rivoluzione: ho altri venti giorni dopo la rivoluzione per conoscermi mio piccolo diario sentenzioso ……………………………….”100 Critica una certa condizione ironicamente la sua mercificazione aristocratica-elitaria dell’arte, condanna “Tento un mercato-poi ne tento un altro sorvolo sulle difficoltà e poi vi rimango impantanata: è come dire, si, se mi volete sarò come voi: la stessa pasta ai vostri affetti da ventriloqui! ……………………… 97 Ivi, p. 261 Ivi 99 Rosselli, Le poesie cit. p. 473 100 Ivi, p. 523 98 42 e spiegarti così, come se te lo chiedessero (e infatti oggi tutto è mercato). Ma se tutto è stato e sarà sempre mercato? Se volendo il mercato ti ritrovi rivoluzionario e volendoti rivoluzionario-capo ti ritrovi mercato? ……………………………….. Esitante ti riscrivi o riiscrivi all’aristrocazia-élite dei cervelli aristocratici: nessun conto in banca ma quel minimo assicurato ti predestina al forgiarsi rivoluzioni dei contenuti e tentativi di rivoluzione nei contenuti”.101 Per la Rosselli la divulgazione della poesia va estesa anche agli strati popolari, attraverso la lettura pubblica delle poesie, da parte degli stessi autori, questo è anche utile ai poeti per farli uscire da una situazione d’isolamento sociale. Nella poesia “Sciopero generale 1969” afferma il superamento di un “rapporto di tipo verticale”, dell’uomo verso l’alto, di un “rapporto solitario” dell’uomo con Dio, e rilancia il “rapporto dell’uomo con l’altro uomo”. La poetessa si rivoluziona nella gente, nella dimensione sociale “Sciopero generale(1969)” “lampade accesissime e nell’urlo d’una quieta folla rocambolesca trovarsi lì a far sul serio: cioè rischiare! Che nell’infantilismo apparente schianti anche il mio potere d’infischiarmene. ………………………… (Persi da me quell’amore al verticale, a solitario dio rivoluzionandomi nella gente asportandomi dal cielo.)”102 Pur appartenendo ad una classe medio-borghese, cerca sempre il contatto con il proletariato. È interessata alle opinioni ed agli insegnamenti che le vengono dalla gente umile e anche analfabeta. Frequenta poeti giovani e poveri: poeti-operai, poetidisoccupati, nella speranza di trovare in loro la poesia, ritiene che la poesia come la grazia sia concessa ai poveri, ai sofferenti, ai diseredati. Nella sua poesia sferra una critica contro la borghesia. In “Diario ottuso”, scritto nel 1968, il settimo capitolo è una condanna al mondo borghese. Entrare nel silenzio della borghesia a passi sicuri anche se apparentemente esitanti noi facciamo di noi stessi una specie di lavatoio pubblico: una querela 101 102 Ivi, p. 597 Ivi, p. 581 43 lasciata a metà, un inchiostro sbiadito dai secoli sulla pagina fiacca di lacrime mai versate.(…) Era importante, svegliarsi all’utilità del mondo, e sapere che quelle sue inutili domande non accettabili in un mondo di orari e di scopi incerti ma da prendersi come certi, erano fuori posto in quanto non controllabili, non utilizzabili come se non ci fosse mai stata risposta, o domanda.103 La borghesia non è tanto identificata in una classe o in una professione, ma è piuttosto una modalità di aderire alla vita; in “Improptu”: Il borghese non sono io che tralappio d’un giorno all’ altro coprendomi d’ un sudore tutto concimato, deciso, coinciso da me non altri – o se soltanto ………………………………. Nel verso impenetravi la tua notte, di soli e luci per nulla naturali, quando l’elettrico ballo non più compaesano distingueva tra chi era fermo, e chi non lo era. Difendo i lavoratori difendo il loro pane a denti stretti caccio il cane da questa mia mansarda piena d’impenetrabili libri buoni per una vendemmia che sarà tutta l’ultima opera vostra se non mi salvate da queste strette, stretta la misura combatte il soldo e non v’è sole ch’appartenga al popolo!”104 Il termine tralappio, nei versi iniziali, non esiste nella lingua italiana, è ottenuto dalla fusione tra il verbo tralasciare e il verbo acchiappare; il tralappiare indica il comportamento tipico del borghese, di tralasciare e acchiappare insieme. Scotellaro e il suo paese sono l’uva puttanella, piccola e matura, come gli acini piccoli, apireni sono messi nella tina del mosto il giorno della vendemmia, così il poeta lucano e il suo paese fanno parte dell’Italia, della “vendemmia della storia”. I libri impenetrabili e buoni della Rosselli servono per la “vendemmia”, l’ultima opera dei lavoratori, dell’umanità. 103 104 Amelia Rosselli, Diario ottuso, prefazione di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN editore, 1990, p. 40 Rosselli, Le poesie p. 643-644 44 Le lettere Nella sua lettera Amelia Rosselli parla di un libro prestatole e da restituire; consiglia a Scotellaro di leggerlo tutto. Il libro deve essere per lui “bibbia”, deve costituire la morale opposta al mondo di valori rappresentata da Portici, la sua “morale antiportici”. Questa è un’ulteriore prova della non simpatia, anzi dell’avversione di Amelia Rosselli nei confronti del lavoro svolto da Rocco Scotellaro a Portici. La poetessa usa un termine raro “disciplinamento” per definire il lavoro a Portici una sorta di tirocinio alla disciplina. Quando Rocco muore Amelia incontra il gruppo di studiosi-amici con cui Scotellaro lavora a Portici, s’avventa contro di loro, ritenendoli i responsabili del decesso del suo amico. All’interno della sua lettera afferma di essere di ritorno da Napoli, dove ha incontrato Carlo Levi; esprime il timore di trascorrere un periodo, da sola, in sua compagnia ad Alassio. La Rosselli conosce Levi attraverso Scotellaro, in seguito è Carlo Levi a presentarla a buona parte dell’ambiente politico-artistico della Roma degli anni cinquanta. Fornisce delle informazioni su un film da girare in estate e in autunno, anche Scotellaro entra in scena. La Rosselli chiede a Scotellaro di farle leggere un paragrafo o qualsiasi cosa che di nuovo abbia scritto. Da questa lettera si delinea la sua volontà di sperimentazione linguistica, di ricerca di un nuovo stile di scrittura poetica: “Almeno fosse una scoperta sto stile”.105 Rimanda a Joyce che scrisse il suo terzo e ultimo libro “in stato di continuo bevandamento”. Il neologismo “bevandamento” riprende il termine raro usato all’inizio: “disciplinamento”. Joyce scrisse il suo terzo libro, ebbro, e venne fuori qualcosa di molto bello per “ l’orecchio”, qualcosa di musicale. Per lei è molto importante l’effetto uditivo-musicale della scrittura, della poesia. La conclusione è scritta nella lingua della “fanciullezza”, una lingua tra il francese e il provenzale; fin dall’inizio della sua pratica poetica è interessata allo sperimentare in lingua, per trovare una scrittura nuova e alternativa par donne moy je suis tiute veutre marion rosselli.106 105 106 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 262 Ivi 45 Le due lettere scritte da Rocco Scotellaro ad Amelia Rosselli sono in minuta e chissà se mai effettivamente spedite. La prima lettera è scritta a Positano, il 26 luglio. Rocco non sta vivendo “avvenimenti straordinari e nuovi”107, ma “interessanti”, avverte di essere pervaso dallo spirito di una “oscura fanciullezza”108. Si sente confortato dalle “sicure amicizie”, Amelia è una sicura amicizia. Esprime la sua preoccupazione per le condizioni economiche della famiglia, è anche indebitato con la sua cara amica. Confida le sue insoddisfazioni, il racconto de “l’Uva puttanella” non procede secondo i suoi desideri: “Ti ho scritto a pizzichi, scusami; così mi capita per il benedetto racconto dell’Uva…..(50 pagine in tre mesi) e non ne sono soddisfatto per un certo lirismo appiccicaticcio, che viene fuori per volere io attenermi alla necessità di stringermi ai fatti, ai quali dovrei, invece; lasciare -se ci riuscissi- un ampio letto di fiume per farli scorrere in una riposante piena tipo inondazione.”109 Tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli si instaura una sincera amicizia, lei gli consiglia i libri da leggere, lui ascolta con attenzione i consigli, perché vede in lei la rappresentazione del sogno di una cultura non provinciale. Il giovane lucano è in formazione dal punto di vista umano e poetico, vive un periodo d’incertezze, ha necessità di lavorare, di guadagnare, ma vuole scrivere “O forse non è tempo di scrivere, e questo non è vero, forse per molti. Nemmeno è tempo di amore, di bestemmia, di riposo, di divertimento (…).”110 Invoca l’aiuto dell’amica chiamandola “psichiatra”. In conclusione Rocco parla di un racconto della Rosselli, che uscirà su “Botteghe”, in tale occasione la poetessa sarà la più giovane tra gli autori. Si congeda, salutando Amelia-Marion in questo modo: “Io un tuo fratellone maggiore e con l’affetto di quello ti saluto ancora. Tuo Rocco”.111 Scotellaro prova nei confronti della Rosselli un sentimento fraterno, la considera come una sorella da proteggere e rispettare. Nella seconda lettera si avverte una certa stanchezza di Rocco, che confessa di non avere alcuna intenzione di essere logico: “Forse non vivo (…). E sono folle di una gioia non mia”.112 Forte è l’immagine successiva: 107 Ivi Ivi 109 Ivi, p. 263 110 Ivi 111 Ivi 112 Ivi 108 46 Menarmi in terra preso in tanto sonno che la carne mi abbandoni: come alla carogna beata al sole.113 La informa di aver trascorso a Napoli dieci giorni; con Giorgio Bassani di “Botteghe oscure” è andato a far visita a Benedetto Croce, Elena Croce, la figlia gli ha parlato della Rosselli, “la straordinaria intelligente ragazza”114. Rocco per Amelia prova grande ammirazione, ma anche un forte senso d’inferiorità e di soggezione: “Io sono un rozzo, ignorante, le cui parole sono odorose di vino.”115 Riafferma la volontà di auto-affermarsi, auto-definirsi nella società: “Voglio una borsa o una tuta per una qualche qualifica nella vita: sono niente, senza funzione.”116 Sta vivendo un periodo di scoramento, si sente una nullità. Il vivere per lui è un “morire lentamente”: “Vivo, cioè muoio lentamente perché i miei sacerdoti sono gli umili e gli oppressi; ma vivo, in tempo forse per vivere veramente.”117 I due giovani poeti si sono incontrati durante un periodo molto delicato per entrambi; la Rosselli cerca di vivere in maniera veramente autonoma per la prima volta, Scotellaro ha già maturato molte esperienze che lo hanno disilluso, vuole cambiare vita, vuole emigrare, è alla ricerca di una collocazione precisa all’interno della società. Amelia Rosselli rappresenta per Rocco Scotellaro la cultura straniera, gli apre nuovi orizzonti culturali. Tra i due giovani poeti c’è una sincera e sicura amicizia, in cui l’uno e l’altra trova rifugio e conforto. Amelia in visita in Lucania coglie un aspetto molto importante della realtà contadina lucana: Qui in Lucania è un po’ come le montagne, per l’aria pulita, ma la gente è insieme troppo semplice e incomprensibile; forse i soli liberi sono queste donne imprigionate in quest’acqua per la pasta.118 Il mondo contadino è semplice, vicino al mondo arcaico, al primordiale, ma è estremamente complicato da comprendere per chi non appartiene a quel mondo, per chi non aderisce agli “statuti della concezione contadina”. Amelia ravvisa la libertà nei vincoli tradizionali della comunità contadina. 113 Ivi Ivi, p. 264 115 Ivi 116 Ivi 117 Ivi, p. 264 118 Franco Vitelli, Marion e Rocco. Un lago nella memoria, “Lo straniero” cit. p. 266 114 47 In “Passaggio alla città”119 la perdita della “schiavitù contadina” per Scotellaro corrisponde alla perdita della “libertà”. In Rocco, come nei suoi fratelli, il gesto di libertà corrisponde ad un atto di necessità. La libertà è necessaria, ci si libera perché ci si deve liberare: è un assurdo. La schiavitù può intendersi come mancanza di possibilità, per studiare, per lavorare, per vivere in maniera diversa Rocco, come i suoi fratelli, lascia il paese, la Lucania, il Mezzogiorno. Gli resta nel cuore il rapporto vincolante con le tradizioni comunitarie come libertà ed identità. Per il giovane lucano la libertà nasce da una schiavitù che può intendersi sia come mancanza di possibilità, sia come rapporto vincolante con la tradizione comunitaria. Per Amelia la libertà, il cosmopolitismo, l’apolidia essa stessa causa d’angoscia, nasce dalla schiavitù storico-politica del fascismo. Il poeta lucano vive una tensione tra il forte attaccamento e il desiderio di distacco dalla sua realtà natale. Si fa interprete della cultura contadina, ma anela ad una cultura aperta, non provinciale. La giovane donna vive una tensione uguale e contraria a quella del suo amico, tra la sua condizione di apolide e il desiderio di creare legami, di mettere radici. Pur nella diversità culturale ed esistenziale c’è un’affinità tra i due giovani poeti. “Avevo trovato il mio proprio opposto. Come lo divorai! Poi lo mangiai. E ne fui divorata, in belle lettere”120 (“Documento”) Scambio poetico o Gioco poetico Tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli intercorre uno “scambio” o “gioco” poetico. Una poesia è scritta da Amelia Rosselli, due o forse tre poesie sono scritte da Rocco Scotellaro. Marion a Rocco: Mia sterile bocca con tue recitative non configura e tu capra ed io vaccka com’è chiara l’aria ma le brune capre non pascolano con vacche color osso. 119 120 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 116-117 Rosselli, Le poesie cit. p. 444 48 Rocco a Marion: Sotto l’ombra dell’abete a settembre Ricamano i fazzoletti al Pincio le ragazze fidate a un incontro all’ora fissa che l’obra non serve più. L’abete rosso copre la panchina: qui, dovunque lo stesso cimitero dei volti fermi di tutte l’età. Scherzetti per M. Hai già vita abbastanza tu spina e rosa: si sfronda e si fidanza per te ogni cosa. Sono sulla tua traccia non c’è anima viva onda alla deriva cane di caccia. Gli uccelli si somigliano gli uccelli non hanno un nome e tu sei questo cielo sempre e mai mia.121 Nella sua poesia Amelia non ha parole, perché la bocca è sterile; s’identifica con la vacca e identifica Rocco con la capra: la vacca e la capra sono figure molto importanti. Nell’antichità la vacca e il toro erano venerate, presso quasi tutte le civiltà, come divinità. Pan, il dio dei pascoli, delle pecore e delle capre aveva zampe di capra e piccole corna sulla testa; era responsabile degli armenti. Pan era musico, il suo strumento era il flauto. Carlo Levi nel “Cristo si è fermato ad Eboli” descrive il doppio senso del mondo dei contadini. La donna-vacca, l’uomo lupo, il Barone leone, la capra diavolo sono figure e immagini fissate e rilevanti. Ma ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità. La ragione, la religione, la storia hanno un senso univoco; il senso dell’esistenza, dell’arte, del linguaggio e dell’amore è molteplice. Nel mondo contadino non c’è posto per la religione, perché tutto, il cielo come gli animali, Cristo come la capra, partecipa realmente e non simbolicamente al divino; tutto è magia naturale. Carlo Levi racconta le vicende di una contadina, figlia di una vacca. Quando era bambina, la madre-vacca la seguiva dappertutto, la chiamava muggendo, e la leccava con la sua lingua. La donna aveva una madre vacca e una madre donna; di questa doppia natura e nascita nessuno si meravigliava. 121 Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 261-262 49 Forse Amelia rimanda alla doppia natura, all’ambiguità del mondo contadino, rilevata da Carlo Levi, identificando se stessa con la vacca e Scotellaro con la capra. Ricorda le origini della civiltà, una antichità misteriosa legata alla zolla e alle eterne divinità animali. Nella poesia scritta da Rocco e dedicata ad Amelia-Marion, il poeta lucano riprende il tema tradizionale del ricamo, con l’immagine dolce e tradizionale delle ragazze che ricamano i fazzoletti al Pincio. In “Scherzetti per Marion” paragona la sua amica ad una rosa: l’amore è proprio come una rosa, bella e profumata, ma ha anche le spine, che pungendo provocano sofferenza; il sentimento nei confronti di Amelia non è completamente corrisposto. Rocco si paragona ad un cane da caccia sulla traccia della sua preda, Amelia. Amelia è il suo cielo, è sfuggente, lui non riesce ad averla, a farla completamente sua. Nota al capitolo Carlo Rosselli dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti, aderisce al Partito Socialista Unitario. Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Nello Traquandi, Dino Vannucci realizzano il primo foglio clandestino antifascista: il “Non Mollare”. Gli articoli principali sono scritti da Gaetano Salvemini. Carlo abbandona la carriera universitaria e si dedica completamente alla lotta antifascista e al rinnovamento del socialismo italiano. A Milano con la collaborazione di un giovane socialista, Pietro Nenni, ex repubblicano, fino a poco tempo prima capo redattore “dell’Avanti”, pubblica il “Quarto Stato” una rivista socialista di cultura politica. Negli ultimi mesi del 1926, Rosselli organizza il clandestino Partito Socialista dei lavoratori italiani (Psli), che sostituisce il disciolto Psu. Costituisce una organizzazione clandestina per l’espatrio degli esponenti socialisti. Organizza il riparo in Svizzera di Claudio Treves e Giuseppe Saragat, l’espatrio dei giornalisti Giovanni Ansaldo e la fuga in Francia, attraverso la Corsica di Filippo Turati. Nell’agosto del 1927, Carlo Rosselli inizia la formazione di un movimento politico nuovo rispetto ai tradizionali partiti, che si stanno riorganizzando all’estero. Il nome del movimento è “Giustizia e Libertà”; Rosselli, Lussu e Tarchiani si pongono alla guida. Nel dicembre del 1930 esce a Parigi, per le edizioni Valois, il libro di Carlo Rosselli “Socialisme libéral”. Carlo nel libro, si allontana da Marx e si avvicina a Proudhon e soprattutto a Mazzini. Nella prima serie dei “Quaderni di Giustizia e libertà” Carlo fornisce una dichiarazione ideologica e programmatica, definisce i punti dello schema di programma rivoluzionario: riforma agraria, riforma industriale, riforma tributaria e dell’amministrazione pubblica, libertà di coscienza e culto, separazione fra Stato e Chiesa mediante l’annullamento dei patti lateranensi, organizzazione dello Stato sulla base di più ampie autonomie. La seconda serie dei “Quaderni” inizia sotto l’incubo degli avvenimenti della Germania: la presa di potere da parte del partito hitleriano, l’avvento del nazionalsocialismo. Carlo Rosselli in un articolo molto bello “La guerra che torna” denuncia la natura aggressiva del nazifascismo e vede con preveggenza le orrende tragedie che va preparando. La grande utopia di Carlo Rosselli è costituire gli “Stati Uniti d’Europa”, afferma che bisogna dare all’Europa un grande obiettivo positivo: “fare l’Europa” per “rompere il plumbeo blocco dell’opinione totalitaria dei paesi fascisti”.122 122 Carlo Rosselli, Dizionario delle idee, a cura di Sergio Bucchi, Roma, Editori Riuniti, 2000 50 Capitolo IV Rocco Scotellaro nella poesia di Amelia Rosselli Quando Rocco Scotellaro muore, nel dicembre del 1953, Amelia ha ventitré anni partecipa al funerale, in disparte, avvertendo una strana calma, in mezzo a tanta gente piangente. Dopo il funerale rimane in Lucania per quindici giorni, incantata dai luoghi incontaminati. Dopo la morte di Rocco Scotellaro soffre un’ulteriore privazione affettiva e fisica; la perdita della persona amata la rende “morta in vita”, che si nutre ed è insieme nutrimento di un amore reso impossibile dalla morte. È spaventata, addolorata, ma anche ispirata; crede di essere diventata Rocco, in lei è forte il desiderio di identificarsi con il suo caro amico. La morte di Rocco provoca in lei una “strana sensazione”: fino a quel momento ha scritto soltanto in inglese, ora comincia a scrivere in italiano, questo evento luttuoso le fornisce una “strana ispirazione”. L’ascolto di Amelia si leva sulla lingua cadenzata della gente lucana e compone “Cantilena” (poesie scritte per Rocco Scotellaro): un vero “lamento funebre”. Il lamento funebre è una costante degli antichi rituali funerari; dall’Egitto alla Mesopotamia, da Israele ad Atene e a Roma, il lamento ha un’importanza culturale di primo piano. “La lamentazione funebre” rituale, nel mondo antico, si lega al mito del nume, che muore e rinasce: uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del Mediterraneo. In queste civiltà il pianto rituale è il momento centrale del saper piangere davanti alla morte, che reintegra l’uomo nella storia, il saper piangere oggettivizza il cordoglio, asciuga il pianto e apre alla vita. Questo istituto culturale entra in crisi con l’avvento del Cristianesimo che lo combatte come rito pagano, è la religione cristiana che inaugura il tema culturale di Cristo vincitore della morte. In Lucania il “lamento funebre” è considerato una determinata tecnica del piangere, un modello di comportamento fondato dalla cultura, conservato dalla tradizione, al fine di preservare i valori che la crisi del cordoglio può far perdere. Il “lamento funebre” è un controllo rituale del patire ma è anche considerato un documento di poesia popolare. La lamentazione ha un tema melodico, ogni versetto del “lamento funebre” è cantilenato secondo una determinata linea melodica, da questa caratteristica della “lamentazione” deriva il titolo dato da Amelia Rosselli alle poesie scritte per Rocco Scotellaro: “Cantilena”. Raramente il lamento funebre pagano e il rituale funerario cattolico si mescolano, infatti nella lamentazione pagana non sono presenti Gesù, la Madonna, i Santi, né la speranza nella vita ultraterrena. 51 La Rosselli nella sua poesia esprime, di frequente, il tema dell’ “Imitatio Christi” da “Variazioni belliche” a “Documento” fino a “Impromptu” Il Cristo trainava (sotto della sua ombrella) (la sua croce) un informe materiale; parole trainanti nella polvere del dipinto del chiostro di vetro. Sotto alla sua chiostra di vetro il Cristo trainava una sciabola. Dodici pecore sogghignavano distrattamente alla sua predica.(…) Il Cristo incrociato era una colomba, che spaziava teneramente, lusingava con la sua coda i teneri colori del cielo appena accennato. Il Cristo deformava il mondo in mille miniere, catacombe delle lacrime. I suoi occhi Bizantini splendenti e crudeli stagliavano rondinelle nel cavo del cuore.(…)123 (“Variazioni”) Ancora in “Variazioni”: “Cristo seduto al suolo su delle gambe inclinate giaceva anche nel sangue quando Maria lo travagliò.”124 In “Documento”: “Il Cristo (Pasqua 1971)” Perché morendo ci fai venir a festa? Semmai era l’altro lato che andava premiato e tu non rifiutasti quel cibo acerbo vinaigre di festa e botte sulle spalle pacchie e grandiose costruzioni per la mente intorpidita: i cinque sensi hanno dunque cos’ poco conto o peso che tu vaneggi su croce elegante e di legno?125 All’esordio del suo “lamento funebre” per Rocco Scotellaro riprende il tema cardine della religione cristiana, quello di Cristo morto, crocefisso; ci dona una delle immagini più importanti e struggenti dell’iconologia cristiana traducendo in versi la visione della “Pietà” michelangiolesca. Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro)126 (1953) Dopo che la luna fu immediatamente calata ti presi fra le braccia, morto Rocco è Un Cristo piccolino a cui m’inchino non crocefisso ma dolcemente abbandonato disincantato 123 Rosselli, Le poesie cit. p. 273 Ivi, p. 202 125 Ivi, p. 614 126 Ivi, p. 13-19 124 52 Amelia aderisce al mondo di valori di Rocco. Ha viaggiato insieme a lui visitando Tricarico, Matera, sentendosi liberata dalla città. È espresso il tema della contrapposizione città-campagna, il mondo urbano è falso, al contrario di quello agreste che è verace, autentico. Bologna perché t’ho in mente cosa c’entri città scadente cattedrale che dubiti Non c’è chiesa a Matera monte roccione con la porticina * Voglio vivere a Matera rotta spaziata gigantesca Non mi muovo C’è l’amico morto ieri che tiene compagnia più che voi città false * Bologna città sciocca scendetevi dai piedistalli Si balla a Matera Amelia ripensa agli incontri, ai momenti vissuti insieme al tenero amico Come un lago nella memoria i nostri incontri come un’ombra appena il tuo volto affilato un’arpa la tua voce e le mani suonano tamburelli Rifiuta la triste realtà dell’ennesima perdita, ritenendola una bugia Mi sforzo, sull’orlo della strada a pensarti senza vita Non è possibile, chi l’ha inventata questa bugia La morte, l’assenza del caro amico la rende consapevole del bene perduto, soffre il rimpianto di una concessione non fatta, di un sentimento non colto. * Avanti io seppi t’eri spezzato come un bastone d’oro la costante prudenza m’aveva fatta cieca quasi ignara e tu mi musicavi attorno L’amico morto è per lei guida, luce 53 * Tu che sei addormentato Comprendimi Ed ora ti sollevi lesto e passi via sereno fuori dalle mura della tua cittadella Tu che chiarisci le vie * è toccato a te a soffiar le nuvole a portarle fino al vicinato come un caldo lenzuolo per noi tutti ammalati * Rocco vestito di perla come il grigiore dei colli vicino al tuo paese mostrami la via che conduce non so dove La Rosselli del lamento funebre riprende anche il modulo formale basato sull’iterazione del ritornello emotivo * Bello eri ma troppo fino e troppo caro bello eri ma troppo fino e troppo caro di debbo levar ti debbo levar e cercar la pietra filosofale Ripropone il tema tradizionale del merletto e dei lenzuoli senza ricamo in riferimento a una scortesia fatta all’amico morto * Rocco morto terra straniera, l’avete avvolto male i vostri lenzuoli sono senza ricami Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza! Il tema della magia * Lasciatemi ho il battito al cuore donna a cavallo di galli e di maiali 54 Personifica la luna * La luna balla e sospira per i campi Con un’immagine suggestiva rimanda alla classicità, all’uso dei lacrimatoi * Poi si gonfierà il sacco delle lacrime ma non si spillerà lo metterò in un vasetto greco latino me lo porterò a casa trionfante elefante di pena! Rocco è * Sposo nel cielo ti ho tutto circondato ma sei tu che comandi e sono tua sposa d’infanzia sposa trasparente Amelia, in vita, vive la morte ed incontra Rocco in una dimensione non visibile agli occhi del mondo * Tu salito sulla bruma ti vedo lontano che ti aggiri consigliando che ne è di me e di te ora dopo la morte tu, sui colli Alla fine la rassegnazione e il tempo prosegue il suo corso, la vita nonostante tutto continua * nuovo anno arrivi teneramente ossequioso Amelia dopo la morte di Rocco subisce un trauma psicologico molto forte, rischia di perdere se stessa a causa del decesso del caro amico. Il dolore nella prima fase è follia o quasi, scrive “Sanatorio” Fine poussière, orgueil des ancentres, ramenez-moi aux tombes des vieux avec leurs calmes lyres et flutes ! Je vis dans le disespoir, depuis que mon ami est mort, sur les plus belles cotes de l’Italie triomphante. Pour guérir il me faut un mari, assez tendre. 55 Il est heureux, celui que j’aime, et ne se soucie pas de moi. Il Ne m’aime pas, il ne m’aime pas ! Nous partirons, à faire meilleure connaissance avec les pauvres. Il y aura une vielle musique, pour nous feter. Cependant dors, et ne pense à rien. Il faut mourir pour vivre tranquilles. L’angoisse est disparue, et ces paroles soulagent. Il te faut un enfant naif à embrasser.127 Per lei la morte è: «….. une dame vetue nue; rusee, fine. Son chagrin ne pèse sur personne.»128 Medita sulla morte del padre, della madre, dell’amico, troppe sono le perdite, è la disperazione «Ma mère est morte; où est donc allé mon père. Ma mère est morte. Lui, est tombé mort.»129 Amelia Rosselli durante un cupo autunno-inverno dell’anima del 1968 scrive “Diario Ottuso”, vuole realizzare una autobiografia pochissimo biografica. La poetessa nel 1968 tenta di recuperare e fare chiarezza su un periodo molto delicato e importante della sua vita, ma il tentativo di recuperare la memoria perduta si fa ottuso, perché lei non è cosciente e razionale rispetto agli avvenimenti vissuti negli anni 1950-1954. Nel titolo e nel testo si evidenzia l’impossibilità di ricostruire con esattezza e raziocinio la vita vissuta in quel periodo. Il “diario” cerca il massimo di oggettivizzazione spostando il presente al passato, la prima alla terza persona; la terza persona non è un’altra persona esterna ad Amelia, è lei stessa, del 1968, che commenta l’Amelia di quindici anni prima. Il commento si fa distaccato. L’attacco del testo è molto importante: “Perché non capire la vita da sola? Perché non forzare la vita a capirsi? Perché non ebbe modo di capire la vita?”130 La Rosselli non riesce a decidere su nessuna questione senza la consultazione dei “I Ching”, il libro oracolare cinese. Quando comincia a scrivere “Diario Ottuso” delibera di non consultare più “I Ching” per raggiungere una maggiore indipendenza e autonomia nelle decisioni. “Diario Ottuso” è composto di otto brevissimi capitoli, quelli che l’autrice stessa chiama “intenzioni selvagge”. La poetessa nella testimonianza su Rocco Scotellaro “Primavera”, concessa in occasione del Convegno di studio Tricarico-Matera del 27-29 maggio 1984, afferma di non voler dare i particolari del suo primo incontro con Rocco. L’incontro è poco testimoniabile e lei lo rende in forma artistica. 127 Ivi, p. 23 Ivi 129 Ivi, p. 26-27 130 Rosselli, Diario ottuso cit. p. 29 128 56 I capitoli III e IV di “Diario Ottuso” riguardano l’incontro con Rocco Scotellaro: In una luce tutta bianca stinse l’avvenire: la sua sorella, lei stessa, s’incontrò in altra città cava e rotonda, con l’amico sfortunato ma gioioso. Picchiarono la testa sui tavoli, stravaganti fecero della baruffa un nuovo motivo per amarsi senza pensare di amare e non sapendo che essi erano coinvolti in una lezione d’amore. Fecero di se stessi dei grandi pugnali sacrificando all’infanzia e la felicità stonata in quell’ambiente, i due loro corpi senza importanza sinché le lentiggini coprendo i loro visi non ebbero il sopravvento sulle loro stonate facce d’amore giovanile sconosciuto a loro stessi. E non ebbero molto tempo di dimenticare le loro sprovviste disgrazie, che già si portavano in catene fissate a regola, ciascuno nel lido dove era già stato portato da precedenti catene, spezzandole con maggior cura ora che avevano trovato nell’altro una angoscia giovanile di sapersi difendere con amicizia fresca. Come muove a sapere due freschi corpi e facce a ritroso che camminando nulla sapendo di successive disgrazie, se tutto ora sembra fresco e semplice e nessuna forza forte e rotonda del mondo può seriamente turbarli? Pioggia e freddo, visi freschi e duri, calcoli non prevenuti a tempo, che smagliavano la forza rotonda dei loro cadaveri? Una inesperienza tutta gelida di sorpresa li conduce a giudicare incerti del loro sfruttatore nascosto sotto un baffo di benevolenza. E cordialmente si fa il saluto ai più grandi che naturalmente paralizzando le furtive amare esperienze scuotono di loro bocca crude metafore per svegliare in loro ben più che invidia, ben più che stinte imperdonabili opinioni private che non potendo sopravvivere si nascondono nella loro bocca prima di soffocare. I gesuiti nel loro palazzo di vetro! Rise la ragazza al giovane forte sorpreso fratello: egli nella sua preoccupazione non densa che queste parole inutili smuovevano in lui per un istante, disse nulla per sviarla da questi pensieri che più tardi alla morte avrebbero lei divorato. E infanti e balie (loro due) non sorrisero più alla luce stonata nelle camerette povere: finsero di lavorare, ambendo di dimenticare la perniciosa domanda dietro i vetri. Ciascuno al suo posto, dimenticando di non avere scelto gioiosamente quel posto, dimenticando o non sapendo di catene perfette stagliate a loro gusto. Fecero brevi inchini per sapere dove si dirigeva il mondo coi suoi maestri furbastri che tagliavano artificiosamente nella loro roccia di diamante strade per loro non avvisati. Poi partivono inaspettatamente liberi di non perdonare dietro i boschi tutti misurati per loro bellezza giovanile e forte dietro alcuni monti che li nascondeva agli sguardi pietosi e furbastri dei maestri del mondo. Ritornavano insapienti al mercato rionale delle città tutte parate di un chiaro colore scuro che li dirigesse verso più perfette mete, senza calcolo previsto. A nulla giovava la loro delicata esperienza di monti e boschi non pagati da loro. Significarono nella loro delicata inesperienza più ricca di esperienza, il fuoco ardito spento subito. Sonnolenza della primavera o della felicità infelice…rivedendo il passato poi mi è sembrato che lei e lui fossero due passerotti: ma età ha abitudine di ringiovanire giovinezza, che è vecchia più della vecchiaia. Come dimenticarsene, di quell’urgenza di non essere gli altri e allo stesso tempo di rassomigliare agli altri? Stabilirono senza volerlo una intesa, e poi ciascuno andò per la sua via. E non ricordo quale via potesse essere, quel deambulare per caffè chiusi come in un pugno di mosche, 57 oppure quel fare sempre il proprio dovere nascondendo la poca voglia di farlo o di rassomigliarlo. Era dunque instabile la luce stesa tra le loro teste e tra le colonne degli autobus e sotto i sottopassaggi infarinati di moralismo. Nascondevano, tenevono a testa bassa i loro veri desideri e tentavano di non disincantarsi; anzi tentavano ogni sera ripetersi dell’accensione delle luci serali, con relativo senso di divinità presente nelle luci crepuscolari rose e violette: sbarazzandosi del resto, delle piccole finestre mal intenzionate, su ogni angolo della strada. E allora l’accendersi si accendeva e il mistico reame di solitudine, la realtà più mistica della realtà stessa, se stessi più forti in quanto protetti dal cielo. Del mondo. Ma muoveva sempre ad oscura crisi quella testa tagliata a fiore, casta sino al desiderio di mai più esserlo. L’uno non fu mai uomo pienamente e l’altra rifiutò d’esser donna. L’uno morì, l’altra se ne pentì. Dicendo così il giovane uomo dai capelli ricci di un biondo slavato cattivante che le sue lentiggini intonava una festa di gloria, s’abbeverò d’una toilette che lo fece sembrare zingaresco, ma un poco triste: lui se ne accorse e scivolò via presto dall’abbraccio fraterno che rastrellava la sua coscienza. Più puro del filo il legame tra i due, fantastici sensi li legavano ad una prima giovinezza che era sembrata vera-ma lenta tristezza e decadenza già s’insinuavano nel conteggiarli tra i morti. Sofferenti per quella paralisi generale di opinioni e di speranze che aveva generato in loro come un desiderio di soffocare: ciascuno per la propria via, con lievi, condiscendenti detronizzazioni. Quali valori espellere per loro dalle macerie d’una socialità incosciente? Quali valori opporre ai primi distruggevoli ma intatti, che non fossero strettamente coinvolti ai primi, o non potessero bene esserne disincagliati? Fissarono una data, un appuntamento nel vuoto per discutere di questo, e disimparare le false lezioni. Il vuoto fu la morte stesa sconosciuta in una bara color legno-e scelta col gusto della pietà che hanno i becchini per anime insolitamente intatte. Ma nel morire l’amico aveva lasciato che si insinuasse che egli troppo intatto era, dalla frode comune, e dall’egoismo che spolverandosi aveva rialzato una testa fatta di lividi. Morti parlarono per lungo tempo-impietriti.131 E il dialogo continua; la morte non è un ostacolo, offre una possibilità: che l’anima di Rocco scenda nell’anima sua. Amelia crede nella metempsicosi. In “Diario Ottuso” “la sua sorella” è Amelia Rosselli; il “fratello in ispirito” è Rocco Scotellaro; il “fratello in carne” è John Rosselli; la “città cava e rotonda” è Matera; “i maestri di vita” sono quelli che sanno sempre dare la risposta giusta al momento giusto, che danno le loro coordinate di vita come dogma. “Diario Ottuso” è l’unico testo intimo della Rosselli. È un libro di domande che non trovano risposta, perché l’unica “dimensione vitale” possibile è il “non sapere, il non vedere, il non capire”, dove si realizza l’annullamento della sensibilità, anche di quella artistica. Non si può spiegare ciò che sfugge a una classificazione logico-razionale, ciò che conduce al vuoto. 131 Ivi, p. 33-36 58 Quando descrive i viaggi con Rocco Scotellaro a Napoli, Portici, Matera usa il verbo “partivono”, questo termine contiene il doppio significato: del partire innocente per la campagna di due giovani illusi, che nello stesso tempo, tornano, nell’attimo stesso in cui partono, disillusi. È un partire che è contemporaneamente un tornare.132 La Rosselli ha da sempre rifiutato l’autobiografismo, “Diario Ottuso” invece l’ammette. “La Libellula” è il poemetto scritto da Amelia Rosselli nel 1958, in un momento d’ispirazione profonda e felice. La libellula è sinonimo di eleganza e leggerezza, ma anche di caducità e fragilità, tratti tipici della poesia rosselliana. L’essere alato è evocato metonimicamente, il titolo indica “il movimento quasi rotatorio delle ali della libellula in riferimento al tono volatile del poema”, ma il poemetto non è leggero, al contrario, è difficile da comprendere nelle sue metafore. “La libellula” può anche ricordare le parole “libello”, “libertà” infatti il tema centrale del testo è la libertà. Il sottotitolo “panegirico (della libertà)” significa giro del pane. La poetessa non crede nell’esistenza della libertà, perché vive nello stato di necessità. Il volo della poesia della Rosselli nasce da un vuoto creato dalla morte. I verbi giacere e cadere sono tra quelli più usati dalla poetessa; la caduta è sinonimo di morte, ma presuppone anche il volo, sinonimo di rinascita, volo che nasce dal vuoto della morte: è un circolo vizioso, é una danza di vita e morte insieme. Nel poemetto sono presenti rimandi intertestuali; attraverso le diverse e opposte citazioni la Rosselli vuole ricordare i poeti che maggiormente hanno contribuito alla sua formazione, negli anni 1950-1958; così sono presenti Eugenio Montale con “Esterina” (“Falsetto”), Dino Campana con “La chimera”, Rimbaud con “Ortensia”, Scipione ( è lo pseudonimo di Gino Bonichi , pittore della scuola romana), la stessa Rosselli di “Variazioni belliche”. Amelia rimanda esplicitamente a questi autori citandone e variandone le poesie. Ne “La Libellula” scrive: Il contadino con le lunghe mani sapeva tutta l’ansia mia, ma egli non rivelava , il suo vero nome da incantatore. Io lo fuggivo per valli e terreni oscuri, ma egli sapeva il nome mio.133 Amelia palesa che “il contadino” conosce la sua angoscia e il suo tormento, ma non ha rivelato il suo vero nome da incantatore. 132 133 Ulderico Pesce, La Donna che vola, “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p. 44 Rosselli, Le poesie cit. p. 148 59 Non può esistere incantamento senza canto, per incantare è necessaria una voce: Rocco è la voce che incanta, Amelia è l’incantata. Ma lei lo fugge, affiora un sentimento non completamente corrisposto o consapevole. Amelia è inconsapevolmente ammaliata da Rocco, l’incantamento o l’affascinamento è qualcosa di profondo e può durare una vita. Il “contadino” conosce della poetessa ciò che è più intimo e nascosto; la conoscenza profonda che Scotellaro ha della Rosselli è espressa in una bellissima poesia: Il dolore a M. R. Mia carissima adorabile sorella io farei volentieri come te di ogni libro un vangelo di ogni suono la pagella di amore. Io sono innamorato del tuo dolore Per ogni cosa che poi trova sbagliata.134 (1952) Rocco Scotellaro si rivolge ad Amelia Rosselli chiamandola sorella, è espresso il sentimento di fratellanza che lega i due poeti e il sentimento di affetto profondo di Rocco nei confronti di Amelia-Marion. La sorella molto cara merita adorazione. Nei versi finali Rocco si dichiara innamorato di Amelia-Marion, in particolare è innamorato del dolore che la poetessa prova per ogni cosa ingiusta e sbagliata. Amelia è alla ricerca di un ordine morale che non è quello della società in cui vive. Il poeta lucano palesa la volontà di aderire alle intenzionalità artistiche e letterarie della Rosselli. La poetessa comincia a scrivere le cose importanti dopo la morte di Scotellaro, ma ha già ben chiaro quella che vuole e deve essere la sua arte poetica. Rocco farebbe volentieri come Amelia di ogni libro il testo della verità, il libro per eccellenza, farebbe di ogni libro vangelo, di ogni suono la pagella di amore. La Rosselli è stata sempre interessata alla musicalità del verso, la sua anima tormentata trova conforto nel rifugio della musica. Non trova armonia nel mondo e nella società, ma nella musica e nella musicalità del verso. Alla fine il tormento della sua mente rompe la magia della musica e della poesia, così viene meno il nutrimento della sua anima, la terapia della sua malattia. Rocco Scotellaro con un’immagine suggestiva comprende ed esprime in maniera semplice la volontà artistica e letteraria di Amelia Rosselli che è problematica e ricercata. Rocco è una persona introspettiva che coglie la complessità della sofferenza di Amelia, nel titolo della poesia “il dolore” si svela tutto l’universo esistenziale e poetico della Rosselli. È il dolore la fonte, la condizione stessa della sua poesia e della sua “malinconica privazione di vita”. 134 Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 135 60 Bibliografia di Amelia Rosselli - Amelia Rosselli, Antologia poetica, Amelia Rosselli, a cura di Giacinto Spagnoletti, con un saggio di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, 1987. - Amelia Rosselli, Diario Ottuso, a cura di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN editore, 1990. - Amelia Rosselli, Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath, “Poesia”, 44 (1991) - Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, 1998. - Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco. Un epistolario, a cura di Franco Vitelli, “Lo straniero”, 13/14 (2001) - Giovanni Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli, in Novecento, XI, tomo 2, Settimo Milanese, Marzorati, 1989, p. 1046-1053. - P. Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, “Il Menabò”, 6 (1963), Torino, Einaudi. - Amelia Rosselli, a cura di Daniela Attanasio e Emmanuela Tandello, “Galleria”, a. 48, 1/2 (1997), Caltanissetta, Sciascia editore. - Amelia Rosselli, Un’apolide alla ricerca del linguaggio universale. Atti della giornata di studio (Firenze, Gabinetto Vieusseux, 29 maggio 1998), a cura di Stefano Giovannuzzi, “Quaderni del Circolo Rosselli”, 17 (1999), Firenze, Giunti. 61 Bibliografia di Rocco Scotellaro - Rocco Scotellaro, Memoria di Prampolini, “Battaglie Gogliardiche”, 14 maggio 1944. - Rocco Scotellaro, Uno si distrae al bivio, prefazione di Carlo Levi, Matera, Basilicata editrice, 1974. - Rocco Scotellaro, Margherite e rosolacci, a cura di Franco Vitelli, prefazione di Manlio Rossi Doria, Milano, Mondadori, 1978. - Rocco Scotellaro, È fatto giorno, a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori, 1982. - Rocco Scotellaro, Giovani soli, a cura di Rosaria Toneatto, Matera, Basilicata editrice, 1984. - Rocco Scotellaro, Lettere a Tommaso Pedio, a cura di Raffaele Nigro, Venosa, Osanna, 1986. - Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, Contadini del sud, prefazione di Carlo Levi, Bari, Laterza, 1986. - Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco. Un epistolario, a cura di Franco Vitelli, “Lo straniero”, 13/14 (2001) - Anna Angrisani, L’alba è nuova, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo, 1980 - Ennio Bonea-Armida Marasco-Carlo Alberto Augieri, Trittico su Scotellaro, Le ideologie-Le donne- Le biografie, Lecce, Congedo Editore, 1985 - Rosalma Salina Borello, A giorno fatto, Matera, Basilicata editrice, 1977 - Giovanni Battista Bronzini, L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, Bari, Dedalo, 1987 - Giovanni Caserta, La poesia di Rocco Scotellaro, Matera, BMG, 1966 - Michele Dell’Aquila, Giannone, De Sanctis, Scotellaro: ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli, SEN, 1981 - Pompeo Giannantonio, Rocco Scotellaro, Milano, Mursia, 1986 - Paola Scotellaro, Rocco Scotellaro sindaco, Napoli, RCE edizioni, 1999 - Franco Vitelli, Bibliografia critica su Scotellaro, Matera, Basilicata editrice, 1977 - Omaggio a Scotellaro, a cura di Leonardo Mancino, Manduria, Lacaita, 1974 - Scotellaro trent’anni dopo, Atti del Convegno di studio (Tricarico-Matera, 27-29 maggio 1984), Matera, Basilicata editrice, 1991 62 Bibliografia generale - Giovanni Caserta, Scrittori di Basilicata, Taranto, Scorpione Editrice,1988. - Thomas Stearns Eliot, Ash Wednesday, New York, Knickerbocker Press, 1930. - Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, I, Milano, Mondadori, 1969. - Friedrich George Friedman, Miseria e dignità, Il Mezzogiorno nei primi anni cinquanta, a cura di Aldo Musacchio e Pancrazio Toscano, San Domenico di Fiesole (Firenze), Edizioni Cultura della Pace, 1996. - Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Milano, Mondadori, 1979. - Bertil Malberg, L’analisi del linguaggio nel XX secolo, Bologna, il Mulino, 1985. - Ernesto de Martino, Mondo popolare e magia in Lucania, a cura e con prefazione di Rocco Brienza, Matera, Basilicata editrice, 1975. - Ernesto de Martino, Morte e pianto rituale, Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, Torino, Boringhieri, 1975. - Sylvia Plath, Le muse inquietanti e altre poesie, a cura di Gabriella Morisco, traduzioni di Gabriella Morisco e Amelia Rosselli, Milano, Mondadori, 1985. - Carlo Rosselli, Dizionario delle idee, a cura di Sergio Bucchi, Roma , Editori Riuniti, 2000. - Giovanni Russo, Lettera a Carlo Levi, Roma, Editori Riuniti, 2001. - Scipione, Carte segrete, prefazione di Amelia Rosselli, nota di Paolo Fossati, Torino, Einaudi, 1982 63 INDICE Introduzione ................................................................................................................. 2 Capitolo I .................................................................................................................... 5 La vita, la poesia di Amelia Rosselli ......................................................................... 5 Capitolo II ................................................................................................................. 16 La vita, l’impegno politico e sociale, la poesia di Rocco Scotellaro ..................... 16 Capitolo III ............................................................................................................... 27 L’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli................................................ 27 Le lettere ................................................................................................................... 45 Scambio poetico o Gioco poetico ............................................................................. 48 Capitolo IV................................................................................................................ 51 Rocco Scotellaro nella poesia di Amelia Rosselli ................................................... 51 Bibliografia di Amelia Rosselli ................................................................................ 61 Bibliografia di Rocco Scotellaro ............................................................................. 62 Bibliografia generale ................................................................................................ 63 64