“Nata a Parigi travagliata nell`epopea della nosrta generazione

Transcript

“Nata a Parigi travagliata nell`epopea della nosrta generazione
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA
POTENZA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN LETTERE
INDIRIZZO MODERNO
Tesi di laurea in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea
AMELIA ROSSELLI E ROCCO
SCOTELLARO
Relatore:
Prof. Anna Maria Andreoli
Candidata:
Maria Teresa Langerano
Matr. 9492
ANNO ACCADEMICO 2000/2001
Maria Teresa Langerano
AMELIA ROSSELLI E ROCCO SCOTELLARO
1
Introduzione
Lo spettacolo teatrale “Contadini del sud”, che in molta parte tratta del rapporto
tra Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro, ha suscitato in me curiosità e interesse tali da
spingermi a sviluppare la ricerca riferita a questo aspetto della vita dei due poeti.
Nel lavoro teatrale Letizia Gorga veste i panni di Amelia Rosselli e Ulderico
Pesce quelli di Rocco Scotellaro.
Lei è diafana, eterea, cammina come distaccata dal suolo, quasi volando. Lui è
più greve, come attaccato alla terra.
Amelia Rosselli e Rocco Scotellaro nella diversità delle loro esperienze culturali
ed esistenziali si sono incontrati e si sono scambiati sentimenti autentici e profondi.
La vita di Rocco Scotellaro, pur se breve (muore a soli trent’anni), è ricca di
eventi, di impegni, incontri e amicizie. Ha numerose frequentazioni e intrattiene
rapporti d’amicizia con persone di provenienza sociale e di cultura alquanto diversa
dalla sua.
L’impegno politico e sociale, come gli amori e gli affetti, gli offrono materia
d’ispirazione e diventano poesia.
Quando incontra Amelia Rosselli, nel 1950, è uscito da poco tempo dal carcere e
sta vivendo un periodo di disillusione.
Amelia è la figlia di Marion Cave e Carlo Rosselli, il fondatore del movimento
politico “Giustizia e libertà”.
Insieme alla famiglia, nel 1946, torna in Italia dopo un esilio involontario. Vive
per un periodo a Firenze, vicino alla nonna Amelia Pincherle. Nel 1949, dopo la
morte della madre Marion Cave, si trasferisce a Roma.
Il peregrinare per il mondo le ha fornito una cultura cosmopolita e un modo di
sentirsi interiormente apolide.
Nel primo capitolo di questo mio lavoro tratto della vita e della poesia di Amelia
Rosselli, rilevando, per quanto possibile, l’identificazione tra la sua vita e la sua arte.
Gli elementi fondamentali della sua poesia emergono dai sui interessi musicali,
sociologico-politici e psicologici.
Pensa e scrive in tre lingue, attingendo a diversi registri linguistici. È alla ricerca
delle forme universali e dell’esperienza sonora, logica e associativa comune a tutti gli
uomini e trasferibile in tutte le lingue: ricerca il linguaggio universale.
Amelia Rosselli, prima di essere poetessa è musicista; l’interesse musicale
suscita in lei quello poetico, per cui traspone in poesia le strutture della musica. La
musica non è linguaggio universale?
È interessata allo sperimentare in lingua e vuole appropriarsi di una scrittura
alternativa. Nella sua arte è forte il desiderio d’innovazione, ma ugualmente è
presente la necessità di sentirsi ancorata alla tradizione.
Legge autori classici e moderni, inglesi e americani, francesi e italiani.
C’è in lei uno scollamento tra vita vissuta e vita sognata, quest’ultima universo
di parole e di suoni.
2
Il nutrimento della sua anima è la musica, la poesia. Quando questo viene meno i
tormenti, che l’accompagnano per tutta la vita, la sconfiggono.
La sua esistenza si conclude con l’atto pensato, meditato, quasi goduto del
suicidio.
Nel secondo capitolo ripercorro la vita di Rocco Scotellaro.
Scotellaro nasce da una famiglia di piccoli artigiani e, per studiare, trascorre
lunghi periodi in diverse località: Sicignano degli Alburni, Cava dei Tirreni, Matera,
Potenza, Trento, Roma. Nel 1942 s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza degli Studi
di Roma. La morte del padre, il 14 maggio 1942, e la guerra determinano il suo
ritorno a Tricarico e il cambio di Università, prima a Napoli, poi a Bari. Scotellaro
anche a causa di tutte le traversie della vita non consegue la laurea.
Impegnato in campo politico e sociale, nell’ottobre del 1946, a soli ventitré anni,
è il sindaco più giovane d’Italia. Il suo operato di onesto ed irreprensibile
amministratore non si conclude positivamente, infatti, è arrestato l’8 febbraio 1950
con l’accusa infondata di concussione e peculato. Condotto nelle Carceri giudiziarie
di Matera è scarcerato, il 25 marzo, dopo l’assoluzione della Corte d’Appello di
Potenza con formula piena.
La triste esperienza del carcere fa maturare in lui la volontà di emigrare; deluso e
disilluso vuole cambiare vita, è alla ricerca di una funzione che gli sia positivamente
riconosciuta entro la società in cui vive.
Il terzo capitolo riguarda l’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli,
durante il convegno su “La resistenza e la cultura italiana” tenutosi a Venezia il 2224 aprile 1950.
Scotellaro è affascinato dalla Rosselli; in lei vede rivivere gli ideali del padre
Carlo.
Amelia ha una cultura aperta, straniera; più giovane di sette anni, consiglia a
Rocco i libri da leggere, di scrivere e di lasciare il lavoro presso l’Osservatorio di
economia e politica agraria di Portici.
Il poeta lucano le confida le insoddisfazioni per la gestazione del suo romanzo
“L’uva puttanella”, le disillusioni, la sua volontà di lasciare l’Italia.
All’interno del terzo capitolo analizzo i “Taccuini” di Scotellaro, che forniscono
degli stimoli per approfondire temi importanti, come il rapporto dei due poeti con i
genitori, con la politica, con i familiari defunti.
Ci sono le lettere1, scritte in minuta, una di Amelia e due di Rocco.
Lo “Scambio” o “Gioco”2 poetico intercorso tra i due poeti è composto da una
poesia di Amelia dedicata a Rocco, e da due di Rocco dedicate ad Amelia. Rocco le
si rivolge, chiamandola sempre con il nome materno; Amelia nella lettera e nella
poesia dedicata a Rocco, si firma con il nome della madre: Marion.
Nel quarto capitolo analizzo l’opera poetica di Amelia Rosselli, in cui è presente
la figura di Rocco Scotellaro.
1
2
Ivi,p. 262-264
Ivi, p. 261-262
3
La morte del caro amico offre alla giovane donna una strana ispirazione, fino a
quel momento ha scritto soltanto in inglese, ora comincia a scrivere in italiano.
Compone Cantilena3, ventisette poesie per Rocco Scotellaro: un vero lamento
funebre.
In Sanatorio4 (1954) la morte si configura come una donna. Lei è disperata,
ironicamente afferma che le occorre un marito, per guarire dalla sua malattia.
In Diario Ottuso5 del 1968, cerca di far chiarezza su un periodo molto delicato
della sua vita e cerca di guardare dal di fuori se stessa. Nei capitoli III e IV descrivo
l’incontro con Rocco Scotellaro. Amelia vede dal di fuori “lei e lui come due
passerotti”. Vi affiora un sentimento non vissuto a pieno “L’ uno non fu mai uomo
pienamente e l’altra rifiutò d’esser donna. L’uno morì, l’altra se ne pentì.”6
Amelia può essere sorella, figlia e madre di tale uomo.
Pur essendo i tormenti di Amelia Rosselli dilatati, estremi, come donna mi sento
a lei molto vicina: il suo dolore, la sua ricerca d’amore mai completamente appagata,
suscita in me curiosità, compassione e tenerezza.
La sua sofferenza personale affonda le radici nel dramma storico-politico del
fascismo e della guerra.
Non crede nell’esistenza della libertà, perché vive in uno stato di necessità.
Come compaesana di Rocco Scotellaro sono molto interessata alla sua poesia e
al suo operato politico e sociale.
Scotellaro realizza alti esempi di democrazia partecipativa: organizza i consigli
di borgo, dialoga con i contadini e gli artigiani per conoscerne le esigenze.
La sua è una personalità complessa, e le semplicistiche definizioni non sono utili
per la comprensione dei fatti; si fa interprete del mondo contadino, ma anela ad una
cultura non provinciale.
La sua poesia e il suo operato vanno al di là dei confini locali.
È sintomatica la sua capacità tutta poetica di tradurre momenti di vita quotidiana
in poesia, vivendo una tensione tra l’attaccamento alla realtà lucana e il desiderio di
distaccarsene.
Amelia Rosselli vive una tensione opposta a quella del suo tenero amico, tra la
sua condizione di apolide e il desiderio di creare legami, di mettere radici.
Oggi molte situazioni sono cambiate, non è più necessario prendere il “biglietto
per Torino”, perché nella terra dei “padri saraceni” soffia il “vento della Fiat”.
Nel tempo della globalizzazione dell’economia, dei conflitti globalizzati, ma
anche del rilancio di una nuova globalizzazione equa e solidale e del sogno europeo
che si sta realizzando, i problemi di cinquanta anni fa, come il lavoro e l’equità
sociale, sono più che mai attuali.
Rocco Scotellaro può fornirci un chiaro esempio di come la ricerca di identità si
concilia con l’apertura verso la diversità.
3
Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, p. 13-19
Ivi, p.23-31
5
Amelia Rosselli, Diario ottuso, prefazione di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN Editore, 1990
6
Ivi, p. 35
4
4
Capitolo I
La vita, la poesia di Amelia Rosselli
Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione fallace.
Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti e dello Stato statale.
Vissuta in Italia paese barbaro.
Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati.
Speranzosa nell’Ovest ove niente per ora cresce.7 (“V.B.Variazioni” vv.10-14)
Amelia, la secondogenita di Carlo Rosselli e Marion Cave, nasce il 28 marzo del
1930 a Parigi. Nel 1937, anno in cui Carlo e Nello Rosselli sono assassinati, si
trasferisce con il resto della famiglia in Svizzera, dove vive per un anno e mezzo.
Dopo il soggiorno in Svizzera, la famiglia Rosselli si stabilisce per due anni in
Inghilterra e, infine, per sei anni negli Stati Uniti d’America. Nello Stato di New
York Amelia compie un’esperienza presso la comunità dei quaccheri americani:
impara a raccogliere il fieno, a pulire i cavalli, a mungere le vacche, dipinge i grandi
granai di legno. È per lei quasi un’oasi di tranquillità, che per poco tempo interrompe
il suo peregrinare di esule.
Nel giugno del 1946 la famiglia Rosselli ritorna in Italia. Amelia, per un certo
periodo, vive a Firenze con la nonna Amelia Pincherle.
Nell’autunno del 1949, dopo la morte della madre Marion Cave avvenuta a
Londra, Amelia da Firenze parte per Roma. Dopo il trasferimento stabile a Roma, la
poetessa fa solamente due tentativi di evasione dalla capitale: il primo nella seconda
metà degli anni settanta, quando vende la sua casa romana per acquistarne una a
Londra.
Durante l’anno trascorso nella capitale londinese è delusa dall’indifferenza
culturale che vi respira. Dopo il soggiorno a Londra torna a Roma e compra la sua
ultima casa, la mansarda in via del Corallo, nei pressi di Piazza Navona.
Il secondo episodio di evasione da Roma dura un solo mese: si reca a Mosca
insieme al poeta Gino Scartaghiande durante il periodo gorbacioviano.
Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza sono considerati fondamentali per la
formazione della personalità di ogni individuo. Amelia durante il periodo infantile e
nel primo adolescenziale vive un trauma molto forte: l’assassinio del padre e dello
zio avvenuto il 9 giugno 1937 a Bagnoles-de-l’Orne a opera di sicari francesi
appartenenti al gruppo terroristico di estrema destra “La Cagoule”, assoldati e istruiti
dal servizio segreto italiano su ordine dei vertici del fascismo.
La Rosselli vive un esilio involontario, che la porta da una parte all’altro del
mondo, la mette in contatto con realtà, culture, concezioni morali, lingue differenti.
Questi anni sono fondamentali nella formazione della sua personalità angosciata
e sofferente, ma le forniscono anche molti stimoli che, dilatandosi, diventano la sua
poesia: l’interesse musicale e una formazione culturale internazionale.
7
Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, 1998, p. 202
5
La condizione di esule struttura il suo modo di sentirsi interiormente apolide e
cosmopolita. La condizione di apolide è essa stessa causa di angoscia, perché la
poetessa vive uno sradicamento: quali sono le sue radici, la sua lingua, la sua
cultura?
E’ particolarmente difficile per chi ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza
come quella di Amelia Rosselli rispondere a queste domande.
Dal 1953 diventa romana e, secondo la testimonianza del cugino Aldo Rosselli,
ama la città come pochi romani la amano.
Bella la riflessione poetica su quella che fu “caput mundi” in “Prime Prose
Italiane”:
Roma città eterna che silenziosamente di notte ti bevi il tuo splendore hai tu
nulla da predire. Ti sei fatta principessa e languisci. Nulla ti vieta. Arrotonda pure i
tuoi seni bianchi e lustri. Le massaie si sono stancate di portarti le acque piovane.
Tu hai succhiato latte di volpe hai rubato hai saccheggiato e ora siedi riposi
assestata.8
Amelia Rosselli compie gli studi liceali e poi studi specialistici di musica e di
composizione musicale; studia solfeggio e canto a scuola, in America. Fin da
adolescente suona il violino, poi l’organo e infine il pianoforte. Gli studi di musica e
di musicologia destano in lei l’interesse per le strutture della poesia.
In “Spazi metrici” (1962) scrive:
Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quella
più strettamente musicale, e non ho in realtà mai scisso le due discipline
considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche suono, e il
periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema. Definire la sillaba
come suono è però inesatto: non vi sono suoni nelle lingue:- la vocale o la
consonante nelle classificazioni dell’acustica musicale si definiscano come rumore, e
ciò è naturale, vista la complessità del nostro apparato fonetico-fisiologico, (…).
Comunque nel parlare di vocali generalmente noi intendiamo suoni, o anche
colori, visto che ad esse addebitiamo le qualità “timbriche”; e nel parlare di
consonanti o di raggruppamenti di consonanti, intendiamo non soltanto il loro
aspetto grafico ma anche movimenti muscolari e forme mentali (…).9
Prima di essere poetessa è musicista: il nesso musica-poesia è per lei
inscindibile. Scrive ascoltando Bach, oppure prima suona Chopin, Bartòk o Webern
e poi scrive; prima le sue dita si muovono sulla tastiera del piano e poi su quella della
macchina da scrivere come su uno strumento gemello.
Altri poeti sono anche musicisti: Montale, Joyce. Questo fatto non è eccezionale
se si pensa alla lirica greca. In origine il vocabolo ‘lirica’ indicava la poesia con
l’accompagnamento della lira.
Lirici furono poeti come Alceo, Saffo, Alcmane, Simonide, Pindaro, le cui
composizioni non erano recitate, ma cantate, associando le parole agli strumenti.
Nella lirica greca esiste un rapporto diretto tra musica e poesia: la poesia è anche
musica.
8
9
Ivi, p. 44
Ivi, p. 337
6
Alcuni cantautori di talento, come Fabrizio de Andrè e altri, associano alle
composizioni musicali vere e proprie poesie.
Amelia all’interno della sua poesia evidenzia due elementi: quello musicale e
quello sociologico-politico, quest’ultimo mediato dalla lettura di autori come Carlo
Levi e Rocco Scotellaro.
A tale proposito fondamentale è “Contadini del sud”, che le fornisce un
importante esempio di analisi sociologica. Per Amelia “Contadini del sud” è un
capolavoro dal punto di vista letterario.
La Rosselli non ama l’ambiente letterario; comincia a pubblicare a trentatré anni
quando si rende conto che gli studi specialistici di musica non le daranno mai alcun
reddito.
Invia a Vittorini il suo primo manoscritto: “Variazioni belliche”. Vittorini lo
trova buono e pubblica ventisei poesie sulla rivista il “Menabò”.
Successivamente incontra da Alberto Moravia Pier Paolo Pasolini che l’aiuta a
pubblicare l’intero libro.
P. Paolo Pasolini è una scoperta tarda per la Rosselli.
Comincia ad apprezzarlo dopo “Accattone”, conquistata dalla sua capacità di
sincronizzare le immagini del film con la musica di Bach. Amelia non ama la
scrittura ottocentesca dei romanzi di Pasolini, ma ritiene splendide le sue poesie
giovanili in dialetto friulano.
Scrive e dedica
(a Pier Paolo Pasolini)
E posso trasfigurarti,
passarti ad un altro
sino a quell’altare
della Patria che tu chiamasti
puro…
E v’è danza e gioia e vino
stasera:- per chi non pranza
nelle stanze abbuiate
del Vaticano.
Faticavo: ancora impegnata
ad imparare a vivere, senonché
tu tutto tremolante, t’avvicini
ad indicarmi altra via.
Le tende sono tirate, il viola
dell’occhio è tondo, non è
triste, ma siccome pregavi
io chiusi la porta.
Non è entrata la cameriera;
è svenuta: rinvenendoti morto
s’assopì pallida.
7
S’assopì pazza, e sconvolta
nelle membra, raduna a sé
gli estremi.
Preferii dirlo ad altra infanzia
che non questo dondolarsi
su arsenali di parole!
Ma il resto tace: non odo suono
alcuno che non sia pace
mentre sul foglio trema la matita
E arrossisco anch’io, di tanta esposizione
d’un nudo cadavere tramortito.10
(“da Appunti sparsi e persi”)
“Variazioni belliche” presenta, come “Serie ospedaliera”, una compatta struttura
poematica:
Variazioni belliche sono appunto variazioni intorno all’unico tema di un
travaglio, un conflitto interiore, motivi non soltanto di racconto, ma anche ritmici,
lessicali, prosodici, che si sviluppano come un’ostinata e ossessiva sequenza
musicale quasi inseguendo un acme, una sempre incompiuta compiutezza.11
Amelia Rosselli compone “Variazioni belliche” stando come sospesa tra la
tastiera di un pianoforte ed una macchina da scrivere. Nel suo libro esprime il
nascere e il morire di una passionalità dapprima imbrigliata, e poi sfociata in lotta e
denuncia.
Pasolini rileva nella poesia di Amelia Rosselli la presenza del lapsus linguistico
come “errore creativo”. Pier Paolo Pasolini scrive:
Uno dei casi più clamorosi del connettivo linguistico di Amelia Rosselli è il
lapsus. Ora finto, ora vero: ma quando è finto, probabilmente lo è nel senso che,
formatosi spontaneamente, viene subito accettato, adottato, fissato dall’autrice sotto
la specie estetica di una invenzione “che si fa da sé”. (…).
In realtà questa lingua -ripeto- è dominata da qualcosa di meccanico:
emulsione che prende forma per suo conto, imposseduta, (…). Tuttavia, io direi che
più che di specie culturale (e lo sono), i lapsus della Rosselli sono di specie
ideologica. Il lapsus dà una profonda liberazione: consente, alla buonora, di
liberarsi del peso istituzionale - gravante su tutta la lunghezza dell’anima - e nel
tempo stesso, di rispettarlo. (…).
Il Mito dell’Irrazionalità (mettiamo le maiuscole), ha con le poesie della
Rosselli, negli anni sessanta, il suo prodotto migliore (…). E aggiungo che il tema
dei lapsus è un piccolo tema secondario e irrisorio rispetto ai grandi temi della
Nevrosi e del Mistero che percorrono il corpo di queste poesie: è solo un filo che ho
10
11
Ivi, p. 638-639
Ivi, p.x
8
seguito per poter produrre qualche effato su questo splendido testo che si propone
come ineffando.12
Per Giacinto Spagnoletti si tratta di lapsus in casi sporadici. Si deve invece
parlare:
…di una conoscenza non perfettamente assimilata della lingua italiana, e del
relativo apparato poetico. Spesso nei testi della Rosselli sono presenti espressioni,
modi concettuali, che non si potrebbe definire se non arbitrari, (…)
Se vogliamo considerarle “forzature analogiche o metaforiche”, occorre
avvertire che la Rosselli si serve di esse per esplorare il suo territorio psichico, o
alcuni lembi di esso, dando alla scrittura lo stesso peso che di solito si affida
all’ambiguità, alla duplicità di un pensiero verso i confini dell’inespresso.13
Per Giovanni Giudici:
…l’illuminazione poetica si ha in una zona, per così dire, trascendentale della
lingua, a mezza via tra l’intenzione di dire e il già detto, tra il pre-fato e l’el-fato, in
terra di nessuno ossia di ispirazione14.
Se “Variazioni belliche” denuncia la presenza di una “malattia” e delle sue
conseguenze, la successiva “Serie ospedaliera” (1963-1965) appare tutta pervasa da
una sorta di necessità terapeutica identificata nell’isolamento, nell’interiorizzazione,
nella “malinconica privazione di vita”.
Amelia scrive “Serie ospedaliera” durante un periodo molto doloroso: ha un
acutizzarsi della malattia, che le impedisce di camminare, di leggere, di vivere.
La serie di poesie è ospedaliera, in quanto rassegnata a un ritornare criticamente
sui propri passi.
L’apertura discorsiva è riscontrabile anche in “Documento”, che raccoglie poesie
scritte tra il 1968 e il 1973.
“Documento” è il libro meno programmatico della Rosselli che vuole restituire
quantità e durata acustica alle parole della realtà.
Vuole essere il libro della realtà, definito “libro del sangue e del cuore”, è un
labirinto d’amore non una serie di variazioni (come “Variazioni belliche”).
Nel suo terzo libro in italiano Amelia Rosselli aspira ad eliminare sia il tu, sia
l’io, per il raggiungimento in poesia dell’obiettività di Pasternak, dove l’io è il
pubblico, dove l’io è le cose. Vuole eliminare la tendenza autobiografica.
In “Documento” è ricorrente la tematica dell’amore e della morte, scrive del suo
stesso estinguersi, che è il contrario della poiesis: il suo disfarsi, non il suo farsi.
La struttura metrica di “Documento” è più leggera, l’attrezzatura degli artifici
retorici e fono-simbolici del passato si è andata smantellando. Nel più largo periodare
sono comunque presenti le iterazioni, i paradossi, le interiezioni e le interrogazioni
retoriche.
Le visioni nelle liriche di “Documento” sono le
12
Pier Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, “Il menabò”, 6 (1963), Torino, Einaudi, p. 66-69
Giacinto Spagnoletti, Amore e solitudine, in “Galleria”, a. 48, 1/2 (1997), Caltanissetta, Sciascia
editore, p. 31-33
14
Giovanni Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli, in Novecento, XI, tomo 2, Settimo Milanese,
Marzorati, 1989, p. 1050
13
9
“felici / visioni di una tranquilla morte” (Tende rivoluzionarie nel mio cuore,
vv. 16-17);
il riconoscere nella vita una continua morte
“la vita che ha nascosto la morte per / tanto tempo finché un giorno ritrovarono
/ la notte stesa come un morto”, (Hanno fuso l’ordigno di guerra con le, vv. 28-30);
e infine il vuoto cercato e desiderato
“Vola nel vuoto questo mio oblioso cuore” (Tende rivoluzionarie del mio cuore
v. 5);
“Muta e in soggezione rincorro il vuoto”, (Questo gioco v. 6);
ora “nulla / divenuto però incandescente / e separato dal vostro vivere / ostile”,
(Conversazioni molto sofisticate, vv. 16-19);
ora “vivo vuoto”, (Gelosa dello spazio che ti contiene, v. 17).15
“Impromptu”, composto nel 1979, è l’ultimo scritto di Amelia Rosselli;
interrompe un silenzio di sette anni e riassume i tratti essenziali e tipici della sua
poesia. “Impromptu” è definito dalla stessa autrice un po’ d’élite, un po’ leopardiano.
È scritto nel corso di una mattinata.
L’uso del lapsus linguistico come errore creativo, messo in evidenza da Pasolini,
non è qui tanto nel soggetto-autrice, quanto nella parola stessa affrancata in parte
dalla normativa convenzionale e restituita a una condizione di autonomia
autoinventiva. Scarto originale e profondo che nasce da un’idea non statica, ma
dinamica e in divenire della parola. La parola è portatrice di un suo significato da
dizionario, ma sempre più diventa portatrice di suono e di segno grafico che
coinvolgono aree di segno e di suono contigue e affini. La parola della lingua
poetica ha una ridondanza spontanea. Il poeta non condurrà la parola, ma dovrà
farsi condurre da essa.
In “Impromptu” “tank” ridonda in “tango”. La parola nella disposizione
metrica delle strofe fa da ponte fra una strofa e la successiva che la riprende, o
riprende altra parola semanticamente, fonicamente o graficamente contigua.
La casualità della rima è utilizzata come generatrice di significati.
Nel ritmo si esercita il più alto impegno di una prosodia non più fondata sul
rapporto fra accenti tonici e numero di sillabe, ma su valori di quantità, intensità e
durata.
In “Impromptu” Amelia Rosselli applica il procedimento per cui alla fine del
verso sono presenti parole monosillabiche: articoli, preposizioni, congiunzioni o
particelle pronominali, che nella lingua comune non sono funzionalmente e
semanticamente autonome.16
L’argomento principale della poesia di Amelia Rosselli è la lingua considerata
nel senso generale di linguaggio, in quanto facoltà umana, mezzo di esplorazione, di
sperimentazione e invenzione.
15
16
Rosselli, Le poesie cit. p. 511, 518, 544, 550
Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli cit. p.1048-1051
10
Amelia Rosselli ha una triplice coscienza linguistica, culturale e letteraria;
pensando e scrivendo in tre lingue ricerca le forme universali e il linguaggio
universale. In “Spazi metrici”:
(…) la lingua in cui scrivo di volta in volta è una sola, mentre la mia esperienza
sonora logica e associativa è certamente quella di tutti i popoli, e riflettibile in tutte
le lingue.17
La sua poesia può collocarsi in un ambito letterario sia inglese, che francese ed
italiano.
In “Diario in Tre Lingue” (1955-1956) mescola francese, inglese e italiano,
alterna frammenti in prosa con il verso.
La Rosselli oltre a scrivere in lingue diverse attinge a registri
differenti.
linguistici
È interessata eminentemente allo sperimentare in prosa, ritenendo che si dica di
più in prosa che non in poesia, spesso manierista e decorativa.
“Prime Prose Italiane” è un breve testo del 1954. Per la prima volta Amelia
scrive in italiano, in prosa non scientifica o semplicemente saggistica e razionale. Lo
scritto è breve e ispirato dal Tevere.
La Rosselli scrive “Nota” una prosa difficile, interiore quanto la poesia,
viaggiando in treno, o stando seduta ad un caffè assolato, o dinnanzi a una macchina
da scrivere.
Vuole dotarsi di una lingua propria ed esclusiva, liberata dall’usura,
dall’abitudine ed investita di una maggiore potenzialità comunicativa.
Come per gli strutturalisti così per la Rosselli il linguaggio è ambiguo a tutti i
livelli: esso è logico (simile alle strutture matematiche), ma anche espressivo e quindi
sociale in quanto garantisce la comunicazione tra gli individui; infine è individuale
perché serve come mezzo di espressione di ogni personalità.
In “Spazi metrici” Allegato a “Variazioni belliche” descrive la sua ricerca “di
forme universali”, avvalorando l’idea che le parole escano dal vuoto, appartengano a
un linguaggio affrancato dalla parola piena e ordinata della razionalità, e siano
linguaggio universale dell’origine e della passione, corporeo, rumore, suono, soffio, e
respiro, idea, musica.
Nelle analisi freudiane di sogni, lapsus e motti di spirito “l’inconscio” si
permette qualunque mescolanza o slittamento da un significato a un altro, se i
significanti offrono la coincidenza anche più accidentale, la somiglianza anche più
approssimativa, la possibilità più assurda di scomposizione.
Per Freud “l’inconscio è solito trattare le parole come cose”. Lacan definisce
“l’inconscio come ciò che prende tutto alla lettera, come il regno del significante
ecc….”.18
Questo mette in crisi la concezione saussuriana del segno come combinazione di
signifiant e signifié (significante e significato), paragonabile a un foglio con il suo
17
Rosselli, Le poesie cit. p. 338
Gabriella Palli Baroni, Disuguali incantamenti di Amelia Rosselli, in “Quaderni del Circolo
Rosselli”, 17 (1999), Firenze, Giunti, p. 28-29
18
11
recto e il suo verso. Per Saussure il segno è arbitrario rispetto al referente, ma
necessario poiché il significante non può sussistere senza il significato e viceversa.
Nella Rosselli fondamentale è l’insistenza sul significante, sulla lettera, sulla
parola.
In “Spazi metrici” a proposito della sillaba, della parola, della frase e del
discorso dice:
“Per una classificazione non grafica o formale era necessario, nel cercare i
fondi della forma poetica, parlare invece della sillaba, intesa non troppo
scolasticamente, ma piuttosto come particella ritmica
Salendo su per questa materia ancora insignificante, incorrevo nella parola
intera, intesa come definizione e senso, idea, pozzo della comunicazione.(…). Io
invece (e qui forse farei bene ad avvertire che essendo il mio sperimentare e dedurre
assai personali e in parte incomunicabili, ogni conclusione ch’io ne possa aver tratto
è da prendersi davvero “cum grano salis”), avevo proprio altre idee in proposito, e
consideravo perfino “il” e “la” e “come” come idee e non meramente congiunzioni
e precisazioni di un discorso esprimente una idea.
Premettevo che il discorso intero indicasse il pensiero stesso, e cioè che la frase
(con tutti i suoi coloriti funzionali) fosse una idea divenuta un poco più complessa e
maneggiabile, e che il periodo fosse l’esposizione logica di una idea non statica
come quella materializzatasi nella parola ma piuttosto dinamica e in “divenire” e
spesso anche inconscio.
Volendo allargare la mia classificazione davvero non troppo scientifica, inserivo
l’ideogramma cinese tra frase, e la parola, e traducevo il rullo cinese in delirante
corso di pensiero occidentale. (…)”.19
L’ideogramma cinese diventa, così, uno strumento di affrancamento della parola.
Questa riflessione può scaturire dallo studio di Pound. Nei “Cantos” Ezra Pound
si serve dell’ideogramma cinese per intervallare italiano, inglese, greco, latino. Fin
dall’inizio del secolo Pound si interessa alla scrittura cinese come mezzo espressivo.
È particolarmente importante e interessante studiare la poesia della Rosselli dal
punto di vista musicale quando si esamina la ritmica. È attratta dalla studio della
metrica, aiutata in questo dai suoi studi di etnomusicologia, della musica del terzo
mondo e dell’oriente su indicazione di Bartòk. Il suo punto di partenza per le ricerche
della metrica è il rifiuto del postmajakovskismo.
Per l’eminente interesse musicale si reca a Darmstdat, dove trascorre le estati
degli anni 1959-1960. Darmstdat è il centro della Neue Musik, musica d’avanguardia
ispirata da Schoenberg e Webern. In questo centro collabora con John Cage.
Esistono forti elementi di similarità tra le teorie poetiche della Rosselli e le teorie
della musica dodecafonica: la parola è isolata nel verso, così come nel dodecafonico
la nota classica è isolata in mezzo al silenzio.
Si fa costruire uno strumento sperimentale per riprodurre le scale musicali con
molti più toni della scala occidentale a dodici toni.
19
Rosselli, Le poesie cit. p. 338
12
Applicato alla poesia, questo interesse nella divisione in minime unità dell’ottava
armonica si traduce nella preoccupazione della poetessa di annotare le divisioni
minime del tempo dei suoi versi.
Le sue idee sul ritmo e il tempo nella recitazione dei versi assomigliano a un tipo
di musica dell’avanguardia contemporanea.
Afferma che i suoi versi vanno recitati entro un intervallo di tempo, a seconda
della lunghezza del primo verso. La tesi è molto vicina al principio teorico di alcuni
brani di musica cantata non in tempi o battute (piedi o sillabe per la poesia) ma in
secondi e altre misure di tempo assoluto.
Questi sono aspetti innovativi della poesia della Rosselli, che si conciliano con le
linee dello sviluppo della musica d’avanguardia, ma è anche molto importante il
legame con la tradizione. Infatti parla dell’invenzione di questa forma nuova-antica
che nasce dalla lettura delle origini.
Scrive: “Volli rileggere i sonetti delle prime scuole italiane; affascinata dalla
regolarità volli tentare l’impossibile. (…)”20 (“Spazi metrici”).
Ritiene esaurita la scoperta del metro libero e necessario scoprire nuovi ordini
metrici; ma non torna al sonetto della tradizione, cerca un’altra strada, una nuova
forma d’invenzione personale.
Il risultato è la “forma-cubo”, come la chiama nell’intervista rilasciata a Giacinto
Spagnoletti. La nuova forma è breve, estremamente condensata, rigorosa e regolare
come il sonetto, ma anche diversissima in quanto sostituisce all’endecasillabo del
sonetto classico dei versi di misura fissa.
Da “Variazioni belliche” a “Serie ospedaliera”, da “Documento” a “Impromptu”,
la sua poesia è un “continuum” dove fondamentale è la componente letteraria.
Legge un considerevole numero di autori e di opere, che sono captati dal suo
ascolto e su cui si leva la sua voce: gli stilnovisti, gli elisabettiani, i romantici, gli
ermetici, Donne, Leopardi, Campana, Montale, Mallarmè, Verlaine, Rimbaud,
Kafka, Saba, Penna, Pavese, Scotellaro, Pasternak, Pound, Eliot, Dickinson, Plath,
Shelley, Pascal, Kierkegaard, Kant, Bergson. Legge testi freudiani e, quando non ha
ancora vent’anni, Karl Marx.
Ha trascorso diversi periodi della sua esistenza in psicanalisi con Ernst Bernadt,
diretto allievo di Carl Gustav Jung: più che sedute sono stati veri e propri “incontri
psicanalitici”, che hanno esercitato un’influenza sui suoi interessi culturali.
Per la Rosselli è importante fare analisi, prima di dedicarsi alla scrittura: questo
permette di scrivere cose generali e utili.
L’analisi psicanalitica serve per non incorrere, nella poesia, in un’autoanalisi
confusa e impasticciata di uso privato.
Gli scrittori in un certo senso sono i dottori dei loro lettori: perciò rifugge da una
poesia di tipo confessionale o privato.
Il suo itinerario poetico non è collocabile entro nessun ambito letterario; né
antologie, né movimenti letterari ottengono il suo incondizionato favore.
20
Ivi, p. 339
13
La poetessa definisce il “Movimento Beat”, nel testo della prima trasmissione
radiofonica dedicata alla Poesia d’elite nell’America d’oggi, “urgente e chiassosa
scuola Beat”.
Nei confronti della neoavanguardia nutre un tiepido interesse; a proposito degli
incontri del Gruppo ’63, racconta a Renato Minore in un’intervista:
Stavo a sentire tutto quel chiacchiericcio critico, era un po’ pesante. Scoprivano
Pound, Joyce e tanti altri che io avevo letto mille volte, che io avevo scoperto tanti
anni prima, per via della mia formazione non italiana.21
Del “Gruppo 63” apprezza Antonio Porta per la serietà della ricerca e Pagliarini
de “La ragazza Carla”, anteriore alla nascita dell’avanguardia.
Ne “La Libellula”: “E io lo so ma l’avanguardia è ancora cavalcioni su de le
mie spalle e ride e sputa come una vecchia fattucchiera,(…).”22
Per la Rosselli il poeta non è un veggente, non crede nel ruolo salvifico della
poesia: il poeta non è colui che addita e salva, non è il vate.
La poesia è piuttosto una testimonianza, che va resa con mezzi esatti e sottili; “la
poesia è scienza e istinto insieme”, “deve avere precisione scientifica ed essere
accettazione immediata delle percezioni”.23
L’esempio più alto di artista scienziato è rappresentato da Ghoethe.
Nel poemetto del 1958 (“La Libellula”): “io non so se io rimo per incanto o per
travagliata pena. Io non so se rimo per incanto o per ragione e non so se tu lo sai
ch’io rimo interamente per te, (…)”24 dichiara di non sapere se rima per incanto,
l’incantamento degli antichi, o per il travaglio di una sofferenza, per ammaliamento,
incantamento o per buon senso, per ragione.
Gli elementi che costituiscono la personalità e lo stile letterario di Amelia da un
lato sembrano essere scritti nel suo corredo genetico, (i nonni paterni, provenienti da
agiate famiglie ebree erano artisti; il nonno Giuseppe Emanuele Rosselli era un
raffinato musicista e compositore, la nonna Amelia Pincherle era un’affermata
autrice di drammi teatrali), dall’altro questi elementi sono determinati dalle
contingenze di vita, i traumi infantili, l’esilio involontario che la mette in contatto
con diverse culture.
Anima in pena, sofferente fin dalla giovinezza di schizofrenia, malattia che lei
chiama morbo di Parkinson, si toglie la vita l’11 Febbraio (di domenica) del 1996.
Forse non è una coincidenza che la poetessa Sylvia Plath, le cui poesie sono state
tradotte da Amelia, si sia suicidata proprio un 11 febbraio di trentatré anni prima.
La poetessa durante una conversazione con la scrittrice Sandra Petrignani
dichiara: “la poesia non si addice alla vita normale, quella di tutti i giorni. Per
questo tanti poeti muoiono giovani o suicidi. È come se lo scrivere dovesse essere
legato a una visione adolescenziale del mondo e quando si raggiunge la cosiddetta
maturità, il desiderio di scrivere vien meno”.
21
Francesca Caputo, La scrittura pratica di Amelia Rosselli, in “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p.
74
22
Rosselli, Le poesie, p.142
23
Elio Pecora, Un incontro con Amelia Rosselli, in “Galleria” cit. p. 151-152
24
Rosselli, Le poesie cit. 147
14
E confida: Non mi riconosco più scrittrice da cinque anni. Prima avevo la
poesia. Ho scelto di non sposarmi per non distrarmi da lei. Ma ora che la scrittura
mi ha abbandonato non ho più nulla.25 (Intervista da “Il Messaggero”, 23/6/1978).
Per la Rosselli vivere è ben più che scrivere. La vita è la prima fonte
d’ispirazione, e non di rado la poesia tradisce la sua fonte vitale d’ispirazione.
Dalla sua ultima opera “Impromptu”, pubblicata nel 1981, alla morte passano
quindici anni.
Amelia nell’ultimo periodo della sua vita soffre molto. Trascorre lunghi periodi
in ospedale. Agli amici confida di avere “idee suicidali”.
I fantasmi sempre presenti nella sua vita entrano con violenza in casa sua,
diventano reali e l’afferrano per i capelli trascinandola alla finestra.
Si allontana dalla vita, si abbandona ad una dimensione vegetativa, non vitale.
Quella costante espressa tante volte nella sua poesia della “morte in vita”, quella
specie di limbo tra vita e non vita, quella condizione confinante tra la vita e la morte
in cui la poetessa si trova e si muove, si tramuta poi nel gesto pensato, meditato,
quasi goduto del suicidio.
Sulla sua vita aleggia come un’ombra: “il suicidio”; sceglie di lanciarsi non dal
balcone della camera da letto-studio, più comodo per una simile impresa, ma dalla
finestra della cucina, per affacciarsi alla quale è necessario prendere una sedia, e poi
fare altri movimenti come la torsione del busto per sedere sullo stretto davanzale.
Nell’attimo del lancio voluto e scelto coincidono la sua malattia, la sua
sofferenza, la sua solitudine, la sua poesia che ha sempre costituito una dimensione
altra, proprio come la sua vita sospesa tra cielo e terra.
E ritornano i versi di “Hanno fuso l’ordigno di guerra” (“Documento”)
“Pregano che non se ne andrà così presto / la vita che ha nascosto la morte per /
tanto tempo finché un giorno ritrovarono / la notte stesa come un morto”.26
E in “Il Cristo (Pasqua 1971)”:
“Così come la finalità di tutte le cose / così come il conto festoso e a rima / ti
precipiti al balcone, dal balcone / per vederti camminare.”27
Da “Sanatorio” (1954)
“Il faut mourir pour vivre tranquilles.”28
Infine in “Notte, labirinto sorteggiato”(“Documento”)
«Inno alla vita nel punto di morte»29
Come la sua poesia si identifica con la sua vita, così nel suo lancio vuole
identificarsi con “la sua libellula” e si libra alla ricerca di nuovi lidi e nuove terre.
Come la vita ha nascosto la morte, così la morte può nascondere la vita, e la può
liberare.
25
Biancamaria Frabotta, Una lettura di Documento, in “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p. 20
Rosselli, Le poesie cit. p. 517
27
Ivi, p. 614
28
Ivi, p. 23
29
Ivi, p. 507
26
15
Capitolo II
La vita, l’impegno politico e sociale, la poesia di Rocco Scotellaro
Rocco Scotellaro nasce a Tricarico il 19 Aprile del 1923 da una famiglia di
piccoli artigiani. Il padre, Rocco Vincenzo, era calzolaio ed aveva un piccolo negozio
di scarpe; la madre, Francesca Armento, era sarta casalinga e scrivana degli
analfabeti del vicinato. Il 24 giugno del 1923, secondo la tradizione della religione
cattolica, riceve il battesimo, i padrini sono Battista Lomastro e Annunziata
Scotellaro.
Dopo aver frequentato le scuole elementari a Santa Croce, presso il vecchio
Convento delle Clarisse, si trasferisce a Sicignano degli Alburni nel Convitto
Serafico dei Cappuccini per il primo ginnasio. Dopo Sicignano è la volta di Cava dei
Tirreni, dove rimane per circa tre anni.
Nel 1937 a Matera, da privatista, sostiene gli esami conclusivi del triennio
ginnasiale; sempre a Matera frequenta il quarto ginnasio, il quinto a Tricarico, dove
nel frattempo è stato istituito un normale corso di studi ginnasiali.
Nell’anno 1939-1940 studia al Liceo classico “Quinto Orazio Flacco” di
Potenza. All’inverno del 1939 risale il primo incontro tra Rocco Scotellaro e
Giovanni Russo. I due giovani studenti scrivono i loro primi articoli su un
settimanale del Sud, “Potenza Fascista”, dove Russo fa le sue prime prove come
letterato e giornalista e Scotellaro come critico.
Nell’anno 1940-1941 si iscrive a Trento per il secondo liceo, che frequenta
presso l’istituto “Giovanni Prati”, ospite della sorella Serafina e del cognato Terzilio
(sottufficiale dell’esercito). A Trento ha per insegnante Giovanni Gozzer, e stringe
rapporti di amicizia con Alfredo Pieroni (poi direttore del quotidiano “Il resto del
Carlino”). Durante la permanenza a Trento prepara da privatista gli esami della
maturità classica, che supera in maniera brillante nel giugno del 1941.
Rocco Scotellaro consegue ottimi risultati scolastici, ottenendo voti molto alti in
greco e latino. Anni dopo, così traduce poeticamente “O fons bandusiae” (Carminum
Libro terzo, 12-13) di Orazio:
Bella fontana di Banzi,
ti luccica un’acqua di vetro,
ti porteremo domani in un cesto di fiori
un capretto che allatta e pasce.
Le prime corna gli promettono guerre di amore,
peccato perché noi laveremo il tuo sangue
nel tuo rivolo gelato.
Perché non ti prende il sole cane
e tu puoi rinfrescare
i buoi aratori e le greggi camminanti.
La bella fontana di Banzi,
dicono che sarai tra le nobili fonti,
perché rompe il cuore delle pietre
la tua canzone lontana.30(1949)
30
Rocco Scotellaro, È fatto giorno, a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori, 1954, p. 120
16
Nel 1942 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di
Roma, guadagnandosi contemporaneamente da vivere con il lavoro di istitutore
presso un collegio di Tivoli.
La morte del padre, avvenuta il 14 maggio 1942, e la guerra determinano il suo
ritorno a Tricarico e il cambio di Università, prima a Napoli, poi a Bari, dove non
frequenta, ma si reca per sostenere gli esami, come tutti gli studenti universitari
poveri. A causa degli impegni politici e delle traversie della vita non consegue la
laurea.
Nella primavera del 1943, all’età di vent’anni, partecipa a Potenza ai “Ludi
lucani della cultura” indetti dal Gruppo dei Fascisti Universitari (GUF) di Potenza,
dove si classifica al secondo posto per la cultura letteraria (la notizia è in Potenza
fascista del 25 aprile 1943).
Durante questo convegno letterario, dove si è distinto per l’acume
dell’intelligenza e per la preparazione, Scotellaro incontra Rocco Mazzarone.
Mostra al dottor Mazzarone un articolo di critica cinematografica e poi tira fuori
di tasca una poesia intitolata “Lucania”
M’accompagna lo zirlìo dei grilli
e il suono del campano al collo
di un’inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là, nell’ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano.31(1940)
Questi sono i primi versi sicuramente databili di Scotellaro. Rocco Mazzarone è
colpito positivamente da questa poesia e lo considera poeta compiuto.
All’inizio del mese di luglio del 1943 incontra Tommaso Pedio a Potenza.
Tommaso Pedio, da studente liceale a Pisa nel 1936, frequenta il gruppo di Carlo
Rosselli e poi cellule comuniste di Napoli, di Brindisi e Taranto. Nell’estate del 1938
è nelle Marche, dopo nel Polesine, a Ferrara dove conosce molti esponenti del partito
liberale democratico dei Rosselli denominato “Giustizia e Libertà”. Pedio, rientrato a
Potenza nel 1939, organizza attorno a sé un gruppo di vecchi socialisti e di studenti,
che indirizza verso le varie compagini partitiche della sinistra rivoluzionaria. Tra
questi giovani c’è Rocco Scotellaro, che rimane sulle posizioni di Pedio fino al 1944.
La posizione di Pedio è incerta tra l’accettazione incondizionata del programma
politico del PSIUP e un’ideologia libertaria vagamente anarchica.
Si sviluppa un intenso rapporto dialogico ed epistolare tra Rocco Scotellaro e
Tommaso Pedio, testimoniato dalle lettere intercorse tra i due in due periodi distinti.
Il primo periodo è compreso tra gli anni 1943-1944, durante il quale si
ricostituisce la sezione del Partito Socialista, intitolata a “Giacomo Matteotti”
(deputato e segretario del PSU sequestrato e ucciso il 10 giugno del 1924 da una
squadra di sicari comandata dallo squadrista toscano Amerigo Dumini). Il 4
dicembre 1943 Scotellaro si iscrive al PSIUP.
31
Ivi, p. 41
17
La casa di Rocco, in via Roma numero 65, diventa provvisoriamente la sede
locale del partito. Nel dicembre del 1943 si svolge una prima riunione di iscritti e
simpatizzanti.
Nelle lettere del secondo periodo, compreso tra gli anni 1950-1953, Scotellaro
chiede aiuto e assistenza al Pedio avvocato, per difendere tanti contadini disoccupati
e compromessi per le occupazioni dei latifondi.
Del 1944 è uno dei primi articoli politici scritti da Scotellaro. L’articolo su
Camillo Prampolini è pubblicato sul periodico “Battaglie Gogliardiche”, un foglio
stampato a Potenza a cura di un gruppo di giovani, di cui fanno parte Renato Matteo
Pistone, Giuseppe Ciranna e Giovanni Russo, riuniti in un’associazione studentesca
universitaria “Luigi La Vista”, di spirito innovatore e progressista.
Dalle lettere scritte a Pedio si evince uno Scotellaro concreto, legato a una
progettualità politica realistica, che alle astratte ideologie e alle utopie preferisce il
miglioramento immediato delle condizioni dei braccianti, dei contadini, degli
artigiani.
Mentre a Potenza Pedio lavora per la costituzione di un Fronte di Azione
Nazionale (FAN), formato da tutti gli antifascisti, a Tricarico Scotellaro costituisce,
nel febbraio del 1944, il Comitato di Liberazione, alla presidenza del quale si pone
l’avvocato Carlo Grobert, un militante del Partito d’Azione.
Nella lettera del 21 febbraio 1944 Scotellaro scrive:
(…), se vogliamo rappresentare sia pure una forza minima di critica nel partito
che ci può apparire traviato da manovre ascose, ebbene entriamoci dentro a vedere
con i nostri occhi, per correggere se possiamo e se qualcosa c’è che sia da
correggere e smettiamola di fare gli intellettuali di un partito che ha bisogno
anzitutto di opera e di azione(…).Io non ho una cultura comunista (…).
Esprime una critica nei confronti delle tendenze intellettualistiche di un partito
che ha necessità, invece, di agire in modo concreto. Ammette di non avere una
cultura marxista. La sua visione politica non è influenzata dalla lettura e dallo studio
del Manifesto e del Capitale di Karl Marx, ma piuttosto dalla lettura della Bibbia. Il
suo socialismo è imperniato sull’idea utopica di Gioacchino da Fiore ed è
caratterizzato dal rigorismo morale di Girolamo Savonarola.
Nel 1944 si celebra a Tricarico il “Primo maggio” in modo unitario. Si tiene un
comizio durante il quale partecipano Abdon Alinovi per il Partito Comunista, il
sindaco di Tricarico, l’avvocato Carlo Grobert per il Partito d’Azione, e Rocco
Scotellaro per lo PSIUP.
Nel 1946 Carlo Levi partecipa in Lucania, nella lista di “Alleanza Repubblicana”
insieme con Manlio Rossi Doria, Guido Dorso, Michele Cifarelli, alla campagna
elettorale per la Costituente e per il Referendum istituzionale. In tale occasione
Scotellaro conosce, nel mese di maggio, Carlo Levi. È Rocco a presentarlo come
candidato durante un comizio svoltosi a Tricarico. Inizia una profonda amicizia tra i
due, alimentata dalle frequentazioni romane del giovane lucano. Rocco Scotellaro si
inserisce nell’ambiente culturale romano, confermando una personalità singolare e
autonoma. Ma non dimentica la sua regione.
È intensamente impegnato nell’attività politica e sindacale che svolge
nell’entroterra della collina materana (Irsina, Stigliano, Calciano) tra Matera e Bari.
18
Le elezioni amministrative dell’ottobre 1946 vedono la lista del Fronte Popolare
Repubblicano, capeggiata da Rocco Scotellaro, ottenere la maggioranza dei voti. A
ventitre anni è il sindaco più giovane d’Italia, un sindaco socialista.
L’azione che qualifica al meglio il suo operato di amministratore è la fondazione
dell’Ospedale Civile di Tricarico (il terzo della Lucania).
“Egli non inventò l’ospedale; inventò invece, nel 1947 la maniera di trasformare
un’azione amministrativa in movimento di partecipazione popolare”.32
Questa espressione è usata da Rocco Mazzarone, concittadino e sincero amico di
Scotellaro. Mazzarone (medico e direttore Sanitario del Consorzio Provinciale
antitubercolare di Matera), nel suo operato è mosso da uno spirito di concretezza e di
empatia verso i suoi concittadini e corregionali più umili, comune al giovane
sindaco.
L’inaugurazione dell’Ospedale Civile di Tricarico si svolge il 7 agosto del 1947
ed è collocato in un’ala del Palazzo Vescovile.
Le elezioni politiche del 18 aprile 1948 conferiscono alla Democrazia Cristiana
una clamorosa vittoria. Il Fronte popolare in cui sono schierati socialisti e comunisti
è sconfitto.
Grande la delusione di Scotellaro per l’esito elettorale: scrive
“Pozzanghera nera il diciotto aprile”
Carte abbaglianti e pozzanghere nere
hanno pittato la luna
sui nostri muri scalcinati!
I padroni hanno dato da mangiare
quel giorno, si era tutti fratelli,
come nelle feste dei santi
abbiamo avuto il fuoco e la banda.
Ma è finita, è finita, è finita
quest’altra torrida festa
siamo qui soli a gridarci la vita
siamo noi soli nella tempesta
E se ci affoga la morte
nessuno sarà con noi,
e col morbo e la cattiva sorte
nessuno sarà con noi.
I portoni ce li hanno sbarrati
si sono spalancati i burroni.
Oggi ancora e duemila anni
porteremo gli stessi panni.
Noi siamo rimasti la turba
la turba dei pezzenti,
quelli che strappano ai padroni
le maschere coi denti. 33
32
Rocco Mazzarone, in Scotellaro trent’anni, Atti del Convegno di studio (Tricarico-Matera, 27-29
maggio 1984), Matera, Basilicata editrice, 1991, p. 12
33
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 71
19
Le dimissioni dei repubblicani e degli indipendenti, sollecitate da interventi
sotterranei, riducono il gruppo di sinistra, e provocano lo scioglimento
dell’amministrazione del Fronte popolare repubblicano. Rocco Scotellaro dà le
dimissioni da sindaco con una lettera, che reca la data del 2 giugno 1948. In una
relazione inviata al Comitato provinciale del Fronte popolare, riferisce del suo
complesso e delicato lavoro politico, svolto nei diciotto mesi dell’amministrazione
comunale da lui presieduta.
“(…) io personalmente dovevo essere nello stesso tempo il Sindaco,
l’organizzatore sindacale e politico, l’assistente sociale. Ed è pure utile che io
accenni per sommi capi a quello che abbiamo fatto: Risanato il bilancio, eseguito
lavori di strada di campagna, condotti in economia i servizi della nettezza urbana e
delle imposte di consumo; (…) riuscite pressioni per la costruzione di un ponte sul
Bilioso richiesto dai contadini da più di cento anni (…). Abbiamo riaffittato zone di
pascolo, (…) Vi sono state le concessioni delle terre che hanno tratto dalla fame più
di cento poveri braccianti (…). È stata istituita una refezione scolastica frequentata
da quattrocento alunni. Sette corsi popolari serali mantenuti da noi contro i due del
Ministero (…). Abbiamo dato infine la possibilità del funzionamento di un ospedale a
Tricarico.” 34
Le elezioni amministrative, ripetute il 28 novembre 1948, riconfermano
Scotellaro sindaco. La lista elettorale del Fronte democratico popolare (con simbolo
l’aratro) ottiene sedici seggi contro i quattro della Democrazia Cristiana.
Da tempo il movimento per l’occupazione delle terre portava avanti le sue
battaglie, ora più assopite, ora più palesi. Questo movimento di riscossa popolare, di
braccianti, di contadini, e di donne con bambini al seno, riprende con vigore nei mesi
di novembre e dicembre del 1949.
Il Congresso per l’Assise della terra si apre a Matera alla presenza di
quattrocento delegati. L’evento più drammatico è l’uccisione, il 17 dicembre del
1949, a Montescaglioso di Giuseppe Novello. Il bracciante montese è ucciso durante
le sommosse per l’occupazione delle terre del demanio comunale e di quelle delle
aziende Tarantino, Strada, Miami, Galante, Lacava.
Rocco Scotellaro in tale drammatica occasione scrive una poesia che dedica alla
vedova del bracciante Giuseppe Novello:
“Montescaglioso”
Tutte queste foglie ch’erano verdi:
si fa sentire il vento delle foglie che si perdono
fondando i solchi a nuova bella terra macinata
Ogni solco ha un nome, vi è una foglia perenne
che rimonta sui rami di notte a primavera
a fare il giorno nuovo.
È caduto Novello sulla strada all’alba,
a quel punto si domina la campagna,
a quell’ora si è padroni del tempo che viene,
il mondo è vicino da Chicago a qui
sulla montagna scagliosa che pare una prua,
34
R. Salina Borello, A giorno fatto, Matera, Basilicata editrice, 1977, p. 15
20
una vecchia prua emersa
che ha lungamente sfaldato le onde.
Cammina il paese tra le nubi, cammina
sulla strada dove un uomo si è piantato al timone,
dall’alba quando rimonta sui rami
la foglia perenne in primavera.35
Nella primavera del 1949 stringe un rapporto di amicizia con Carlo Muscetta,
inoltre conosce Vittorini e Pavese.
Per Rocco Scotellaro è determinante il rapporto con Carlo Levi, non di
dipendenza o di filiazione, ma paritario. Così Levi scrive a proposito della relazione
di amicizia con Scotellaro:
(…), e la nostra amicizia, che a me fu, più di ogni altra, preziosa; e che forse
contribuì, in qualche modo, alla sua presa di coscienza del mondo contadino di cui
faceva parte, e al suo guardarlo per la prima volta con distacco e amore, al suo
farne poesia, attraverso un linguaggio libero, personale, non letterario.36
Giovanni Russo ha vissuto momenti di vita, di confronto e di crescita con Levi e
Scotellaro. In “Lettera a Carlo Levi”:
Mentre per Levi il mondo della “civiltà contadina”, pur avendo una dimensione
politica e sociale, era, tuttavia immerso nel mito della memoria, per Scotellaro era
una realtà di cui egli, personalmente interpretava il dramma presente, le aspirazioni,
le contraddizioni interne come i momenti di speranza e il destino fatale di
inarrestabile dissoluzione.37
Non è esatto parlare di maestri a proposito di Scotellaro, la strada è stata forse la
sua vera maestra, la vita l’unica e autentica fonte di ispirazione. Il giovane lucano è
una persona ricettiva, aperta alle nuove esperienze ed alle esistenze di cultura diversa
dalla sua.
Ha un atteggiamento intellettuale, ma aperto, modesto, anche fermo, che gli
permette di apprendere da quanti hanno un’esperienza maggiore e differente dalla
sua.
L’8 febbraio del 1950 è arrestato con l’accusa di concussione e peculato per la
distribuzione delle lanerie UNRRA (United Nations and Rehabilitation
Administration). Condotto nelle Carceri Giudiziarie di Matera, è scarcerato il 25
Marzo del 1950. Dall’accusa, nata dalla denuncia di un democristiano monarchico, è
assolto dalla sezione istruttoria della Corte d’Appello di Potenza con formula piena.
Durante questo triste periodo, può sempre contare sull’assistenza fraterna e
sincera di Carlo Levi, e sulla solidarietà concreta di Ignazio Silone, Giulio Einaudi e
di tanti altri amici.
In carcere Scotellaro va scrivendo “L’uva puttanella”, il romanzo o “memoriale”
autobiografico, non condotto a termine.
35
Rocco Scotellaro, Margherite e rosolacci, a cura di Franco Vitelli, prefazione di Manlio Rossi
Doria, Milano, Mondadori, 1978, p. 66
36
Carlo Levi, in Omaggio a Scotellaro, a cura di Leonardo Mancino, Manduria, Lacaita, 1974, p. 410411
37
Giovanni Russo, Lettera a Carlo Levi, Roma, Editori riuniti, 2001, p. 79
21
È difficile dire se Scotellaro avesse fin dall’inizio in mente una vera e propria
autobiografia o piuttosto un diario di memorie. Forse è più corretto affermare che
“L’uva puttanella” è un’opera frammentaria e non incompiuta. Il poeta lucano crede
molto in quest’opera che definisce il suo “Cristo si è fermato a Eboli”.
Durante i quarantacinque giorni di detenzione conquista molte simpatie, sia tra
chi è stato arrestato per reati comuni sia tra i molti contadini arrestati per gli scioperi
e le occupazioni delle terre, leggendo le pagine del “Cristo si è fermato a Eboli”.
Dopo la sentenza di assoluzione è reintegrato nella carica di sindaco, da cui si
dimette l’8 maggio 1950.
Nella primavera del 1950 Scotellaro partecipa a Venezia al convegno su “La
resistenza e la cultura italiana”. Qui incontra Amelia Rosselli.
Nello stesso anno Rocco Scotellaro conosce Friedrich George Friedmann,
tornato in Italia dopo esserci già stato in un periodo compreso tra gli anni 1933-1939,
dopo la fuga dalle persecuzioni degli ebrei nella Germania nazista.
Nel 1933 trova rifugio a Roma dove, dagli studi di medicina che frequentava a
Friburgo passa a quelli di lettere e filosofia. Lascia l’Italia dopo che anche qui, nel
1939 sono estese le leggi razziali. Fugge prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti
d’America.
A riportarlo in Italia è l’interesse verso la società e le culture contadine del
Mezzogiorno. Per il programma Fulbright propone come progetto di ricerca “La
filosofia di vita dei contadini italiani”.
Dopo aver ricevuto, nel febbraio del 1950, dal Dipartimento di Stato Americano
una borsa di studio, si trasferisce con la famiglia in Italia.
Quando giunge in Italia è già presente a Tricarico il sociologo americano George
Peck, appartenente a un’importante famiglia di commercianti di New York. Peck
studia l’economia domestica delle famiglie più povere del Mezzogiorno d’Italia:
nella sua ricerca è aiutato da Rocco Scotellaro, suo amico.
Friedmann, durante la permanenza a Roma è in stretto contatto con l’autore del
“Cristo si è fermato a Eboli”. È Carlo Levi a indirizzarlo da Rocco Scotellaro. Il
primo incontro tra i due si svolge a Tricarico, a casa di Scotellaro. Subito dopo
Friedmann, insieme allo storico delle religioni Ernesto de Martino e a Rocco
Scotellaro, assiste alla festa della Madonna di Fonti.
Alla fine degli anni cinquanta, terminata la borsa di studio del programma
Fulbright, Friedmann ne ottiene un’altra. Con il finanziamento dell’UNRRA-CASAS
realizza un progetto che ha per oggetto di studio la comunità di Matera.
Friedmann durante il suo soggiorno di studio in Lucania rileva ed evidenzia una
“certa qualità cosmica del mondo contadino”. Il modo di vita e la dignità personale
dei contadini aderiscono a un ordine cosmico, un ordine non creato dall’uomo.
Friedrich George Friedmann afferma l’esistenza di un “mondo arcaico” e di un
“mondo contadino”; il mondo arcaico ha una priorità assoluta, il mondo contadino
almeno una priorità secondaria, essendo molto più vicino al mondo arcaico rispetto al
mondo borghese o industriale.
Letteralmente, archè significa principio non in senso cronologico. L’archè, è ciò
che sempre fu e che sempre sarà.
22
Il mondo arcaico non ha solamente il carattere del primordiale, ma anche del
permanente, la permanenza può esprimersi metaforicamente nel paesaggio, con cui
contadini e pastori stanno in stretto contatto, oppure psicologicamente come strato
subcosciente di tutta l’umanità.
È questo elemento arcaico-e non il mondo contadino-che noi tutti abbiamo in
comune.38
Rocco Scotellaro nello scritto “I contadini guardano l’aria”39 evidenzia il
carattere di primogenitura del mondo contadino. I contadini sono i primo generati,
perché il primo lavoro umano è stato quello “di sollevare la zolla”, quello “della
terra”.
Il lavoro dei contadini dà il pane e il vino (il pane e il vino nella religione
cristiana attraverso la transustanziazione diventano il corpo e il sangue di Gesù
Cristo).
Rocco Scotellaro afferma che i contadini si muovono entro un universo dove gli
elementi fondamentali sono la terra e il cielo. La terra è madre, il cielo è un bambino
capriccioso, che sa fingere e mordere. La terra madre e il cielo padre (fecondatore
per esempio per via della pioggia) costituiscono i quadri cosmologici e gli elementi
focali dell’esistenza di un popolo. Il cielo è guardato con sospetto dai contadini
perché ha il carattere dell’imprevedibilità.
Nel suo breve ma significativo scritto descrive un mondo contadino chiuso da un
patto incrollabile che non ha paragoni nel mondo borghese o industriale. Mondo nel
quale riesce ad entrare ogni giorno perché aderisce agli “statuti della concezione
contadina”, che sono la “primogenitura dei contadini” e i “capricci del cielo”.
È attraverso il lavoro dei contadini che il mondo si muove e va avanti. Di questo
loro carattere di indispensabilità i contadini sono consapevoli e quindi fieri. Oltre ad
affermare la consapevolezza e la fierezza dei contadini parla anche di una “loro
combattività intelligente”, che contrasta con tutta una “vecchia storia del
conservatorismo contadino”.
I contadini “hanno aperto gli occhi”, sono “entrati in gioco” con “i loro panni e
le loro scarpe e le loro facce”, da soggetti passivi diventano protagonisti di quella
“Storia”, che per troppo lungo tempo li ha tenuti ai margini. Evidenzia il moto di
risveglio, di riscossa dei contadini, espresso anche in quella che Carlo Levi definisce
una Marsigliese del movimento contadino,
“Sempre nuova è l’alba”.
Non gridatemi più dentro,
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi, contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino!
che all’ilare tempo della sera
s’acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna,
38
39
Friedrik G. Friedmann, Mondo contadino e mondo arcaico, in Scotellaro trent’anni dopo cit. p. 26
Rocco Scotellaro, I contadini guardano l’aria, in Omaggio a Scotellaro cit. p. 18
23
l’oasi verde della triste speranza,
lindo conserva un guanciale di pietra.
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova.40
I contadini sono i padri operosi dell’umanità, per questa, proprio come buoni
padri da sempre si sacrificano e sopportano. I contadini guardano l’aria e riescono a
predire il tempo della mattina, a presagire se c’è qualcosa di nuovo.
Rocco Scotellaro nello scritto “I contadini guardano l’aria” descrive in maniera
molto bella il mondo contadino, un mondo nel quale entra ogni giorno, non
violandone gli statuti, ma rispettandoli. Il poeta lucano comprende, ama e riesce a
farsi interprete del mondo dei contadini.
Dopo gli ultimi eventi, l’amministrazione, il carcere, matura sempre più in
Rocco la volontà di lasciare Tricarico. Sempre presente è in lui la volontà di
arricchire la sua esperienza di vita, oltre il desiderio di evasione è presente anche una
necessità economica a determinare l’allontanamento dalla regione nativa.
Dopo il lavoro di qualche mese da Einaudi ottiene un’occupazione dal professor
Manlio Rossi Doria, presso l’osservatorio di Economia e politica agraria di Portici.
Scotellaro collabora alla stesura degli studi preliminari del Piano regionale per la
Basilicata, sotto commissione della Svimez, cura la parte relativa ai problemi
igienico-sanitari (sotto la guida del dottor Mazzarone), la parte riguardante
l’analfabetismo e la scuola. Insieme con Manlio Rossi Doria progetta la costituzione
a Portici di un centro di sociologia rurale e di avviare studi di comunità rurali.
Nel 1952 accetta, pur avendo un atteggiamento critico nei confronti del PSI
materano, la candidatura per la provincia alle elezioni di maggio; in tale occasione
non è eletto. Agli inizi di dicembre dello stesso anno con Carlo Levi viaggia in
Calabria per verificare sul posto gli effetti della Riforma Agraria.
Nel gennaio del 1953 aderisce ad una proposta di Tristano Codignola e collabora
a “Nuova Repubblica”. Partecipa a Pisa ad un convegno promosso dai gruppi toscani
di Giustizia e Libertà (tra cui ci sono Cassola e Capitini). Dopo aver viaggiato per i
paesi della Basilicata e della Puglia (Tricarico, San Chirico, Accettura, Stigliano,
Pisticci, Taranto, Lecce) con il fotografo Maraini, incontra, il 13 maggio a Bari, Vito
Laterza, che gli propone di realizzare un libro sulla cultura dei contadini meridionali.
Scotellaro abbozza un primo schema di lavoro, che consegna all’editore Laterza
il 24 giugno. Nel breve scritto intitolato “Per un libro su i contadini e la loro cultura”,
Scotellaro afferma: ‘i contadini dell’Italia meridionale formano ancora oggi il
gruppo sociale più omogeneo e antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti
economici e sociali, per la generale concezione del mondo e della vita.’41
Fin dall’inizio Scotellaro sceglie come metodo di ricerca quello delle interviste e
dei racconti autobiografici. Vuole far parlare in prima persona i diretti interessati.
40
41
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 82
Manlio Rossi Doria, in Omaggio a Scotellaro cit. p. 270
24
Questo gli permette di ottenere documenti vivi e un’interpretazione più profonda
della realtà contadina.
L’impegno del libro è per l’intero Mezzogiorno. In un primo momento Rocco
vuole limitare l’indagine a tre regioni soltanto, ma poi le porta a quattro, si tratta
della Campania, la Calabria, la Lucania e la Puglia. In Campania si ferma a Nola
dove abbozza una prima biografia, e nella Valle del Sele, dove vive il giovane
bufalaro, la cui storia è presente in “Contadini del Sud”.
Di ritorno dalla Sicilia dove ha ricevuto il Premio Borgese per le sue poesie, si
ferma a Reggio Calabria, dove intende intervistare donne raccoglitrici di olive a
Polistena, di gelsomino a Brancaleone, di bergamotto a Melito, portatrici di sale di
Bagnara e poi contadini piccoli affittuari delle colline alluvionate presso Reggio,
poveri sfollati di Africo, greci di Rogudi, piccoli assegnatari di Caulonia.
Dal 10 luglio al 4 agosto è in Puglia, dove viaggia nel Salento passando per
Lecce, Tricase, Alessano, Leuca, Patù e Taranto per arrivare a Bernalda e Matera.
Le quattro vite ultimate e pubblicate in “Contadini del Sud” riguardano contadini
di Tricarico e della frazione di Calle. Da un elenco di capitoli ritrovato e scritto due
giorni prima di morire si evince un progetto di ampio respiro. L’ordine dei capitoli
ritrovato è il seguente:
1.
2.
3.
4.
I contratti agrari (Beneventano);
La rivoluzione insubordinata (Montano Altilia nel Cilento);
Le roccaforti comuniste (Cerignola, Andria, Irsina);
La grande Reggio (Reggio Calabria, Rosario Valaniti, San Gregorio, il
Lazzaretto, ecc.);
5. Il profumo del Sud (bergamotteti e gelsomini);
6. Obelischi e piantine di tabacco (Salento);
7. Il mare d’olio (Taurianova, Palmi,ecc.);
8. L’oro bianco (zone canapicole)
9. Le ceneri del Vesuvio (San Vito e Terzigno);
10. Il mini fondo (Avigliano, Ruoti e frazioni)42
Mentre procede nel suo lavoro Rocco acquista consapevolezza della varietà e
complessità del mondo contadino, per questo decide di non realizzare un’inutile
ricerca estensiva, ma studia e analizza alcuni ambienti particolari per poi
rappresentarli attraverso diverse vite e interviste individuali.
L’inchiesta sui “contadini meridionali e la loro cultura” è un’iniziativa di
conoscenza scientifica e non di letteratura o di folclore, quindi le pagine dei
contadini lucani o campani o pugliesi devono essere leggibili e comprese da qualsiasi
lettore italiano, qualunque sia la regione di provenienza. Rocco nell’affrontare il
lavoro resta comunque poeta.
La ricerca sociologica, proprio come la vita con le speranze e le delusioni, è
materia d’ispirazione e diventa poesia.
Delle cinque vite pubblicate soltanto quella del bufalaro Cosimo Montefusco è
scritta interamente da Scotellaro, le altre quattro sono dettate o scritte direttamente
dai protagonisti.
42
Ivi, p. 277-278
25
Le autobiografie sono di gente di Tricarico: Antonio Laurenzana, piccolo
affittuario e piccolissimo proprietario, scarsamente interessato alla politica, forse
socialista; Andrea Di Grazia, piccolo proprietario coltivatore diretto, cattolico,
democristiano; Michele Mulieri, contadino-artigiano, indipendente e anarchico;
Francesco Chironna, mezzadro, innestatore e potatore specializzato, indipendente
politicamente, di fede evangelica.
Il lavoro sociologico è rimasto incompiuto per l’improvvisa e prematura morte di
Scotellaro.
Il 5 dicembre con l’amico Antonio Albanese da Irsina giunge a Tricarico. Rocco
sta già molto male; amici medici accertano che la pressione è a 60. Nei giorni
successivi le sue condizioni di salute migliorano, tanto che i medici acconsentono ad
un suo viaggio a Napoli, dove deve sottoporsi ad una serie di analisi. Insieme con
Manlio Rossi-Doria parte il 12 dicembre da Tricarico. Rimane a casa dell’amico due
giorni, per poi partire diretto verso Portici dove deve rimettersi al lavoro.
Il 13 dicembre scrive l’ultima poesia dedicata alla madre:
“Tu sola sei vera”
Colei che non mi vuol più bene è morta
È venuta anche lei
a macchiarmi di pause dentro.
Chi non mi vuol più bene è morta.
Mamma, tu sola sei vera.
E non muori perché sei sicura.43
La sera del 15 dicembre, durante la cena, si sente male, si porta la mano alla testa
e con un’espressione di dolore cade a terra. Muore immediatamente alle otto e
mezza.
Il poeta lucano nell’ “Uva Puttanella” a proposito di Pasquale il fuochista, morto
suicida, scrive:
(…).Il prete non volle ragionare con me il suicidio, io capii infine, era l’unico
fatto degli uomini che la chiesa rispettava e fui contento che Pasquale non andasse
in chiesa e corresse senza campanelli e acqua santa e giaculatorie, al suo riposo.
Andai a rileggermi il libro di quegli anni al punto che dice “Quando presterai
qualsivoglia cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo
pegno; te ne starai di fuori, e l’uomo a cui avrai fatto il prestito, ti porterà il pegno
fuori. E se quell’uomo è povero, non ti coricherai, avendo ancora il suo pegno. Non
mancherai di restituirgli il pegno, al tramonto del sole, affinché egli possa dormire
nel suo mantello, e benedirti; e questo ti sarà contato come un atto di giustizia agli
occhi dell’Eterno, ch’è il tuo Dio” (10-13, cap.24, Deuteronomio).44
Anche Scotellaro, morto, non è entrato in chiesa, e al suo riposo è andato senza
campanelli, acqua santa e giaculatorie; accompagna il feretro un nutrito corteo di
familiari, di amici e risuona come una ninna nanna di morte il lamento funebre di
braccianti, di contadini, di artigiani, la sua tanto amata gente.
43
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 46
Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, Contadini del sud, Prefazione di Carlo Levi, Bari, Laterza,
1986, p. 43-44
44
26
Capitolo III
L’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli
Rocco Scotellaro incontra Amelia Rosselli durante il convegno su “La resistenza
e la cultura italiana”, svoltosi a Venezia il 22-24 aprile 1950.
Amelia ha vent’anni, Rocco ventisette.
Rocco Scotellaro, uscito da un mese dal carcere, sta vivendo un periodo di
disillusione; Amelia Rosselli vive a Roma, alla ricerca di un lavoro.
Scotellaro annota gli eventi all’interno dei “Taccuini”, esordendo con una
considerazione personale sui convegni, che può valere per tutti:
“Sono molto pratico dei convegni: quando è solo necessario assicurare la
propria presenza, si può pensare ad altro, perché gli applausi o i commenti
sgradevoli non ti toccheranno”.45
Dopo descrive il viaggio in treno e l’arrivo a Venezia “che il sole metteva” 46,
ossia al sorgere del sole, all’alba.
Dalla stazione ferroviaria Rocco si dirige alla segreteria e poi all’albergo
assegnatogli. Vive la “prima traversata della vita, su un vaporetto che ti tiene dentro
proprio come una vasca”47.
Descrive una “città già sveglia”, quando il sole non è alto nel cielo, “non tocca
ancora le case”48.
Durante il convegno Rocco si siede accanto ad una signorina dal “volto biondo
come una lampada, i capelli corti tagliati alla nuca”49, il portamento altero e lo
sguardo eretto dinnanzi a sé.
Per il giovane poeta lucano “incontrarsi o star vicini e poi dire una parola è
rompere con i miti”50.
È subito impressionato positivamente dalla “ragazza nella bellezza bianca”51, un
mito per lui.
Non è soltanto la bellezza e il portamento a impressionarlo e affascinarlo, ma
soprattutto il comportamento non remissivo, ma cortesemente partecipativo alle
questioni che si affrontano durante il convegno.
Rocco Scotellaro esprime in altre occasioni il fascino esercitato su di lui da
donne dall’aspetto fisico e dal comportamento differente da quello delle donne
contadine del suo paese. Le donne contadine hanno una grande forza, svolgono
lavori molto duri, ma hanno compiti ben determinati, che le vede impegnate nei
lavori casalinghi o nel lavoro dei campi.
45
Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco.Un epistolario,a cura di Franco Vitelli, “Lo
straniero”, 13/14 (2001), p. 254
46
Ivi
47
Ivi
48
Ivi
49
Ivi
50
Ivi
51
Ivi
27
Nel racconto “Fili di ragno”, Rocco è innamorato di Tilde (l’aiuto svizzero
all’Italia):
Allora venisti tu. Ti vidi in una macchina lucida, di profilo. Erano i tuoi capelli,
era la tua carne bianca e lentigginosa. (…) ricordo come ti rispondevano gli
interpellati fissandoti la faccia bianca e lentigginosa, meravigliandosi della tua
bellezza e che il tuo corpo lungo era impegnato in quelle minute faccende. (…)52
La meraviglia dei compaesani di Rocco per una donna dalla carnagione chiara e
dal corpo snello è la sua stessa meraviglia.
Scotellaro è attratto da una donna dalla bellezza nordica e non mediterranea, è
affascinato da una donna che svolge un lavoro intellettuale e non un lavoro manuale.
La pelle delle donne contadine non è chiara e liscia, ma ruvida per la pioggia e il
vento e cotta dal sole.
L’innamoramento per una donna straniera diventa un topos della poesia di
Scotellaro.
Il poeta lucano scrive: “Per una donna straniera che se ne va” 53,
dichiarazione di amore a una straniera”
“Una
……………………..
Senti le nostre donne
il silenzio che fanno.
Portano la toppa
dei capelli neri alla nuca
hanno tutto apparecchiato
le mani nel grembo
per l’uomo che torna dalla giornata54.
Le donne della realtà contadina hanno un atteggiamento remissivo, non pongono
interrogativi, attendono ossequiose il ritorno degli uomini.
È evidente il contrasto con la ragazza “che agita appena un dito quando sorgeva
un problema, e riporlo sul grembo dopo la risposta”55.
La signorina “mito nella bellezza bianca” non è una ragazza qualsiasi, è la figlia
di Carlo Rosselli.
Rocco Scotellaro apprende il nome della ragazza (pronunciato con accento
inglese) e rimane confuso. Non sa se prova un sentimento d’amicizia, se è legittimato
a sentirsene innamorato, o piuttosto se deve venerarla, in quanto “figlia di un grande
martire che parlava più di tutti in quel convegno”.56
Rocco vede rivivere in Amelia gli ideali del padre Carlo Rosselli57, di cui avverte
chiara la contiguità.
Esiste un’affinità ideologica tra Carlo Rosselli e Rocco Scotellaro: Rocco non
ha una cultura marxista, ma ha letto le opere di Rosselli, “Socialismo liberale”, e
52
Rocco Scotellaro, Fili di ragno, in Uno si distrae al bivio, prefazione di Carlo Levi, Matera,
Basilicata editrice, 1974, p. 54
53
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 49
54
Ivi, p. 50
55
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 254
56
Ivi
57
Vedi Carlo Rosselli fine del presente capitolo
28
“Oggi in Spagna, domani in Italia”(nuova edizione degli scritti rosselliani), ha inoltre
avuto contatti con i gruppi toscani di “Giustizia e Libertà”.
Carlo Rosselli è in polemica con il materialismo economico di stampo
marxistico, ritiene il socialismo essere tensione verso la libertà e l’emancipazione del
maggior numero di uomini, quindi il suo socialismo non è in contrasto con il
liberalismo, ma ne rappresenta il logico sviluppo.
Il “revisionismo socialista”di Carlo Rosselli deve piacere molto a Rocco
Scotellaro.
Rocco incontra Amelia Rosselli, la figlia del “suo ideale politico”.
Quando si presenta ad Amelia-Marion è già noto come il “sindaco-poeta”, la
giovane donna conosce la sua opera poetica “Mi sapeva. Lesse le mie poesie” 58; in
seguito accenna dei giudizi sulla poesia scotellariana non completamente positivi
“Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri: ciò che mi permise uno
scambio di sguardi che mi fece più ardito”59
La seconda sezione dei “Taccuini” è intitolata “La grande batosta di Venezia”. Il
convegno passa in secondo piano, non è importante quanto l’incontro con una donna;
Rocco scrive:
“In breve non si tratta di un convegno, ma di una donna e me”60.
Amelia–Marion appaga il desiderio di Rocco, che da sempre desidera una donna
dominante. Amelia (chiamata sempre con il nome della madre, Marion), è la donna
alla quale Rocco può offrirsi come un servitore soggiogato e a lei sottomesso.
Amelia-Marion è per Rocco “la più grande batosta dell’anima”61;prova grande
ammirazione, ma anche soggezione, forse prova un sentimento d’inferiorità nei
confronti della Rosselli:
Mi sento schifoso a confronto della sua bellezza. È una bellezza intera, perché
anche dentro deve star bene. (…) Intanto lei nel suo splendore pare che abbia gli
occhi in alto, in alto. Sorride da lontano, la sua voce ha un suono d’uccello che non
si preoccupa di essere ascoltato. Io sono fuori di lei.”62.
Queste sono le opinioni, i sentimenti suscitati dal primo incontro con Amelia, ma
ben presto Rocco comprende l’angoscia, la sofferenza che tormenta l’anima, la vita
della giovane donna fino a paragonarla alle figure sacre:
“Non mi è mai capitato di vedere i santi o la Madonne o Gesù Cristo che si
muovono, che appaiono ai bambini, agli uomini, alle donne che restano inchiodati
per terra e non vogliono sapere più del mondo. Ma una ragazza è capace? Non
voglio inginocchiarmi a lei. Chi è?”.63.
Afferma di avere una morale da bigotta: la spoglia, la paragona alla “solita
ragazza illibata dagli occhi melanconici e dalla carne che aspetta ancora di essere
toccata”64.
58
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 255
Ivi
60
Ivi
61
Ivi
62
Ivi
63
Ivi
64
Ivi
59
29
Ma è l’amica “che si salva e vince, va in alto, guardo lontano e mi annienta, io
sono a terra”65.
Quello scritto in seguito da Scotellaro non ha semplicemente un tono di
sottomissione, ma è ai limiti del masochismo:
“Sconfitto, dico male parole, mi abbandono per difendermi, ai gesti volgari,
potrei –senza volerlo dirle: Donnaccia! Ma non me la sento, mi amerebbe, io le
andrei sotto per farmi pungere a sangue. No, questo no. Allora scappo via, in cerca
di amici, c’è buio, il suo splendore è, per lo meno, nascosto”66.
Tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli intercorre uno scambio di opinioni e
conoscenze letterarie.
La Rosselli ha già opinato in modo non proprio lusinghiero a proposito della
poesia di Scotellaro, poi si delinea la volontà di dargli da leggere un libro di versi di
Eliot, molto probabilmente “Four Quartets” pubblicato nel 1944 dalla Faber and
Faber di Russel Square a Londra.
Possono rinvenirsi delle similarità tra la produzione poetica di Amelia Rosselli e
quella di Thomas Stearnes Eliot anche nel richiamo reciproco a Cavalcanti.
Il primo verso di un componimento di Amelia Rosselli
Perché non spero tornare giammai nella città delle bellezze
eccomi di ritorno in me stessa. Perché non spero mai ritrovare
me stessa, eccomi di ritorno fra delle mura. Le mura pesanti
e ignare rinchiudono il prigioniero67
(“Variazioni belliche”)
riprende quasi alla lettera l’incipit della ballata cavalcantiana:
“Perch’i’no spero di tornar giammai,
ballatetta, in Toscana,
va tu, leggera e piana(…)”68
Se Guido Cavalcanti è la fonte più ovvia del componimento della Rosselli, il
termine di confronto più interessante è T. S. Eliot.
“Ash-Wednesday” di Eliot inizia con una traduzione del primo verso “Perch’i’no
spero di tornar giammai” di Cavalcanti, il poemetto di Eliot è composto da sei parti,
la prima e l’ultima iniziano con versioni dello stesso incipit:
Because I do not hope to turn again
Because I do not hope
Because I do not hope to turn
Desiring this man’s and gift and that man’s scope69.
Come Amelia Rosselli in “Perché non spero tornare giammai nella città delle
bellezze”, così Eliot nel suo poemetto parte dal primo verso della ballata
cavalcantiana, e lo utilizza come tema base per una serie di variazioni.
65
Ivi
Ivi
67
Rosselli, Le poesie cit. p. 316
68
Guido Cavalcanti, in Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, I, Milano, Mondadori, 1969,
p. 81
69
Thomas Stearns Eliot, Ash Wednesday, New York, Knickerbocker Press, 1930
66
30
Le “Variazioni belliche” di Amelia Rosselli hanno aspetti innovativi, che
rientrano nelle linee della musica d’avanguardia, ma anche un forte legame con la
tradizione: da una parte è presente la volontà di innovazione radicale, dall’altra il
desiderio di sentirsi ancorata alla tradizione.
La forma creata dalla Rosselli ha dei forti legami con le forme poetiche classiche
della tradizione: predilige una specie di neo-sonetto.
Anche dal punto di vista musicale l’idea base di un tema e di variazioni è antica,
essendo una consuetudine diffusa fin dal Rinascimento. La forma della poesia di
“Variazioni” (“Variazioni Belliche”) si rifà a schemi musicali classici; la poetessamusicista confida di aver suonato prima un preludio di Bach o di Chopin, per poi
interpretarlo in forma poetica.
Thomas Stearne Eliot è un poeta dal forte carattere classicista, ma inteso in
senso moderno. In “Ash-Wednesday” T. S. Eliot si rifà a Cavalcanti, ai poeti del
Trecento italiano, a Dante, ai Vangeli e al Vecchio Testamento. Il rimando alla
liturgia romana non è una scelta religiosa o ecclesiastica, ma tematica e poetica;
riflette la necessità eliotana di innestarsi nel terreno della tradizione classica,
rivisitata in forma moderna. Questo modello attrae i poeti italiani come Eugenio
Montale e Amelia Rosselli.
“Perché non spero di tornare giammai nella città delle bellezze” della Rosselli
non è un riferimento diretto a Cavalcanti, ma un riferimento indiretto ad Eliot. La
ballata cavalcantiana è tradotta due volte, una prima volta da Eliot in inglese e poi
una seconda volta dalla Rosselli in italiano attraverso il poemetto di T. S. Eliot. La
Rosselli è, perciò, vicina ad Eliot non sul piano testuale, ma per un’affinità di stile,
nella maniera di realizzare il rapporto con la tradizione.
L’influenza di Thomas Stearns Eliot su Rocco Scotellaro può rinvenirsi nel
tentativo di realizzare una poesia salmodica. Scotellaro nell’ultimo periodo della sua
breve esperienza poetica assume come modello ideale di poesia il “salmo”, la sua
produzione poetica si caratterizza per i connotati biblici e corali.
Dopo il 1950 la poesia salmodica di Scotellaro diventa “un pianto senza
speranza”. Il poeta lucano medita sul suo fare poesia e così la sua stessa poetica
diventa salmodica.
Nei “Frammenti e appunti” dai quaderni dell’“Uva puttanella”, Scotellaro scrive:
Il tema? Io; sempre io? Non può essere diversamente. E noi? È equivalente
come tutto. Cominciamo i soliti ritmi.
Deve scegliere la forma per esprimere l’io e il noi
Epica: è falsa, ora. Elegia: è facilissima. Ode: per chi e che? Sonetto: ci vuol
pace e molti giorni di incubazione, non delle rime, del fatto. Canzone: sono solo.
Comizio: idem. Epicedio: i morti sono freddi. Salmo: sto per arrivarci, ma l’ignoto è
lontano. Vada per una specie di salmo70.
Di questa tensione e aspirazione poetica è la poesia “Salmo alla casa e agli
emigrati”, scritta a Portici, il 7 novembre, del 1952
Inchinati alla terra, alla piccola porta mangiata della casa,
noi siamo i figli e la porta è carica di altri sudori,
70
Scotellaro, Uno si distrae al bivio cit. p. 132-133
31
e la terra, la nostra porzione, puzza e odora.
Mi uccidono, mi arrestano, morirò di fame, affogato
perché vento e polvere, sotto il filo della porta, ardono la gola;
nessuna altra donna mi amerà, scoppierà la guerra,
cadrà la casa, morirà mamma e perderò gli amici.
Il paese mio si va spopolando, imbarcano senza canzoni
con i nuovi corredi di camice e mutande i miei paesani.
Che vanno a pigliare l’anello? Come nel giuoco
sui muli bardati di coperte, e con le aste di ferro uncinate,
al filo teso sulla rotabile, nel giorno di San Pancrazio?
Ve ne andate anche voi, padri della terra, e lasciate
il filo della porta più nero del nero fumo.
Quale spiraglio ai figli che avete fatto
quando la sera si ritireranno?71
Nel salmo la disfatta personale è anche quella del suo popolo; emerge limpida e
forte una visione negativa della terra, che non ha niente da offrire ai “suoi figli”. Si
prospetta un futuro senza speranza per la sua gente, funesto per lui. Il “popolo del
sud” deve emigrare perché non c’è alcuna aspettativa per i “figli della terra”.
Il 26 Marzo del 1951 (l’annotazione è nella sezione quinta dei Taccuini) Rocco
Scotellaro, Amelia Rosselli e Manlio Rossi Doria incontrano Gaetano Salvemini a
Sorrento, nella villa “La Rufola” della marchesa Giuliana Benzoni. In questa villa
Gaetano Salvemini muore nel settembre del 1957.
Gaetano Salvemini è stato storico e uomo politico, ha scritto varie opere tra cui
“Le origini della reazione”, “I partiti politici milanesi del secolo diciannovesimo”,
“La rivoluzione francese”.
Ha svolto un ruolo antifascista molto importante col gruppo del “Non mollare”.
L’ultimo lavoro a cui attende è la raccolta dei suoi “Scritti sulla questione
meridionale 1896-1955”, del 1955.
Così Rocco Scotellaro descrive Gaetano Salvemini nei suoi Taccuini:
Salvemini, Don Gaetano lo chiama, abbracciandolo Rossi-Doria: ha la barba un
grano tenero, marzolino, si vede la pelle sotto. Gli occhiali sono aderenti come due
grosse monete: l’occhio sinistro è più piccolo, sta fermo pare inanimato, quello
destro è mobile, paterno, largo, raccoglie intorno e dona. Pare subito che l’occhio
sinistro è il padrone dello sguardo; nella immobilità sono le riserve, e l’indecisione
di Gaetano Salvemini.72
Salvemini sta preparando il discorso commemorativo sui fratelli Rosselli.
A villa “La Rufola” si parla di politica; Salvemini per le elezioni amministrative
di Firenze auspica la candidatura di Gaetano Pieraccini. Il barone Ruffino afferma
che bisogna adoperarsi da subito per la salvezza dell’Italia dal “governo
democlericale” e per il rilancio dell’ “alternativa democratica”.
In seguito Amelia Rosselli incontra gli studiosi con i quali Rocco Scotellaro
lavora presso l’Osservatorio di economia e politica agraria di Portici; non prova
71
72
Scotellaro, È fatto giorno cit. 137-138
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 256
32
simpatia nei loro confronti, suggerisce a Rocco di andare via da lì, perché “i soldi
sono l’ultima cosa”.
Scotellaro affronta una questione importante e delicata, il rapporto tra Amelia
Rosselli e la madre.
Marion Cave è una giovane inglese, cresciuta in ambiente liberal-laburista;
giunge a Firenze, per la tesi di laurea, si guadagna da vivere dando lezioni d’inglese
al British Institute. Dopo aver conosciuto Gaetano Salvemini, in questo istituto, si
unisce al gruppo di giovani formato dai fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Piero
Calamandrei, Ludovico Limentani, Piero Jahier e altri; la sua funzione principale è
quella di occuparsi della dattilografia e dell’archivio del “Non Mollare”, il primo
foglio antifascista.
Il 25 luglio 1926, con rito civile, Carlo Rosselli sposa Marion Cave. L’8 luglio
1927 Marion dà alla luce nella casa fiorentina di via Giusti il primogenito John,
Mirtillino per i genitori. La secondogenita Amelia, Melina per i genitori, nasce il 28
marzo 1930. Il 12 marzo 1931 nasce il terzogenito Andrea (Aghi).
Marion Cave, sofferente di cuore, ha un peggioramento delle condizioni di
salute. Quando Amelia ha quindici anni la madre ha un embolo, non la vede per
lunghi periodi. Marion Cave Rosselli muore a Londra nell’ottobre del 1948.
Riferisce Scotellaro:
Quando morì la madre le andarono in bocca le parole della lingua della
fanciullezza “les choses vont à changer”. Non si erano mai detto l’amore che si
volevano. Da bambina la stuzzicava al limite della fronte, dove i capelli scendono a
punta e sconsolata doveva dire “Così era lui”. Ma si odiarono nel dubbio reciproco
di non amarsi; sciupando tutti quei momenti di una carezza, di una sguardo, di una
parola, che sono a portata di mano nella vita e uno li sciupa e li butta via, eppure
non c’è altro che conti.
Dieu veux que
Tu lui lit en face
Rien n’est bien
Si ta mère ne te laisse pas
L’illusione che morta lei, le cose cambiassero è scontata. Niente è buono, ora
che tua madre ti ha lasciato.73
Amelia Rosselli ha perso, in modo violento, il padre in tenera età, ha avuto un
rapporto non idilliaco con la madre. Madre e figlia non si sono rivelate l’affetto,
temendo di non amarsi reciprocamente, si sono odiate. La paura d’amare, di rivelare
l’amore e manifestare l’affetto le ha tenute distanti.
La poetessa non ha sofferto soltanto l’assenza fisica del padre, ma anche quella
affettiva e fisica della madre; ha avvertito un senso di non corporeità non solo con
riferimento al padre, ma anche alla madre.
Scrive ancora Scotellaro “Si mise a piangere a tavola: mi avessero dato l’affetto
che mi dovevano. Oh no avrei dovuto morire con loro forse”.74
73
74
Ivi, p. 257
Ivi, p. 260
33
La radice della sofferenza di Amelia è nell’infanzia: oltre al trauma subito all’età
di sette anni, la morte tragica e violenta del padre e dello zio, ha sperimentato una
carenza affettiva, non ricevendo l’amore e l’affetto di cui ogni bambina, ogni
adolescente, ogni persona ha bisogno.
Prova sentimenti contrastanti, sente di non essere stata amata abbastanza, avverte
come un senso di colpa per non essere morta, per essere viva, per essere
sopravvissuta ai suoi genitori, ai suoi familiari.
L’assenza dei genitori, la carenza affettiva porta Amelia a interrogare e
interrogarsi sull’amore, sul dare e ricevere, sulla giustizia, sulla libertà d’amare e di
scegliere.
Figlia di un amore che ti divorò fui
mai quella che scelse? O che travolse
in un gaudio completo? La libertà di
ricevere e di dare è dei pochi-altri
combattono delusi, con sé stessi e la
loro verginità, combattuta, imbattuta.
………………………………………
È la giustizia un caso di coscienza?
È l’amore un possedere troppo voracemente?
Nelle notti che passano come bianchi
lenzuoli vi è un’urgenza che ci divora
malgrado le molte premesse ad una vita
interamente dedicata alla ragione.75 (“Documento”)
La possibilità di vivere una vita se non proprio felice almeno serena è andata
perduta
……………………………………….
Contaminata la gioia da parenti illustri
un dovere in più illustra situazioni
che non vengono chiarite: sei tu! A
non chiarirle: donna ed amore, forza
o poliziotto: guerra o revisione tutti
sistemati in un intero mondo verde di
lusinghe al povero e all’imbarazzato
che non potendo pane ai denti e al cuore
portare illustra sgabellando la sua
intera moralità.76 (“Documento”)
Amelia Rosselli in “Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath” confuta
la tesi di Rossana Rossanda, (presente nella recensione del volume “Lettere alla
madre” pubblicato da Guanda nel 1979), secondo cui tra Sylvia Plath e la madre
Aurelia Shober esiste addirittura un rapporto truce.
La Rosselli interpreta in maniera differente il rapporto madre-figlia:
(…) Chi era Sylvia Plath? E chi era sua madre? Di quest’ultima, Aurelia
Schober, si sa soltanto che, d’origine piccolo borghese, dopo essere rimasta vedova,
75
76
Rosselli, Le poesie cit. p. 459
Ivi, p. 467
34
s’attenne alla sua passione per le lettere, pur sacrificandola in parte per metter su
famiglia assieme a un tedesco polacco (…).
Se la Rossanda analizzava lo spirito tipicamente ottimista e pseudo-candido
delle lettere di Sylvia alla madre, scritte in quel particolare stile che molte ragazze
americane pensano essere doveroso per tirar su il morale delle loro madri rimaste
sole, e specie in quelle lettere scritte tra i venti e i ventiquattro anni, è perché in un
certo senso le “conviene” analizzare il rapporto madre-figlia in un solo senso:
dimenticando che anzi quando la Plath si sposa, lo stile delle lettere acquista a volte
un tono più pacato e riflessivo e non più giubilare.(…)
La Rossanda, pur mettendo il dito sulla piaga per quanto riguarda l’infelicefelice giovinezza americana di Sylvia Plath (che si sforzava di nascondere la sua
diversità di creatrice ed artista in ambienti che poco favorivano l’eccentricità del
suo talento), non rivela che il romanzo semibiografico della Plath (“La campana di
vetro” del 1961-1963, trad. ita. Mondadori 1968) scritto per ragioni purtroppo
commerciali, fu nettamente ripudiato dalla poetessa, che di questo avvertì la madre.
E bene fece Aurelia Schober – insegnante di liceo, poi segretaria e
stenodattilografa - a cercare, dopo la morte di Sylvia, di toglierlo dalla circolazione
non perché, come sostiene la Rossanda, vi sia (in un sol punto) risentimento della
figlia nei suoi confronti, ma soprattutto perché l’ovvietà dello stile e dell’analisi
biografica commercializzata è di tale discrepanza rispetto all’alto valore e
all’invidiabile acutezza della poesia della Plath da lasciare sbalorditi che l’autrice si
sia ingenuamente venduta per quei pochi soldi che un romanzo, al dunque neppure
un bestseller, poteva fruttarle.(…)
Se proprio dobbiamo commentare in senso psico-biografico le lettere e la vita
della Plath possiamo soltanto aggiungere che non è certo la madre Aurelia che
dev’essere ritenuta responsabile, come è stato più volte fatto di quell’inevitabilmente
riuscito suicidio del 1963.(…)
Non dimentichiamo del resto che fondamentale (probabilmente) resta nella Plath
il non chiarito problema del padre, perso quando lei aveva nove anni, e mai
ritrovato in forma “sostitutiva”.
E dunque male o mai risolto psicologicamente quel suo problema di fondo, visto
che il trauma infantile e poi adolescenziale (gli ospedali psichiatrici, gli
elettroshock) ad esso aggiunto è un duplice trauma non risolvibile attraverso la
“confessionalità”(…).
Così, dalle lettere e dalla biografia d’una poetessa di tanto inusuale talento,
forse una sola interpretazione è ricavabile: se accusando simbolicamente “la
madre” si accusa in sua vece una società terapeuticamente ignorante e
meccanicistica e quel che è peggio, incosciente nel suo matriarcato di stampo
capitalistico (…).77
Sylvia Plath per alcuni versi può considerarsi un alter-ego di Amelia Rosselli,
che vede nella poetessa americana la proiezione di alcuni aspetti di sé stessa: la
perdita del padre in tenera età, un rapporto difficile con la madre, poi rivalutato, i
traumi adolescenziali e infantili (gli ospedali psichiatrici).
77
Amelia Rosselli, Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath, “Poesia”, 44 (1991), p. 2-5
35
Per altri aspetti Sylvia Plath è molto diversa dalla Rosselli, avendo avuto una vita
matrimoniale e famigliare completa.
L’atto finale della vita, il suicidio, accomuna le due poetesse.
“Per il suicida che ero io mi
rassegnavo”78 (“Variazioni”)
Forse rivalutare il rapporto della Plath con la madre è per la Rosselli la maniera
di rivalutare il proprio rapporto con la madre. A tale proposito è significativo che
Rocco Scotellaro si rivolga alla Rosselli chiamandola sempre con il nome materno,
Marion.
La figura della madre è molto presente nell’opera e nella vita di Rocco
Scotellaro.
Nel racconto giovanile “Uno si distrae al bivio” le esperienze amorose del
protagonista Ramorra (Rocco Scotellaro) sono legate al sentimento materno.
Ramorra vive il suo primo amore avvertendolo come un tradimento nei confronti
della madre.
Nel vicinato giocava a marito e moglie con molte bambine che se lo litigavano,
a quattordici anni si fidanzò con una ragazza lontana da casa sua e l’amore era
un’altra cosa. Se la sbaciucchiava, sul collo, sulle orecchie e sui denti, ma non l’amò
a dovere.(…). E quando ritornava a casa e guardava sua madre, pensava di tradirla,
e se per caso partiva, faceva tanto che la mamma non la baciasse.79
È presente il desiderio di vivere un amore tanto grande da poter giustificare il
sacrificio della morte della madre.
”Potere amare una fanciulla cui dire: Per te domani mi possa morire mia
madre. Farmi scompigliare dalle sue mani i radi capelli, amorevolmente”80
Emerge un desiderio edipico di ritornare ad essere feto:
“Nel suo grembo, come in quella di mia madre un tempo viaggiare nei sogni
contento”.81
Ramorra si identifica con la madre, ravvisando in lei il suo stesso desiderio di
vivere diversamente, di evadere da una realtà troppo stretta.
Dopo c’è la pronuncia di una bestemmia
“Muorimi mammamia che ti vorrò più bene!”82
L’assenza, la privazione affettiva e fisica, può amplificare l’affetto che nutre nei
confronti della madre.
Rocco Scotellaro scrive la poesia
78
Rosselli, Le poesie cit. p. 216
Scotellaro, Uno si distrae al bivio cit. p. 18
80
Ivi, p. 22
81
Ivi
82
Ivi, p. 39
79
36
“A una madre”
Come vuoi bene a una madre
che ti cresce nel pianto
sotto la ruota violenta della Singer
intenta ai corredi nuziali
e a rifinire le tomaie alte
delle donne contadine?
Mi sganciarono dalla tua gonna
pollastrello comprato alla tua chioccia.
Mi mandasti fuori nella strada
con la mia faccia.
La mia faccia lentigginosa ha il segno
delle tue voglie di gravida
e me la tengo in pegno.
Tu ora vorresti da me
amore che non ti so dare.
Siamo due inquilini nella casa
che ci teniamo in dispetto,
ti vedo sempre tesa
a rubarmi un po’ d’affetto.
Tu che a moine non mi hai avvezzato.
Una per sempre io ti ho benvoluta
quando venne l’altro figlio di papà:
fu venduto a due sposi sterili
che facevano i contadini
in un paese vicino.
Allora alzasti per noi lo stesso letto
e ci chiamavi Rocco tutt’e due.83(1948)
Nella poesia “Casa” del 1951 Rocco Scotellaro scrive:
Come hai potuto, mia madre, durare
gli anni alla cenere del focolare,
alla finestra non ti affacci più, mai.
E perdi le foglie, il marito, e i figli lontani,
e la fede in dio t’è caduta dalle mani,
la casa è tua ora che te ne vai.84
Ne “Il grano del sepolcro”, poesia scritta a Portici nel Marzo del 1951:
83
84
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 55-56
Ivi, p. 113
37
È cigliato nello stipo il grano
del sepolcro per Gesù bendato.
Verrà giugno, morirà anche mia madre,
voglio portarle spighe spigolate
dentro il suo scialle sacro
che per altro non avrò toccato.
Allora la casa sarà la via che mi mantiene:
non morire mammamia, che ti vorrò più bene.85
L’ultima poesia, scritta da Rocco Scotellaro, pochi giorni prima di morire, di cui
esiste una versione del 2 marzo 1950, più complessa, è “Tu sola sei vera”, dove
contrappone una donna di cui è innamorato:
Colei che non mi vuol più bene è morta.
È venuta anche lei
A macchiarmi di pause dentro.
Chi non mi vuol più bene è morta
Mamma, tu sola sei vera.
E non muori perché sei sicura.86( 13 dicembre 1953)
La madre di Rocco Scotellaro, Francesca Armento, ha scritto i “Racconti
sconosciuti” e “Lettera al figlio”. Carlo Levi, scherzando con il giovane lucano,
afferma che il vero poeta non è lui, ma la madre.
Nella parte conclusiva della sezione quinta dei “Taccuini”, Scotellaro annota un
suggerimento, fattogli da Amelia Rosselli
Scrivi-disse un’altra volta
1) abboccando l’aria che ti sta intorno
2) senza il tempo di dieci anni fa
senza l’esaltazione per i venti anni fra
Né dieci anni fa, né venti anni fra.87
Per la Rosselli si realizza un annullamento temporale.
Svanendo il ricordo del tempo andato, non esiste passato; non avendo alcuna
aspettativa per il tempo avvenire, non esiste futuro. Vive in una dimensione
atemporale, in cui non esiste il ricordo del passato, né l’attesa e la speranza nel
futuro. Non ricordare il passato, né sperare nel futuro, può far vivere e godere il
presente, è il “carpe diem” di oraziana memoria. Ma per lei non è così, lo scorrere del
tempo è insieme persistenza angosciosa e perdita, identificazione di un presente
perduto nell’atto stesso in cui lo s’identifica
“Cara vita che mi sei andata perduta
con te avrei fatto faville se solo tu
non fosti andata perduta”.88(“Documento”)
La sezione sesta dei “Taccuini” è intitolata “Pace e disamore”.
85
Ivi, p. 113-114
Ivi, p. 146
87
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 257
88
Rosselli, Le poesie cit. p. 466
86
38
Affiora la volontà di Rocco di lasciare l’Italia, nel suo paese natale, Tricarico,
non vive più.
Scotellaro riferisce “Vado girando l’Italia, per sapere dove posso prendere il
“Lippo”, come una pietra, pietra che non si posa non piglia lippo”.89
È alla ricerca di un ruolo, di una funzione da assolvere.
Non ha conseguito la laurea, non ha un lavoro fisso, l’esperienza politica lo ha
deluso. A ventottoanni è “senza arte né parte”.90
Si è disinnamorato da quella passione politica, che prima lo ha infiammato. Vive
un periodo non di illusione, ma di disillusione, confortato dalla memoria del padre,
morto il 14 maggio 1942.
La figura paterna, come quella della madre, è ricordata sovente da Rocco nella
sua poesia, scrive varie poesie dedicate al padre, “La benedizione del padre”, “Nel
trigesimo di mio padre”.
Nella poesia “Mio padre” ne ripercorre alcune tappe della vita, ricorda il lavoro
di calzolaio, l’evento durante il quale uccise un uomo, descrive gli ultimi attimi di
vita, il malore che lo colpisce, e la memoria di brav’uomo tipica di ogni uomo che,
abbandonata la vita terrena, è affidato all’eternità.
“Mio padre”
Mio padre misurava il piede destro
Vendeva le scarpe fatte da maestro
Nella fiere piene di polvere.
Tagliava con la roncella
La suola come il pane
Una volta fece fuori le budella
A un figlio di cane.
Fu in una notte da non ricordare
E quando gli si chiedeva di parlare
Faceva gli occhi piccoli a tutti.
A mio fratello tirava i pesi addosso
Che non sapeva scrivere
I reclami delle tasse.
Aveva nelle maniche pronto
Sempre un trincetto tagliente
Era per la pancia dell’Agente.
Mise lui la pulce nell’orecchio
Al suo compagno che fu arrestato
Perché un giorno disperato
Mandò all’ufficio il suo banchetto
E sopra c’era un biglietto:
“Occhi di buoi
fatigate voi”.
Allora non sperò più
Mio padre ciabattino
89
90
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 258
Ivi
39
Con riso fragile e senza rossore
Rispondeva da un gradino
‘Sia sempre lodato’ a un monsignore.
E si mise già stancoDal largo mantello gli uscivano gli occhiA posare sulla piazza, di fianco,
a difesa degli uomini che stavano a crocchi.
E morì-come volle-di subito,
senza fare la pace col mondo.
Quando avvertì l’attacco
Cercò la mano di mamma nel letto,
gliela stritolava, e lei capì e si ritrasse.
Era steso con la faccia stravolta,
gli era rimasta nella gola la parola della rivolta.
Poi dissero ch’era un brav’uomo,
anche l’agente, e gli fecero frastuono.91
Le altre poesie in cui Rocco Scotellaro parla del padre sono “Così papà mio
nell’America”(1948), “Al padre”, “Papà mio”(1952).
Esiste nella poesia di Rocco Scotellaro e in quella di Amelia Rosselli una
vicinanza tematica: il dialogo con i morti, con i famigliari defunti.
Per Amelia Rosselli quello con i morti è un rapporto tormentato, addirittura
massacrante.
“Dialogo con i morti”
scendete voi, abbracciate questa vostra
figlia che annaspa tra tomboloni e
mussulmani che giocano con le sue braccia
che invece, bianche, vorrebbero abbracciare
o strozzare ma mai fallire questi colpi
che diurnamente ricevono, pieni
di lividi e lividamente promuovete una
sete di dolcezza e aspra giustizia
oppure non lasciate più ch’io tormenti
(ed essi tormentano) questa mente
che muore ad ogni istante piena di
stretti nodi che ingombrano la sua
piana marcia ad un paese più bello introvabile
mentre muore lividamente anche la voglia
di essere più belli di quello che si
è
Scendete, e scendete ancòra-e infilate
Nella vostra banale gioia il significare
D’una vita che ballonzola rattristata
Dalla piena potenza del male degli
Altri e del mio-il non sapere difendermi
Da ottusa voglia.
91
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 58-59
40
Vivere un istante o mezz’ora e poi
Ritrovarsi per una svista del pensiero
Ancora più ingombra di inessenziali
Rabbie!
Voce in capitolo non ebbero le sagge
mani: vi incontrai per poi farmi ostinatamente
Massacrare da voi.92(“Documento”)
Per Rocco Scotellaro il rapporto con i morti è sereno, infonde tranquillità e gioia.
“Pace con i miei morti”
…………………………
Allora so condiscendere
Alle voci serene dei miei morti
Che fecero la casa dove abito.
………………………………
Sono in pace con i miei morti,
non voglio dormire, ma cantare.93(1949)
Nella parte conclusiva della sezione sesta, tratta dai “Taccuini”, Scotellaro
annota:
“Mia cara Francis, aspetto la tua voce ora che squilla il telefono, la tua voce
straniera che ti esce dai seni come è dolce e affannosa,(…)”.94
Francis è Amelia-Marion.
Ripercorre i momenti del loro incontro e alcuni avvenimenti importanti della vita
della sua amica:
La incontrai a Venezia, in un aula del Comune, io battevo le mani, un amico mi
disse:-Guarda c’è un posto libero siediti, ed è bella.
Quanti eroi-disse lei le prime parole per conto suo, mentre io battevo le mani
agli oratori. E se ne venne con me a mangiare.
Seppi da altri che la conobbe e la salutò l’eroina che era stata anche lei in
Francia, in Inghilterra, bambina che aveva seguito il cammino della guerra, perduto
padre e madre e fratelli e ora era qui per quelli che erano morti lontani dalla patria,
chi fucilato, chi straziato.95
La sezione sette sempre tratta dai “Taccuini” di Rocco Scotellaro, è scritta a
Portici, il 13 novembre del 1952.
Amelia-Marion gli ha confidato la sua intenzione d’iscriversi al PCI.
Scotellaro condivide le intenzioni della Rosselli, ma è anche critico a tale
riguardo, afferma il poeta lucano:
“Posso dirti che hai ragione di avere simili tentazioni. Ciò vuol dire che cominci
a occuparti di te occupandoti degli altri, come ho fatto io finora”.96
92
Rosselli, Le poesie cit. p. 487
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 83
94
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 260
95
Ivi
96
Ivi
93
41
Rocco scorge in Amelia la sua stessa ansia, la sua stessa volontà di occuparsi di
sé stesso, attraverso la cura degli altri, ma è critico nei confronti dei partiti
tradizionali, incluso PSI e PCI :
“Faremo un altro partito, già lo siamo noi tanti membri sparsi. Noi siamo con la
tentazione, ma anche con la nostra attiva presenza in questo o quel campo di attività,
con i nostri atteggiamenti, un altro partito.”97
Bella e veritiera è l’affermazione:
“Una tessera non si prende, in ogni caso, per disperazione, ma per
entusiasmo.”98
Nella Rosselli c’è un filo rosso, che corrisponde a un “idealismo comunista”,
questo percorre e unisce la sua esistenza e la produzione poetica.
Quando Amelia, nel 1953, si stabilisce a Roma, si iscrive al Partito Comunista,
intraprende un duro lavoro di base, prima nella sezione di Trastevere e poi in via dei
Giubbonari; pulisce a terra, sistema le sedie, partecipa ai dibattiti politici con umiltà e
al livello più basso. La Rosselli non ha ambizioni politiche; nel partito cerca un asilo,
desidera appartenere a un gruppo, a qualcosa di grande, di cui condivide gli ideali,
poiché è alla continua ricerca di un padre in forma sostitutiva, e di una famiglia
adottiva.
La Rosselli, nella sua poesia, esprime una tematica mutuata dalla cultura
marxista; parla di partito:
“L’amore che ci divide e ci unisce subisce
incartamenti, spezie e riunioni di partito
combattuto da storie di partito affatto
trascurabili mentre m’addormentavo sul
tovagliolo.
………………………………………..”99
di rivoluzione in
“Ho venti giorni
per fare una rivoluzione:
ho altri venti giorni dopo la rivoluzione
per conoscermi
mio piccolo diario sentenzioso
……………………………….”100
Critica una certa condizione
ironicamente la sua mercificazione
aristocratica-elitaria
dell’arte,
condanna
“Tento un mercato-poi ne tento un altro
sorvolo sulle difficoltà e poi vi rimango
impantanata: è come dire, si, se mi volete
sarò come voi: la stessa pasta ai vostri
affetti da ventriloqui!
………………………
97
Ivi, p. 261
Ivi
99
Rosselli, Le poesie cit. p. 473
100
Ivi, p. 523
98
42
e spiegarti così, come se te lo chiedessero
(e infatti oggi tutto è mercato). Ma
se tutto è stato e sarà sempre mercato?
Se volendo il mercato ti ritrovi rivoluzionario
e volendoti rivoluzionario-capo ti ritrovi
mercato?
………………………………..
Esitante ti riscrivi o riiscrivi
all’aristrocazia-élite dei
cervelli aristocratici: nessun conto in banca
ma quel minimo assicurato ti predestina
al forgiarsi rivoluzioni dei contenuti
e tentativi di rivoluzione nei contenuti”.101
Per la Rosselli la divulgazione della poesia va estesa anche agli strati popolari,
attraverso la lettura pubblica delle poesie, da parte degli stessi autori, questo è anche
utile ai poeti per farli uscire da una situazione d’isolamento sociale.
Nella poesia “Sciopero generale 1969” afferma il superamento di un “rapporto di
tipo verticale”, dell’uomo verso l’alto, di un “rapporto solitario” dell’uomo con Dio,
e rilancia il “rapporto dell’uomo con l’altro uomo”. La poetessa si rivoluziona nella
gente, nella dimensione sociale
“Sciopero generale(1969)”
“lampade accesissime e nell’urlo
d’una quieta folla rocambolesca
trovarsi lì a far sul serio: cioè
rischiare! Che nell’infantilismo
apparente schianti anche il mio
potere d’infischiarmene.
…………………………
(Persi da me quell’amore
al verticale, a solitario dio
rivoluzionandomi nella gente
asportandomi dal cielo.)”102
Pur appartenendo ad una classe medio-borghese, cerca sempre il contatto con il
proletariato. È interessata alle opinioni ed agli insegnamenti che le vengono dalla
gente umile e anche analfabeta. Frequenta poeti giovani e poveri: poeti-operai, poetidisoccupati, nella speranza di trovare in loro la poesia, ritiene che la poesia come la
grazia sia concessa ai poveri, ai sofferenti, ai diseredati.
Nella sua poesia sferra una critica contro la borghesia.
In “Diario ottuso”, scritto nel 1968, il settimo capitolo è una condanna al mondo
borghese.
Entrare nel silenzio della borghesia a passi sicuri anche se apparentemente
esitanti noi facciamo di noi stessi una specie di lavatoio pubblico: una querela
101
102
Ivi, p. 597
Ivi, p. 581
43
lasciata a metà, un inchiostro sbiadito dai secoli sulla pagina fiacca di lacrime mai
versate.(…)
Era importante, svegliarsi all’utilità del mondo, e sapere che quelle sue inutili
domande non accettabili in un mondo di orari e di scopi incerti ma da prendersi
come certi, erano fuori posto in quanto non controllabili, non utilizzabili come se
non ci fosse mai stata risposta, o domanda.103
La borghesia non è tanto identificata in una classe o in una professione, ma è
piuttosto una modalità di aderire alla vita; in “Improptu”:
Il borghese non sono io
che tralappio d’un giorno all’
altro coprendomi d’ un sudore
tutto concimato, deciso, coinciso
da me non altri – o se soltanto
……………………………….
Nel verso impenetravi
la tua notte, di soli e luci
per nulla naturali, quando
l’elettrico ballo non più
compaesano distingueva tra
chi era fermo, e chi non
lo era. Difendo i lavoratori
difendo il loro pane a denti
stretti caccio il cane da
questa mia mansarda piena
d’impenetrabili libri buoni
per una vendemmia che sarà
tutta l’ultima opera vostra
se non mi salvate da queste
strette, stretta la misura
combatte il soldo e non v’è
sole ch’appartenga al popolo!”104
Il termine tralappio, nei versi iniziali, non esiste nella lingua italiana, è ottenuto
dalla fusione tra il verbo tralasciare e il verbo acchiappare; il tralappiare indica il
comportamento tipico del borghese, di tralasciare e acchiappare insieme.
Scotellaro e il suo paese sono l’uva puttanella, piccola e matura, come gli acini
piccoli, apireni sono messi nella tina del mosto il giorno della vendemmia, così il
poeta lucano e il suo paese fanno parte dell’Italia, della “vendemmia della storia”.
I libri impenetrabili e buoni della Rosselli servono per la “vendemmia”, l’ultima
opera dei lavoratori, dell’umanità.
103
104
Amelia Rosselli, Diario ottuso, prefazione di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN editore, 1990, p. 40
Rosselli, Le poesie p. 643-644
44
Le lettere
Nella sua lettera Amelia Rosselli parla di un libro prestatole e da restituire;
consiglia a Scotellaro di leggerlo tutto. Il libro deve essere per lui “bibbia”, deve
costituire la morale opposta al mondo di valori rappresentata da Portici, la sua
“morale antiportici”.
Questa è un’ulteriore prova della non simpatia, anzi dell’avversione di Amelia
Rosselli nei confronti del lavoro svolto da Rocco Scotellaro a Portici. La poetessa
usa un termine raro “disciplinamento” per definire il lavoro a Portici una sorta di
tirocinio alla disciplina.
Quando Rocco muore Amelia incontra il gruppo di studiosi-amici con cui
Scotellaro lavora a Portici, s’avventa contro di loro, ritenendoli i responsabili del
decesso del suo amico.
All’interno della sua lettera afferma di essere di ritorno da Napoli, dove ha
incontrato Carlo Levi; esprime il timore di trascorrere un periodo, da sola, in sua
compagnia ad Alassio.
La Rosselli conosce Levi attraverso Scotellaro, in seguito è Carlo Levi a
presentarla a buona parte dell’ambiente politico-artistico della Roma degli anni
cinquanta.
Fornisce delle informazioni su un film da girare in estate e in autunno, anche
Scotellaro entra in scena.
La Rosselli chiede a Scotellaro di farle leggere un paragrafo o qualsiasi cosa che
di nuovo abbia scritto.
Da questa lettera si delinea la sua volontà di sperimentazione linguistica, di
ricerca di un nuovo stile di scrittura poetica: “Almeno fosse una scoperta sto stile”.105
Rimanda a Joyce che scrisse il suo terzo e ultimo libro “in stato di continuo
bevandamento”. Il neologismo “bevandamento” riprende il termine raro usato
all’inizio: “disciplinamento”.
Joyce scrisse il suo terzo libro, ebbro, e venne fuori qualcosa di molto bello per “
l’orecchio”, qualcosa di musicale.
Per lei è molto importante l’effetto uditivo-musicale della scrittura, della poesia.
La conclusione è scritta nella lingua della “fanciullezza”, una lingua tra il
francese e il provenzale; fin dall’inizio della sua pratica poetica è interessata allo
sperimentare in lingua, per trovare una scrittura nuova e alternativa
par
donne
moy
je suis tiute veutre
marion rosselli.106
105
106
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 262
Ivi
45
Le due lettere scritte da Rocco Scotellaro ad Amelia Rosselli sono in minuta e
chissà se mai effettivamente spedite.
La prima lettera è scritta a Positano, il 26 luglio.
Rocco non sta vivendo “avvenimenti straordinari e nuovi”107, ma “interessanti”,
avverte di essere pervaso dallo spirito di una “oscura fanciullezza”108.
Si sente confortato dalle “sicure amicizie”, Amelia è una sicura amicizia.
Esprime la sua preoccupazione per le condizioni economiche della famiglia, è
anche indebitato con la sua cara amica.
Confida le sue insoddisfazioni, il racconto de “l’Uva puttanella” non procede
secondo i suoi desideri:
“Ti ho scritto a pizzichi, scusami; così mi capita per il benedetto racconto
dell’Uva…..(50 pagine in tre mesi) e non ne sono soddisfatto per un certo lirismo
appiccicaticcio, che viene fuori per volere io attenermi alla necessità di stringermi ai
fatti, ai quali dovrei, invece; lasciare -se ci riuscissi- un ampio letto di fiume per farli
scorrere in una riposante piena tipo inondazione.”109
Tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli si instaura una sincera amicizia, lei gli
consiglia i libri da leggere, lui ascolta con attenzione i consigli, perché vede in lei la
rappresentazione del sogno di una cultura non provinciale.
Il giovane lucano è in formazione dal punto di vista umano e poetico, vive un
periodo d’incertezze, ha necessità di lavorare, di guadagnare, ma vuole scrivere
“O forse non è tempo di scrivere, e questo non è vero, forse per molti. Nemmeno
è tempo di amore, di bestemmia, di riposo, di divertimento (…).”110
Invoca l’aiuto dell’amica chiamandola “psichiatra”.
In conclusione Rocco parla di un racconto della Rosselli, che uscirà su
“Botteghe”, in tale occasione la poetessa sarà la più giovane tra gli autori. Si
congeda, salutando Amelia-Marion in questo modo:
“Io un tuo fratellone maggiore e con l’affetto di quello ti saluto ancora. Tuo
Rocco”.111
Scotellaro prova nei confronti della Rosselli un sentimento fraterno, la considera
come una sorella da proteggere e rispettare.
Nella seconda lettera si avverte una certa stanchezza di Rocco, che confessa di
non avere alcuna intenzione di essere logico:
“Forse non vivo (…). E sono folle di una gioia non mia”.112
Forte è l’immagine successiva:
107
Ivi
Ivi
109
Ivi, p. 263
110
Ivi
111
Ivi
112
Ivi
108
46
Menarmi in terra preso in tanto sonno
che la carne mi abbandoni:
come alla carogna
beata al sole.113
La informa di aver trascorso a Napoli dieci giorni; con Giorgio Bassani di
“Botteghe oscure” è andato a far visita a Benedetto Croce, Elena Croce, la figlia gli
ha parlato della Rosselli, “la straordinaria intelligente ragazza”114.
Rocco per Amelia prova grande ammirazione, ma anche un forte senso
d’inferiorità e di soggezione:
“Io sono un rozzo, ignorante, le cui parole sono odorose di vino.”115
Riafferma la volontà di auto-affermarsi, auto-definirsi nella società:
“Voglio una borsa o una tuta per una qualche qualifica nella vita: sono niente,
senza funzione.”116
Sta vivendo un periodo di scoramento, si sente una nullità.
Il vivere per lui è un “morire lentamente”:
“Vivo, cioè muoio lentamente perché i miei sacerdoti sono gli umili e gli
oppressi; ma vivo, in tempo forse per vivere veramente.”117
I due giovani poeti si sono incontrati durante un periodo molto delicato per
entrambi; la Rosselli cerca di vivere in maniera veramente autonoma per la prima
volta, Scotellaro ha già maturato molte esperienze che lo hanno disilluso, vuole
cambiare vita, vuole emigrare, è alla ricerca di una collocazione precisa all’interno
della società.
Amelia Rosselli rappresenta per Rocco Scotellaro la cultura straniera, gli apre
nuovi orizzonti culturali.
Tra i due giovani poeti c’è una sincera e sicura amicizia, in cui l’uno e l’altra
trova rifugio e conforto.
Amelia in visita in Lucania coglie un aspetto molto importante della realtà
contadina lucana:
Qui in Lucania è un po’ come le montagne, per l’aria pulita, ma la gente è
insieme troppo semplice e incomprensibile; forse i soli liberi sono queste donne
imprigionate in quest’acqua per la pasta.118
Il mondo contadino è semplice, vicino al mondo arcaico, al primordiale, ma è
estremamente complicato da comprendere per chi non appartiene a quel mondo, per
chi non aderisce agli “statuti della concezione contadina”.
Amelia ravvisa la libertà nei vincoli tradizionali della comunità contadina.
113
Ivi
Ivi, p. 264
115
Ivi
116
Ivi
117
Ivi, p. 264
118
Franco Vitelli, Marion e Rocco. Un lago nella memoria, “Lo straniero” cit. p. 266
114
47
In “Passaggio alla città”119 la perdita della “schiavitù contadina” per Scotellaro
corrisponde alla perdita della “libertà”.
In Rocco, come nei suoi fratelli, il gesto di libertà corrisponde ad un atto di
necessità. La libertà è necessaria, ci si libera perché ci si deve liberare: è un assurdo.
La schiavitù può intendersi come mancanza di possibilità, per studiare, per
lavorare, per vivere in maniera diversa Rocco, come i suoi fratelli, lascia il paese, la
Lucania, il Mezzogiorno.
Gli resta nel cuore il rapporto vincolante con le tradizioni comunitarie come
libertà ed identità.
Per il giovane lucano la libertà nasce da una schiavitù che può intendersi sia
come mancanza di possibilità, sia come rapporto vincolante con la tradizione
comunitaria.
Per Amelia la libertà, il cosmopolitismo, l’apolidia essa stessa causa d’angoscia,
nasce dalla schiavitù storico-politica del fascismo.
Il poeta lucano vive una tensione tra il forte attaccamento e il desiderio di
distacco dalla sua realtà natale. Si fa interprete della cultura contadina, ma anela ad
una cultura aperta, non provinciale.
La giovane donna vive una tensione uguale e contraria a quella del suo amico, tra
la sua condizione di apolide e il desiderio di creare legami, di mettere radici.
Pur nella diversità culturale ed esistenziale c’è un’affinità tra i due giovani poeti.
“Avevo trovato il mio proprio opposto.
Come lo divorai! Poi lo mangiai. E ne
fui divorata, in belle lettere”120 (“Documento”)
Scambio poetico o Gioco poetico
Tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli intercorre uno “scambio” o “gioco”
poetico.
Una poesia è scritta da Amelia Rosselli, due o forse tre poesie sono scritte da
Rocco Scotellaro.
Marion a Rocco:
Mia sterile bocca
con tue recitative non configura
e tu capra
ed io vaccka
com’è chiara l’aria
ma le brune capre
non pascolano con vacche color osso.
119
120
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 116-117
Rosselli, Le poesie cit. p. 444
48
Rocco a Marion:
Sotto l’ombra dell’abete a settembre
Ricamano i fazzoletti al Pincio
le ragazze fidate a un incontro
all’ora fissa che l’obra non serve più.
L’abete rosso copre la panchina:
qui, dovunque lo stesso cimitero
dei volti fermi di tutte l’età.
Scherzetti per M.
Hai già vita abbastanza
tu spina e rosa:
si sfronda e si fidanza per te ogni cosa.
Sono sulla tua traccia
non c’è anima viva
onda alla deriva
cane di caccia.
Gli uccelli si somigliano
gli uccelli non hanno un nome
e tu sei questo cielo
sempre e mai mia.121
Nella sua poesia Amelia non ha parole, perché la bocca è sterile; s’identifica con
la vacca e identifica Rocco con la capra: la vacca e la capra sono figure molto
importanti.
Nell’antichità la vacca e il toro erano venerate, presso quasi tutte le civiltà, come
divinità. Pan, il dio dei pascoli, delle pecore e delle capre aveva zampe di capra e
piccole corna sulla testa; era responsabile degli armenti. Pan era musico, il suo
strumento era il flauto.
Carlo Levi nel “Cristo si è fermato ad Eboli” descrive il doppio senso del mondo
dei contadini. La donna-vacca, l’uomo lupo, il Barone leone, la capra diavolo sono
figure e immagini fissate e rilevanti. Ma ogni persona, ogni albero, ogni animale,
ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità.
La ragione, la religione, la storia hanno un senso univoco; il senso dell’esistenza,
dell’arte, del linguaggio e dell’amore è molteplice.
Nel mondo contadino non c’è posto per la religione, perché tutto, il cielo come
gli animali, Cristo come la capra, partecipa realmente e non simbolicamente al
divino; tutto è magia naturale.
Carlo Levi racconta le vicende di una contadina, figlia di una vacca. Quando era
bambina, la madre-vacca la seguiva dappertutto, la chiamava muggendo, e la leccava
con la sua lingua. La donna aveva una madre vacca e una madre donna; di questa
doppia natura e nascita nessuno si meravigliava.
121
Rosselli-Scotellaro, Marion e Rocco cit. p. 261-262
49
Forse Amelia rimanda alla doppia natura, all’ambiguità del mondo contadino,
rilevata da Carlo Levi, identificando se stessa con la vacca e Scotellaro con la capra.
Ricorda le origini della civiltà, una antichità misteriosa legata alla zolla e alle eterne
divinità animali.
Nella poesia scritta da Rocco e dedicata ad Amelia-Marion, il poeta lucano
riprende il tema tradizionale del ricamo, con l’immagine dolce e tradizionale delle
ragazze che ricamano i fazzoletti al Pincio.
In “Scherzetti per Marion” paragona la sua amica ad una rosa: l’amore è proprio
come una rosa, bella e profumata, ma ha anche le spine, che pungendo provocano
sofferenza; il sentimento nei confronti di Amelia non è completamente corrisposto.
Rocco si paragona ad un cane da caccia sulla traccia della sua preda, Amelia.
Amelia è il suo cielo, è sfuggente, lui non riesce ad averla, a farla completamente
sua.
Nota al capitolo
Carlo Rosselli dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti, aderisce al Partito Socialista Unitario.
Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Nello Traquandi, Dino Vannucci realizzano il
primo foglio clandestino antifascista: il “Non Mollare”.
Gli articoli principali sono scritti da Gaetano Salvemini.
Carlo abbandona la carriera universitaria e si dedica completamente alla lotta antifascista e al rinnovamento
del socialismo italiano.
A Milano con la collaborazione di un giovane socialista, Pietro Nenni, ex repubblicano, fino a poco tempo
prima capo redattore “dell’Avanti”, pubblica il “Quarto Stato” una rivista socialista di cultura politica.
Negli ultimi mesi del 1926, Rosselli organizza il clandestino Partito Socialista dei lavoratori italiani (Psli),
che sostituisce il disciolto Psu.
Costituisce una organizzazione clandestina per l’espatrio degli esponenti socialisti. Organizza il riparo in
Svizzera di Claudio Treves e Giuseppe Saragat, l’espatrio dei giornalisti Giovanni Ansaldo e la fuga in Francia,
attraverso la Corsica di Filippo Turati.
Nell’agosto del 1927, Carlo Rosselli inizia la formazione di un movimento politico nuovo rispetto ai
tradizionali partiti, che si stanno riorganizzando all’estero. Il nome del movimento è “Giustizia e Libertà”;
Rosselli, Lussu e Tarchiani si pongono alla guida.
Nel dicembre del 1930 esce a Parigi, per le edizioni Valois, il libro di Carlo Rosselli “Socialisme libéral”.
Carlo nel libro, si allontana da Marx e si avvicina a Proudhon e soprattutto a Mazzini.
Nella prima serie dei “Quaderni di Giustizia e libertà” Carlo fornisce una dichiarazione ideologica e
programmatica, definisce i punti dello schema di programma rivoluzionario: riforma agraria, riforma industriale,
riforma tributaria e dell’amministrazione pubblica, libertà di coscienza e culto, separazione fra Stato e Chiesa
mediante l’annullamento dei patti lateranensi, organizzazione dello Stato sulla base di più ampie autonomie. La
seconda serie dei “Quaderni” inizia sotto l’incubo degli avvenimenti della Germania: la presa di potere da parte
del partito hitleriano, l’avvento del nazionalsocialismo.
Carlo Rosselli in un articolo molto bello “La guerra che torna” denuncia la natura aggressiva del nazifascismo
e vede con preveggenza le orrende tragedie che va preparando.
La grande utopia di Carlo Rosselli è costituire gli “Stati Uniti d’Europa”, afferma che bisogna dare all’Europa
un grande obiettivo positivo: “fare l’Europa” per “rompere il plumbeo blocco dell’opinione totalitaria dei paesi
fascisti”.122
122
Carlo Rosselli, Dizionario delle idee, a cura di Sergio Bucchi, Roma, Editori Riuniti, 2000
50
Capitolo IV
Rocco Scotellaro nella poesia di Amelia Rosselli
Quando Rocco Scotellaro muore, nel dicembre del 1953, Amelia ha ventitré anni
partecipa al funerale, in disparte, avvertendo una strana calma, in mezzo a tanta gente
piangente.
Dopo il funerale rimane in Lucania per quindici giorni, incantata dai luoghi
incontaminati.
Dopo la morte di Rocco Scotellaro soffre un’ulteriore privazione affettiva e
fisica; la perdita della persona amata la rende “morta in vita”, che si nutre ed è
insieme nutrimento di un amore reso impossibile dalla morte.
È spaventata, addolorata, ma anche ispirata; crede di essere diventata Rocco, in
lei è forte il desiderio di identificarsi con il suo caro amico.
La morte di Rocco provoca in lei una “strana sensazione”: fino a quel momento
ha scritto soltanto in inglese, ora comincia a scrivere in italiano, questo evento
luttuoso le fornisce una “strana ispirazione”.
L’ascolto di Amelia si leva sulla lingua cadenzata della gente lucana e compone
“Cantilena” (poesie scritte per Rocco Scotellaro): un vero “lamento funebre”.
Il lamento funebre è una costante degli antichi rituali funerari; dall’Egitto alla
Mesopotamia, da Israele ad Atene e a Roma, il lamento ha un’importanza culturale di
primo piano.
“La lamentazione funebre” rituale, nel mondo antico, si lega al mito del nume,
che muore e rinasce: uno dei temi più importanti delle antiche civiltà religiose del
Mediterraneo.
In queste civiltà il pianto rituale è il momento centrale del saper piangere davanti
alla morte, che reintegra l’uomo nella storia, il saper piangere oggettivizza il
cordoglio, asciuga il pianto e apre alla vita.
Questo istituto culturale entra in crisi con l’avvento del Cristianesimo che lo
combatte come rito pagano, è la religione cristiana che inaugura il tema culturale di
Cristo vincitore della morte.
In Lucania il “lamento funebre” è considerato una determinata tecnica del
piangere, un modello di comportamento fondato dalla cultura, conservato dalla
tradizione, al fine di preservare i valori che la crisi del cordoglio può far perdere.
Il “lamento funebre” è un controllo rituale del patire ma è anche considerato un
documento di poesia popolare.
La lamentazione ha un tema melodico, ogni versetto del “lamento funebre” è
cantilenato secondo una determinata linea melodica, da questa caratteristica della
“lamentazione” deriva il titolo dato da Amelia Rosselli alle poesie scritte per Rocco
Scotellaro: “Cantilena”.
Raramente il lamento funebre pagano e il rituale funerario cattolico si
mescolano, infatti nella lamentazione pagana non sono presenti Gesù, la Madonna, i
Santi, né la speranza nella vita ultraterrena.
51
La Rosselli nella sua poesia esprime, di frequente, il tema dell’ “Imitatio Christi”
da “Variazioni belliche” a “Documento” fino a “Impromptu”
Il Cristo trainava (sotto della sua ombrella) (la sua croce) un
informe materiale; parole trainanti nella polvere del dipinto
del chiostro di vetro. Sotto alla sua chiostra di vetro
il Cristo trainava una sciabola. Dodici pecore sogghignavano distrattamente
alla sua predica.(…) Il Cristo incrociato era una colomba, che spaziava
teneramente, lusingava con la sua coda i teneri colori del cielo appena accennato. Il
Cristo deformava il mondo in mille miniere, catacombe delle lacrime. I suoi occhi
Bizantini splendenti e crudeli stagliavano rondinelle nel cavo del cuore.(…)123
(“Variazioni”)
Ancora in “Variazioni”:
“Cristo seduto al suolo su delle gambe inclinate giaceva anche nel sangue
quando Maria lo travagliò.”124
In “Documento”:
“Il Cristo (Pasqua 1971)”
Perché morendo ci fai venir a festa? Semmai
era l’altro lato che andava premiato
e tu non rifiutasti quel cibo acerbo
vinaigre di festa e botte sulle spalle
pacchie e grandiose costruzioni per la
mente intorpidita: i cinque sensi hanno
dunque cos’ poco conto o peso che tu
vaneggi su croce elegante e di legno?125
All’esordio del suo “lamento funebre” per Rocco Scotellaro riprende il tema
cardine della religione cristiana, quello di Cristo morto, crocefisso; ci dona una delle
immagini più importanti e struggenti dell’iconologia cristiana traducendo in versi la
visione della “Pietà” michelangiolesca.
Cantilena (poesie per Rocco Scotellaro)126 (1953)
Dopo che la luna fu immediatamente calata
ti presi fra le braccia, morto
Rocco è
Un Cristo piccolino
a cui m’inchino
non crocefisso ma dolcemente abbandonato
disincantato
123
Rosselli, Le poesie cit. p. 273
Ivi, p. 202
125
Ivi, p. 614
126
Ivi, p. 13-19
124
52
Amelia aderisce al mondo di valori di Rocco. Ha viaggiato insieme a lui
visitando Tricarico, Matera, sentendosi liberata dalla città.
È espresso il tema della contrapposizione città-campagna, il mondo urbano è
falso, al contrario di quello agreste che è verace, autentico.
Bologna perché t’ho in mente
cosa c’entri
città scadente
cattedrale che dubiti
Non c’è chiesa a Matera
monte roccione con la porticina
*
Voglio vivere a Matera
rotta spaziata gigantesca
Non mi muovo
C’è l’amico morto ieri che tiene compagnia
più che voi città false
*
Bologna città sciocca
scendetevi dai piedistalli
Si balla a Matera
Amelia ripensa agli incontri, ai momenti vissuti insieme al tenero amico
Come un lago nella memoria
i nostri incontri
come un’ombra appena
il tuo volto affilato
un’arpa la tua voce
e le mani suonano
tamburelli
Rifiuta la triste realtà dell’ennesima perdita, ritenendola una bugia
Mi sforzo, sull’orlo della strada
a pensarti senza vita
Non è possibile, chi l’ha inventata questa bugia
La morte, l’assenza del caro amico la rende consapevole del bene perduto, soffre
il rimpianto di una concessione non fatta, di un sentimento non colto.
*
Avanti io seppi t’eri spezzato
come un bastone d’oro
la costante prudenza
m’aveva fatta cieca
quasi ignara
e tu mi musicavi attorno
L’amico morto è per lei guida, luce
53
*
Tu che sei addormentato
Comprendimi
Ed ora ti sollevi
lesto
e passi via sereno
fuori dalle mura della tua cittadella
Tu che chiarisci le vie
*
è toccato a te
a soffiar le nuvole
a portarle fino al vicinato
come un caldo lenzuolo
per noi tutti ammalati
*
Rocco vestito di perla
come il grigiore dei colli vicino al tuo paese
mostrami la via che conduce
non so dove
La Rosselli del lamento funebre riprende anche il modulo formale basato
sull’iterazione del ritornello emotivo
*
Bello eri ma troppo fino e troppo caro
bello eri ma troppo fino e troppo caro
di debbo levar
ti debbo levar
e cercar
la pietra filosofale
Ripropone il tema tradizionale del merletto e dei lenzuoli senza ricamo in
riferimento a una scortesia fatta all’amico morto
*
Rocco morto
terra straniera, l’avete avvolto male
i vostri lenzuoli sono senza ricami
Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!
Il tema della magia
*
Lasciatemi
ho il battito al cuore
donna a cavallo di galli e di maiali
54
Personifica la luna
*
La luna
balla
e sospira
per i campi
Con un’immagine suggestiva rimanda alla classicità, all’uso dei lacrimatoi
*
Poi si gonfierà
il sacco delle lacrime
ma non si spillerà
lo metterò in un vasetto
greco latino
me lo porterò a casa
trionfante elefante di pena!
Rocco è
*
Sposo nel cielo
ti ho tutto circondato
ma sei tu che comandi
e sono tua sposa d’infanzia
sposa trasparente
Amelia, in vita, vive la morte ed incontra Rocco in una dimensione non visibile
agli occhi del mondo
*
Tu salito sulla bruma
ti vedo lontano che ti aggiri
consigliando
che ne è di me e di te ora dopo la morte
tu, sui colli
Alla fine la rassegnazione e il tempo prosegue il suo corso, la vita nonostante
tutto continua
*
nuovo anno
arrivi
teneramente
ossequioso
Amelia dopo la morte di Rocco subisce un trauma psicologico molto forte,
rischia di perdere se stessa a causa del decesso del caro amico.
Il dolore nella prima fase è follia o quasi, scrive “Sanatorio”
Fine poussière, orgueil des ancentres, ramenez-moi aux tombes
des vieux avec leurs calmes lyres et flutes ! Je vis dans le disespoir, depuis que mon ami est mort, sur les plus belles cotes de
l’Italie triomphante. Pour guérir il me faut un mari, assez tendre.
55
Il est heureux, celui que j’aime, et ne se soucie pas de moi. Il
Ne m’aime pas, il ne m’aime pas ! Nous partirons, à faire meilleure connaissance avec les pauvres. Il y aura une vielle musique,
pour nous feter. Cependant dors, et ne pense à rien. Il faut mourir pour vivre tranquilles.
L’angoisse est disparue, et ces paroles soulagent.
Il te faut un enfant naif à embrasser.127
Per lei la morte è:
«….. une dame vetue nue; rusee, fine. Son chagrin ne
pèse sur personne.»128
Medita sulla morte del padre, della madre, dell’amico, troppe sono le perdite, è
la disperazione
«Ma mère est morte; où est donc allé mon père.
Ma mère est morte. Lui, est tombé mort.»129
Amelia Rosselli durante un cupo autunno-inverno dell’anima del 1968 scrive
“Diario Ottuso”, vuole realizzare una autobiografia pochissimo biografica.
La poetessa nel 1968 tenta di recuperare e fare chiarezza su un periodo molto
delicato e importante della sua vita, ma il tentativo di recuperare la memoria perduta
si fa ottuso, perché lei non è cosciente e razionale rispetto agli avvenimenti vissuti
negli anni 1950-1954.
Nel titolo e nel testo si evidenzia l’impossibilità di ricostruire con esattezza e
raziocinio la vita vissuta in quel periodo.
Il “diario” cerca il massimo di oggettivizzazione spostando il presente al passato,
la prima alla terza persona; la terza persona non è un’altra persona esterna ad Amelia,
è lei stessa, del 1968, che commenta l’Amelia di quindici anni prima.
Il commento si fa distaccato. L’attacco del testo è molto importante:
“Perché non capire la vita da sola? Perché non forzare la vita a capirsi? Perché
non ebbe modo di capire la vita?”130
La Rosselli non riesce a decidere su nessuna questione senza la consultazione dei
“I Ching”, il libro oracolare cinese. Quando comincia a scrivere “Diario Ottuso”
delibera di non consultare più “I Ching” per raggiungere una maggiore indipendenza
e autonomia nelle decisioni.
“Diario Ottuso” è composto di otto brevissimi capitoli, quelli che l’autrice stessa
chiama “intenzioni selvagge”.
La poetessa nella testimonianza su Rocco Scotellaro “Primavera”, concessa in
occasione del Convegno di studio Tricarico-Matera del 27-29 maggio 1984, afferma
di non voler dare i particolari del suo primo incontro con Rocco.
L’incontro è poco testimoniabile e lei lo rende in forma artistica.
127
Ivi, p. 23
Ivi
129
Ivi, p. 26-27
130
Rosselli, Diario ottuso cit. p. 29
128
56
I capitoli III e IV di “Diario Ottuso” riguardano l’incontro con Rocco Scotellaro:
In una luce tutta bianca stinse l’avvenire: la sua sorella, lei stessa, s’incontrò in
altra città cava e rotonda, con l’amico sfortunato ma gioioso. Picchiarono la testa
sui tavoli, stravaganti fecero della baruffa un nuovo motivo per amarsi senza
pensare di amare e non sapendo che essi erano coinvolti in una lezione d’amore.
Fecero di se stessi dei grandi pugnali sacrificando all’infanzia e la felicità stonata in
quell’ambiente, i due loro corpi senza importanza sinché le lentiggini coprendo i
loro visi non ebbero il sopravvento sulle loro stonate facce d’amore giovanile
sconosciuto a loro stessi. E non ebbero molto tempo di dimenticare le loro sprovviste
disgrazie, che già si portavano in catene fissate a regola, ciascuno nel lido dove era
già stato portato da precedenti catene, spezzandole con maggior cura ora che
avevano trovato nell’altro una angoscia giovanile di sapersi difendere con amicizia
fresca.
Come muove a sapere due freschi corpi e facce a ritroso che camminando nulla
sapendo di successive disgrazie, se tutto ora sembra fresco e semplice e nessuna
forza forte e rotonda del mondo può seriamente turbarli? Pioggia e freddo, visi
freschi e duri, calcoli non prevenuti a tempo, che smagliavano la forza rotonda dei
loro cadaveri? Una inesperienza tutta gelida di sorpresa li conduce a giudicare
incerti del loro sfruttatore nascosto sotto un baffo di benevolenza. E cordialmente si
fa il saluto ai più grandi che naturalmente paralizzando le furtive amare esperienze
scuotono di loro bocca crude metafore per svegliare in loro ben più che invidia, ben
più che stinte imperdonabili opinioni private che non potendo sopravvivere si
nascondono nella loro bocca prima di soffocare.
I gesuiti nel loro palazzo di vetro! Rise la ragazza al giovane forte sorpreso
fratello: egli nella sua preoccupazione non densa che queste parole inutili
smuovevano in lui per un istante, disse nulla per sviarla da questi pensieri che più
tardi alla morte avrebbero lei divorato. E infanti e balie (loro due) non sorrisero più
alla luce stonata nelle camerette povere: finsero di lavorare, ambendo di
dimenticare la perniciosa domanda dietro i vetri.
Ciascuno al suo posto, dimenticando di non avere scelto gioiosamente quel
posto, dimenticando o non sapendo di catene perfette stagliate a loro gusto. Fecero
brevi inchini per sapere dove si dirigeva il mondo coi suoi maestri furbastri che
tagliavano artificiosamente nella loro roccia di diamante strade per loro non
avvisati. Poi partivono inaspettatamente liberi di non perdonare dietro i boschi tutti
misurati per loro bellezza giovanile e forte dietro alcuni monti che li nascondeva agli
sguardi pietosi e furbastri dei maestri del mondo. Ritornavano insapienti al mercato
rionale delle città tutte parate di un chiaro colore scuro che li dirigesse verso più
perfette mete, senza calcolo previsto. A nulla giovava la loro delicata esperienza di
monti e boschi non pagati da loro.
Significarono nella loro delicata inesperienza più ricca di esperienza, il fuoco
ardito spento subito.
Sonnolenza della primavera o della felicità infelice…rivedendo il passato poi mi
è sembrato che lei e lui fossero due passerotti: ma età ha abitudine di ringiovanire
giovinezza, che è vecchia più della vecchiaia. Come dimenticarsene, di quell’urgenza
di non essere gli altri e allo stesso tempo di rassomigliare agli altri? Stabilirono
senza volerlo una intesa, e poi ciascuno andò per la sua via. E non ricordo quale via
potesse essere, quel deambulare per caffè chiusi come in un pugno di mosche,
57
oppure quel fare sempre il proprio dovere nascondendo la poca voglia di farlo o di
rassomigliarlo.
Era dunque instabile la luce stesa tra le loro teste e tra le colonne degli autobus
e sotto i sottopassaggi infarinati di moralismo. Nascondevano, tenevono a testa
bassa i loro veri desideri e tentavano di non disincantarsi; anzi tentavano ogni sera
ripetersi dell’accensione delle luci serali, con relativo senso di divinità presente
nelle luci crepuscolari rose e violette: sbarazzandosi del resto, delle piccole finestre
mal intenzionate, su ogni angolo della strada. E allora l’accendersi si accendeva e il
mistico reame di solitudine, la realtà più mistica della realtà stessa, se stessi più forti
in quanto protetti dal cielo. Del mondo.
Ma muoveva sempre ad oscura crisi quella testa tagliata a fiore, casta sino al
desiderio di mai più esserlo.
L’uno non fu mai uomo pienamente e l’altra rifiutò d’esser donna. L’uno morì,
l’altra se ne pentì. Dicendo così il giovane uomo dai capelli ricci di un biondo
slavato cattivante che le sue lentiggini intonava una festa di gloria, s’abbeverò d’una
toilette che lo fece sembrare zingaresco, ma un poco triste: lui se ne accorse e
scivolò via presto dall’abbraccio fraterno che rastrellava la sua coscienza. Più puro
del filo il legame tra i due, fantastici sensi li legavano ad una prima giovinezza che
era sembrata vera-ma lenta tristezza e decadenza già s’insinuavano nel conteggiarli
tra i morti. Sofferenti per quella paralisi generale di opinioni e di speranze che
aveva generato in loro come un desiderio di soffocare: ciascuno per la propria via,
con lievi, condiscendenti detronizzazioni.
Quali valori espellere per loro dalle macerie d’una socialità incosciente? Quali
valori opporre ai primi distruggevoli ma intatti, che non fossero strettamente
coinvolti ai primi, o non potessero bene esserne disincagliati? Fissarono una data,
un appuntamento nel vuoto per discutere di questo, e disimparare le false lezioni. Il
vuoto fu la morte stesa sconosciuta in una bara color legno-e scelta col gusto della
pietà che hanno i becchini per anime insolitamente intatte. Ma nel morire l’amico
aveva lasciato che si insinuasse che egli troppo intatto era, dalla frode comune, e
dall’egoismo che spolverandosi aveva rialzato una testa fatta di lividi.
Morti parlarono per lungo tempo-impietriti.131
E il dialogo continua; la morte non è un ostacolo, offre una possibilità: che
l’anima di Rocco scenda nell’anima sua.
Amelia crede nella metempsicosi.
In “Diario Ottuso” “la sua sorella” è Amelia Rosselli; il “fratello in ispirito” è
Rocco Scotellaro; il “fratello in carne” è John Rosselli; la “città cava e rotonda” è
Matera; “i maestri di vita” sono quelli che sanno sempre dare la risposta giusta al
momento giusto, che danno le loro coordinate di vita come dogma.
“Diario Ottuso” è l’unico testo intimo della Rosselli.
È un libro di domande che non trovano risposta, perché l’unica “dimensione
vitale” possibile è il “non sapere, il non vedere, il non capire”, dove si realizza
l’annullamento della sensibilità, anche di quella artistica.
Non si può spiegare ciò che sfugge a una classificazione logico-razionale, ciò
che conduce al vuoto.
131
Ivi, p. 33-36
58
Quando descrive i viaggi con Rocco Scotellaro a Napoli, Portici, Matera usa il
verbo “partivono”, questo termine contiene il doppio significato: del partire
innocente per la campagna di due giovani illusi, che nello stesso tempo, tornano,
nell’attimo stesso in cui partono, disillusi. È un partire che è contemporaneamente un
tornare.132
La Rosselli ha da sempre rifiutato l’autobiografismo, “Diario Ottuso” invece
l’ammette.
“La Libellula” è il poemetto scritto da Amelia Rosselli nel 1958, in un momento
d’ispirazione profonda e felice.
La libellula è sinonimo di eleganza e leggerezza, ma anche di caducità e
fragilità, tratti tipici della poesia rosselliana.
L’essere alato è evocato metonimicamente, il titolo indica “il movimento quasi
rotatorio delle ali della libellula in riferimento al tono volatile del poema”, ma il
poemetto non è leggero, al contrario, è difficile da comprendere nelle sue metafore.
“La libellula” può anche ricordare le parole “libello”, “libertà” infatti il tema
centrale del testo è la libertà.
Il sottotitolo “panegirico (della libertà)” significa giro del pane.
La poetessa non crede nell’esistenza della libertà, perché vive nello stato di
necessità.
Il volo della poesia della Rosselli nasce da un vuoto creato dalla morte.
I verbi giacere e cadere sono tra quelli più usati dalla poetessa; la caduta è
sinonimo di morte, ma presuppone anche il volo, sinonimo di rinascita, volo che
nasce dal vuoto della morte: è un circolo vizioso, é una danza di vita e morte
insieme.
Nel poemetto sono presenti rimandi intertestuali; attraverso le diverse e opposte
citazioni la Rosselli vuole ricordare i poeti che maggiormente hanno contribuito alla
sua formazione, negli anni 1950-1958; così sono presenti Eugenio Montale con
“Esterina” (“Falsetto”), Dino Campana con “La chimera”, Rimbaud con “Ortensia”,
Scipione ( è lo pseudonimo di Gino Bonichi , pittore della scuola romana), la stessa
Rosselli di “Variazioni belliche”. Amelia rimanda esplicitamente a questi autori
citandone e variandone le poesie.
Ne “La Libellula” scrive:
Il contadino con le lunghe mani sapeva tutta
l’ansia mia, ma egli non rivelava , il suo vero
nome da incantatore. Io lo fuggivo per valli
e terreni oscuri, ma egli sapeva il nome mio.133
Amelia palesa che “il contadino” conosce la sua angoscia e il suo tormento, ma
non ha rivelato il suo vero nome da incantatore.
132
133
Ulderico Pesce, La Donna che vola, “Quaderni del Circolo Rosselli” cit. p. 44
Rosselli, Le poesie cit. p. 148
59
Non può esistere incantamento senza canto, per incantare è necessaria una voce:
Rocco è la voce che incanta, Amelia è l’incantata. Ma lei lo fugge, affiora un
sentimento non completamente corrisposto o consapevole. Amelia è
inconsapevolmente ammaliata da Rocco, l’incantamento o l’affascinamento è
qualcosa di profondo e può durare una vita.
Il “contadino” conosce della poetessa ciò che è più intimo e nascosto; la
conoscenza profonda che Scotellaro ha della Rosselli è espressa in una bellissima
poesia:
Il dolore
a M. R.
Mia carissima adorabile sorella
io farei volentieri come te
di ogni libro un vangelo
di ogni suono la pagella di amore.
Io sono innamorato del tuo dolore
Per ogni cosa che poi trova sbagliata.134 (1952)
Rocco Scotellaro si rivolge ad Amelia Rosselli chiamandola sorella, è espresso il
sentimento di fratellanza che lega i due poeti e il sentimento di affetto profondo di
Rocco nei confronti di Amelia-Marion. La sorella molto cara merita adorazione.
Nei versi finali Rocco si dichiara innamorato di Amelia-Marion, in particolare è
innamorato del dolore che la poetessa prova per ogni cosa ingiusta e sbagliata.
Amelia è alla ricerca di un ordine morale che non è quello della società in cui vive.
Il poeta lucano palesa la volontà di aderire alle intenzionalità artistiche e
letterarie della Rosselli. La poetessa comincia a scrivere le cose importanti dopo la
morte di Scotellaro, ma ha già ben chiaro quella che vuole e deve essere la sua arte
poetica.
Rocco farebbe volentieri come Amelia di ogni libro il testo della verità, il libro
per eccellenza, farebbe di ogni libro vangelo, di ogni suono la pagella di amore.
La Rosselli è stata sempre interessata alla musicalità del verso, la sua anima
tormentata trova conforto nel rifugio della musica. Non trova armonia nel mondo e
nella società, ma nella musica e nella musicalità del verso. Alla fine il tormento della
sua mente rompe la magia della musica e della poesia, così viene meno il nutrimento
della sua anima, la terapia della sua malattia.
Rocco Scotellaro con un’immagine suggestiva comprende ed esprime in maniera
semplice la volontà artistica e letteraria di Amelia Rosselli che è problematica e
ricercata.
Rocco è una persona introspettiva che coglie la complessità della sofferenza di
Amelia, nel titolo della poesia “il dolore” si svela tutto l’universo esistenziale e
poetico della Rosselli.
È il dolore la fonte, la condizione stessa della sua poesia e della sua
“malinconica privazione di vita”.
134
Scotellaro, È fatto giorno cit. p. 135
60
Bibliografia di Amelia Rosselli
-
Amelia Rosselli, Antologia poetica, Amelia Rosselli, a cura di Giacinto
Spagnoletti, con un saggio di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti, 1987.
-
Amelia Rosselli, Diario Ottuso, a cura di Alfonso Berardinelli, Roma, IBN
editore, 1990.
-
Amelia Rosselli, Istinto di morte e istinto di piacere in Sylvia Plath, “Poesia”, 44
(1991)
-
Amelia Rosselli, Le poesie, prefazione di Giovanni Giudici, Milano, Garzanti,
1998.
-
Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco. Un epistolario, a cura di
Franco Vitelli, “Lo straniero”, 13/14 (2001)
-
Giovanni Giudici, Poesia-visione di Amelia Rosselli, in Novecento, XI, tomo 2,
Settimo Milanese, Marzorati, 1989, p. 1046-1053.
-
P. Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, “Il Menabò”, 6 (1963), Torino,
Einaudi.
-
Amelia Rosselli, a cura di Daniela Attanasio e Emmanuela Tandello, “Galleria”,
a. 48, 1/2 (1997), Caltanissetta, Sciascia editore.
-
Amelia Rosselli, Un’apolide alla ricerca del linguaggio universale. Atti della
giornata di studio (Firenze, Gabinetto Vieusseux, 29 maggio 1998), a cura di
Stefano Giovannuzzi, “Quaderni del Circolo Rosselli”, 17 (1999), Firenze,
Giunti.
61
Bibliografia di Rocco Scotellaro
-
Rocco Scotellaro, Memoria di Prampolini, “Battaglie Gogliardiche”, 14 maggio
1944.
-
Rocco Scotellaro, Uno si distrae al bivio, prefazione di Carlo Levi, Matera,
Basilicata editrice, 1974.
-
Rocco Scotellaro, Margherite e rosolacci, a cura di Franco Vitelli, prefazione di
Manlio Rossi Doria, Milano, Mondadori, 1978.
-
Rocco Scotellaro, È fatto giorno, a cura di Franco Vitelli, Milano, Mondadori,
1982.
-
Rocco Scotellaro, Giovani soli, a cura di Rosaria Toneatto, Matera, Basilicata
editrice, 1984.
-
Rocco Scotellaro, Lettere a Tommaso Pedio, a cura di Raffaele Nigro, Venosa,
Osanna, 1986.
-
Rocco Scotellaro, L’uva puttanella, Contadini del sud, prefazione di Carlo Levi,
Bari, Laterza, 1986.
-
Amelia Rosselli-Rocco Scotellaro, Marion e Rocco. Un epistolario, a cura di
Franco Vitelli, “Lo straniero”, 13/14 (2001)
-
Anna Angrisani, L’alba è nuova, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo, 1980
-
Ennio Bonea-Armida Marasco-Carlo Alberto Augieri, Trittico su Scotellaro, Le
ideologie-Le donne- Le biografie, Lecce, Congedo Editore, 1985
-
Rosalma Salina Borello, A giorno fatto, Matera, Basilicata editrice, 1977
-
Giovanni Battista Bronzini, L’universo contadino e l’immaginario poetico di
Rocco Scotellaro, Bari, Dedalo, 1987
-
Giovanni Caserta, La poesia di Rocco Scotellaro, Matera, BMG, 1966
-
Michele Dell’Aquila, Giannone, De Sanctis, Scotellaro: ideologia e passione in
tre scrittori del Sud, Napoli, SEN, 1981
-
Pompeo Giannantonio, Rocco Scotellaro, Milano, Mursia, 1986
-
Paola Scotellaro, Rocco Scotellaro sindaco, Napoli, RCE edizioni, 1999
-
Franco Vitelli, Bibliografia critica su Scotellaro, Matera, Basilicata editrice,
1977
-
Omaggio a Scotellaro, a cura di Leonardo Mancino, Manduria, Lacaita, 1974
-
Scotellaro trent’anni dopo, Atti del Convegno di studio (Tricarico-Matera, 27-29
maggio 1984), Matera, Basilicata editrice, 1991
62
Bibliografia generale
-
Giovanni Caserta, Scrittori di Basilicata, Taranto, Scorpione Editrice,1988.
-
Thomas Stearns Eliot, Ash Wednesday, New York, Knickerbocker Press, 1930.
-
Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, I, Milano, Mondadori, 1969.
-
Friedrich George Friedman, Miseria e dignità, Il Mezzogiorno nei primi anni
cinquanta, a cura di Aldo Musacchio e Pancrazio Toscano, San Domenico di
Fiesole (Firenze), Edizioni Cultura della Pace, 1996.
-
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Milano, Mondadori, 1979.
-
Bertil Malberg, L’analisi del linguaggio nel XX secolo, Bologna, il Mulino, 1985.
-
Ernesto de Martino, Mondo popolare e magia in Lucania, a cura e con prefazione
di Rocco Brienza, Matera, Basilicata editrice, 1975.
-
Ernesto de Martino, Morte e pianto rituale, Dal lamento funebre antico al pianto
di Maria, Torino, Boringhieri, 1975.
-
Sylvia Plath, Le muse inquietanti e altre poesie, a cura di Gabriella Morisco,
traduzioni di Gabriella Morisco e Amelia Rosselli, Milano, Mondadori, 1985.
-
Carlo Rosselli, Dizionario delle idee, a cura di Sergio Bucchi, Roma , Editori
Riuniti, 2000.
-
Giovanni Russo, Lettera a Carlo Levi, Roma, Editori Riuniti, 2001.
-
Scipione, Carte segrete, prefazione di Amelia Rosselli, nota di Paolo Fossati,
Torino, Einaudi, 1982
63
INDICE
Introduzione ................................................................................................................. 2
Capitolo I .................................................................................................................... 5
La vita, la poesia di Amelia Rosselli ......................................................................... 5
Capitolo II ................................................................................................................. 16
La vita, l’impegno politico e sociale, la poesia di Rocco Scotellaro ..................... 16
Capitolo III ............................................................................................................... 27
L’incontro tra Rocco Scotellaro e Amelia Rosselli................................................ 27
Le lettere ................................................................................................................... 45
Scambio poetico o Gioco poetico ............................................................................. 48
Capitolo IV................................................................................................................ 51
Rocco Scotellaro nella poesia di Amelia Rosselli ................................................... 51
Bibliografia di Amelia Rosselli ................................................................................ 61
Bibliografia di Rocco Scotellaro ............................................................................. 62
Bibliografia generale ................................................................................................ 63
64