Spiritualità e Trascendenza nella relazione di aiuto secondo l

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Spiritualità e Trascendenza nella relazione di aiuto secondo l
ACP –Rivista di Studi Rogersiani - 2003
Spiritualità e Trascendenza nella
relazione di aiuto secondo
l’Approccio Centrato sulla Persona
Franco Perino*, Cristina Andreolli
Tre anni fa, al termine di un seminario sulla relazione di aiuto che avevo
condotto per un gruppo di 15 dermatologi, un giovane collega mi avvicina e
mi pone, a raffica, alcune domande: “Ma tu Franco sei religioso? Sei cattolico?
Vai in chiesa?”.
La cosa mi stupisce e gli chiedo il motivo di queste sue domande. Mi
risponde che secondo lui nel lavoro che avevamo fatto quella mattina c’era
molta spiritualità e voleva sapere se dipendeva dalle mie attitudini religiose.
Questo fatto mi ha sorpreso, perché nel seminario non avevamo trattato
temi religiosi ma le tre condizioni necessarie e sufficienti per instaurare una
relazione di aiuto.
Dopo quell’episodio ho cominciato a riflettere e a considerare sotto una
luce diversa il lavoro che avevo fatto e che stavo facendo come facilitatore.
Mi sono accorto che con una certa frequenza, in effetti, capitava che le
persone, durante i colloqui individuali, toccassero tematiche spirituali e nei
gruppi d’incontro si creasse un senso di interconnessione profonda,
“speciale” tra i partecipanti.
Ecco alcuni feedback al termine di gruppi d’incontro di tre giorni tenuti nel
2002-2003 per gli operatori dell’Ospedale di Bolzano:
Dermatologo psicoterapeuta. Divisione dermatologica. Ospedale, Via L. Böhler 5, 39100
Bolzano. Tel. 0471-909901. E-mail: [email protected]
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Un momento preziosissimo, dove il mondo per un attimo smette di girare. Il
gruppo diventa il tuo mondo. Il gruppo diventa il tuo confidente, la tua forza.
Ti lascia un gran senso di benessere, di pace interiore, di armonia con te stessa
e con gli altri.
Questa continua ricerca di risposte alle domande che ogni giorno ci
rivolgiamo sono comuni a tutti i presenti. Chi siamo veramente? Che
significato ha la vita? Il valore vero che ognuno di noi dà alla vita... Guardo i
volti, ascolto il tono della voce, le parole… vorrei entrare dentro nel più
profondo per capire meglio. Cos’è che manca, perché sei così infelice,
compagno di questo breve viaggio?
È stata una bellissima avventura, ho sentito il senso della vita, il fluire delle
esperienze belle – tristi – dolorose – mentali – fisiche, il fiume della mia vita e
della vita di tutti gli altri componenti che hanno condiviso con me questo.
Per approfondire e capire questa parte del mio lavoro, di cui finora non
avevo avuto piena consapevolezza, ho riletto gli scritti di Rogers cercando in
essi gli aspetti che si collegavano alla spiritualità.
Ho avuto anche occasione di parlare di questo argomento con vari colleghi
dell’approccio rogersiano che hanno condiviso con me le loro riflessioni e le
loro esperienze.
In questo articolo ho cercato di approfondire l’evoluzione religiosospirituale di Carl Rogers e di riconsiderare la relazione di aiuto, così come lui
l’aveva intesa, sotto una luce un po' particolare, mettendone in rilievo gli
aspetti più spirituali. Altri temi quali la tendenza attualizzante/formativa, il
lavoro nei gruppi d’incontro e la morte, sempre in quest’ottica, sono stati
trattati invece in un altro lavoro (Andreolli, 2003).
Volutamente ho cercato di riportare fedelmente ciò che ha espresso Rogers
e di limitare le interpretazioni personali o di altri Autori.
La “Spiritualità”
La “Spiritualità” non ha una definizione univoca. Di solito significa
consapevolezza di una dimensione trascendente della vita umana oppure
viene considerata un concetto che, andando oltre alla affiliazione religiosa,
comprende:
- credere in un potere più grande
- ricerca di significato
- armonia con l’universo
- sensazione di profonda connessione con gli altri
- fiducia nella provvidenza ecc. (Post, 2000)
Carl Rogers con tale termine intendeva due aspetti.
Uno è quello di trascendenza. Ci sono momenti nell’esperienza di gruppo o
nell’esperienza terapeutica in cui ho come la sensazione che il cliente ed il terapeuta siano
immersi in qualcosa di più grande di loro. Il secondo è quello spirituale, che si riferisce ai
valori - un vero rispetto per il valore e la dignità degli individui. I valori umanistici
potrebbero senz’altro essere considerati parti della spiritualità (A Way..., 1984).
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Di spiritualità e trascendenza si sta parlando e scrivendo molto, sia in
ambito psicologico che medico.
L’Associazione degli psichiatri britannici ha istituito di recente un gruppo
di studio sulla spiritualità, considerandola un aspetto significativo, ma
trascurato, della salute (Culliford, 2002). Nell’ambito della Promozione della
Salute si parla di “salute spirituale” (Paccagnella, 2002, pp. 15-16), accanto a
quella fisica, emotiva, sociale e intellettuale (Zucconi, 2003, p. 314).
In medicina sta assumendo sempre maggiore importanza, perché molti
pazienti trovano nella propria matrice spirituale le risorse per affrontare
patologie croniche, gravi ed invalidanti (Perino, 2002).
Anche alcuni esponenti dell’Approccio centrato sulla persona negli ultimi
anni si sono occupati di questo tema, scrivendo articoli e libri (Bryant e
Menahem, 1996, O’Hara, 2000, Schmid, 1999, Schwarz e Thorne, 1991 e
1998, Wood, 1997).
Religione e Spiritualità in Carl Rogers
Rogers crebbe in una famiglia «strettamente fondamentalista» (Rogers,
1980, trad. it. p. 29), da cui introiettò rigidi principi religiosi e morali.
All’età di 12 anni andò a vivere in campagna e sviluppò un grande
interesse per il mondo dell’agricoltura. In seguito cominciò a studiare agraria
al College del Wisconsin ma, dopo i primi due anni di studio, cambiò
orientamento e intraprese una formazione religiosa per diventare Pastore.
Nel 1922 (all’età di 20 anni) soggiornò sei mesi in Oriente e partecipò a una
conferenza internazionale della Federazione Mondiale degli Studenti
Cristiani, in Cina; esperienza che lo influenzò profondamente. Fu colpito dal
senso di comunione e di unità che si respirava durante le riunioni, dalla
profonda sofferenza di molte persone (studenti cristiani perseguitati nei
propri paesi per la loro religione, persone in condizioni estremamente
precarie nelle carceri cinesi), dal fatto che «persone oneste e sincere
potevano avere credi e percezioni religiose molto diversi», (Rogers, 2002, p.
62), dall’odio che ancora divideva francesi e tedeschi (era da poco terminata
la prima guerra mondiale) e dalla bellezza di quei luoghi.
Quando si trovò in Giappone fece una lunga passeggiata insieme ad altri
pellegrini per poter osservare il sorgere del sole dall’alto del monte Fujiyama:
[…] una intera fila di pellegrini urlò quando sorse il sole, e fu una esperienza notevole,
piena di un reale senso spirituale di sorpresa e riverenza. Penso che sia un aspetto della
religione che non ho mai perso - il senso di riverenza per molti fenomeni naturali […]
(Rogers, 2002, p. 71).
Questo soggiorno lo aiutò ad emanciparsi dalle credenze religiose dei suoi
genitori e a diventare più autonomo dalla famiglia (Rogers, 1970, p. 24).
Tornato negli Stati Uniti si iscrisse all’Union Theological Seminary, per
prepararsi al meglio alla sua futura attività religiosa. Pur trattandosi di un
Istituto molto liberale, Rogers e diversi suoi compagni di studio avevano la
sensazione di assorbire le idee di altri e di non esplorare le proprie. Così
organizzarono un seminario senza istruttori dal titolo “perché voglio entrare
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nel ministero sacerdotale?” (Boeree) in cui poterono parlare dei propri
problemi personali. La conseguenza fu che molti studenti, compreso Rogers,
scoprirono che non avevano intrapreso la strada giusta per loro.
Sentivo che certi problemi, quali il significato della vita per gli individui, mi avrebbero
probabilmente sempre interessato, ma che non potevo lavorare in un campo dove mi si
richiedeva di credere in una dottrina religiosa specifica. Le mie opinioni erano già cambiate
in modo straordinario, e potevano continuare a cambiare. Mi sembrava che sarebbe stata una
cosa orribile “dover” professare una serie di opinioni per poter continuare la propria
professione. Desideravo trovare un campo in cui avere la certezza che la mia libertà di
pensiero non sarebbe stata limitata (Rogers, 1970, p. 25-26).
Così decise di abbandonare gli studi teologici e di dedicarsi alla psicologia.
In una intervista del 1986 riferì di provare imbarazzo ripensando al suo
impegno religioso giovanile, probabilmente perché le convinzioni che aveva a
quel tempo, le aveva ancora, ma non poteva più definirle religiose.
L’essere profondamente convinto della fondamentale bontà della natura
umana e della capacità dell’uomo di cambiamenti costruttivi non erano
assunti religiosi ma fatti basati sulla sua esperienza e su molte ricerche
(Rogers, 2002, p. 51-2)
In effetti Rogers non si definiva “religioso”. Ad un gruppo di sacerdoti che
insistevano e cercavano di fargli riconoscere che lo era, rispose: «Sono troppo
religioso per essere religioso». E chiarì:
Per me questo esprime qualcosa di piuttosto reale. Parlare di spiritualità o di Dio non è
ciò che dà alla vita la sua qualità religiosa o spirituale. Il modo in cui vivo la mia vita è un
tentativo di esprimere questo aspetto, che è meglio lasciare indefinito (A way…,1984).
Ammetteva che le persone che lo conoscevano bene lo consideravano
molto spirituale, ma non amava usare terminologia religiosa. Non credeva di
essere in grado di comunicare efficacemente sulla qualità spirituale della vita
senza il rischio di venire frainteso. Ciononostante nell’ultimo libro che
scrisse (Un modo di essere) ci sono molte sue riflessioni su spiritualità e
trascendenza, temi ai quali evidentemente negli ultimi anni si avvicinò.
La capacità di facilitare
Nel 1957 Rogers descrisse le condizioni che considerava necessarie e
sufficienti per poter instaurare una relazione di aiuto: il terapeuta prova
accettazione positiva incondizionata nei confronti del cliente, comprende
empaticamente il suo sistema di riferimento interno ed è, almeno durante il
colloquio, congruente. Altre tre condizioni prevedevano che ci fosse un
contatto psicologico tra i due, che il cliente si trovasse in una situazione di
incongruenza, vulnerabilità o ansia e che ci fosse una comunicazione di
accettazione ed empatia dal terapeuta verso il cliente (Rogers, 1970, p. 51).
Molti studi hanno dimostrato che l’efficacia di una psicoterapia non si basa
sull’expertise tecnico del terapeuta ma su di un insieme di attitudini, valori e
qualità personali, che Rogers più tardi ha riassunto con l’espressione “un
modo di essere” (O’Hara, 2000, p. 7).
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La considerazione positiva incondizionata viene intesa da Rogers come un
«certo tipo di amore per il cliente, così come egli è (attribuendo qui ad amore
il significato del termine teologico “agape” e non l’abituale significato
romantico e possessivo che gli si dà)»2 (Rogers, 1970, p. 94).
Di amore parla poi anche nel libro Un modo di essere dove scrive che «la
forza più forte nel nostro universo non è il potere opprimente, ma l’amore»
(Rogers, 1980, trad. it. p. 171).
Amore è una parola forte, che si fa fatica a pronunciare in psicologia ed in
medicina per il timore di essere fraintesi. Anche Nathaniel Raskin,
psicoterapeuta che era stato allievo e poi collaboratore di Carl Rogers, in un
seminario clinico a Firenze nell’ottobre 1996 ne parlò:
È interessante che il concetto di amore sia stato usato così raramente non solo nella
Terapia Centrata sul Cliente ma in generale nella psicologia. Credo che se permettessimo a
noi stessi di essere più liberi l’amore prenderebbe una parte molto più grande in tutto il
processo (Seminario, 1996).
Lo psicologo Michael Kahn definisce l’Approccio Centrato sulla Persona “A
Therapy of Love”, una terapia dell’amore e aggiunge: «Se un terapeuta
comunica efficacemente l’esperienza di agape, il cliente cambierà nella
direzione desiderata» (Kahn, 1997, p. 39-40).
La comprensione empatica è la percezione accurata da parte del terapeuta
dei sentimenti e dei significati personali che il cliente sta sperimentando.
L’empatia può essere solo una parola che significa ascoltare, o può essere il compito
estremamente impegnativo di cogliere o comprendere il mondo interno della persona con
cui sono in relazione…
Sforzarsi di cogliere l’intero mondo interno di questa persona assorbe tutto me stesso.
Significa mettere da parte qualcosa di me, dei miei valori personali e delle mie attitudini per
cercare di cogliere le attitudini dell’altra persona….
E nel rispondere al mondo dell’altra persona, ogni risposta è, secondo me, semplicemente
una verifica. È dire questo: “Sto cercando di essere per te un compagno nella tua ricerca e
nella tua esplorazione. Voglio sapere, sono con te? È così che ti sembra? È questo ciò che stai
cercando di esprimere? È questo il significato che ha per te?”. Così per un verso sto dicendo
«Sto camminando con te passo a passo e voglio essere sicuro di essere con te. Lo sono?»
(Rogers…, 1985).
Talvolta Rogers si immergeva così totalmente e profondamente nel
rapporto interpersonale da estraniarsi dal mondo, da sperimentare come uno
stato di trance, di alterato stato di coscienza; non era consapevole del
trascorrere del tempo e terminato il colloquio ricordava poco, a livello
mentale, dello svolgimento dello stesso.
Noto che quando sono più vicino al mio Sé interiore e intuitivo, quando sono in qualche
modo in contatto con l’ignoto in me, quando sono forse in uno stato di coscienza lievemente
alterata, allora, tutto ciò che faccio sembra possedere un’intima qualità curativa. Allora, la
mia semplice presenza è liberante e utile per l’altro […] Sono presenti una crescita,
un’energia e un potere guaritore profondi (Rogers, 1980, trad. it. p. 112).
La psicoterapeuta rogersiana Maureen O’Hara parla di «momenti di
eternità» (O’Hara, 2000).
2 Agape: amore gratuito, disinteressato.
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Rogers si affidava alla propria sensibilità, si fidava delle proprie intuizioni,
e talvolta condivideva immagini e sensazioni che il cliente gli suscitava,
presentandole come proprie e non come verità assolute. Quando esprimeva
queste intuizioni, spesso l’altra persona aveva profonde reazioni ed insight.
Quindi ho cominciato ad avere fiducia nella mia comprensione intuitiva; a volte avrei
voluto dire cose che non avevano relazione con ciò che il cliente aveva appena detto, e
tuttavia mi sembravano importanti da esprimere […]
Non capisco veramente come operi l’intuizione. Colgo semplicemente dei segnali non
verbali? Non credo che basti come spiegazione. In qualche modo il mio nucleo interiore si
relaziona con quello di un’altra persona e comprendo meglio di quanto comprenda la mia
mente, meglio di quanto comprenda il mio cervello – la voglio considerare in questo modo.
La mente è più grande del cervello e in qualche modo la mia mente non cosciente comprende
di più di quanto comprenda la mia mente cosciente, così sono in grado di rispondere a
qualcosa che c’è in questa persona e a cui io non sapevo di stare rispondendo (Rogers, 2002,
p. 285).
Accennò così ad «una ulteriore caratteristica del rapporto che favorisce la
crescita e che quindi va aggiunta alle tre condizioni classiche» (Raskin, 1991,
p. 17).
A questa ulteriore caratteristica Rogers non ha dato un nome preciso, ma
ne ha parlato come di «uno stato di coscienza lievemente alterata», vicino
alla intuizione, che gli permette di «raggiungere e toccare lo spirito interiore
dell’altro» (Rogers, 1980, trad. it. p. 112).
Alcuni psicoterapeuti centrati sulla persona la considerano diversamente:
per Peter Schmid corrisponde alla “presenza” del terapeuta, per M. Bowen è
una “forte empatia” (Korbei, 2001) e per John Wood una “percezione
extrasensoriale” (Wood, 1997).
La congruenza è essere in contatto con il fluire delle proprie emozioni, con
le proprie esperienze organismiche. È la condizione più importante senza la
quale le due precedenti sarebbero solo tecniche o attitudini esteriori. Far
finta di provare empatia o accettazione quando in realtà non le si prova,
rende inefficace la relazione.
La consapevolezza dei propri sentimenti e la capacità di esprimerli quando
sono persistenti fa sì che le relazioni significative acquisiscano profondità,
che vi sia un reale incontro Io e Tu, da persona a persona.
Queste tre condizioni, necessarie e sufficienti, devono essere quindi
armonizzate per poter instaurare una relazione efficace che sia terapeutica.
Lo sviluppo delle persone
Osservando gli individui che si erano sottoposti a una terapia, Rogers
individuò una direzione in cui tutti evolvevano: andare al di là delle
apparenze, del dover essere, delle aspettative altrui, del dover piacere agli
altri, sentire di potersi dirigere da soli, di essere un processo in divenire, di
essere complessi, aperti all’esperienza, capaci di accettare le altre persone e
di provare fiducia in se stessi (Rogers, 1970, p. 166-175).
[…] i soggetti che sono capaci di ascoltare in modo completo la loro esperienza attuale
giungono a dar valore a mete uguali: la sincerità, l’indipendenza, l’autonomia, la conoscenza
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di sé, la sensibilità sociale, la responsabilità sociale e le relazioni interpersonali profonde
(Rogers, 1970, p. 286).
La persona pienamente funzionante è aperta alla propria esperienza – è capace di
accettarsi per come è, con difetti, sentimenti positivi e negativi come pure qualità positive;
sa affrontare la vita, sa amare e ricevere amore (Rogers, 2002, p. 258).
Il modello di Rogers di autorealizzazione delle persone, elaborato verso gli
anni ‘60 in base all’esperienza che aveva maturato fino ad allora con i clienti,
non comprendeva l’autotrascendenza e la scoperta o il recupero dell’identità
spirituale.
Nel 1984 riferì però:
Se i miei clienti si sviluppassero di più in aree di auto-trascendenza, allora questo
elemento necessariamente diventerebbe parte della mia teoria. E io ho un po’ l’impressione
che noi ci stiamo muovendo verso un’era in cui i fenomeni di autotrascendenza sono più
comuni, o perché sono più accettati o perché è il tempo giusto affinché emergano (A way…,
1984).
In una intervista nel 1984 affermò che se avesse avuto a disposizione altri
82 anni di vita, abbastanza probabilmente si sarebbe mosso verso aspetti
della ricerca che riguardano il valore dell’autotrascendenza, la scoperta o il
recupero dell’identità spirituale dell’Uomo (A way…, 1984).
Nei suoi ultimi anni tuttavia rifletté su alcuni aspetti del suo lavoro che in
qualche modo avevano a che fare con spiritualità e trascendenza, ma senza
elaborare una teoria e senza chiarire quali possibilità e sviluppi avrebbero
potuto comportare per l’Approccio o per il mondo stesso della psicologia.
È chiaro che le nostre esperienze nella terapia e nei gruppi coinvolgono il trascendente,
l’indescrivibile, lo spirituale. Sono costretto ad ammettere che io, come molti altri, ho
sottovalutato l’importanza di questa dimensione mistica e spirituale (Rogers, 1980, trad. it.
p. 113).
Rogers non ha avuto l’intenzione di fondare una psicologia spirituale, però
l’applicazione di concetti quali amore, autenticità, congruenza ed
accettazione positiva incondizionata sembra preparare in qualche modo il
terreno per l’emergere nelle persone di temi e desideri di carattere spirituale
(Menahem, 1996, p. 330; Fuller, 1984) quali il senso di connessione con gli
altri esseri umani, la ricerca di significato, l’armonia con l’universo e il
misticismo.
Riconnettersi alle altre persone
Tramite il terapista il cliente si può riconnettere al genere umano ed uscire
dal suo isolamento.
L’empatia, in particolare, «dissolve l’alienazione» (Rogers, 1980, trad. it. p.
130).
Quasi sempre, allorché una persona sente di essere stata profondamente ascoltata, i suoi
occhi si inumidiscono. Penso che in un senso in certa misura realistico essa stia piangendo
di gioia […] In momenti simili mi è venuta talvolta la fantasia di un prigioniero che si trova in
una cella sotterranea e che un giorno trasmette con piccoli colpi il seguente messaggio in
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alfabeto Morse: “Qualcuno mi sente? C’è qualcuno?”. Finalmente un giorno ode alcuni deboli
colpi che dicono: “Sì”. Con questa semplice risposta egli è sollevato dalla sua solitudine; è
diventato nuovamente un essere umano […] (Rogers, 1980, trad. it. p. 15).
In questi momenti si può verificare una specie di fusione tra cliente e
terapista; il legame è così stretto che una persona è come se parlasse per
l’altra o sapesse cosa pensa. Per Rogers questi sono i momenti più profondi
della terapia, i più elevati e i più gratificanti ed uno degli aspetti della vita
che danno più soddisfazione (A way…, 1984).
La persona inoltre porta nella relazione il suo collegamento con realtà
trascendenti:
[…] al di là del messaggio immediato della persona, indipendentemente da quale esso sia,
c’è l’universale. Dietro tutte le comunicazioni personali che realmente ascolto sembrano
esserci delle ordinate leggi psicologiche, aspetti dello stesso ordine che troviamo
nell’universo inteso come un tutto. Così, c’è al tempo stesso la soddisfazione di ascoltare
questa persona e la soddisfazione di sentirsi in contatto con ciò che è universalmente vero
(Rogers, 1980, trad. it. p. 13).
Secondo Maureen O’Hara, la relazione centrata sulla persona permette ad
un Sé individuale di riconnettersi a quello dei suoi simili e di diventare parte
di una coscienza più grande (O’Hara, 2000, p. 15).
“Mistica esperienza di unione con l’universo”
Nel lavoro con i clienti e soprattutto nei gruppi d’incontro Rogers ha più
volte fatto esperienza di una profonda connessione con le altre persone, tale
da raggiungere una dimensione trascendente.
«Il rapporto trascende sé stesso e diventa parte di qualcosa più grande»
(Rogers, 1980, trad. it. p. 112).
Queste esperienze sono, afferma, la conferma di ciò che avevano riferito
alcuni ricercatori (Grof e Grof, Lily) che ritenevano le persone in grado di
entrare in stati alterati di coscienza nei quali erano in contatto o afferravano
il significato del flusso evoluzionistico (Rogers, 1980, trad. it. p. 112).
Esse (le persone, n.d.r.) descrivono il Sé individuale come in dissoluzione entro un
contesto totale di valori più alti, particolarmente di bellezza, di armonia e di amore. La
persona si sente tutt’uno col cosmo (Rogers, 1980, trad. it. p. 112).
È una esperienza mistica di unione con l’universale, simile alla concezione
dell’individuo delle filosofie orientali, che considerano la possibilità che la
psiche del singolo si fonda con lo spirito dell’universo. (Fuller 1984, p. 367,
Minniti 1997-98).
La caratteristica più importante della concezione del mondo orientale – si potrebbe quasi
dire la sua essenza – è la consapevolezza dell’unità e della mutua interrelazione di tutte le
cose e di tutti gli eventi, la constatazione che tutti i fenomeni del mondo sono
manifestazioni di una fondamentale unicità. Tutte le cose sono viste come parti
interdipendenti e inseparabili di questo tutto cosmico, come differenti manifestazioni della
stessa realtà ultima (Capra, 1975, trad. it. p. 147-148).
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Da questa concezione deriva l’idea “decisamente attraente” per Rogers che
la morte, come affermava Arthur Koestler, possa essere il ritorno della
coscienza individuale alla coscienza cosmica, di cui ne costituisce un
frammento.
Mi piace la sua analogia del fiume individuale che alla fine confluisce nelle acque
impetuose dell’oceano, abbandonando la sua melma fangosa con l’ingresso nel mare
sconfinato (Rogers, 1980, trad. it. p. 79).
Scoprire i propri valori
Secondo Rogers il bambino, durante il suo sviluppo, rinuncia talvolta alla
propria valutazione organismica e a scoprire tramite l’esperienza valori
propri, per introiettare invece quelli delle persone per lui significative, in
grado di dargli quella accettazione positiva di cui ha bisogno. La capacità di
valutazione diretta, tipica del bambino molto piccolo, viene così persa. Nel Sé
si crea via via un sistema di valori, che guida le scelte, che in buona parte è
estraneo a quanto l’individuo prova realmente.
Questa è la causa del disagio di molti individui, che si sentono estranei a
sé stessi, alienati, che razionalmente si muovono in una direzione mentre i
loro reali bisogni andrebbero in un’altra, o che vivono con valori tra loro
contraddittori.
Molte persone cercano con la psicoterapia risposte a domande come «Qual
è lo scopo della mia vita? A che cosa tendo? Quali sono i miei propositi?»
(Rogers, 1970, p. 163).
La psicoterapia rogersiana aiuta a diventare più congruenti, ad avere
maggiore contatto con la propria esperienza e valutazione organismica.
Questo permette di scoprire dentro di sé valori, una fonte di significato e di
autorità e di recuperare la propria unità.
[…] L’uomo moderno, anche se non ha più fiducia che la religione, la scienza, la filosofia,
né alcun altro sistema di opinioni, possano fornirgli i suoi valori, può trovare, dentro di sé,
una base organismica di valutazione; se riesce a mantenersi costantemente in contatto con
essa avrà a disposizione un mezzo per affrontare in modo costruttivo e organizzato i gravi e
imbarazzanti problemi di valore che si pongono nella complessità della vita quotidiana
(Rogers, 1970, p. 285).
L’esperienza è per me la maggior autorità […] Le idee di nessun altro, e nemmeno le mie,
hanno tanta autorità quanto la mia esperienza. È all’esperienza che debbo volgermi
ripetutamente per scoprire man mano la verità che sta progressivamente maturando in me.
Né la Bibbia, né i profeti, né Freud, né le ricerche, né le rivelazioni di Dio, né quelle
dell’uomo, possono essere messe prima della mia esperienza diretta (Rogers, 1970, p. 42).
Il processo di valutazione dell’esperienza immediata di una persona
“matura” è simile a quello del bambino, ma più complesso, perché utilizza
tutte le sue facoltà, compresa la razionalità, tutti i dati acquisiti, le
esperienze passate e le ipotesi che riguardano le conseguenze possibili
(Rogers, 1970, p. 279).
L’individuo è libero di scegliere i valori ma, quando viene apprezzato come
persona, si orienterà verso quelli che sono appropriati alla socializzazione,
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poiché uno dei suoi bisogni più profondi è sentirsi parte e comunicare con i
suoi simili. Di momento in momento controllerà i propri impulsi per
sviluppare quei comportamenti che soddisfano al meglio i suoi bisogni.
Oso credere che, quando l’essere umano è intimamente libero di scegliere ciò cui
attribuisce il valore più profondo, tenda a dar valore a quegli oggetti, a quelle esperienze ed
a quelle mete che contribuiscono alla sua sopravvivenza, alla sua crescita, al suo sviluppo ed
alla sopravvivenza ed allo sviluppo degli altri. Faccio l’ipotesi che sia caratteristico
dell’organismo umano, inserito in un clima che stimola lo sviluppo, preferire mete
attualizzanti e socializzate (Rogers, 1970, p. 284).
Ogni persona scopre orientamenti di valore che hanno significato per lei,
ma secondo Rogers sono valori comuni a tutti gli esseri umani (Rogers, 1970,
p. 282).
Recuperare l’unità
Nelle persone con funzionamento ottimale della personalità le esperienze
organismiche non vengono intercettate o distorte ma sono accessibili alla
coscienza e possono essere integrate nel concetto di sé: la propria unità, la
propria coerenza interna viene mantenuta ed arricchita da nuove esperienze.
Infatti in base al principio olistico su cui si fonda l’Approccio Centrato
sulla Persona, ogni individuo è una totalità psico-fisica: «ogni elemento
(organo o funzione) vede determinato e subordinato il suo significato
all’unità più ampia di cui fa parte» (Vaccari, 1993, p. 119).
«L’organismo è un sistema globale organizzato in cui è possibile che la
modificazione di una parte produca cambiamenti in qualsiasi altra parte»
(Rogers, 1951, trad. it. p. 317).
La persona ben funzionante è congruente cioè “intera”, non scissa.
«Questa persona si sta movendo in direzione della totalità,
dell’integrazione, della vita unificata» (Rogers, 1980, trad. it. p. 111).
Ha anche più potere personale perché non è dipendente dal giudizio o
dalle aspettative altrui ma si volge ad una propria fonte interna di significato
ed autorità, costituita dalla propria base organismica di valutazione
(Lamberton 1993, Rogers 1970, p 285).
Per favorire questa unità, Rogers propone un modello di apprendimento in
cui vengano considerati importanti sia gli aspetti intellettuali che quelli
corporei, emotivi.
Secondo Alexander Lowen, psicoanalista e fondatore della bioenergetica, la
spiritualità dell’individuo nasce dalla sua unità, dalla sua armonia:
«È solo nella perfetta armonia tra corpo, mente ed emozioni che possiamo raggiungere un
senso di integrità morale e personale, di amore per gli altri e di rapporto col divino. Grazie a
questo sublime equilibrio è possibile conseguire quello “stato di grazia” tanto difficile da
ottenere nella vita odierna (Lowen, 1990).
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In “Armonia con il flusso evoluzionistico”
Negli individui vi è un “flusso costante di vita” (Rogers, 1980, trad. it. p.
110), indicato da Rogers anche come “esperienza organismica”, che è in gran
parte al di fuori della coscienza. Le scelte subconsce sono “dettate dal flusso
evoluzionistico”, in sintonia con la tendenza attualizzante/formativa.
Rispetto al funzionamento inconscio dell’organismo, la consapevolezza è
molto limitata ma può essere aumentata, ad esempio con la psicoterapia, che
permette di diventare più consapevoli delle proprie idee, dei propri sogni, dei
sentimenti e delle emozioni, delle reazioni fisiologiche e degli stimoli esterni.
Questo è molto importante perché la scelta che viene operata da una
persona consapevole è allora
[…] più informata, una scelta più libera dalle introiezioni, una scelta conscia che è anche
più in armonia con il flusso evoluzionistico […]
Quanto maggiore è la consapevolezza, tanto più sicuramente la persona fluttuerà in una
direzione consonante col flusso evoluzionistico orientato […]
La coscienza partecipa a questa più vasta tendenza creativa e formativa (Rogers, 1980,
trad. it. p. 111).
Così, quando forniamo un clima psicologico che permetta all’individuo di ESSERE[…] […]
non siamo coinvolti in un evento casuale. Attingiamo ad una tendenza a divenire tutta la
complessità di cui è capace l’organismo. Ma credo che anche su una scala più grande siamo
in armonia con una potente tendenza creativa che ha dato forma al nostro universo, dal più
piccolo fiocco di neve alla galassia più grande , dall’umile ameba al più sensibile e dotato
essere umano. E forse stiamo toccando il limite estremo della nostra capacità di
trascenderci, di creare direzioni nuove e più spirituali nell’evoluzione umana.
Questo tipo di formulazione, per me, costituisce una base filosofica all’approccio centrato
sulla persona (Rogers, 1980, trad. it. p. 116-117).
L’individuo come sistema autotrascendente
Riferendosi alle teorie del chimico e filosofo Ilya Prigogine, Rogers
considera l’individuo come un sistema che tende ad evolversi verso forme
più complesse.
Prigogine e collaboratori affermano che le strutture complesse, chimiche o
umane, in base al principio dell’auto-organizzazione, richiedono molta
energia per automantenersi, sono in equilibrio dinamico, sottoposte a
continue fluttuazioni ma tendono a mantenere la propria stabilità. Le
deviazioni dallo stato di equilibrio possono venire rinforzate dall’interno
(anche spontaneamente) oppure in risposta a stimoli esterni. A causa delle
connessioni presenti nel sistema, tali fluttuazioni si possono amplificare e se
superano un’ampiezza critica, “guidano” il sistema stesso verso uno stato
diverso. Le caratteristiche di questo modello di evoluzione sono:
[…] aumento progressivo di complessità, di coordinazione e di interdipendenza;
l’integrazione di individui in sistemi a molti livelli; e il continuo affinamento di certe
funzioni e modelli di comportamento (Capra, 1982, trad. it. p 240).
Rogers ha utilizzato questo modello per spiegare gli effetti della
psicoterapia negli individui: quando un sentimento rimosso ha accesso alla
11
ACP –Rivista di Studi Rogersiani - 2003
coscienza, viene sperimentato ed accettato, il sistema-uomo ne risulta
perturbato in ogni sua parte, va incontro a fluttuazioni e può evolvere in uno
stato diverso dal precedente, più ordinato, più coerente ed imprevedibile
perché sarà la risultante di tutte le interazioni verificatesi (Rogers, 1980,
trad. it. pp. 114-115; Bozarth, 1998, trad. it. pp. 124-130).
Essendo poi diventato più complesso sarà ancora più instabile e tendente
ad evolvere ulteriormente.
Per Rogers è anche una conferma del valore del riconoscimento e della
piena espressione dei propri sentimenti, positivi e negativi.
Così dalla fisica teorica e dalla chimica giungono alcune conferme inattese, trasformative
– il genere di fenomeni che con i miei colleghi abbiamo osservato e sentito come
concomitanti all’approccio centrato sulla persona (Rogers, 1980, trad. it. p. 115).
Questo modello di evoluzione elaborato per strutture chimiche è stato
applicato con successo per descrivere l’evoluzione di vari sistemi biologici,
sociali ed ecologici (Capra, 1982, trad. it. p. 239).
Forse può spiegare anche altre situazioni in cui le fluttuazioni nel sistemaindividuo vengono prodotte con tecniche quali meditazione, rilassamento
ecc. e con le quali si ottengono effetti a vari livelli (fisico, psicologico e
spirituale).
L’essere umano viene così visto come un sistema in grado di trascendere
se stesso. A questo proposito, Rogers cita Ferguson, 1979: «Quanto più
complesso è un sistema, tanto più grande è il suo potenziale di
autotrascendenza: le sue parti cooperano nel riorganizzarlo» (Rogers, 1980,
trad. it. p. 115).
L’autotrascendenza è definita come «la capacità di superare creativamente
confini fisici e mentali nei processi di apprendimento, sviluppo ed
evoluzione» (Capra, 1982, trad. it. p. 225).
Inoltre:
Gli organismi viventi hanno un potere intrinseco per andare oltre se stessi in vista della
creazione di nuove strutture e nuovi modelli di comportamento. Questo trascendimento
creativo nel nuovo, che nel corso del tempo conduce a un dispiegarsi ordinato di
complessità, sembra essere una proprietà fondamentale della vita, un carattere basilare
dell’universo che non è suscettibile – almeno per ora – di ulteriore spiegazione (Capra, 1982,
trad. it. p. 238).
Apprendere con l’intera persona
Rogers si è occupato a lungo dell’educazione. Ha criticato il fatto che nelle
scuole l’insegnamento fosse rivolto quasi esclusivamente alla mente.
Deploro la maniera in cui, fin dai suoi primissimi anni, l’educazione determina nel
bambino una scissione: la MENTE può andare a scuola, mentre il corpo ha il permesso tutt’al
più di accompagnarla; i sentimenti e le emozioni, poi, possono vivere liberamente ed
espressivamente solo all’esterno della scuola (Rogers, 1980, trad. it. p. 217).
Ha riconosciuto l’importanza di «combinare l’apprendimento esperienziale
con quello cognitivo» (Rogers 1980, trad. it. p. 217). Anche il rapporto
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ACP –Rivista di Studi Rogersiani - 2003
psicoterapico, secondo lui, è più efficace se il terapeuta risponde sia agli
aspetti cognitivi che a quelli emotivi che il cliente presenta (Rogers, 2002, p.
286).
In varie occasioni comunque riferì che il corpo è più saggio della mente,
che prendere contatto con il fluire delle esperienze organismiche permette di
operare delle scelte più funzionali (Rogers, 1980, trad. it. p. 75 e 95).
Esiste una incontestabile fonte di conoscenza esperienziale o di conoscenza a livello di
visceri che ha a che fare con l’essere umano…
Parliamo invece di qualcosa di più esperienziale, qualcosa che deve avere a che fare con
l’intera persona, tanto i sentimenti e le reazioni viscerali che i pensieri e le parole (Rogers,
1980, trad. it. p. 11-12).
Rogers affermò l’importanza di approfondire le capacità e le possibilità,
che sembrano illimitate, della nostra psiche.
[…] l’area dell’intuitivo, dello psichico, l’area del grande spazio interiore che si profila
davanti a noi. Spero che l’educazione innovativa si muova verso acquisizioni in quest’area
primariamente non cognitiva, un regno che attualmente sembra illogico e irrazionale
(Rogers, 1980, trad. it. p. 253).
Aggiungeva che forse è possibile che il nostro intero corpo possa
apprendere qualcosa prima che la nostra mente se ne accorga. È come se
fossimo capaci di «percepire con tutto il nostro organismo» che si trova in
uno stato di «armonia con il segreto pulsare del mondo» (Rogers, 1980, trad.
it. p. 254).
È un concetto simile a quello di “sub-cezione”: «Senza alcuna
consapevolezza, uno può SUBCEPIRE alcune cose dell’ambiente. È una cosa
veramente fisica; ma è anche psicologica» (Rogers, 2002, p. 252).
Conclusioni
Carl Rogers ha riferito chiaramente come nell’ambito della sua esperienza
professionale abbia sperimentato momenti di profonda spiritualità e
momenti trascendenti, e come questi siano risultati molto positivi sia per
l’esito della terapia che per il lavoro con i gruppi.
Rimangono aperte varie domande:
Come si pone un approccio centrato sulla persona rispetto alla ricerca spirituale
dell’uomo? Abbiamo sempre aiutato le persone ad esplorare sé stesse e le loro circostanze di
vita. Un approccio centrato sulla persona è adatto ad aiutarle ad esplorare circostanze in
aree che trascendono sé stesse? (Rogers, 1981).
Ed inoltre: come avviene questa esplorazione? Cosa la favorisce? È questa
una possibilità intrinseca all’Approccio Centrato sulla Persona o riguarda
qualsiasi psicoterapia? Dipende dal terapeuta, dalla sua apertura verso temi
spirituali, dalla sua capacità di risonanza nei confronti del vissuto spirituale
del cliente, dal suo livello di congruenza?
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ACP –Rivista di Studi Rogersiani - 2003
La spiritualità è una componente importante dell’essere umano.
Riconoscerla in campo psicoterapeutico significa considerare l’individuo
nella sua globalità.
Se miglioreremo come individui, come gruppi o come istituzioni o come nazioni sarà
perché apprenderemo come persona intera, globale, che comprende la parte intellettuale,
emozionale e da qualche anno in qua direi, pur riluttante, anche spirituale (A way…, 1984).
A livello personale ho notato che avere riflettuto su questi aspetti
spirituali del nostro approccio ha aumentato la mia consapevolezza rispetto
ad essi e mi ha reso più attento e pronto a coglierli nel mio lavoro, sia come
medico che come psicoterapeuta.
E questo senz’altro sta arricchendo la mia vita e le mie relazioni,
professionali e private.
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