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LINEE PROGRAMMATICHE DI ACCORDO TRA LE FORZE DEMOCRATICHE E ANTIFASCISTE PER L’AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI CAPITANATA (presentate nella seduta consiliare del 18-10-1976 dal Consigliere Michele Berardi a nome dei gruppi consiliari del PCI, PSI, PSDI) Il voto del 20 Giugno ha aperto una situazione politica nuova nel Consiglio Provinciale di Capitanata, non solo per il mutato rapporto numerico delle rappresentanze consiliari, ma soprattutto perché ha indicato una volontà di cambiamento che si è espressa in uno spostamento a sinistra dell’elettorato. Tale risultato traduce la volontà di rinnovamento economico, politico e morale, manifestata, peraltro, già nel corso di lunghe lotte delle masse lavoratrici. A fronte di questa decisa volontà popolare, il Paese tutto e, segnatamente, la nostra Provincia attraversano una grave crisi economica e sociale, aggravata dalla inadeguatezza delle strutture pubbliche a garantire efficaci e tempestivi interventi, corrispondenti alle esigenze di occupazione, soprattutto giovanile e femminile, di servizi sociali efficienti, di nuovo sviluppo culturale. I partiti dell’arco costituzionale, riconoscendo l’urgenza e la gravità della situazione, si ritrovano, concordi, nel « documento di intesa politica» sottoscritto l’11 Settembre 1976 dalla D.C., dal P.C.I., dal P.S.I., dal P.R.I., dal P.S.D.I. e dal P.L.I. nel « concorrere » alla « definizione » « di precise scelte politiche e programmatiche », « per una vigorosa iniziativa intesa ad intensificare l’azione per lo sviluppo sociale, economico e culturale della Capitanata ». Il confronto successivamente svoltosi nel Consiglio Provinciale, nella seduta del 21 settembre u.s., registrava, sul terreno delle soluzioni politiche, un sostan- 1 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ ziale ripensamento del gruppo D.C., il quale, pur esprimendo elementi importanti di novità, tendenti a superare preclusioni e pregiudiziali di principio, nei rapporti tra le forze politiche democratiche, respingeva ogni ipotesi di soluzioni fondate sulla più ampia solidarietà tra i partiti dell’arco costituzionale. Il P.C.I., il P.S.I. e il P.S.D.I., quindi, tenuto conto della gravità della crisi, che investe in modo drammatico la nostra Provincia (si pensi al drammatico evento che ha colpito nella condizione umana e materiale i lavoratori di Manfredonia al cui fianco la Provincia sarà con una solidarietà concreta e responsabile), pur considerando tuttora valido — nel quadro di una politica tesa alle più ampie solidarietà democratiche — l’invito rivolto alla D.C., per una intesa politico-istituzionale e programmatica, hanno deciso di dare vita ad una coalizione esprimente un programma, che si avvale anche dell’apporto del P.R.I. e del P.L.I. Questo accordo, pertanto, si pone: — nello spirito del risultato elettorale del 20 Giugno; — nell’ambito dell’intesa politica di cui al documento dell’11 Settembre 1976, sottoscritto da tutti i partiti dell’arco costituzionale; — nel contesto programmatico per l’iniziativa del governo regionale, unitariamente elaborato dalle forze politiche aderenti, come contributo e stimolo a realizzarlo, in un confronto ed in un apporto, insieme pluralistico e unitario; il tutto con la volontà di esercitare concretamente, attraverso il sistema delle autonomie locali, la funzione propulsiva ad esse assegnata dalla Costituzione Repubblicana. Si tratta di operare su due direttrici che pur presentando reciproci momenti di autonomia sono fra loro collegate: a) nella direzione di provvedimenti capaci di incidere immediatamente sulla gravità della situazione e di contribuire ad avviare una ripresa della situazione e di contribuire ad avviare una ripresa produttiva ed occupazionale fondata sui consumi prioritari e sociali, tenendo presente i risultati della recente Conferenza sull’occupazione ed in essa il decisivo apporto unitario dei sindacati, utilizzando un fondamentale strumento unitario: il Comitato permanente per l’occupazione e lo sviluppo; b) su una linea complessiva che guardi alla Provincia come a una 2 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE delle sedi fondamentali del confronto ideale, politico e culturale, e come ad una delle istituzioni a cui è affidata la crescita dello Stato fondato sulle autonomie. A tal fine va riattivato ed impegnato in modo permanente il Comitato Unitario Antifascista, anche come istanza culturale di esaltazione e di sviluppo della coscienza democratica. I capisaldi fondamentali di tale impostazione sono: 1) il decentramento e la riforma democratica dello Stato; 2) l’espansione e la riconversione delle basi produttive, agricole e industriali della Regione e della Provincia attraverso una programmazione democratica; 3) la qualificazione dell’attività terziaria e dei servizi, nel quadro di nuovi indirizzi nazionali per lo sviluppo economico, sociale e democratico del Paese. In rapporto a tali direttrici di marcia saranno affrontate le questioni di maggiore drammaticità con misure di emergenza raccordate alle linee programmatiche generali e ad un programma di più lungo respiro che si colleghi alla realizzazione di un nuovo sviluppo economico, sociale e culturale della Puglia, secondo le linee che è ormai necessario siano indicate in un piano Regionale di sviluppo, al quale il Consiglio Provinciale di Foggia intende dare il suo contributo di partecipazione e di intervento. Con questa ispirazione, con la consapevolezza della responsabilità che loro compete, le forze politiche democratiche, antifasciste, partecipanti alla direzione della Provincia, ciascuna con pari dignità, con il proprio patrimonio ideale e politico e con la propria autonomia, impegnate a cogliere le più profonde aspirazioni di giustizia e di cambiamento presenti nella società, opereranno per una amministrazione onesta, efficiente e democratica, aperta ai più ampi contributi dell’Assemblea e del movimento democratico. A tale scopo vogliamo indicare brevemente gli Obiettivi di lotta della provincia per un diverso tipo di sviluppo. Partiamo dalla crisi economica che si proietta nella regione con un processo di disordinata e distorta ristrutturazione industriale, col travaglio delle produzioni fondamentali nelle campagne e con una conseguente restrizione della base produttiva. 3 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ Ciò è a Foggia testimoniato dalla minacciata decisione di smantellamento della Lanerossi da parte della Tescon, con la quale è necessario riconsiderare il piano di riconversione: dalla cris i della fabbrica di confezioni IMAR dalla chiusura di piccole imprese e dalle difficoltà di quelle gravitanti nell’area delle attività edilizie ed estrattive dalla liquidazione definitiva della miniera di S. Giovanni Rotondo dal pericolo che sovrasta la Ajnomoto Insud ed altre fabbriche dall’ormai svanita illusione dell’Aeritalia dal ritardo nella costruzione della fabbrica di Motori Diesel (Sofim) dalla crisi della Cartiera e dai problemi connessi al piano delle Ferrovie dal crescere della disoccupazione, dell’inoccupazione, specialmente di giovani diplomati e laureati dal raddoppiato numero di ore di cassa di integrazione e dalla chiusura dei tradizionali sbocchi dell’emigrazione dalla gravissima situazione, esemplificata dalla fabbrica ANIC di Manfredonia: è questo un caso emblematico della condizione delle strutture industriali della provincia, in cui la precarietà degli assetti occupazionali e produttivi si coniuga ad una sostanziale inadeguatezza delle misure indispensabili di difesa dell’ambiente e della salute delle popolazioni. Dopo il fallimento della cosiddetta « strategia » dei poli di sviluppo industriale e turistico e delle integrazioni comunitarie, si pone oggettivamente l’esigenza del rilancio di una visione alternativa dello sviluppo che faccia leva sulla realizzazione del progetto speciale per l’utilizzazione intersettoriale delle acque, degli schemi idrici nelle regioni Puglia e Basilicata e, quindi, sulla irrigazione, sulla trasformazione agraria e sull’industrializzazione del Tavoliere, (bietola, pomodoro, uva, olio, ortofrutta), sul recupero delle terre incolte, sulla forestazione e lo sviluppo della zootecnia, sulla unificazione dei contratti agrari in quello di fitto, sullo sviluppo della cooperazione e dell’associazionismo, nella battaglia per la revisione delle norme comunitarie, per la utilizzazione piena e la valorizzazione delle risorse tutte. Attenzione particolare va posta alla utilizzazione delle risorse proprie del nostro territorio, per una loro maggiore incidenza sullo sviluppo economico della provincia: dal metano alle saline di Margherita di Savoia, dalla pietra di Apricena, alle sorgenti di acque minerali, alla bauxite, ecc. — — — — — — — — — — 4 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE Solo così può profilarsi la possibilità reale di creare rapidamente una grande area attrezzata per uno sviluppo integrato agro-industrialecommerciale-turistico nella seconda grande pianura d’Italia, nella quale sia possibile combinare l’utilizzazione dei semilavorati, dei grandi complessi industriali di base, le risorse umane e materiali della nostra terra, e pervenire a processi di sviluppo indotto, di ricerca di nuove tecnologie, non solo in relazione all’agricoltura, ma anche in direzione di settori trainanti, dando un contributo alla risoluzione dei problemi produttivi nazionali, al superamento del carovita, in una nuova visione non di contrapposizione, ma di riequilibrio dei vari settori economici e del territorio. Questo programma va perseguito unitamente al rilancio della edilizia pubblica, scolastica, abitativa popolare, alla realizzazione di infrastrutture sociali, alla attuazione degli investimenti e delle opere promosse dai governi dopo le forti lotte sindacali, alla valorizzazione dei laghi e allo sviluppo di una moderna produzione ittica, di un turismo di massa. Si deve por mano, inoltre, alla creazione del Terzo centro Universitario pugliese, già sottoposto a delibera del CIPE, — ad un piano di emergenza per l’occupazione giovanile e femminile — al sostegno prioritario, in un preciso quadro di riferimento, delle piccole e medie imprese agricole, industriali, commerciali, artigianali. Nel breve periodo, questo programma può costituire il binario obbligato per il rilancio di una nuova espansione produttiva e per lo sviluppo dell’occupazione, essere quindi un contributo alla rinascita del Mezzogiorno, partendo dall’esperienza reale delle masse popolari e dai loro obiettivi di lotta. Solo così la provincia di Foggia può collegarsi ad un processo di riconversione nazionale dell’apparato produttivo e parteciparvi da protagonista, con una propria peculiare identità. In questa direzione l’amministrazione provinciale dovrà muoversi promuovendo iniziative di lotta, di confronto, di incontro, tra gli EE.LL., i sindacati e le forze politiche e culturali: — stimolando l’iniziativa politica e legislativa della Regione e la redazione di un piano regionale di sviluppo democraticamente definito contribuendo alla creazione di strutture programmatorie comprensoriali, ai piani zonali, ai nuovi indirizzi culturali e alla selezione degli investimenti; 5 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ — battendosi per una applicazione integrale e rapida della legge 183 sui nuovi finanziamenti per il Mezzogiorno, per la loro utilizzazione in modo nuovo, per progetti integrati di sviluppo; — per l’esercizio dei nuovi poteri delle Regioni e degli EE.LL.; — per il superamento della Cassa per il Mezzogiorno. A tal fine va anche considerata l’esigenza di affermare la priorità di nuovi impianti, pur ammodernando quelli preesistenti, e va sottolineato il carattere aggiuntivo e non sostitutivo dei nuovi finanziamenti generali nazionali in ordine a riconversioni produttive, anche in riferimento alle dichiarazioni programmatiche del Governo nazionale. Per quel che riguarda la Programmazione. L’Amministrazione Provinciale deve pianificare i bisogni emergenti ed i mezzi e le risorse reperibili (eliminando drasticamente sprechi e spese inutili) secondo criteri di priorità, di rigore e di razionalità democraticamente definiti. I bilanci devono essere incentrati sulle priorità realizzabili nel corso di un esercizio finanziario. Dato il limite delle risorse potranno configurarsi realizzazioni graduali per stralci di progetti da completare con l’impegno di spesa di più bilanci. In questo caso possono configurarsi bilanci poliennali. I lavori per il bilancio 1977 devono avviarsi immediatamente in modo da garantire un’ampia consultazione e possibilmente, l’approvazione nei termini di legge. Ai fini della pianificazione e della gestione la Provincia dovrà dotarsi di una adeguata attrezzatura tecnico-scientifica e di dati conoscitivi necessari, utilizzando, ristrutturandoli, i suoi uffici tecnici, creando un Ufficio studi che si avvalga anche di collaborazioni esterne con istituti qualificati, borsisti e contrattisti; utilizzando inoltre pienamente le strutture e il personale già esistenti presso la Biblioteca Provinciale e la Scuola Superiore di Sicurezza e Servizio Sociale. Partecipazione. Un fatto costante dell’Amministrazione Provinciale dev’essere la partecipazione, la consultazione, il confronto ed il dibattito con le forze politiche democratiche, cooperative, con le organizzazioni sindacali dei lavoratori, imprenditoriali e settoriali; con il mondo della scuola e con gli operatori sociali e sanitari; con i Comuni, le Comunità montane, i Comprensori, i Consigli di quartiere, di fabbrica e le altre istitu- 6 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE zioni democratiche per arricchire e sollecitare sempre di più la partecipazione popolare alla vita del Consiglio Provinciale. La priorità dei Comprensori. Nel contesto dell’azione per la conquista di un ruolo nuovo della Provincia e di mezzi adeguati, diventa decisiva e prioritaria l’iniziativa per la costituzione (d’intesa con i Comuni interessati, e recependo la spinta in atto delle forze sociali, politiche e sindacali) dei comprensori di pianura, del Basso e dell’Alto Tavoliere. Questi, con le comunità montane del Gargano e del Subappennino meridionale e settentrionale già avviate a vita sia pure stentata, costituiscono gli organi primari di una programmazione articolata che va però coordinata e vista in un disegno di carattere provinciale e regionale. L’azione di promozione, di sostegno e di coordinamento, d’intesa con la regione e con i comuni, deve investire anche la creazione: — — — — dei bacini di traffico; delle unità socio-sanitarie; di una nuova rete commerciale; dei distretti scolastici e delle strutture culturali, operando per la regionalizzazione dei Centri di servizio culturale delegandone la gestione agli EE.LL. e in collegamento con gli organi democratici della scuola, nonché per un potenziamento e una ristrutturazione comprensoriale del Sistema Bibliotecario Provinciale. Per il loro avvio e per il loro pieno funzionamento, ponendo anche a disposizione propri mezzi, uffici, servizi e capacità, la Provincia opererà con l’obiettivo anche di favorire e agevolare il collegamento coi comuni, i comprensori e le comunità montane. Nell’affermarsi di questo « nuovo ruolo », la stessa distinzione tra compiti cosiddetti di istituto e compiti facoltativi può essere positivamente superata. La Provincia, in tal modo, può divenire uno dei protagonisti essenziali per una nuova politica economica e sociale programmata, stimolatrice della partecipazione popolare, animatrice del decentramento culturale e dell’ulteriore crescita civile e sociale delle comunità locali. In questo modo, può avviarsi, nei fatti, un processo di superamento dei suoi compiti tradizionali, settoriali e parcellizzati, per assumerne dei nuovi, esercitando poteri propri e delegati, conquistando e costruendo un suo reale spazio nel sistema delle autonomie, come valido 7 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ Ente intermedio tra Regione e Comuni, con funzioni specifiche a competenza generale oltre che di promozione e di coordinamento, non in concorrenza nè con le prerogative della Regione, nè con quelle lei Comuni. Le deleghe dei poteri regionali, pertanto, come del resto già previsto nell’accordo regionale, dovranno andare esclusivamente agli enti elettivi, in primo luogo ai Comuni, i quali li esercitano direttamente e in forma associata, ed alla Provincia relativamente alle attività li coordinamento, promozione e sostegno tra Comuni, Associazioni consortili, comprensori, comunità montane. Le consulte. Rilevando la particolare importanza della questione femminile e Iella condizione dei giovani, emersa dalla Conferenza sulla occupazione, la Provincia provvederà alla formazione: a) di una Consulta provinciale giovanile che concorra ad affrontare un piano di emergenza per l’occupazione giovanile, con iniziative proprie, raccordate alle determinazioni rivenienti da leggi nazionali previste nel programma di Governo, alle iniziative regionali e degli Enti locali, nonché iniziative rivolte ad interpretare e sostenere le istanze economiche, sociali e culturali delle masse giovanili; b) di una Consulta femminile provinciale come strumento unitario di elaborazione e di stimolo ad affrontare i problemi femminili, sulla base delle richieste unitarie presentate alla Conferenza sull’occupazione dalle Associazioni femminili democratiche, dai movimenti femminili dei partiti dell’arco costituzionale e dalle responsabili femminili della Federazione sindacale in Italia; dalla Commissione provinciale per il lavoro a domicilio secondo la legge nazionale; c) di una Consulta Provinciale per gli Emigrati e le rispettive famiglie, nel quadro delle indicazioni delle conferenze regionale e nazionale. Commissione e rappresentanze. Le Commissioni Consiliari devono essere rapidamente ricostituite con l’attribuzione delle loro presidenze a tutte le forze democratiche antifasciste senza alcuna esclusione. Il loro regolamento deve essere aggiornato per assicurare una migliore funzionalità. Particolare importanza deve essere data, per la complessità delle 8 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE materie e delle situazioni, alle Commissioni per il Personale, per la Programmazione e l’assetto del territorio, socio-sanitaria e per la Scuola. Devono essere nominati con estrema sollecitudine tutti i rappresentanti della Provincia in altri Enti e devono essere equamente assicurati i diritti di rappresentanza e di partecipazione a tutte le forze politiche che hanno sottoscritto il documento generale di intesa politica dell’11-9-1976, indipendentemente dalle loro scelte nei vari organi, enti ed aziende, di derivazione, totale o parziale della provincia. Collegialità e rigore amministrativo. Va affermata la collegialità nelle scelte, nelle decisioni, nella esecuzione e nei controlli della Giunta e degli altri organismi operanti nell’Amministrazione Provinciale impedendo parcellizzazioni, lottizzazioni, lassismi e comunque condotte unilaterali. Deve essere intrapresa subito una ferma azione per la compilazione e l’approvazione dei consuntivi, inesistenti dal 1972. La nuova Giunta studierà e deciderà la organizzazione degli assessorati per branche di interventi (dipartimenti). Va redatto un inventano dei beni della Provincia e iniziata una azione di recupero degli immobili attualmente abbandonati o male utilizzati per destinarli a fini economici e sociali. Legge 382 e deleghe. E’ essenziale a tal fine che venga eliminato ogni ulteriore ritardo da parte del Governo nell’espletamento di tutti gli adempimenti relativi alla applicazione della legge 382 per il completamento del passaggio alle Regioni ed agli EE.LL. delle funzioni previste dalla Costituzione. In tal senso la Provincia, anche attraverso l’Unione regionale delle province pugliesi, interverrà attivamente e si farà promotrice di tutte quelle iniziative utili ad assicurare la più ampia consultazione delle province e dei comuni. La Provincia contribuirà in questo quadro alla piena attuazione del passaggio delle deleghe agli EE.LL. Legge comunale e provinciale. La Provincia si batterà per l’abrogazione del Testo unico della Legge comunale e provinciale, perché sia Sostituito con una legge 9 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ quadro di principi per un nuovo ordinamento delle autonomie, onde adeguare compiti e funzioni degli EE.LL. alla nuova realtà politicoistituzionale. Finanza. Ha ormai assunto i caratteri di una autentica « emergenza nazionale » la situazione finanziaria degli EE.LL. I perversi meccanismi — frutto di ritardi legislativi e di resistenze centralistiche — che l’hanno determinata e che ora rischiano di compromettere l’intera finanza pubblica, coinvolgendo in una crisi gravissima il complesso delle istituzioni democratiche, vanno bloccati e rimossi senza ulteriori indugi. E’ questo il messaggio democratico, ma consapevole, che è venuto anche recentemente al Convegno dell’ANCI di Viareggio sui problemi della finanza locale, ai cui esiti l’Amministrazione Provinciale di Capitanata intende ispirare la propria azione, per poter concretamente rispondere alla crescente domanda di servizi sociali e civili prioritari ed seprimere appieno le proprie potenzialità democratiche concretamente realizzatrici. L’Amministrazione provinciale, pertanto, si batterà per una riforma della finanza locale che, in una concezione unitaria della finanza pubblica, e sulla base di una partecipazione democratica degli Enti locali e delle Regioni al reperimento delle risorse, tenda ad offrire basi di certezza di risorse agli Enti Locali, perché essi possano concretamente fondare su esse i propri programmi di ristrutturazione. Un risanamento della finanza locale, infatti, autenticamente demo cratico, postula iniziative di orientamento politico e di legge, volte ad affermare scelte di fondo che poggino su: a) una rigida politica di selezione degli obiettivi di intervento pubblico e della spesa relativa. b) una politica programmata e partecipata delle entrate c) una razionale utilizzazione del credito, quale elemento che governa il risanamento. Vanno perciò coerentemente definiti e realizzati piani per la ristrutturazione e riorganizzazione dei servizi. Nell’immediato — come misure di emergenza — la Provincia si batterà con gli altri Enti Locali (UPI-ANCI) per pervenire ad un « consolidamento » dei mutui, onde impedire il perdurare di meccanismi 10 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE di progressione geometrica dell’indebitamento; si dovrà giungere ad una partecipazione degli Enti locali all’accertamento ed all’istruttoria del processo fiscale, nonché a meccanismi di perequamento (trasferimenti, contributi, crediti agevolati) per quelle aree del Paese caratterizzate da livelli di particolare depressione economica e sociale, e, infine, ad un riequilibrio tra Stato ed Enti Locali della ripartizione delle entrate. UN NUOVO MODO DI UTILIZZARE ANCHE ISTITUTI E STRUTTURE ESISTENTI Scuola e Cultura. La Provincia deve, di concerto con i comuni, le comunità ed i comprensori dare un piano per il coordinamento della programmazione scolastica e culturale, assumere come punto di riferimento il sistema scolastico e il sistema bibliotecario provinciale. Il fine è l’esercizio reale del diritto allo studio, — lo sviluppo della preparazione professionale, — la riqualificazione della funzione della scuola e il suo raccordo con il problema dell’occupazione e delle esigenze di sviluppo economico e sociale, — la riqualificazione del lavoro dell’insegnante e degli operatori impegnati in tutte le strutture culturali della Provincia, migliorando la loro professionalità, — lo sviluppo della sperimentazione e della ricerca, — una educazione permanente dei lavoratori, dei giovani e delle ragazze. Gli strumenti: — lo sviluppo dell’edilizia scolastica, di strutture culturali polivalenti: dei corsi delle 150 ore, delle mense, dei laboratori, delle biblioteche; così da trasformarli in un sistema socio-culturale unitario aperto a tutti i tipi di istruzione e opportunamente collegato con il programma di altri settori (trasporti, centri di servizi sociali della Provincia e dei Comuni, ecc.). Particolare rilievo, in questo quadro, — per la realizzazione dei fini sopraccennati — assumono la Biblioteca Provinciale ed il Sistema 11 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ bibliotecario provinciale per il loro radicamento nella realtà del territorio e per la loro obiettiva e già validamente sperimentata capacità di costituirsi come punti di riferimento e di raccordo per una nuova politica culturale, che organicamente riesca a collegarsi con le potenzialità già espresse e soprattutto con quelle da promuovere a livello delle altre strutture culturali, istituzionali ed associative. Per altro verso, la Biblioteca Provinciale, per la sua dotazione libraria e tecnica, per i programmi di sviluppo già in via di attuazione in sede catalografica e di automazione, potrà essere considerata una valida infrastruttura di elaborazione scientifica nella battaglia che la Provincia concorrerà a condurre per la riforma della scuola e dell’università. In quest’ambito, l’azione per l’istituzione del Terzo Centro universitario pugliese, già sottoposto al parere del CIPE, deve conseguire un obiettivo immediato, in attuazione della scelta unitaria regionale. L’università dovrà rispondere: — all’esigenza di promuovere la ricerca scientifica e la formazione di nuovi quadri, sì da rovesciare il ruolo subalterno della provincia e della città, invertendo le tendenze attuali nello sviluppo sociale e universitario pugliese e meridionale e volgendolo verso un nuovo tipo di sviluppo, sollecitato dalle lotte unitarie delle masse popolari; — ad un carattere moderno delle strutture universitarie, quali il « dipartimento », che organizzi e coordini uno o più settori di ricerca e di insegnamento aventi finalità e caratteristiche comuni. A tal fine va aggiornata e funzionalizzata l’indagine scolastica. L’Amministrazione provinciale stimolerà, infine, una politica culturale decentrata, democratica e antifascista, che dia una risposta adeguata e moderna alla domanda culturale che viene dalle grandi masse popolari e giovanili e che salvaguardi e valorizzi il patrimonio artistico, dei beni culturali e ambientali (archeologici, monumentali, museologici, paesaggistici e speleologici) esistenti in provincia. Sanità - Assistenza - Servizi sociali. Per l’accentuarsi del bisogno di allargare il campo della prevenzione, si evidenzia sempre più una commistione tra le diverse branche di attività, in particolare per quelle affezioni che, una volta sviluppate, fanno del soggetto un assistito dell’Ente, in una provincia nella quale mancano istituti a gestione diretta. La prevenzione è diventata un’esigenza inderogabile, ai fini della 12 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE tutela della salute e, nei tempi lunghi, per un razionale impegno della spesa. Per superare l’attuale spreco disordinato di risorse e rendere efficienti i servizi, è necessario concentrare l’iniziativa della Provincia nell’attuazione di un modo nuovo di concepire l’assistenza e l’intervento sanitario. I servizi psichiatrici, per esempio, non possono più essere considerati un corpo separato e segregante del mondo sanitario e della sicurezza sociale. Il problema va risolto definitivamente — nell’ambito di una riforma unitaria e globale del nostro ordinamento sociale e sanitario — superando, sia pure gradualmente, l’istituto « manicomiale », sviluppando servizi modernamente organizzati nel territorio o in « gruppi di famiglia », ecc., collegati alle altre iniziative sanitarie, soprattutto di medicina preventiva, alle unità sanitarie locali e ai consorzi Sociosanitari. A tal uopo, dovrà essere potenziato e qualificato il Centro di Igiene Mentale, con ramificazione di una rete dispensariale, con la costituzione di istituti psico-pedagogici, laboratori protetti, ecc. Il problema dei cosiddetti « malati di mente », nell’accezione più vasta, è una piaga sociale che va combattuta da tutta la collettività, eliminandone le cause (disgregazione sociale, « stress » nelle fabbriche e nei posti di lavoro, emigrazione, denutrizione) e operando per un inserimento attivo di questi soggetti nel tessuto sociale e produttivo. Analogo orientamento deve presiedere al superamento di altre istituzioni, come brefotrofi, orfanotrofi, scuola differenziale, gerontocomi, istituti per handicappati ecc.; devono essere potenziati, infine, in modo programmato, i presidi sanitari, i consultori e ristrutturata la scuola per subnormali, ecc. La Provincia realizzerà iniziative tese alla deistituzionalizzazione e alla revisione della convenzione con l’ospedale psichiatrico ed alla riqualificazione, in modo adeguato, dell’assegno per cure a domicilio degli assistiti. La Provincia si farà promotrice di una conferenza provinciale di sanità, che affronti i problemi relativi alla realizzazione della riforma sanitaria e alla istituzione del servizio sanitario nazionale in rapporto alla situazione generale della Provincia di Foggia, in modo da prospettare alla Regione le indicazioni e le conclusioni alle quali giungeranno gli EE.LL., gli utenti, le forze sindacali e professionali interessate, nel quadro della programmazione sanitaria regionale. In questo ambito affronterà il problema della costituzione dei con- 13 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ sorzi socio-sanitari e promuoverà la unificazione delle strutture ospedaliere del capoluogo. Un indispensabile ruolo, nella formazione del personale da utilizzare quali operatori sociali sul territorio, va assegnato, attraverso una adeguata ristrutturazione dei programmi e della gestione complessiva, alla Scuola superiore di Sicurezza e di Servizio Sociale, tenendo presenti i bisogni effettivi della comunità e la destinazione occupazionale degli operatori stessi. La Provincia dovrà intervenire, utilizzando pienamente le attrezzature del Laboratorio di Igiene e Profilassi e sviluppandone le potenzialità, in collaborazione con la Regione, la Magistratura e con l’Istituto Superiore di Sanità, contro l’inquinamento delle acque e dei fiumi, dei laghi, del mare e dell’atmosfera, contro l’avvelenamento di ampie zone di territorio, contro le frodi alimentari e le sofisticazioni, contro la nocività dell’ambiente di lavoro, ecc. In questo senso è necessario operare per un nuovo equilibrio ecologico nella produzione e riproduzione della fauna, promuovendo la realizzazione di parchi, di zone di ripopolamento e coltura, di oasi di protezione e rifugio, e potenziando le attrezzature per una incubazione ittica, per favorire, tra l’altro, migliori condizioni per la caccia e la pesca. A tale proposito, la Provincia si adopererà per ridurre ed eliminare il riservismo privato e per una nuova e democratica regolamentazione ditali attività. L’esistente Laboratorio di analisi dei terreni, inoltre, va restituito ad una piena funzionalità operativa. Sul piano della tutela sanitaria la Provincia dovrà intervenire per la prevenzione delle malattie sociali e di quelle infettive, garantendo al LIP strumenti moderni e possibilità di qualificazione che consentano l’uso di metodologie di intervento sempre più adeguate alle necessità. Inoltre dovrà essere fortemente sostenuta e potenziata l’iniziativa a favore dei Comuni, promuovendo anche appositi consorzi per dotare le comunità locali di depuratori, inceneritori e di un approvigionamento idrico sicuro sotto il profilo igienico. Agricoltura. La ripresa dell’agricoltura, lo sviluppo dell’impresa coltivatrice singola ed associata, un nuovo rapporto tra agricoltura, industria e 14 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE mercato sono la condizione essenziale per uscire dalla crisi, per avviare un diverso ed equilibrato sviluppo economico, per un’efficace lotta al carovita, per la salvaguardia e il riassetto del territorio. Un contributo decisivo per l’affermazione di tale linea, tesa ad allargare le basi produttive agricole, può e deve venire dalla Regione e dagli EE.LL.; in questo senso la Provincia interverrà per la promozione ed il sostegno dell’associazionismo contadino, nella fase della produzione e trasformazione, commercializzazione e distribuzione dei prodotti agricoli, con particolare riguardo ai problemi dello sviluppo della zootecnia. La Provincia, inoltre, opererà per la piena utilizzazione delle terre incolte e mal coltivate, in particolare di quelle comunali e di uso civico e di altri enti pubblici. E’ necessario, altresì, che la Provincia intervenga a sostegno ed in aiuto delle Comunità montane, per facilitarne il ruolo e l’iniziativa. Accanto a questa gamma di interventi, si dovrà operare, in collaborazione con la Regione e con gli altri strumenti di intervento pubblico in agricoltura, per il riassetto idrogeologico, in via prioritaria, per un’indagine geologica del Subappennino e del Gargano, con legge regionale, per la forestazione, per il completamento dell’elettrificazione rurale, utilizzando i progetti già elaborati a tale proposito, per lo sviluppo di una rete di servizi civili e sociali essenziali nelle zone agricole e nelle borgate. Sulla base degli orientamenti generali posti per un nuovo tipo di sviluppo, per i comprensori e le Comunità montane e per iniziative adeguate a realizzarli, si porrà particolare impegno a mobilitare, in collaborazione con la Regione ed i suoi strumenti di intervento, i Centri sperimentali e gli Enti interessati predisponendo tutte le misure necessarie: — per i piani di zona, di Comprensori e delle Comunità Montane; — per rendere operante l’esistente centro di analisi dei terreni; — per concorrere a strutture per le indagini di mercato e degli indirizzi colturali; — per concorrere alla sistemazione della viabilità minore; promu ovendo iniziative unitarie per i provvedimenti per i danni da calamità. Lavori pubblici e strade. La Provincia si darà un piano per la razionalizzazione, riclassificazione e redistribuzione della rete viaria, (già oggi di 2400 Km.), con 15 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ rigorosi criteri e priorità, che evitino casualità ed episodicità degli interventi, o peggio, criteri di opportunità clientelare e di collegio, affrontando gradualmente anche la sistemazione delle strade dissestate, rilevate dal Consorzio di Bonifica, previa valutazione della loro reale utilità economica e sociale, o aprendo nuove strade in rapporto ai mezzi reperibili. La pianificazione deve avvenire in rapporto alle ipotesi di sviluppo, alla dinamica della organizzazione del territorio, delle nuove aggregazioni e delle esigenze collettive. Al fine di un razionale utilizzo dei limitati fondi disponibili, l’Ente dovrà dotarsi di adeguate attrezzature meccaniche per l’ordinaria manutenzione, provvedendo a ristrutturare il funzionamento del servizio dei cantonieri e dell’Ufficio tecnico. Trasporti La Provincia di Foggia, per la sua posizione geografica e per le sue caratteristiche territoriali morfologiche e dimensionali, è sede di intensi traffici ferroviari, stradali e marittimi, ed anche aerei, sia pure in assenza di centri propri di irradiazione (aeroporti). L’Amministrazione provinciale è impegnata alla razionalizzazione del sistema dei trasporti che si inserisce in tali traffici, finalizzandolo alle effettive esigenze attuali e future di mobilità degli utenti e delle merci, anche in funzione dello sviluppo economico e degli insediamenti nel territorio di natura agricola, industriale, turistica, scolastica, sanitaria, ecc. In generale si tratterà di intervenire per adeguarne il funzionamento dei servizi e per il potenziamento e la dotazione di più adeguate strutture ed infrastrutture ferroviarie, stradali, marittime e aeroportuali. Per quanto attiene, in particolare, ai trasporti su strada, si renderà indispensabile ed urgente provvedere ad estendere la gestione pubblica dei trasporti all’intero territorio della provincia, eventualmente mediante la costituzione di un’Azienda provinciale di trasporti. Turismo e tempo libero. L’Amministrazione Provinciale opererà per salvaguardare e restituire ai cittadini le località balneari, lacustri e turistiche, anche al fine di una piena e democratica riappropriazione del patrimonio monumentale, artistico e storico esistente in Capitanata. La stessa realizzazione 16 _____________________________________________________________________LINEE PROGRAMMATICHE di attrezzature sportive e per il tempo libero, nonché la valorizzazione delle tradizioni culturali popolari devono essere incoraggiate e stimolate d’intesa con gli EE.LL. e le organizzazioni sportive, ricreative di massa e culturali. Personale. Il personale deve essere sempre più partecipe del grande compito di adeguare la Provincia alle nuove esigenze delle masse popolari e delle Comunità locali, e quindi di rinnovarne la funzione e le strutture. Questo disegno, infatti, può difficilmente essere attuato senza l’apporto convinto dell’insieme dei lavoratori operanti a tutti i livelli nell’Amministrazione Provinciale. Ciò comporta il superamento di ogni elemento di autoritarismo e paternalismo, di ogni avvilente pratica clientelare e corporativa, concorsi seri nelle assunzioni, e richiede una ampia e consapevole corresponsabilizzazione del personale alle scelte ed alle realizzazioni dell’Amministrazione. Soltanto così i lavoratori dell’Amministrazione Provinciale potranno contribuire ad eliminare ogni forma di inefficienza e potranno esercitare con rinnovato impegno un proprio autonomo ruolo, realizzando — come tutti i cittadini la loro aspirazione a contare ed a cambiare. Anche a tal fine, vanno ristrutturati gli stessi uffici e i servizi provinciali, riqualificando il personale ed utilizzandolo per settori di intervento, sulla base di una partecipazione attiva e corresponsabile, fondandosi sul criterio del dipartimento e del lavoro d’ « équipe », come già avviene nelle più avanzate esperienze amministrative del nostro Paese. In questo spirito, si cercheranno le nuove forme necessarie ad una più ampia collaborazione con i sindacati., non solo dei dipendenti dell’Ente Provincia, ma con i sindacati generali. Le forze politiche che si riconoscono nel programma e nell’intesa politico-istituzionale che, esse ritengono, è ancora aperta alla adesione ed ai contributi della D.C., esprimono infine la volontà che questo loro sforzo costruttivo e democratico contribuisca a dare una reale soddisfazione alle pressanti domande che vengono dalle popolazioni di Capitanata. Con altre parole, ancora più esplicite e chiare, non riteniamo chiuso il discorso dell’intesa più ampia, di una intesa, cioè, rivolta a tutte le forze democratiche, non solo per quanto concerne queste linee pro- 17 LINEE PROGRAMMATICHE_____________________________________________________________________ grammatiche (che, del resto, presentiamo con la massima modestia ed alla ricerca di contributi di idee, di proposte di modifica, cioè, di una partecipazione effettiva e concreta). Oltre che all’intero Consiglio Provinciale, questo nostro invito è rivolto in particolare, nei confronti delle forze politiche dell’arco costituzionale, firmatarie del documento di intesa dell’11 di settembre; così che, qualora la D.C. si dichiari pronta a far parte, in modo organico, della Giunta e ad assumere responsabilità dirette, anche solo nell’ambito della maggioranza, non troverà certamente ostacoli nei nostri tre partiti, nonché nel partito repubblicano e nel partito liberale, che hanno entrambi aderito alle nostre proposte programmatiche. Sono queste le posizioni che noi presentiamo, con la massima modestia e con l’atteggiamento aperto di chi richiede sempre nuovi apporti e contributi. Mentre non poniamo, quindi, pregiudiziali di sorta, che anzi sempre rifiutiamo, ci auguriamo una discussione proficua, che possa mettere in condizione anche la nostra Provincia di realizzare ciò che in tanti Enti locali, Regioni e Province e Comuni d’Italia si è già realizzato. Le difficoltà del momento politico ed economico, la grave situazione economica e sociale, non consentono più di dare speciose distinzioni o di rifiutare apporti seri e costruttivi. Sono certo che se il partito della Democrazia Cristiana avesse partecipato in modo pieno ai nostri lavori non sarebbero mancati contributi di idee alle linee di questo programma, che l’apporto di una forza politica popolare di così lunga esperienza avrebbe certamente reso più rappresentativo. Ci auguriamo che questo avvenga nel corso del dibattito che certamente avrà luogo tra tutte le forze politiche democratiche. 18 DISCORSO DEL PRESIDENTE E PROGRAMMA DELLA GIUNTA Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, questa Assemblea si è appena espressa per la costituzione dei suoi organi esecutivi, chiamandomi all’ufficio di Presidente della Giunta Provinciale. Nel dichiarare di accettare, con deferente rispetto, questa indicazione democraticamente espressiva di una scelta politica promanante dalla volontà popolare, è mio intendimento rivolgere un saluto a questo consesso, nonché a tutte le Autorità, a tutte le forze e rappresentanze politiche, sindacali e sociali, ai rappresentanti della stampa, che sono e si riconoscono come strutture portanti dello stato democratico, in tutte le sue articolazioni e in tutti i suoi livelli partecipativi previsti dalla Costituzione repubblicana ed antifascista. E’ quest’ultima una caratterizzazione non formale, che è permanentemente avvertita come esigenza culturale ed ideale, e di azione democratica concreta da chiunque, e specialmente da chi accingendosi ad occuparsi dell’amminis trazione della cosa pubblica non può non richiamarsi alla matrice democratica e popolare dello Stato repubblicano, nato dalle lotte e dalle conquiste della Resistenza. E’ in quelle battaglie ancora una volta, che noi tutti, così come, in quelle lotte altrettanto nobili e vigorose dei lavoratori italiani e della nostra Provincia, al fianco dei quali siamo stati e continuiamo fermamente ad essere, da noi dobbiamo saper riconoscere la matrice e il fondamento primario della nostra prassi; sono queste lotte, infatti, che oggi consentono attraverso la dinamica rappresentativa, di esprimere il senso ed i valori allorché noi tutti ci accingiamo a tentarne concreta e democratica realizzazione. Il nostro compito non è facile, anche se è con coraggio e con non immotivata fiducia che intendiamo affrontarlo. Assistiamo, per contro, ad un salto di gravità della situazione economica e finanziaria del nostro Paese, che ha assunto dimensioni ed aspetti tali, da renderla qualitativamente diversa. I guasti si sono ingigantiti, i nodi da sciogliere per invertire la rotta e risalire la china si sono ulteriormente intricati. Di qui la necessità di impegni non solo 19 FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________ maggiori ma anche qualitativamente diversi da parte degli Enti Locali, oltre che del Governo centrale. Non ritengo retorico affermare che la crisi dell’economia italiana e della pubblica Amministrazione è così profonda che, ove non adeguatamente affrontata, rischia di condurci in vie senza ritorno e di travolgere, con il dilagare selvaggio della inflazione e della disoccupazione, le stesse istituzioni democratiche. Al centro dell’attività dei pubblici poteri si pongono come decisivi i problemi degli investimenti, dell’occupazione, della lotta all’inflazione. Ne deriva la necessità di una progressiva riduzione dei disavanzi pubblici, attraverso un contenimento selettivo della spesa corrente ed al tempo stesso un accrescimento delle entrate mediante una politica fiscale rivolta a colpire le evasioni; un contenimento dei consumi superflui attraverso una ristrutturazione interna a vantaggio dei consumi sociali; investimenti selettivi in direzione degli obiettivi prioritari per la ripresa economica e per le strutture civili e sociali che più direttamente si connettono alla ripresa produttiva: riconversione industriale, Mezzogiorno, piano agricolo-alimentare, rilancio dell’edilizia (abitativa, scolastica, sanitaria), trasporti. Il ruolo degli Enti Locali e delle Regioni per il raggiungimento di questi obiettivi che stanno di fronte al Paese è quindi fondamentale. a questi obiettivi che dobbiamo rapportare anche la nostra azione di amministratori della Capitanata.Come, infatti, gli organi nazionali, secondo una intenzione manifestata anche dall’attuale governo, che ci auguriamo sia rispettata, devono saper «governare insieme con le regioni e gli enti locali ». E', infatti, dal salto di qualità della loro iniziativa che dipende anche il successo della lotta autonomistica in relazione agli spazi che si sono aperti in questa nuova fase per il rinnovamento democratico e decentrato dello Stato, che trae indubbio vigore dalla decisa spinta in avanti segnata la risultato elettorale del 20 giugno. Questo risultato — (nel registrare significativamente, a livello nazionale e nella nostra Provincia, profonde modifiche sui rapporti di forze tra i partiti) — ha espresso « l’ansia di rinnovamento delle nostre popolazioni, diretta a conseguire un decisivo sviluppo economicosociale della nostra provincia, al fine di fronteggiare in modo nuovo ed unitario la drammaticità della situazione ». Così si esprimeva, recentemente, un importante documento di intesa politica, sottoscritto da tutte le componenti dell’arco costituzionale, auspicando che « la tensione delle forze politiche », fosse « rivolta alla soluzione dei problemi 20 _____________________________________DISCORSO DEL PRESIDENTE E PROGRAMMA DELLA GIUNTA fondamentali e prioritari » della nostra provincia, « attraverso un’azione coordinata dei partiti democratici a livello di Enti Locali, riconoscendo alle autonomie locali la funzione progressiva ad esse assegnata dalla Costituzione repubblicana ». Non a caso ho richiamato queste significative espressioni di consapevole volontà politica, che deve essere l’indispensabile riferimento della nostra capacità trasformatrice, di fronte alla pesante condizione economica e sociale della Capitanata e, soprattutto, di fronte alla gravità del drammatico evento che ha recentemente colpito le nostre popolazioni. A Manfredonia non sono stati colpiti soltanto i coraggiosi lavoratori di quella città, nella salute ancor prima che nella loro condizione economica e sociale, ma è stata profondamente ferita nella sua ricchezza umana e nelle sue strutture produttive l’intera comunità provinciale, esprimentesi in questo consesso, che oggi avverte urgente il bisogno non solo di testimoniare la propria solidarietà morale e civile, ma soprattutto l’impegno serio e responsabile di intervenire concretamente e costruttivamente in favore di quelle popolazioni. Si è data, peraltro, qui, un’altra occasione di verifica dell’insostituibile ruolo che va riconosciuto agli EE.LL. nell’affrontare, anche al di fuori di eccezionali circostanze che colpiscono gli uomini e l’ambiente, i problemi che da sempre sono nella realtà quotidiana: le ansie dei nostri contadini, la depressione delle donne emarginate, le delusioni dei nostri operai, il dramma dei nostri disoccupati e degli emigrati della nostra Provincia, quello dei nostri giovani laureati e diplomati che la ricerca di un posto di lavoro costringe spesso a transigere con le loro libere intelligenze e le loro coscienze, le ansie di chi aspetta una casa e vive in quartieri di ghetto, la delusione di chi rivendica un trattamento sanitario ed ospedaliero pubblico efficiente, le aspettative di chi Rivendica un trattamento sanitario ed ospedaliero pubblico efficiente, le aspettative di chi auspica una qualità migliore della vita e condizioni lavorative più sicure, le difficoltà dei nostri studenti, le ansie dei loro genitori ed educatori. Sono problemi, questi, che richiedono « un nuovo metodo di governo, fondato sulla partecipazione popolare e sui criteri nuovi di gestione della cosa pubblica », in presenza di una limitata capacità finanziaria degli EE. LL.. Occorre garantire indirizzi e condotte politiche che per rigore morale, obiettività ed efficienza, rispondano alle attese delle popolazioni e agli interessi della democrazia, « al di fuori di logiche clientelari e discriminatrici ». 21 FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________ Ma soprattutto, a fronte di una così ampia dimensione dei bisogni e di aspettative, non valgono argomentazioni (e talora sofismi) miranti ad accorciare il respiro del dibattito e dell’azione politica amministrativa, appiattendone la dialettica, veramente democratica e pluralista, con pregiudiziali residue ed anguste ripartizioni di ruoli, e costringendo, in tal modo, entro spazi insufficienti la risposta da dare ai problemi di una corretta interpretazione delle regole sostanziali dell’autentica vita democratica. Quelle regole vanno radicate, infatti, nella concreta domanda della società civile e nei suoi impulsi verso una politica di intese democratiche che sappiano tradurre a livelli di governo, i momenti unitari e oggettivamente collegati delle aspirazioni sociali e dei bisogni di rinnovamento delle masse lavoratrici. Queste — dopo quanto di nuovo e positivo si è già dato nei fatti, attraverso incontri, e convergenze, sulla prassi politica e nella esperienza recente, a livello nazionale e locale — non tollerano il permanere di vecchie pregiudiziali, sia pure in forma parziale, che, come è nella cosiddetta « politica del confronto » inducono elementi di indebolimento e non certo di potenziamento del quadro politico complessivo. La democrazia, insomma, consentitemi di dirlo, non vive sulla distinzione dei ruoli. Non si tratta di negare il garantis mo ma, al contrario, di estenderlo e potenziarlo, in una autentica concezione pluralistica che lo riempia di contenuti effettivi. Valgono ancora oggi le parole di Togliatti, pronunciate in uno dei discorsi alla Costituente del 1947: « E’ democratica soltanto quella maggioranza che corrisponde alla maggioranza che esiste nel Paese, a quel blocco di forze, unito attorno a comuni aspirazioni e rivendicazioni, a comuni necessità politiche ed economiche, che esiste nella realtà della nostra vita nazionale di oggi ». Era il radicamento, questo — in una più corposa dimensione sociale — della migliore tradizione democratica, che già con Rousseau si sforzava di conciliare dialetticamente la « volontà di tutti » con la « volontà generale » ricordando come la maggioranza necessaria dovesse es sere tanto più vicina all’unanimità quanto più grave fosse la deliberazione da prendere. Tali sono, appunto, le decisioni che la Capitanata oggi ci richiede. Ad essa vanno assicurate delle certezze di carattere politico, economico, finanziario ed istituzionale. Anche tenendo il debito conto della situazione nuova determinatasi a livello nazionale, più ampi si aprono gli spazi all’iniziativa ed all’azione autonomista che è oggi propria della maggior parte delle 22 _____________________________________DISCORSO DEL PRESIDENTE E PROGRAMMA DELLA GIUNTA Province e degli EE. LL. del Paese, e sarà anche della Capitanata, per spingere decisamente avanti il processo di riforma dello Stato su basi decentrate e democratiche. Non sarà possibile, superare, ad esempio il grave dissesto della finanza locale, non sarà sufficiente richiedere l’attuazione della nuova legge 183 per l’intervento nel Mezzogiorno, se contemporaneamente non si assumeranno provvedimenti che incidano sul sistema di organizzazione del potere sviluppando la vita democratica e la partecipazione, e riconoscendo agli enti adeguate flessibilità autoorganizzative, anche a fini associativi e aggregativi. Bisogna insomma anche per tal via, che le istituzioni democratiche e, con esse l’Ente Provincia, conservino intatta la loro credibilità democratica: è necessario, quindi, un confronto permanente tra le forze politiche e le componenti sociali; è indispensabile un coinvolgimento di sempre più larghi strati delle popolazioni al fine di renderle non solo consapevoli della drammaticità della situazione, ma per richiedere loro un contributo critico, attivo, per la individuazione delle soluzioni migliori. Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, l’esposizione delle linee programmatiche ispiratrici della Giunta che va a costituirsi rende inutile una mia ulteriore esplicitazione delle scelte politiche che essa intende compiere. Mi sia qui consentito invece rivolgere un fraterno saluto a tutti coloro che hanno contribuito alla nascita di questa coalizione, ampia e democratica, che ha lodevolmente voluto assumere il compito di dare un governo alle generose popolazioni della Capitanata, alle quali, nel momento di avvio dell’opera di accoglimento delle loro attese va il mio auspicio più fervido. Un saluto vada inoltre al personale dell’Amministrazione provinciale di Foggia ed ai suoi organismi sindacali cui rivolgo un invito cordiale ad una compartecipazione sentita alle scelte della Giunta, che — posso senz’altro affermare —, sarà loro franca interlocutrice. Ai colleghi, infine, di questa, così come della passata Amministrazione, vada il mio augurio di buon lavoro e la mia esortazione ad una franca e democratica collaborazione, uniti tutti, come siamo, da una comune fede sulle regole della vita democratica e dalla consapevolezza di dover contribuire pur nei limiti del loro mandato, ad uno sforzo di creazione culturale, nel generale compito, che oggi ci è di fronte, di concorrere alla elaborazione di un modello di civiltà, del quale, a tutt’oggi, si avvertono solo gli embrioni nelle nostre comunità, nel 23 FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________ complesso generale, inteso, ma vitale travaglio della società italiana. Nessuna concessione, quindi, ad atteggiamento di sfiducia, ché anzi, — mi piace dirlo con le parole del Presidente della Camera dei Deputati, compagno Pietro Ingrao: « Il nostro è un popolo forte, maturo, che può affrontare le prove e i sacrifici necessari e sa darsi una giusta e responsabile autodisciplina, a condizione di essere sempre più chiamato a conoscere, a partecipare, a controllare ». Sentiamoci impegnati, dunque, con fiducia a contribuire alla costruzione di un nuovo, originale modello di vita, di una nuova armonia e completezza della civiltà, che abbia al centro della sua ragion d’essere il rispetto per la natura dell’uomo, in quanto tale, non meno che per i suoi bisogni, per le sue aspirazioni, per i suoi valori di cittadino. A VV. FRANCESCO KUNTZE Pres. Amministrazione Prov. Capitanata 24 PIANO REGOLATORE TERRITORIALE RELAZIONE ECONOMICA I - PREMESSA . 1. La decisione del CIPE, in data 22 settembre 1972, di ubicare nella provincia di Foggia un impianto industriale di tipo aeronautico e i conseguenti esami da parte dei tecnici della società (Aeritalia) conclusisi con la scelta del sito nei pressi dell’aeroporto militare di Amendola (Manfredonia) consentono di conferire un carattere operativo al modello descrittivo-interpretativo dell’assetto territoriale dell’intera provincia di Foggia, contenuto nell’ultima parte dell’ipotesi di sviluppo socio-economico del Piano regolatore dell’A.S.I. La caratterizzazione in senso operativo del modello descrittivointerpretativo consiste in una somma di indicazioni normative, desunte dalla combinazione dei principali risultati dell’analisi delle strutture territoriali con la previsione degli effetti della suddetta decisione del CIPE. Trattasi di un insediamento industriale che, per il volume occupazionale, conferisce al programma di industrializzazione dell’A.S.I. di Foggia un contenuto tale che risulta più agevole la specificazione in senso operativo del modello di assetto territoriale. Un modello decisionale di assetto del territorio non può confondersi con le scelte effettive, in quanto è pur sempre un’espressione di carattere teorico, tale che nell’astrattezza e nella generalità della sua formulazione non può considerare le singole difficoltà e gli ostacoli, particolari, che la volontà dell’operatore, sia pubblico che privato, deve superare in fase di realizzazione del suo progetto. Ma il modello decisionale o normativo non può prescindere da un modello di carattere descrittivo-interpretativo dello stato di fatto esistente nel territorio oggetto di pianificazione, sicché occorre meglio precisare la natura e la forma del collegamento tra questi due modelli teorici, le cui risultanze possono illuminare e guidare le scelte concrete. 2. Il modello descrittivo-interpretativo non può, per sua natura, andare al di là dei dati di fatto. Esso si limita a raccogliere la massa di informazioni e di statistiche, selezionarle in modo da racchiuderle in 25 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ un quadro ordinato, capace di riassumere in poche notazioni le modalità della distribuzione sul territorio dell’attività economica. Un modello descrittivo ha necessariamente la funzione di sintesi, e la sintesi richiede un processo selettivo delle informazioni delle statistiche. Volendo integrare la mera descrizione con l’interpretazione del dato di fatto, bisogna cercare di cogliere i nessi di carattere funzionale, se non proprio di carattere causale, che intercorrono tra le grandezze selezionate nel modello descrittivo; scoprire le leggi empiriche presenti nella realtà in esame. La costruzione del nostro modello interpretativo si fonda su un certo numero di indizi, misurati alcuni con riferimento alla data di rilevazione ( « ad oggi » per intenderci) ed altri con riferimento a diverse date del passato. E’ chiaro che, sulla base di simili indici, è possibile descrivere lo stato attuale e individuare le linee di tendenza, che — con le opportune estrapolazioni — formano oggetto di un modello previsionale. Ma i contenuti di un simile modello possono trasferirsi in un documento programmatico a condizione che si attribuisca alla pianificazione dello sviluppo la mera funzione di prevedere e normalizzare le tendenze, che sono già in atto nell’evoluzione del sistema economico. Un simile metodo è stato largamente usato nella recente esperienza della programmazione a livello sia nazionale che locale, ma gli stessi risultati di questa esperienza hanno suggerito l’opportunità di adottare l’impostazione e metodologia differenti. La pianificazione non è una mera estrapolazione delle tendenze ricavate dall’osservazione e dall’analisi delle vicende passate ma richiede la costruzione di un modello normativo desunto da un quadro di valori, di finalità, di obiettivi, che spesso non coincidono con il meccanismo vigente. L’intuizione, che sta alla base di questa proposizione, è talmente suggestiva e aderente allo spirito innovativo del nostro tempo che molto difficilmente può non essere accolta. Non solo la legittimazione dell’intervento statale è fuori discussione, ma è largamente diffusa l’attesa di modificazioni notevoli nel modo di funzionamento del sistema economico, specie con riferimento alle zone in via di sviluppo, anche per queste ultime ragioni, non si può prescindere dal preventivo accertamento dello stato di fatto e delle tendenze in atto. A questa realtà e ai suoi conseguenti modelli conoscitivi bisogna ritenere gli schemi di valutazione normativa dedotti dalle aspirazioni, 26 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE dalle idealità proprie della cultura del gruppo nel dato momento storico. Altrimenti si rischia di rimanere a livello di mere enunciazioni del dover essere, destinate ad isterilirsi con il passare del tempo. In altri termini, sulla base di un quadro di finalità ed obiettivi, occorre giudicare le ragioni del rafforzamento o del cambiamento delle tendenze attuali, quali risultano dall’analisi delle strutture territoriali. In tal modo, l’essere si combina con il dover essere, ed il modello descrittivo-interpretativo si trasforma e assume i caratteri di un modello normativo-decisionale. II - CRITERI METOLOGICI PER LA ZONIZZAZIONE DELLA PROVINCIA DI FOGGIA AI FINI DEL DISEGNO DI ASSETTO TERRITORIALE 1. — E’ ormai largamente diffuso il convincimento che la regione non costituisce un’entità « reale, fissa ed univocamente determinata » (Isard), ma piuttosto la dimensione spaziale di singoli e ben individuati programmi di attività. Il problema economico rappresenta, perciò, il necessario termine di riferimento, o meglio è l’indispensabile base di partenza, che — nel suo esplicarsi — assume sia un profilo temporale che una dimensione spaziale. E’ possibile suddividere un dato territorio, in tante regioni per quanti sono i problemi economici che sì intende affrontare e risolvere. Si è in presenza di un processo di disaggregazione analogo a quello che si registra in tema di analisi di un sistema economico in settori produttivi. Le suddivisioni risultano molteplici a seconda della natura tecnica, economica, finanziaria o sociale dei criteri selettivi. Da questa premessa scaturisce una conseguenza di ordine generale e cioè che non è valido pensare ad un unico metodo di regionalizzazione dei sistemi economici. In termini operativi, possono essere utilizzati contestualmente diversi metodi, al fine di meglio inquadrare gli aspetti territoriali del programma di sviluppo economico. Nel caso specifico in esame, non va sottaciuta una circostanza di rilievo: la contiguità territoriale del progettato insediamento Aeritalia l’impianto petrolchimico da poco realizzato dall’ANIS, entrambi radicalmente innovativi della struttura industriale esistente. L’ubicazione di questi due grossi impianti industriali, nel cuore della pianura foggiana, non può non alterare gli equilibri territoriali nonché le direzioni dei dinamismi di sviluppo già in atto. Questi equilibri e questi dinamismi si manifestano sul territorio 27 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ in una serie più o meno integrata di « ragioni », legate tra loro da rapporti di omogeneità e di complementarità. Su questa specie di mosaico, composto di varie unità contigue bisogna programmare l’inserimento di un’area con una sua « funzione » tutta propria, cioè un processo logico ispirato all’obiettivo dello sviluppo equilibrato anche sotto il profilo territoriale. Anticipando una delle conclusioni, si può dire che l’ipotesi programmatica ed operativa dovrà armonizzare un tessuto caratterizzato da scarsi dinamismi, perciò descrivibile di una serie articolata di regioni omogenee, con alcune innovazioni, la cui area di influenza crea un’unità territoriale qualitativamente diversa, rispetto alle aree omogenee dello assetto preesistente. In breve, combinare omogeneità con funzionalità vuoi essere un accorgimento metodologico, con cui cercare di superare uno dei principali limiti dell’analisi regionali, cioè il suo prevalente carattere statico, appena corretto dal confronto di situazioni con indici temporali differenti. E noto che la statica comparata non fornisce ancora una rappresentazione sistematica delle modalità, con cui si modificano i confini ed i caratteri delle singole unità territoriali formanti un insieme di regioni. La possibilità di questo momento di sintesi discende dalla presenza di alcuni programmi di attività ben precisi. Ciò conferma il precedente giudizio, secondo cui la delimitazione e la caratterizzazione di una regione non può essere affidata ad una metodologia generale ed astratta, ma si fondano su finalità concrete e quindi su reali e ben precisati programmi di attività economica. 2. — Al termine del processo di scomposizione di un territorio in una serie di unità contigue, bisogna precisare solo se il risultato di quest’analisi risieda nella pura e semplice individuazione dei confini e forse anche dei grado di coesione interna delle singole unità (zone, aree o regioni che dir si voglia) o anche se la suddivisione territoriale presenta un suo principio e una sua regione unificante. In altri termini, come l’individuazione di un’area non si esaurisce nella delimitazione dei confini ma esige anche la precisazione dei contenuti economici e quindi del suo grado di coesione interna, così l’articolazione di un territorio in un insieme di unità contigue deve chiarire anche le ragioni e il grado di coesione tra queste unità territoriali minori. Non può trattarsi di una mera giustapposizione fisica di unità tra loro distinte in base al prevalere di qualche carattere fisico, economico 28 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE e sociale, ma bisogna determinare i vincoli, le relazioni, i collegamenti che esistono tra le singole unità. Trattasi della disaggregazione territoriale di un sistema, a fini programmatici. Ogni sistema ha, in quanto tale, una serie di motivi unificanti. Da questo concetto-base discende una conseguenza rilevante per la costruzione dei modelli decisionali ed operativi. Promuovendo la realizzazione di due impianti industriali radicalmente innovati dell’apparato industriale esistente non significa « sovrapporre » al mosaico di aree o zone preesistenti un’altra, corrispondente al raggio di influenza di questi impianti, ma significa accertare le modificazioni del principio unificante del « sistema » in esame. E siccome la pianificazione si regge sul principio di non limitarsi a registrare le conseguenze delle decisioni dei singoli, in quanto non sempre e non necessariamente si attua l’automatico armonizzarsi di questi con la situazione preesistente, è necessario prefigurare almeno nei suoi tratti fondamentali i cambiamenti nelle ragioni e nelle modalità di coesione, che fanno attribuire al territorio in esame la qualifica di sistema o sub-sistema, avente cioè una sua autonomia ed una sua individualità (loschi). 3. — Un Piano regolatore territoriale non può — per sua natura fermarsi all’accertamento di una o più ipotesi del grado e delle forme del predetto cambiamento ma deve motivare le ragioni per cui è accettabile una simile previsione oppure formulare una serie di interventi, attraverso i quali orientare gli effetti dei nuovi impianti industriali verso gli obiettivi fissati, in un disegno di assetto territoriale costruito sulla base di una serie di valutazioni e di giudizi ricavati da molteplici e differenti fonti di conoscenza. Indubbiamente sotto questo profilo, l’articolazione del territorio in unità contigue omogenee può servire a semplificare i numerosi e complessi fenomeni. Ma l’approccio della pianificazione dello sviluppo, con immediate specificazioni di ordine operativo anche sul piano territoriale, rende impegnativo e oneroso l’impiego degli strumenti della analisi regionale, non fosse altro perché essi cessano di essere autosufficienti, e postulano l’integrazione con giudizi di valore. In particolare, la divisione di un dato territorio in tipi, qualitativamente differenti, di aree o zone sta a significare l’esistenza di una certa gerarchia di problemi economici, alcuni con portata maggiore ed altri minore, si che la stessa avvertenza della loro gradualità può essere di ausilio al raggiungimento di più elevati livelli di benessere. — — 29 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ Anche se l’ambito territoriale della provincia di Foggia costituisce un’entità piuttosto modesta rispetto all’intero territorio nazionale, risulta ugualmente problematico e di difficile soluzione — a livello decisionale — determinare con rigore scientifico il complesso dei provvedimenti tecnici, economici e finanziari capaci di rendere massima la funzione del benessere collettivo della popolazione dauna. Sarebbe già tanto se si riuscisse a selezionare un gruppo di programmi e di progetti, per ciascuno dei quali determinare volume di ubicazione convenienti. E’ ovvio che prima o dopo s’instaurano tra i singoli progetti tali e tante relazioni, i cui effetti potrebbero alterare il precedente giudizio formulato sulla base dell’esame dei progetti singoli. E’ sufficiente l’intuizione ad avvertire l’alta probabilità dell’insorgere di una simile situazione; l’analisi dei sistemi ha l’ambizione di venire incontro a questa esigenza logica e di soddisfarla con metodo rigorosamente scientifico. Dai precedenti accenni risulta evidente che ciascun programma di sviluppo può comportare una « sua » articolazione del territorio in aree o zone operative, cosicché — nella misura in cui è vasto e complesso l’intero piano — risultano molteplici specifici insieme di regioni. E conseguentemente più viva si fa l’aspirazione all’unico vero insieme di regioni. Ma allo stato attuale delle conoscenze e dall’elaborazione scientifica siamo ben lontani da questa meta, sì che non resta che accontentarsi di saper bene valutare i singoli programmi specializzati e determinare i più validi collegamenti, sia sotto il profilo economico che sotto il profilo territoriale. Da quanto precede si possono ricavare sufficienti elementi di giudizio per valutare ed applicare al caso in esame la norma generale fissata nell’art. 8 della legge 853. Le critiche alla nota scelta a favore della concentrazione territoriale dello sviluppo industriale in poche aree ben dotate, contenuta nella precedente legge sul Mezzogiorno, la 717, possono fuorviare l’interpretazione del predetto art. 8 della nuova legge sul Mezzogiorno, quasi che non sia più valida l’idea del « polo » di sviluppo e di zone di concentrazione, tanto che l’interesse attuale sia soltanto quello di determinare « le linee direttrici prioritarie per conseguire la massima penetrazione del processo di industrializzazione nei territori esterni alle zone di concentrazione ». La proiezione sul territorio dell’ipotesi di sviluppo economico, nel- 30 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE la misura in cui comporta l’individuazione di aree uniformi quanto a grado attuale e prospettive di sviluppo, può servire a verificare il grado di validità della nota contrapposizione tra il « polo », ispirato all’obiettivo della concentrazione territoriale, e la « direttrice », ispirata all’obiettivo della diffusione. Il nostro oggetto di studio è costituito da una delle più estese zone pianeggianti del Mezzogiorno, cosicché il modello di assetto territoriale, corrispondente all’ipotesi di sviluppo economico, può condurre ad una serie di conclusioni, che, pur coerenti con l’obiettivo implicito nel citato art. 8 della 853 cioè lo sviluppo equilibrato, sono correttamente inquadrabili nel concetto « direttrice » di penetrazione, nella misura in cui questo concetto non si identifica in una forma geometrica quali lineare, una linea cioè i cui punti siano costituiti da altrettanti ubicazioni di imprese industriali, ma in un sistema di aree con differenti caratteri e prospettive di sviluppo. 4. — Lo studio della dimensione territoriale dell’ipotesi di sviluppo economico si è basato sulla composizione dei risultati di due distinte analisi. La prima ha cercato di calcolare il « grado di importanza economica » dei singoli comuni della provincia di Foggia. La seconda analisi ha preso in esame la localizzazione delle più importanti innovazioni in atto nell’apparato produttivo provinciale. In altri termini, la prima analisi ha riguardato lo stato attuale delle modalità di sviluppo dei singoli comuni, laddove la seconda analisi si è rivolta a considerare le possibilità di sviluppo nell’immediato futuro, quali si possono desumere dalle particolari dotazioni di risorse idriche, minerale e di capitale fisso sociale. La valutazione del « grado attuale di sviluppo economico » si è fondata su due gruppi di indici, e precisamente tre indici « strutturali » al 1971: 1) incidenza percentuale della popolazione attiva sulla popolazione residente; 2) incidenza percentuale degli addetti al settore agricolo; 3) il numero medio delle abitazioni per mille abitanti, e di quattro indici « dinamici »; 4) variazione secolare della popolazione residente (1861-1961); 5) variazione decennale della popolazione residente (1961-71); 6) variazione degli addetti ad attività extra-agricole 1961-71; 7) variazione del numero delle abitazioni del decennio 196171. Questi diversi indici consentono di misurare da angolazioni differenti la molteplicità degli aspetti della organizzazione economicosociale della Capitanata. Anziché affidarsi a un unico indice, che per quanto rappresentativo non può mai riassumere tutti i numerosi aspetti dello sviluppo socio-economico, si è voluto effettuare la misurazione più volte, nell’intento di cogliere un maggior numero di aspetti e poi 31 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ cumularne i risultati. In questo modo il grado di rappresentatività di questa misura finale è maggiore e quindi consente di ricavare con maggiore fondamento la divisione del territorio in aree aventi lo stesso « grado di importanza economica ». 5. — Il quadro prospettico A riporta queste serie di indici per i 61 comuni della provincia di Foggia (sono state escluse le Isole Tremiti). I campi di variazione di ciascuna serie di indici sono risultati piuttosto ampi, cosicché è stato necessario condensare queste variazioni in poche classi. Per il raggruppamento di queste variazioni si è adottato il noto procedimento di Strugas, e si è determinato così l’intervallo di classe (l’intervallo di classe è uguale al rango, quale risulta dalla differenza tra i valori estremi della serie, diviso per 1+3,22 log. N). Le « distribuzioni di frequenza », ottenute con questo procedimento, sono state raccolte nel quadro prospettico B e nei relativi istogrammi. Successivamente si è calcolato per ciascuna serie di indici la media aritmetica, lo scarto quadratico medio e il coefficiente di variabilità. Corre obbligo di precisare che è stato il fine della ricerca di imporre l’adozione della media aritmetica, con il suo relativo scarto quadratico medio, e non già la media ponderata. E’ sufficiente, infatti, considerare il caso di uno dei sette indici. Per comodità di esposizione, si prenda l’indice della variazione secolare della popolazione residente. L’incremento medio della popolazione residente, nel 1961, dell’intera provincia di Foggia è pari a 202,8 facendo uguale a 100 il valore del 1861. E’ chiaro che questo numero-indice esprime una media ponderata della variazione registrata nei singoli comuni, nel senso che le variazioni dei comuni con un numero maggiore di residenti « pesano » relativamente di più delle variazioni dei comuni con un numero minore di residenti. Ai fini dell’analisi delle strutture territoriali, il riferimento alla media ponderata risulterebbe fuorviante, in quanto l’oggetto specifico in osservazione è la modalità di variazione sul territorio di un dato indice. In altri termini, occorre individuare i gruppi di comuni che presentano lo stesso indice di variazione. O meglio, i gruppi di comuni che presentano indici appartenenti allo stesso intervallo di classe. In genere, come si può facilmente ricavare dalla lettura del quadro prospettico B, tutte le distribuzioni di frequenza si basano su sei-sette 32 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE QUADRO B DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA DEGLI INDICI DINANICI Popolazione residente 1961 (1861=100) R=657,8 Intervallo di classe i Fino a 100 da 101 – 202 201 – 300 301 – 400 401 – 500 501 – 600 601 – 700 701 - 800 i =96 Frequenza f (.) 12 27 9 5 5 0 0 1 59 (.) Popolazione residente 1971 (1961= 100) R=71,2 i=10,3 Intervallo di classe i Fino a 60 61 a 70 71 a 80 81 a 90 91 a 100 101 a 110 111 a 120 121 a 130 Frequenza f 2 4 12 18 13 9 2 1 61 (.) al 1861 non esistevano i comuni di Carapelle e di Mattinata. Indice degli addetti all’attività extra—agricola 1971 (1961=100). R=112,4 i=19,1 Intervallo di classe i 45 - 63,0 63,1 - 81,0 81,1 - 99,0 99,1 - 117,0 117,1 - 135,0 135,1 - 153,0 153,1 - 171,0 Frequenza f 3 13 24 15 4 1 1 59 (.) Indice abitazioni 1971(1961=100) R=69 i=9,9 Intervallo di classe i 76 — 85 86 — 95 96 — 105 106 — 115 116 — 125 126 — 135 136 — 145 Frequenza f 8 10 10 17 8 4 4 61 33 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ QUADRO B DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA DEGLI INDICI STRUTTURALI Abitazioni per 1000 abitanti (1971) R=129 i=31,9 Intervallo di classe i 256 – 285 286 – 315 316 – 345 346 - 375 376 - 405 406 - 435 436 - 475 Frequenza f 8 16 11 11 3 6 3 58 (.) Incidenza % della popolazione attiva sul totale della popolazione residente (1971) R= 19,4 Intervallo di classe i 25,0 – 28,0 28,1 – 31,0 31,1 – 34,0 34,1 – 37,0 37,1 – 40,0 40,1 – 43,0 43,1 – 46,0 i= 2,7 Frequenza f 5 12 6 14 13 8 3 61 Indice abitazioni 1971(1961=100) R=69 i=9,9 Intervallo di classe i 76 — 85 86 — 95 96 — 105 106 — 115 116 — 125 126 — 135 136 — 145 Frequenza f 8 10 10 17 8 4 4 61 Incidenza % degli addetti agricoli sulla popolazione attiva (1971) R= 61,0 Intervallo di classe i 15,0 — 25,0 25,1 — 35,0 35,1 — 45,0 45,1 — 55,0 55,1 — 65,0 65,1 — 75,0 oltre 75 f= 8,80 Frequenza f 1 3 13 8 16 15 5 61 classi di intervallo, per cui si individuano sei-sette gruppi di comu ni. Volendo ulteriormente condensare questa distribuzione di frequenza in tre soli intervalli di classe, indicanti rispettivamente il livello minimo, medio e massimo, si è fatti ricorso all’uso combinato della media aritmetica con il suo relativo scarto quadratico medio. 34 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE Per riprendere il predetto esempio, è risultato che l’incremento medio della popolazione residente fra il 1861 e il 1961 è misurato dal numero indice 192,2 ovviamente inferiore alla media ponderata. Questo indice funge, così, da primo termine di riferimento per valutare le variazioni di popolazione residente registrate nei singoli comuni. E cioè rispetto al campo di variazione compreso tra il valore massimo di S. Ferdinando di Puglia con indice 714,7 e il valore minimo di Roseto Valfortore con indice 56,9, si ha la tendenza verso il valore centrale di 192,2. E quindi, per poter disporre di un primo termine di riferimento, atto a valutare le variazioni di questo indice di riferimento, atto a valutare le variazioni di questo indice per i singoli comuni, non ha senso la media ponderata, ma è significativa solo la media aritmetica. Questa consente, infatti, di stabilire quali comuni hanno fatto registrare una variazione superiore alla media e quali una variazione inferiore. In altri termini, il « peso » dei singoli comuni non è rilevante, perché qui si vogliono confrontare i numeri-indice dei singoli comuni, indipendentemente dal numero dei residenti, in modo che da questo confronto, si possa ricavare una indicazione, sia pure parziale e indiretta, del diverso « grado di importanza economica » dei singoli comuni. Su questa base lo scarto quadratico medio consente di raggruppare in tre classi questi indici misuratori del grado di importanza economica dei singoli comuni. Infatti, è possibile individuare il gruppo dei comuni con indice inferiore alla media provinciale; il gruppo dei comuni con indice compreso tra la media e la media più lo scarto quadratico medio e il gruppo dei comuni con indice superiore a quest’ultimo valore. 6. — Sorge, a questo punto, l’interrogativo come valutare queste tre classi di valore. In altri termini, a quale di queste tre classi attribuire il valore di grado massimo di importanza economica ed a quale il valore di grado minore. Per rispondere a questa domanda torna utile la distinzione tra indici strutturali e indici dinamici, in quanto tutti e tre gli indici strutturali presentano la caratteristica, per cui gli indici inferiori alla media rappresentano un segno di debolezza e di arretratezza tali da giustificare l’attribuzione del valore minimo. O, per esprimerci in termini ricavati dalla lettura degli istogrammi, si può dire che i gruppi di comu- 35 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ 36 37 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ QUADRO B MODELLO DI ZONIZZAZIONE AI FINI DELLO SVILUPPO ECONOMICO DELLA CAPITANATA COMUNE ACCADIA ALBERONA ANZANO P. APRICENA ASCOLI S. BICCARI BOVINO CAGNANO VARANO CANDELA CARAPELLE CARLANTINO CARPINO CASALNUOVO M. CASALVECCHIO P. CASTELLUCCIO S. CASTELLUCCIO V. CASTELNUOVO D. CELENZA V. CELLE S. VITO CERIGNOLA CHIEUTI DELICETO FAETO FOGGIA ISCHITELLA LESINA LUCERA MANFREDONIA MARGHERITA S. MATTINATA MONTELEONE P. MONTE S. ANGELO MOTTA M. 38 Indici “programmatici” Punteggio Risorse Risorse Dota- Punteggio modello de- idriche minerarie zioni complessivo scrittivo- sotterranee infrainterpretat i- e superf. struttuvo rali 8 9 10 11 (8+9+10+11) 10 10 8 8 10 10 16 3 3 22 9 3 12 10 3 13 10 10 16 16 8 3 11 16 3 19 10 10 10 10 7 7 11 11 10 10 7 7 9 9 11 11 8 8 14 3 17 10 3 13 7 3 10 8 8 21 3 3 27 10 10 18 3 21 15 3 18 20 3 3 26 16 3 3 22 12 12 9 9 15 15 9 9 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE COMUNE 8 9 10 11 (8+9+10+11) ORSARA P. ORTANOVA PANNI PESCHICI PIETRA M. POGGIO IMP. RIGNANO GARG. ROCCHETTA S. A. RODI G. ROSETO V. S. FERDINANDO P. S. GIOVANNI R. S. MARCO L. S. MARCO LA CATOLA S. NICANDRO S. PAOLO C. SAN SEVERO SANTAGATA P. SERRACAPRIOLA STORNARA STORNARELLA TORREMAGGIORE TRINITAPOLI TROIA VICO G. VIESTE VOLTURARA APPULA VOLTURINO 7 14 8 14 8 16 13 9 12 10 14 15 10 12 15 12 17 8 8 14 14 11 13 9 13 17 10 10 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 - 3 3 3 3 - - 7 17 8 14 8 22 16 9 12 10 17 21 16 12 18 15 20 11 11 17 17 14 16 12 13 17 10 10 MEDIA PROVINCIALE 11,68 - - - 13,49 ni presentano importanza economica crescente, procedendo da sinistra verso destra. Per i quattro indici programmatici si verifica invece la situazione inversa. Del resto, questi indici misurano il tasso di sviluppo delle rispettive grandezze (variazione secolare e decennale della popolazione residente; variazione degli addetti alle attività extra-agricole e del numero delle abitazioni nell’ultimo decennio) e quindi i valori più alti si trovano necessariamente a destra sia della media che della media più lo scarto quadratico medio. Pertanto nel quadro prospettico, a fianco ad ogni indice è riportata 39 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ la relativa colonna riportante il punteggio attribuito ai singoli comuni, nella misura di i punto per i valori minimi, 2 punti per i valori medi, 3 punti per i valori massimi. La somma dei sette punteggi, relativi ai sette indici strutturali e dinamici, ha formato la graduatoria, che ha consentito di suddividere i 61 comuni della provincia di Foggia in tre gruppi uniformi quanto a grado di importanza economica. Sempre con lo stesso criterio si sono calcolati la media aritmetica e scarto quadratico medio relativi a questa graduatoria, in modo da poter raggruppare anche queste variazioni in tre classi comprendente: la prima i comuni con punteggio inferiore alla media; la seconda i comuni con punteggio compreso tra la media e la somma della media più due volte lo scarto quadratico medio, la terza i comuni con punteggio finale superiore a quest’ultimo valore. E’ stato necessario addizionare due volte lo scarto quadratico medio, in quanto la forma della distribuzione di frequenza — costruita con il predetto procedimento di Struges presenta una discontinuità, tale che la terza classe, quella relativa al livello di valore massimo, comprenderebbe due gruppi di comuni non contigui nella distribuzione di frequenza e per giunta staccati da un rilevante intervallo. Invece addizionando alla media due volte lo scarto quadratico medio si elimina questo inconveniente, cosicché la terza classe individua un gruppo di comuni che si stacca nettamente dai gruppi precedenti. Si conferma così la validità del calcolo delle distribuzioni di frequenza. La valutazione della presenza di risorse idriche, sia superficiali che sotterranee, di risorse minerarie e di particolari infrastrutture (porto, aereoporto e nodo ferroviario) è consistita nell’attribuzione del punteggio di tre punti ai comuni nei cui agri sono presenti queste condizioni favorevoli. Questa valutazione si è addizionata ai risultati del precedente calcolo sul grado attuale di sviluppo economico, formando così il contenuto del quadro prospettico C. Questo quadro riporta nell’ultima colonna il punteggio complessivo di ciascun comune. Anche le variazioni di questo punteggio complessivo sono state analizzate con i soliti strumenti di misura (poligono di frequenza, media aritmetica e scarto quadratico medio) pervenendo al risultato di soddividere i 61 comuni in tre gruppi. Il primo comprende i comuni che hanno ottenuto un punteggio complessivo inferiore alla media aritmetica pari a 13; il secondo raggruppa i comuni con un punteggio 40 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE MODELLO DI ZONIZZAZIONE AREA TURISTICO -SI LVO -ZOOTECNICA COMUNI > 13 punti p. 7 8 Comune Casalnuovo M. Castelluccio V. Orsara di Puglia p. 12 Alberona 13 Celle S. Vito 13 Faeto Panni Pietra Montecorvi. 9 Castelnuovo D. Monteleone P. Motta Montecor. Rocchetta S. A. 10 Accadia Anzano di Puglia Bovino Carlantino Carpino Castelluccio S. Deliceto Ischitella Roseto Valforto. Volturara Appula Volturino 11 Candela Casalvecchio P. Celenza Valfo. Sant’Agata P uglia Serracapriola AREA AGRICOLOMINERARIA COMUNI < 14-13 Comune Ascoli Satriano Mattinata Rodi Garganico S. Marco La Cat. p. 14 Comune Torremaggiore 15 Monte S. Angelo S. Paolo Civitate Troia Biccari Chieuti Vico Garganico 16 Cagnano Varano Rignano Gargani. S.Marco in Lamis Trinitapoli 17 Cerignola Ortanova S.Ferdinando P. Stornara Stornarella AREA URBANOINDUSTRIALE COMUNI < 23 Comune p. 26 Manfredonia Vieste 18 Lucera S. Nicandro G. 19 20 Carapelle San Severo 21 Lesina S. G. Rotondo Apricena Margherita di S. Poggio Imperiale 22 compreso tra 13 e questo valore più due volte lo scarto quadratico medio, pari a 22; e il terzo gruppo comprende i comu ni con punteggio superiore a 22. Una conferma della validità di questa suddivisione sta nel fatto che — come documento il quadro prospettico D — mentre la serie del punteggio è continua da 7 fino a 22 (tanto che solo nella media si può trovare un criterio di divisione), oltre questo valore si registra un intervallo di ben quattro punti. Perciò, il terzo gruppo costituisce, a giusto titolo, un’entità territoriale ben distinta. La rappresentazione cartografica corrispondente alle indicazioni 41 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ contenute in quest’ultimo quadro prospettico individua abbastanza chiaramente tre aree concentriche di forma quasi circolare. La irregolarità dei confini degli agri comunali altera un po’ i contorni di questa rappresentazione geometrica. Nell’intento di superare questo inconveniente, si sono tracciate alcune curvilinee che — discostandosi il meno possibile dai confini amministrativi dei gruppi di comuni — meglio evidenziano le tre aree uniformi quanto a grado attuale e potenzialità immediate di sviluppo economico. Giunti a questo punto non resta che interpretare il significato programmatico e decisionale di questo modello di zonizzazione. 7. — La misurazione del « grado di importanza economica » dei singoli comuni della provincia di Foggia ha, quindi, consentito di selezionare tre gruppi di comuni, i quali formano tre distinte aree che si dispongono sul territorio come tre fasce concentriche. Pertanto ciascuno di questi « anelli » ha una sua individualità. Essi costituiscono aree uniformi quanto a grado di sviluppo economico, inteso in senso globale, cioè rappresentativo sia del dinamismo dei principali settori produttivi, sia del livello di dotazione del capitale fisso sociale. Il carattere preminente di questo modello è rappresentato dalla « circolarità » della sua forma geometrica. L’estensione del territorio (oltre 700.000 ettari), la prevalenza della parte pianeggiante, l’ubicazione baricentrica del capoluogo rendono molto simile questa realtà alle ipotesi semplificatrici del modello di V. Thuen, che si riassume graficamente come è noto in una serie di anelli concentrici. Il nostro modello si distingue rispetto a quello di V. Thuen per il fatto di riferirsi non già alle forme di utilizzazione agricola del suolo ma al grado di sviluppo globale. Lo schema di V. Thuen teorizza la scelta concernente la distribuzione ottimale tra impieghi del fattore terra, omogeneo sotto tutti i profili tranne che per la distinta rispetto al mercato? Per l’assenza di ferrovie e di altri centri commerciali non esistono vincoli di sorta all’impiego agricolo della terra disponibile, cosicché le uniche due variabili, capaci di determinare la distribuzione ottimale del terreno tra le colture concorrenti finiscono per essere i prezzi dei diversi prodotti ottenibili e il costo di trasporto, funzione a sua volta della variabile distanza. Il noto teorema, relativo alla distribuzione di un fattore disponibile in quantità limitata tra impieghi alternativi, qui assume — attraverso l’incidenza del costo di trasporto — la dimensione spaziale e consente — 42 — ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE di determinare, sia pure sulla base delle predette ipotesi semplificatrici, la localizzazione ottimale delle colture. La divisione di un territorio in aree uniformi è più consentanea all’agricoltura, in quanto in genere è tutto il territorio ad essere coltivato o utilizzato sia pure in modi e con destinazioni differenti. Questa diversità di utilizzazione fornisce il criterio per la divisione del territorio in aree uniformi. Al contrario i paesaggi industriali non solo sono da ricercarsi in pochi e limitati compartimenti terrestri, ma soprattutto, lo studio dell’ubicazione delle imprese industriali concerne non già le aree come per la localizzazione delle colture, ma i « punti » del territorio. La determinazione del peso dei singoli fattori di localizzazione si risolve nella ricerca nel « punto » dell’ubicazione ottimale. Si pensi al noto triangolo di Weber. Ciò non pertanto se si considera, ad esempio, l’agricoltura italiana si può vedere tutto questo territorio distinto in tante « regioni agrarie »; mentre se si considera l’intera economia italiana, si può scorgere il contrasto tra « regioni agrarie » e « regioni industriali », cioè « regioni economiche » caratterizzate dalla prevalenza rispettivamente delle attività agricole o delle attività industriali. Il nostro modello descrittivo dell’attuale assetto territoriale della Capitanata, dovendo misurare come varia sul territorio il livello di sviluppo globale ovvero il « grado di importanza economica » ha suddiviso l’intero territorio in aree, con una propria individualità riveniente dal prevalere delle forme di organizzazione, dell’attività economica. 8. — Conseguentemente, la derivazione del modello normativodecisionale dovrà fissare le modalità di trasformazione degli ordinamenti produttivi nell’ambito delle singole aree nonché l’ubicazione e le dimensioni dei nuovi impianti industriali. In via teorica, si può anche supporre che il modello normativo può assumere contenuti innovativi tali da non rispettare l’attuale forma di suddivisione territoriale sia nel senso di modificare i confini degli « anelli » concentrici sia nel senso di modificarne la fondamentale forma circolare. Il processo di sviluppo in atto è però ben lungi dal richiedere sì radicale trasformazione del modello di assetto territoriale. Anche sulla base dei progetti già redatti o in corso di realizzazione, appare fondato continuare ad assumere come base di partenza lo schema di assetto territoriale quale risulta dal modello interpretativo, limitando il 43 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ compito del modello decisionale a fissare nuovi contenuti economici dei singoli « anelli » concentrici. 9. — L’interpretazione di questo modello descrittivo richiede l’individuazione degli aspetti economico-sociali prevalenti delle tre aree, cioè delle ragioni che differenziano e quindi consentono di dividere il territorio. Il primo « anello » quello posto al centro del sistema, è caratterizzato da un sufficientemente elevato dinamismo demografico e da un consistente avvio del settore secondario. t noto che questi due fenomeni: urbanizzazione e industrializzazione presentano, in generale, un elevato grado di correlazione. In breve, questa area presenta una sua individualità e si distingue rispetto alle altre parti del sistema per un certo prevalere del carattere urbano-industriale. Il secondo « anello », caratterizzato da stasi demografica, è sede di tutti i comprensori irrigui sia quelli collettivi, collegati ai grandi invasi sui fiumi e torrenti della provincia (Ofanto, Carapelle, Fortore) sia quelli aziendali risultanti dalla vasta rete di pozzi, che utilizzano le acque sotterranee. Quest’area, che occupa la più alta percentuale della superficie provinciale, è sede anche dei giacimenti di metano, di bauxite, delle cave di pietre, nonché degli stabilimenti termali che utilizzano le acque madri delle saline. In quest’area gli addetti al settore primario, nella sua più vasta accezione quale risulta dalla prima schematizzazione del Colin Clark (comprensiva sia degli addetti all’agricoltura che degli addetti alle miniere) costituiscono la maggioranza assoluta della popolazione attiva, raggiungendo il 52%. Per la somma di tutti questi elementi strutturali, anche questa seconda area, che si situa come « anello » intermedio nel sistema, ha una sua individualità e si distingue per il prevalere del carattere agricolominerario. Il terzo « anello » non costituisce un’unità territoriale continua, in quanto si compone di due corpi, posti ai bordi del sistema. In quest’area lo spopolamento è molto marcato, in quanto raggiunge il 20%. Altro elemento comune è l’altimetria: i due corpi, infatti, sono sede dei due consorzi di bonifica montana. In breve quest’area trova la sua individualità nel prevalere del carattere silvopastorale. In conclusione, tre aree, uniformi quanto a grado di importanza economica, e che costituiscono tre distinti anelli concentrici: il primo a prevalente economia urbano-industriale; il secondo a prevalente economia agricolo-mineraria; il terzo a prevalente economia silvopastorale. 44 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE III - CARATTERI ECONOMICI DEL NUOVO MODELLO DI ASSETTO TERRIT ORIALE DELLA CAPITANATA 1. — Dalla somma dei suddetti caratteri si intuisce che non si tratta soltanto di una forma di differenziazione dell’apparato produttivo, ma ad essa si accompagna anche una differenza nei livelli di reddito. Siamo cioè in presenza di un meccanismo che genera continuamente forme di squilibrio sia settoriale che territoriale. Di fronte a un simile stato di fatto, sorge spontanea l’assunzione dell’obiettivo dello sviluppo equilibrato, vale a dire programmare una serie di interventi capaci di promuovere una crescita nelle diverse parti del sistema, tale da raggiungere uno stato di equilibrio, inteso come relativo livellamento dello stato di benessere. Se agevole e pacifica può essere l’assunzione di un simile obiettivo di sviluppo, piuttosto problematica appare la scelta degli strumenti capaci di eliminare le predette situazioni di squilibrio. A questo punto torna acconcio prendere in esame gli effetti della decisione degli esperti dell’Aeritalia di ubicare nei pressi dell’aereoporto di Amendola (Manfredonia) un impianto industriale di tipo aereonautico. 2. — I fattori di localizzazione, che hanno fatto preferire la provincia di Foggia per l’ubicazione dell’Aeritalia sono ugualmente presenti sia nel primo che nel secondo « anello » del sistema. Si allude ai « cieli puliti » ed agli ampi spazi, che sono requisiti fondamentali per l’insediamento di un impianto industriale di tipo aeronautico, come quello progettato dalla Aeritalia. L’ubicazione « Amendola » presenta però il vantaggio dell’esistenza di cospicue attrezzature aeroportuali. Ora questo impianto industriale verrà certamente a rafforzare il carattere urbano-industriale della parte centrale del sistema e quindi ad accentuare i caratteri differenziali rispetto alle altre due aree. Di qui l’esigenza di verificare la validità di questa scelta ubicazionale con l’obiettivo di perseguire l’equilibrio territoriale del sistema economico dauno, fondato sulla proposta di contenere gli insediamenti industriali nella parte centrale del sistema a favore delle fasce esterne. In primo luogo, la qualifica urbano-industriale attribuita alla parte centrale del sistema ha un valore puramente relativo, rispetto al restante territorio della economia dauna, in quanto essa è ben lungi dagli standards di una regione industrialmente evoluta e soprattutto perché si è molto lontani dall’insorgere di forme varie di congestione territoriale. Basta pensare che la densità di abitanti per Kmq. nei due comuni 45 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ di Foggia e di Manfredonia, formanti l’area centrale de sistema, è nettamente inferiore sia alla media regionale che a quella nazionale. D’altro canto, anche la incidenza percentuale degli addetti alle attività industriali è ancora alla data dell’ultimo censimento, ben lontano dai valori delle tipiche « regioni industriali ». Già queste due indicazioni appaiono sufficienti ad avvertire come non sia proprio il caso di prospettarsi la tesi di evitare la congestione nella parte centrale del sistema. L’area centrale presenta, infatti, una densità demografica di appena 210 abitanti per Kmq. una misura che può rientrare nell’indice delle zone scarsamente popolate e non già in quello delle zone congestionate. Trattasi, quindi, di un’area per la quale risulta fondato un programma di urbanizzazione, sostenuto da un processo di sviluppo industriale. Non va dimenticato, inoltre, che tra i due comuni di questa area centrale corre una distanza di 30 Km. In questo spazio non esiste nessun nucleo di abitazioni. E muovendo dal capoluogo verso le altre direzioni bisogna percorrere, mediamente, distanze di poco inferiori per incontrare un centro abitato. S noto che il Tavoliere è una « regione » di recente colonizzazione, tant’è che una delle più interessanti iniziative della bonifica in Capitanata è stata proprio quella di costruire una serie di borghi e di centri di servizio, con lo scopo precipuo di promuovere e infittire gli insediamenti rurali in questa ampia fascia di « vuoto residenziale» esistente attorno al capoluogo. Da notare che anche la dimensione territoriale di questo programma di opere di bonifica ha assunto la forma circolare. Se per un verso risulta validamente fondata la proposta di promuovere per quest’area una più intensa urbanizzazione, correlata allo sviluppo industriale, per altro verso il fatto che diversi centri decisionali abbiano scelto quest’area, per insediarvi i nuovi impianti industriali realizzati in questi ultimi anni nella provincia, sta a indicare la presenza di obiettive condizioni preferenziali. Quest’annotazione di per sé, cioè isolatamente presa, potrebbe indicare che la scelta, efficiente dal punto di vista aziendale, risulta in contrasto con l’obiettivo di eliminare l’esistente squilibrio territoriale. In altri termini, se la finalità della pianificazione dell’A.S.I. è quella di promuovere uno sviluppo equilibrato dell’economia dauna anche sotto il profilo territoriale, non è sufficiente constatare che l’Anic, la Lanerossi, l’Aeritalia e poi anche società minori quali la Frigodaunia, l’Ajnomoto, l’Eridania e la Pontelongo abbiano preferito 46 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE l’area centrale per insediarvi i loro impianti, in quanto queste scelte potrebbero corrispondere unicamente a criteri di valutazione aziendalistica, in contrasto con le direttive programmatiche orientate a correggere la tendenza spontanea delle forze di mercato. 3. — Si può anche accettare, per ragioni di convenienza, questo stato di fatto; salvo a ritenere che sarebbe stato preferibile — nel rispetto dell’obiettivo del riequilibrio territoriale — che per i predetti impianti industriali fossero state scelte ubicazioni ricadenti nella fascia intermedia del nostro modello di assetto territoriale, nella fascia cioè caratterizzata da un minor grado di importanza economica. A favore di questa tesi sta il rilievo che una simile scelta ubicazionale avrebbe più facilmente esteso i suoi benefici indiretti alla terza fascia esterna, ancora più depressa, contenendo così gli effetti dell’ulteriore emarginazione. Questo rilievo sarebbe valido a condizione che i fattori agglomerativi e le ragioni di economie esterne, presenti in maggior misura nell’area centrale del sistema, fossero neutralizzati dall’insorgere di fenomeni di congestione territoriale. Il che non è. E quindi preferire per la localizzazione dei nuovi impianti industriali, specie di quelli di notevoli dimensioni e ad elevato contenuto tecnologico, la seconda area intermedia sarebbe sicuramente una scelta in pura perdita, in quanto comporterebbe la rinuncia, senza contropartita, ai fattori agglomerativi e alle economie esterne presenti in maggior misura nell’area centrale del sistema. 4. — D’altro canto, la tesi tendente a ridurre gli insediamenti industriali nell’area centrale del sistema al fine di favorire un più accelerato sviluppo della fascia intermedia e di eliminare così l’insorgere di fenomeni, inquadrabili nel noto principio della « causalità circolare cumulativa » (Myrdal), potrebbe essere valida a due condizioni. La prima condizione è che l’area centrale del sistema possa essere qualificata già economicamente avanzata, una area cioè già ricca che tende a diventare sempre più ricca a scapito delle altre aree del sistema che conseguentemente diventano sempre più povere. Il che non corrisponde alla realtà. La seconda condizione è che nelle altre aree, o anelli concentrici, manchino completamente altre possibilità di sviluppo. La proposta di « preferire » la fascia intermedia all’area centrale del sistema può risultare valida in un simile schema di ragionamento: a) date alcune possibilità di sviluppo, cioè l’insediamento di alcune 47 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ imprese industriali; b) dato l’obiettivo di raggiungere il riequilibrio territoriale; c) dato l’attuale squilibrio illustrato dal modello dell’attuale assetto territoriale dell’economia daunia; d) qual è l’area da preferire per i nuovi insediamenti industriali? E’ evidente che posta in questi termini la questione, la risposta è ovvia e scontata, nel senso che è da preferire la fascia intermedia. Solo che questa risposta è valida nei limiti dell’ipotesi di partenza e cioè di una programmazione settoriale, che concentri la sua attenzione alle sole attività industriali. Ma proprio per evitare simili inconvenienti si è voluto impostare in termini globali l’ipotesi di sviluppo economico-sociale. In concreto, quest’impostazione ha consentito di tener presente in primo luogo i progetti di sviluppo già redatti e/o in corso di realizzazione nella provincia, in primo luogo quelli del settore agricolo. A questo punto torna di particolare aiuto una teoria dell’economia dello sviluppo, secondo cui compito della programmazione è quello di individuare per ciascun ambiente il suo « punto di forza », si da poter selezionare la promozione di quelle attività, che meglio ne utilizzano la capacità di trasformazione e di differenziazione dell’apparato produttivo. Ne consegue, perciò, che la proposta di contenere l’insediamento di nuove imprese industriali nell’area centrale del sistema potrà essere ridimensionata dall’accertamento degli effetti che « i punti di forza » caratteristici della fascia potranno generare. Effetti in termini di reddito e di occupazione, in una parola le possibilità di sviluppo. In altri termini, s’intende dire che lo sviluppo economico di una data « regione » non si identifica necessariamente ed esclusivamente nell’espansione delle attività industriali. A questo proposito, per fornire una prova della validità della proposta operativa e della scelta programmatica, implicitamente contenuta nella precedente proposizione, nella seconda parte dell’ipotesi di sviluppo socio-economico del Piano regolatore, si è accertato — con l’ausilio di alcuni modelli matematici — che, a livello dell’intera area meridionale, la produttività degli investimenti nel settore agricolo, relativamente all’ultimo ventennio, ben regge il confronto con quella degli investimenti nel settore industriale. E dai risultati di quest’analisi comparata sì è avanzata la riserva critica in ordine alla scelta di politica economica, che ha determinato una marcata e persistente flessione degli investimenti agricoli nell’Italia meridionale a partire dal 1960. 48 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE E’ chiaro che questa critica contiene indirettamente la proposta di rivedere simile comportamento per il prossimo avvenire e in concreto di favorire la ripresa degli investimenti in agricoltura e in particolare in quei comparti notamente contraddistinti da una relativamente più elevata produttività, in primo luogo l’irrigazione. 5. — Ora, se si considera la localizzazione, nella provincia di Foggia, nelle « zone irrigue », sia quelle servite dalle opere di irrigazione collettiva sia quelle che fruiscono attraverso un elevatissimo numero di pozzi della falda sotterranea, si nota che esse ricadono in larga misura proprio nell’anello intermedio, quello posto tra la fascia esterna con le alte colline del sub-appennino e con il Gargano e l’area urbanoindustriale localizzata al centro del sistema. Come pure, in questa fascia intermedia sono ubicati i giacimenti di metano, bauxite e cave di pietra pregiata, donde l’attribuzione a quest’area della qualifica « agricolo-mineraria ». Tale qualifica contiene in sé l’indicazione dei «punti di forza » da tener presenti in sede di programmazione dello sviluppo. Mentre le risorse minerarie non sempre riescono a condizionare l’ubicazione degli impianti di trasformazione, nel senso che spesso è conveniente il trasporto della materia prima in altre località dotate di ben altre condizioni favorevoli. E’ il caso dello stesso metano che viene, sia pure parzialmente, utilizzato nell’ambìto della provincia di Foggia ma non già nella fascia intermedia del nostro sistema, ma a Manfredonia. Non altrettanto può dirsi delle risorse idriche, i cui impianti di irrigazione collettiva (Sinistra Ofanto-Marana Capacciotti; Carapelle; serie di laghetti collinari; Fortore-Occhito) sono destinati a promuovere lo sviluppo agricolo dell’area intermedia. In conclusione, il principale «punto di forza» dell’anello intermedio del sistema economico dauno è costituito da questo imponente complesso di investimenti nel settore irriguo. Ora, c’è da rilevare che la concentrazione in quest’area degli investimenti nel settore delle opere di miglioramenti fondiario, finalizzate alla valorizzazione di queste risorse idriche, consente di raggiungere, oltre all’obiettivo dell’incremento del reddito, anche quello di promuovere un aumento dell’occupazione agricola e per questa via correggere la tendenza in atto della diminuzione della densità demografica. Come risulta dalla lettura del quadro prospettico A, molti dei comuni della fascia intermedia fanno registrare una flessione — rispetto all’ultimo decennio — del numero dei residenti. In particolare la den- 49 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ sità demografica (abitanti/Kmq.) al 1971 è particolarmente bassa anche rispetto alla media regionale. 6. — I processi di intensificazione culturale, dipendenti dall’introduzione dell’acqua a scopo irriguo, portano in ogni caso a un notevole incremento del volume di occupazione e quindi del numero dei residenti. La trasformazione dell’ordinamento produttivo sia che si fondi sugli impianti arborei sia che si fondi sulle colture foraggere e sui conseguenti allevamenti zootecnici dovrà far registrare, rispetto all’attuale predominanza dell’ordinamento cerealicolo fortemente meccanizzato, un notevole aumento degli addetti all’agricoltura. E l’effetto occupazione raggiungerà consistenti dimensioni anche in conseguenza dell’estensione complessiva dei comprensori irrigui. Inoltre, un programma di sviluppo agricolo, fondato sull’irrigazione e sulle conseguenti intensificazioni colturali, consente di registrare l’interessante fenomeno della convergenza dell’effetto occupazione rispetto all’effetto reddito. In altri termini, si verificano sia aumenti di occupazione che aumenti di reddito. Più in particolare sono spesso quasi coincidenti le scelte relative alla destinazione della superficie aziendale tra le diverse colture alternative, tendenti a massimizzare il reddito dell’imprenditore con quelle tendenti a massimizzare il reddito da lavoro. 7. — Quest’ultimo aspetto è di particolare importanza per il funzionamento del meccanismo di sviluppo dell’economia dauna, correlato al modello di assetto territoriale qui predisposto. Ma su questo punto si avrà modo di tornare più avanti per un migliore chiarimento. L’obiettivo del riequilibrio territoriale della economia dauna va perseguito valorizzando i « punti di forza » specifici dei singoli ambienti. Per l’area intermedia della provincia dauna, il punto di forza specifico è la destinazione agricola delle copiose risorse idriche. Questa scelta risulta ancor più fondata quando si consideri la congruità dello strumento rispetto all’obiettivo di correggere la tendenziale flessione del numero dei residenti. E’ chiaro che questa differenziazione di aree uniformi si fonda sul carattere economico prevalente e distintivo, per cui non bisogna ritenere che nell’area intermedia si debba far posto esclusivamente alla promozione di nuove attività agricole. Intanto anche in quest’area non mancano segni di progresso nel settore industriale. Ma, quel che più conta ai fini programmatici e normativi, torna acconcia una precedente ipotesi di sviluppo industriale, formulata per il precedente Piano rego- 50 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE latore, quello relativo al Nucleo di industrializzazione di Foggia. Si allude alla proposta di articolare lo sviluppo industriale della provincia dauna per « agglomerati satelliti » . 8. — L’idea dell’articolazione territoriale dello sviluppo industriale per agglomerati satelliti era, in quella fase di elaborazione progettuale, la diretta derivazione di un’ipotesi di sviluppo, che assegnava un ruolo preminente al settore agricolo e in particolare al compimento di tutti i progetti irrigui. Dal punto di vista economico, un grande invaso sta sullo stesso piano di un’acciaieria o di un giacimento metanifero, in quanto sono tutti assimilabili alla categoria degli investimenti di base, di quegli investimenti capaci di favorire una lunga serie di investimenti successivi, legati tra loro da vincoli di connessione e di complementarietà tecnico-economica. A quella data non esistevano per la provincia di Foggia prospettive di investimenti di base tipicamente industriali. Infatti, non erano stati rinvenuti i giacimenti di metano e non erano stati decisi i noti insediamenti Anic e Aeritalia. Ora, fondare l’ipotesi di sviluppo sul suolo preminente dei grandi invasi con connessi impianti di irrigazione collettiva composta la logica conseguenza, in sede di ipotesi di assetto territoriale, di dover far riferimento a vaste estensioni di terreno. Il paesaggio agrario investe per sua natura spazi immensi, laddove i paesaggi industriali occupano soltanto pochi e limitati compartimenti terrestri. E’ tipico del settore agricolo interessare vaste aree mentre il settore industriale presenta, dal punto di vista territoriale, una caratterizzazione puntiforme. Pertanto, la più conveniente forma di assetto territoriale di un programma di sviluppo industriale, inserito in una vasta area interessata da cospicui processi di trasformazione agricola, è quella di prevedere non un singolo « polo » ma un gruppo di « agglomerati satelliti » . 9. — La successiva localizzazione di nuovi grossi impianti industriali nella parte centrale del Tavoliere a sostegno della tendenza spontanea dell’accentuazione del suo carattere urbano-industriale, consente di meglio precisare, anche sotto il profilo territoriale, il ruolo della componente agricola di quest’ipotesi di sviluppo economico della Capitanata dovrà localizzarsi prevalentemente nella fascia intermedia del sistema. Di conseguenza, anche l’ubicazione dei suddetti 51 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ « agglomerati satelliti » risulta agevolata. I fattori localizzatori di que- sti agglomerati industriali sono stati rispettivamente la presenza dei giacimenti di metano (Ascoli Satriano); la disponibilità di risorse idriche in presenza di favorevoli collegamenti ferroviari e stradali (Giardinetto-Troia); la relativamente più elevata densità demografica (Lucera e San Severo). A conferma dell’intuizione di base del modello interpretativo di assetto territoriale, anche il supporto infrastrutturale con funzione di collegamenti tra i predetti agglomerati satelliti ha assunto la forma quasi circolare. 10. — La prevalente caratteristica strutturale delle imprese, da insediare in questi agglomerati satelliti, dovrà essere quella del basso coefficiente di capitale per unità lavorativa. Questa determinazione risulta logicamente coerente sia rispetto all’obiettivo specifico di questa area, sia rispetto alla scelta di fondo dell’attuale politica industriale, aumentare cioè il grado di densità demografica nel Mezzogiorno, favorire cioè le medie imprese a basso coefficiente di capitale per unità lavorativa. IV - VERIFICA DELLA VALIDITÀ OPERATIVA DEL MODELLO DI SVILUPPO E DI ASSETTO TERRITORIALE DELLA CAPITANATA 1. — L’analisi delle strutture territoriali dell’economia dauna, compiuta con l’ausilio di un modello di natura descrittivointerpretativa, ha consentito di individuare tre aree con differente « grado di importanza economica ». Queste tre aree, che assumono la forma di tre « anelli » concentrici rispetto all’ubicazione del capoluogo, presentano tre differenti vocazioni, sicché si è potuto determinare la localizzazione delle attività promozionali, che formano il contenuto dell’ipotesi di sviluppo economico-sociale. In altri termini, l’assunzione del modello interpretativo dell’attuale assetto dell’economia dauna ha consentito di precisare la dimensione spaziale dei programmi operativi, di specificarne cioè gli ambiti territoriali. Non resta che sottoporre ad esame critico questo modello, al fine di verificarne la sua validità operativa. Si tratta, cioè di accertare il grado di compatibilità territoriale e le forme di integrazione tra i differenti programmi e le rispettive aree di sviluppo. Questo riesame critico può essere proficuamente compiuto, concentrando l’attenzione su due punti « nodali » del modello di sviluppo: 52 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE 1) precisare il ruolo e la dimensione dell’agglomerato « Incoronata »; 2) definire le modalità dei collegamenti tra i diversi programmi di sviluppo-agricolo, industriale e turistico. 2. — In seno all’area centrale, qualificata con l’appellativo « urbano-industriale », è stato progettata la « direttrice » di sviluppo industriale, consistente in un asse atttrezzato, che collega l’agglomerato « Incoronata » (Foggia) con l’agglomerato « Amendola » (Manfredonia) e con l’agglomerato Macchia (Monte Sant’Angelo). Le principali dotazioni infrastrutturali di quest’asse sono il porto di Manfredonia già potenziato in seguito all’insediamento industriale Anic, l’Aereoporto civile di Foggia e le attrezzature aeroportuali di Amendola, i collegamenti diretti con le autostrade, l’adriatica e la Bari-Napoli, nonché l’importante nodo ferroviario di Foggia. Per quanto attiene all’agglomerato « Incoronata », va precisato che esso è ubicato a pochi chilometri dal centro abitato di Foggia, sulla strada statale per Bari. In questo agglomerato si sono già localizzati diversi impianti industriali, tutti in fase di ampliamento e caratterizzati dal basso coefficiente di capitale per unità lavorativa e appartenenti alle classi di attività proprie dei primi stadi dello sviluppo industriale (alimentari e tessili). Questa nota distintiva è bene che venga conservata anche per i successivi insediamenti industriali, di guisa che questo agglomerato possa avere una sua individualità in seno alla suddetta « direttrice » di sviluppo. Il rafforzamento di questo carattere distintivo si giustifica anche per una ragione di carattere funzionale e cioè lungo la predetta strada statale, specie nel tratto di una ventina di chilometri tra Foggia ed Orta Nova, sono sorte, in questi ultimi anni, molte imprese industriali di piccole dimensioni. Questo fenomeno spontaneo potrebbe essere normalizzato e rafforzato dalla presenza di un agglomerato dotato delle principali infrastrutture e localizzato in una posizione centrale. Sono proprio queste le caratteristiche dell’agglomerato « Incoronata », che gli consentono di svolgere una funzione polarizzatrice rispetto a questo nuovo tipo di insediamenti industriali. Solo, che, a questo punto, s’impone un esame critico delle ragioni che hanno suggerito la proposta di ridurre l’estensione dell’agglomerato « Incoronata » . Nel « voto» del Comitato tecnico dei Ministri per il Mezzogiorno al Piano regolatore preliminare è stato indicato, infatti, un ridimensionamento di questo agglomerato. 3. — Le ragioni che possono giustificare una simile proposta di 53 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ ridimensionamento sono sostanzialmente due: la disponibilità delle forze di lavoro; la disponibilità di risorse idriche. Per quanto attiene alla prima ragione: la disponibilità delle forze lavorative, è sufficiente tener presente che: 1) il tasso di natalità della provincia di Foggia ha continuato a mantenersi, nell’ultimo ventennio attorno al 15%, vale a dire notevolmente al di sopra della media nazionale; 2) che l’incidenza degli addetti al settore terziario ed alla pubblica amministrazione è proporzionata, per accesso, rispetto al livello di reddito; 3) che il numero dei disoccupati è notevolmente aumentato in questi ultimi anni, per concludere che è del tutto priva di fondamento la proposta di contenere l’agglomerato « Incoronata » per scarsa disponibilità di forze lavorative. A questo proposito non va dimenticato che la programmazione dello sviluppo va formulata non già limitando la attenzione ai dati attuali, ma facendo riferimento alle tendenze di fondo delle principali grandezze aggregate del sistema economico. Sia i dati di fatto, cioè il numero dei disoccupati, sia le tendenze di fondo, cioè tasso di natalità e bisogno di ristrutturare il settore terziario e della pubblica amministrazione attraverso una riduzione degli addetti, avvertono che non ha senso assumere la disponibilità delle forze di lavoro come fattore limitazionale per i futuri insediamenti industriali nell’agglomerato « Incoronata ». E’ chiaro che se il ritmo di industrializzazione continuerà ad essere per il futuro così basso come per il passato, le predette caratteristiche demografiche non potranno che alimentare sia il numero dei disoccupati che il flusso emigratorio. 4. — Per quanto attiene alla disponibilità delle risorse idriche, s’impone un esame più dettagliato, in quanto le modalità di incidenza della disponibilità delle risorse idriche sullo sviluppo industriale della Capitanata sono piuttosto complesse. S’impone perciò, lo sforzo di contenere in uno schema sufficientemente sintetico gli aspetti fondamentali di questo problema e le relative proposte di soluzione. Gli impianti industriali, già insediati nell’agglomerato « Incoronata », i numerosi pozzi scavati dalle aziende agricole, l’assoluta mancanza di disciplina delle forme e dei tempi di prelevamento hanno già compromesso la falda acquifera della zona. t questa una valutazione largamente condivisa, ma non sufficiente di per sé a legittimare la proposta di un ridimensionamento territoriale dell’agglomerato « Incoronata », senza avere prima predisposto una normativa capace di razionalizzare l’uso di questo tipo di risorsa idrica. 54 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE Prima di imporre un freno allo sviluppo industriale, motivato dalla supina accettazione di uno stato di disordine, bisogna predisporre tutti gli interventi, quali un’intesa tra Consorzio di bonifica, Consorzio industriale e Regione, diretti a rendere più efficiente l’impiego della stessa quantità di acqua. 5. — In secondo luogo bisogna esaminare tutte le possibilità di reperimento di altre fonti di approvvigionamento idrico. A questo proposito, va ricordato che tra l’agglomerato « Incoronata » ed il centro abitato di Foggia, è ubicata una cartiera con 1000 occupati, il cui fabbisogno idrico viene assicurato da una batteria di pozzi, la cui portata complessiva supera le necessità effettive dell’impianto, cosicché anche qui si verifica una forma poco razionale di impiego delle risorse idriche. La stessa ubicazione della Cartiera, di proposito qui annotata, può suggerire una soluzione capace sia di rimuovere il predetto vincolo posto all’ampliamento dell’agglomerato « Incoronata » sia di razionalizzare l’uso delle risorse idriche provenienti dalla batteria di pozzi a servizio della Cartiera. Occorre, cioè, approfondire con i dovuti dettagli tecnici la proposta di destinare all’agglomerato « Incoronata » la batteria di pozzi attualmente a servizio della Cartiera e rifornire diversamente la Cartiera. La redazione del progetto relativo alla reputazione delle acque reflue della fognatura di Foggia dovrebbe comprendere anche un’analisi comparata costi/benefici di questa prima duplice destinazione alternativa: 1) assicurare direttamente un’adeguata dotazione di acqua all’agglomerato industriale « Incoronata »; 2) assicurare il fabbisogno idrico alla Cartiera, in modo da poter destinare all’agglomerato « Incoronata » le acque della batteria di pozzi della Cartiera. L’analisi costi/benefici dovrebbe comprendere anche la parte relativa alla gestione e manutenzione dei due alternativi tipi d’impianto. In effetti la destinazione delle acque reflue della fognatura di Foggia solleva un altro grosso problema e cioè la distribuzione ottimale di questa risorsa limitata tra il suddetto impiego « industriale » ed il possibile impiego « agricolo », anche se non in forma alternativa. Questa seconda forma di utilizzazione va presa in esame nell’interno di risolvere un problema originato dall’insediamento ANIC alle porte di Manfredonia. Questo impianto petrolchimico ha avanzato la domanda di un volume d’acqua pari a 500 l/s. Questa domanda è stata 55 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ soddisfatta attraverso una temporanea sottrazione di tale volume d’acqua dalla progettata destinazione agricola delle acque dell’invaso sul Fortore. Accettando la natura temporanea a non già definitiva di questa sottrazione, sorge l’obbligo di studiare la più conveniente forma di restituzione. La forma più semplice di restituzione potrebbe essere quella di destinare all’impianto ANIC 500 l/s delle acque reflue della fognatura di Foggia e ripristinare così la destinazione agricola delle acque del Fortore nonché i confini del progettato comprensorio irriguo. E’ sufficiente però tener presenti la distanza e i dislivelli esistenti tra Foggia e Manfredonia per accorgersi dell’altissimo onere, sia in termini di costo d’impianto che in termini di costi di gestione, di questa prima soluzione. Una seconda soluzione, fondata sempre sul principio della restituzione al settore agricolo dei predetti 500 l/s, potrebbe prevedere la destinazione di questi 500 l/s alle aziende agricole situate nelle immediate vicinanze del centro abitato di Foggia. In altri termini, la riduzione della superficie del comprensorio irrigua del Fortore, per effetto della sottrazione di 500 l/s a favore dell’impianto ANIC, sarebbe compensata dall’ampliamento della superficie irrigata alle porte di Foggia. Anche questa seconda alternativa potrebbe essere oggetto di un’analisi comparata costi/benefici. Questo schema riassuntivo delle proposte di revisione circa le forme di utilizzo delle risorse idriche della Capitanata vuole specificare alcune linee fondamentali del piano di ottimizzazione dell’impiego delle risorse idriche, proposto dal « voto » al Piano regolatore preliminare. Redigere questo piano, a livello provinciale, consente di disporre di un approccio valido per alcune specificazioni, come quelle indicate nel precedente prospetto riassuntivo, che molto probabilmente non saranno prese in esame dal Progetto speciale sulle risorse idriche, in corso di elaborazione presso la Cassa, dato il suo approccio interregionale. Ed in ogni caso sarebbe bene che le amministrazioni interessate, a livello provinciale, concordassero un proprio programma, su proprio programma, su cui verificare le scelte del Piano Cassa. Là programmazione non può fare a meno di simili dialoghi, originati dalla diversità di proposte. 6. — Per concludere si può dire che la proposta di ridimensionamento dell’agglomerato « Incoronata » non trova giustificazione né 56 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE sotto il profilo della disponibilità delle forze lavorative né sotto quello delle risorse idriche, ma anzi questa localizzazione va guardata — nell’ambito della « direttrice » di sviluppo industriale dell’area centrale del sistema economico dauno — con estremo interesse in quanto capace di polarizzare e quindi di razionalizzare i nuovi insediamenti di piccole e medie imprese, che stanno sorgendo lungo tutte le strade statali. Anche questi si vanno disponendo in forma circolare attorno al capoluogo di provincia, tanto che richiamano alla mente l’analogo fenomeno « agricolo » e cioè l’anello orticolo ed arboricolo che circondava e circonda ancora molti comuni meridionali. 7. Per quanto attiene alle modalità dei collegamenti tra i diversi programmi di attività, è ben ricordare che il nostro modello di sviluppo si incentra sull’individuazione dei « punti di forza » caratteristici delle singole aree, uniformi quanto a « grado di importanza economica », cioè delle forme specifiche e concrete del loro sviluppo potenziale. Il concetto di « punto di forza » distintivo delle singole aree ha consentito la saldatura tra i due modelli: quello interpretativo dello stato attuale e quello programmatico dello sviluppo futuro. Si può meglio cogliere la natura e la funzione di questo strumento della pianificazione dello sviluppo economico, confrontandolo con le più significative forme di intervento pubblico nel Mezzogiorno: 1) preindustrializzazione; 2) realizzazione degli investimenti di base; 3) blocco degli investimenti. Partendo da quest’ultima si può dire che l’idea del « blocco degli investimenti » voleva essere un pas so avanti rispetto alla politica di pre-industrializzazione, basata su programmi di opere infrastrutturali. L’aumento della dotazione di capitale fisso sociale, nella misura in cui assicura un tipo di economie esterne, agevola il sorgere di nuove imprese industriali, ma solo in forma indiretta. La realizzazione di un investimento di base (una acciaieria o un impianto petrolchimico) assicura la disponibilità di materie prime, che — se trasformate sullo stesso luogo di produzione — provoca la diffusione a macchia d’olio del processo di industrializzazione. In questo senso, l’investimento di base costituisce un passo avanti, nella promo zione dello sviluppo industriale, rispetto ai programmi infrastrutturali. L’idea del « blocco d’investimenti » vuoi rispondere alla speranza di poter preterminare, previo accertamento delle tendenze di mercato dei singoli beni ottenibili dalla trasformazione della materia prima — 57 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ fornita dall’investimento di base, il gruppo di nuove imprese, di cui promuovere l’insediamento. Il blocco degli investimenti risulta, quindi, dalla somma di tutte queste imprese trasformatrici. E’ noto che questo tipo di programmazione ha fatto cattiva prova sul piano pratico, donde la ricorrente denuncia delle « cattedrali nel deserto » . A parte le difficoltà logiche di predeterminare con rigorosa esattezza il gruppo delle nuove imprese da far sorgere, stante la vasta gamma di possibilità tecniche di trasformare la materia prima prodotta dall’investimento di base con tutte le loro conseguenti variabili endogene ed esogene, corre obbligo di segnalare il limite di fondo di questo strumento operativo. La disponibilità in loco di questa materia prima modifica la situazione preesistente solo in quanto ne assicura il rifornimento ad un minore costo di trasporto. Quindi, il potere attrattivo dei suddetti investimenti di base si risolve, in pratica, nella sola diminuzione del costo di trasporto, cioè di una quota non molto incidente sul costo complessivo per le imprese nascenti. Già il grande invaso di acqua, che pure appartiene alla categoria degli investimenti di base, arreca un’innovazione più consistente, in quanto fornisce un bene diversamente non disponibile. Ciò non toglie che questa condizione più favorevole non è sempre sufficiente a rendere conveniente la trasformazione dell’ordinamento produttivo, cosicché l’acqua può continuare a scorrere nelle canalette senza essere utilizzata dalle aziende agricole. Il nostro modello, basato sull’individuazione delle forme di sviluppo potenziale, specifiche delle singole aree, è certamente meno rigoroso, dal punto di vista teorico, del modello basato sul concetto di «blocco di investimenti », fa intravvedere un maggior grado di realizzabilità, proprio perché seleziona i programmi di attività che esaltano le vocazioni delle singole aree, i loro « punti di forza » caratteristici. Ne risulta un piano di sviluppo, che si fonda sulla promozione di attività appartenenti a diversi settori produttivi e non già ad un’unica classe dell’industria manifatturiera, come è nell’ipotesi del « blocco di investimenti » . 8. — Uno sviluppo, basato sulla promozione di attività appartenenti a diversi settori produttivi, fa sorgere la necessità di precisare le linee fondamentali dell’armonizzazione, di questi programmi, quale risulta dal prefissato obiettivo dell’eliminazione degli esistenti squilibri settoriali e territoriali. Nelle recenti direttive comunitarie, in tema di ammodernamento 58 ___________________________________________________________PIANO REGOLATORE TERRITORI ALE delle aziende agricole, è contenuto un criterio selettivo delle misure di incoraggiamento che corrisponde appieno alla nostra ricerca di uno strumento Operativo atto a far raggiungere l’obiettivo dello sviluppo equilibrato. Si allude alla norma che stabilisce che le agevolazioni creditizie saranno accordate alle imprese che riusciranno a « presentare un piano di sviluppo capace di assicurare un reddito da lavoro pari a quello extra-agricolo della zona » . Per le zone economicamente non ancora sviluppate la specificazione « zonale » del parametro di riferimento può risultare poco efficace. In queste zone, infatti, il reddito da lavoro extra-agricolo supera di poco quello agricolo, cosicché la misura selettiva finisce per perdere il suo valore di stimolo a promuovere il sorgere di aziende agricole efficienti. Pertanto, una condizione per rendere valida — per le zone non ancora sviluppate — quest’interessante misura selettiva, può essere quella della presenza contestuale di un programma di sviluppo industriale. Nel nostro modello l’accentuazione del carattere urbanoindustriale dell’area centrale del sistema, attraverso l’insediamento di nuove imprese di grandi dimensioni e ad avanzato contenuto tecnologico assicura la condizione richiesta da un efficace funzionamento della perdita direttiva comunitaria. D’altro canto, la presenza di vasti comprensori irrigui di ormai prossima entrata in funzione costituisce la base su cui applicare le nuove misure di ammodernamento delle aziende agricole. Questa forma di collegamento tra i due programmi di sviluppo consente di raggiungere l’obiettivo dello sviluppo equilibrato, pur nell’accentuazione dei caratteri differenziali delle aree, in cui si suddivide il territorio dauno. Se è largamente accettata l’idea, secondo cui la sostanza dello sviluppo economico va rinvenuta nelle successive trasformazioni dell’apparato produttivo, ben diversa è stata la sorta della teoria, secondo cui lo sviluppo si svolge necessariamente la creazione di squilibri (Hirschman). Questa prospettiva non è accettata, nella misura in cui essa voglia indicare uno stato di fatto duraturo e permanente, perché finisce per essere in netta contraddizione con la diffusa aspirazione dello sviluppo equilibrato. Si tratta, perciò, di trovare il modo di rendere temporaneo quest’effetto dello sviluppo; solo così la creazione degli squilibri diventa 59 SALVATORE GAROFALO_______________________________________________________________________ accettabile quale condizione fondamentale dello stesso sviluppo. Ora, ancorare l’applicazione della perdita direttiva comunitaria alla contestuale applicazione « nella stessa zona » (in questo caso, l’intera provincia) di un programma di sviluppo industriale costituisce uno strumento valido per l’armonizzazione di due programmi di sviluppo. L’accentuazione del carattere urbano-industriale dell’area centrale dei sistema crea sì uno squilibrio, ma non tale da giustificare l’apprensione di accentuare il divario tra ricchi e poveri (Myrdal), in quanto questo squilibrio non fa altro che elevare il parametro di riferimento per la concessione delle misure di incoraggiamento alle aziende agricole, impegnate in programma di ammodernamento e quindi in ultima istanza — sollecitare una crescita equilibrata del settore e dell’area « agricola ». E’ facile intuire come il funzionamento di questo meccanismo di sviluppo si estenda anche all’area caratterizzata dal prevalere della attività turistiche. E’ significativo, a questo proposito, che tra le richieste avanzate dall’Aeritalia al Consorzio A.S.I. di Foggia figuri, in primo luogo, la disponibilità di suoli per residenze estive lungo il litorale adriatico adiacente all’ubicazione dell’impianto aeronautico. SALVATORE GAROFALO 60 CONVEGNO SUI « SERVIZI SOCIO-SANITARI» INDETTO DALLA AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI CAPITANATA Foggia, 23 febbraio 1977 (« Auditorium » della Biblioteca Provinciale) Introduzione del Prof. PASQUALE RICCIARDELLI, Assessore Provinciale all’Igiene, Sanità ed Ecologia. Signori convegnisti, vi rinnovo il mio cordiale saluto personale, in aggiunta a quello testé esternato dal Presidente, a nome suo e della Giunta Provinciale in carica da pochi mesi. Vi ringrazio della partecipazione ed auguro a noi tutti un proficuo lavoro culturale e politico. Il fine del convegno e del nostro incontro e del dibattito dev’essere — così noi crediamo — auspicio ed impegno ad affrontare subito, in modo responsabile e programmato, con la più larga partecipazione democratica, i problemi socio-sanitari complessivi della Capitanata. Prima di entrare nel merito, consentitemi di esprimere, in uno con l’affettuoso saluto, un vivo ringraziamento al Presidente ed all’Assessore alla Sanità della Provincia di Perugia, sia per la loro entusiastica adesione, sia per il contributo di idee, per vissuta esperienza, che certamente daranno al nostro convegno. In una provincia come questa di Capitanata — a parte la disputa culturale ed istituzionale in corso, circa la sopravvivenza o meno dell’Ente Provincia — ci pare preliminare e fondamentale, per la materia che andremo a trattare, prefigurare degli obiettivi ed indicare degli strumenti nuovi. Noi crediamo che, riappropriandoci innanzitutto del territorio, occorra procedere dal modello di società provinciale in cui viviamo, una società notoriamente « chiusa », non già per farne soltanto una denuncia, a volte fine a se stessa, ma per una riflessione critica, per avanzare 61 PASQUALE RICCIARDELLI_____________________________________________________________________ proposte innovatrici ed alternative al sistema, per avviare un discorso sociologico più corretto ed un dibattito che punta ad un’efficace organizzazione socio-comunitaria. Quindi, attraverso una serie d’indagini (alcune sono già in corso da parte della nuova Giunta provinciale), elaborare un programma e, conseguentemente, le relative forme gestionali democratiche. La programmazione, caratterizzata a breve, a medio ed a più lungo termine, deve avere due obiettivi: quello strategico (Bilancio pluriennale. Non più di 10 anni), e quello tattico-operativo (Bilancio a ciclo annuale, triennale e, al massimo, quinquennale). E’ ovvio che il Bilancio poliennale non può essere rigido, magari come quello annuale, ma dev’essere duttile, flessibile nel tempo, a seconda delle vicende storiche eventualmente maturate. Il discorso politico operativo conseguenziale dovrà tendere ad una pianificazione territoriale dei servizi socio-sanitari, onde recuperare i ritardi e superare le remore che si sono manifestate in questo specifico campo. Questa, a nostro avviso, è la metodologia da adottare, la quale, fondata sul concetto della « utilità sociale », porta a quella moderna « scienza locale » che oggi connota ed assomma tutti i valori dell’uomo, reintegrandolo di tutte le sue funzioni sociali. In questo modo, potrà compiersi la trasformazione della nostra « società chiusa », nella quale l’uomo è solo oggetto e vede menomati i suoi valori e diritti, in quanto socializza passivamente, subisce gli schemi socio-culturali di comportamento, quasi sempre parcellizzati e gerarchizzati. La « società aperta », quella nuova che dovrà originarsi attraverso la « scienza locale », potrà veramente essere, domani, una società a misura dell’uomo. Per le carenze ed i ritardi innanzi rilevati (dalla legge 132 alla 386, e dalla 431 alla 382, ecc.), il discorso politico va ampliato, deve diventare più rigoroso per chi deve operare e più critico nei confronti della classe dirigente, se si vuole concepire, d’intesa con le comunità, una pianificazione dei servizi socio-sanitari. 62 ______________________________________________________CONVEGNO « SERVIZI SOCIO - SANITARI » Con l’indagine avviata, la Giunta provinciale si propone di conoscere la scala dei bisogni socio-sanitari complessivi del territorio, e cioè: — quelli privati o individuali o soggettivi; — quelli pubblici o collettivi od oggettivi; — quelli sociali o di merito. Dai bisogni, poi, si dovrà passare all’esame delle domande scaturite e, da queste, all’apprestamento delle strutture e dei presidi sociosanitari, all’inserimento degli operatori idonei, ecc. t pleonastico ricordare che le domande variano a seconda della cultura del probabile fruitore dei servizi, ed anche a seconda della sua coscienza sanitaria, della sua maturità civile, della sua educazione politica. La domanda, comunque, è un momento importante di democrazia sociale e spetta all’Ente preposto o delegato (Stato, regione, provincia e comune) programmare ed operare perché la domanda stessa sia soddisfatta, senza peraltro prescindere da quelle iniziative e promozioni che l’indagine potrà suggerire nell’interesse della salute della comunità. Partendo dal concetto, da tutti i partiti democratici condiviso, che il bisogno sanitario è sociale, va da sé che i servizi socio-sanitari devono essere pubblici ed erogati in termini globali per quantità e qualità, al fine primario di fare salute, creando nel territorio della provincia una rete diffusa ed organica di filtri per la prevenzione, perché possa essere evitata l’insorgenza delle patologie. La nuova necessaria politica operativa non dovrebbe discostarsi da questi presupposti: 1) L’azione sociale deve costantemente mirare a far recuperare al cittadino ed alla comunità locale il proprio ruolo di autogestione dei bisogni e delle risorse; 2) la prevenzione dev’essere privilegiata nelle sue tre fasi: la primaria, in parte eziologica, che ha l’obiettivo di conoscere ed eliminare le casualità provocanti il disordine bio-psico-sociale e, in conseguenza, le situazioni socio-patologiche; la secondaria, ovvero l’intervento precoce; la terziaria, ovvero l’intervento per bloccare e soddisfare il bisogno; 63 PASQUALE RICCIARDELLI_____________________________________________________________________ 3) i servizi socio-sanitari, la loro organizzazione e la loro gestione, secondo la metodologia ed ottica nuove, non possono essere realizzati con le vecchia mentalità ed utilizzando operatori di formazione culturale e tecnica antica e sclerotizzata. La formazione dei nuovi operatori dev’essere contestuale con la programmazione e con l’organizzazione dei nuovi servizi. Quindi, va prevista e promossa la riqualificazione del personale, mediante corsi formativi, aggiornamento professionale e tecnico, seminari di studio, convegni, dibattiti, ecc. In altri termini, un forte movimento culturale e informativo, che deve coinvolgere anche le comunità della provincia. Queste, nelle linee essenziali, la visione, la piattaforma, la proposta concreta di politica socio-sanitaria dell’attuale Giunta, impegnata a recuperare i ritardi del passato, quasi aprendo una « vertenza » col passato (mi si lasci passare la espressione), nell’intento di trasformare e potenziare strutture e presidi ancora validi, ma oggi palesemente insufficienti e carenti, e di superare ed eliminare istituzioni fatiscenti e quelle socialmente disaggreganti e segreganti. Su questo grosso tema chiamiamo tutte le forze demo cratiche, le famiglie, le organizzazioni giovanili e femminili, i sindacati, i tecnici, gli operatori del settore e le autonomie locali a dibattere, a collaborare, a dare apporto d’idee, attraverso un movimento culturale, per realizzare prima e per gestire poi i nuovi invocati servizi. Solo così, tutti insieme, sarà possibile materializzare quella « scienza locale », che deve sollecitare una comune ricerca per interpretare correttamente il ruolo sociale di ognuno nell’ambito dei servizi per tutti. I cittadini, lo voglio ricordare a me stesso, sono i destinatari reali ed i soggetti veri dell’habitat sociale. Quindi, spetta a noi tutti rompere con la passata « società chiusa » per conquistarci una «società aperta » civile e giusta ed umana, dove non ci potrà mai essere posto per l’antico « esercizio del potere », ancorché pubblico, ma partecipazione della comunità sociale, che gestisce e fruisce ad un tempo dei servizi. Oggi, purtroppo, la società offre poco e male in questo delicato campo. Basti pensare all’Ente provincia gravato tuttora di molteplici compiti, non pochi dei quali macchinosi e dispersivi. 64 ______________________________________________________CONVEGNO « SERVIZI SOCIO - SANITARI » Ad esso sono affidati servizi sociali, compresi quelli per delega regionale, regolati ancora da vecchie norme, che poggiano su strutture vecchie e degradate, quando non sono di fortuna, e che non hanno alcuna articolazione assistenziale territoriale. Addirittura, alcuni servizi non hanno più motivo di essere, perché la particolare patologia che li ha originati (Tracoma, Tbc., ecc.) è inesistente o ridottissima e comunque non pregiudizievole o diffusa. Eppure, hanno continuato a sussistere nonostante l’inutilità e la costosa improduttività sociale. (L’attuale Giunta ha programmato di chiudere, di smantellare, di trasformare alcune strutture...). In questo contesto, non certo positivo, devono emergere ed esaltarsi i compiti nuovi delle Autonomie locali, il cui cammino è ancora lento e faticoso. Bisogna scrollarsi di dosso una brutta eredità e spetterà all’Ente Regione — che finora non ha operato con responsabile tempestività in questo campo — fornirei i necessari e idonei strumenti legislativi e amministrativi per tradurre in pratica i nuovi compiti emergenti. La Giunta provinciale, interprete della domanda, della volontà, dei diritti dell’intera comunità, ha iniziato un chiaro ed impegnato discorso con la Regione Puglia per accelerare i tempi di realizzazione di una moderna ed efficace rete territoriale dei servizi socio-sanitari. La presenza dei compagni ospiti di Perugia — e consentitemi il riferimento — mi ricorda che la Regione Umbria ha già operato incis ivamente in questo delicato ed importante settore, mediante proprie apposite leggi, quali la n. 8 e la n. 57 del 1974. In sintesi, fanno carico alla Provincia, in modo diretto o di riflesso o per delega: gli ex consultori dell’O.N.M.I.; l’I.P.P.I.; l’E.P.A. ed i centri medico-psico-pedagogici; il consorzio prov. antitubercolare e di medicina sociale; lo zooprofilattico, l’antimalarico, la polizia veterinaria, ecc. Ed inoltre: il Laboratorio d’igiene e profilassi, quello di analisi dei terreni, e tutte le incombenze di legge (la n. 319, o legge Merli) la difesa ambientale e contro l’inquinamento a qualsiasi livello. Una miriade di servizi e di strutture, quindi, da potenziare, o da 65 PASQUALE RICCIARDELLI_____________________________________________________________________ ristrutturare, o da trasformare, o da smantellare. La Giunta in carica ne è cosciente e sa anche che non è facile, ma bisogna andare avanti col programma politico-amministrativo che si è dato, procedendo con gradualità ed oculatezza nelle scelte. Le quali scelte, domani, dovranno essere calate nelle ULSS (Unità locali dei servizi sociosanitari) quando saranno costituite, secondo l’attesa riforma sanitaria nazionale, e nelle quali dovranno trovare collocazione tutti i presidi in difesa della salute e per garantire la vita, anzi una migliore qualità di vita. Spiace a questo punto rilevare, e d’altronde non può essere sottaciuto, che la Regione PUGLIA, cui sono demandate quasi tutte le competenze del settore, è in notevole ritardo in questo campo. L’Assessorato regionale, riprendendo un Piano ipotizzato in precedenza dal Comitato regionale di programmazione sanitaria ed ospedaliera, ha divulgato un primo piano (ipotesi), che le comunità hanno bocciato; ne ha formulato un secondo piano (ipotesi), altrettanto carente; pare ne stia predisponendo un terzo, ma di vero c’è che il ritardo si aggiunge ai ritardi e che nei documenti già noti non appare correttamente configurata 1’ULSSS. La mia parte politica — così in tanti documenti della sezione responsabile della direzione del P.C.I. — ritiene che l’ULSSS sia la risposta più idonea e complessiva da dare alle esigenze delle comunità e dei singoli cittadini che vivono in un « ambito territoriale » contestualmente da riassumere, se non già riassestato, sotto l’aspetto socioeconomico ed urbanistico. L’ULSSS deve tendere a costituire l’integrità della persona umana, fino ad oggi smembrata e manipolata dalle competenze settorializzate. Cioè, essa deve rifondare il rapporto globale tra l’individuo e la sua comunità per rendere le due entità compartecipi della vicenda esistenziale, in modo cosciente e reciprocamente responsabile. L’ULSSS è una conquista civile.Essa risponde alla più elementare esigenza di giustizia sociale in materia di servizi pubblici, in quanto essa esalta e ribadisce il diritto all’eguaglianza nei rapporti sociali, in base ai quali il cittadino, qualsiasi cittadino ed in qualunque realtà socio-territoriale, può fruire degli stessi servizi. 66 ______________________________________________________CONVEGNO « SERVIZI SOCIO - SANITARI » Per esemplificare, e trascurando i settori assistenziali di base e quello formativo-culturale e ricreativo, desidero qui considerare soltanto il settore della SALUTE affidato alla ULSSS, e che deve prevedere: — Tutela igienica, profilattica ed ecologica dell’ambiente (centri ed équipe socio-sanitari, medicina preventiva scolastica, malattie del lavoro, ecc.); — Consulenza eugenetica ed ostetrico-ginecologica prematrimoniale e familiare (consultori socio-familiari e pediatrici, tutela della madre e del bambino, educazione sociale e sanitaria della donna, ecc.); — Attività di educazione sanitaria ed alimentare scolastica ed extrascolastica (con educatori ed esperti di settore); — Tutela neurologica ed igiene mentale (centri ed équipe bio-psicosociali); — Consulenza e supporto medico-scolastico e ginnico-sportivo (ginnastica correttiva, ecc.); — Controllo sanitario e diagnosi precoce delle malattie sociali (centri diagnostici, dépistage, ecc.); — Consulenza, studi e ricerca di prevenzione geriatrica; — Tutela alimentare (servizio veterinario, servizio antisofisticazione alimentare, consulenza dietetica e controllo dell’idoneità degli alimenti, ecc.); — Assistenza sanitaria ed infermieristica domiciliare e ambulatoriale di pronto intervento (équipe sanitaria, centri di cura e riabilitazione [servizio extramurale e hopital day], poliambulatori di I livello... »; — Formazione del personale paramedico e coordinamento delle attività di tirocinio pre-professionale dell’operatore sanitario; — Raccordo con i centri di cura e riabilitazione ospedaliera e tutela del rapporto malato-struttura sanitaria (servizio di ricovero per diagnosi, cura e riabilitazione...). A questo punto, siccome il retroterra evidenziato mi pare possa consentire un ampio dibattito, che qui certamente si avrà, vorrei dedicare dei brevi cenni specifici al problema degli handicappati, dell’infanzia « particolare », degli anziani. 67 PASQUALE RICCIARDELLI_____________________________________________________________________ Per l’infanzia handicappata e per gli handicappati in genere, la Giunta sa che un grosso e non facile impegno l’attende. Tale impegno — a suo avviso e nel più ampio quadro dei Consorzi socio-sanitari, di concerto con la Regione Puglia che, purtroppo, non ancora marcia in tale direzione — dovrà portare alla realizzazione di un’assistenza sociale alternativa rispetto a quella o contro quella istituzionale ed emarginante. L’Ente Provincia dovrà tutelare integralmente la salute dei minori, scoprendo e rimuovendo l’handicap, vale a dire ogni causa dei disturbi psico-fisici, dando priorità alla prevenzione e creando, in conseguenza, i necessari presidi antidiscriminanti e antiemarginanti. E più precisamente, spetterà alla Provincia organizzare una rete di servizi sociali idonei anche al recupero ed al reinserimento dei « d i v e r s i » (sensoriali, disadattati, caratteriali, neurolesi, motulesi, ecc.) in strutture il più possibile « n o r m a 1 i », ove essi possano esprimere al meglio la loro personalità. E l’impegno sarà tanto più esteso ed oneroso (dalle strutture all’assistenza economica, ecc. ecc.) se si guardi alle condizioni obiettive della nostra Provincia, che è pressoché all’anno zero in questo specifico campo. Né sarà facile nell’attuale momento storico ed economico del Paese, a causa delle ristrettezze in cui versano gli EE. LL. (Non ultimo il decreto Stammati). Ostacoli e remore di vario genere saranno indubbiamente molte, ma la Giunta, nella sua responsabilità politica, li affronterà per superarli gradualmente, coinvolgendo nell’azione anche le comunità, onde colpire alla radice certe patologie sociali e aprire una nuova più giusta e più umana pagina nel campo dell’assistenza. Una delle prime tappe programmate dalla Giunta è quella di superare, e poi di smantellare, le scuole speciali, le classi differenziali, gli istituti cosiddetti di rieducazione psichica o psicomotoria, i quali tutti si sono palesati una vera e propria mistificazione tecnica ed anche l’esaltazione della filosofia dell’esclusione e della selezione. In prosieguo, la Giunta si propone di superare altresì i Centri medico-psico-pedagogici, utilizzando ciò che di essi può avere una vali- 68 ______________________________________________________CONVEGNO « SERVIZI SOCIO - SANITARI » dità sociale, e procederà contestualmente alla ristrutturazione dell’attuale Centro d’igiene mentale, per poi istituirne altri nel territorio. Insomma, il C.I.M. — nel passato, troppo spesso, veicolo naturale per la gabbia ortofrenica o manicomiale — non può più essere e non dev’essere solo un filtro tecnico, ma dovrà avere funzioni e finalità medico-sociali. I vecchi CC.MM.PP. e i CC.II.MM. dovranno diventare il moderno « SERVIZIO IN DIFESA DELLA SALUTE MENTALE », con i suoi tre momenti essenziali della « prevenzione » della « diagnosi e terapia » (attrezzando nel suo ambito anche una miniastanteria) e della « riabilitazione » per il susseguente inserimento dei soggetti riabilitati nel tessuto sociale e produttivo. In ultima analisi, codesto nuovo « SERVIZIO... » dovrà avere una congeniale collocazione e dovrà essere inserito in un progetto regionale di ricomposizione dell’intervento sociosanitario nel territorio (dai servizi sociali all’unità sanitaria locale), collaborando attivamente con tutti i servizi impegnati nella prevenzione (Medicina scolastica, medicina del lavoro, medicina perinatale e neonatale, diagnosi precoce dei ritardi psicomotori, tutela della maternità attraverso i consultori familiari, servizi per l’infanzia e l’età evolutiva, ecc.). Occorrerà anche una rete di servizi specializzati per la « educazione sanitaria » della popolazione, non solo per poter fare più salute e per tutelarla in generale, ma per un più specifico riguardo alle patologie perinatali ed alle cerebropatìe connatali. In questo processo s’innesta ovviamente il discorso sugli handicappati adulti, dei quali va privilegiato il momento del reinserimento nel tessuto sociale e familiare, predisponendo anche presidi nuovi ed alternativi, dalle comunità-alloggio, o focolari, ai servizi riabilitativi diurni, ecc., tutti finalizzati alla deistituzionalizzazione. Per l’infanzia istituzionalizzata — sia essa legittima ma di famiglia disaggregata, sia essa illegittima, o in stato d’abbandono, ecc. — appare ormai accreditato presso ogni mo derna corrente di pensiero sociopolitico che le conseguenze dell’istituzionalizzazione sono negative. E sono tanto più gravi sul piano psico-fisico, quanto più tenera è l’età del minore ricoverato e quanto più prolungata è la durata del ricovero. 69 PASQUALE RICCIARDELLI_____________________________________________________________________ Il ricovero in istituto, inoltre, può provocare e provoca scompensi sul piano affettivo, può ingenerare ed ingenera nel minore l’insicurezza, l’incapacità ad acquisire normali rapporti con gli altri, l’isolamento sociale e, talora, la lacerazione traumatica del sentimento umano. Vero è che la legge stralcio n. 431, del 5 giugno 1967, che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’adozione speciale, offre uno strumento deistituzionalizzante, ma esso non sempre è utilizzabile da parte degli operatori sociali, in quanto i possibili benèfici effetti dell’adozione non sono estensibili automaticamente a tutti i minori « custoditi » e ne fruiscono soltanto quelli in completo stato di abbandono morale e materiale o con rapporti familiari estremamente carenti. In ogni caso, anche l’adozione contemplata nel codice civile può agevolare il processo di deistituzionalizzazione. A prescindere dall’istituto giuridico dell’adozione, è necessario predisporre una rete capillare di servizi alternativi, capaci di sconfiggere l’emarginazione, che la logica istituzionale perpetua, ed attrezzarsi per favorire l’inserimento dei minori nella società. Questo il taglio politico che la Giunta intende dare al servizio sociale in difesa dell’infanzia « particolare », sia come promozione che per i compiti d’istituto, per i servizi ex OMNI e per quelli delegati dalla Regione. Inoltre, il servizio sociale avrà riferimento complessivo al territorio, ancorché la programmazione della Giunta, proprio perché a livello di Ente Locale, sia da inserire nel discorso comprensoriale e nella più ampia prospettiva regionale. Le soluzioni alternative devono poter privilegiare il mo mento sociale preventivo, attraverso la partecipazione ed il coinvolgimento della comunità sui problemi che al suo interno si manifestano. Quindi, un movimento ideale e culturale, informativo e formativo delle masse. Con tali presupposti sociologici e mediante più concrete e congrue modalità di sostegno, la Giunta ritiene che anche il reinserimento dei minori del nucleo familiare naturale o in quelli di affidamento potrà trovare una più corretta applicabilità. 70 ______________________________________________________CONVEGNO « SERVIZI SOCIO - SANITARI » Nella globale gradualità alternativa, possono essere mo menti di passaggio e di verifica, a seconda dei casi, dei bisogni, delle emergenze, ecc.: 1) Le strutture di base socio-assistenziali, con servizi articolati sull’intero territorio ed a zone, con un’équipe mo derna, preparata, dinamica, non sclerotica di personale, idonea all’indagine socioeconomica in ogni circostanza, oltreché ai delicati colloqui necessari, con intenti anche di formare una coscienza sociale pubblica. Le strutture, va da sé, devono essere in condizione, quand’occorra, di assistere economicamente, subito e bene, anche in via domiciliare; 2) Le forme alternative al ricovero dei minori, mediante affidamenti educativi a famiglie ed a persone singole idonee, oppure a gruppi o piccole comunità civili, di cui facciano parte madri naturali, spesso fuori della famiglia originaria per incomprensione. La stessa adozione, d’altronde, extrema ratio per i minori in totale abbandono, potrà essere riconsiderata ed ulteriormente ridimensionata. Spetta ai pubblici poteri, all’Ente Locale in prima persona, allestire tali presidi (gruppi - appartamenti, ecc.), affidandoli ai propri operatori sociali, che ne curano dall’interno e dall’esterno la funzionalità, rendendo partecipi della questione le stesse madri naturali, le famiglie eventualmente affidatarie, la comunità. In questo campo, nella nostra provincia, c’è molto da scoprire, fors’anche da inventare, certamente da provare e riprovare, ma nessuna distrazione deve ritardare il fine dell’alternativa alla istituzionalizzazione, perché i minori « particolari ». fruendo di un’organica assistenza complessiva, possano ritrovare la sicurezza affettiva e la loro socializzazione. Anche il problema degli anziani, attuale più che mai, va inserito in questa sintetica disamina sociologica, sebbene nella nostra provincia sembra che la situazione degli anziani non tocchi generalmente punti disaggreganti ed emarginanti. La tradizione, anzi una piuttosto solida costumanza familiare meridionale, offre pochi dati sconfortanti e sconcertanti nel delicato campo dei rapporti con gli anziani. Epperò, anche qui qualcosa scricchiola e va rompendo l’atavico equilibrio tra vecchi e giovani. La diversa mentalità delle nuove generazioni, il più moderno modo di vivere, le inquietudini di una società in disordinata 71 PASQUALE RICCIARDELLI_____________________________________________________________________ crescita, impongono la rimeditazione del problema geriatrico, che non è solo bio-fisiologico e medico, ma più precipuamente psicologico e sociologico. E’ un problema che l’Ente Locale deve, oggi, attentamente esaminare ed approfondire, prendendo atto di come la società vada modificandosi e deliberando, in conseguenza, opportuni e specifici provvedimenti. La Giunta ritiene di dover svolgere un’indagine conoscitiva per cogliere precisi elementi di futura programmazione ed azione promozionale. A livello di dibattito politico e di progettazione sociale, la Giunta ritiene altresì — a parte la necessaria assistenza socio-sanitaria, attraverso i presidi esistenti e che sono da potenziare — che possa essere propugnata la creazione di comunità-alloggi e l’insediamento di gruppi-appartamenti per vacanze, autogestiti o parzialmente autogestiti, in coadiuzione costante con i servizi sociali e sanitari dell’Ente Locale. Di codeste auspicate strutture — attrezzate ed ordinate con duttilità, liberamente e volontariamente utilizzate a richiesta dell’anziano, che potrà disposare la sua esistenza autonoma nella libera comunità alla convivenza alternata con i propri parenti — ne dovrebbero sorgere parecchie, utilizzando immobili di proprietà della Provincia, (esempio: l’edificio della Colonia dell’EPA di Candela, i locali ex IPPI, ecc.) e prendendo in fitto degli appartamenti nel capoluogo ed in altri centri. t nostra opinione che, così operandosi, verrebbe attuata la più concreta alternativa all’istituzionalizzazjone (ricovero per vecchi e per inabili, case cosiddette di riposo per anziani, mendicicomi e simili istituzioni). Senza dire, ed è ciò che più conta, che l’anziano troverebbe nel nuovo ambiente un’autonoma socializzazione, non si sentirebbe più emarginato o frustrato, e certamente non sarebbe più il « famoso » tollerato dei parenti, come spesso, purtroppo, egli è oggi considerato. Un impegnativo problema, quindi, che, senza miracolismi, merita una corretta e degna soluzione. Questo, in larga sintesi, l’impegno etico, politico e civile della Giunta, che pensa così di assolvere il mandato conferitole dalle comunità daune, con largo suffragio democratico. 72 ______________________________________________________CONVEGNO « SERVIZI SOCIO - SANITARI » Senza facili ottimismi — è opportuno ancora ribadirlo — ed anzi nelle mille difficoltà in cui si dibattono la nazione e gli EE. LL., la Giunta opererà nel pluriforme delicato settore sociale con responsabile umiltà, ma con ferma decisione, per migliorare, trasformare e creare nel territorio delle articolate strutture, intese a cambiare una realtà provinciale che non esiteremmo a definire paleosociale. 73 LA DROGA PROBLEMA SOCIALE NEI RIFLESSI DELLA CIRCOLAZIONE STRADALE PREMESSA Quando parliamo di droga alludiamo a quelle sostanze naturali o sintetizzate in laboratorio che, se ingerite, annusate, fumate o iniettate hanno la capacità di modificare la sfera senso-percettiva, l’umore, il comportamento e che danno dipendenza fisica (l’interruzione dell’assunzione della droga scatena la crisi di astinenza) o psicologica (bisogno inderogabile di ripetere l’esperienza). L’uso continuo della droga può danneggiare la salute fisica e psichica dell’individuo ed alterare il normale rapporto sociale. Vi sono droghe la cui vendita è libera, senza restrizione alcuna e che possiamo definire legali come l’alcool, gli psicofarmaci e droghe illegali, di queste ultime distinguiamo le droghe cosiddette leggere, che non danno dipendenza fisica, ma solamente psicologica, come la marijuana e l’hashish e quelle pesanti o dure con forte dipendenza fisica come la morfina e i l'eroina. Bisogna distinguere tre categorie di assuntori di droga: a) il consumatore occasionale, saltuario o abituale, ma di droghe leggere, che ha la possibilità di smettere facilmente; b) il farmaco - dipendente, che assume il farmaco regolarmente, ma senza esserne schiavo e può smettere anche se con qualche sforzo; c) il tossicomane, profondamente condizionato dalla ricerca dell’assunzione della droga da cui dipende, che diventa l’interesse primario ed unico della sua vita. C’è quindi una differenza fondamentale fra consumatori e tossicomani, fra chi si accosta alla droga saltuariamente e chi, invece, si lascia sempre più coinvolgere. LE DIVERSE DROGHE Amfetamine: Bennies o Crank o Speed. Sostanze chimiche sintetizzate in laboratorio ad azione stimolante centrale, che vengono assunte peros e per iniezione endovenosa. Gli effetti consistono nel prolungare lo stato di veglia e nell’eliminare le sensazioni di paura e di fatica. All’atto dell’assunzione esse provocano euforia, sentimenti di potenza, di invulnerabilità ed uno stato di grande eccitazione. Un uso prolungato dà insonnia, anoressia, irrequietezza, malattie mentali, caratterizzate da complessi di persecuzione. 74 _______________________________________________________________LA DROGA PROBLEMA SOCI ALE L’abuso può portare all’assunzione di dosi crescenti sino ad una vera e propria dipendenza fisica. L’interruzione dell’uso precipita il tossicomane in gravi stati di apatia e di abulia. Cocaina (o Naftalina o Neve). E’ una polvere bianca che viene estratta dalle foglie di coca, un arbusto che cresce negli altipiani andini, dove usano tuttora masticarne le foglie secche (cocaismo). Può essere annusata o iniettata per via endovenosa con soluzione acquosa. Viene spesso tagliata con anestetici locali come la procaina o con le amfetamine, caffeina o con droghe pesanti come l’eroina. Esiste una forma sintetica, la perfettina. Non viene più adoperata per le anestesie locali per il rischio della dipendenza psichica (non dà dipendenza fisica) e perché esistono analoghi molto più attivi. E’ lo stimolante naturale più potente del Sistema Nervoso Centrale (SNC) e gli effetti immediati della sua assunzione sono ebbrezza, euforia, sensazioni di potenza fisica seguiti da uno stato di apatia dopo venti-trenta minuti. L’uso prolungato porta all’asocialità, angoscia, deliri di persecuzione, allucinazioni visive ed auditive (sensazione di avere insetti sul corpo). OPPIACCI: OPPIO - MORFINA - EROINA Oppio: E’ il lattice, il succo vegetale estratto per incisione della capsula del Papaver soneniferum. Generalmente si fuma, ma è possibile l’assunzione peros, o per iniezione. Ha effetti atarassici, ipnotici e provoca, anche una diffusa sensazione di euforia. Dà una forte dipendenza fisica e psichica. E’ difficile nei paesi asiatici reperirlo allo stato puro, perché trasformato dai trafficantj di droghe nei suoi derivati, la morfina e l’eroina. Vi sono paesi come l’india, l’Iran nei quali è coltivato legalmente per uso farmaceutico. L’Unione Sovietica non lo produce più a causa dei rischi sempre più alti di diffusione clandestina. A Formosa può ancora trovarsi qualche oppiera. Morfina: Alcaloide naturale estratto dall’oppio. Viene somministrato per via endovenosa o intra-muscolo. E’ l’analgesico per eccellenza. La tolleranza, così la dipendenza fisica e psichica, si stabiliscono rapidamente. 75 VINCENZO FURORE___________________________________________________________________________ Eroina (o Cleval o Horse o Ero): E’ la diacetil - morfina, un derivato semi - sintetico della mo rfina, prodotto la prima volta dalla Bayer nel 1898 e proveniente dal Sud - Est asiatico, da quella zona che è chiamata il Triangolo d’oro (Laos - Birmania - Thailandia). Si presenta sotto forma di polvere bianca, facilmente solubile in acqua (la cosiddetta Bianca o Eroina n. 4). Esiste anche il tipo granulare detto anche zucchero scuro o Brown Sugar o Eroina n. 3. Può essere iniettata (specie per via endovenosa), annusata o fumata. La dipendenza si instaura più rapidamente quando è assunta per via endovenosa. I tagli dell’eroina con il lattosio, l’amido, il talco, prodotti innocui, con il chinino e con la stricnina, notevolmente tossici, sono la regola. Gli effetti provocati dall’eroina, le primissime volte sono piacevoli, tanto da designarli romanticamente « Luna di miele ». A piccole dosi determina una azione tranquillante e leggermente ipnotica. A dosi più forti, sensazioni di euforia ed il così detto flash, un intenso spasmo simile all’orgasmo. Sono abolite le sensazioni di fame e di sete, scompare l’ansia e il dolore. A causa del rapido instaurarsi della dipendenza fisica e psichica, al benessere iniziale si sostituisce uno stato di malessere che spinge l’eroinomane ad aumentare le dosi e la frequenza di assunzione. La sospensione brusca determina una grave crisi di astinenza, caratterizzata inizialmente da sonno agitato, tremori, nervosismo intenso. Dopo vomito, dolori addominali, diarrea, brividi, pallore e pelle d’oca (tacchino freddo). Detti fenomeni si verificherebbero perché l’assunzione di droghe ridurrebbe quantitativamente le endorfine o encefaline, sostanze simili alla morfina, normalmente presenti nel S.N.C., importantissime per l’equilibrio ed il benessere psico-fisico (Marghelli). La tossicità dell’eroina è dovuta alle sostanze con le quali viene tagliata. Non provoca danni irreversibli come l’alcool o il Methadone, che lede ampiamente i neuroni della corteccia cerebrale. Le morti sono dovute, generalmente, a super-dosaggio (overdose). In Italia si sono verificate 8 morti nel 1974; 26 nel 1975; 31 nel 1976; 40 nel 1978; più di 1.000 morti nel 1977 in tutta l’Europa. Methadone: composto sintetico derivato dalla morfina, disponibile in compresse, fiale o sciroppo. Gli effetti che produce sono molto simili a quelli dell’eroina ad eccezione del citato flash. E’ stato studiato intorno al 1950 come analgesico sostitutivo della morfina. Sì è incominciato ad impiegarlo per il divezzamento dei morfino- 76 _______________________________________________________________LA DROGA PROBLEMA SO CIALE mani e degli eroinomani a partire dal 1968, ignorandone la sua alta tossicità sulle cellule cerebrali, che vengono distrutte ed il rapido instaurarsi della dipendenza fisica e psichica. La disintossicazione, inoltre, richiede tempi molto lunghi. Le morti da Methadone sono state segnalate sin dal 1970. Il Cannabis: Le forme utilizzate del Cannabis medica o canapa mediana, una pianta il cui principio attivo è il tetraidro-cannabinolo, sono le seguenti: — l’hashish (o cubo o Savonette): è la resina delle infiorescenze della pianta. La qualità più pregiata è l’Afgano nero, altri tipi il libanese o il marocchina. Olio di hashish: estratto concentrato della resina. Marijuana (o Erba, o Mary-Jane, o Tea o Weed): trinciato di fiori e di foglie della pianta essiccata e i cui effetti sono molto meno forti di quelli dell’hashish. Il modo più comune d’assunzione del cannabis è fumano mischiato al tabacco o può essere masticato o perfino ingerito col cibo. Gli effetti iniziano con uno stato di euforia. Vi può essere modificazione della sfera percettiva, visiva ed auditiva fino a vere e proprie allucinazioni. A dosi forti si perde il controllo di se stessi, si annulla la nozione del tempo e dello spazio ed il senso della realtà. Si possono avere eccessi di riso irrefrenabile. Dopo alcune ore dell’assunzione del cannabis si cade in un sonno profondissima. Al risveglia vividezza dell’esperienza vissuta. Sembra che l’uso del cannabis produrrebbe dipendenza di natura psichica. Le opinioni sono discordanti circa lo sviluppo di turbe mentali in chi fa uso continuato di tale sostanza. C’è chi parla di possibili effetti tossici sui geni. Può essere letale se ingerite, in grandissime dosi. Può essere tagliato con paraffina, cera da scarpe, barbiturici. Allucinogeni: Vi sono allucinogeni naturali e sintetici. Dei primi annoveriamo: a) la mescalina, principio attivo contenuto nel Peiotl, cactus dell’America Centrale. Si può mangiare la pianta fresca o essiccata, oppure bere il liquido estratto; b) psilocibina, contenuto nel fungo messicano chiamato Teonanacatl. Dei secondi il più noto è l’LSD, la dietilamide dell’acido lisergico ottenuto da un derivato della segale cornuta. Si presenta sottoforma di liquido incolore ed inodore, ma si può trovare anche in pillole di diverso colore o in tavolette. In Italia è quasi scomparso perché sostituito prima dall’uso dell’amfetamina e poi dall’eroina. 77 VINCENZO FURORE___________________________________________________________________________ Gli effetti consistono in modificazioni dell’umore con indifferenza per il mondo esterno e modificazioni delle facoltà percettive (illusioni ed allucinazioni auditive o visive). Viene perduto il senso del tempo e dello spazio. Avvenimenti del passato rivivono con molta vividezza. Vi possono essere stati di euforia o di angoscia con reazioni imprevedibili. Come l’hashish dà solo dipendenza psichica. Si possono avere danni per overdose o perché i prodotti offerti non sono veri (ad es. associazione con la penciclidina, molto tossica). In soggetti labili predisposti si può slateretizzare uno stato prepsicotico, di solito di tipo schizofrenico. Da non trascurare quello che i tossicomani chiamano il bummer o cattivo viaggio. Se un drogato reagisce male all’assunzione dell’LSD può cadere in un tale stato di angoscia da avere reazioni imprevedibili; può diventare estremamente aggressiva anche nei propri confronti fino al suicidio. Circa i possibili effetti di anomalie generiche i pareri sono discordanti. Negli animali di laboratorio tali rischi esistono; nell’uomo non è possibile ancora, dalle osservazioni fatte, giungere a conclusioni definitive. Problemi individuali e sociali: Sempre dappertutto l’uomo ha fatto uso ed abuso di droghe. L’hashish, per esempio, è di consumo abituale, fin da epoche remote in non pochi paesi dell’Asia e dell’Africa del nord. Secondo Vierth (1967) la metà circa della popolazione del Marocca fa uso abituale di hashish. Caratteristiche di questi ultimi tempi è l’abuso di massa (Lenner) e l’estensione dell’uso delle droghe in tutti gli ambienti ed in tutte le età. Le ragioni della corsa alla droga sono individuali e sociali. Tra le individuali annoveriamo: a) Il bisogno, la curiosità dei giovani di sperimentare tutto; b) la ricerca del piacere. Protian nel suo studio sull’alcoolismo ris alendo alla fine del secolo scorso, aveva notato come l’inclinazione a trarne godimento dai narcotici ed euforizzanti rappresenta « ... una generale qualità umana ... » ed aggiungeva che « ... una gran parte dell’umanità fa uso delle sostanze alcoliche per soddisfare questa tendenza ... ». Ciò significa che la tendenza verso questa particolare modalità d’esperire non può essere il marchio di individui devianti, ma una caratteristica peculiare immanente ad ogni uomo. c) risposta all’incapacità di autorealizzarsi sul piano della storicità individuale; 78 _______________________________________________________________LA DROGA PROBLEMA SOCI ALE d) ricerca e speranza di stimoli atti ad incrementare l’attività intellettiva ed artistica.La droga viene intesa e vissuta in questi casi come una possibilità offerta all’uomo di utilizzare meglio le proprie possibilità e di slatenizzare le recondite e reposte facoltà psichiche; e) ricerca e bisogno intenso del mistico, della pace e dell’amore universale; f) bisogno di un rapporto più umano e soddisfacente con l’universo, con la natura e con gli altri esseri umani, secondo quanto espresso e predicato da Timothy Leary, ideologo americano della droga attorno agli anni « 60 »; g) ricerca della droga con presunzione di difesa da un bisogno, da una sofferenza sia di ordine somatico che di ordine psicologico e morale; difesa da una situazione penosamente vissuta dalla quale il soggetto tende a sottrarsi. Tale ricerca è dettata da profonde motivazioni psicologiche individuali, quali la depressione e l’ansia, sentimenti esistenti già prima dell’impatto con la droga (Iervis). Secondo Ancona il desiderio della droga rappresenterebbe: « ...una sorta di protezione esistenziale originaria quasi come il seno della madre per il bambino... ». Delle motivazioni sociali annoveriamo: a) Crisi dei valori tradizionali con la mancanza di regole fisse di comportamento. b) Guadagno d’identità sociale « ... molti giovani, specie se sottoproletani non hanno nulla, neanche una ipotesi di identità sociale. A questo punto è meglio essere drogati che nessuno... » (Madeddu); c) La crisi di occupazione con mancanza di un ruolo sociale e conseguenti difficoltà materiali e di integrazione nella società; d) Crisi di disordine familiare. Il 51% di tossicomani appartiene a famiglie in crisi. e) Stress provocati dalla civiltà tecnico-industriale con impoverimento dei rapporti inter-personali. f) Pseudo filosofia del consumismo con dipendenza dagli oggettiidolo proposti dai mass-media: TV, automobile, seconda casa, calcio, sesso... La droga così è « ... solo un prodotto del sistema... e del menù quotidiano delle frustrazioni e delle consolazioni di tutti ... » (Jervis). Per ciò che concerne la politica della droga nel mondo giovanile, si deve sottolineare il passaggio dall’uso delle droghe socializzanti per eccellenza, come il cannabis, che non si può usare se non in gruppo, all’eroina che si consuma da soli in una esperienza squallidamente solitaria. Sono scomparsi lo spirito e l’adesione a gruppi, i fermenti di contestazione ed hanno preso posto il lasciarsi andare ed il lento morire, come un ennesimo aspetto della civiltà del consumismo sotto il beneplacito dei trafficanti di droga e del grande capitale che alimenta il mercato. 79 VINCENZO FURORE___________________________________________________________________________ Note critiche sulla Legge del 22 Dicembre 1975, n. 685. Tale Legge tra i punti salienti sancisce il diritto del tossicomane all’assistenza sanitaria e quindi ad essere trattato come un malato; istituisce i cosiddetti centri antidroga; distingue i consumatori dallo spacciatore con la depenalizzazione del primo e misure più severe per il secondo; stabilisce programmi di prevenzione, come l’informazione nelle scuole. Volendo fare il bilancia della citata legge, a 4 anni dall’entrata in vigore, bisogna lamentare l’inesistenza ancora in Italia dei Centri antidroga, mentre si fanno sempre più numerose ed attive le comunità terapeutiche ed i centri di solidarietà privati (il cui riconoscimento è previsto dall’art. 94 della Legge 685/1975). Ormai noti in Italia il Gruppo Abele a Torino, la Comunità Nuova a Milano e il Centro Italiano di Solidarietà a Roma. A questi Centri di solidarietà i tossicomani si rivolgono più spesso sfiduciati dell’assistenza sanitaria pubblica. Si pensi che nella provincia di Milano si sono avuti 900 ricoverati nel 1976; 500 nel 1977 e solo 30 nei primi mesi del 1978. Della prevenzione nei quartieri nemmeno l’ombra; scarsa l’informazione nella scuola. Sono discutibili infine questi articoli della 685 che danno la facoltà al giudice di punire chi offre droga, chi l’acquista, chi la trasporta, chi non confessa il nome del venditore e soprattutto l’articolo 80 che depenalizza il tossicomane in possesso di « .. .una modica quantità per uso terapeutico... », peraltro non definita. Tali articoli essendo vaghi e generici hanno già portato a condanne di tossico-dipendenti. Pertanto una legge varata per proteggerli e difenderli si ritorce come un boomerang a loro danno. Ad esempio Fausto, 20 anni, sottoproletario romano, non avendo voluto confessare ai giudici il nome di chi gli aveva procurato una cartina da un grammo di eroina è stato condannato a 8 mesi di reclusione per favoreggiamento e falsa testimonianza. Augusto di Roma, trovato in possesso di mg. 0,15 di eroina è stato rinviato a giudizio per direttissima. (Dal dossier « La droga in Italia » pubblicato da Panorama N. 653/1978). Droga e circolazione stradale. La guida di un autoveicolo da una parte è legata ad automatismi acquisiti, dall’altra coinvolge quelle opere intellettive che sono l’attenzione, la percezione e le stesse facoltà critiche. Presuppone inoltre l’integrità della psico-motricità con capacità di pronta risposta agli stimoli esterni. 80 _______________________________________________________________LA DROGA PROBLEMA SOCI ALE Tutte le funzioni che possono essere compromesse dall’assunzione delle droghe, dall’alcool, e dagli stessi psicofarmaci. Dalle osservazioni e dagli esperimenti condotti si è visto che gli effetti della marijuana si possono paragonare a quelli dell’alcool: rallentamento dei riflessi e dei tempi di reazione, prolungamento di notte dei fenomeni di abbagliamento, interferenza con le varie manovre di guida, induzione di un significativo numero di errori (Crancer 1969), stato di euforia; quest’ultimo, indotto anche dal cannabis nelle fasi iniziali, abolisce la consapevolezza dei rischi, rende il tossicomane spericolato ed irresponsabile, lo carica di aggressività, facendo lievitare sommamente i suoi sentimenti di potenza e di invulnerabilità. Pericolosi, inoltre gli effetti di tipo depressivo: (riduzione delle capacita attentive e percettive, minore valutazione dei rilievi e delle distanze, minore rapidità di tempi di reazione) conseguenti a quelli del primo stadio dell’euforia. E’ significativo che negli Stati Uniti si ricerca già la presenza di tracce di tetracannabinolo, principio attivo della canapa indiana, nei soggetti coinvolti in incidenti automobilistici, così come viene fatto per l’alcool. Anche gli effetti degli allucinogeni — allucinazioni uditive e visive, perdita della nozione del tempo e dello spazio, alterazione del senso di posizione nello spazio (sensazione di essere librati nell’aria), sindrome di astinenza, bummer, richiamano e imprimono subito alla mente l’immagine del potenziale di pericolosità della condotta di guida del tossicomane. L’articolo 132 del Codice Stradale vieta di guidare in stato di ebbrezza da alcool o da sostanze stupefacenti, non contemplando quelle modificazioni psichiche — turbe psico-sensoriali, anomalie della coscienza dell’io, anomalie del tempo e dello spazio — che possono disturbare una guida corretta e trasformare quindi il guidatore in un vero e proprio delinquente colposo. Consegue, da quanto suddetto, una incompletezza del termine ebbrezza ed una necessità di intenderlo in maniera estensiva e comprensiva di altri stati psico-patologici. Lo stesso articolo 132 del Codice Stradale non fa riferimento ad alcuno degli accertamenti clinico-tossicologici, restando così, del tutto inoperante. E’ notorio come sia possibile dall’esame dei liquidi biologici (urina e saliva) e dalla ricerca di tracce rilevate dalle mani, indagare con i moderni metodi di indagine (spettrofluorometria e gas-cnimatografia) se vi è stata assunzione di droga da parte del guidatore. Non è possibile, invece, il prelievo del sangue, perché l’articolo 13 della Costituzione sancisce l’inviolabilità della libertà personale. Sarebbe auspicabile, come già attuato nell’ambito sportivo, ai fini della prevenzione stradale l’attuazione pratica dell’isolamento delle varie sostanze stupefacenti dai liquidi biologici, considerando che « . . . una volta emessi, costituiscono un bene disponibile e quindi non 81 VINCENZO FURORE___________________________________________________________________________ rientrante nel concetto di ispezione corporale, anche senza il consenso dell’avente diritto, come sancisce l’articolo 310 del Codice di Procedura Penale... » (Melino). VINCENZO FURORE ∗ BIBLIOGRAFIA CARMINE MELINO, « Le sostanze stupefacenti e la circolazione stradale ». Rivista Securitas 1971, n. 10. DANIEL X. FREEDMAN, « Sull’uso e l’abuso dell’L.S.D.» da dell’adolescente, Armando Editore. Roma 1975. LEONARD NEFF, « Sostanze medicinali e loro effetti sull’io dell’ adolescente », Armando Editore. Roma 1975. DOSSIER, « La droga in Italia ». Panorama n. 653, ottobre A. SEMINARI, « Tossicomanie », Trattato di psicopatologia e Firenze - Il Pensiero Scientifico. Roma 1972. OLEEVENSTEIN, « La droga che cos’è ». Salani Editore 1977 MARINO, « Psiconeuro Farmacologia e Farmacologia Psicosomatica ». Vallardi Editore 1974. MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, « Aggiornamento sul problema della droga » - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Roma 1978. ARIETI, « Manuale di Psichiatria ». Boringhieri Editore 1969. BINI & BAZZI, « Trattato di Psichiatria ». Vallardi Editore 1972. THOMAS B. BOTTOMORE, «Sociologia ». Il Mulino 1971. BENEDETTI, « Psiconeuro fisiologia ». Feltrinelli Editore 1976. DELAY - PICHOT, «Compendio di Psicopatologia ». Giunti - Barberi Editore 1965. CARGNELLO, «Alterità e Alienità ». Feltrinelli Editore 1966. JAN - CLAUDE POLAK, « La Medicina del Capitale ». Feltrinelli Editore 1973. GIOVANNI BERLINGUER, « Malaria Urbana Patologia della Metropoli ». Feltrinelli Editore 1977. ∗ VINCENZO FURORE è nato a Foggia il 7 luglio 1929. Medico ed esperto di problemi di medicina sociale e preventiva, attualmente ricopre la carica di Direttore del Consorzio Prov.le Antitubercolare e Centro di Medicina Legale Sociale e Preventiva di Foggia. 82 DOCUMENTI FALSI PER LA STORIA DI FOGGIA Un cornicione cade: è il segno premonitore di crollo di un intero edificio? Muri solidi, pietra viva, strutture complesse non bastano a definire una diagnosi. Anche nell’uomo la vecchiaia si annuncia spesso, con la disfunzione di un organo solo, in soggetti dall’apparenza talvolta ancora aitante. Allora un esame generale s’impone, perché la diagnosi possa essere riferita ad un quadro clinico organico e razionale. Agli interventi si deciderà di conseguenza, per settori o nell’insieme, a seconda dell’esito della diagnosi stessa. E’ questo il caso del « palazzaccio » sul Lungotevere, a Roma. Gli uffici di giustizia sono stati trasferiti in altra sede. L’edificio è chiuso al pubblico. Vi accedono solo ingegneri ed architetti, per accertamenti, indagini, prove, verifiche e calcoli. Esami lunghi, impegnativi, scientifici che richiedono tempo e specializzazioni, studi e sperimentazioni, saggi e rilievi, decisioni unitarie e progetti particolareggiati. Solo così la « patologia delle murature » trova mezzi per esprimersi con chiarezza e pronunciare la sua ultima parola. I restauri, in questo modo, possono dare esiti definitivi, duraturi, rassicuranti e garantire un recupero con interventi straordinari, differibili di secolo in secolo e non di anno in anno. La procedura è corretta. Nessuno avanza commenti polemici o critiche sterili, perché il rispetto della persona umana impone sistemi di massima garanzia per l’incolumità pubblica. Altri esempi sono possibili. 83 UGO JARU SSI_________________________________________________________________________________ A Bari gli archi di imposta di una grande volta presentano lesioni per spinte, non sufficientemente eliminate, nel Palazzo della Camera di Commercio. Il dissesto non è ancora allarmante. Nessun crollo ancora si è verificato. Tuttavia non è proprio necessario differire gli interventi al manifestarsi difatti eclatanti. L’edificio viene chiuso al pubblico. Gli uffici trasferiti. Gli studi per accertamenti e ristrutturazione della volta e dell’intero complesso durano a lungo; finalmente si ha notizia di un prossimo appalto, a quattro anni circa dal provvedimento cautelativo di sgombero dell’edificio. A Parma ed a Napoli il museo della « Pelota » ed il Museo Nazionale di palazzo reale sono stati chiusi al pubblico per lavori di ristrutturazione e ridistribuzione dei locali, senza che nemmeno si lamentassero dissesti di qualsiasi genere. Perché tanto zelo? Evidentemente si ritiene incompatibile con gli impianti ed i rischi di cantiere la presenza, in edifici da restaurare, di folla e di utenza. A parte i pericoli per la incolumità delle persone non addette ai lavori, la presenza di questi non può che nuocere al buon andamento ed all’efficienza di qualsiasi organizzazione tecnica, impegnata in delicati e difficili interventi murari. A Foggia, invece, si pensa diversamente. A Foggia si possono rischiare morte e procedimenti penali, per la presunzione critica di saccenti e per scarsa prudenza di pubblici amministratori. Il palazzo della Dogana, in piazza XX settembre, presenta consistenti segni di dissesto, vecchi e nuovi, stabilizzati e dinamici, generali e di settore, per cui si ha giusto motivo di temere per la sua sorte e per i suoi occupanti. Non a breve scadenza. I movimenti in atto sono a lento decorso. Ma quando questi fatti cesseranno di consentire dilazioni, diventano pericolosi? Nessuno azzarda una data; intanto mensole pensili minacciano di precipitare, volte spaccate si aprono semp re di più, rotazioni per spinte rovesciano pilastri e murature, mentre nuove lesioni si aggiungono alle vecchie e segni evidenti di schiacciamento si localizzano in cantonali ed in sezioni insufficienti. 84 __________________________________________________DOCUMENTI FALSI PER LA STORIA DI FO GGIA Da circa un secolo si lavora, giorno per giorno, per consolidarlo e ristrutturarlo, riadattandolo, di volta in volta a Tribunale, a Scuola, a Prefettura, a Federazione dei « Fasci » e ad Uffici della Provincia. Ogni intervento costituisce motivo di nuovi insulti, di inserimenti forzati, di conseguenze imprevedibili, di squilibri, di sottrazione od aggiunta di nuovi carichi. E si procede sempre con metodi irrazionali ed onerosi, intervenendo spesso col sistema della somma urgenza, a ripristinare plaffoni che crollano, a ricostruire con elementi misti un solaio in legno marcito, a sostituire una lunetta cadente od una capriata scatenata, a consolidare uno schiacciamento, a riprendere un tratto delle fondazioni, od a riequilibrare la spinta di una volta, senza che nessuno di questi interventi, settoriali e distanziati nel tempo, possa essere coordinato con l’altro. Il tutto si svolge secondo sistemi illogici, all’insegna dell’adattamento occasionale, con metodi artigianali, frettolosi, empirici ed improvvisati. Spesso, consigli e progetti dell’Ufficio Tecnico vengono disattesi; tutti sono esperti, tutti decidono, tutti credono nella invulnerabilità di un edificio che non può più sopportare inutili violenze. E finalmente, quando la protesta di muri sofferenti diventa disperata con scricchiolii e nuove lesioni, si decide lo sgombero dei locali, su suggerimento di una commissione tecnica altamente qualificata, all’uopo nominata dall’Amministrazione Provinciale, che non può più ignorare le relazioni dell’Ufficio Tecnico e l’urgenza di una situazione divenuta ormai critica e tesa. Ma lo sgombero non porta all’inerzia. L’edificio, imponente e monumentale, ha, nella sua stessa mole, i caratteri che lo classificano tra le opere più decorose e rappresentative della Città. Non per fatti d’arte, certamente minori se non proprio insignificanti, ma per importanza storica e per prestigio di tradizioni. 85 UGO JARU SSI_________________________________________________________________________________ Sicché l’indirizzo verso il recupero integrale dell’edificio è unanime. Vengono predisposti i necessari progetti. La Soprintendenza ai Monumenti di Puglia, alla cui tutela l’edificio è affidato, esprime il suo parere favorevole, appone sugli atti tecnici il suo visto di approvazione ed autorizza l’inizio dei lavori. A questo punto sorge il fatto nuovo. Viene pubblicato un libro: titolo, « Palazzo Dogana, dalle origini ai nostri giorni »; autore Vincenzo Salvato (Ediz. Leone - Foggia). Sotto la pomposa presunzione di una ricercata presentazione storica il libro nasconde l’insidia dell’intento scandalistico e si conclude con argomenti non informati a rigore scientifico e di banale impostazione libellistica. Non sono state fatte verifiche di stabilità, nè prove di cantiere, saggi od indagini accurate. Tuttavia si condannano persone ed autorità esposte nelle decisioni dello sgombero, affermando che non esistono dissesti in atto, e che l’edificio può continuare tranquillamente ad essere abitato. E si creano, per sostenere questo assunto, documenti falsi per la storia della Città. L’edificio era già stato sgomberato, quando il 3 dicembre 1975 vennero collaudati, con esito positivo, alcuni lavori eseguiti al secondo piano del palazzo stesso. « Perché mai — si domanda l’autore del libro — dopo un così favorevole collaudo ancora si insiste in posizioni sbagliate e non si decide la rioccupazione dei locali ed il rientro degli Uffici? ». L’autore, però, non ha precisato che il collaudo del 3 dicembre 1975 si riferisce a lavori per ripristino di pavimenti e di dipinture, eseguiti prima dello sgombero; si tratta quindi di un collaudo amministrativo e non tecnico e comunque relativo ad opere portate e non portanti; di un collaudo che, in pratica, non dice niente a proposito della stabilità dell’edificio e non porta contributi al suo consolidamento. Del resto, secondo l’autore stesso l’edificio non abbisogna di consolidamenti, ma solo di rari interventi settoriali, perché ha resistito imperterrito al terremoto del 1975. Terremoto che, per la verità, a Foggia non fece danni di nessuna 86 __________________________________________________DOCUMENTI FALSI PER LA STORIA DI FO GGIA specie, rispettando persino i ruderi ben più cadenti che, a ricordo dei bombardamenti bellici del 1943, ancora numerosi costellano la città. E ancora, per sostenere l’efficienza del vecchio stabile, l’Ing. Vincenzo Salvato afferma che in palazzo Dogana si potrebbe rientrare con sicurezza e tranquillità, continuando ad abitarlo senza pericoli, così come continua ad essere abitato, da sempre, il decrepito palazzo dei signori di Civitella, nel vico omonimo, a Foggia. Ancora un documento falso? Forse. Ma si tratta di errore volontario, lapsus calami o disinformazione, la cosa non ha importanza. Conta invece il fatto che il palazzo dei Signori di Civitella non esiste più; il Salvato scrive nel 1976, mentre il palazzo venne demolito nel 1960, per motivi di pubblica incolumità. Non perché presentava dissesti più gravi di quelli di palazzo Dogana, ma solo per evitare la continua occupazione abusiva di immigrati, che ignorando le condizioni statistiche dell’edificio, esponevano al continuo rischio di responsabilità penali le autorità del Comune di Foggia. Il palazzo della Dogana, per nostra fortuna, non ha mai presentato situazioni così delicate e legalmente preoccupanti. Dopo lo sgombero nessuno lo minaccia di occupazione abusiva, nessuno ne propugna la demolizione, tutti lo vogliono consolidato e rimesso a nuovo, per restituirlo al governo della Provincia ed alla dignità storica del Centro antico di Foggia. Allora perché tanto scalpore? Perché non si vuole accettare lo sgombero per esigenze di cantiere? Perché incoraggiare azioni avventurose avallate da argomenti falsi e pseudo scientifici? Pur non presentando pericoli imminenti di generale crollo, esistono sezioni pericolose, ed in ogni modo le condizioni statiche di palazzo Dogana presentano la necessità di interventi consistenti e globali, organici e coordinati, che solo in assenza di utenti si possono garantire. Lo sgombero è giustificato, soprattutto, dalle complesse esigenze di un cantiere destinato a difficili sviluppi, con rischi gravi per tutto 87 UGO JARU SSI_________________________________________________________________________________ ciò che potrebbe essere considerata estranea intrusione. Oggi è l’ora di perorare la causa dei finanziamenti, dell’inizio dei lavori, dei successivi appalti, del loro coordinamento verso intenti collimanti e razionali. Scandali e pettegolezzi non possono portare che danni e nocumento ad uomini e cose. Il rientro in palazzo Dogana prima dei necessari consolidamenti compromette la sua sorte, perché i lavori necessari ed ormai indifferibili, non potrebbero più essere eseguiti secondo le regole dell’arte, della tecnica e della scienza. Nuovi problemi si creerebbero, nuove difficoltà si opporrebbero alla loro risoluzione, i vecchi dissesti avrebbero partita vinta e fatti nuovi si verrebbero a sovrapporre ai vecchi, nell’incertezza di un recupero che potrebbe diventare sempre più difficile e sempre più dispendioso per l’amministrazione della cosa pubblica. E’ questo che vuole l’Ingegnere Vincenzo Salvato? A quanti vorranno dargli credito la difficile risposta! La risposta e le pesanti responsabilità che da essa derivano, perché gli esempi di Roma e di Bari, di Parma e di Napoli costituiscono testimonianze inoppugnabili di un mo nito unico, che non può e non deve essere ignorato. UGO JARUSSI 88 LE ORIGINI DI SAN SEVERO (FOGGIA) ALLA LUCE DELLE INDAGINI ARCHEOLOGICHE Agli inizi degli anni ‘60 si è formato in San Severo un primo sparuto gruppo di appassionati di storia e archeologia che doveva poi dar vita, nel 1965, al Centro di Studi Sanseveresi1 . Allora ben poco si conosceva sulle antiche popolazioni che abitavano le nostre contrade2 ed ogni ritrovamento archeologico nell’ambito della città finiva invariabilmente per essere collegato alle sue leggendarie origini. Era l’epoca delle interminabili polemiche sull’ubicazione di Ergitium e del mitico Castrum Drionis3 e mentre la tradizione dotta vedeva in Diomede il nobile fondatore della città, era molto diffusa la convinzione che un tempo San Severo sorgeva sulle rive del Fortore 4 . In questi anni, nuovi ed importanti capitoli si sono aggiunti alla storia cittadina5 , mentre altri ritrovamenti archeologici ed una più cor- 1 La costituzione di questa associazione si deve in particolar modo all’iniziativa dell’avv. Umberto Pilla, all’epoca Direttore della Biblioteca Comunale di San Severo. Nel 1974 il Centro di Studi Sanseveresi ha fondato anche una sezione locale dell’Archeoclub d’Italia. 2 Solo dopo la costituzione a Foggia, nel 1965, di un ufficio staccato della Soprintendenza alle Antichità della Puglia, diretto dai coniugi Tinè, è cominciata in Capitanata una organica attività di ricerca, che in pochi anni ha delineato gli aspetti fondamentali dell’archeologia dauna, dalla preistoria all’età romana. La collaborazione del Centro Studi con la Soprintendenza iniziò immediatamente, con la segnalazione della scoperta del villaggio neolitico di Guadone. 3 Cfr. A. Russi, Un asclepiade nella Daunia-Podalirio e il suo culto tra le genti daune, in Archivio Storico Pugliese, XIX (1966), 1-1V, p. 275 e segg. e in particolar modo la nota 15. 4 Si tratta evidentemente di un ricordo distorto del trasferimento della cattedra vescovile da Civitate a San Severo nel 1580. Spesso all’origine di « tradizioni » di questo tipo ci sono notizie errate tratte dalle cronache dei secoli scorsi. Notare, a tal proposito, come si può prestare ad una ambigua interpretazione una frase tolta da un diario di viaggio del 1683: « Fu fatta città (San Severo) da Gregorio XIII essendo rovinata l’antica, che si chiama anche oggi Civita, vicino a S. Paolo... ». Cfr. T. NARDELLA, La Capitanata in una relazione per visita canonica di fine seicento, in Rassegna di Studi Dauni, III (1976), 1-2, p. 79. 5 I risultati delle ricerche di questi ultimi anni sono stati in parte pubblicati nei cinque numeri del «Notiziario » edito dal Centro di Studi Sanseveresi e nel numero unico « Attualità Archeologiche », del 1975, dell’Archeoclub di San Severo. 89 VITTORIO RU SSI______________________________________________________________________________ retta interpretazione dei reperti rinvenuti in passato ci hanno permesso di inquadrare in un preciso ambito cronologico le varie fasi di occupazione dell’area dove ora sorge San Severo. Questi studi e ricerche non hanno risolto il problema delle origini della città e, a nostro parere, non lo risolveranno mai definitivamente, in quanto riteniamo che il concetto di origine vada sostituito con quello, più corretto, del divenire di un centro abitato6 . Rari sono gli insediamenti nati da una precisa programmazione7 , anche se la scelta di un determinato sito è necessariamente legata a certe situazioni ambientali e a particolari necessità economiche e di difesa. Se poi gli eventi si dimostrano favorevoli, il primitivo nucleo si espande, con uno sviluppo spesso discontinuo ma difficilmente così incisivo da permettere di individuare il « momento » in cui l’insediamento si è trasformato in una determinata entità urbana. In mancanza di fonti storiche attendibili, uno studio diretto a chiarire le varie fasi del divenire di un abitato si presenta piuttosto problematico e l’indagine archeologica può dare un contributo tanto più valido quanto più la ricerca viene condotta con precisi criteri scientifici8 . Nel nostro caso ci troviamo in presenza di ritrovamenti in buona parte occasionali e non sempre sufficientemente documentati, ma la casistica fortunatamente è abbastanza ampia da permettere di trarre delle conclusioni attendibili. Anche se la presenza di insediamenti preistorici nel sottosuolo di San Severo non può essere messa in alcun modo in relazione con presunte origini della città, non possiamo tralasciare di sintetizzare le scoperte più importanti avvenute negli ultimi anni. Nell’agro sanseverese sono stati localizzati più di sessanta villaggi neolitici9 , che coprono praticamente quasi tutta la serie cronologica 6 Su questo concetto cfr. i vari studi presentati nel volume « Archeologia e Geografia del Popolamento », Quaderni Storici, 24, Ancona 1973. 7 E’ il caso di alcune antiche colonizzazioni. Per il Medioevo abbiamo in Capitanata l’esempio della fondazione di Manfredonia nel XIII secolo. 8 Solo uno scavo stratigrafico eseguito su un’area sufficientemente estesa può delineare con una certa precisione il succedersi delle varie culture, evidenziando anche eventuali periodi di abbandono del sito, difficilmente avvertibili dall’esame di reperti archeologici raccolti in superficie. 9 Cfr. V. Russi, Note di Preistoria e protostoria sanseverese, Notiz. del Centro Studi Sanseveresi, Dicembre 1968, p. 9 e segg. — Ib. Il villaggio neolitico di Orsello, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, Marzo 1971, p. 2. — Ib. Insediamento neolitico trincerato presso San Severo, Riv. Scienze Preistoriche, XXVII (1972), 2, p. 410 e segg. — Ib. Segnalazioni nella Riv. Scienze Preistoriche: Vol. XXI (1966), 2, p. 430 e segg. — Vol. XXII (1967), 2, p. 450 e segg. — Vol. XXIII (1968), 2, p. 419 e segg. — Vol. XXIV (1969), 2, p. 475 e segg. — Vol. XXV (1970), 2, p. 428 e segg. — Vol. XXIX (1974), 1, p. 259.— Vol. XXXII (1977), 1-2, p. 344 e segg. — E. M. DE JULIIS, Scavo di una capanna preistorica in loc. 90 _____________________________________________________________LE ORIGINI DI S. SEVERO (FO GGIA) nota per questo periodo nel Tavoliere, dal VI agli inizi del III millennio a. C10 . Di questi caratteris tici insediamenti, racchiusi entro uno o più fossati concentrici11 , ci interessano più direttamente quelli di Guadone e di S. Rocco, individuati alla periferia orientale della città dai soci del Centro di Studi Sanseveresi rispettivamente nel 196512 e nel 197213 . L’ipotesi che potesse trattarsi di un unico grande complesso14 è stata in parte confermata da successive scoperte, anche se il gran numero di fossati, spesso intersecantisi, emersi durante lavori edilizi, possono anche riferirsi a due o più villaggi di epoche diverse e in parte sovrapposti15 . Nell’interno dei fossati, dei pozzi e delle altre cavità16 venute Casone, Riv. Scienze Preistoriche, XXVII (1972), 1, p. 117 e segg. — A. PERNA, Tracce di antichi insediamenti in loc. Demanio - S. Ricciardo, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, Ottobre 1974, pp. 1-2. — R. PASQUANDREA e A. MASSELLI, I ritrovamenti preistorici alla mass. Casone, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, Marzo 1971, p. 1. — A. MASSELLI, L’insediamento neolitico di mass. Li Gatti, in Attualità Archeologiche, Dicembre 1975, p. 47 e segg. — A. GRAVINA, Fossati e strutture ipogeiche dei villaggi neolitici in agro di San Severo, in Attualità Archeologiche, Dicembre 1975, p. II e segg. 10 Cfr. S. TINE, La civiltà neolitica del Tavoliere, Atti del Colloquio di Preistoria e Protostoria della Daunia (1973), Firenze 1975, p. 99 e segg. 11 Sulla funzione di questi fossati sono state esposte varie teorie, tra le quali: Difesa del villaggio; conservazione dell’acqua piovana o sorgiva; drenaggio di un terreno eccessivamente umido. Quest’ultima ipotesi è quella che attualmente viene considerata come la più probabile, anche se non è stato affrontato adegua tamente lo studio delle falde idriche superficiali del Tavoliere, un tempo molto più salmastre di oggi e che dovevano rappresentare un grave problema per l’agricoltura primitiva dei Neolitici. 12 Cfr. V. Russi, Gli scavi nel villaggio preistorico di Guadone, Il Corriere di Foggia, 10-12-1965. — Ib. Il villaggio neolitico di Guadone, Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi, Giugno 1966, p. 8 e segg. — S. Tinè, I nuovi scavi in località Guadone, Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi, Dicembre 1967, p. 5 e segg. — Ib. Alcuni dati circa il sistema di raccolta idrica nei villaggi neolitici del Foggiano. Atti della XI e XII Riun. Scient. dell’Ist. Ital. di Preistoria, Firenze 1967, p. 69 e segg. 13 V. Russi, Altro villaggio preistorico a San Severo, Corriere di S. Severo, 10-71973. — Ib. nella Rivista di Scienze Preistoriche, vol. XXVII (1972), 2, p. 466. 14 V. Russi nella Rivista di Scienze Preistoriche, vol. XXIX (1974), 1, p. 259. 15 La sovrapposizione di più insediamenti neolitici è stata rilevata in varie località. Nell’agro di San Severo abbiamo l’esempio di Coppa Pallante, mentre il complesso più noto del Tavoliere è quello di S. Vito, a Nord-Est di Foggia, con ben nove villaggi trincerati in parte sovrapposti e visibili sulle fotografie aeree. 16 Le cavità a grotticella, interpretate come cisterne o. più esattamente, come depositi per cereali o altre derrate, sono venute alla luce in gran numero nelle contrade Guadone e S. Rocco. In una di queste, sezionata da uno sbancamento nel 1977 sul lato Ovest di via Lucera, è stato rinvenuto un cranio umano neolitico, ora esposto nell’Anti91 VITTORIO RU SSI______________________________________________________________________________ alla luce nella zona, sono stati rinvenuti numerosi reperti, tra cui frammenti vascolari del Neolitico antico e medio 17 . In altri punti della città sono venuti alla luce vasi frammentati di impasto preistorico, ma solo alla periferia settentrionale di San Severo, all’inizio della strada per Apricena, si è avuta conferma dell’esistenza di un altro villaggio neolitico con ceramica impressa18 . Nell’area dell’insediamento di Guadone, nelle fondazioni della nuova ala delle scuole elementari di via Mazzini, nel 1971, sono stati rinvenuti reperti riferibili ad una delle prime fasi dell’età del Bronzo (Protoappenninico B), da collocarsi cronologicamente nella prima metà del secondo millennio a. C19 . Ritrovamenti di questo periodo sono poco frequenti nella pianura del Tavoliere 20 in quanto, a differenza dei villaggi neolitici collegati quarium comunale di San Severo. Cfr. F. NARDELLA - V. Russi, Resti di uomini preistorici scoperti a San Severo, Corriere di S. Severo, 20-1-1978. Nella contrada S. Rocco sono state trovate cavità di forma rettangolare, scavate a livello della « crusta », simili a quelle rinvenute durante gli scavi nel villaggio neolitico di Passo di Corvo. Numerose anche le sezioni di probabili fossati a « C » e di trincee perimetrali. Non tutte, però, le cavità contenenti repert i neolitici risalgono effettivamente ad epoca preistorica; durante gli scavi del 1965 nel villaggio di Guadone si trovarono trincee e gallerie per estrazione dell’argilla, probabilmente collegate ad una fornace medievale, che erano state ricolmate col terreno circostante contenente ceramiche neolitiche. Cfr. V. Russi, Antiche fornaci di San Severo, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, Marzo 1971, pp. 4-5. 17 Sono ceramiche a decorazione impressa, con motivi geometrici incrostati da una sostanza rossa, caratteristici della « facies » che da questo villaggio ha preso il nome di « Guadone ». Sono presenti anche ceramiche nere o brune a superfici levigate, insieme a qualche frammento di figulina dipinta a fasce rosse non marginate. 18 V. Russi, Insediamento preistorico scoperto in San Severo, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, 1978. 19 Questi reperti, tra cui un’ansa con appendice asciforme, sono stati raccolti ad una profondità di circa 3 mt nella sezione di una profonda cavità apparsa nelle fondazioni del lato orientale delle scuole elementari. Nella terra di riempimento, molto scura e sciolta, si trovarono anche ossa umane, ma non fu possibile appurare se si trattava di una tomba perché in quel punto affiorava una falda d’acqua che aveva allagata la trincea di fondazione. Cfr. V. Russi nella Rivista di Scienze Preistoriche, vol. XXVI (1971), 2, pp. 490-491. 20 In agro di San Severo ricordiamo l’insediamento inedito dell’oliveto di Torre dei Giunchi e la tomba a grotticella, con corredo di tre vasi del « Protoappenninico A », venuta alla luce presso la masseria Casone nel 1970, durante scavi effettuati dalla Soprintendenza alle Antichità in collaborazione con il Centro di Studi Sanseveresi. Cfr. E. M. DE JULIIS, Recenti rinvenimenti dell’età dei metalli nella Daunia, Atti del Coll. Intern. di Preistoria della Daunia (1973), Firenze 1975, p. 235 e segg. — R. PASQUANDREA, Sepoltura della prima età del Bronzo presso la mass. Casone, Boll. Int. del Centro di Studi Sanseveresi, Ottobre 1974, p. 2. 92 _____________________________________________________________LE ORIGINI DI S. SEVERO (FO GGIA) ad una economia prevalentemente agricola, l’attività essenzialmente pastorale dell’età del Bronzo comportava anche un certo nomadismo, per cui troviamo accampamenti provvisori nelle zone di pascolo e insediamenti fortificati stabili sulle alture e in località facili da difendere da attacchi di altri gruppi di nomadi21 . L’età del Bronzo nella nostra regione è perdurata fin verso il 1000 a. C., anche se i riflessi dell’ultima « facies », quella subappenninica, si riscontrano spesso anche nella successiva età del Ferro, caratterizzata da un progressivo ritorno all’agricoltura. Di questa importante fase di transizione non abbiamo per ora alcuna testimonianza nell’agro di San Severo 22 . Tra i reperti più antichi rinvenuti nell’area della città, e che possiamo considerare protostorici, ricordiamo quelli della necropoli dauna di via F. D’Alfonso, venuta alla luce nel 1968 nelle fondazioni di un edificio all’angolo col viale 2 Giugno23 . Da tre tombe sconvolte dallo scavo si recuperarono alcuni vasi di impasto bruno lucidato, altri a decorazione dipinta in stile geometrico (di cui uno solo tornito) e due di importazione: una oinochoe trilobata, di bucchero pesante etrusco-campano, e una kylix incompleta di tipo ionico. Si trovarono anche dei grandi anelli piatti di bronzo, decorati con cerchietti impressi24 . Se so esclude qualche oggetto di datazione ancora incerta, la maggior parte dei reperti di questa necropoli è riferibile al VI secolo a. C. e ben si accorda, tipologicamente, con i corredi delle quattro tombe daune di Guadone, scavate nel 196525 , e di altre venute successivamente alla luce alla periferia meridionale ed occidentale della città. Nella necropoli di via F. D’Alfonso (ora via Checchia Rispoli) lo scavo aveva anche sezionato un fossato largo superiormente circa 4 mt e 21 Cfr. V. Russi nella Rivista di Scienze Preistoriche: Vol. XXIX (1974), 1, p. 259 — Vol. XXX (1975), 1-2, pp. 389-390. — Vol. XXX (1976), 1, p. 315. 22 La tomba dell’età del Ferro più antica rinvenuta nei pressi di San Severo è quella di contrada Serpente, che conteneva bronzi e vasi del « geometrico japigio » databili all’VIII secolo a.C. Cfr. R. PASQUANDREA, La tomba japigia di via Serpente, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, Ottobre 1974, pp. 3-4. —E. M. DE JULIIS, Recenti rinvenimenti protostorici nella Daunia, Atti del Coll. Intern. di Preistoria della Daunia (1973, Firenze 1975, p. 322. — Ib. in Studi Etruschi, vol. LXII (1974), p. 527. — Ib. La ceramica geometrica della Daunia, Firenze 1977, tav. LVIII, LIX/A, XCIII/A, CIII/B. 23 Cfr. A. MASSELLI - R. PASQUANDREA, La necropoli dauna di via F. D’Alfonso, nel Notiziario dei Centro di Studi Sanseveresi, Dicembre 1968, pp. 18-22. 24 Anelli dello stesso tipo, provenienti dalla necropoli etrusca di Satricum, sono esposti nella sala XXXII del museo di Villa Giulia a Roma. 25 Cfr. G. CLEMENTE, La necropoli dauna di Guadone, Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi, Giugno 1966, pp. 15-19. — E. M. Da JULIIS, La ceramica geometrica della Daunia, Firenze 1977, tav. LXIII/E, LXXIV, XCIV/B, XCV/A. 93 VITTORIO RU SSI______________________________________________________________________________ profondo oltre 3 mt, con una parete a scarpata e l’altra con due alti gradini26 . La forma e le dimensioni ricordano le note trincee neolitiche, ma nell’interro si trovarono solo frammenti vascolari di tipo dauno ed ellenistico. Altri fossati simili, ma di minori dimensioni, sono venuti alla luce nel 1969 nelle fondazioni del vicino cinema Cicolella, insieme a reperti dauni27 . Trincee di questo tipo sono apparse anche nell’area della necropoli ellenistica di masseria Casone, 6 Km a Sud-Est di San Severo, insieme a piccoli fossati che sostenevano le fondazioni lignee o in mattoni crudi di edifizi che sorgevano nella zona precedentemente alla necropoli28 . In base a questi dati si può presumere che nei pressi di via F. D’Alfonso sorgeva un abitato dauno, attorniato da una vasta necropoli, perdurato almeno sino alla fine del IV secolo a. C., come si deduce da numerose tombe a fossa, coperte da tavelloni di terracotta e contenenti reperti di età ellenistica, venute alla luce alcuni decenni or sono nel tratto iniziale della stessa strada e, più recentemente, in via Teano Appula e in altre zone adiacenti. Nulla conosciamo sulla conformazione e l’estensione di questo abitato preromano29 , ma se consideriamo che oltre alle tombe a cui abbiamo accennato, e che sono tra le poche sufficientemente documentate, numerose altre sono venute alla luce un po’ dovunque nell’attuale area urbana30 , dovremmo ipotizzare, di conseguenza, l’esistenza di un centro di notevoli dimensioni31 . 26 Alcune delle grandi trincee circolari o ellittiche visibili nelle aerofotografie del Tavoliere e attribuite ad insediamenti neolitici pare appartengano, invece, a fattorie e villaggi dauni. 27 Un fossato presentava un andamento parallelo a via F. D’Alfonso; in sezione si notavano le pareti a scarpata, con una larghezza di circa 3 mt nella parte superiore ed una profondità di mt 2,50 dal piano stradale. Un altro fossato, ad andamento curvilineo, era largo superiormente circa 2 Int. Nell’interro di queste trincee e di altre cavità di incerta natura, si trovarono frammenti vascolari di epoca dauna. 28 A. MASSELLI - R. PASQUANDREA - V. Russi, La necropoli di masseria Casane, Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi, Dicembre 1975, pp. 9-30. 29 Sulla struttura degli insediamenti dauni cfr. F. TINÈ BERTOCCHI, Formazione della civiltà dauna dal X al VI sec. a.C., in Atti Colloquio Intern. di Preistoria della Daunia (1973), Firenze 1975, pp. 271-285. — E. M. DE JULIIS, Caratteri della civiltà daunia dal VI sec. a.C. all’arrivo dei Romani, in Atti Coli. cit., pp. 286-297. 30 Cfr. V. Russi, Nuove tombe daune scoperte nella zona di San Severo, Corriere di Foggia, 7-7-1966. — M. JAFISCO, Ricordanze e studi su San Severo, 1970, dattil. depos. nella Biblioteca Comunale di San Severo. 31 Da una lettera della Soprintendenza alle Antichità dell’1-6-l966, nell’archivio del Centro di Studi Sanseveresi, apprendiamo che oltre alla necropoli dauna scoperta verso il 1934 in una cava di argilla su via Fortore, un’altra è venuta alla luce nella vicina contrada Guardia Santi-Cappuccini. E’ possibile, perciò, che un altro insediamento dauno, non necessariamente coevo al primo, sorgesse poco a Nord di San Severo. 94 _____________________________________________________________LE ORIGINI DI S. SEVERO (FO GGIA) Per quanto riguarda la datazione di questo insediamento, non disponiamo di alcun dato che accerti la sua persistenza ininterrotta dal VI al IV-III secolo a. C. Inoltre, la disposizione apparentemente disordinata delle sepolture di età ellenistica32 , spesso trovate frammiste a quelle daune, fa pensare più ad una casuale sovrapposizione di tombe di epoche diverse anziché alla naturale espansione di una stessa necropoli33 . In ogni caso, non pare che l’abitato sia sopravvissuta in età romana34 in quanto nessun resto di costruzioni o di sepolture di tale periodo è stato mai rinvenuto in San Severo. Le cinque epigrafi funerarie romane che si trovano murate in alcune chiese e case della città35 sono da considerare come materiale reimpiegato a scopo edilizia e proveniente da località archeologiche più o meno vicine36 , Lo stesso dicasi per i due bassorilievi con scene gladiatorie che sono alla base del campanile della chiesa di S. Giovanni Battista, che il Bartoccini37 ritiene trovarsi originariamente nell’anfiteatro di Lucera, mentre con più verosimiglianza provengono dal sito di Teanum Apulum, antica città ripopolata nel Medioevo col nome di Civitate38 , i cui ruderi sono stati usati per secoli come cava di materiale da costruzione39 . 32 La statuetta di bronzo rappresentante Ercole, rinvenuta sotto la vecchia sacrestia della chiesa di S. Giovanni Battista, proveniva probabilmente da una delle tombe di età ellenistica, coperte da tavelloni di terracotta, della necropoli, venuta alla luce nel tratto iniziale di via F. D’Alfonso. Il reperto si trovava nella terra di riporto utilizzata probabilmente nel ‘700 per riportare il pavimento della chiesa al livello della strada. Cfr. L. BICCARI, La statuetta di Ercole nell’Antiquarium di San Severo, in Attualità Archeologiche, Dicembre 1975, pp. 51-53. 33 In alcuni casi le necropoli erano disposte per settori, ma in genere si sviluppavano dalla periferia dell’ abitato verso l’esterno, per cui le sepolture più vicine sono di norma anche le più antiche. 34 Nella Daunia sono numerosi gli insediamenti abbandonati o distrutti verso la fine del IV e nella prima metà del III secolo a.C. Le cause appaiono molteplici, in parte riferibili a fattori politici ed economici collegati alla conquista romana della regione e in parte agli eventi bellici della seconda guerra Punica. 35 Un accurato studio di queste epigrafi e di numerose altre rinvenute nel territorio dell’antica Teanum è stato pubblicato da A. Russi, Teanum Apulum —Le iscrizioni e la storia del Municipio, Ist. Ital. di Storia Antica, vol. XXV, Roma 1976. 36 Di queste epigrafi. quella murata nel fabbricato all’angolo di via A. Fraccacreta con via S. Severino proviene da Lesina. Cfr. A. Russi, op. cit., p. 112. 37 R. BARTOCCINI, Anfiteatri e gladiatori di Lucera, in Japigia, VII (1936), f. 1, p. 36. 38 V. Russi, Tiati - Teanum Apulum - Civitate, Corriere di Foggia, 6-7-1967. 39 Della stessa opinione appare il De Ambrosio nelle sue Memorie storiche della città di San Severo, Napoli 1875, p. 98. 95 VITTORIO RU SSI______________________________________________________________________________ San Severo nel Medioevo faceva parte della diocesi di Civitate, che venne poi traslata nella nostra città. E' plausibile, perciò, che parti architettoniche dell’abitato abbandonato siano state qui trasportate, come nella vicina S. Paolo Civitate, in particolar modo per la ricostruzione degli edifizi distrutti dal forte terremo to del 30 luglio 162740 . Con ciò non escludiamo che nel sito, abbastanza vasto, dell’attuale San Severo non potesse trovarsi almeno una fattoria romana41 come tante altre individuate nei dintorni. C’è anche da considerare che quì si incrociavano due antiche strade, rilevate con l’ausilio delle aerofotografie 42 : una, proveniente da Teanum Apulum, che si dirigeva a Sud-Est in direzione di Arpi, passando per il sito di Casalenovum43 e l’altra, che veniva da Lucera e andava a Nord, forse a Lesina, toccando un altro antico centro presso Apricena44 . Dopo i recenti studi sulla viabilità romana della Daunia, è venuta meno anche l’ipotesi che San Severo possa aver avuto origine da Ergitium, una statio riportata nella Tabula Peutingeriana lungo la via Litoranea adriatica, a XVIII m.p. da Teanum Apulum e XXV m.p. da Sipontum45 . Le aerofotografie mostrano la traccia di questa strada, che passava circa 5 Km a Nord di San Severo 46 e attraversava il torrente Candelaro nei pressi della masseria Brancia, nelle cui vicinanze dovrebbe essere localizzata Ergitium. Sembra ormai certo che la nostra città si è cominciata a formare almeno verso l’XI secolo, dato che in quello successivo appare nei documenti come una entità urbana ben definita. I reperti medievali più antichi rinvenuti nel sottosuolo di San Severo sono costituiti da pochi frammenti di ceramiche invetriate e protomaioliche riferibili al XII e XIII secolo 47 , contemporanee, cioè, alle 40 Cfr. A. LUCCHINO, Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di San Severo e terre con vicine, Foggia 1930. 41 Recentemente sono stati recuperati alcuni frammenti vascolari tardo-romani alla periferia settentrionale della città, tra la SS. Garganica e la « via vecchia di Sannicandro ». 42 G. ALVISI, La viabilità romana della Daunia, Soc. Storia Patria per la Puglia, vol. XXXVI, Bari 1970, F. 155 I.G.M. 43 V. Russi, Casalenovum - Un antico abitato pugliese, in Rassegna Pugliese, IV (1969), 6-8, pp. 320-329. 44 V. Russi, Collatia e i primordi di Apricena, Il Gargano, XVII, Marzo 1966. 45 Nell’itinerario Ravennate questa «statio » è chiamata « Egritio », mentre nella Geografia di Guido è indicata come « Ergicum ». 46 Lungo questa strada, che probabilmente ricalcava tracciati più antichi, è venuta alla luce una necropoli di età ellenistica sulla riva destra del Candelaro. Cfr. V. Russi, La necropoli di contrada Pedincone, in Attualità Archeologiche, Dicembre 1975, pp. 59-67. 47 Sulla cronologia delle ceramiche medievali pugliesi cfr. G. MAETZKE, Problemi relativi allo studio della ceramica dell’Italia meridionale nei secc. XI-XIII, in Atti del II Congr. di Studi Normanni. Bari 1977, pp. 79-100. 96 _____________________________________________________________LE ORIGINI DI S. SEVERO (FO GGIA) prime notizie storiche accertate48 . Isolato nel contesto dei dati archeologici e storici appare, invece, un bassorilievo altomedievale di cui non conosciamo l’originaria collocazione, ma che attualmente si trova murata in un cortile al n. 34 di via Roma 49 . Il rilievo, incompleto sul lato sinistro, raffigura certamente due coniugi e deriva, stilisticamente, dalle «coppie » che appaiono in alcuni monumenti funebri romani. La forma della testa, a « pera rovesciata » e la stilizzazione delle pieghe delle vesti ci porta a raffrontare questa scultura con rilievi similari di età tardo imperiale e longobarda50 . I secoli e il disastroso terremoto del 1627 non ci hanno lasciato nessuna testimonianza architettonica anteriore al XIII secolo 51 . Anche la facciata laterale della chiesa di S. Severino, di stile romanica-pugliese, è databile alla prima metà del ‘200, contemporanea, cioè, alla facciata principale, che reca sul portale la data 122452 e che si presenta più spoglia forse perché non venne completata. t noto che questa e le altre chiese della città vennero demolite per ordine dell’imperatore Federico Il, verso il 1230, per punire una ribellione. S. Severino è stata ricostruita verso la fine del XIII secolo 53 e probabilmente a quell’epoca risale la trasformazione a croce latina, attuata spostando al livello esterno del campanile la facciata laterale e ricavando così l’area per il transetto destro; mentre, per quello sinistro venne utilizzato lo spazio disponibile, di forma alquanto irregolare 54 . 48 Cfr. T. LECCISOTTI, Il « Monasterium Terrae Maioris », Montecassino 1924. — P. CORSI, Le pergamene dell’Archivio Capitolare di San Severo, Bari 1974. — V. Russi, San Severo di Capitanata e San Severo beneventana, Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi, Dicembre 1975, pp. 31-34. 49 V. RUSSI, Il bassorilievo altomedievale di via Roma, Il Corriere di S. Severo, 17-1977. 50 Cfr. S. FERRI, L’arte romana sul Danubio, Milano 1933. — L. GRONGHI, Le sculture altomedievali di Massa Marittima, in Critica d’Arte, Ottobre 1968, p. 44. 51 Anche una data incisa su una lastra di pietra murata in vico s. Benedetto e riportata da M. Fraccracreta come anno 1018 è risultata invece 1618. Cfr. V. Russi, Una antica data sanseverese, Il Corriere di Foggia, 11-2-1965. — Ib. Una data controversa, Il Progresso Dauno, 29-2-1968. 52 P. CORSI, L’epigrafe medievale di San Severo ad un vescovo di Molfetta. in Rassegna di Studi Dauni, III (1976), 3, pp. 55-71. 53 Il 21 maggio 1295 i cittadini di San Severo chiedono al re Carlo II d’Angiò il permesso di utilizzare le pietre del diruto « palatium Bello Videre apud Sanctum Severum », già appartenuto a Federico II, per ricostruire S. Severino e le altre chiese fatte abbattere dallo stesso imperatore. La richiesta viene accolta ed i lavori eseguiti alla fine dello stesso secolo o agli inizi del ‘300. Non sappiamo, però, quali elementi architettonici del palazzo svevo di Belvedere, che doveva trovarsi sul lato Ovest della città, siano stati effettivamente inseriti nella chiesa di S. Severino. 54 I lavori di restauro della chiesa hanno portato alla luce alcune strutture medievali, nascoste dai rifacimenti successivi. 97 VITTORIO RU SSI______________________________________________________________________________ Il sito della città di San Severo doveva presentare in antico delle caratteristiche che lo rendevano particolarmente idoneo all’insediamento umano. Abbiamo visto sorgere durante la preistoria più villaggi neolitici e probabilmente uno dell’età del Bronzo, intervallati da lunghi periodi di abbandono. In seguito troviamo uno o più abitati dauni, in parte perdurati o rioccupati in età ellenistica. Del periodo romano non abbiamo dati sicuri, ma è probabile che il primitivo insediamento, dal quale si è poi sviluppata San Severo 55 , possa aver avuto origine da qualche fattoria tardo antica dislocata lungo un antico tracciato stradale, come si è potuto constatare per altri siti medievali della zona56 . Sull’estensione e ubicazione di questi nuclei altomedievali non possiamo che fare delle ipotesi. Poco ci può dire la fotografia aerea, a causa della trasformazione urbanistica avvenuta nel nostro centro storico dopo il disastroso terremoto del 1627. Un tracciato ellittico che racchiude le chiese di S. Severino e S. Nicola 57 sembra delineare una primitiva borgata imperniata su una direttrice N.N.W.S.S.E. rappresentata dall’attuale via Angelo Fraccacreta58 . L’indagine archeologica ha cominciato a fornire alcune interessanti indicazioni59 , particolarmente sui fossati difensivi, che sono stati più volte colmati e rifatti seguendo l’ampliamento dell’abitato; tra l’altro, sembra confermata la tradizione dell’esistenza di un vallo lungo il perimetro del cosiddetto « giro interno ». Concludendo, i dati che abbiamo esposto non ci hanno dato, per ora, indicazioni risolutive sulle origini della città, ma adesso conosciamo alcuni momenti essenziali del suo divenire che potranno servire come base per ulteriori ricerche. VITTORIO RUSSI 55 Sulle varie ipotesi riguardanti le origini della città cfr. il Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi del Giugno 1972 e, in particolare: U. PILLA, Castellum Sancti Severini e Castrum Sancti Severi (pp. 61-83) e A. CASIGLIO, Sanctus Severus e Sanctus Severinus (pp. 85.96). Inoltre: M. FUIANO, Città e Borghi di Puglia nel Medioevo, Napoli 1972, p. 105 e segg. 56 Cfr. V. Russi, Insediamenti medievali in territorio di San Severo, Notiziario del Centro di Studi Sanseveresi, Giugno 1972, pp. 7-25. — Ib. La Motta della Regina, Notiziario di Archeologia Medievale, Genova, Settembre 1973, pp. 8-10. — Ib. nell’Annual Report of Medieval Village Research Group, Univ. of Birmingham, 1976, p. 51. — Ib. I casali medievali di San Severo, Il Progresso Dauno, 13-5-1976. 57 Tracce di un profondo fossato sono venute alla luce dietro la chiesa di S. Nicola. Cfr. V. Russi, Ritrovamenti sotto la chiesa di S. Nicola, Corriere di S. Severo, 10-91974. 58 E’ da notare che anche le altre due antiche chiese di San Severo: S. Maria e S. Giovanni Battista, presentano l’ingresso originario rivolto a N.N.W. 59 Cfr. V. Russi, Scavi in via S. Benedetto, Bollettino Int. del Centro di Studi Sanseveresi, 1974. — Ib. Antiche strutture sotto casa Prinari, Bollettino cit., 1974. — Ib. Scavi in via Soccorso, Bollettino cit., 1978. 98 IL CRANIO UMANO DI PEDINCONE (IV sec. a.C.) Nel gennaio 1975 in contrada Pedincone, 6 Km a N.N.E. di San Severo (Foggia), durante lavori di scavo per la posa di un acquedotto è venuta alla luce una necropoli di età ellenistica composta da tombe a cassa, rivestite e chiuse da lastroni di pietra, che contenevano vasi, armi e monili databili al IV secolo a.C. Durante il recupero dei corredi funerari, compiuto con la collaborazione dell’Archeoclub di San Severo, si trovarono anche reperti osteologici, per lo più frammentari e scomposti dai lavori di sterro, per cui vennero lasciati in situ. Il cranio, oggetto della presente relazione, è stato dato in visione al prof. Cleto Corrain, dell’Istituto di Antropologia dell’Università di Padova, a cura del sig. Gianni Napolitano, studente in Medicina presso questa Università. Desidero ringraziare il professore che mi ha proposto di effettuare il relativo studio craniometrico. E’ un cranio quasi completamente intero, appartenente ad un individuo di età adulta, stabilita in base alla chiusura avanzata di tutte le suture della volta, all’usura dei denti e al riassorbimento più o meno completo di alcuni alveoli dentari. Il sesso femminile del reperto sarebbe comprovato dalle seguenti osservazioni: modesta capacità (1293 c.c., secondo il metodo Pearson), sottile teca cranica, forma bombé del frontale, orlo sopraorbitario non grosso, rilievi nucali poco pronunciati, mastoidi piccole, gracilità generale della mandibola e soprattutto angolo mandibolare assai aperto. E presente la sutura metopica al completo; mentre la distanza metopion-opistocranion (174 cm.) è maggiore della lunghezza massima del cranio (170 cm.): sono questi indizi a favore del sesso femminile. Segue la descrizione del reperto secondo le varie norme. Norma superiore: La forma viene qualificata fra ovoide e pentagonode, comunque larghezza. L’indice cefalico orizzontale (81,8) definisce il cranio brachicefalo. Si osserva inoltre: criptozigia, un unico foro parietale a destra e due wormiani lungo la s. sagittale. Norma laterale: Il contorno appare regolarmente curvo con squama occipitale alquanto sporgente. Cranio ipsicefalo (i. verticolongitudinale: 76,8 e i. auricolo-longitudinale: 67,9). 99 GABRIELA ERSP AMER_________________________________________________________________________ Altri particolari: squama temporale piccola, a triangolo; foro uditivo di forma ellittica con asse maggiore inclinato in avanti. Norma anteriore: La fronte appare molto ampia nel suo diametro minimo (98,5 cm.), non però se confrontiamo il diametro minimo col Fig. 1 – Il cranio nella norma anteriore 100 _____________________________________________________________IL CRANIO UMANO DI PENDICONE Fig. 2 – Il cranio nella norma laterale massimo (i. frontale traverso: 87,3). Le orbite hanno valori di ipsiconchia (indice: 91,02) e il naso di mesorrinia (indice: 50,5). Notiamo ancora una leggera fossa sopraglabellare, un foro sopraorbitario a destra e un’incisura a sinistra, il margine inferiore dell’apertura piriforme antropino, le fosse canine e i rilievi dentari forti. Norma posteriore: Si può apprezzare una volta moderatamente stegoide e di media altezza (i. vertico-trasverso: 93,9 e i. auricolo-trasverso: 83,1). Applicando le formule del Giardina per il basion e per il porion ho ottenuto valori di ortocefalia e di ipsicefalia iniziale (84,9 e 75,2), quindi valori decisamente non bassi. L’intero profilo posteriore è pentagonoide, a base piana. Leggera naticefalia fra obelion e lambda. Nessun wormiano lungo la s. lambdoidea. Norma inferiore: Il palato (iper-brachistafilino) si presenta molto profonao e rugoso con arcata dentaria quasi paraboloide. Gli alveoli di due premolari e di cinque molari sono in via di riassorbimento. Tre dei quattro denti visibili sono cariati. L’unico molare ha un impianto irregolare, quasi obliquo. Forse l’individuo era affetto da piorrea. Mandibola: Nel complesso è gracile, bassa, con branca ascendente decisamente stretta (dato anche il sesso). Il corpo mandibolare mostra un mento prominente e sollevato sul piano di appoggio. Gli angoli sono molto aperti ed eversi. Il foro mentoniero si trova sotto il P2 . Le apofisi condiloidee sono più basse delle coronoidee. Un premo lare e due molari sono caduti ante-mortem; gli altri denti, in curiosa 101 GABRIELA ERSP AMER_________________________________________________________________________ Fig. 3 – Il cranio nella norma superiore 102 _____________________________________________________________IL CRANIO UMANO DI PENDICONE antitesi con quelli dell’arcata superiore, sono privi di carie. Notiamo poi le apofisi-geni della forma normale, le fossette digastriche deboli, le fosse sottolinguali e sottomascellari sensibili, il solco e la linea miloioidea ben netti, la spina di Spix rudimentale. Conclusioni: Si tratta di un cranio brachicefalo, di forma fra ovoide e pentagonoide, ipsicefalo. La faccia è mesoprosopa, le orbite sono ipsiconche, il naso mesorrino. Dal confronto con le medie delle serie osteologiche della medesima epoca, o quasi, rinvenute in località non lontane (Salapia IX-III sec. a. C., M. Saraceno VII-VI sec. a. C.) non affiora alcuna sostanziale concordanza. Osservo anzi come fatto singolare la brachicefalia. Ma trattandosi di un unico caso è inutile meravigliarci dei risultati: bisogna infatti accettare le sorprese della diversità individuale. GABRIELLA ERSPAMER BIBLIOGRAFIA C. CORRAIN e G. NALIN, Resti scheletrici umani della necropoli di Monte Saraceno presso Mattinata (Gargano), Atti X Riun. sc. Ist. Lt. Preist. e Protost. (1965), 309-338. C. CORRAIN e M. CAPITANIO, I resti scheletrici umani della necropoli di Sirolo (Numana) nelle Marche, Scritti sul Quaternario in onore di Angelo Pasa (1969), 207-227. C. CORRAIN e M. CAPITANIO, I resti scheletrici della necropoli di Fermo, nelle Marche, Homo 72, Heft 1/2, 19-36. C. CORRAIN, M. CAPITANIO e G. ERSPAMER, I resti scheletrici della necro voli di Salapia (Cerignola) secoli IX-III a. C., Atti e Mem. dell’Acc. Pat. di SS.LL.AA., LXXXIV (1972), 75-113. R. MARTIN, Lehrbuch der Antropologie, Jena 1958. V. RUSSI, La necropoli di contrada Pedincone, in Attualità Archeologiche, San Severo, dicembre 1975, 59-67. 103 GABRIELA ERSP AMER_________________________________________________________________________ TABELLA Il cranio umano di Pedincone (IV sec, a. C.) (∗ ) NEUROCRANIO: Capacità (LEE e PEARSON) cc 1. Lunghezza massima 8. Larghezza massima 17.Altezza ba-b 20.Altezza auricolare I. cefalico orizz : 8/1 I. vertico-longit : 17/1 I. auricolo-longit : 20/1 I. vertico-trasv. : 17/8 I. auricolo-trasv. : 20/8 I. y po-b 20/V 1 x 8 I. y ba-b 17/V1x 8 2. Dist. glabella - inion 3. Dist. glabella - lambda lc. Dist. metopion - opist 11.Dist. biauricolare 13.Dist. bimastoidea 9.Frontale minimo 10.Frontale massimo I.frontale trasv.:9/10 I.fronto - pariet. trasv.: 9/8 Dist. processi zig. front. 23.Circonferenza orizzontale 24.Curva biaur. - bregmat. 26.Curva frontale 29.Corda frontale 27.Curva parietale 30.Corda parietale 1.293 170 (139) (130,5) 115,5 (81,76) 76,76 67,94 (93,88) (83,09) (75,16) (84,90) 164,5 165 174 120 119 98,5 (128) (76,95) (70,86) 104 498 312 132 112,6 118 109,5 SPLANCNOCRANIO: 47. Altezza facciale tot. 48. Altezza facciale sup. 45. Larghezza bizigomat. I.facciale tot. : 47/45 I.facciale sup. : 48/45 I.cranio - facc. – trasv. : 45/8 I.cranio - facc. – vert. : 48/17 I.jugo - frontale : 9/45 44. Larghezza biorbitale 50. Larghezza interorbitale 104 110,5 69 126,5 87,35 54,54 91,01 (68,66) 77,86 94,5 18,6 _____________________________________________________________IL CRANIO UMANO DI PENDICONE 51. Larghezza orbitale 52. Altezza orbitale I. orbitale: 52/51 55. Altezza nasale 54. Larghezza nasale I. nasale: 54/55 61. Larghezza alveolare 60. Lunghezza alveolare I. maxillo - alveolare: 61/60 62. Larghezza palatina 63. Lunghezza palatina I. palatino: 62/63 5. Dist. nasion – basion 40. Dist. basion - prostion I. alveolare (FLOWER): 40/5 39 35,5 91,02 48,5 24,5 50,51 59 50,5 116,83 39 42 92,86 92 85 92,39 M ANDIBOLA: 65. Larghezza bicondil. 66. Larghezza bigoniaca 68 (1). Profond. mandib. 68 Profond. mandib. I. delle largh. : 66/65 I. di lungh. - largh. : 68/65 I. fronto - mandibol. : 9/66 I. jugo - mandibol. : 66/45 69 (1). Altezza-corpo 69 (3). Spessore - corpo I. di spessore del corpo: 69 (3)/69 70. Alt. ramo ascend. 71a. Largh. min. ramo asc. I. del ramo ascend.:71a/70 69. Altezza della sinfisi 79. Angolo goniaco 71. Largh. ramo ascend. (1) 121,5 92 101 66,5 75,72 54,73 107,06 72,73 26 9,5 36,54 58 25 43,10 25 133,5° 34,5 ∗ I numeri premessi alle indicazioni delle misure corrispondono a quelli del trattato del Martin. Le misure sono tutte espresse in mm., salvo diversa indicazione. 105 RECENSIONI Raffaele M ASCOLO: Domenico FIORITTO e il movimento socialista in Capitanata. Amministrazione Provinciale di Capitanata, Laurenziana - Napoli, pp. 250, 1978. La struttura di questo libro, attentamente curato, chiaramente impresso, dotato in copertina di una rara immagine di Serrati, Fioritto e Baratono, è sostanzialmente dialettica. I punti di riferimento del relazionare tra le diverse componenti già sono infatti dichiarati nel titolo: la personalità di un romantico segnato dalla idealistica rinunzia al proprio mondo di origine (rispettabilità, ricchezza, carriera) e dall’altra parte la massa in moto, incomposta e tormentata nella gestazione del principio della uguaglianza umana, alla fine del secolo scorso. La struttura dialettica forse si impernia ancora sulla cerniera di altri due poli, meno pittoreschi e più profondi: l’umanità in senso lato; o, per essere più chiari, l’Uomo che cerca se stesso nell’arco di una vita intera e l’Umanità la quale si svincola da condizionamenti secolari d’ignoranza e di fame e ansiosamente si macera e duramente perfino si ribella per acquistare un volto. Su tale piano si comprende e si configura il dramma rivissuto dall’autore di questo libro, con fedeltà critica di controllata informazione. E’ lì stato il dramma del socialismo con il massimalismo e il riformismo cozzanti. E’ stato il 106 dramma parallelo, intersecato anzi nel primo, quello del rapporto tra il capo carismatico, l’ex-borghese in tellettuale, e le esigenze del mo vimento divenuto partito con un indirizzo ideologico ed una disciplina. L’opera di Raffaele Mascolo — sia chiaro — non è il medaglione di Domenico Fioritto. La fedeltà della documentazione storica ricavata dagli atti delle assise politiche e dal metallo in fusione delle polemiche di stampa, assume importanza di primo piano. Essa non fornisce solo la misura della paziente, pervicace ricerca, ma produce il metro di una storia di testimonianze in un itinerario tagliente. Per avere subito a disposizione la biografia di Fioritto, basterebbe leggere i capitoli Il figlio della borghesia e Alla guida del partito e poi le pagine conclusive (La crisi finale e Dopo la liberazione nazionale). Un discorso a parte meriterebbe l’Appendice, illuminante i rapporti con Salvemini, le memorie del reduce di Domokos condensato nell’esprit di una conferenza, gli spunti della visione dell’avvenire attraverso la ultima battaglia del protagonista, quella per la Repubblica e la Costituente, dalle pagine di Avanti Daunia! L’autore in realtà si pone ben altro compito e rivive con puntigliosa costanza tutti i momenti (dichiarati dai deliberati e dai pezzi di stampa) del farsi, faticoso ed incerto, di una linea politica socialista nella Capitanata. Una terra per la quale da secoli si era parlato di affrancazione del ______________________________________________________________________________________________RECENSIONI Tavoliere dai vincoli e dalle restrizioni fiscali, ma non si era giunti ancora, anche dopo l’apertura alla libera coltivazione, all’affrancazione dell’uomo dalla mentalità servile o baronale. Se si pensa a cosa poteva significare, all’alba del ‘900, a Foggia, una libera assemblea di contadini, si comprende il tono quasi ieratico dell’annunzio di Fioritto dalle colonne de Il Foglietto: « Profugo di una classe a voi sempre avversa, vi porto il saluto della Commissione ordinatrice e della Lega di Foggia. Voi discuterete dignitosamente e serenamente per dare così la prova che siete già educati alla vita politica e degni di migliore avvenire ». (p. 56). La Camera del Lavoro e la Federazione dei Contadini di Capitanata guidate dal Fioritto, da Silvestro Fiore e da Ercole Ferreri, sono realtà di valore civile che avviano le masse nell’area della formazione politica, È il momento, spiega il Mascolo, in cui il socialismo romanticosentimentale della giovinezza di Domenico Fioritto si fa « diverso » e diventa « rivoluzionario, intransigente e massimalistico », spingendo l’uomo non solo a predicare, ma anche a lottare. affrontando i rigori della legge di quei tempi, avvicinandosi sempre più chiaramente alla linea di Enrico Ferri, guardando alla riserva rivoluzionaria delle plebi rurali. La spiegazione è psicologica ed ambientale, in quanto egli «viveva nelle zone più drammaticamente colpite da questo processo di degradazione e squilibrio economico e sociale: Foggia e Sannicandro Ga rganico, zone che lui aveva per base di operazione politica e culturale; la prima nel cuore del Tavoliere, l’altra in quel Gargano dove l’arretratezza delle strutture, esasperava ancora di più la miseria dei lavoratori e di tutti i ceti popolari » (p. 61). Era l’epoca terribie del krumiraggio organizzato, della strumentalizzazione delle forze dell’ordine a servizio dell’esclusivismo padronale, erano i tempi dell’odio tra i poveri e poveri, tra figli del popolo, e, alla fine, restavano i morti su quella terra affamata e maledetta. Come si spiega che lo stesso uomo di allora dovesse, nel 1908 ritirarsi dalla milizia di partito (la famosa lettera ad Antonio Pitta direttore de Il Foglietto, del 28 novembre) e confessare su quelle stesse colonne tre anni dopo « . . mi ero cominciato ad allentare dal partito militante, perché si sospettavano gl’intellettuali e temevo di essere preso anch’io in antipatia » (p. 119120 e cap. VII, passim). Dopo il congresso di Reggio Emilia ed il primo conflitto mondiale, dopo la Rivoluzione Russa, e mentre si aprivano, per la unità dei lavoratori, nuove problematiche, sfocianti nella polemica a destra e nella spaccatura (la espulsione dei riformisti), lo stesso uomo era giunto comunque ai vertici della organizzazione. Da qui forse, e fino alla chiusura ed all’isolamento durante il Ventennio, la critica di Mascolo si fa più serrata e dura, non mai priva di una razionale disposizione ad interpretare l’uomo. La tenuta di Fioritto dirigente richiama ragioni più lontane, avvolte forse nella stessa ombra insanguinata di Silvestro Fiore ucciso a Foggia dall’anarchico Carretta. . 107 RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________ Chi può dire non si sia ripetuta la storia del repubblicano Giuseppe Bandi (garibaldino anche lui) destinato a lasciare la vita nella sua Livorno, per mano di un « individualista », in mezzo alle nuove battaglie per le quali lui stesso aveva fondato Il Telegrafo (oggi, dopo cent’anni. Divenuto Il Tirreno)? Altrettanto violento nella denuncia della incapacità sostanziale del sistema monarchico a « risolvere » le situazioni fuori delle repressioni e delle lusinghe e noi con la violenza sistematica legalizzata, era il garganico direttore de Il randello. Ma il problema resta un altro: quello della difficoltà oggi forse non immaginabile, a stabilire una dialettica tra le stesse comp onenti del moto popolare di allora, da sindacale divenuto politico, senza mai deporre l’atavismo anarcoide e senza perdere — inconsapevole, appena qua e là avvertita — la istanza repubblicana « corroditrice lenta e fatale » del sistema (la diagnosi di Marx Nordau ne Le menzogne convenzionali). Il modo di Porsi del Fioritto di fronte ad alcuni problemi d’indirizzo e di organizzazione — scrive Mascolo, andando decisamente in profondità spietata — «fu solo un attaccamento sentimentale al partito che probabilmente lui, come molti altri massimalisti, non riusciva a vedere in modo diverso da quello tradizionale. Il partito cioè che sulla scia della linea della II Internazionale avrebbe dovuto attendere il momento propizio per la rivoluzione, che a sua volta doveva scaturire « da una progressiva affermazione di Potere della classe operaia all’interno e in diretta relazione dello sviluppo 108 capitalistico ». Non invece il partito inteso come strumento politico della lotta rivoluzionaria per una reale alternativa di potere. E quindi un partito saldo, omogeneo e perciò senza correnti, organizzato in maniera diversa, senza mai perdere, comunque. la fiducia nella libertà. Credo che proprio a questo punto il più delicato per tutti ed il più denso di interrogativi storici, si confermi la struttura dialettica del libro nella sua più vasta dilatazione: un fatto di politica, ma sopra tutto di umanità. La vita di Domenico Fioritto può anche essere stata qualcosa di più che la innegabile sequela di battaglie giornalistiche, e di cozzi a ferro freddo con la sfuggente reazione giolittiana, nelle aule dei tribunali. Penso possa essere stata in contemporanea, una lotta interiore, ricerca di chiarificazione costante, dal discepolato di Arturo Labriola e dal fermento intellettuale napoletano, che per la verità non direi proprio « scapigliatura » (p. 15) essendo gli scapigliati già gli epigoni scettici del deterioramento romantico, fino all’epoca dei conflitti mondiali e della Costituente. Ero nella sezione « centro » che solennizzava la propria rinnovata apertura, ai tempi della trepidazione per la Repubblica (proprio su Avanti Daunia! avevamo ricordato al popolo cos’era stata quella del 1849), e non dimentico due cose: lo sguardo di affetto di un mio scolaro in mezzo alla ressa. senza che gli avessi mai detto cosa mi Passava per la testa, ed un tuono di evviva al « Leone di Puglia ». Fioritto era entrato, con i capelli irrimediabilmente scomposti, la ______________________________________________________________________________________________RECENSIONI testa che aveva una nota di Danton ed una voce che certo sarebbe stata quella di Miraebau. Disse: — Oggi avete la vostra casa, compagni! Poi non ricordo come, dalla piccola casa della sezione di partito, l’oratore giungesse alla grande casa di tutti, alla Patria dei cittadini » alimentata nei clubs della Grande rivoluzione. Poi fu tutto nella vibrazione di una magnetica catena e non ricordo altro. Ma capii che Fioritto aveva chiara la continuità, solo in parte discorde, tra l’89 e il 93, tra il preludio rivoluzionario borghese e la tensione realizzatrice giacobina soffocata dalla palude di Termidoro. Anche là una dialettica umana eterna. Pertanto, a parte il romanticismo del giovane « transfuga »dalla classe agiata ov’era nato, i paradigmi magnetici di Bovio e di lmbriani, a Napoli avevano completato naturalmente la tradizione risorgimentale della famiglia. Figlio di settari e settario — intendo per settarismo, il voto religiosamente sansimoniano che da Mazzini procede fino a Saverio Friscia — presentì la chiamata paolina di colui che viene serbato nel segreto all’opera di Dio. Non è sfuggito all’autore questo risvolto giovanile che si consacrò a Domokos; anche se l’approfondimento ne è difficile, ed il Mascolo, che rispetta la documentazione reale, ha posto in luce quanta strada ancora resta da percorrere per gli storici del Movimento Operaio nella provincia di Foggia e dei suoi interpreti. Fioritto non era certo un Lazzaretti perché attinse le prime esperienze politiche a « la cultura laica e risorgimentale » (p. 12). Era la Massoneria, con la eredità del Risorgimento e la rina- scenza del più antico programma umanitario e cosmopolita. Sull’accusa di massoneria s’impernia lo scontro con il Serrati al Congresso di Ancona e segue uno dei mo menti di ritiro di Fioritto nell’ombra (p. 138139). Eppure era stato massone Errico Malatesta, e la cosa è storicamente provata, aggiungo, non solo per Andrea Costa, ma perfino per Michele Bakunin, fondatore di logge tra i cavatori del Carrarese. Fino dalla caduta dei Borboni, la culla del socialismo meridionale si riconosce nella Massoneria. Tra le più recenti analisi, condotte sui documenti polizieschi e di archivio, decisamente chiarificatrice è quella di Giuseppe Gabrieli (Il socialismo nelle logge napoletane del 1867 in « Rivista Massonica », maggio 1978, pp. 167-172). Oltre alla Loggia (mai demolita) I figli di Garibaldi (presieduta da Mariano Maresca) ne esisteva una altra intitolata addirittura I figli di Masaniello. Se peraltro si riflette sul titolo distintivo della Loggia siciliana (anch’essa oggi fiorente) La Vita Nuova, non si torna solo a Napoli ed alla « Massoneria popolare » di Saverio Friscia, l’ « internazionalista » dissidente da Mazzini. Omonima iniziativa era stata, durante il Risorgimento, la società rivoluzionaria ed insieme di formazione morale per il popolo, approvata e promossa dal Mazzini (33° del Supremo Consiglio Grande Oriente di Palermo) ed a quelle Logge Operaie liguri cui egli si rivolgeva sempre con commozione, ricordando quante volte i fratelli (artigiani e scaricatori) gli avessero salvata la vita. - 109 RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________ Ma, invece di ricordare il mio Mazzini uomo universale (Roma, 1972), preferisco ancora scorrere la stampa recentissima. Autentico tono universalizzante assume la rievocazione di Ugo Bistoni, che tocca anche, tra gli altri, il Bakunin (Socialismo e Massoneria nelle origini del movimento operaio perugino in « Cronache Umbre », maggio - giugno 1978, pp. 94-101). Mentre il potere dall’alto continuava a considerare le prime organizzazioni sindacali come « associazioni a delinquere », salvo a vedere spesso liberi i rei, per il galantonismo ed il buon senso dei giudici, non ci si può rendere conto delle polemiche sulla crisi mazziniana e della contemp oranea pervicace identità tra mazzinianesimo e repubblicanesimo popolare su base « settaria ». Ne danno conferma i processi agli operai liberi muratori arrestati per cospirazione sociale e più fortunati comunque dei loro diecimila fratelli massacrati dai governativi « dopo che le Logge parigine decisero di stare dalla parte dei Comunardi e combattere per la causa del popolo ». Bistoni ci riconduce a leggere l’Appendice del libro di Raffaele Mascolo (Come vidi una battaglia, p. 225) per capire quanto valore di storia e quanta poliedricità di problemi contenga il libro: una vera apertura d’interrogativi come di orizzonti. Un libro nel quale la discussione critica, non la dissacrazione, la volontà di spianare la strada ad altri, non la pretesa di conchiudere, confermano un valore umano, individuale e di massa, in una dialettica di portata né esaurita né ancora calcolabile. CARLO GENTILE 110 Erminio PAOLETTA: L’avventura della statua di Accadia dall’arrivo dei Dardani alle sovrapposizioni bizantine. Amministrazione Provinciale di Capitanata. Laurenziana, Napoli, a cura di Luigi Mancino, pp. 140 con cop. Capaldo e varie Tavv. ff. tt., 1978. Chiaro nella cura strutturale e della veste, questo libro contiene notevole esempio del contributo che la filologia può dare alla storia delle religioni, anche ove si parta dalla profilazione specifica ambientale. Il fatto che la Provincia, il SubAppennino ed Accadia in ispece, la Terra dai « monti, torrenti e borghi dolcemente degradanti verso prode lontane », abbiano ospitato l’antichità civile in corso prodigioso di storia, riveste di per sé valore essenziale. Una componente di poesia ed una di meravigliosa scoperta qualificano l’opera già materiata, per lungo e amoroso sacrificio dell’autore, di una erudizione impressionante. Essa, che pure testimonia, da parte di Erminio Paoletta, una fatica d’incalcolabile portata, ma anche il successo dovuto alla sua tenacia, può stupire il lettore, non mai fuorviarlo dall’itinerario del libro. L’autore ha tracciato, ricostruendo sulla base di un reperto archeologico, la statua « parlante » di Accadia, e, servendosi della padronanza delle lingue classiche, ne ha compiuto la ricostruzione più chiara ed esauriente. La « statua » di Accadia, se convenzionalmente si vuole chiamare così, è un documento della sovrapposizione di varie culture « in una trama fittissima di sbiadite e sovrapposte figure o iscrizioni, varie ______________________________________________________________________________________________RECENSIONI per grandezza, caratteri, lingua, situazione e culto, e abbraccianti lo arco d’un millennio e più » (p. 9). Pure se non tutto è stato possibile decifrare, basterebbe fermarsi alla elencazione analitica delle figure e delle iscrizioni ricostruite sulla scorta dell’acuto impiego dell’esperienza linguistica, per comprendere che non si tratta di una « Storia ». La storia delle genti diverse che si sono succedute nel Subappennino, proveniendo dal ceppo di Dardano e dei Peoni. Si tratta di « due popolazioni procedenti o coabitanti insieme nel corso delle varie migrazioni e dei vari stanziamenti.Contigue e alleate ce le testimonia Omero nella Penisola Anatolica; contigue ce le presentano le carte geografiche e tanti autori, fra cui Solino che li considera di origine Troiana, nella penisola Balcanica; vicine le ritroviamo, ora anche in Italia: perché mentre noi siamo convinti di aver individuato i Dardani e la città di Dardanon, verso l’interno della Daunia, nella zona di Accadia, il Ferri dall’amoroso studio di varie migliaia di stele sipontine è arrivato a ravvisare i Peoni in una popolazione protostorica situata lungo il mare della Daunia » (p. 51). Ricollegando pazientemente nomi di località, eredità dialettali, tracce iconografiche ecc., il Paoletta ha realizzato una vera e propria geografia retrospettiva del Sub-Appennino e nello stesso tempo ha rifatto la immagine della realtà ancestrale che sovrasta, come per magica visione oltre il tempo, alle genti della sua terra. A questo punto l’etnologia potrebbe rappresentare il punto di sbocco dell’opera, ma il libro va ol- tre, essendo imperniato tutto il discorso, sulle analogie simboliche. La stessa filologia antica è di natura simbolica. Il senso della parola espressa aveva un significato assai più pregnante del linguaggio tecnologico contemporaneo. A questa considerazione si deve aggiungere la tendenza a raffigurare, a rendere plastici i simboli, mediante la materia che ha dominato i millenni per il suo valore insostituibile: la pietra. Da ciò la importanza di « statue » che non sono esattamente tali (è il caso di Accadia), di idoli apparenti che nascondono discorsi complessi, di una sostanziale disposizione da parte di categorie specializzate, a raccogliere e a tramandare per immagini, le tradizioni, la normativa, le credenze, fino alla formazione di una filologia ch’era in effetti filosofia, ossia il gergo degli Iniziati. Tale concezione emergente dalla storia dei simboli e sconfinante di necessità nella componente emo tiva e corale della religione, non è certo la base di partenza dello studio di Paoletta, ma ne costituisce, attraverso interessanti intuizioni, il più valido punto di arrivo. Basti pensare alle analogie spontanee delle tradizioni antichissime con i culti cristiani. Nella varietà delle personificazioni e nella venerazione particolare di alcuni luoghi, essi continuarono, in veste diversa, tutta l’idolatria pagana, le costumanze dei santuari e dei pellegrinaggi, la credenza nei poteri taumaturgici di personalità leggendarie intoccabili dinanzi al popolo delle campagne. Lo studio critico delle religioni comparate, avviato 111 RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________ dal naturalismo di Hume nella storia delle religioni, ripreso dal Dupois nel secolo XVIII avanzato, scientificamente condotto dalla etnologia contemporanea, fino ad investire — attraverso la mitologia — l’area della psicanalisi (Kereny, Jung ecc.), ha avuto in Italia, già nel preilluminismo, la sua fondazione culturale ad opera di Pietro Giannone. Va da sé che il processo etnicoreligioso di sovrapposizione e di deformazione, eufemisticamente considerato sublimante, segnò le tappe del trionfo del Cristianesimo istituzionalizzato, affrettando l’asservimento delle plebi al potere ecclesiastico e feudale. Esso largamente si spiega in zone dominate per secoli e chiuse ad un interscambio culturale che l’antichità invece aveva aperto con le esigenze migratorie. Una volta esteriorizzato e fermo, il discorso degl’iniziati orfici — (che il Paoletta ha bene posto in evidenza attraverso il confronto con le lamine d’oro, quasi tutte scomparse per la violazione delle tombe) — restò certo ai più incomprensibile La sua essenza, dopo il IV secolo, si trasfuse forse nella più intensa ricerca della interiorità dell’individuo, nel Cristianesimo « ereticale ». Malgrado tale processo di deterioramento, i punti di base della indagine dell’autore diventano chiari e pregnanti di profonda simbologia, quando si rivelano al ricercatore, nel culto della Grande Madre, proprio dei Peoni e dei Dardani, sia pure velato dalle più diverse figurazioni. Qui si fanno avanti i misteri dei grafflti della « statua », le ambivalenze sessuali dell’Ercole Sabazio accadiese, la cui polivalenza ses- 112 suale ricorda secondo me, il Baphomet templario ossia la immagine della Natura (fig. 9) (1). D’altra parte, la esigenza di sdoppiamento dell’antica unità primigenia — acutamente evidenziata da Erminio Paoletta — ha dato origine alle figure di Attis con tutto il corteggio di similari potenze strappate al primo rdiale mistero ed espresse in forme a se stanti. La sintesi di questo processo a me sembra chiara nelle due facce umane (o animali) poste l’una a rovescio dell’altra nel teschio del Signum (flg. 10). La Tavola del Cerbero peonio ricorda poi il Guardiano della Soglia che difendeva i misteri della Natura (fig. 7); onde pochi disse Giordano Bruno sono i privilegiati capaci di avere scorto la Diana Ignuda, senza essere finiti nelle fauci dei suoi cani: Anche il Pavone di quei lontanissimi migratori, è chiaramente un simbolo di conoscenza. Perfino l’Uovo, invocato nei canti popolari ancora in uso (p. 78, nota) nell’approssimarsi della Pasqua, è la sintesi cosmica della Vita che, accanto a Leda, rientra nella decorazione dei vasi greco-italici, come ha dimostrato Giacomo Catinella, illustrando alcuni decenni fa, un esemplare ermetico del Museo di Bari. La influenza della Magna Grecia sulle primitive credenze dei popoli immigrati nel Sub-Appennino è stata ancora giustamente evidenziata dal Paoletta, a proposito del culto di Bacco (p. 68 e passim).Ma l’autore è riuscito particolarmente felice nel cogliere tutte le varianti possibili della religione materna: dalla « roccia sacra » (trapassata poi a cornice di apparizioni della Vergine, ma — — ______________________________________________________________________________________________RECENSIONI sostanzialmente ripetente l’idea dell’alvo materno) al nome stesso di Accadia (p. 64 e 93 e segg.); dal pantheon delle dee e semidee femminili presto assimilate dai Romani (p. 74) al culto della capra, alla in tersecazione di elementi animali ed umani nel segreto vivente della crescita (p. 33). Ritengo qui doveroso ricordare gli studi — non completamente editi — di Guido Di Nardo da Lanuvjo: non solo a proposito della Juno Caprotina (variante della lupa materna), ma anche in merito alla Lingua Universale (simbolica) da lui documentata risalendo ai caratteri cuneiformi e scendendo gradualmente a Roma, centro (omphalos) del mondo mediterraneo. La religione materna è effettivamente una realtà storica che si alterna, ora in simbiosi, ora in lotta, con il culto maschile. AI dualismo del Dio maschio e femmina. ha dedicato recentemente un libro prefato da p. Giovanni Mannucci e pubblicato dalla Libreria Editrice Fiorentina, il prof. Mario Bacchiega (Dio padre o Dea madre?). Infine, il punto più significativo di questa bellissima indagine del Paoletta, che gli abbeverati alla sorgente di Mnemosine possono intendere senza troppa fatica nel suo autentico significato, è la constatazione di come tutta la dialettica della vita emanante dal fondo primigenio si risolva nella validità inesauribile della Pietra. La Pietra in quanto vita s’intende, ossia il simb olo dell’animazione universale, della condensazione e sprigionamento di energie, per l’atto della Intelligenza illuminante (gnosticamente materna, Nostra Signora lo Spirito, la Rivelazione). Idonee riescono le illustrazioni, una notissima (fig. 11) del mosaico tombale conservato nel Museo di Napoli e l’altra meno conosciuta (fig. 12) del Bosco Bolano. Nella prima, sulla ruota (il Samsara delle reincarnazioni), attraverso la vittoria dell’iniziato sulla morte, si erge la Squadra (Giustizia, Rettitudine, Legge, mutuata all’Ordine della Natura). Più significativo ancora è l’Archipenzolo (di analoga ispirazione con il filo a piombo) ed accanto la Squadra da muratore (a braccia uguali) con la Vanga (o la Pala dell’Ulisse con viviale di Pascoli) e la Cazzuola, nella seconda illustrazione. La ricchezza dei contributi storico-filologici dell’opera di Erminio Paoletta incarna, per la Daunia e per la Cultura, autentici valori di rivelazione. CARLO GENTILE Mario SIMONE: Una vita per la cultura. Introduzione e scelta di scritti a cura di Angelo CELUZZA . Amministrazione Provinciale di Capitanata, Foggia, 1977. Quaderni di Capitanata, nuova serie, 2, a cura di Luigi Mancino. Questo elegante libro, corredato di storiche illustrazioni, è insieme un atto d’amore ed un contributo culturale. Prende lo spunto da qualche « paginetta di appunti » per irradiare nuova luce sul nostro vecchio Amico del quale l’autore — insieme a notizie esaurienti e precise — fornisce un ritratto tutto di poesia: « Nel corso di circa quindici anni di amicizia 113 RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________ e di comune lavoro, rinsaldata da non infrequenti scontri e baruffe, dovuti il più delle volte all’atteggiamento volutamente provocatorio che gli piaceva assumere; il cui segno premonitore era sempre la sistemazione a sghimbescio del cappello, ho imparato ad amare ed apprezzare un uomo difficile, ma anche umanissimo e, specie negli ultimi anni, dolce » (p. 7). Cosa potrei aggiungere io che sono stato per così dire tenuto a battesimo da quel puntiglioso e fine avvocato, il quale si muoveva in continuazione tra le immagini di Mazzini e di Enrico Ferri, il ritratto della Mamma e un paesaggio sipontino di Alfredo Petrucci, ed aveva la passione editoriale nel sangue, insieme al vecchio repubblicanesimo attinto a Manfredonia e rafforzato a Roma alla scuola di Giovanni Conti? A lui pensavo quando sentii la mano di Giulio Andrea Belloni stringere la mia (che un poco tremava, per la verità) nella Sala Ghisleri di Via dei Prefetti. Era l’ora de L’idea Repubblicana, dalle cui colonne, in nome dei contenuti risorgimentali concreti e per il rinnovamento sociale del Partito, Giulio Andrea opponeva il lavoro al « ricatto del nane ». Fu Mario a presentarmi a Tommaso Fiore, prima con le mie paginette ricciardiane, poi di persona e d’allora divenni anch’io un « formicone di Puglia ». Eravamo stati, malgrado una certa differenza d’età, sempre laici, repubblicani e patriottardi (D’Annunzio come maestro e profeta). Naturalmente continuammo più o meno a sognare in sieme (e a litigare qualche volta). Dopo, negli ultimi anni, ci ritrovavamo a Manfredonia a contemplare il ritratto dalla cornice ottocentesca dorata di « Don Antonio » cui è inti- 114 tolato il Centro della Biblioteca. Questo libro è la rassegna vivida, organica ed agile, di una fosforescenza del ramo pubblicis tico, alimentata all’esempio di Angelo Fortunato Formiggini.La poliedrica profilazione delle raccolte, la intelligente articolazione classificatrice, la promozione della cultura popolare, l’ingresso editoriale che ha fatto storia, nel Diritto, nel Giornalismo, nella Musica, dai depliant al quaderno, dal manifesto al volume, molto del Formiggini effettivamente ricordano. La stessa amarezza di Mario forse affonda le radici nella previsione che la sua lucidità intuitiva dovette avere, della terribile fine dell’Editore, massone e israelita, lanciatosi nel vuoto, protesta vivente, gridando Italia!: la parola « sacra » della setta Adelphia. Ma questa non è una malinconia, è un’antologia brillante di scritti, variata di finezza e di cultura, rappresentativa insomma della versatilità di quell’animo che si era raffinato vicino a Riccardo Ricciardi, ad Alfredo Luciani, a Giovanni Laterza, che amava sopra tutto il popolo e intendeva preparare gli strumenti del libero giudizio per chi si sarebbe votato ad educano. E’ lì la considerazione esatta, la diagnosi più convincente stilata da Angelo Celuzza. Egli ha aperto l’antologia postuma con l’immancabile slancio ro mantico del dannunzianesimo di Mario studente di liceo sul punto di scappare di casa per andare a Fiume e l’ha conchiusa con il Promemoria agl’intellettuali Dauni ______________________________________________________________________________________________RECENSIONI suonante ancora così: « Una volta si poteva scegliere un partito secondo le utilità personali da esso offerte senza molto arrossire dell’opportunismo che sacrificava la coscienza, ed era un suicidio morale ed un delitto di lesa Patria. Oggi questo delitto sarebbe anche di lesa umanità, perché dal sangue dei popoli di Europa sorge una civiltà nuova alla quale l’Italia deve dare un altro contributo ». CARLO GENTILE Felice MOLINARIO: La rivoluzione proletaria di Pietro Paolo Parzanese, Editrice Italia Letteraria, Milano, giugno 1976, pagine 208, 30 illustrazioni fuori testo, lire 4.000. Già la sola lettura semiologica della copertina e del titolo del presente saggio, che Felice Molinanio dedica ad una attualizzazione della vita e dell’attività poetica e pedagogica di Pietro Paolo Parzanese, una delle glorie della cultura risorgimentale e romantica del Sud-Italia, giova alla giustificazione di quella affermazione di Edgar Monin, che è diventata anche lo slogan della teologia della liberazione e della teologia politica: « Dopo essere stato la giustificazione sacralizzata della società borghese, il cristianesimo ne è diventato, in questi ultimi tempi, il segno ed il catalizzatore della sua ineluttabile fine ». Si sa bene, d’altronde che, dopo le chiare intuizioni di papa Giovanni, secondo cui, il Concilio Vaticano Il avrebbe dovuto segnare la fine del cristianesi- simo costantinista e sociologico, la teologia (ed, anche se lentamente, la stessa prassi dei credenti) sta mettendo bene in rilievo come (almeno per la situazione italiana) non si può fare una teologia della rivoluzione e della liberazione se prima non si fa una rivoluzione e liberazione della teologia. Ed il presente saggio di Felice Molinanio, un giovane prete teologo e ricercatore, mi ha dato la conferma di quanto benefico sia, per la società civile e per la storia del cristianesimo del secolo XX, questo intenso e vigile e diligente dialogo, che egli, in sintonia con ben più poderosi e fervidi fermenti culturali, ha voluto intessere tra teologia e letteratura, fra filosofia e scienze umane, fra critica letteraria e marxismo strutturalista e I-evisionista. Se qualcuno vuole avere una conferma di quella che oggi viene chiamata la « diversità dei marxismi » deve tenere presente anche l’apporto che questo giovane studioso, sulle orme di Ga raudy, Schafft, Lukàcs, Bloch, Marcuse ed Horkheimer, ha voluto dare nel presente dibattito, che in questi mesi ferve, con incandescenza polemica, in Italia. Felice Molinario non parla specificamente del marxismo, anche se si riferisce, con ridondanza di citazioni bibliografiche, alla continua e benefica osmosi, che il processo di dialogo e di reciproca chiarificazione fra marxismo revisionista e cristianesimo sta apportando anche alla stessa storia politica italiana. E tuttavia, in un colloquio di chiarificazione che ho avuto con lui, in questi giorni, qui, a Bonn, dove io lavoro da anni nelle comunità di emigrati italiani e spagnoli e dove esperimento quotidianamente la bontà del metodo 115 RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________ Freire, del quale pure parla nel suo libro, egli mi ha riferito che ha la chiara consapevolezza che Marx ha fatto il suo libro allo stesso mo do come la tradizione biblica, ereticale ed anticlericale dei secoli scorsi ha fatto K. Marx ed il movimento marxista. Ed è in questa luce che si giustifica allora il titolo della collana di studi e ricerche per una cultura meridionalistica alternativa, nella quale egli ha inserito il suo saggio e con la quale intende portare avanti una serie di problematiche della controcultura o della cultura analfabeta, che finora non ha mai potuto avere spazio nella politica editoriale e culturale della tragica, ma non disperata realtà italiana di questi anni. Felice Molinario è convinto che quando l’oppio diventa dinamite, quando, cioè, i poveri, i terzi mondi, gli emarginati, gli esiliati politici, le donne, i giovani si appropriano della carica e dei contenuti autenticamente umani e rivoluzionari della speranza e della operosità cristiana, allora, ci può essere anche possibilità e spazio, non tanto per la sussistenza e la incidenza della religione, ma soprattutto per una nuova forma o modulo culturale, che mentre recupera i valori ed i dati della tradizione secolare e biblica, nello stesso tempo si arricchisce con l’apporto e la concretizzazione pratica di nuovi elementi o dati culturali. Il filone del marxismo revisionista, che il Molinano ha mutuato da recenti studi e convegni e prese di posizione della intelligenthia italiana, la più benemerita ed aggiornata (ad esempio don Italo Mancini, padre Ernesto Balducci, don Giulio Girardi, Lucio Lombardo Radice, Pietro Prini, ecc.) 116 oggi dunque può fare riscoprire degli indubbi valori nella tradizionale prassi o cultura italiana. Molinario applica ad esempio questo principio al caso del Parzanese, un poeta minore dell’800 romantico italiano. Su questo poeta la critica letteraria più accreditata ha detto delle bellis sime verità: poeta del villaggio (F. De Sanctis), poeta popolare (B. Croce). Ma il Molinario dice che oggi non ci si può più fermare a queste interpretazioni congelate nel vicolo cieco di uno schematismo ideologico di altri tempi. Non che queste interpretazioni non siano esatte e vere. Ma, anzi, proprio perché esatte e vere esse debbono essere oggi ampliate, attualizzate, reinterpretate alla luce di nuove istanze pedagogico-culturali e soprattutto in base alla revisione della critica marxista e gramsciana alla pratica ed al ruolo della religione nella società contemp oranea. E nello stesso tempo vorrei dire che non è solo questo il merito e l’apporto che il saggio del Molinario vuole dare alla cultura italiana. Egli non intende solo dialogare con il marxismo: anzi quello del « supplemento d’animo » al marxismo resta, mi sembra, un apporto marginale, dal momento che egli, citando continuamente la ricca e documentatissima bibliografia al riguardo, dà per scontato ed acquisito una siffatta tematica, almeno per gli ambienti delle avanguardie e dei gruppi di ricercatori che egli frequenta con assidua ed encomiabile costanza. Il tema del rapporto marxismo e cristianesimo viene qui lumeggiato alla luce della scienza dell’interpretazione, quale l’hanno resa, in questi ultimi anni Ricoeur, Heidegger, Gadamar, Ha- ______________________________________________________________________________________________RECENSIONI bermas ed Horkheimer e, più ancora, alla luce di una cosiddetta metodica dell’interdisciplinarità, alla quale egli stesso sta lavorando con una s erie di riflessioni e di iniziative culturali.In questo mo do il marxismo, nella misura in cui viene relativizzato, viene anche autenticato e, nello stesso, se così posso esprimermi, viene anche vanificato, nel senso che si riconosce che, nella misura in cui esso non sa dare spazio ad altre dimensioni che non siano quelle della economicità e della fatticità efficientistica e produttivistica, diventa un umanesimo disumano. Ma si badi bene che la polemica del Molinario non è affatto rozza ed acida: anzi potrei dire che non è neppure esplicitata nella maniera in cui qualche altro avrebbe desiderato. Anzi si potrebbe dire che egli resta molto compiacente e arrendevole nei riguardi del marxismo. Fa sue, ad esempio, le parole che un altro prete, spagnolo Dome me, ha rivolto alle masse dei giovani italiani, nelle sue vibranti conferenze alla pro civitate christiana di Assisi; parla cioè della rivelazione e degli stimoli che José Maria Go nzalesRuiz gli ha dato per una scoperta nuova del marxismo, quando egli stesso ha confes sato: « Io sono diventato più cristiano il giorno in cui ho scoperto e letto Karl Marx ». La vanificazione del marxismo e (per esso) di ogni ideologia sta nel fatto che egli mette in evidenza che all’analisi epistemologica delle modalità e della relatività e provvis orietà della conoscenza umana risulta che è disumana ed insostenibile quella teoria o quella ideologia che si ponga come unica ed assoluta ga- rante della verità di una ipotesi o proposta etica. Per questo il Molinario parla di pluralismo, di sinfonismo della verità, di relatività e di apofaticità del linguaggio umano. La struttura del suo discorso, dunque, pur nella settorialità delle tre sezioni del suo libro, è unitaria ed ispirata da questa mozione di principio: se è vero che il senso della vita sta nell’agire e nel capire che non ha senso dire che la vita non ha senso e che se la vita di ogni uomo ha un senso « chi lotta e soffre su di una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra » (Nikos Kazantzakis). Inoltre, un altro degli elementi di compiacimento per il presente lavoro, sta nel fatto che il Molinario ha messo in risalto, grazie alla critica letteraria di stampo gramsciano e di ispirazione populista, che Parzanese oggi deve essere conosciuto, non s olo perché egli resta l’autore di leziose e serene poesiole per educare il popolo a miti sentimenti, ma soprattutto perché egli può essere letto in chiave marxista e materialista non più come il patetico addormentatore delle coscienze (sic Francesco e Flora), ma come il don Milani o il Paulo Freire dell’Italia meridionale del secolo XIX. Se Ernst Bloc ha scritto che « ogni uomo che ha delle aspirazioni vive nel futuro ed il Passato giunge solo più tardi ed il vero presente non è mai generalmente quasi ancora giunto » il Molinanio, grazie alla mediazione di Hans Georg Gadamer, secondo cui « chi scrive e trasmette si crea egli stesso i propri contemp oranei » precisa che il merito e la bontà del metodo ermeneutico sta appunto nel fatto che, almeno, esso 117 RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________ mette bene in risalto il ruolo autobiografico e protagonistico che deve avere anche l’interprete o il lettore, in questo vasto processo di « circolarità ermeneutjca », che coincide, in fondo, con la storia cosmica. In questo senso è esatto ed anzi si pone come programma di vita questa asserzione che l’autore prende a prestito a Schleiermacher, l’iniziatore della teoria ermeneutica: « Io studio e penetro con il pensiero la sua personalità per chiarire sempre meglio la mia ». Il nostro plauso compiaciuto al lavoro del Molinario deve essere, pertanto, nello stesso tempo anche un contributo che noi stessi vogliamo dare alla causa della liberazione e della promozione dell’Uomo. CARLOS DEL RIO 118 la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale Direttore responsabile: m0 Mario Taronna Redazione: dott. Luigi Mancino Tipografia Laurenziana - Napoli - Via Tribunali, 316 Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963 Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150 Questo fascicolo, finito di stampare nel mese di dic. 1979 L’ORDINATORE E I CATALOGHI A titolo di premessa e dedica. Per quanto molto si sia scritto e detto sulla necessità di un controllo sociale della scienza, per non essere sorpresi da un suo uso « inquietante », più diffusa, specie negli anni scorsi, è stata una immagine « rassicurante », buona e capace di garantire addirittura in linea di principio un indefinito progresso: la scienza a garanzia del futuro umano. Delle due immagini opposte, quella dello scienziato scopritore geniale e intuitivo e quella del freddo deduttore — traduzione a livello comune dell’opposizione colta fra determinismo e indeterminismo — la prima, delle due certo la meno tranquillizzante ha avuto la sorte che « meritava » in epoche, come l’ultimo dopo-guerra, in cui il miglioramento economico e sociale doveva essere ufficialmente garantito e almeno ideologicamente propagandato e alla fine assunto come fede. Espunta dal dibattito divulgativo, non si ritrova più sulla stampa relativa: privata di ogni mediazione, viene respinta, staremmo per dire fra i banchi dell’opposizione, pensando, per fare un nome, ad Havemann e a quanti, anche in Italia, riflettevano sul valore conservatore di quella ideologia di fede e cercavano di sviluppare un’analisi critica e di connettere dialetticamente le due immagini. O anche, e parallelamente, trova ospitalità solo nella science fiction e nelle rappresentazioni di alcuni registi, narrazioni inquiete, ma estremamente catartiche e liberatorie verso una realtà da esorcizzare. « Il deduttivismo e l’induttivismo sono soltanto degli atteggiamenti che noi scienziati scegliamo quando va su il sipario e il pubblico ci vede. L’illusione scompare però se ci chiediamo che cosa accade dietro le scene ». 1 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ Nobel per la medicina, non ha impedito affatto, cosa ovvia, come del resto non lo avevano impedito gli appelli precedenti, divenuti apocalittici, forse per inefficacia, il diffondersi dell’immagine « tranquillizzante » dello scienziato freddo e inflessibile « deduttore », conseguente frequentatore di solidi principi e operatore di altrettanto « magnifiche » realizzazioni. Beneficiari di questa situazione però non sono stati i premi Nobel, Questa « confessione » fine anni ‘60 di Peter Brian Medawar1 , che, lo abbiamo visto, al di fuori della cerimonia di premiazione, non l’avevano né creata né favorita, bensì i « cerimonieri », i quali più che di un sipario, avevano bisogno del muro della « delega » e, per quel che qui ci interessa, un nuovo strato sociale, un nuovo tipo di intellettuale: costituitasi « 1’anonima cervelli » si assiste all’« emergere del tecnico »2. Gli specialisti trovano diffusione in questi anni nei più diversi « formati ». E, alla fine, buon ultimo sugli « esperti » televisivi, anonimi propositori di quiz, inflessibili, invisibili, immuni da errori, ma determinanti, arriva l’uomo EDP. Il salesman dell’informatica fra la fine degli anni ‘60 e la metà degli anni ‘70 ha tutte le caratteristiche dell’oggetto che vende e dell’ideologia che lo annuncia: completamente asettico, sicuro di sé, distaccato freddo, ma non sprezzante, egli per antonomasia assicura e rassicura. Ogni problema ha la sua soluzione. E, mentre i filosofi e gli scienziati continuano a discutere di « questioni di metodo », egli non ha incertezze: applica la tecnica alla situazione e trova la soluzione. Intorno agli anni ‘70 i circuiti integrati diventano materia di illustrazione: il rotocalco che annuncia l’ultimo potente ed efficace ritrovato è solo un modo diverso di proporre e generalizzare l’offerta, e la miniaturizzazione dei circuiti esibiti sulla carta patinata si dimostra la maniera migliore per rendere invisibile anche il « sipario », rendendo fuori posto ogni « problematicità ». Scopo di questo discorso non è quello di insinuare sospetti verso l’elettronica, ma al contrario di invitare a saperne di più, a non escludere per principio la possibilità di avere un’idea, la più adeguata possibile, di cosa anche materialmente avviene nell’elaborazione elettronica dei dati. In particolare esso è indirizzato ai bibliotecari. Questi nel loro campo a tutti i livelli devono operare una appropriazione tecnologica, evitando di relegarsi in un tradizionalismo, ammantato di un malinteso umanesimo, sempre più assediato dagli oggetti prodotti dall’altra cultura. Il tentativo che qui viene compiuto è di dare indicazioni a quanti ci sono sembrati non voler giungere al punto di manovrare un computer, ma neanche voler restare del tutto fuori, respinti da una, secondo noi del tutto ideologica, complessità tecnica. Lo scopo perseguito è quindi di dare una qualche idea o immagine, 1 2 2 Induzione e intuizione nel pensiero scientifico, Roma, Armando, 1970, p. 52. C. WRIGHT MILLS, Colletti bianchi, Torino, Einaudi, 1966, pp. 211 e segg. _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI presuntivamente abbastanza precisa dell’elaborazione elettronica dei dati bibliografici, attraverso l’esposizione dell’esperienza in questo campo della Biblioteca Provinciale di Foggia e alcuni riferimenti al nastro ANNAMARC. La speranza è di essere il più semplici, ma non semplificatori, possibile. Tuttavia, « prudenzialmente » abbiamo « sperimentalmente » costretto a una lettura preventiva alcuni colleghi che, essi stessi destinatari, ci hanno dato preziosi suggerimenti correttivi e della cui pazienza siamo grati. Dopo questa, per così dire, « calibratura » non resta che cominciare. Il record, i campi: come legge un computer. Il concetto fondamentale dal quale conviene partire è quello di record. Il documento che descrive il nastro ANNAMARC distingue fra records fisici e records logici. Per chi non avesse molta dimestichezza con l’elaborazione elettronica dei dati in genere e di quelli bibliografici in particolare, si può dire innanzitutto che il record è una unità di registrazione di dati3 . In genere è suddiviso in campi, ma, per intendere la funzione di questi ultimi, e qualora si avesse bisogno di una immagine, si può utilmente pensare l’elaboratore come un cieco che « scandisce » lo spazio per orientarsi: poiché la macchina non accede al significato dei dati, il suo « comportamento » è quello di identificare attraverso la posizione nel record l’insieme dei caratteri, lettere o cifre, che fanno parte di un campo, per poi trattarlj secondo le istruzioni. Sicché qualsiasi linguaggio di programmazione, che serve a dare alla macchina le istruzioni per il trattamento dei dati, prevede prima di tutto una definizione dei records e dei campi in cui essi si suddividono. Letto l’ultimo campo, la macchina esegue i « calcoli », emette i risultati e ricomincja il ciclo leggendo un altro record. Per esempio, se nelle istruzioni è previsto che il campo AUTORE, cioè il gruppo di caratteri che poniamo deve essere messo in ordine alfabetico, comincia nella posizione 30 e comprende 25 caratteri, la macchina, quale che sia il nome effettivo che capiti in quelle posizioni, sia più lungo o più breve, leggerà sempre 25 posizioni a partire dalla 30a. Questo il « normale » andamento della macchina. . 3 « RECORD (record) Unità di trattamento rappresentante una determinata transazione, o anche elemento base di un flusso o archivio e composto a sua volta di un certo numero di elementi di informazione (ad esempio campi) tra loro collegati ». (ANT HONY CHANDOR, Dizionario di informatica, con la collaborazione di John Graham e Robin Williamson. Edizione italiana a cura di Giovanni Rapelli. Bologna, Zanichelli, 1972. Voce Record, corsivi dell’A.). 3 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ L’informazione bibliografica è variabile: difficoltà del record fisso. Se le cose stanno così, la prima idea che può venire è quella di costruire un record che comprenda un’intera scheda bibliografica, assegnare in esso delle posizioni precise ai campi che interessano (Parola d’ordine, Titolo,...) e avviare il lavoro. Sulla base di quanto detto, una volta definita la posizione, per esempio, del campo TITOLO nel record, dovrebbe essere facile per la macchina trovarlo e trattarlo come ci serve, per esempio per fare un catalogo per titoli. E di solito, per esempio nell’ordinamento di un’anagrafe di clienti in campo commerciale, si procede proprio così. Il trattamento dei dati è infatti « naturalmente » orientato a trattare records di lunghezza fissa, cioè tutti con un uguale numero complessivo di caratteri: è come se su una pagina si fissasse un margine, allora tutti i righi avrebbero la stessa lunghezza e conterrebbero lo stesso numero di lettere e cifre; i campi in questo caso sarebbero delle finche, cioè delle porzioni di rigo/record, in cui incolonnare i dati. Se nel nostro caso riuscissimo a metterci in una situazione come questa, il lavoro di elaborazione sarebbe semplicis simo; il nostro record conterrebbe per ipotesi un’intera scheda bibliografica con posizioni precise per ogni elemento (autore, titolo,...) e il lavoro di ordinamento consisterebbe nell’indicare volta per volta la porzione di record, il campo, la finca che ci interessa e la macchina prenderebbe in considerazione sempre e solo quello che troverebbe in quella posizione. Se non che, purtroppo, tutto questo proprio nel caso del materiale bibliografico non è possibile, per il semplice motivo che non è possibile definire per questo materiale un record fisso con campi fissi che contenga tutta una scheda bibliografica, e questo per l’ovvia, ma sfortunata circostanza che non è prevedibile la lunghezza di una scheda bibliografica. Quali che siano le dimensioni fissate per questo record, esso risulterà in alcuni casi eccedente e avremo dello spazio sprecato (e fin qui poco male), in altri casi invece sarà insufficiente e questo è grave perché costringe all’omissione di dati. E’ intuitivo comprendere che la situazione è contradittoria. Essa è tale che, benché lo spazio inutilizzato nel record può aumentare a misura che aumentiamo la lunghezza massima del record, nondimeno siamo costretti ad accrescerla il più possibile in previsione di contenervi schede bibliografiche molto ampie, oltretutto mai certi di essere stati abbastanza previdenti. Prima soluzione: records fisici e records logici. Torniamo dunque al nastro ANNAMARC per vedere come è stato risolto il problema. In esso, si diceva, sono previsti due tipi di records, quelli fisici e quelli logici. Questa distinzione è dovuta al fatto che nella realtà non 4 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI si può ampliare indefinitamente la lunghezza del record: ogni macchina ha prefissato un numero massimo di caratteri che può leggere come un unico record. Allora il record fisico di solito è la registrazione che la macchina deve leggere o scrivere in una sola volta; ma quest’ « obbligo » ha un limite. Così, per esempio, sulle schede perforate il record fisico massimo dipende evidentemente dal numero di colonne comprese nella scheda. Sui nastri invece i records possono essere più lunghi, infatti nel nastro ANNAMARC la lunghezza massima prevista è di 2048 caratteri e in questa lunghezza deve rientrare la scheda bibliografica completa, ed anche quello che serve (codifiche,...) per l’elaborazione. Qualora non bastasse, viene in soccorso il record logico che è l’insieme di più records fisici non indipendenti, ma tali che quelli seguenti sono delle continuazioni del primo; in questo caso bisogna « avvertire » la macchina (si vedrà poi come), affinché l’elaborazione non riprenda come per ogni record dal principio, ma da un punto intermedio adatto al « sovrappiù » di dati in arrivo. Seconda soluzione: il record variabile. Tuttavia questa è una possibilità del nastro ANNAMARC, ma non la soluzione adottata. In effetti in esso il problema della variabilità di « dimensioni » della scheda bibliografica è stato risolto adeguando la lunghezza del record al suo contenuto, in altri termini invece di utilizzare records di lunghezza fissa, il nastro contiene records di lunghezza variabile che portano in se stessi con un numero posto all’inizio il totale del flusso di caratteri che deve essere elaborato in una sola volta. Diciamo subito che questo modo più « naturale » di fornire i dati alla macchina al fine di risparmiare spazio sul supporto rende complicato il trattamento, non per la macchina ovviamente, ma per il programmatore, che di solito è preparato a trattare records fissi e ha poca dimestichezza con i records variabili. Diciamo pure che « risparmiare » spazio su un nastro può non significare una economia rilevante (il prezzo in rapporto alla lunghezza del nastro varia da circa 10.000 a circa 30.000 lire). E’ da notare però che, se questa considerazione è giusta nel caso « scriviamo » noi il 5 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ nastro, non è più giusta se il nastro con records fissi lo compriamo registrato, perché, questa volta, non più ovviamente allo stesso prezzo, ci potremmo trovare ad acquistare un nastro pieno di... spazi vuoti. Una soluzione diversa. Vediamo a questo punto come sono stati risolti questi problemi nel sistema di automazione adottato nella Biblioteca Provinciale di Foggia. Prima di tutto si è scelto proprio un record fisso, il che, come si è detto, semplificava il lavoro di programmazione4 . Fatta questa scelta, si poneva evidentemente anche per noi il problema della definizione della lunghezza del record. Su questo punto, all’epoca (1974), in fase di impanto, si partì direttamente dall’idea che fosse indeterminabile. In effetti occorre dire che anche i limiti massimi fissati per i records fisici nei sistemi automatizzati, per esempio quello di 2048 citato a proposito del nastro ANNAMARC, sono generalmente multipli di un numero che presiede alla logica di funzionamento della macchina e non ricavati da una qualche analisi, poniamo della lunghezza media di una scheda bibliografica (che dipenderebbe, oltre che dalla casistica estremamente varia prevista dalle norme catalografiche, anche, come vedremo, dalle specifiche esigenze di una biblioteca particolare). Pertanto si tentò di trovare una soluzione che permettesse di trattare quella lunghezza indeterminabile attraverso records fissi senza eccedenze né limitazioni di spazio: qualcosa che si attagliasse bene sia al romanzetto che al trattato scritto in collaborazione fra molti autori e in un numero imprecisato di volumi, con soggetti, richiami, spogli, richiami e soggetti degli spogli. Il record è un contenitore modulare come la scheda internazionale. Un record meccanografico è come una scatola che porta scritta sopra qualche indicazione sul contenuto. Si trattava allora di fissare le dimensioni di una scatola che fosse in qualche modo « elastica » e, come nel caso del record variabile, fosse piccola per le schede brevi e grande o grandissima per le schede « lunghe », insomma sempre « giusta ». Ci si mosse allora nella direzione di un « contenitore modulare » che seguisse l’andamento dell’informazione bibliografica: la logica della modularità è appunto quella di un elemento minimo di base che si espande per successive aggiunte. L’idea era evidentemente quella di scomporre la scheda nei suoi componenti: parola d’ordine, titolo,... 4 Un insieme di record prende il nome di file. Per rappresentare un record e fissarvi le posizioni dei campi, si usa di solito un tracciato (vedi per esempio quelli riportati di seguito). Un programma è un insieme di istruzioni che eseguite tutte o in parte per ogni record permettono l’elaborazione di uno o più files (i programmi della Biblioteca Provinciale di Foggia sono scritti in RPG II). Poiché di solito non tutti i record di un file sono elaborati dallo stesso tipo di istruzioni inserite in un programma, esiste nel record stesso un elemento distintivo, un codice, che viene richiamato nelle istruzioni come condizione per trasceglierne un certo gruppo piuttosto che un altro. Per maggiori delucidazioni, vedere la letteratura relativa, o almeno la voce del Dizionario sopra citato. 6 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI Tuttavia qui la soluzione ancora non c’era. Quale poteva essere la lunghezza di uno di questi componenti da prendere poi come modulo di base e unità di misura per tutti gli altri? In ogni caso questa unità modulare andava definita. Alla fine, con quel minimo di coraggio che ci vuole quando bis ogna scegliere una volta per tutte, si decise di farsi « orientare » da una delle finalità principali del progetto: stampare schede bibliografiche in formato internazionale e si concluse di adottare come record il rigo di questa scheda. Per la verità non fu proprio un salto alla cieca. Nella scelta giocò una certa quantità di fiducia nel lavoro degli altri: si pensò che chi ha fissato le dimensioni di questa schedina lo ha fatto dopo aver affrontato problemi molto simili ai nostri, ma certamente con un’esperienza maggiore in campo bibliografico, comprensiva anche delle « lunghezze » delle informazioni da mettere su quel supporto. E, d’altra parte, nel lavoro concreto si constatava che lo spazio della schedina in genere non era né troppo, né troppo poco. In conclusione, misurando la schedina internazionale, si vide che i suoi 125 millimetri contenevano 48 caratteri di una normale catena di stampa per elaboratori, ma per maggior comodità di lavoro (piccoli spostamenti in senso orizzontale durante la stampa,...) si ridusse a 47 i caratteri del record: questa era nella sua essenzialità la scatola, il mo dulo elementare da cui partire. Il nastro ANNA MARC è un libro: le codifiche. A questo punto, prima di proseguire, è utile tornare un momento sulla struttura del nastro ANNAMARC. 7 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ Si è detto che in esso ogni record ha una lunghezza diversa dall’altro in rapporto al numero di caratteri (lettere, numeri,...) che i dati di ogni scheda bibliografica volta per volta richiedono, sicché ogni record porta all’inizio un numero di 5 cifre che indica appunto il numero complessivo di caratteri. Questa però è solo la prima parte di una serie di indicazioni generali che occupano sempre le prime 24 posizioni (la Guida di cui quelle 5 cifre costituiscono un campo) che attraverso codici letterali o numerici precisano vari aspetti del record, per esempio se si tratta di materiale a stampa, di manoscritti, di spartiti, disegni, dischi di un’opera monografica o di un periodico tutte cose importanti al fine di una selezione o scelta nella massa di records di un particolare tipo di informazioni. Ma nel discorso che stiamo facendo assume particolare rilievo il numero riportato nelle posizioni 12-16 della Gu ida, cioè l’« indirizzo base dei dati». Infatti dopo la Guida e prima dei dati veri e propri è inserito un Indice che nei suoi componenti riassume in forma codificata le caratteristiche dei dati (il numero di scheda, la lingua dell’opera; per i soggetti: se si tratta di nomi di persona, geografici o di congressi e conferenze,...). L’indice ha un andamento (o tracciato) fisso, comprendente un’etichetta, la lunghezza delle informazioni specificate dall’etichetta, la loro posizione nel record (complessivamente 12 cifre). Allora, attraverso il primo di 5 cifre della Guida la macchina sa (è da scusare un certo diffuso antoporfismo adottato per semplicità e brevità) quanto è lungo il record, ma poiché questo contiene a blocchi di 12 cifre anche le informazioni sulle informazioni, l’indice, prima delle « scritte » vere e proprie, allora è importante che nelle posizioni 12-16 della Guida sia indicato dove cominciano i dati. Insomma per dirla con un’analogia, il nastro ANNAMARC è organizzato come un libro. I libri, si sa, hanno ciascuno un numero di pagine variabili divise in un certo numero anch’esso variabile di capitoli. Un « libro » ANNAMARC avrebbe nelle prime pagine un indice con la denominazione dei capitoli (l’Etichetta), la pagina di inizio e il numero di pagine occupato da ciascuno. Prima dell’indice ci sarebbe in più l’indicazione di quante pagine complessive compreso l’indice ha il volume, di che tipo di materiale si tratta,... (la Guida). Sicché la macchina (e noi col nostro volume dovremmo fare lo stesso), se dovesse identificare il titolo di un’opera, dalla Gu ida sa entro quale spazio deve cercare l’Indice; all’interno dell’Indice identificherebbe l’Etichetta 240 (3 posizioni) che indica il titolo: una volta trovata, le successive 4 cifre le direbbero quanti caratteri è lungo e le 5 cifre finali (delle 12) dove comincia nel record. L’insieme delle lettere, spazi, ecc, trovato con questo « computo » sarà trattato come titolo. Tornando alla struttura modulare adottata nella Biblioteca Provinciale di Foggia, vediamo come è stato risolto il problema della identificazione e della interconnessione dei vari moduli costituenti la scheda bibliografica. 8 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI Un libro a fogli mobili. Abbiamo già detto che il record è come un contenitore che porta scritte « fuori » delle indicazioni relative al contenuto: parlando dell’etichetta 240 abbiamo preso a titolo di esempio solo una delle 47 codifiche che nel nastro ANNAMARC identificano tutte le informazioni previste come possibili per un libro, dal « numero di scheda » alla « provenienza »; si tratta comunque di consultare un elenco che fa corrispondere a ogni numero il relativo significato. Nel nostro caso, di un contenitore fisso di 47 caratteri, per ognuno, volta per volta, abbiamo indicato il contenuto che ci sarebbe servito poi di identificare, tralasciando la lunghezza e la posizione di inizio, essendo invarianti. Non abbiamo etichettato molti elementi: diremo più avanti i motivi per cui riteniamo che a una biblioteca pubblica di ente locale di dimensioni medie possano interessare solo un certo numero di cataloghi cartacei, diciamo ora che ci siamo riproposti di stampare tutti i cataloghi possibili a partire dagli elementi presenti normalmente nella scheda bibliografica fondamentale. Abbiamo pertanto pensato che per fare i nostri cataloghi ci serviva identificare, etichettare o, se volete, codificare: la parola d’ordine, il titolo e gli eventuali collaboratori (illustratori, traduttori,...), le note tipografiche, la collocazione, i soggetti, i richiami, gli spogli, i soggetti degli spogli e i richiami degli spogli e li abbiamo, ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ se così si può dire, trattandosi di cosa troppo semplice, « codificati » in sequenza (vedi tabella seguente). Abbiamo poi considerato che poteva servire distinguere le parole d’ordine in nomi di persone, prime parole del titolo, nomi di enti, sicché abbiamo creato una sottosequenza; analogamente abbiamo proceduto per altri elementi della scheda, e così abbiamo ricavato la tabella completa. Quello che ancora manca in tutto questo è il criterio di connessione fra questi « moduli » (che si possono tranquillamente considerare in linea di principio e di fatto come elementi a se stanti), cioè manca il « che cosa » indica alla macchina che un certo numero di records costituiscono un’unica informazione bibliografica. Ebbene, questo « quid » è un numero progressivo che serve poi anche come numero di inventano e che ripetuto per tutti i singoli elementi li « raccorda » fra loro (vedi esempio pag. 13). Abbiamo quindi risolto il problema di avere contenitori « adeguati » ai singoli casi, parificando il numero di records al numero di righi necessari per una scheda bibliografica formato internazionale, uniti fra loro da un numero di inventano: in termini meccanografici si può dire che abbiamo adottato la soluzione di lavorare con un numero variabile di records fissi con ampi fissi, invece che con un unico record variabile con campi variabili. Parentesi storica. Prima di dire come la macchina procede nella stampa dei cataloghi è necessaria una parentesi storica. Il discorso fatto fin qui è una « rappresentazione » di come si sono svolte le cose in quella che possiamo chiamare la seconda fase di realizzazione del progetto di automazione dei cataloghi della Biblioteca Provinciale di Foggia. Prima che tutto ciò accadesse, il Direttore della biblioteca nel discorso inaugurale tenuto nell’ottobre del ‘74 così sintetizzava gli obbiettivi generali, la situazione storica reale e le modalità del progetto: « L’assenza di coordinamento, di informazioni e programmi-pilota, utilizzabili anche dalle biblioteche pubbliche, fa sì che la nostra esperienza si vada ad aggiungere alla ineliminabile varietà delle diverse esperienze di automazione in corso in alcune biblioteche italiane, e sia strettamente collegata alla reale situazione e alle esigenze del nostro istituto. Il programma di automazione adottato dalla Biblioteca Provinciale di Foggia non ha pretesa di assolutezza e di completezza, ma è concretamente rapportato alle necessità reali nel quadro delle destinazioni delle informazioni rivolte principalmente all’utente medio » 5 . E’ un passo che andrebbe tutto sottolineato, perché definisce un 5 ANGELO CELUZZA, La nuova biblioteca provinciale, Amministrazione Provinciale di Capitanata, 1975, « Quaderni della Capitanata, 2 », pp. 17-18. 10 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI po’ tutto il progetto. Ma per meglio delineare la fase iniziale, aggiungiamo che essa era stata caratterizzata da una troppo netta differenziazione fra il personale bibliotecario e gli « addetti agli elaboratori », con una inevitabile diversità di « interessi » fra le parti e alla fine con una completa delega ai secondi delle soluzioni « tecniche » adottate. Nacquero troppi inconvenienti e gli obbiettivi da raggiungere, che poi altro non erano che le « aspettative » più volte dettagliatamente esplicitate dalla Biblioteca, furono raggiunti solo parzialmente, perché il personale « tecnico » non trovò una linea unificante che permettesse di individuare una struttura di base su cui operare, per raggiungerli tutti. Nella seconda fase, invece, una diretta partecipazione attraverso una preparazione anche tecnica della « parte » bibliotecaria eliminò l’apparente indipendenza degli obbiettivi, aprendo la strada alla soluzione anche di qualche inconveniente che tutt’ora permane. Abbiamo voluto dire questo, per sottolineare che la nostra esperienza ci induce a sostenere che, quand’anche non ci fossero altri motivi di ordine generale, è indispensabile per le biblioteche che intendessero intraprendere un progetto che preveda un elaboratore a qualsiasi titolo di uso, dotarsi al proprio interno del personale il più preparato possibile in questo campo o quanto meno di servirsi della collaborazione di altri bibliotecari e di non « delegare » a tecnici « non bibliotecari » la soluzione dei propri problemi o il soddisfacimento delle proprie aspettative. I tracciati: la struttura dei records. Tornando ora al nostro « modulo a, vale la pena di guardare direttamente i « tracciati » attuali (v. pp. 22-23), dai quali risulta la disposizione dei vari elementi nel record, avvertendo che il campo « zona »è un codice relativo alla sala, fondo o biblioteca cui appartiene l’opera, che i soggetti e i richiami hanno una codifica aggiuntiva a colonna 18, L o S, rispettivamente per quelli riferiti all’intero libro e per quelli degli spogli, si noterà, in fine, che gli spogli ripetono « in piccolo » il tracciato della scheda principale; ognuno di essi è identificato infatti con un numero di sequenza uguale per l’autore e il titolo (colonne 13-15) i quali per questo sono « raccordati a fra loro, ed eventualmente con i rispettivi richiami e soggetti. Il lavora e le sue fasi. Vediamo ora come si svolge il lavoro. La prima fase (vedi diagramma di flusso p. 24) è quella di registrazione delle schede su dischetto. Poiché le schede arrivano a blocchi più o meno consistenti fondo per fondo, l’addetto si limita a scrivere una sola volta il codice del fondo e la macchina di registrazione lo ripeterà per il seguito; anche l’anno resta invariato per lunghe sequenze; il numero di inventano viene invece tralasciato, sarà inserito 11 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ successivamente dal computer, così pure per i numeri che dovrebbero stare nelle posizioni 16 e 17 del record della scheda principale e che servono quando una informazione elementare continua nel rigo/record seguente; per gli spogli oltre a quelle precedenti restano non scritte le posizioni 13-15 e la posizione 16: anche a questo provvederà il computer. Vediamo allora con un esempio cosa effettivamente scrive l’addetto, avvertendo che le prime 5 cifre sono in realtà ripetute dalla macchina. Finito questo lavoro la prima cosa è un « controllo a effettuato sulle stesse macchine per vedere se non vi siano codici senza senso: per esempio, come è detto nel tracciato (v.) e nella tabella (v.), il record del titolo (2 a colonna 12) può avere solo 1 o 2 a colonna o posizione 15; la macchina è « istruita » (programmi di controllo nel diagramma di flusso) in modo da bloccarsi quando trova codici errati (per es.: 2005 da col. 12 a 15 nel caso del titolo). Va notato che il controllo riguarda solo questo, non gli errori, poniamo ortografici nei dati verbali e tanto meno nella schedatura. Fatto questo i dischetti registrati passano all’elaborazione. Nella prima fase il computer fa una cosa molto semplice, ricopia tutti i dischetti pronti su un discpack, cioè una pila di dischi magnetici 12 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI che costituiscono un archivio molto capiente6 ; nel ricopiarli, aggiunge le parti mancanti (programma Numeri del diagramma di flusso): ogni volta che arriva un « primo autore » (codice 1001 o 1004 o 1005 nelle coll. 12-15), cioè una nuova scheda bibliografica, incrementa di una unità il numero di inventano; ogni volta che cambia il numero a colonna 15 ricomincia da 1 la sequenza delle « continuazioni », ogni volta che arriva uno spoglio, gli attribuisce un numero progressivo uguale per l’autore, il titolo ed eventuali soggetti e richiami. Insomma completa il tracciato e trasferisce in archivio i dati nel modo seguente: 6 Nel diagramma di flusso sono indicati due files su disco, uno denominato ARCHIVIO e uno PROVV: quest’ultimo è una registrazione provvisoria, per la correzione di eventuali errori ortografici dei dati da cumulare poi nel file ARCHIVIO. U1 e U2 sono indicatori esterni, assimilabili a interruttori manovrabili dall’esterno: il loro valore nel diagramma è che i dischetti saranno scritti sull’uno o sull’altro disco (o su entrambi) a seconda che « accendiamo » l’uno o l’altro (o tutt’e due); analogamente per i cinque indicatori esterni previsti dal programma CATALO. Nel prosieguo del discorso si ipotizza che i dati siano già in un modo o nell’altro, cioè per cumulazione o direttamente, in ARCHIVIO. 13 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ A questo punto non resta che decidere quale catalogo stampare. Poniamo di voler stampare il catalogo alfabetico per autori. Si procederà dunque prima a una lettura completa dell’archivio, facendo scegliere e ordinare (questa operazione prende il nome di SORT: SORTA nel diagramma di flusso) solo gli autori, che saranno identificati dalla macchina per mezzo dei codici compresi fra le colonne 12 e 17, da noi specificati attraverso una tabella completa delle possibili alternative. All’interno della scheda dell’esempio precedente la macchina troverà che gli autori sono: HENLE, MARY. / VARIN, DARIO. / PASCHI, SILVIO. / HENLE, MARY. / KOHLER, WOLFGANG. / ... e così via e, per confronto li ordinerà insieme a tutti gli altri, prendendo in parte o tutte le 47 posizioni dopo la 30a e, se lo decideremo, in subordine anche il numero di classificazione. Essi però non saranno trascritti in questo modo. La macchina, alla fine dell’operazione, trascriverà su un altro disco gli indirizzi (FILEIND nel diagramma di flusso) di questi autori: per indirizzo bisogna intendere la loro localizzazione nell’archivio di partenza. Così, per esempio, se ARNHEIM, RUDOLF. è, poniamo, il 400° record a partire dall’inizio, contando autori, titoli, richiami, soggetti e tutto, qualora non vi fossero altri autori da ordinare con quelli su cui stiamo esemplificando, la macchina alla fine del SORT trascriverebbe 400, 382, 393,... (400 per Arnheim, 382 per Henle, che sta 18 righi prima , …: (vedi fig.). (*) Numero relativo dei records delle parole d’ordine. Il risultato della fase di ordinamento, qualora fosse limitato a questi records, sarebbe: 400, 382, 393, 396, 398, 402, 409, 392, 391, 405, 408,… 14 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI Finita questa operazione il programma di stampa dei cataloghi (CATALO nel diagramma di flusso fig.) opera concettualmente in maniera piuttosto semplice: la macchina legge uno dietro l’altro questi numeri e per ognuno di essi individua in archivio (disco ARCHIVIO o PROVV a seconda di dove è stato effettuato il SORT) e scrive il record corrispondente; poi, per sottrazione di indirizzi, « risale » all’inizio della scheda e fa questo seguendo il « binario » del numero di inventario: tale numero deve risultare sempre lo stesso nelle successive comparazioni, essendo come si è detto il criterio di connessione fra i vari records costituenti la scheda bibliografica. Una volta identificato il record iniziale, viene trascritta l’intera scheda, omettendo solo l’informazione già scritta (Vedi esempi alla fine e figura seguente con i movimenti della testina di lettura)7 . Percorso della testina di lettura per scrivere la scheda di spoglio di Arnheim: inizio in 400; a 402 è cambiato il numero di spoglio (da 004 a 005 - coll. 13-15), viene scritta la costante « STA IN » e cambiato il verso di marcia della testina fino all’inizio, dove, « sforando » nella scheda precedente (numero di inventano diverso - coll. 6-11), viene reinvertìto il senso della testina, sicché l’elaboratore legge - scrive i records della scheda principale fino alla collana. A questo punto la macchina legge un altro indirizzo di partenza,… 7 Come si vede questo programma prevede cinque indicatori esterni U1- U5 con i quali (vedi nota precedente) possiamo modificare le « entrate » e le « uscite » secondo necessità. In particolare con U1 in funzione facciamo scrivere alla macchina schedine formato internazionale, con U2 l’indice dei nomi e dei soggetti, con U3 possiamo registrare il catalogo su nastro. Un uso « corrente » di questi indicatori è quello di procedere a un ordinamento per classi, poi, tenendo escluso U1, con U2 e U3 registrare il catalogo classificato su nastro e contemporaneamente le parole d’ordine, i richiami e i soggetti su disco, poi dal nastro ricavare una stampa su due colonne per pagina del catalogo sistematico, mentre dal disco contenente l’INDICE, per successive selezioni (che dividono i soggetti dai nomi) e ordinamenti alfabetici, si ottengono due indici da stampare e allegare al catalogo: un numero progressivo di scheda collega il catalogo agli indici. 15 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ Qui tralasciamo di dire in dettaglio che nel caso di VARIN, DARIO., in questo esempio, trattandosi di un richiamo, viene trascritto al centro del rigo seguente la costante « VEDI », che gli autori principali vengono allineati su un unico rigo, come sarebbero scritti normalmente (vedi esempi di O’CONNEL, D.N. e WALLACH, HANS.) o, ancora, che essi danno origine a schede successive con un’inversione nell ordine in cui si presentano... Quello che crediamo importante sottolineare è che le schede bibliografiche sono « riconoscibili », vale a dire, sia in fase di registrazione che di stampa, esse sono normali per un bibliotecario, e che il criterio generale di ordinare una qualsiasi parte della scheda bibliografica principale per poi, per così dire, « far perno » su questa parte e riscrivere le informazioni che interessano, permette di stampare facilmente tutti i cataloghi o sezioni di cataloghi che possono interessare una biblioteca pubblica, per lo meno una biblioteca pubblica di ente locale (per autori, sistematico, per soggetti, per anno di stampa, topografico, per titoli, o, se si vuole, anche un catalogo dizionario). I cataloghi: una scelta. E qui è il momento di ritornare sulla scelta dei cataloghi cartacei, più sopra data momentaneamente per buona, esplicitando in breve e di necessità anche schematicamente le considerazioni che hanno portato ad essa e che sembrano confermarla ancora. La prima riguarda la funzione dei cataloghi, la quale sembra essere quella di strumento a disposizione degli utenti per la ricerca e il recupero del materiale bibliografico. In questo senso essi sono al centro di una serie di scelte non tutte formali, anzi la principale è senz’altro di tipo pratico o, se si preferisce, di politica culturale e riguarda l’utenza cui indirizzarsi e in rapporto alla quale vengono dimensionati. Siamo dell’opinione che questa scelta debba essere esplicitamente e attentamente valutata, perché perderla di vista o aver dubbi su di essa può produrre conseguenze molto rilevanti. 16 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI Tre considerazioni. Proveremo ora con un esempio a « riassumere » una serie di contatti con bibliotecari che cominciano a occuparsi di questi problemi. Poniamo dunque che ci troviamo ad adottare alcune traslazioni semantiche del linguaggio per cui gli elementi della scheda bibliografica vengono chiamati « dati », le schede stesse « informazioni » e le operazioni compiute nell’utìlìzzarle « recupero »: può accadere allora che siamo pronti a trovare « ragionevole » in un certo giro di tempo l’idea di adottare un sistema di information retrieval basato appunto sull’elaborazione elettronica dei dati bibliografici e, se si aggiunge che ogni sistema di information retrieval che si rispetti pare debba avere uno o più data bases on line, ogni questione è risolta e non resta che guardare quanto c’è in bilancio per l’operazione. Noi a questo punto abbiamo alcune osservazioni da fare. La prima riguarda lo « slittamento » di significato: in verità non è proibito chiamare dati e informazioni il contenuto delle schede bibliografiche, come non è proibito chiamare quadrati tutte le cose quadrate, dal ring alla faccia di un dado; anzi, se abbiamo bisogno di termini formali e generali o comunque tali che descrivano cose diversissime fra loro, è molto utile far ciò. Ma questo procedimento di formalizzazione non deve nascondere e, alla fine, sostituire le cose materiali. « Dato » può essere qualsiasi cosa, ma i dati di cui si parla a proposito del materiale bibliografico non sono « dati » nello stesso senso in cui, per intenderci, lo sono quelli a partire dai quali viene ricavata per mezzo di un calcolatore una busta paga. I dati bibliogralici infatti sono il frutto di una selezione in base ad alcune regole di alcuni elementi di un certo materiale. Sicché le schede bibliografiche sono certamente anch’esse informazioni, ma in rapporto al funzionamento di una biblioteca in cui le vere informazioni cercate sono i libri, anzi il loro contenuto, esse sono informazioni su informazioni, ovvero metainformazioni. Questi fatti, « raccolta di dati in base a regole per costruire metainformazioni », sono piuttosto importanti, come vedremo nella seconda considerazione, ma già ora possiamo dire che un computer, mentre è utile per elaborare dati da combinare Ira loro per dar origine a un altro dato (caso della busta paga) o a delle informazioni (un esempio corretto di quest’uso è il sistema realizzato dall’Italgiure), ha « poco da fare » quando i dati non sono forniti indipendenti fra loro (o anche allo stato elementare: per esempio la parola d’ordine d’autore non viene data come si presenta « nome e cognome », bensì « cognome/virgola/nome »), ma già, come pure si dice, « aggregati ». La seconda considerazione è sul recupero delle informazioni. Una valutazione globale della storia dei cataloghi dovrebbe portare a concludere che i bibliotecari sono informatici da sempre e « per natura ». Essi hanno prodotto una prassi e una certa teoria che permette in qualche modo di organizzare e « recuperare » l’informazione. 17 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ Che 1’ « information retrieval » avvenga su supporti cartacei, magnetici, microfotografici o altro, dal punto di vista di una corretta scienza dell’informazione è irrilevante. Se si tratta di ricercare un autore, un soggetto o una classe decimale, la ricerca sulle schede è quasi tanto veloce, ma enormemente meno costosa e più facile che su un disco magnetico. E ciò anche visto in astratto, cioè senza un rapporto con l’utenza che difficilmente, per quanto semplice possa essere, si rivolgerà « naturalmente » e senza intermediario a un terminale (e del resto non bisognerebbe abbandonarla sola neanche davanti ai cataloghi). La terza considerazione riguarda proprio l’utenza. Le biblioteche debbono scegliere e scelgono di fatto un livello di utenza. In base a questo scelgono anche il livello di indicizzazione del materiale: c’è chi deve perciò scendere al livello del documento e del suo riassunto, chi, ancor più, fino alle parole e alle frasi del testo di un documento, e che si tiene al livello dell’opera nel suo insieme. Non può esistere ed è pericoloso per una biblioteca voler rispondere indifferentemente a tutti i diversi tipi di utenza. A noi pare che le biblioteche pubbliche di tipo generale abbiano nella scheda bibliografica uno strumento adeguato all’utenza cui debbono indirizzarsi, la quale non può in alcun modo coincidere con quella specialistica, che necessita dell’intervento di un centro di documentazione. In conclusione, per il tipo di utenza, per il contenimento della spesa e per facilità di uso noi abbiamo scelto di mantenere i cataloghi cartacei. Possibilità concrete. Ma c’è di più, mettendo nella macchina cataloghi, non si può che estrarne cataloghi; inoltre, a una biblioteca pubblica di ente locale (quand’anche fosse possibile: è da un po’ che, astraendo dai problemi della preparazione e qualificazione professionale, stiamo fingendo per ipotesi che il personale delle biblioteche pubbliche possa fare qualsiasi tipo di indicizzazione) non conviene metterci di più. La giusta preoccupazione di non mettere in macchina « roba scadente » non riguarda questo tipo di biblioteche, né può spingere tutti a cercare di mettere dentro oro (o niente) col risultato che alcuni non potranno estrarne che stagno. Detto in altro modo, noi abbiamo pensato che il computer per la nostra biblioteca debba lavorare in quanto macchina. Allora, forse ci si chiederà, cosa ci aspettiamo dalla macchina? Ci aspettiamo... cataloghi: per autori, per soggetti e per classi, innanzitutto; ma anche, per esempio, per titoli (specie per il settore dedicato ai ragazzi), per collana (utili in fase di acquisto),... Come « sottoprodotti » possiamo facilmente avere un elenco ordinato alfabeticamente delle sole parole d’ordine, per controllarne la correttezza e l’uniformità o da usare come repertorio in fase di scheda- 18 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI tura, statistiche sulla composizione di un fondo in rapporto alle classi decimali, o sull’ « anzianità » dei libri..., così come potremo abbozzare una « disseminazione su profilo di interesse » attraverso il soggetto e/o la classificazione. Abbiamo anche in fase di realizzazione un indice KWOC dei titoli, senza che questo ci induca ad abbandonare la classificazione e la soggettazione: è pure questo un prodotto secondario che non ci costa nulla in lavoro umano questo il punto: è vero, tutti questi cataloghi ed elenchi utilizzano solo le capacità di selezione e ordinamento della macchine, niente di intelligentissimo, e potrebbero essere fatti anche « a mano », ma chi e quando le farebbe? e con quale fatica? applicata a cosa, poi? La macchina mette meno di venti minuti per determinare l’ordine in cui leggere e scrivere circa 10.000 schede, e le scrive in un tempo dipendente solo dalla velocità della stampante (circa 50 al minuto per una stampante a 300 linee per minuto, ma ne esistono anche di molto più veloci); i costi di un impianto in affitto sì aggirano intorno alle 50.000/60.000 per ora. La scuola: estensione del progetto. Ma forse questo non risulta sufficientemente convincente. Allora proviamo con qualche altra possibilità di applicazione, scusandoci, se, date le intenzioni tecnico-divulgative, soltanto accenniamo a problemi complessi e di estrema rilevanza. Prendiamo in considerazione per un momento i problemi delle biblioteche scolastiche. Esse hanno senza dubbio il problema storico del personale: nessuno può in buona fede sostenere che un docente con un piccolissimo numero di ore a disposizione e senza, salvo eccezioni, alcuna competenza possa essere una giusta e adeguata soluzione al loro funzionamento. Queste biblioteche ormai sono quasi tutte da « ricostruire »: hanno bisogno di tutto, dall’inventario allo schedario, alla collocazione del materiale. Dato l’intrigo di « competenze » fra Stato, Comuni e Province sembra che nessuno debba/possa fare questo lavoro. E allora? Si acquistano libri da immagazzinare e si costruiscono le basi del disagio nelle biblioteche pubbliche di EE.LL.: mai sufficienti e sufficientemente fornite, delle frustrate richieste dei consigli scolastici, dei « pii » programmi degli organi distrettuali. Un centro catalografico provinciale forse sarebbe poco rispetto a questi problemi, ma la prospettiva di dar ossigeno a tante biblioteche, fornendo loro in una volta dall’inventario ai cataloghi, credo sia per lo meno interessante. E, certo, è poco se si dovrà provvedere completamente in proprio ad attraversare quel reale e ineliminabile collo di bottiglia rappresentato dalla scrittura dei dati in forma leggibile alla 19 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ macchina e continuerà a mancare una fonte, una risorsa « a monte » , quale potrebbe essere la BNI e il CUBI. Ma prima di concludere su questo punto, ci sia consentito sottolineare che solo un archivio complessivo automatizzato, che raccolga i dati delle varie scuole può permettere una politica degli acquisti al loro interno e all’interno del distretto e, in fine, un rapporto « ragionevole » con la biblioteca di ente locale, la quale non può assolutamente, piccola o grande che sia, continuare ad essere lo scarico senza diritto di parola di esigenze create altrove, e in particolare in un luogo, la scuola, oltretutto, per generale riconoscimento, di crisi. Utilizzo di altre risorse: deprecatio temporum. Per tornare alla BNI e al CUBI, l’intenzione e l’attesa è di poter utilizzare queste risorse, per accrescere la base dei dati da cui estrarre il necessario per ognuno: è faticoso e poco razionale riscrivere dati già presenti su supporti leggibili a una macchina. E, tuttavia, noi e altri saremo costretti a farlo. Le infinite discussioni e proposte sulle finalità e i metodi bloccano negli istituti centrali ogni iniziativa concreta e alla fine, alienando le « buone » intenzioni dei contendenti, confermano una volontà politica esterna ad essi, accentratrice e immobilista, più (se non solo) attenta agli equilibri di palazzo che alle funzioni e ai servizi degli istituti dello stato. Nell’epoca dell’ « informatica distribuita », in cui l’immagine-progetto è una « rete di interconnessioni », i centri di potere reale inseguono ancora velleità assolutistiche cui l’ormai tecnicamente sepolta « piramide elettronica », culminante nella « world box », dovrebbe fornire lo strumento realizzativo. Altro è prefigurare un servizio nazionale di informazione, altro è inseguire un centro unico di informazione per il territorio nazionale: nel primo caso si prevedono diversi livelli di intervento e di servizi, alcuni garantiti dallo stato, altri articolati a livello territoriale; nel secondo caso, invece, si pensa di « integrare » tutto in un unico elefantiaco « sistema ». In conclusione, una razionalità spinta ai limiti dell’astrazione e trasformata in ideologia è ancora l’idealistica strada più breve per perdere contatto con la realtà e il concreto storico. Vi è il pericolo di un moltiplicarsi delle diseconomie su tutto il territorio nazionale con conseguente perpetuazione degli squilibri e delle arretratezze, di un isterilimento di ogni progetto, anche circoscritto, di ammodernamento e sviluppo delle strutture. Tutto questo proprio attraverso un uso strumentale della crisi del Paese, che invece di essere l’occasione per realizzare, attraverso un concorso organico e articolato di forze e di istituti, ma anche con una specificità di livelli di funzioni, una razionalizzazione della spesa pubblica, diventa l’occasione per esercitare di nuovo il controllo su alcuni canali di finanziamento, e quindi sulla vita degli istituti. 20 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI Si comprende allora come le difficoltà stesse possano diventare la classica « carota » per indurre le zone « depresse » a diventare « esempio » di antidecentramento. Ci si rende conto inoltre che le conferenze nazionali sulle biblioteche, sviluppandosi non sui problemi della funzionalità dei servizi reali, ma sul progetto « tecnico », nel senso detto in premessa, di pura presenza dell’organizzazione centrale a livello periferico attraverso « prefetture regionali », rappresentano il momento di formalizzazione di quel progetto e di esplicito richiamo alle forze che intorno ad esso debbono coagularsi. Diciamo tutto questo anche per mostrare quanto arretrata nella forma e poco profonda nella sostanza sia la generale « lamentela » che il Bollettino della BNI (e quindi i relativi nastri) non registri la produzione corrente e non sia completo o quella che i nastri da cui furono stampati i 41 volumi del CUBI (passati attraverso le seguenti fasi: « smarrimento » (!), deterioramento, reperimento, ricostruzione) siano « accessibili » ancora (?!) nella copia deteriorata. Occorre invece trovare il giusto livello di espressione di proposta di soluzione dei problemi di questo vero e proprio esercito di schedatori, tutti contemporaneamente alle prese con lo stesso romanzo o con la massa inerte dei vecchi schedari in cui Gramsci può figurare alla lettera A con l’intestazione Antonio. La soluzione non è né in una « delega » di funzioni gestionali a livelli più alti dell’organizzazione della cosa pubblica, né nella chiusura nel proprio orticello con ingenue intenzioni « sostitutive » di carenze incolmabili, ma nella individuazione degli specifici compiti e livelli di intervento e nella iniziativa per il loro rispetto. 21 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI ARNHEIM, RUDOLF. “GESTALTEN” IERI E OGGI. STA IN PP. 121-128. 150.198 2 HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA Dl MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/73/002840 150.198 2 HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/76/002840 7826 HENLE, MARY. ALCUNI PROBLEMI RIGUARDANTI L’ECCLETTISMO. PP. 105-120. STA IN 150.198 2 HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. 000/76/002840 7825 SEGUE 25 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/76/002840 7825 ________________________________________________________ KOHLER, WOLFGANG. LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT OGGI. PP. 9-26. STA IN HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILA NO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/76/002840 8602 KOHLER, WOLFGANG. PSICOLOGIA ED EVOLUZIONE. PP. 93-103. STA IN 150.198 HENLE, MARY. 2 DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/76/002840 26 8601 _______________________________________________________________L’ORDINATORE E I CATALOGHI KOHLER, WOLFGANG. LA SITUAZIONE ATTUALE NELLA FISIOLOGIA DEL CERVELLO. PP. 129-140. STA IN 150.198 2 HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. 000/76/002840 8603 SEGUE UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/76/002840 8603 O’CONNEL, D. N. WALLACH, HANS. L’EFFETTO STEREOCINETICO. PP. 163-185. STA IN 150.198 HENLE, MARY. 2 DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/62/002840 11633 27 ANTONIO DE COSMO__________________________________________________________________________ PASCHI, SILVIO. VEDI 150.198 2 HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/66/002840 12211 VARIN, DARIO. VEDI 150.198 2 HENLE, MARY. DOCUMENTI SULLA PSICOLOGIA DELLA FORMA. A CURA DI MARY HENLE. TRADUZIONE DI DARIO VARIN E SILVIO PASCHI. MILANO, BOMPIANI (VARESE, LA TIPOGRAFICA VARESE), 1970. CM. 21,4 PP. 438. UOMO E SOCIETA’. N. 18. 000/75/002840 16552 A NTONIO DE COSMO 28 FOGGIA E LA CAPITANATA Territorio, Folklore, Storia e Cultura (Contributo per una b ibliografia Dauna) NOTA INTRODUTTIVA Da tempo la pedagogia ha avviato un proprio discorso sulle biblioteche, quali mezzi di integrazione e continuazione dell’opera educatrice della scuola; basti ricordare gli insegnamenti dell’Hessen e del Volpicelli, entrambi assertori dell’idea del pluralismo delle vie culturali. Il primo ha presentato le biblioteche come uno dei mezzi fondamentali per l’istruzione extrascolastica accanto a viaggi, musei, giornali, mostre, conferenze ed ha sottolineato che a questo momento autonomo del formarsi dello spirito devono ricollegarsi anche le scuole superiori, perché l’apprendimento del metodo della ricerca scientifica si può raggiungere soltanto a condizione della più ampia libertà di studio. Il Volpicelli, più concretamente, ha ritenuto le biblioteche essenziali alla formazione culturale e spirituale dello studente ed ha sollecitato una efficace politica delle stesse, perché, a suo parere, un paese che ne sia privo non solo non può avere una cultura, ma neanche un organismo scolastico vivo. Considerate, quindi, come mezzi educativi, le biblioteche hanno beneficiato dell’opera perfezionatrice della scienza pedagogica, la quale ha suggerito utili precisazioni relative alla funzione dei bibliotecari, giustamente riconosciuti come educatori. E, quindi, cambiato il loro ruolo; non più solitari eruditi e taciturni studiosi, perché alla figura del bibliotecario geloso dell’edizione rara ed avaro di consigli si sostituisce quella del bibliotecario ricco di doti di espansività, di comu nicativa, di intuito psicologico tipiche del maestro e del consigliere, capace di incoraggiare quell’« autoistruzione » che ogni studioso esperto o meno chiede alla biblioteca. E’ chiaro, quindi, che alle biblioteche pubbliche, cui nessuna ric- 29 MARIA ALTOBELLA GALASSO - ANTONIO VENTURA_____________________________________________ chezza di mezzi individuali potrà mai sostituirsi, si devono oggi riconoscere funzioni educative e didattiche insostituibili. Il loro compito, infatti, va ben oltre la semplice conservazione dei libri, l’organizzazione della lettura in sede o il prestito a domicilio, in quanto le biblioteche sono il luogo ed il momento della nascita della cultura attraverso la sperimentazione di tutte le tecniche di animazione e di documentazione. Pertanto il rapporto scuola-biblioteca è destinato ad assumere un ruolo fondamentale e quindi l’operatore culturale della biblioteca si affiancherà sempre più spesso all’insegnante nel valorizzare il libro e farlo apparire oggetto indispensabile e momento obbligato della ricerca. Questa nuova responsabilità sociale, che spetta alle biblioteche complementari della scuola, richiede che su di esse facciano convergere il loro interessamento sia i pedagogisti che i politici. I primi, per elaborare, coll’ausilio della specifica competenza dei bibliotecari, una didattica delle biblioteche, che significa approfondirne la natura, estenderne i compiti in modo da rendere socialmente valida e didatticamente vivace l’opera di autoistruzione; i secondi per assecondarla, promuoverla e garantirne la continuità. Perché, se questa fosse trascurata o solo parzialmente favorita, verrebbe meno ogni reale possibilità di collaborazione tra scuola e biblioteca, fra biblioteca ed altri istituti di cultura, come è già avvenuto, purtroppo, in passato. Altro compito fondamentale degli operatori delle biblioteche è quello di concretizzare i rapporti di collaborazione con la scuola, adempiendo alla funzione didattica di documentare e persino di proporre determinati strumenti di lavoro. Questo può essere realizzato aiutando i giovani ad avvicinare ed affrontare i problemi del lavoro, della vita e dell’ambiente in cui vivono, diffondendo un tipo di cultura che non sia estraneo alla loro realtà sociale. Si tratta, cioè, di proporre come argomento di lettura e di studio la società sia urbana che rurale del territorio e consentire di conoscerne la realtà storico-culturale attraverso nuovi metodi e strumenti di ricerca. 30 ____________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA A tale scopo si vuole, nel presente lavoro, fornire un saggio bibliografico di quanto è stato scritto su Foggia, per sollecitare maggiore interesse nei confronti dell’ambiente locale. Questa bibliografia, informativa e suggestiva di ricerca, comprende scritti che cronologicamente abbracciano un periodo storico che va dal Medioevo ad oggi e contenutisticamente esaminano disparati aspetti della situazione foggiana: da quello storico-sociale, a quello economico, intellettuale, politico, urbanistico. Gli scritti elencati nella bibliografia cercano di fornire un quadro, il più esauriente possibile, sul contesto foggiano. Tuttavia non si esclude che docenti e studenti possano, nell’ambito della bibliografia, scegliere singoli temi da approfondire e sviluppare in ricerche di classe. Infatti, un altro scopo che la rassegna vuole raggiungere è quello di costituire una traccia di lavoro per insegnanti ed alunni e, a tal fine, si è cercato di semplificare il piano di base, per cui, le schede (ragionate, per aiutare ad inquadrare meglio il libro suggerito) sono elencate alfabeticamente secondo la « parola d’ordine » (coincidente con il cognome dell’autore, talvolta con la prima parola del titolo) e sono numerate progressivamente. Infine, l’indice per autori e per soggetti, che chiudono la bibliografia, rimandano a tale numerazione. Per rendere più comprensibile la consultazione della bibliografia e dei relativi indici valga il seguente esempio: Indice per soggetto alla voce: Foggia. Guide. - 30; 34; 194; 40; 255; 256; 257. Ogni numero rinvia all’indice per autori; al numero 194 corrisponde: PETTI, Alfredo che è la parola d’ordine da consultare nella bibliografia insieme con il numero 194; infatti ambedue identificano la scheda: PETTI, Alfredo (Parola d’ordine; cognome e nome dell’autore). Guida di Foggia e Provincia (Titolo del libro). Foggia, tip. Gaetano Buccino, 1931 (Note tipografiche). cm. 28,5 pp. 368 (Note bibliografiche). 31 MARIA ALTOBELLA GALASSO - ANTONIO VENTURA_____________________________________________ Le pubblicazioni sono tutte disponibili nel settore « Fondi Speciali » che nel fondo locale conserva documenti e libri attinenti il contesto urbano, provinciale e meridionale in genere. È sperabile che la presente proposta bibliografica venga accolta da docenti e studenti per quello che realmente vuole essere: uno stimolo ad avvicinarsi all’istituzione bibliotecaria ed una provocazione ad accostarsi al contesto sociale in cui si vive, per conoscerlo meglio ed essere così in grado di dare un valido contributo al dibattito democratico tendente ad attuare le trasformazioni più opportune al suo miglioramento. M ARIA A LTOBELLA GALASSO A NTONIO VENTURA 32 BIBLIOGRAFIA 1 AGNELLO, Giuseppe L’architettura religiosa militare e civile dell’età normanna. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XII. (Bari 1959). pp. 159-196. Caratteristiche dell’ architettura normanna. 2 AGNELLO, Giuseppe L’architettura militare, civile e religiosa nell’età sveva. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XIII. (Bari 1960). pp. 146-176. Caratteristiche dell’architettura sveva. 3 AGNELLO, Giuseppe Estensione e limiti delle influenze regionali sull’architettura nel mezzogiorno d’Italia. Sta in: NORMANNI (I) e la loro espansione in Europa nell’alto Medioevo. 18-24 aprile 1968. Spoleto, Arti Grafiche Panetto-Petrelli, 1969. pp. 729-748. L’architettura meridionale del sec. XII e gli influssi delle varie dominazioni straniere. 4 ALBERTI, Leandro Descrittione di tutta l’Italia / et isole pertinenti ad essa. / Di F. Leandro Alberti / bolognese. / Nella quale si contiene il sito di essa, l’origine, et le signorie / delle Città, et de’ Castelli; co’ i nomi antichi, et moderni; /i costumi de popoli, et le conditioni, de paesi. /… In Venetia, appresso Gio. Maria Leni, 1577. cm. 22 cc. [32], 501, 96, [4] Breve descrizione artistica della città di Foggia. 5 ALESSANDRO di Telese De’ fatti di Ruggiero re di Sicilia, libri quattro, di Alessandro di Telese, tradotti da M. Naldi, con note e dilucidazioni dello stesso. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da G. Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I. Normanni. pp. 83158. Le gesta del normanno Ruggiero. 6 ALTAMURA, Saverio Saverio Altamura pittore-patriota foggiano nell’autobiografia nella critica e nei documenti. A cura di Mario Simone. Presentazione del Sindaco di Foggia. Prefazione di Bruno Molajoli. Foggia, Studio Editoriale Dauno, (Napoli, tip. Laurenziana), 1965. cm. 21 pp. XV, 175 tav. 48 f.t. « Raccolta di studi foggiani - Nuova serie - 2 ». Vita di Saverio Altamura. 33 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 7 ALTAMURA, Saverio Vita ed Arte. / Appunti. Vol. 1°: 12 Novembre 1883; Vol. 2°. Ms. cart. (sec. XIX); mm. 234 x 180; mm. 205 x 140; cc. 70 ril.; cc. 85 ril. Vita di Saverio Altamura. 8 ALVISI, Giovanna La viabilità romana della Daunia. Bari, Soc. Storia Patria per la Puglia, (tip. del Sud), s.d. cm. 27,4 pp. 165 tav. 51 f.t. e. geogr. 9 Le strade romane della Daunia. 9 AMATO di Montecassino Storia de’ Normanni di Amato di Montecassino volgarizzata in antico francese. A cura di Vincenzo De Bartholomaeis. Roma, Tip. del Senato, 1935. cm. 25,1 pp. CXIX, 423 c. geogr. 2 « Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Scrittori. Secolo XI ». L’invasione e la conquista normanna del Mezzogiorno. 10 ANNALI dell’Università Popolare di Foggia. 1918-1919. Per cura di Benedetto Biagi. Foggia, Tip. Mendolicchio-Zobel, [19191. cm. 24 pp 19 Istituzione dell’Università popolare a Foggia nel periodo fascista. 11 ANNALI dell’Università Popolare di Foggia. 1919-1920. Per cura di Benedetto Biagi. Foggia, Tip. Mendolicchio-Zobel, [1920]. 34 cm. 24 pp. 13 L’Università Popolare a Foggia nel periodo fascista. 12 ANNALI dell’Università Popolare fascista di Foggia (1926-1927). A cura di Michele Papa. Foggia - gennaio 1928 - Anno VI. Foggia, Libreria Editrice Pilone, 1928. cm. 24 pp. 19 L’Università Popolare a Foggia nel periodo fascista. 13 ANNALI della Università Popolare Fascista di Foggia. (Anno 1928-29) a cura di Michele Papa. Foggia, Tip. Editrice Arpaia, 1929. cm. 24 pp. 21 L’Università Popolare a Foggia nel periodo fascista. 14 ANZIVINO, Osvaldo Quatte passe pe Ffogge. Poesie foggiane. Foggia, Tip. Adriatica, 1975. cm. 22,2 pp. 119 tav. 7 Poesie dialettali foggiane. 15 ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DE-GLI INDUSTRIALI DI CAPITANATA. CENTRO STUDI. Aspetti della dinamica migratoria in Provincia di Foggia. (1961-1970). Foggia, Ass. Prov. Ind. Capitanata (Roma, tip. Failli), 1973. cm. 23,9 pp. 70. « Collana di studi e documentazione - 1 ». Statistiche dell’emigrazione in Capitanata nel decennio 1961-1970. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 16 ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DE-GLI INDUSTRIALI DI CAPITANATA. CENTRO STUDI. Problemi e prospettive del settore industriale nella provincia di Foggia. Indagine sulle piccole e medie aziende. Foggia, Ass. Prov. Ind. Capitanata (Roma, tip. Failli), 1976. cm. 23,8 pp. 183 « Collana di studi e documentazione - 2 ». Analisi della produzione industriale della Capitanata. 17 ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DEGLI INDUSTRIALI DI CAPITANATA. CENTRO STUDI. Proposta per l’istituzione dell’Università a Foggia. Foggia, Associazione Prov. Ind. Capitanata (Tip. Leone), 1977. cm. 23,8 pp. 16 « Collana di studi e documentazione - 4 ». Università a Foggia. Caratteri delle facoltà da istituire. 18 ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DEGLI INDUSTRIALI DI CAPITANATA. CENTRO STUDI. Struttura demografica della Provincia di Foggia. Foggia, Ass. Prov. Ind. Capitanata (Roma, tip. Failli), 1976. cm. 23,8 pp. 224 « Collana di studi e documentazione - 3 ». Statistiche demografiche riguardanti la Capitanata aggiornate al 1975. 19 ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DEGLI INDUSTRIALI DI CAPITANATA. CENTRO STUDI. Redditi e consumi nei comuni della Capitanata. Foggia, Ass. Prov. Ind. Capitanata (Roma, tip. Failli), 1977. cm. 24 pp. 82 « Collana di studi e documentazione - 5 ». Flusso di beni economici e servizi di cui dispongono i comuni. 20 BANCA POPOLARE DI FOGGIA Il Risorgimento Foggiano ricordato ai ragazzi. Foggia, Studio Editoriale Dauno (Napoli, Tip. Laurenziana), 1960. cm. 21 pp. 12 « A cura della Banca Polare di Foggia per la giornata del Risparmio - 31 ottobre 1960 ». Sintesi della storia risorgimentale Foggiana. 21 BATINI, Franco. MORENA, Silvio Inchiesta sull’alimentazione dei braccianti agricoli di Puglia e Lucania. Foggia, Tipo-Lito Leone, 1964. cm. 24 pp. 56 tav. 14 di cui 2 dp « I quaderni del lavoro sociale - Roma - 25 ». Condizioni alimentari dei braccianti pugliesi e lucani. 22 BELLUCCI, Michele Il palazzo imperiale di Foggia. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Organo della Società di Storia Patria per la Puglia. Anno IV. Fasc. I. (Bari 1951). pp. 121-136. Notizie sulla reggia di Federico II a Foggia. 23 BIAGI, Benedetto Foggia Imperiale. 35 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ Foggia, Comune di Foggia (Tip. Fiammata), 1933. cm. 23,5 pp. 271 tav. 18 « Raccolta di studi foggiani - VII ». Descrizione della città e della società al tempo di Federico II. 24 BIAGI, Benedetto Profili di scienziati. In appendice: La Reale Società Economica di Capitanata. La specola meteorosismica « Vincenzo Nigri ». Foggia, Comune di Foggia (Tip. Frattarolo), 1930. cm. 22,2 pp. 272 « Raccolta di Studi Foggiani. Pubblicati a cura del Comune Vol. II ». 1977. cm. 34 cc. 22 fig. [ciclostile] « Schede maggio ‘77 ». Ricerche sulla cultura popolare in Capitanata. 27 BIBLIOTECA PROVINCIALE. S ISTEMA BIBLIOTECARIO PROVINCIALE. ARCHIVIO DELLA CULTURA DI BASE. FOGGIA. « Di Vittorio - I braccianti » a cura di Linda Giuva e Fabrizio Fuiano. Foggia, Amministrazione provinciale, 1977. cm. 34 pp. 16 fig. [ciclostile] « Schede novembre ‘77 ». Biografie di scienziati foggiani Bibliografia su Giuseppe Di Vittorio e sui braccianti. 25 BIBLIOTECA PROVINCIALE. S ISTEMA BIBLIOTECARIO PROVINCIALE. FOGGIA. « Cultura di base in Capitanata ». Ricerche e interventi del sistema bibliotecario. Foggia, Amm. prov. di Capitanata (Napoli, Tip. Laurenziana), 1977. cm. 24,5 pp. 54 fig. « Appunti di lavoro per un’attività di ricerche e interventi nei territorio - I » « Estratto da La Capitanata a. 1976 pp. II-1-6 ». 28 BIBLIOTECA PROVINCIALE. S ALA RAGAZZI. FOGGIA. GRUPPO « GIOCHIAMO DAVVERO ». MANTOVA Progetto teatro animazione ricerca. Febbraio-maggio 1977. Storia del cane u. Queto, quito e un sacco d’altre storie. Due per. aggi in 24 x 36. Foggia, Amministrazione Provinciale, 1977. cm. 34 cc. 10 [ciclostile]. Ricerche sulla cultura popolare in Capitanata. Esperimenti di drammatizzazione teatrale nella scuola primaria. 26 BIBLIOTECA PROVINCIALE. S ISTEMA BIBLIOTECARIO PROVINCIALE. FOGGIA. Notiziario del lavoro. Cultura di base in Capitanata. Ricerche e interventi nel territorio. A cura di Giovanni Rinaldi e Paola Sobrero. Coll. di Alberto Vasciaveo. Foggia, Amministrazione Provinciale, 36 29 BIBLIOTECA PROVINCIALE. S ISTEMA BIBLIOTECARIO PROVINCIALE. GRUPPO SPELEO DAUNO. FOGGIA. Invito alla speleologia a cura di P. Giuliani, G. Novelli, L. Simone. Foggia, Amministrazione Provinciale, 1978. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA cm. 34 pp. il fig. [ciclostile] « Schede maggio ‘78 ». Introduzione alla speleologia. 30 BICCARI, M. - LOCO, M. Guida di Foggia. Bari, tip. G. e C. Resta, 1952. cm. 18 pp. 34 fig. planimetria 1 e c. stradale 1. Notizie riguardanti i vari aspetti della città. 31 BUCCI, Oreste A. Vecchia Foggia. Profili. Foggia, tip. L. Cappetta, 1960. cm. 22 pp. 96 sa foggiana dell’aprile 1898 che culminò nell’incendio del Municipio. 35 CAGNAZZI DE SAMUELE, Luca Saggio sulla popolazione del Regno di Puglia ne’ passati tempi e nel presente. Napoli, Tip. Angelo Trani, 1820-1839. cm. 20 vol. 2 Statistiche demografiche della Capitanata nei secoli XVIII-XIX. 36 CALVANESE, Girolamo Memorie per la città di Foggia. Ms. cart. (sec. XVII); mm. 278 x 205; cc. 70 ril. Storia di Foggia dalle origini al secolo XVII. Personaggi caratteristici foggiani. 32 BUCCI, Oreste A. Vecchia Foggia tutte passe, fenesce e se scorde. Foggia, tip. Cappetta; s.d. cm. 21 pp. 133 Bozzetti foggiani. 33 BUCCI, Oreste A. Vecchia Foggia. Tutto non è ancora travolto. Foggia, tip. Cappetta, 1965. cm. 21 pp. 141 Bozzetti foggiani. 34 CAGGESE, Romolo Foggia e la Capitanata. Bergamo, Istituto Italiano d’arti grafiche, 1910. cm. 24 pp. 144 fig. tav. 24 dp. Guida storico-artistica della Capitanata. Importante la descrizione della sommos- 37 CALVANESE, Girolamo Memorie per la città di Foggia. Manoscritto esistente nella biblioteca comunale di Foggia illustrato da Benedetto Biagi. Foggia, Comune di Foggia (tip. Fiammata), 1931. cm. 22 pp. 205 tav. 11 f.t. « Raccolta di Studi Foggiani pubblicata a cura del Comune - Vol. V ». Storia di Foggia dalle origini al secolo XVII. 38 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA. FOGGIA. Atti del convegno internazionale « Il grano in Italia e nei paesi del MEC ». Foggia 5 maggio 1969. Foggia, Camera Comm. Ind. Art. e Agr., 1969. cm. 24,2 pp. 191 tav. 1 dp alleg. 4 Coltivazione cerealicola in Capitanata. 37 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 39 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. FOGGIA. Atti del Convegno Nazionale: « I problemi connessi allo sviluppo economico ed alla industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia alla luce dell’attuale normativa ». Pugnochiuso di Vieste 20-21-22 ottobre 1972. Foggia, Cam. Comm. Ind. e Agr., 1972. cm. 24,1 pp. 271. Problemi relativi all’economia industriale. 40 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. FOGGIA. Atti del convegno nazionale su la produzione intensiva di alimenti di origine animale in condizioni di salubrità controllata. 15-16 maggio 1971. Foggia, Camera Comm. Ind. Art. e Agr. (tip. Leone), 1971. cm. 24,5 pp. 244 Zootecnia e alimentazione di origine animale a livello industriale 41 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. FOGGIA. Compendio statistico della provincia di Foggia. 1968. Foggia, Cam. Comm. Ind. (tip. Leone), 1969. cm. 24 pp. 580 alleg. 3 Art. e Agr. Statistiche demografiche riguardanti la Capitanata aggiornate al 1968. 42 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. FOGGIA. 38 Giuria della congiuntura. Indagine congiunturale nel settore delle industrie manifatturiere della provincia. Risultati del 2°, 3° e 4° trimestre del 1973. Foggia, Cam. Comm. Ind. Art. e Agr., s.t., [1973]. cm. 28,8 pp. 28 tav. 14 f.t. « A cura dell’Ufficio Studi e Ricerche Economico-Sociali della Camera di Commercio di Foggia, d’intesa con l’Unione regionale delle C.C.I.A.A. di Puglia ». Settore manifatturiero della Capitanata. Indagine campionaria. 43 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. FOGGIA. Prospettive dell’agricoltura dauna nel decennio 1970-80 con particolare riguardo agli ordinamenti colturali. A cura di Luchino Franciosa. Foggia, Cam.Com. Ind. Art. e Agr., 1971. cm. 24,3 pp. 135 tav. 5 a col. L’agricoltura della Capitanata attraverso un programma decennale. 44 CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. FOGGIA - ENTE AUTONOMO FIERA DI FOGGIA. 2a giornata della vite e del vino. Foggia 7 maggio 1967. Foggia, Cam. Comm. Ind. Art. e Agr. (tip. Multilith C.C.A.A.), 1967. cm. 24,7 pp. 107 Produzione enologica in Capitanata. 45 CAPITOLI e Statuti di Foggia. Ms. cart. (sec. XVIII); mm. 265 x 195; cc. 401; rilegato in pergamena. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA Sul recto della c. 3 una lettera di Carlo V all’Università di Foggia. Libro rosso della città di Foggia. (Privilegi concessi alla città dalle monarchie Succedutesi nel Mezzogiorno). 46 CARABELLESE, Francesco L’Apulia ed il suo Comune nell’alto Medio Evo. Bari, Commissione Provinciale di Archeologia e Storia Patria (brani, tip. Vecchi), 1905. cm. 27,5 pp. XVII, 607 « Commissione Provinciale di Archeologia e Storia Patria. Documenti e Monografie vol. VII ». Il Comune pugliese. Ricerche per i secoli dell’alto Medio Evo. Vita religiosa, vita giuridica, vita commerciale e familiare delle città di Puglia. 47 CARUSO, Angelo Indagini sulla legislazione di Federico II di Svevia per il Regno di Sicilia. Le leggi pubblicate a Foggia nell’aprile 1240. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Organo della Società di Storia Patria per la Puglia. Anno IV fase, I (Bari 1951). pp. 41-68. Le leggi di Federico II emanate a Foggia nel 1240. 48 CARUSO, Angelo La Dohana Menae Pecudum o Dogana di Foggia e il suo Archivio. Di Angelo Caruso. Napoli, Centro per la Editoria Scolastica e Popolare (tip. Laurenziana), 1963. cm. 21 pp. 49 « Miscellanea GiuridicoEconomica Meridionale. Serie Dogana e Tavoliere di Puglia ». Documenti riguardanti la Dogana delle pecore di Foggia. 49 CASO, Gemma La Carboneria di Capitanata (dal 1816 al 1820) ne la Storia del Risorgimento Italiano. Con appendice. Napoli, Stab. Tip. Luigi Pierro e figlio, 1913. cm. 23,3 pp. 120 « Estratto dall’Archivio Storico per le Prov. Napol. Anno XXXVIII-XXXIX ». Organizzazione Carbonara in Capitanata dal 1816 al 1820. 50 CATALOGUS Baronum Neapolitano in Regno versantium qui sub auspiciis Gulieimi cognornento Boni ad terram Sanctam sibi vinclicandam susceperunt. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da G. Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I. Normanni. Elenco dei baroni normanni. 51 CELENTANO, Saverio Commentarius in librum IIm / Institutionum Justini / ani / Titulus I, / De rer(um) Divisione et adquirendo / ipsa (rum) dominio. Ms. cart. (sec. XVIII); mm. 210 x 140; cc. 130 ril. Commento di Saverio Celentano al II libro delle Istituzioni di Giustiniano. 52 CELENTANO, Saverio Note all’Orazione pro Milone. Ms. cart. (sec. XVIII); mm. 213 x 145; ce. 65 ril. Commento di Saverio Celentano all’orazione « Pro Milone » di Cicerone. 39 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 53 CELUZZA, Angelo La pubblica lettura in Capitanata e l’opera dell’Amministrazione Provinciale. Napoli - Foggia - Bari, C.E.S.P. (Napoli, tip. Laurenziana), 1971. Organizzazione bibliotecaria in Capitanata. 54 CELUZZA, Angelo La nuova Biblioteca Provinciale. Foggia, Amm. prov. di Capitanata, Napoli, tip. Laurenziana), 1975. cm. 24 pp. 23 fig. « Quaderni della Biblioteca - 2 ». Descrizione analitica della Biblioteca Provinciale di Foggia. 55 CELUZZA, Angelo. PENSATO, Guido. La situazione delle biblioteche in Puglia. (Analisi, prospettive e appunti per un sistema Regionale di pubblica lettura). Foggia, Associazione Italiana Biblioteche - Sez. Pugliese (Napoli, Tip. Laurenziana), 1975. cm. 24,2 pp. 23 La pubblica lettura nella regione pugliese. 56 CHALANDON, Ferdinand Histoire de la Domination Normande en Italie et in Sicile. New York, Burt Franklin, 1969. cm. 21,3 tomi 2 « Burt Franklin: research and source works series 6 ». Storia del regno normanno nell’Italia meridionale. Torino, tip. Lorenzo Rattero, [1939]. cm. 32,6 pp. 39 fig. Evoluzione urbanistica di Foggia. 58 CIAMPOLI, Vito Foggia. La battaglia urbanistica per il palazzo degli Uffici Statali. (Gennaiomarzo 1935 - XIII). Torino, tip. Lorenzo Rattero, [1939]. cm. 32,6 pp. 8 « Dalla relazione dell’Amministrazione Podestarile per il periodo gennaio 1932 - X / aprile 1934 XII ». Evoluzione urbanistica di Foggia. 59 CIAMPOLI, Vito Foggia. Problemi urbanistici: « La Galleria » ed il « Teatro ». Torino, tip . Lorenzo Rattero, [1938]. cm. 32,6 pp. 16. Evoluzione urbanistica di Foggia. 60 CIAMPOLI, Vito Il cardo e il decumano. (Tavole). Chieti, Officine Grafiche V. Bonanni, [1939]. cm. 32,6 pp. VI, 15. Evoluzione urbanistica di Foggia. 61 CIAMPOLI, Vito Il risanamento del borgo Scopari a Foggia. Una proposta per il prolungamento del primo tratto di corso Vittorio Emanuele... Torino, tip. Lorenzo Rattero, 1938. cm. 32 pp. 40 fig. Evoluzione urbanistica di Foggia. 57 CIAMPOLI, Vito Foggia. II risanamento del « Borgo Scopari ». 40 62 CIAMPOLI, Vito ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA cm. 19,3 pp. 160 L’entusiasmo popolare via.., dell’Impero di Foggia. Torino, tip. Lorenzo Rattero, 1939. cm. 31,6 pp. 15 fig. Evoluzione urbanistica di Foggia. 63 CICOLELLA, Luca E la morte venne dal cielo. Foggia, ed. tip. Leone, 1973. cm. 21,4 pp. 98,10 19 tav. f.t. Bombardamenti alleati durante la guerra mondiale 1939-1945. 64 CIMAGLIA, Domenico Maria Ragionamento dell’avvocato de’ poveri D. Domenico Maria Cimaglia sull’economia che la Regia Dogana di Foggia usa co’ possessori armentarj e con gli agricoltori che profittano de’ di lei campi e su di ciò, che disporre si potrebbe pel maggior profitto della Nazione, e pel miglior comodo del Regio Erario. Napoli, s. ed., 1783. cm. 18 pp. 135. Disposizioni legislative della Dogana delle pecore nei riguardi di pastori e agricoltori. 65 CODA, Marc’Antonio Breve discorso del principio, privilegi, et instruttioni della Regia Dohana della Mena delle pecore di Puglia, Governo, e modo di far la locatione degli Animali negli Henbaggi di essa. Raccolto dal dottor Marc’Antonio Coda della Città di Foggia, Avvocato del Tribunale di detta Regia Dohana. Dedicato all’Ill.mo Signor D. Andrea Guerriero y Torres governatore della medesima Regia Dohana e Regente del Supremo Collateral Consiglio del Regno di Napoli. Napoli, tip. G. Fasulo, 1666. Organizzazione giuridico-amministrativa della Dogana delle pecore. 66 CODICE Aragonese o sia lettere regie, ordinamenti ed altri atti governativi de’ sovrani aragonesi in Napoli riguardanti l’amministrazione interna del Reame e le relazioni all’estero. Vol. III. Napoli, tip. A. Cavaliere, 1874. cm. 24 pp. XVI, 422. [pp. 25-30]. Disposizioni della Corte Aragonese riguardanti la città di Foggia. 67 COLACICCO, Giuseppe Daunia venatoria. Foggia, ed. Ente Prov. per il Turismo, (tip. Arti Graf. S. Pescatore), 1956. cm. 24,3 pp. 65 tav. 3 a col. 4 in b. e n. dp. Fauna di Capitanata. 68 COLAPIETRA, Raffaele La Capitanata nel periodo fascista. (1926-1943). Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (tip. Grafsud), 1978. cm. 24,2 pp. 537. Ampia documentazione sul fascismo in Capitanata. 69 COLARIZI, Simona Dopoguerra e fascismo in Puglia (19191926). Prefazione di Renzo De Felice. Bari, ed tip. Laterza, 1971. cm. 21,5 pp. VIII, 453. « Biblioteca di cultura moderna. 703 ». Avvento del fascismo in Capitanata. 41 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 70 COMUNE DI FOGGIA Cinque anni di amministrazione fascista. 1927- 1931. Foggia, ed. Comune di Foggia, (Roma, Tip. del Senato), 1932. cm. 33,4 pp. 234 tav. 17 f.t. Assetto urbanistico di Foggia nel periodo 1927-1931. 71 COMUNE DI FOGGIA. Assessorato al decentramento Circoscrizioni proposte e studi. Foggia, Comune di Foggia, s.t., s.d. [ma 1978]. cm. 27,8 cc. 65 [ciclostilate]. Suggerimenti sulla ripartizione circoscrizionale della città di Foggia. 72 COMUNE DI FOGGIA Città di Foggia. 5 anni di amministrazione: centrosinistra 1971-1976. Foggia, ed. Comune di Foggia, s.t., 1976. cm. 29,5 pp. 87 fig. tav. 7 f.t. «Edito a cura del Comune di Foggia ». Vita politico-amministrativa di Foggia nel quinquennio 1971-1976. 73 COMUNE DI FOGGIA Concorso Nazionale per il progetto di piano regolatore e di ampliamento della città. Foggia, Tip. Editrice « Fiammata », 1930. cm. 23 pp. 51. Bando di concorso per il progetto di un piano regolatore della città durante il fascismo. 74 COMUNE DI FOGGIA 1943-1953. Foggia nelle sue distruzioni nelle sue necessità. 42 Foggia, ed. Amm. Com. Foggia, (tip. S. Pescatore), 1953. cm. 32,2 pp. 29 fig. Le distruzioni della città alla fine del II conflitto mondiale. 75 COMUNE DI FOGGIA. Ufficio tecnico Nuovo regolamento generale edilizio. Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Leone), [1960]. cm. 23,8 cc. 65. Disposizioni del nuovo regolamento edilizio della città di Foggia. 76 CONGRESSO (XXIV) DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE. (Foggia - Pugnochiuso, 5-10 ottobre 1974). Atti del XXIV Congresso dell’Associazione Italiana Biblioteche (Foggia - Pugnochiuso, 5-10 ottobre 1974). Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (Napoli, tip. Laurenziana), 1976. cm. 24,2 pp. 69 fig. « Quaderni della Biblioteca - 3 ». Conclusioni del XXIV congresso dell’A.I.B. 77 CONIGLIO, Giuseppe La dogana delle pecore di Foggia nel 1539. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XXIII. (Bari 1969). pp. 124-134. Organizzazione della dogana delle pecore nel secolo XVI. 78 CONIGLIO, Giuseppe La dogana di Foggia nel secolo XVII. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA Note e Documenti di Giuseppe Coniglio. Napoli - Foggia - Bari, ed. Centro per la Editoria Scolastica e Popolare, (tip. Laurenziana), 1964. cm. 21 pp. 135 2 tavv. f.t. « Miscellanea Giuridico-Economica Meridionale. Serie Dogana e Tavoliere di Puglia ». Organizzazione della Dogana delle pecore nel secolo XVII. 79 CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI FOGGIA Piano regolatore territoriale. Vol. I. L’ipotesi di sviluppo economico di Salvatore Garofalo. Foggia, ed. Consorzio Area Sviluppo Industriale Foggia, (tip. Cappetta), 1970. cm. 28 pp. 216 6 allegati. Proposte per l’assetto territoriale della provincia di Foggia. 80 CONSTITUTIONUM Regni Siciliarum libri III. Cum commentariis veterum jurisconsultorum. Accedit nunc primum Dominici Alfeni Vani J. C. commentarius ad Friderici II imperatoris et regis constitutiones. De rebus non alienandis Ecclesjis. Tomus I. Neapoli, sumptibus Antonii Cervonii, 1773. cm. 36,5 pp. XLI, 560. Leggi emanate da Federico II per il Regno di Sicilia. 81 CONVEGNO (V) DI STUDI SULLA CIVILTA’ DELLA TAVOLA Atti dell’Accademia italiana della cucina. Quinto convegno di studi sulla civiltà della tavola. Foggia. Pugnochiuso maggio 1977. Milano, ed. Accademia italiana della cu- cina, (tip. Salea), 1978. cm. 23 pp. 141. Tradizioni gastronomiche Foggiane. 82 D’ARAGONA, Alfonso il Magnanimo re di Aragona, di Catalogna e di Napoli Privilegi della Regia Dogana della Mena delle pecore. Ms. cart. (copie di originali sec. XV), mm. 330 x 230; cc. 162. Manoscritto anepigrafo. Privilegi, di Alfonso d’Aragona, Carlo V e del Duca d’Alba, riguardanti la Dogana delle pecore. 83 DE ANGELIS, Carlo Nicola La legislazione normanno-sveva. Saggio storico-giuridico sulle fonti. Napoli, ed. tip. E. Jovene, 1940. cm. 22,6 pp. 351. Caratteristiche della legislazione normanno-sveva nell’Italia meridionale. 84 DE BLASIIS, Giuseppe La insurrezione pugliese e la conquista normanna nel secolo XI narrate da Giuseppe De Blasiis. Napoli, ed. Alberto Detken, (Stamperia dell’Iride), 1864. cm. 22 vol. 3 La conquista normanna del Mezzogiorno d’Italia. 85 DE DOMINICIS, Francesco Nicola Lo stato politico ed economico della Dogana della Mena delle pecore di Puglia esposto alla maestà di Ferdinando IV re delle Sicilie Gerusalemme ec. cc. Ec. Napoli, tip. V. Flauto, 1781. cm. 23,1 vol. 3 43 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA ______________________________________________________ Organizzazione economico-amministrativa della Dogana delle pecore. 86 DE FAZIO, Gabriella Lotte contadine e socialismo in Capitanata (1900-1913). Presentazione di Beniamino Finocchiaro. Bari, ed. Adda, (tip. Dedalo), 1974. cm. 19,7 pp. 103. Lotte sociali nelle campagne di Capitanata agli inizi del XX secolo 87 DELLA MARTORA, Francesco La Capitanata e le sue industrie sommariamente descritte per Francesco Della Martora. Napoli, Stab. della Minerva Sebezia, 1846. cm. 19 pp. 136. Pratiche agricole e pastorali in Capitanata nel sec. XIX. 88 DEL VECCHIO, Alberto La legislazione di Federico II imperatore illustrata da Alberto Del Vecchio. Torino, ed. F.lli Bocca, (tip. Bona), 1874. cm. 22,8 pp. XII, 254. Caratteristiche della legislazione imperiale di Federico II. 89 DE MEIS, Nicola Nel Tavoliere. Dogana della Mena delle pecore (Dohana Menaepecudum) (14471806). Censuazione ed Affranco (18061865). Napoli, Tip. degli Artigianelli, 1923. cm. 24 pp. VIII, 238. Storia della Dogana delle pecore dal secolo XV al secolo XIX. 44 90 DE SANTIS, Pompilio L’antivigilia della marcia su Roma in Capitanata. Foggia, ed. Richiamo Unitario, (tip. Adriatica), 1976. cm. 24 pp. 161 fig. Avvento del fascismo in Capitanata. 91 DE TROIA, Giuseppe Foggia, paesi e terre della Capitanata nelle mappe seicentesche del Tavoliere e nelle stampe di antichi incisori. Raccolta a cura di Giuseppe De Troia. Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Leone), 1973. cm. 34,5 cc. 20 124 tav. n.t. Raccolte di mappe e fotografie riguardanti Foggia e la Capitanata. 92 DI CICCO, Pasquale Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia (1789-1865). Roma, ed. Min. degli Interni, (Siena, tip. La Galluzza), 1964. cm. 23,9 pp. 127 7 tavv. f.t. « Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato. 32 ». Storia della Dogana delle pecore nei secoli XVIII-XIX. 93 DI CICCO, Pasquale Documenti su Giuseppe Rosati nell’Archivio di Stato di Foggia. Foggia, ed. Comune di Foggia, 1966. cm. 22,9 pp. 31-40 [10]. « Estratto dal n. 1 dei Quaderni di Foggia pubblicato a cura del Comune nel CL della morte di Giuseppe Rosati (1814-1964). Trascrizione di documenti, riguardanti Giuseppe Rosati, conservati presso l’Archivio di Stato di Foggia. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 94 Dl CICCO, Pasquale I documenti antichi dell’Archivio Comunale di Foggia. Foggia, Comune di Foggia, (tip. Leone), 1970. cm. 14,4 pp. 104 tav. 11 di cui 3 dp. « Quaderni di Foggia a cura del Comune. N. 2 ». Descrizione di documenti antichi dell’Archivio Comunale scampati all’incendio del Municipio durante la sommossa cittadina dell’aprile 1898. 95 DI CICCO, Pasquale Il problema della Dogana delle Pecore nella seconda metà del XVIII secolo. Foggia, ed. Anni Prov. di Capitanata, 1966. cm. 23,1 pp. 63-72 [10]. « Estratto da La Capitanata, Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia. Anno IV n. 16 gennaio-dicembre 1966 ». Storia della Dogana delle pecore nel secolo XVIII. 96 DI CICCO, Pasquale Il Tavoliere di Puglia nella prima metà del XIX secolo. Da un documento dell’Archivio di Stato di Foggia trascritto ed illustrato da Pasquale Di Cicco. Foggia, tip. Leone, 1966. cm. 20,9 pp. 520 23 tavv. f.t. Descrizione delle locazioni in cui la Dogana delle pecore divideva il Tavoliere di Puglia. 97 DI CICCO, Pasquale. MUSTO, Dora L’archivio del Tavoliere di Puglia. Inventario a cura di Pasquale Di Cicco e Dora Musto. Roma, ed. Min. dell’Interno, (tip. Ist. Graf. Tiberino), 1970-1975. cm. 23,5 vol. 3. « Ministero dell’Interno. Pubblicazioni degli Archivi di Stato. LXXIII-LXXXII-LXXXIII ». Inventario dell’Archivio del Tavoliere di Puglia. 98 DI CICCO, Pasquale La Suddelegazione dei Cambi presso la Regia Dogana di Foggia. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (Napoli, tip. Laurenziana), 1970. cm. 23,8 pp. 40 « Quaderni di La Capitanata. 10 ». Organizzazione della Banca del Tavoliere operante presso la Dogana delle pecore. 99 DI CICCO, Pasquale Produzione della lana nella R. Dogana di Foggia e relativo commercio con Terra di Lavoro nella seconda metà del Seicento. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XXIV. (Bari 1971). pp. 1-59. Commercio della lana nella Dogana delle pecore. 100 DI CICCO, Pasquale Su di un manoscritto foggiano del Settecento e sul suo autore. Andrea Gaudiani e le Notizie. Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Cappetta), 1971. cm. 24,2 pp. 44. « Quaderni di Foggia. A cura del Comune. N. 8 ». Notizie su Andrea Gaudiani autore di un’opera medita sulla Dogana delle pecore. 45 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ Napoli, tip. D. Roselli, 1731. cm. 33,5 vol. 2 101 DI GIOIA, Michele Archivum Fodianum. Vol. I: Monumenta Ecclesiae Sanctae Mariae de Fogia. Foggia, tip. F.lli Leone, 1961. cm. 31 pp. XXVII, 271. Documenti, sulla storia di Foggia, conservati nell’archivio diocesano. 102 Dl GIOIA, Michele Archivum Fodianum. Vol. II: Il Duomo di Foggia. (Appunti per la storia e l’arte). Foggia, tip. Leone, 1975. cm. 30,8 pp. XV, 191 tav. 54 f.t. tav. 1 dp. f.t. Storia della Cattedrale di Foggia. 103 DI GIOIA, Michele La diocesi di Foggia. Appunti per la storia. Foggia, ed. tip. Leone, 1955. cm. 23,5 pp. 347 fig. Storia della diocesi di Foggia. Sono narrate le vicende di tutte le chiese cittadine. 104 DI STEFANO, Stefano La Ragion pastorale over comento sù la Pramatica LXXIX. De officio Procuratoris Caesaris di Stefano Di Stefano. Avvocato napolitano fra gli Arcadi Londenoisio: Opera per tutte le sue parti nuova, in cui si mostra e l’origine e l’aumento e lo stato e tutto ciò che appartiene alla Dogana della mena delle pecore di Puglia. Divisa in due tomi, ed in XLIX capitoli, quanti sono i §§, che compongono essa Regia Pramatica. Colla tavola degli argomenti, e co’ sommarj delle cose notabili. Consecrata a S.M.C. 46 Organizzazione giuridico-amministrativa della Dogana delle pecore. 105 DI TARANTO, Consalvo La Capitanata al tempo dei Normanni e degli Svevi. Matera, ed tip. Conti, 1925. cm. 20 pp. 191. Storia della Capitanata durante la dominazione normanno-sveva. 106 DOCUMENTI vari della Regia Dogana della Mena delle pecore. Ms. cart. (sec. XVI), mm. 320 x 215; cc. 259. Manoscritto anepigrafo. Raccolta di documenti riguardanti la Dogana delle pecore. 107 DOSSIER sul neofascismo in Capitanata dal (1968 al 1975). Foggia, s.e., s.t., 1975. cm. 23 cc. 136 Inchiesta sul neo fascismo in Capitanata nel periodo 1968-1975. 108 ENTE AUTONOMO PER LE FIERE Dl FOGGIA Atti del convegno su produzione e commercializzazione dei vini meridionali. 6 maggio 1975. Foggia, Ediz. della Rivista Terra Pugliese (Tip. Adriatica), 1975. cm. 24,2 pp. 53 tav. 2 « Quaderni dell’Enolsud - 3 ». Produzione enologica in Capitanata. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 109 ENTE AUTONOMO PER LE FIERE DI FOGGIA Gli aspetti tecnologici della produzione dei vini da pasto. Atti Tavola Rotonda. Foggia, 5 maggio 1975. Foggia, Ediz. della Rivista Terra Pugliese (Tip. Adriatica), 1975. cm. 24,2 pp. 27 tav. 1 « Quaderni dell’Enolsud - 2 ». Tecnologie per la produzione enologica. 110 ENTE AUTONOMO PER LE FIERE DI FOGGIA Le attitudini dei vitigni pugliesi. [A cura di:] Carmine Liuni. Foggia, 6 maggio 1975. Foggia, Ediz. della Rivista Terra Pugliese (Tip. Adriatica), 1975. cm. 24,2 pp. 27 tav. 1 « Quaderni dell’Enolsud -2 ». Viticultura in Capitanata. 111 ENTE AUTONOMO PER LE FIERE DI FOGGIA 1a giornata dell’enotecnico su le nuove tecniche enologiche. 7 maggio 1975. Foggia, Ediz. della Rivista Terra Pugliese (Tip. Adriatica), 1975. cm. 24,2 pp. 41 «Quaderni dell’Enolsud – 4 ». Tecnologie per la produzione enologica. 112 ESPOSTO, Giuseppe ...Mo’ vi ‘cconte... Foggia, s.e., s.t., 1977. cm. 23,8 pp. 65 tav. 4. Poesie dialettali foggiane. 113 ESPOSTO, Giuseppe Pe pérde ‘nu poche de timpe. Raccolta di poesie e scritti vari in dialetto foggiano. Foggia, s.e., s.t., 1977. cm. 23,8 pp. 105 tav. 3. Poesie dialettali foggiane. 114 FALCONE, Beneventano Cronaca di Falcone Beneventano, tradotta da S. Gatti, con note e commenti di Pellegrino Pratilli, Naldi e Del Re. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da G. Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I. Normanni. pp. 159-276. Dominazione normanna nel Mezzogiorno. 115 FARAGLIA, Nunzio Federico A S. E. il ministro dell’Interno. Relazione dell’archivista di Stato N. E. Faraglia intorno all’Archivio della Dogana delle pecore di Puglia. Napoli, tip. A. Tessitore e figlio, 1903. cm. 20 pp. 92 Organizzazione della Dogana delle pecore. 116 FARAGLIA, Nunzio Federico Note foggiane. Sta in: NAPOLI NOBILISSIMA. Rivista di topografia ed arte napoletana. Presentazione di Gino Doria. Volume tredicesimo. pp. 8-15. Descrizione delle fosse di grano in relazione con il toponimo « Foggia ». 117 FEDERAZIONE REGIONALE DEGLI INDUSTRIALI DELLA PUGLIA - CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA SOMEA 47 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ U 116 modello di assetto territoriale e di localizzazione industriale (MASTERLI). Atlante delle condizioni insediative industriali. Federazione regionale degli industriali della Puglia - Centro Studi Confindustria Somea. Puglia / 1 Bari Foggia. Basi cartografiche Touring Club Italiano distribuzione per l’Italia e per l’estero Touring Club Italiano. Roma, Centro Studi Confindustria Somea (Bari, tip. Favia), 1975. cm. 33,6 pp. 452 fig. Proposte per l’assetto territoriale e per l’insediamento industriale in Capitanata. 118 FRACCACRETA, Angelo Giuseppe Maria Galanti e la sua Relazione sulla Capitanata. Bari, Università di Bari (tip. Cressati), 1936. cm. 23 pp. 18 « Estratto dagli Studi in onore di M. Barillari - Annali del Seminario Giuridico Economico della R. Università di Bari ». Commento alla Relazione di Giuseppe Maria Galanti sulla Capitanata. 119 FRACCACRETA, Angelo Le forme del progresso economico Capitanata. Napoli, ed. tip. L. Pierro, 1912. cm. 25 pp. 173 Caratteristiche del progresso economico in Capitanata. 120 FRANCIOSA, Luchino La transumanza nell’appennino centromeridionale. Napoli, Università di Napoli (tip. R. Pironti e figli), 1951. cm. 25 pp. 100 tav. 4 dp f.t. « Consiglio Nazionale delle Ricerche - Centro Studi 48 per la Geografia Economica presso l’Istituto di Geografia della Università di Napoli - Memorie di Geografia Economica - vol. IV ». Allevamento ovino e transumanza nel Mezzogiorno. 121 FREJAVILLE, Mario Puglia gastronomica. Vetrina di specialità e vini tipici della Regione. A cura della Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Foggia. Foggia, tip. Leone, 1970. cm. 22,3 pp. 58 fig. Tradizioni gastronomiche pugliesi. 122 FUIANO, Michele I Normanni e la Daunia. Foggia, Grafiche Ciampoli, 1970. cm. 24 pp. 24 « Enal - Università del tempo libero - Foggia - a cura dell’U.S.C. ». Dominazione normanna in Capitanata. 123 FUIANO, Michele Lineamenti di storia del Regno Normanno in Sicilia. (Corso Universitario). Napoli, ed. tip. Giannini, 1960. cm. 23 pp. 229 Vicende della dominazione normanna nell’Italia meridionale. 124 FUIANO, Michele Vicende politiche e classi sociali in Puglia dopo la morte di Federico II nelle cronache dei cosiddetto Jamsilla e di Saba Malaspina. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XXX. (Bari, 1977). pp. 155-168. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA « Manoscritte da Andrea M: a Villani Marchesani in Foggia 1802 ». Storia politica pugliese dopo la morte di Federico II sulla base delle testimonianze dei cronisti Jamsilla e Saba Malaspina. 125 GARGIULO, Carmine L’albero della libertà in Capitanata (Anno 1799). Napoli, ed. Loffredo (Tip. Ist. graf. Italiano), 1975. cm. 21,7 pp. 125 Storia di Capitanata nell’anno 1799. 126 GAUDIANI, Andrea Notizie per il buon Governo della Reg: a / Dohana delle pecore di Puglia / Del D: r D: n Andrea Gaudiani / della Città di Foggia / Con la regola della deduzione / per gl’affitti delle terre salde / con modo nuovo, e facile. 1716. Ms. cart. (sec. XVIII), mm. 216 x 145; cc. 302, rilegatura in pergamena, nel frontespizio sotto il primo fregio la data 5. 1523 e la sigla: V.G.D.X.C.F. Organizzazione giuridico-amministrativa della Dogana delle pecore. 127 GAUDIANI, Andrea Per il buon Governo della Regia Dogana della Mena / delle pecore di Puglia, colla regola della Deduzione / degli affitti e delle Terre Salde, s(econ)do l’uso antico della / Regia Dogana, e con altro modo più facile e certo. / Divise in due parti; la prima contiene Le Notizie; la / seconda i Privilegj, Grazie concedute a’ Locati, e le / leggi, colle quai si governa essa Regia Dogana. / Date alla luce dal Dr. D. Andrea Gaudiani / della Città di Foggia Avvocato in / essa Regia Dogana. Ms. cart. (sec. XVIII), mm. 270 x 190; cc. 323 + 308. Sotto il frontespizio: Organizzazione giuridico-amministrativa della Dogana delle pecore. 128 GIORGIO, Mario La sconfitta del Subappennino Dauno. Matera, ed. Basilicata (Roma, Tip. Visigalli-Pasetti), 1977. cm. 20 pp. 101. « Biblioteca di Basilicata ». Lotte sociali in Capitanata. 129 GIOVIO, Paolo Delle / Istorie / di Mons. Giovio. Prima parte. / Con una selva di varia istoria, nella quale si ha noti- / zia delle cose più rare, che sono state ricordate / sommariamente dal Giovio. / Et un indice de’ nomi antichi, e moderni delle città, castella, provincie, popoli, / monti, mari, e fiumi, raccolti a beneficio di chi si diletta della cosmografia, et / dell’Istorie; et con altre tavole fatte per sommario necessario all’opera. In Venetia, appresso Giorgio de’ Cavalli, 1564. cm. 20 pp. 548, [28]. Breve descrizione della città di Foggia. 130 GISMONDI, Mario Foggia: la tragica estate. Bari, Dedalo litostampa, 1968. cm. 22 pp. 83 tav. 12 dp. Bombardamenti alleati durante la guerra mondiale 1939-1945. 131 GRANA, Salvatore Istituzioni delle leggi della Regia Doana di Foggia colle quali si viene nella piena cognizione del buon governo della me- 49 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ Storia della Monarchia. Vol. I. Normanni. pp. 1-82. desima, e si dà la pratica, come esse leggi debbono ricevere il di loro esatto esercizio, per li rispettivi interessi della Regia Corte, e de’ Locati a norma del disposto nella Prammatica LXXIX. De Officio Caesaris, del Dispaccio de’ 10 maggio 1747 e di altre Regie istruzioni. Opera utilissima nel Foro, e per tutti coloro che vi hanno interesse. Composta da D. Salvadore Grana avvocato in quel Tribunale. Napoli, tip. Raimondiana, 1779. cm. 23,5 pp. 296. Organizzazione giuridico-amministrati va della Dogana delle pecore. 132 GRAZIANI, Pellegrino Comune di Foggia. Il progresso di una città. Sta in: PAN Rivista mensile di politica, economia, cultura, attualità. Anno VI luglio 1975. pp. 36-37. Vita politico-amministrativa di Foggia nel quinquennio 1971-1976. 133 GRAZIANI, Pellegrino Foggia: un comune che cammina. Sta in: PAN Rivista mensile di politica, economia, cultura, attualità. Anno V novembre 1974. pp. 45. Vita politico-amministrativa di Foggia nel quinquennio 1971-1976. 134 GUARNA, Romualdo Cronica di Romualdo Guarna, tradotta da G. Del Re, con note e delucidazioni dello stesso. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da G. Del Re. 50 Dominazione normanna nel Mezzogiorno. 135 HASELOFF, Arthur Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien. Erster band von Artur Haseloff aufmessungen und zeichnungen von Erich Schulz und Philipp Langewand. Textband mit 92 abbildungen; Tafelband. [in folio] Lipsia, Karl W. Hiersemann (J. B. Hirschfeld), 1920. cm. 30,2 vol. 2 fig. [II 2° vol. contiene tav. 61]. I castelli di Federico II nell’Italia meridionale. 136 HUILLARD-BREHOLLES, J. L. A. Historia Diplomatica Friderici secundi sive Constitutiones, Privilegia, Mandata, Instrumenta quae supersunt istius Imperatoris et filiorum ejus Accedunt epistolae Paparum et documenta varia. Collegit, ad fidem chartarum et codicum recensuit, juxta seriem annorum disposuit et notis illustravit J. L. A. HuillardBréholles. Auspiciis et sumptibus H. De Albertis De Luynes. Parigi, ed. F.lli Plon, 1852-1861. cm. 24 tomi 6 vol. 11 [Ristampa anastatica] Raccolta di tutti i diplomi di Federico II. 137 KANTOROWICZ, Ernest Federico Secondo di Svevia. Taduzione di Maria Offergeld Merlo. Milano, ed. Garzanti (tip. Archetipografia di Milano), 1939. cm. 23,4 vol. 2 Biografia storica di Federico II di Svevia. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 138 INTENDENZA DI CAPITANATA Giornale degli Atti dell’Intendenza di Capitanata per gli anni 1843-1860. Foggia, tip. F.lli Russo (poi Michele Rusro), 1843-1860. cm. 22,8 vol. 18 Raccolta delle disposizioni dell’Intendenza di Capitanata del 18431860. 139 ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE. COMITATO PROVINCIALE. FOGGIA. Indagine sulla situazione socio-economica della Provincia. Foggia, Leone, 1975. cm. 30,7 pp. 145 fig. « Quaderno della Rivista Previdenza Sociale ». Statistiche socio-economiche della Capitanata. 140 ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DI FOGGIA. ISTITUTO PER LO SVILUPPO DELL’EDILIZIA POPOLARE. Piano d’intervento di edilizia popolare sociale in provincia di Foggia nel decennio 1968-1978. Foggia, ed. ist. Aut. Case Pop. di Foggia e Ist. Svil. Ed. Pop. (tip. Leone), 1968. cm. 24,5 pp. 136 tav. 38 f.t. alleg. 3 142 JARUSSI, Ugo Foggia, Genesi urbanistica, vicende storiche e carattere della città. Bari, Adda (Tip. Dedalo), 1975. cm. 27,4 pp. 166 fig. tav. 18 a col. Sviluppo urbanistico della città di Foggia e influssi architettonici napoletani. 143 JARUSSI, Ugo Miti e leggende della Puglia Dauna. Foggia, ed. Tre fiamme sull’acqua (tip. Leone), 1973. 2° ed. cm. 24 pp. 140 tav. 22 Leggende della Capitanata legate al culto religioso. 144 JARUSSI, Ugo Tre fiamme sull’acqua. Simbologia iconoclastica e culti esoterici dell’antica Daunia. Foggia, ed. tip. Leone, 1972. cm. 24,3 pp. 112 tav. 17 Leggende della Capitanata legate al culto religioso. 145 LANZA, Vincenzo La Nosologia / positiva / scritta da / Vincenzo Lanza / Vol. Quarto / Lib. X / Napoli 1840. Ms. cart. (Sec. XIX); mm. 342 x 230; cc. 86 ril. Edilizia popolare in Capitanata nel decennio 1968-1978. Studi di patologia medica di Vincenzo Lanza. 141 JARUSSI, Ugo Discontinuità storica nello sviluppo urbano della città di Foggia. Con il patrocinio della Società Dauna di Cultura. Foggia, Società Dauna di Cultura, 1973. cm. 20,5 cc. 13 146 LA SORSA, Saverio Storia e folclore della Mena delle pecore in Puglia. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno VI. Fasc. IIV. (Bari 1953). pp. 487-499. Osservazioni sullo sviluppo urbanistico della città di Foggia. 51 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ Storia e folklore della transumanza in Puglia. 147 LAURELLI, Ruggiero Per uno studio sull’assetto territoriale della provincia di Foggia. s.n.t. [xerocopie] cm. 29,5 e. geogr. 10 Proposta per l’assetto territoriale di Capitanata. 148 LEISTIKOW, Dankwart La residenza dell’imperatore Federico II a Foggia. Traduzione dall’originale tedesco del prof. Bibbò. Sta in: LA CAPITANATA. Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia. Genn.-dic. 1976. Parte Seconda. pp. 192-219. Indagine sulla probabile struttura architettonica della residenza di Federico II a Foggia. 149 LEPORE, Raffaele Carosello foggiano. Poesie dialettali. Foggia. tip. De Santis, 1970. cm. 23,7 pp. 88 Poesie dialettali foggiane. 150 LEPORE, Raffaele Quann’ère uaglione. Poesie dialettali foggiane. Foggia, tip. De Santis, 1967. cm. 23,7 pp. 93 tav. 6 cm. 23,4 pp. 24 « Estratto dalla Rivista “Lares” organo del Comitato Nazionale per le tradizioni popolari. Anno II. N. 1 marzo 1931 ». Tradizioni folcloristiche foggiane: la vendemmia. 152 LOIODICE, Ester Il primo canto de l’Inferno. (Versione poetica in dialetto foggiano). Roma, tip. A. Staderini, 1959. cm. 23,3 pp. 16 Versione del I canto dell’Inferno in dialetto foggiano. 153 LOIODICE, Ester La ceramica dauna nell’arte popolare. Firenze, Leo Olschki (tip. Il Cenacolo), 1959. cm. 23,4 pp. 131-146 [16] « Estratto da Atti del VII Congresso Nazionale delle Tradizioni popolari. Chieti 4-8 settembre 1957 ». Artigianato in Capitanata. 154 LOIODICE, Ester Le Tradizioni popolari nella Capitanata e N. Zingarelli nei ricordi dell’autrice. Foggia, Amm. Prov. Capitanata (Napoli, tip. Laurenziana), 1974. cm. 24 pp. 119 ritr. 1 tav. 2 dp fcs. 2 Memorie sul Museo di tradizioni popolari di Capitanata. 155 LOIODICE, Ester ‘U cantè d’u Tavulijerè. Poemetto in dialetto foggiano. Milano, Convivio Letterario, 1961. cm. 23 pp. 3 Poesie dialettali foggiane. Poema in dialetto foggiano. 151 LOIODICE, Ester ‘A Festa d’a Vinnegna nella tradizione foggiana. 52 Firenze, tip. Classica, 1931. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 156 LOIODICE, Ester Venerdì Sandè (a Foggia). Roma, V. Bonacci (Tip. A. Staderni), 1952. cm. 18,5 pp. 16 tav. 2 Tradizionni folcloristiche foggiane. Venerdì Santo. 157 LUCARELLI, Antonio Il brigantaggio politico del Mezzogiorno d’Italia dopo la seconda restaurazione borbonica (1815-1818). Gaetano Vardarelli e Ciro Annichiarico. Bari, ed tip. Laterza e figli, 1942. cm. 20,3 pp. 199 « Biblioteca di Cultura M oderna » - N. 374 ». Brigantaggio meridionale preunitario. 158 LUCARELLI, Antonio Il brigantaggio politico delle Puglie dopo il 1860. Il sergente Romano. Bari, ed. tip. Laterza e figli, 1946. cm. 20 pp. 201 « Biblioteca di Cultura Moderna - N. 406 ». Brigantaggio postunitario in Puglia. 159 LUCARELLI, Antonio I moti carbonari della Daunia alla luce di nuovi documenti. Foggia, Studio Editoriale Dauno (Torremaggiore, tip. Caputo), 1939. cm. 19,2 pp. 38 « Biblioteca del Risorgimento Pugliese. Diretta da Mario Simone. Sotto gli auspici del R. Istituto per la storia del Risorgimento Italiano - I ». Testimonianze storiche sulla Carboneria in Capitanata. 160 LUCARELLI, Antonio La Puglia nel Risorgimento (storia docu- mentata). Vol. II: La rivoluzione del 1799; Vol. III: Dalla rivoluzione del 1799 alla restaurazione del 1815; Vol. IV: Dalla seconda restaurazione borbonica alla rivoluzione del 1820-21. Bari, Commissione Provinciale di Archeologia e Storia Patria [ed. del III e IV vol.: Società di Storia Patria per la Puglia, (Trani, tip. Vecchi e C.), 193 11954. cm. 28 vol. 4 « Comm. Prov. Arch. e Storia Patria. Documenti e Monografie. Vol. XVIII-XIX - Società di Storia Patria per la Puglia. Doc. e Mon. Vol. XXVIII-XXIX ». La storia di Puglia dalla rivoluzione del 1799 a quella del 1821. 161 MAGLI, Giovanni Zecche e Monete in Puglia durante la dominazione sveva. Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XIII (Bari 1960). pp. 177-186. Studio sulle monete sveve coniate in Puglia. 162 MAGNO, Michele La Capitanata dalla pastorizia al capitalismo agrario (1400-1900). Roma, Centro Ricerche e Studi (Tip. Salemi), 1975. cm. 21 pp. 237 tav. 8 dp Vicende storico-economiche di Capitanata dal secolo XV agli inizi del secolo XX. 163 MALASPINA, Saba Istoria delle cose di Sicilia di Saba Malaspina (1250-1285). Versione di B. Fabbricatore. Sta in: CRONISTI e scrittori sincroni napoletani editi e 53 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ inediti ordinati per serie e pubblicati da Giuseppe Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I: Normanni; Vol. II: Svevi. Napoli, Tip. dell’Iride, 1868. Vol. II, pp. 201-408. La storia della dominazione sveva dopo la morte di Federico II. 164 MALATERRA, Gaufredo De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis Fratris eius. Auctore Gaufredo malaterra monacho benedictino. A cura di E. Pontieri. Bologna, ed. tip. Zanichelli, 1928. cm. 30,4 pp. LXIII, 168 facs. 1 « Rerum ltalicorum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento ordinata da L. A. Muratori. Nuova edizione riveduta ampliata e corretta con la direzione di G. Carducci -V. Fiorini - P. Fedele. Torno quinto ». Le imprese dei duci normanni Ruggero e Roberto Guiscardo. 165 MARANGELLI, Oronzo Relazione della ribellione di Sabato Pastore in Foggia nell’anno 1648 da P. Fra Gabriele da Cerignola. Foggia, ed. tip. Fiammata, 1932. cm. 24 pp. 29 Sommossa capeggiata da Sabato Pastore in Foggia nell’anno 1648 in relazione a quella di Masaniello a Napoli. 166 MARCANTONIO, Michele La superstizione nell’Alta Valle del Fortore. S. Agata di Puglia, tip. « Casa del Sacro Cuore », 1968. cm. 23,5 pp. 232 tav. 10 f.t. Tradizioni folkloristiche del subappennino dauno. 54 167 MASCOLO, Raffaele Domenico Fioritto e il movimento socialista in Capitanata. Foggia, Amm. Prov. Capitanata (Napoli, tip. Laurenziana), 1978. cm. 24 pp. 248 ritr. 1 Movimento socialista in Capitanata nel biennio 1921-1923. 168 MATRELLA, Antonio Dall’antifascismo alla Resistenza in Capitanata. Monografia di Antonio Matrella. Foggia, Litografia Leone, [1965]. cm. 24,3 pp. 137 tav. 6 La Capitanata nella Resistenza. 169 MAZZELLA, Scipione Descrittione / del regno / Di Napoli, / ….di Scipione Mazzella Napoletano. In Napoli, Gio. Battista Cappello, M.D.C.I. cm. 18,6 pp. 797 Statistiche di Capitanata del secolo XVIII. Contiene anche gli stemmi gentilizi delle famiglie nobili meridionali. 170 MENAGER, L. R. La Législation sud-italienne sous la domination Normande. Sta in: NORMANNI (I) e la loro espansione in Europa nell’alto medioevo. 18-24 aprile 1968. Spoleto, Arti Grafiche Panetto-Petrelli, 1969. Le leggi emanate dai Normanni per il Regno di Sicilia. 171 MINISTERO DEI TRASPORTI FERROVIE DELLO STATO – COMPAR- ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA Bari. Facoltà di Lettere e Filosofia. Anno Accademico 1966-67 ». TIMENTO DI BARI. Foggia Ricostruzione Impianti. 19431950. Bari, Laterza e figli; Trani, Pietrarota della tip. Vecchi, 1951. cm. 32 pp. 100 fig. Alleg. 1 « A cura della Sezione Lavoratori ». Descrizione delle distruzioni subite da Foggia in seguito ai bombardamenti alleati dell’ultimo conflitto mondiale. 172 MOMIGLIANO, Eucardio Federico II di Svevia. Milano, ed. L. F. Cogliati S.A., 1933. cm. 20 pp. 246 tav. 8 Biografia storica di Federico II di Svevia. 173 MOSTRA (1a) BIBLIOGRAFICA DEL GARGANO A cura di Angelo Celuzza. Foggia, ed. Amm. di Capitanata, (Napoli, tip. Laurenziana), 1969. cm. 24,2 pp. 104 fig. tav. 12 f.t. « Quaderni di “La Capitanata” - 9 ». Bibliografia ragionata sul Gargano. 174 MUSEO CIVICO. FOGGIA. Mostra grafica dì Foggia antica. Foggia, Museo Civico, (tip. Ciampoli), s.d. cm. 21,5 pp. 11 tav. 6 dp. Stampe su Foggia antica. 175 MUSERRA, Carlo Foggia nel 600. Caratteri urbanistici e monumentali. Relatore Adriano Prandi. Laureando Carlo Muserra. s. n. t. cm. 28 pp. 89. « Università degli Studi. Monumenti e urbanistica di Foggia nel secolo XVII. 176 MUSTO, Dora La Regia Dogana della Mena delle pecore di Puglia. Roma, ed. Min. degli Interni, (Siena, tip. La Galluzza), 1964. cm. 23,9 pp. 114 tav. 8 f.t. « Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato. 28 ». Storia della Dogana delle pecore. 177 NARDELLA, Tommaso Serafino Gatti e la Capitanata nella statistica murattiana dei 1811. (Sussistenza e conservazione della popolazione). Foggia, ed. Apulia, (tip. Leone), 1975. cm. 25 pp. 79 1 ritr. « Società Dauna di cultura. Testi e documenti per la storia della Capitanata. 1 ». Statistiche di Capitanata relative al secolo XIX. 178 NICCOLO’ DI JAMSILLA Delle geste di Federico II imperatore e de’ suoi figli Corrado e Manfredi re di Puglia e di Sicilia. Storia di Niccolò di Jamsilia (1210-1258). Versione di S. Gatti. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da Giuseppe Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I: Normanni; Vol. II: Svevi. Imprese dei sovrani svevi Federico II e Manfredi. 55 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ Notizie su Foggia e sulle più importanti città di Capitanata e di Puglia. 179 NIGRI, Vincenzo La Capitanata Foggia e il suo clima (desunto da 30 anni di osservazioni sulla specola meteorico-sismica). S. Severo, ed. tip. E. Dotoli, 1914. cm. 25 pp. 166. 183 PALUMBO, Manfredi Tavoliere e sua viabilità. Documenti an. 1440-1875. Napoli, Tip. degli Artigianelli, 1923. cm. 25,3 pp. VI, 229 Osservazioni sul clima di Foggia e della Capitanata. Studio sui tratturi del Tavoliere di Puglia. 180 NIMO, Raffaele Movimento demografico a Foggia nel secolo XVII. Sta in CAPITANATA (La) Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia. Anno XIII. N. 1-6. Genn.-Dic. 1975. Parte prima. pp. 120137. 184 PANERAI, Alfredo Una eminente figura del Settecento pugliese Giuseppe Rosati agronomo ed economista agrario. Foggia, Studio Editoriale Dauno, (Napoli, tip. Laurenziana), 1967. cm. 24,2 pp. 31. « Estratto da la Capitanata - Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia - 1966, n. 1-3 ». Statistiche demografiche riguardanti la città di Foggia nel secolo XVII. 181 OPERA NAZIONALE DOPOLAVORO. DOPOLAVORO PROVINCIALE DI CAPITANATA. La tradizione folkloristica foggiana nei canti del popolo. Prima puntata. Foggia, tip. Arti Grafiche Umberto Zobel, 1930. cm. 23,5 pp. 24 1 tav. Tradizioni folkloristiche foggiane: Canti popolari. 182 PACICHELLI, Giovanni Battista Il Regno di Napoli in prospettiva.., dell’abate Giovanni Battista Pacichelli. Parte terza. In Napoli, a spese del Parrino e del Mutio, 1703. cm. 23,8 pp. 267 tav. 34. « Biblioteca Istorica della antica e nuova Italia ». N. 150 ». 56 Biografia di Giuseppe Rosati. 185 PAOLILLO, Benedetto I distici di Federico II di Svevia in dileggio delle città di Puglia (confronti storici). Bari, ed. F. Casini e figlio, 1924. cm. 21 pp. 19 Raccolta di epigrammi di Federico II contro le città pugliesi. 186 PAPA, Michele Economia ed Economisti di Foggia (1089-1865). Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Fiammata), 1933. cm. 22,1 pp. 436, VII. « Raccolta di Studi Foggiani pubblicati a cura del Comune. Vol. VI ». Notizie sulla vita economica di Foggia dal secolo XI al secolo XIX. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 57 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 58 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 59 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 60 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 61 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 62 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 63 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 64 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 65 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 66 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 67 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ 68 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 187 PAPA, Michele Valori e progressi economici della Capitanata (1866-1936). Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Fiammata), 1936. cm. 22,1 pp. 527, 8 alleg. 2. « Raccolta di Studi Foggiani pubblicati a cura del Comune. Vol. VIII ». Sviluppo economico della Capitanata dal 1866 al 1936. 188 PATINI, Vincenzo Saggio sopra il sistema della Regia Dogana della Puglia, suoi difetti e mezzi di riformano di Vincenzo Patini. Napoli, tip. Società Letteraria e Tipografica, 1783. cm. 18,3 pp. 171 Organizzazione economico-amministrava della Dogana delle pecore. invenzione, ed apparizione di Maria Santissima della Icona – Vetere augusta padrona della città. Compilati da Casimiro Perifano. Foggia, tip. Giacomo Russo, 1831. cm. 19,8 pp. 156,18. Indagine sull’origine della città di Foggia. 192 PETRUCCI, Alfredo Pittori pugliesi dell’800. Domenico Caldara. Roma, ed. Ass. Pugliese di Roma (tip. Minervini), s.d. cm. 26,5 pp. 9 tav. 3 f.t. Biografia di Domenico Caldara. 193 PETRUCC1, Silvio In Puglia con Mussolini. Roma, ed. tip. Società Editrice di «Novissima », 1935. cm. 24,5 pp. 141 tav. 22 dp. La Puglia durante il Fascismo. Descrizione attraverso una visita del Duce. 189 PEDRETTI, Aldo La lunga vigilia della libertà. Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Leone), s.d., ed. 2°. cm. 24,4 pp. 132 fig. 194 PETTI, Alfredo Guida di Foggia e provincia. Foggia, tip. Gaetano Buccino, 1931. cm. 23,5 pp. 368. Antifascismo e resistenza in Capitanata. Notizie varie su Foggia. 190 PEDRETTI, Aldo Lunga vigilia della libertà. Antifascismo e resistenza in terra di Capitanata. Foggia, ed. Comune di Foggia, (tip. Ciampoli), 1970. cm. 24,4 pp. 153. 195 PIETRO d’Eboli De’ tumulti avvenuti in Sicilia, e dei fatti operati nel XII secolo tra Arrigo VI imperatore de’ Romani e Tancredi, carme di Pietro d’Eboli, tradotto da E. Rocco, con note e dilucidazioni di G. Del Re. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani Antifascismo e Resistenza in Capitanata. 191 PERIFANO, Casimiro Cenni storici su la origine della Città di Foggia con la narrativa della portentosa 69 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da G. Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I. Normanni. pp. 403-458. Vicende che determinarono la successione degli Svevi ai Normanni nel Regno di Sicilia. 196 POMPA, Antonino Inchiesta sul fondo. Agro di Foggia. Foggia, tip. Fiammata, 1932. cm. 31 pp. 46 fig. tav. 4 f.t. Inchiesta sull’organizzazione agraria nella provincia di Foggia durante il fascismo. 197 PROVINCIA DI FOGGIA Biblioteca Provinciale. Foggia. A cura di Antonio Lo Mele e Guido Pensato. Fotografie di Furio Frattarolo. Foggia, Amm. Prov. di Capitanata, (tip. L. Cappetta), 1974. cm. 20 cc. [18] fig. « Questo opuscolo viene pubblicato in occasione dell’inaugurazione della nuova Biblioteca Provinciale di Foggia - 5 ottobre 1974 ». Opuscolo illustrativo della Biblioteca Provinciale di Foggia. 198 PROVINCIA DI FOGGIA Conferenza provinciale per lo sviluppo e l’occupazione. Foggia, 25-26 marzo 1976. [Contiene]: Introduzione del presidente Galasso; Relazione di Luigi Lepri presidente dell’Unione Provinciale Agricoltori; Documento per l’occupazione e lo sviluppo della Capitanata. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (tip. Cappetta), 1976. cm. 33 pp. 93 compless. [contenute in custodia]. Disoccupazione in Capitanata. Analisi. 199 PROVINCIA DI FOGGIA Incontro-dibattito sul tema: La situazione finanziaria dei Comuni e dell’Ente Provincia in Capitanata. Foggia, 9 dicembre, 1975. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, s.t., 1975. cm. 32,8 cc. 16 [7] Convegno sulla situazione economica dei Comuni e dell’Ente Provincia di Capitanata. 200 PROVINCIA DI FOGGIA La Provincia di Foggia nel primo decennale del regime. (1923-1933). Foggia, ed. Tipografia Editrice Fiammata, 1933. cm. 30,5 pp. 414 fig. tav. 6 f.t. Descrizione della Capitanata nel decennio 1923-1933. 201 PROVINCIA DI FOGGIA L’istruzione pubblica in Capitanata. Indagine a cura del Gruppo di Studio dell’Amministrazione Provinciale. Vol. I: Esame della situazione; vol. II: Programma d’intervento. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, 1970. cm. 24,3 vol. 2 tav. 47 dp f.t. « Atti Documenti e Studi dauni. Quaderni dell’Amministrazione Provinciale. 7-9 ». Indagine sulla situazione scolastica in Capitanata. 202 PROVINCIA DI FOGGIA. Assessorato Igiene - Sanità - Ecologia. Atti del 1° Convegno Ecologico « L’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee nella provincia di Foggia ». (A cura di Ermanno Sica). Foggia: 2-3 dicembre 1972. 70 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (tip. Grafiche Pugliesi), 1974. cm. 24 pp. 147 alleg. 4 tav. 8 f.t. Inquinamento delle acque in provincia di Foggia. 203 PROVINCIA DI FOGGIA. Assessorato Igiene- Sanità - Ecologia. Realtà e prospettive della rete ospedaliera in Capitanata. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (Napoli, tip. Laurenziana), 1972. cm. 24,3 pp. 76 tav. 1 dp. f.t. alleg. 9. « Atti documenti e studi dauni. Quaderni dell’Amministrazione Provinciale. 13 ». Indagine sull’organizzazione ospedaliera in Capitanata 204 PROVINCIA DI FOGGIA Situazione scolastica in Capitanata. Appunti per una ricerca. s.n.t. (ciclostilato). cm. 32,6 cc. 78. Indagine sull’organizzazione scolastica in Capitanata. 205 PROVINCIA DI FOGGIA. TRIBUNALE MINORILE. BARI Incontro-dibattito sulle cause di disgregazione della famiglia e del disadattamento minorile. Atti. Foggia, 29 settembre 1973. Sala Rosa del Palazzetto dell’Arte. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (tip. Leone), 1973. cm. 23 pp. 99 fig. tav. 3 di cui 2 dp. Inchiesta sul disadattamento minorile. 206 PUGLIA (La) nelle antiche stampe. Bari, ed. tip. Dedalo, 1968. cm. 34,2 cc. 15 tav. 110 f.t. Raccolta di stampe riguardanti la Puglia. 207 QUATERNUS de excadenciis et revocatis Capitanatae de mandato imperialis maiestatis Frederici secundi. Montecassino, tip. Archicenobio di Montecassino, 1903. cm. 31,4 pp. XVII, 118 tav. 3 f.t. Notizie sulle proprietà di Federico 11 in Foggia ed in Capitanata. 208 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. I 1265-1269. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1953. cm. 25,1 pp. XIV, 310. [pp. 211; 234-238; 196; 230; 231] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 209 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. IV 1266-1270. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1952. cm. 25,1 pp. 257. [pp. 51-54; 98; 125; 150; 97; 95] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 71 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ [pp. 10; 17-27; 220] 210 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. Il 1265-1281. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1951. cm. 25,1 pp. VIII, 335. [pp. 63-65; 143; 147; 154] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 211 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. III 1269-1270. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1951. cm. 25,1 pp. X, 321. [pp. 119; 157] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 212 REGISTRI (I) della Cancelleria Angiona ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. X 1272-123. Napoli, ed. Accademia Pontania, (tip. Arte Tipografica), 1957. cm. 25,1 pp. XII, 323. [pp. 233; 271-272; 55] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 213 REGIS TRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. XI 1273-1277. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. 72 Arte Tipografica), 1958. cm. 25,1 pp. 418. Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 214 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. XVIII 1277-1278. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1964. cm. 25,1 pp. 469. [pp. 278-282; 288-293; 317] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 215 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. XX 1277-1279. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1966. cm. 25,1 pp. 304. [pp. 168; 148-149; 196] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. 216 REGISTRI (I) della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani. XXI 1278-1279. Napoli, ed. Accademia Pontaniana, (tip. Arte Tipografica), 1967. cm. 25,1 pp. X, 375. [pp. 55; 100-101; 133] Disposizioni della Corte Angioina riguardanti la città di Foggia. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA pe Rosati Professo = /re della medesima. Ms. cart. (sec. XIX); mm. 193 x 135; cc. 34 ril. 217 RICCHIONI, Vincenzo La « Statistica » del Reame di Napoli del 1811. Relazioni sulla Puglia. Trani, ed. tip. Vecchi e C., 1942. cm. 27 pp. 357 Statistiche del Regno di Napoli relative al secolo XIX. 218 « RINNOVAMENTO (Il) Industriale » dedicato all’incremento della Mostra Agricola-Industriale di Foggia. 1923. 1924. 1925. Foggia, ed. tip. « Il Rinnovamento », 1925. cm. 34 cc. 36. « Il Rinnovamento politico della Capitanata. Direttore: N. R. Cifarelli ». Mostra agricolo-industriale di Foggia. 219 ROSATI, Giuseppe Elementi / dell’ / Astronomia / di / Giuseppe Rosati / Dottor di Filosofia e di Medicina. / A. D. Napoli 1802. Ms. cart. (sec. XIX); mm. 210 x 150; cc. 276 ril. 1 alleg. Scritti sull’astronomia di Giuseppe Rosati. 220 ROSATI, Giuseppe Elementi / della / Navigazione / Teoretica e Pratica / di / Giuseppe Rosati / Dottor di Filosofia e di Medicina. Ms. cant. (sec.XIX); mm. 210 x 150; cc. 129 ril.; 9 alleg. Scritti sulla navigazione di Giuseppe Rosati. Storia della medicina di Giuseppe Rosati. 222 ROSCINI, Filippo Guglielmo Appulo monaco giovinazzese del secolo Mille e autore del poema latino sulle Geste di Roberto il Guiscardo. (Prima versificazione italiana con commento storico-critico). Giovinazzo, s. ed., (Bari, tip. Savarese), 1967. cm. 23,7 pp. XV, 609. Imprese del normanno Roberto il Guiscardo narrate da Guglielmo Appulo. 223 ROTELLA, Guido L’assistenza tecnica al servizio della trasformazione fondiaria della Capitanata. Foggia, ed. Consorzio per la Bonifica fondiaria della Capitanata, s.t., [1974]. cm. 24 pp. 21 fig. « Estratto dalla Rivista Terra Pugliese n. 8-9 / 1974. vol. XXIII ». Intervento della tecnica per migliorare l’agricoltura di Capitanata. 224 SALCESI, Amodio Poesia popolare e poesia d’arte a Foggia. Contributo allo studio delle tradizioni popolari di Capitanata. Milano, ed. tip. Arti Grafiche, 1913. cm. 24 pp. 32. Tradizioni folkloristiche di Capitanata. 225 SALVATO, Vincenzo Palazzo Dogana. Dalle origini ai giorni nostri. 221 ROSATI, Giuseppe L’Istoria / della / Medicina / di Giusep73 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ Foggia, ed. tip. Leone, s.d. cm. 27,4 pp. 106 tav. 32 dp. f.t. Studio storico-architettonico su Palazzo Dogana. 226 SCELSI, Giuseppe Statistica generale della Provincia di Capitanata. Milano, tip. G. Bernardoni, 1867. cm. 27,5 pp. XLIV cc [320] tav. 18 f.t. Statistiche di Capitanata relative al secolo XIX. 227 SCHIPA, Michelangelo La congiura di Foggia del 1859. Sta in: JAPIGIA Rivista pugliese di Archeologia e Arte. Anno I (1930 - VIII) (Bari, 1930). Anno I pp. 287-304. Risorgimento in Capitanata. 228 SOCCIO, Pasquale Di alcune caratteristiche del brigantaggio dauno. Foggia, Editrice Apulia, 1974. cm. 23,5 pp. 7-22 [15]. « Estratto dalla Rassegna di Studi Dauni. N. 1. ottobredicembre 1974 ». Indagine storica sul brigantaggio di Capitanata. 229 SOCCIO, Pasquale Omaggio a Foggia. Con quattro « guazzi » di Vito Capone. Bari, ed. Adda, (tip. Dedalo litostampa). 1974. cm. 28 pp. 62 tav. 4 a col. f.t. Scritti di varia letteratura su Foggia. 230 SOCIETA’ (REALE) ECONOMICA DI CAPITANATA Giornale degli Atti della Società Economica di Capitanata. Opera periodica. Foggia, tip. Giacomo Russo; [poi:] Napoli, tip. Trani; [poi:] Bari, tip. Sante Cannone, 1835-1847. cm. 26 vol. 2 fig. Raccolta di articoli e relazioni della Società Economica di Capitanata relativi al miglioramento delle pratiche agricole e di allevamento nel XIX secolo. 231 SORGE, Luigi I Trionfi di / Lucifero. / Orazione Panegirica di / Luigi Sorge / a / Serafino Gatti. / Foggia / 1810. Ms. cart. (sec. XIX; mm. 290 x 200; cc. 33 ril. Scritto satirico di Luigi Sorge. 232 SORRENTI, Pasquale Le accademie in Puglia dal XV al XVIII secolo. Bari, ed. tip. Laterza e Polo, 1965. cm. 20,8 pp. 115. Notizie sulle accademie in Puglia dal secolo XV al secolo XVIII. 233 SPOLA, Vincenzo Documenti del sec. XV relativi alla Dogana di Foggia. Il registro del doganiere Nicola Caracciolo (1478-1479). Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno VI. Fasc. IIV. (Bari 1953). pp. 131-182. Documenti del secolo XV riguardanti la Dogana delle pecore. 234 SPOLA, Vincenzo I precedenti storici della legislazione della Dogana di Foggia nel regno di Napoli. 74 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA Sta in: ARCHIVIO Storico Pugliese. Anno XXV. (Bari 1972). pp. 469-482. Studio sulla legislazione della Dogana delle pecore. 235 S UD FIERA Rassegna fieristica delle attività economiche del Mezzogiorno. Edita per la 27a Fiera di Foggia. 30 aprile/9 maggio 1976. Foggia, ed. tip. Grafiche Pugliesi s.r.l., 1976. cm. 31,6 pp. 64 fig. « Foggia 27a Fiera Internazionale dell’Agricoltura ». Fiera di Foggia. 236 TANCREDI, Giovanni Folclore garganico. Con prefazione di Filippo Maria Pugliese. Manfredonia, tip. Armillotta e Marino, 1938-1940. cm. 24 pp. 568, 8 alleg.1. Tradizioni folkloristiche del Gargano. 237 TERENZIO, Vincenzo Umberto Giordano. Cento anni dalla nascita. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, s. t., s.d. cm. 24.1 pp. 16 tav. 2 dp. « Quaderni di La Capitanata. 6. ». TIZZANI, Bernardino Foggia e la giustizia. Appunti e considerazioni come introduzione ad un dibattito. s.n.t. cm. 29,2 cc. 48, XXVII alleg. 2. Indagine sull’organizzazione della giustizia a Foggia. 240 TORTONE, Antonio Annuario della Provincia di Foggia. Pubblicato per la XXV Fiera Internazionale dell’Agricoltura di Foggia. Foggia, tip. Adriatica, 1974. cm. 24 pp. VIII, 214. Informazioni varie a livello provinciale. 241 TORTORELLI, Niccolò Dell’immortalità / dell’anima / di Aonio Paleario / da Veroli dell’avvocato Niccolò / Tortorelli / di Foggia. / A. MDCCXLIII. Ms. cart. (sec. XVIII); mm. 226 x 160; cc. 73 ril. Scritti di Niccolò Tortorelli. 242 UGONE Falcando Storia di Ugone Falcando, tradotta da B. Fabbricatore con note e dilucidazioni del traduttore e di G. Del Re. Sta in: DEL RE, Giuseppe Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per serie e pubblicati da G. Del Re. Storia della Monarchia. Vol. I: Normanni. pp. 277-402. Biografia di Umberto Giordano. Dominazione normanna nel Mezzogiorno. 238 TIBOLLO, Attilio Cronache di sessant’anni. 1900-1960. Foggia, ed. S.E.M., (tip. Cappetta), 1963. cm. 26,5 pp. 172 tav. 25 dp. f.t. 243 VENTRUDO, Lorenzo Lotte operaie nella Cartiera di Foggia (1944-1974). Analisi storico-economica Storia di Foggia dal 1900 al 1960. 75 239 MARIA ALTOBELLA GALASSO – ANTONIO VENTURA_______________________________________________________ di un’azienda di stato. Napoli, tip. Laurenziana, 1976. cm. 24,1 pp. 189 alleg. 1. Agitazioni operaie nella cartiera di Foggia. 244 VENTURA, Antonio Il patrimonio dell’abbazia di S. Leonardo di Siponto. Illustrazione e trascrizione del manoscritto di una « visita pastorale » di fine secolo XVII conservato nella Biblioteca Provinciale di Foggia. Prefazione di Angelo Massafra. Foggia, ed. Amm. Prov. di Capitanata, (Napoli, tip. Laurenziana), 1978. cm. 29,7 pp. IX, 102 fig. tav. 5 dp. f.t. « Fondi della Biblioteca Provinciale. 3. Collana diretta da Angelo Celuzza ». Situazione socio-economica della Capitanata durante il Viceregno spagnolo. 245 VILLANI, Carlo Cronistoria di Foggia (1848-1870). Napoli, Off. Cromotipografica Aldina, 1913. cm. 24,5 pp. 322. Storia di Foggia nel Risorgimento. 246 VILLANI, Carlo Foggia nella storia. Ms. cart. (sec. XX); mm. 310 x 210; cc. 179 ril. Storia di Foggia dalle origini al sec. XX. 247 VILLANI, Carlo Foggia nella storia. Foggia, ed. Comune di Foggia, 1930. cm. 20,7 pp. 319. « Raccolta di Studi Foggiani - Pubblicata a cura del Comune. Vol. III. ». Storia di Foggia dalle origini al secolo XX. 76 248 VILLANI, Carlo Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei. Trani, ed. tip. V. Vecchi, 1904. cm. 25 pp. XIII, 1387. Repertorio biobibliografico di artisti pugliesi. 249 VILLANI, Carlo Vocabolario domestico del dialetto foggiano. Napoli, Stabilimento Industrie Editoriali Meridionali, 1929. cm. 21,7 pp. 191. Dizionario dialettale foggiano. 250 VILLANI, Ferdinando Foggia al tempo degli Hohenstaufen e degli Angioini. Con prefazione ed appendice di Carlo Villani. Trani, ed tip. V. Vecchi, 1894. cm. 21 pp. 157. Storia di Foggia sotto la dominazione sveva ed angioina. 251 VILLANI, Ferdinando La Nuova Arpi. Cenni storici e biografici riguardanti la città di Foggia. Per Ferdinando Villani. Salerno, tip. Migliaccio, 1876. cm. 24 pp. XIII, 443. Storia di Foggia nel XIX secolo. 252 VILLANI, Ferdinando Saggio di vocabolario familiare compilato per Ferdinando Villani da Foggia. Napoli, ed. tip. Borel e Bompard, 1841. cm. 23 pp. 32. Dizionario dialettale foggiano. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA 253 VITRANI, Giovanni L’evoluzione della coltura granaria in Capitanata. Foggia, ed. Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, (tip. Leone), 1969. cm. 24,5 pp. 30 tav. 3 f.t. « Estratto da “Atti del Convegno internazionale II grano duro in Italia e nei paesi del MEC”». Cerealicoltura in Capitanata 254 VITULLI, Antonio La rappresentanza della Capitanata al 1° Parlamento Unitario. Foggia, Editrice Apulia, 1975. cm. 23,6 pp. 59-104 [81]. « Estratto dalla Rivista Studi Dauni. N. 1-2 gennaiogiugno 1975. » Deputati di Capitanata al 1° Parlamento unitario. 255 VITULLI, Antonio Una polemica di clinica medica fra Vincenzo Lanza e due medici foggiani agli inizi dell’800. cm. 24 pp. 37-69 [32]. « Estratto dalla Rassegna di Studi Dauni. N. 1-2 gennaio-giugno 1976 ». Studi medici a Foggia agli inizi del secolo XIX. 256 VOCINO, Michele Alla scoperta della Daunia con viaggiatori d’ogni tempo. Foggia, ed. Studio Editoriale Dauno, (S. Agata di Puglia, tip. Casa del Sacro Cuore di Gesù), 1957. cm. 23 pp. 143 tav. 10. Notizie turistiche sulla Capitanata. 257 VOCINO, Michele Foggia e la Capitanata. Milano, ed. Sonzogno, (tip. Matarelli), s.d. cm. 29,5 pp. 17 fig. « Le cento città d’Italia illustrate - fascicolo 87° ». Notizie storico-artistiche sulla Capitanata. 258 VOCINO, Michele La Capitanata. Sessantaquattro illustrazioni con testo di Michele Vocino. Firenze, Fratelli Alinari Soc. An. I.D.E.A., 1925. cm. 16 pp. 39 fig. « L’Italia Monumentale collezione di monografie sotto il Patronato del Touring Club Italiano e della Dante Alighieri ». Cenni artistici sulla Capitanata. 259 WILLEMSEN, Carl Arnold Componimenti della cultura federiciana nella genesi dei castelli svevi. Sta in: DE VITA, Raffaele Castelli Torri ed Opere fortificate di Puglia. A cura di Raffaele De Vita. Bari, ed. Adda, (tip. Dedalo litostampa), 1974. pp. 393-422. Indagine sulla genesi dei castelli federiciani. 260 WILLEMSEN, Carl Arnold Federico II costruttore in Puglia. Sta in: STUDI di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli. A cura di Michele Paone .Vol. I. Galatina, ed. M. Congedo, (tip. Ed. Salentina), 1972. pp. 487-546. Castelli federiciani in Puglia. 77 INDICE DEI NOMI AGNELLO, Giuseppe - 1; 2; 3. ALBERTI, Leandro - 4. ALESSANDRO di Telese - 5. ALTAMURA, Saverio - 6; 7; 8. AMATO di Montecassino - 9. ANNALI dell’Università Popolare di Foggia -10; 11; 12; 13. ANZIVINO, Osvaldo - 14. ASSOCIAZIONE PROVINCIALE DEGLI INDUSTRIALI DI CAPITANATA - 15; 16; 17; 18; 19. BANCA POPOLARE DI FOGGIA - 20. BATINI, Franco - 21. BELLUCCI, Michele - 22. BIAGI, Benedetto - 23; 24. BIBLIOTECA PROVINCIALE - 25; 26; 27; 28; 29. BICCARI, Michele - 30. BUCCI, Oreste A. - 31; 32; 33. CAGGESE, Romolo - 34. CAGNAZZI DE SAMUELE, Luca - 35. CALVANESE, Girolamo - 36; 37 CAMERA DI COMMERICIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA. Foggia - 38; 39; 40; 41; 42; 43; 44. CAPITOLI (ms) - 45. CARABELLESE, Francesco - 46. CARUSO, Angelo - 47; 48. CASO, Gemma - 49. CATALOGUS - 50. CELENTANO, Saverio (mss. - 51-52. CELUZZA, Angelo - 53; 54; 55. CHALANDON, Ferdinand - 56. CIAMPOLI, Vito - 57; 58; 59; 60; 61; 62. CICOLELLA, Luca - 63 CIMAGLIA, Domenico Maria - 64. CODA, Marc’Antonio - 65. CODICE - 66. COLACICCO, Giuseppe - 67. COLAPIETRA, Raffaele - 68. COLARIZI, Simona - 69. COMUNE DI FOGGIA - 70; 71; 72; 73; 74; 75. CONGRESSO (XXIV) DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE - 76. CONIGLIO, Giuseppe - 77-78. CONSORZIO PER L’AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI FOGGIA - 79. CONSTITUTIONUM - 80. CONVEGNO (V) DI STUDI SULLA CIVILTÀ DELLA TAVOLA - 81. D’ARAGONA, Alfonso (ms.) - 82. DE ANGELIS, Carlo Nicola - 83. DE BLASIIS, Giuseppe - 84. DE DOMINICIS, Francesco Nicola - 85. DE FAZIO, Gabriella - 86. DELLA MARTORA, Francesco - 87. DEL VECCHIO, Alberto - 88. DE MEIS, Nicola - 89. DE SANTIS, Pompilio - 90. DE TROIA, Giuseppe - 91. DI CICCO, Pasquale - 92; 93; 94; 95; 96; 97; 98; 99; 100. DI GIOIA, Michele - 101-102-103. DI STEFANO, Stefano - 104. DI TARANTO, Consalvo - 105. DOCUMENTI (ms.) - 106. DOSSIER - 107. ENTE AUTONOMO PER LE FIERE DI FOGGIA - 108; 109; 110; 111. ESPOSITO, Giuseppe - 112; 113. FALCONE, Beneventano - 114. FARAGLIA, Nunzio Federico-115; 116. FEDERAZIONE REGIONALE DEGLI INDUSTRIALI DELLA PUGLIA - 117. FRACCACRETA, Angelo - 118; 119. FRANCIOSA, Luchino - 120. FREJAVILLE, Mario - 121. FUIANO, Michele - 122; 123; 124. GARGIULO, Carmine - 125. GAUDIANI, Andrea (mss. - 126; 127. GIORGIO, Mario - 128. GIOVIO, Paolo - 129. GISMONDI, Mario - 130. GRANA, Salvatore - 131. GRAZIANI, Pellegrino - 132; 133. GUARNA, Romualdo - 134. HASELOFF, Arthur - 135. HUILLARD-BREHOLLES, J. L. A. 136. KANTOROWICZ, Ernest - 137. INTENDENZA DI CAPITANATA138. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE. Foggia 139. ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DI FOGGIA - 140. 78 ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA JARUSSI, Ugo - 141; 142; 143; 144. LANZA, Vincenzo (ms.) - 145. LA SORSA, Saverio - 146. LAURELLI, Ruggiero - 147. LEISTIKOW, Dankwart - 148. LEPORE, Raffaele - 149; 150. LOCO, Mario - 30. LOIODICE, Ester - 151; 152; 153; 154; 155; 156. LUCARELLI, Antonio - 157; 158; 159; 160. MAGLI, Giovanni - 161. MAGNO, Michele - 162. MALASPINA, Saba - 163. MALATERRA, Gaufredo - 164. MARANGELLI, Oronzo - 165. MARCANTONIO, Michele - 166. MASCOLO, Raffaele - 167. MATRELLA, Antonio - 168. MAZZELLA, Scipione - 169. MENAGER, L. R. - 170. MINISTERO DEI TRASPORTI. FERROVIE DELLO STATO. COMPARTIMENTO DI BARI - 171. MOMIGLIANO, Eucardio - 172. MORENA, Silvio - 21. MOSTRA (I) BIBLIOGRAFIA DEL GARGANO - 173. MUSEO CIVICO - 174. MUSERRA, Carlo - 175. MUSTO, Dora - 176. NARDELLA, Tommaso - 177. NICCOLÒ DI JAMSILLA - 178. NIGRI, Vincenzo - 179. NIMO, Raffaele - 180. OPERA NAZIONALE DOPOLAVORO. DOPOLAVORO PROVINCIALE DI CAPITANATA - 181. PACICHELLI, Giovanni Battista - 182. PALUMBO, Manfredi - 183. PANERAI, Alfredo - 184. PAOLILLO, Benedetto - 185. PAPA, Michele - 186-187. PATINI, Vincenzo - 188. PEDRETTI, Aldo - 189; 190. PENSATO, Guido - 55. PERIFANO, Casimiro - 191. PETRUCCI, Alfredo - 192. PETRUCCI, Silvio - 193. PETTI, Alfredo - 194. PIETRO d’Eboli - 195. POMPA, Antonino - 196. PROVINCIA DI FOGGIA - 197; 198; 199; 200; 201; 202; 203; 204; 205. PUGLIA - 206. QUATERNUS - 207. REGISTRI - 208; 209; 210; 211; 212; 213; 214; 215; 216. RICCHIONI, Vincenzo - 217. RINNOVAMENTO - 218. ROSATI, Giuseppe (mss.) - 219; 220; 221. ROSCINI, Filippo - 222. ROTELLA, Guido - 223. SALCESI, Amodio - 224. SALVATO, Vincenzo - 225. SCELSI, Giuseppe - 226. SCHIPA, Michelangelo - 227. SOCCIO, Pasquale - 228; 229. SOCIETÀ (REALE) ECONOMICA DI CAPITANATA - 230. SORGE, Luigi (ms.) - 231. SORRENTI, Pasquale - 232. SPOLA, Vincenzo - 233; 234. SUD FIERA - 235. TANCREDI, Giovanni - 236. TERENZIO, Vincenzo - 237. TIBOLLO, Attilio - 238. TIZZANI, Berardino - 239. TORTONE, Antonio - 240. TORTORELLI, Niccolò (mss.) - 241. UGONE, Falcando - 242. VENTRUDO, Lorenzo - 243. VENTURA, Antonio - 244. VILLANI, Carlo - 245; 246; 247; 248; 249. VILLANI, Ferdinando - 250; 251; 252. VITRANI, Giovanni - 253. VITULLI, Antonio - 254; 255. VOCINO, Michele - 256; 257; 258. WILLEMSEN, Carl Arnold - 259; 260, 79 INDICE DEI SOGGETTI ANGIOINI. Cancelleria. Registri - 208; 212; 213; 214; 215; 216. 209; 210; 211; ARAGONESI. — Cancelleria. - 65; 66. CARBONERIA. — Foggia e Capitanata. - 49. DOGANA. — Archivio. - 48; 97; 115. — Censuazione e affrancazione. - 89; 92. — Documenti sec. XV-XVI. - 106 (ms.); 233. — Lana. Produzione. - 99. — Legislazione. - 104; 131. — Mappe. - 91. — Organizzazione. - 64; 65; 85; 100; 104; 136 (ms); 127 (ms.); 176; 188; 234. — Pastori. Folklore. - 81; 146. — Privilegi. - 65 (ms.); 82 (ms.). — Storia. Sec. XV-XIX. - 77; 89; 95; 96; 162. — Suddelegazione dei cambi. - 98. — Tratturi e transumanza. - 120; 183. FEDERICO II. — 22; 23; 47; 80; 81; 88; 136; 137; 148; 172; 185; 207; 259; 260. FOGGIA. — Accademie. Sec. XV-XVIII. - 232. — Agricoltura. Prospettive. - 38; 43; 223; 253. — Antichi culti esoterici. - 143; 144. Antifascismo e Resistenza. - 168; 190; 191. — Archivio Comunale . - 94. — Archivio Diocesano. - 101. — Arte. - 4; 22; 23; 34; 102. — Biblioteca Provinciale. - 25; 26; 27; 28; 29; 53; 54; 55; .76; 173; 197. — Braccianti e lotte sociali. - 21; 86; 128. — Cartiera. - 243. — Clima. Fauna. Flora. - 67; 179. — Cultura. - 229. — Demografia. Sec. XVII-XX. - 18; 35; 41; 180. — Dialetto. - 249; 252. — Diocesi. Storia. - 103. — Disadattamento minorile. - 205. — Disoccupazione. Emigrazione. - 15; 198. — Distruzione e ricostruzione. 1940-1950.63; 74; 130; 171. — Ecologia. - 202. — Economia. Sec. XI-XIX. - 87; 118; 119; 186; 187; 230; 244. — Enologia. - 44; 108; 109; 110; 111. — Fascismo. - 10; 11; 12; 13; 68; 69; 70; 90; 193; 196; 200. — Fiera. - 108; 109; 110; 111; 235. — Folklore. - 14; 31; 32; 112; 113; 149; 150; 151; 152; 153; 154; 155; 156; 166; 181; 224; 236. — Fosse di grano. - 116. — Fotografie e stampe. - 91; 174; 206. — Gastronomia. - 81; 121. — Guide. - 30; 34; 194; 240; 256; 257; 258. — Industrializzazione. - 16; 39; 218. — Industrie manifatturiere. - 42. — Istruzione pubblica. - 201; 204. — Libro Rosso. - 45. — Moti 1648. - 165. — Neofascismo. - 107. — Organizzazione della giustizia. - 239. — Organizzazione sanitaria. - 203. — Origini. - 4; 128; 129; 191. — Personaggi. - 6; 7; 8; 24; 37; 51; 52; 93; 100; 145; 167; 184; 192; 219; 220; 221; 231; 237; 241; 255. — Personaggi. Repertori. - 248. — Redditi e consumi. - 19; 199. — Situazione socio-economica. - 139. — Statistiche. Sec. XVII-XIX. - 15; 35; 41; 118; 139; 169; 177; 182; 217; 226. — Storia. - 23; 36; 37; 46; 69; 101; 103; 129; 138; 238; 244; 245; 246; 247; 250; 251. — Università. Proposte. - 17. — Università popolare. - 1918-1929. - 10; 11; 12; 13. — Urbanistica e territorio. - 57; 58; 59; 60; 61; 62; 70; 73; 79; 117; 140; 141; 142 147; 175; 225. — Vita politica e amministrativa. - 70; 71; 72; 132; 133; 200; 254. — Zootecnia. - 40. NORMANNI. — Architettura. - 1; 3. — Catalogo dei Baroni. - 50. — Cronache. - 5; 9; 114; 134; 164; 195; 222; 242. — Dominazione. - 56; 84; 122; 123. — Economia. - 105. — Legislazione. - 83; 170. ________________________________________________________________________________FOGGIA E LA CAPITANATA RISORGIMENTO. — 1799-1861. - 20; 125; 159; 160; 227; 245; 254. SVEVI. — Ambiente sociale. - 124. — Architettura. - 2; 135. — Cronache. - 163; 178. — Documenti diplomatici. - 136. — Economia. - 105. — Legislazione. - 47; 80; 83; 88. — Zecche e monete. - 161. VICEREGNO SPAGNOLO. — Sommosse. - 165. — Situazione socio-economica. - 244. a cura di M ARIA ALTOBELLA GALASSO ANTONIO VENTURA 81 LA POESIA POPOLARE PUGLIESE La storia e il problema. Con la conquista dei Normanni, guidati da Roberto il Guiscardo, iniziò per la Puglia nel 1064 il periodo storico del suo massimo splendore, che continuò e culminò sotto la dinastia sveva. In quel tempo le popolazioni pugliesi ascoltarono per la prima volta la poesia in volgare che udivano da menestrelli e trovatori. Di ciò restano, preziosi testimoni, i due sonetti rispettivamente di Guglielmotto da Otranto1 e di Guerzolo da Taranto. 1 Di Guglielmotto, poeta certamente di più alta levatura rispetto a Guerzolo, si conserva il seguente sonetto: « O salve, sancta Ostia sacrata / Immacolata sangue, e carne pura / Summa Creatura in Dio comunicata / De Virgo nata senza corruttura. / Oltre misura fosti tormentata / Morta lanzata misa en sepoltura / De la summa natura suscitata / Et enalzata sopra ogn’altra altura./ Tu sei quell’armatura per cui vencimo / L’antico primo perfido serpente / Percuziente spirito dannato. / Corpo sacrato en pane te vedimo / E certo simo che verasimente / Se’ Cristo Onnipotente e Deo Carnato ». Studi specifici al riguardo son quelli di O. PARLANGELI, Noterelle linguistiche, Lecce, 1960, e Sulla Scuola poetica greco-salentina del XIII sec., in La parola del passato, 8, 1953, pp. 132139; M. GIGANTE, Poeti italobizantini del sec. XIII, Napoli, 1953, con la relativa recensione del PARLANGELI, « Paideia », 10, 1955, pp. 133-137. Guerzolo da Taranto o Garzolo o Guezzolo fiorì, come Guglielmotto (noto quest’ultimo soprattutto negli ambienti ecclesiastici per la profondità del suo sapere teologico), nel XIII sec., precisamente « verso il 1290. Ebbe vena facilissima, ma stile assai rozzo, per essersi servito dell’ingrato dialetto pugliese. Un suo Sonetto si legge nella Raccolta dell’Allacci; e il p. Ambrogio Merodio nell’Istoria manoscritta della città di Taranto lo ricorda così: ‘Nelle poetiche facoltà, allora, che era ancora bambola l’italiana favella nelle nostre contrade, fior’i in questa città Guerzolo avvocato, il quale poetà molto; e del suo sono capitate nelle nostre mani parecchie composizioni’. Il Guerzolo va menzionato [al pari di Guglielmotto] dal Crescimbeni nei Commentarii della Storia della volgar poesia, vol. III. » (Cfr. C. VILLANI, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani, Vecchi, 1904, p. 465). Sempre Carlo Villani, infine, osserva che tanto l’Allacci che il Crescimbeni, nelle loro rispettive opere su citate « riproducono un sonetto bellissimo del Guglielmotto sul mistero dell’Eucarestia [quello da noi qui riportato]; anzi quest’ultimo vi aggiunge altresì il seguente giudizio: ‘Certa cosa è che difficilmente si troverebbe altri che meglio di costui avesse chiuso un sì alto e vasto argomento dentro il brieve giro di un sonetto’ » (p. 468). 82 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE Federico II volle far rivivere, nelle corti pugliesi, lo splendore dell’antica Roma, dando così impulso alla poesia e alle arti, alle scienze e all’economia. Riccardo di S. Germano, Ricordano Malaspini ed altri cronisti ricordano che la Puglia brillò a quell’epoca « per sfarzo orientale, per gentilezza di costumi e per signorile ospitalità ». Il Bertoni2 osserva che nessuna corte fu più splendida di quella sveva. I castelli di Federico II e di suo figlio Manfredi erano abitati da rimatori e da dotti di ogni terra e « risuonavano di canti d’amore e di lieti conviti ». Entrambi i sovrani amavano lo sfarzo, i giuochi, le feste e i piaceri, e in prossimità di Barletta o di Castel del Monte, di Foggia, Lucera o Gioia del Colle si svolgevano cacce e tornei, a cui prendevano parte baroni e cavalieri. Fra coloro che maggiormente si distinsero in quelle corti per vastità d’ingegno e per sottile sensibilità poetica si trovano, oltre l’infelice suicida Pier delle Vigne e il già ricordato Guglielmotto da Otranto, anche Uggieri di Puglia e l’ormai classico Giacomino Pugliese. Contemporaneamente al vigoroso impulso dato alla cultura e alla poesia in Sicilia dai due Svevi, dunque, si registrava anche in Puglia il fervore per la poesia e per le altre attività culturali. Questo fatto storico comune alle due regioni potrebbe spiegare le somiglianze che si riscontrano nella poesia dei due popoli. Lo pseudo Matteo Spinelli da Gìovinazzo, comunemente noto come l’autore dei Diurnali, narra che il re Manfredi « spisso la notte esceva per Barletta, cantando Strambuotti et Canzuni, che iva pigliando lo frisco; et con isso ivano dui Musici siciliani, ch’erano gran Romanzaturi » (Estate 1258). Anche se sembra ormai scontato il fatto che detti Diurnali abbiano subìto interpolazioni posteriori, non si può credere che il « preteso falsificatore » abbia inventato anche il racconto sopra riportato. Bisogna, pertanto, ritenere che « prima del 1260 in Puglia esistessero queste forme popolari e dovevano essere comprese dal volgo che apprendeva tali rispetti, li modificava a proprio gusto e infine ne creava dei nuovi » . Dopo Federico II e Manfredi si cominciò a rimare per tutta l’Italia e « allorché a Bologna e a Firenze sorsero altre forme di poesia, ad esse dette efficace impulso non solamente la civiltà e la cultura propria a quei comuni, ma anche l’esempio che veniva dal fondo della penisola ». I poeti siciliani e pugliesi furono tenuti in gran conto e furono considerati precursori anche da coloro che non ne seguivano pedissequamente le orme. 2 Cfr. G. BERTONI, Il Duecento, Milano, Vallardi, 19646; ma, sullo stesso argomento, risulta anche molto utile l’ampia trattazione di G. A. CESAREO, Le origini della poesia lirica: la poesia siciliana sotto gli Svevi, Palermo, 1924. 83 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ Il D’Ancona3 sostiene che le loro poesie furono accolte festosamente in Firenze; caduta la potenza sveva, si spense nella terra natia la memoria dell’arte eretico-cavalleresca e dei suoi rimatori, mentre quelle rime e quei rimatori ottennero diritto di cittadinanza in Firenze. « Noi crediamo — scrive lo studioso — che il canto popolare italiano sia nativo della Sicilia. Né con questo intendiamo asserire che le plebi delle altre province siano prive di poetiche facoltà, e che non vi siano poesie popolari sorte in altre regioni italiane, ed ivi cresciute e di là diramate attorno. Ma crediamo che, nella maggior parte dei casi, il canto abbia per patria d’origine l’Italia e per patria d’adozione la Toscana: che nato con veste di dialetto in Sicilia, in Toscana abbia assunto forma illustre e comune, e con siffatta veste novella sia migrato nelle altre province. Però se questo è il caso generale, esso non esclude punto le eccezioni » 4 . La teoria, non nuova in verità, ché Ermolao Rubieri5 e Costantino Nigra non avevano esitato a considerare come nati in Sicilia alcuni strambotti, non incontrò il favore degli studiosi del canto popolare. In realtà essa era stata formulata in modo troppo generico e prestava il fianco a molte incertezze e contraddizioni di fondo. Il Cocchiara osserva, a questo proposito, che la frase iniziale, con la quale il D’Ancona « presenta le conclusioni cui giunge attraverso l’esame comparativo dei canti, cioè che il canto popolare italiano (che era poi, invece, la produzione popolare degli strambotti) sia nativo della Sicilia, è stata ed è motivo di confusione. Il canto popolare nasce, ed è ovvio che sia così, dappertutto ». Bisogna pur convenire però, come ha giustamente 3 Cfr. A. D’ANCONA, La poesia popolare italiana, Livorno, 1906. Ibidem, p. 323. 5 Degno d’essere ricordato è anche quanto scrive in proposito E. RUBIERI, Storia della poesia popolare italiana, Firenze 1877: « Vastissimo, anzi infinito, è il campo della poesia popolare. Libera come l’immaginazione, di cui è figlia, essa non conosce limiti a’ propri voli. Cielo e terra; corpo e anima; fantasia e cuore; sollazzo e sentimento; patria e amore; universo e individuo; passato e presente; storia e passione; artificio e natura; questi sono in germe gli elementi di tutta l’immensa produzione poetica popolare. Di qui scaturiscono tutte le cause e tutti gli effetti sotto il triplice aspetto estetico, psicologico e morale; di qui la varietà dei generi di poesia, religioso e profano, pubblico e privato, artificioso e passionato; di qui la varietà delle specie, politica, storica, proverbiale, sacra, drammatica, funebre, sollazzevole, galante, erotica, satirica; di qui la varietà dei componimenti, dei temi, dei metri e della musica » (pp. 50-51). 4 84 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE osservato il Croce, « che risponde sostanzialmente al vero la teoria che riporta l’origine della grande massa originale degli strambotti, delle ottave, dei rispetti, raccolti nell’Ottocento, alla Toscana del Tre e Quattrocento, e, in buona parte, attraverso la Toscana, alla Sicilia, culla della nuova poesia volgare »6 . E questa è, del resto, la conclusione che si trae dal libro stesso del D’Ancona, il quale non può essere giudicato dall’affrettato bilancio cui è pervenuto, ma dall’esame che egli dedica alle « migrazioni » degli strambotti siciliani, alla « fine analisi che fa di essi » 7 . Ma riguardo al problema delle origini del canto popolare, sembra conservare ancora la sua attualità anche la tesi del Berchet, il quale ha avuto il merito di aver saputo individuare, prima di qualsiasi altro studioso, il nativo carattere individuale di questo genere di poesia. Dopo aver sostenuto, infatti, che la poesia popolare è fatta dal popolo, il Berchet aggiunge che essa è « creazione d’una individualità poetica espressa dal popolo », ossia dal popolo secondo l’accezione datane dai paremiologi e demopsìcologi. « Sorge uno e trova una canzone: cento l’ascoltano e la ridicono »: potrebbe essere questa la formula più esatta per circoscrivere all’Italia il fenomeno della poesia popolare come frutto di determinate individualità artistiche, esprimenti il popolo; e invece in quell’originale fermento di idee in cui maturarono le più sane tendenze romantiche, Berchet non fu il solo a tenere questa posizione. Anche in Germania, ad esemp io, i fratelli Grimm, lo Herder e il Gòrres, pur riconoscendo alla collettività il suo ruolo predominante, insistevano sul concetto che la poesia popolare scaturisce da 6 B. CROCE, Poesia popolare e poesia d’arte, Bari, Laterza 1933. Con più precisi sondaggi tecnici si accosteranno al problema anche il Barbi e il Santoli, ma, come si sa, l’analisi crociana resta uno dei più validi contributi all’interpretazione della poesia popolare, non solo in Italia, ma nel panorama più ampio dell’Ottocento folkloristico europeo. Abbracciando nell’unica « categoria » della « semplicità » quel ricco corredo di definizioni che via via era andato formulando nel suo saggio, il Croce cerca di dare una soluzione al problema, trasferendolo in sede « psicologica », ossia di « tendenza o di prevalenza e non già di essenza [...] La poesia popolare è, nella sfera estetica, l’analogo di quel che il buon senso è nella sfera intellettuale e la candidezza o innocenza nella sfera morale.Essa esprime moti dell’anima che non hanno dietro di sé, come precedenti immediati, grandi travagli del pensiero e della passione: ritrae sentimenti semplici in corrispondenti semplici forme [....] In virtù di tale concetto psicologico la poesia popolare è fatta consistere essenzialmente in un atteggiamento dell’animo o in un tono del sentimento e dell’espressione» (pp. 5, 12 e passim). 7 G. COCCHIARA, Popolo e letteratura in Italia, Einaudi, 1959, p. 339. 85 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ determinate individualità poetiche e che la sua autentica popolarità è data proprio dalla sua tradizione. Sicché, se per un verso lo Herder scriveva che « I canti popolari sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione, della teogonia e cosmogonia sua, della vita dei suoi padri, de’ fasti della sua storia, la espressione del suo cuore, la immagine del suo interno, nella gioia e nel pianto, presso il letto della sposa e accanto al sepolcro »8 , e il Cesareo replicava che « Il popolo è naturalmente poeta: in quella sua grande anima infantile la sensazione e il sentimento, il sogno e la realtà, tutto vibra intensamente e si effonde in uno spontaneo zampillo di canto, che è come l’essenza più pura della sua vita. Il contadino vive in una quotidiana comunione spirituale col suo campo, con la sua siepe che fu siepe del padre e degli avi, con le sue bestie che l’aiutano nei lavori, con gli alberi antichi che gli danno le dolci frutta, proteggono d’ombra le culle dei suoi marmocchi, col fringuello che spinciona a distesa per lui nelle ore bruciate dal solleone. Il marinaio alterna ire e carezze col suo grave e formidabile amico, l’oceano [...] Il canto è un bisogno, non un sollazzo del popolo che vi trasfonde tutto il suo cuore più segreto e più intimo »9 ; per l’altro verso, cioè per coloro che optavano per la creazione individuale della poesia popolare, si ripeteva con il Lingueglia che « I moderni hanno delle curiose idee sulla poesia popolare. Si immaginano che essa sia come una fioritura di popolo spontanea, generale: che il popolo si metta insieme e così, come verrebbe da una cascata d’acqua, verrebbe fuori la poesia popolare. t una immagine abbastanza poetica ma ugualmente buffa. La poesia popolare non è fatta dal popolo » 10 . Tra le varie teorie che si sono considerate, la monogenetica del D’Ancona sembra abbia resistito meglio al travaglio del tempo; oggi, 8 Cfr. G. PITRE’, I canti popolari siciliani, Palermo, 1871, p. 6. G. A. CESAREO, Le origini della poesia lirica ecc., cit., p. 39. 10 P. LINGUEGLIA, Saggi critici di poesia religiosa, Bologna, 1914. Ma il Pasolini osserva (Cfr. Canzoniere italiano, I, Milano, Garzanti, 1972, p. 32) che il De Bartholomeis in proposito è ancora più preciso, poiché ritiene che « La poesia popolare è per la massima parte giullaresca » e che « la sua popolarità consiste in questo, che è fatta per il popolo e non dal popolo », se « la letteratura degli illetterati non è mai esistita che nell’immaginazione dei romantici e nelle illusioni dei folcloristi » (Cfr. V. DE BART HOLOMEIS, Le origini della poesia dram matica in Italia, Bologna, 1934). 9 86 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE comunque, tende a prevalere definitivamente la teoria poligenetica11 , poiché l’identità, ad esempio, del tema non basta a stabilire fra i vari canti un rapporto di dipendenza: è necessario che vi sia, fra un canto e l’altro o fra più canti da esaminare, una quasi assoluta identità, o che, almeno, le lezioni si avvicinino il più possibile. Né si deve pensare che l’uguaglianza stessa delle parole o dei costrutti possa essere indizio sicuro di un’unica fonte da cui i diversi canti sono scaturiti, ché spesso quella vicinanza di motivi e di forme è assolutamente fortuita. Si è così finalmente convenuto che bisogna tener conto non solo delle somiglianze fra i vari canti, ma soprattutto, forse, delle dissomiglianze; e accanto alla serie delle lezioni che hanno affinità piuttosto palesi, tanto di contenuto che di forma, porre la serie di quelle altre lezioni che, pur trattando lo stesso argomento, sono sostanzialmente dissimili nell’espressione. I più attenti studiosi tengono sempre fede a questo assunto, pur avendo dato, oggi, una svolta in senso decisamente storicistico e gramsciano alla « cultura delle classi subalterne ». In quest’ultima direzione, infatti, sui movimenti cioè che il folklore ha subìto e subisce nella nostra società, si muovono gli studi del Satriani12 , del Boldini13 , del Vettori14 , del Lanternari15 , del Pasolini16 , di 11 Un antecedente della teoria poligenetica, ancora oggi in qualche modo valida per l’originalità delle sue stimolanti proposte, è la distinzione operata da C. NIGRA, Canti popolari del Piemonte, Torino, 1888. Lo studioso imposta, in fatti, la propria ricerca filologica sulla divisione della poesia popolare in due specie, lirico ed epico-lirico, distinguendo a sua volta, geograficamente, un « Meridione lirico » e un « Nord epico-lirico ». « L’Italia — scrive il Nigra — rispetto alla poesia popolare (come rispetto ai dialetti) si divide in due zone: Italia inferiore, con substrato italico; e Italia superiore, con substrato celtico. La poesia popolare dell’Italia inferiore, quella cioè degli strambotti e degli stornelli, è monostrofa, monometra (salvo il primo verso breve dello stornello e il ritornello), endecasillaba, assonante, parossitonica, amebea, lirica, soggettiva, non senza contatto colla poesia colta, e precedente in parte, per tradizione dall’antico canto alterno pastorale, e d’origine interamente italica. Quella dell’Italia superiore è polistrofa, polimetra, semi-assonante, semi-ossitona, anamebea, narrativa, oggettiva, senza contatto con la poesia colta, d’origine in parte Celto-italica, in parte Celtoromanza. Entrambe tradizionali, etniche, immuni d’ogni influenza straniera alla loro origine rispettiva ». La conclusione a cui perviene il Nigra può essere intesa come un avvio sicuro per successivi e più pretenziosi scandagli che presumano di gettar maggior luce sulla complessa problematica della poesia popolare. 12 L. LOMBARDI SATRIANI, Il folklore come cultura di contestazione, Palermo, Peloritana, 1975 e Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, Quaraldi, 1976. 13 S. BOLDINI, Il canto popolare strumento di comunicazione e di lotta, Roma, ESI, 1975. 14 G. VETTORI, Canti e poesie popolari, Roma, Newton Compton, 1975. 15 V. LANTERNARI, Folklore e dinamica culturale, Napoli, Liguori, 1977. 16 P. P. PASOLINI, Canzoniere italiano, cit. Lo studioso considera in questa 87 GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________ Ernesto De Martino, di Alberto M. Cirese, di Giovanni Bronzini, di Tullio Tentori e di altri. Il folklore non è più considerato in maniera acritica e secondo una visione romanticamente estetizzante o spontaneistica (il canto è un bisogno del popolo che « vi trasfonde il suo cuore più segreto e più intimo »), ma storica, come una cultura cioè che si contrappone contestativamente a quella delle classi dominanti17 . opera il rapporto tra due vite istituzionali, quella delle classi dominate e quella delle classi dominanti. « La poesia popolare è un prodotto di tale rapporto. I due termini che costituiscono tale rapporto sarebbero dunque: dalla parte bassa una mentalità di tipo arcaico, primordiale, atto a produrre poesia anche nelle comunità umane più arretrate — le tribù africane, australiane ecc. — poesia che si può definire « folclorica », invocata a sostegno della teoria romantica. Dalla parte alta, una mentalità che si approssima, per mimesi, per influenza, alla vita moderna, storica: per un apporto ideologico disceso dalla classe dirigente » (p. 34). Insistendo e chiarendo sempre meglio il suo pensiero, poi, sul « problema » della poesia popolare come prodotto del rapporto tra le due classi sociali anzidette, il Pasolini giunge alla conclusione che quando il canto popolare « è iniziativa di un individuo o di un gruppo della classe superiore (direzione quindi discendente) il suo risultato sarà sempre una poesia « culta » che nel contat to o l’interesse (qualunque questo sia) col mondo inferiore, assume caratteri o di « macaronico » [...] o di « squisito » [...] Se invece tale rapporto è iniziativa di un individuo o di un gruppo di individui della classe inferiore (direzione ascendente) il suo risultato sarà allora precisamente quello che si chiama « poesia popolare»: un’acquisizione di dati culturali e stilistici provenienti dalla classe dominante e una loro assimilazione secondo una fenomenologia da studiarsi nell’ambito di una cultura inferiore e primitiva. La poesia colta e la poesia popolare sono dunque dovute essenzialmente a un solo tipo di cultura, ossia quello storico del mondo in evoluzione dialettica, il quale acquista « discendendo » caratteri ritardatari e primitivi. Infatti il popolo da sé — inteso come categoria, cioè supponendo che, nella circostanza storica, non ci sia sopra di lui un’altra classe sociale — non sarebbe in grado di produrre altra poesia che quella che, per chiarezza, si potrebbe chiamare meramente folclorica, interessante meglio l’etnologo che il letterato » (pp. 3940). 17 Sempre a proposito delle suggestioni d’impronta gramsciana subite in questi ultimi decenni dagli studiosi di sinistra precedentemente indicati, è necessario sottolineare che la formula così cara allo studioso sardo di « letteratura nazionalpopolare » può essere ritenuta giusta e può essere sempre accolta con favore se si riferisce al fenomeno della « cultura di massa », mentre è impropria se viene adoperata a designare la problematica della poesia popolare: ché « la letteratura popolare di cui si occupa [Gramsci] con tanta passione e chiarezza innovativa, è quella, per ricorrere a un esempio subito accessibile, dei « romanzi d’appendice » o del melodramma italiano […] si tratta sempre, se mai, di letteratura popolareggiante, non popolare » (Cfr. P. P. PASOLINI, Op. cit., p. 22). La verità è che a Gramsci questo problema interessava marginalmente, in quanto egli vi vedeva il concetto di popolo come entità astratta, non vicina cioè ai reali e 88 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE Lombardi Satriani propone, ad esempio, la sua chiave di lettura dei fenomeni culturali popolari, interpretando il folklore come una parte distinta di qualsiasi patrimonio mentale collettivo stabilizzato, e precisamente quella proprio delle classi sottoprivilegiate (e quindi culturalmente subalterne) di qualsiasi società. In questa prospettiva di riabilitazione, comprensione, riconoscimento di autonomia e non di fatale dipendenza del mondo popolare (soprattutto quello del Mezzogiorno sul quale si sofferma maggiormente Lombardi Satriani), l’autore critica tutti quegli atteggiamenti etnocentrici, borghesi e razzisti che hanno, per tradizione, ignorato la realtà del mondo popolare o, peggio, l’hanno « vista con gli occhi della loro cattiva coscienza » (A. Rossi). Caratteri e originalità della poesia popolare pugliese. Come tutte le popolazioni, anche quella pugliese risente dell’ambiente fisico in cui essa vive; le particolarità di tale ambiente, molto mutevole, si riflettono anzi nella varietà dei canti che la tradizione ci ha tramandati. Con una punta di sentimentalismo, dettata più dalle circostanze che da effettiva mancanza di valutazione in senso moderno del fenomeno genetico e di propagazione della poesia popolare, scrivevamo: «Molti anni fa doveva essere bello soffermarsi ad ascoltare il canto dei contadini, modulato su rustiche zampogne e, più tardi, su grosse chitarre; si doveva certamente provare una soave impressione nell’anima: quella pace notturna, quel canto che proveniva di lontano, quel dolce tepore d’aura estiva dovevano veramente « intenerire il core »; fingiamoci, invero, schiere compatte di contadini con gli strumenti mu sicali al collo, sostanti sotto le finestre di belle fanciulle ed intonanti un canto d’amore. I nostri padri antichi dovevano necessariamente accorgersi, dall’inflessione della loro voce, che il canto era commosso e che i loro pensieri erano accesi da un caldo desiderio d’amore. Da qui complessi problemi della civiltà a lui contemporanea; tuttavia, dietro il suo esempio, fu messo a fuoco con più chiarezza dagli scrittori comunisti o « impegnati », intorno agli anni ‘50, l’argomento, tanto che qualcuno poté affermare che « il popolo non è una collettività omogenea di cultura, ma presenta delle stratificazioni culturali numerose, variamente combinate, che nella loro purezza non sempre possono essere identificate in determinate collettività popolari storiche; certo però che il grado maggiore o minore d’« isolamento » storico di queste collettività dà la possibilità di una certa identificazione » (Cfr. V. SANTOLI, Tre osservazioni su Gramsci e il folklore, « Società », n. 3, 1951). 89 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ dovette iniziarsi l’interesse per la lirica popolare. Dapprima ci fu qualche raccolta inorganica, fatta di glosse, in seguito un più oculato esame dei canti popolari e, dunque, un più serio lavoro di cernita; alla fine, sempre più vive disquisizioni di carattere filologico ed estetico. Se questo lavoro fu, però, svolto (e tuttora è in via di svolgimento) nelle regioni che ben poco, forse, avevano della poesia popolare, scarsamente redditizio risultò invece nella Puglia e nelle regioni meridionali in genere, laddove cioè questo genere di poesia ha sempre più avuto ragione di essere e di estrinsecarsi » 18 . Il carattere della poesia popolare pugliese è dato non solamente dall’insistenza sul tema dell’amore, ma da tutto ciò che è in grado di mettere in moto il suo sentimento: la religione, le tradizioni, gli usi e i costumi, la famiglia, l’amicizia, l’odio, il disprezzo, le guerre, le disgrazie. E questi temi che il cantore popolare tratta testimoniano della sua piena aderenza alla vita: la lirica popolare è così chiamata ad una funzione specifica, è adoperata per un preciso scopo; anzi, sarà bene aggiungere che questa rilevata funzionalità non è certo di comune riscontro nella poesia cosiddetta « classica », la quale suole spesso « estraniarsi dalla realtà quotidiana ». Molti canti popolari pugliesi trovano riscontro con quelli di altre regioni d’Italia, è evidente. Il Pitrè sostiene, ad esempio, che v’è affinità fra i canti d’amore della Sicilia e quelli di Terra d’Otranto, ma nello stesso tempo non esclude che alcune forme ed aspetti della poesia popolare pugliese siano totalmente diversi da quelli che si riscontrano nella poesia siciliana19 . Il Pedio 20 e il Vocino21 sostengono che le strofe cantate dalle fanciulle sull’altalena, i brindisi che si improvvisano durante i banchetti, le laude ai Santi protettori della regione, gli strambotti e i canti di vario genere delle Murge e delle spiagge della penisola salentina, ma specialmente le poesie di genere satirico ed arguto, hanno un’impronta prettamente pugliese e rispondono alla psicologia e all’ambiente di questo popolo. L’Imbriani, nella sua ben nota raccolta di Canti popo- 18 Cfr. il nostro saggio sul Canto popolare, in Aria ed arie di Alberona a cura di M. CARUSO, G. DE MATTEIS, V. D’ALTERIO, Foggia, Studio Editoriale Dauno, 1963, pp. 1-2. 19 Cfr. G. PITRÈ, Canti popolari siciliani, I, Palermo, 1871, pp. 142-143. 20 Cfr. E. PEDIO, Nota di folklore brindisino - Intorno all’origine della poesia popolare italiana, in Studi in onore di Francesco Torraca, Napoli, 1922, p. 593. 21 M. VOCINO, Canti e leggende di Puglia, « Puglia », gennaio-giugno 1925, p. 6. 90 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE lari delle provincie meridionali, ne pubblica molti del Salento, che per forma e per concetto sono sostanzialmente diversi da quelli di molte altre regioni d’Italia: ciò dimostra che essi non sottostanno alla regola della importazione, ma che « sono nati dalla fantasia del popolo pugliese, e sono espressione della sua psicologia ». Per tentare di mettere a punto l’originalità e i pregi della poesia popolare pugliese sarebbe necessario procedere ad un esame della stessa produzione, raggruppando i canti secondo i loro motivi ispiratori. Un lavoro, questo, che richiederebbe ben altra trattazione. Daremo solamente un cenno delle principali forme, corredandolo con qualche preziosa testimonianza poetica. Strettamente legata non solo alle feste e alle usanze rituali, ma a tutto il senso religioso che conferisce valore e significato alla vita dell’uomo nei diversi momenti della sua esistenza e del suo lavoro è la poesia a carattere religioso. Il popolo pugliese testimoniava la propria fede ingenua in preghiere ed invocazioni, in canti religiosi e in filastrocche, che erano « l’espressione del suo vivo sentimento religioso, pur attraverso i mille pregiudizi» che lo contaminavano. Naturalmente in questi canti spesso i concetti non sono improntati ad originalità di ispirazione e i versi zoppicano (la rima viene di frequente sostituita da una vaga assonanza). Chi afferma che alcuni di questi canti sono residui di antiche laudi, di cui conservano la forma, si avvicina in qualche maniera alla verità, anche se a conforto della sua tesi può addurre uno scarsissimo corredo di testimonianze.Interessanti sondaggi, con esiti a volte fortunati, ha condotto su questo argomento il Babudri22 . E, in senso più lato, ma con più precisi riferimenti al campo della glottologia, una tesi abbastanza convincente porta avanti anche il Pansini23 , allorché sostiene che il dialetto pugliese, che offrì a Clemente Merlo largo campo per le sue indagini geniali sul linguaggio centromeridionale, « è il termine di paragone che ci lega alla lauda di Jacopone »; l’incontro, anzi, dell’antico umbro con il linguaggio della Daunia, Japigia e Peucezia nella trama dei loro dialetti o vernacoli, « appartiene alla lingua centro-meridionale o mediterranea, anzi è la parlata predantesca, che nonostante lo sviluppo del « dolce stil novo » 22 Cfr. F. BABUDRI, Una lauda medita a S. Nicola pellegrino, Trani, 1960; Lauda drammatica del Natale, Giovinazzo, 1950; Una « lauda folle » pugliese dì Altamura, di tipo jacoponico, Bari, 1960. 23 G. PANSINI, Jacopone da Todi e la Puglia, « Japigia », Il, 1946, pp. 117-118. 91 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ e della letteratura colta e studiata, ha persistito in tutti gli angoli della patria italiana » 24 . Di un’antica lauda poteva far, forse, parte la forma dialogata (la Vergine e Gesù) dì questo canto, dalla non esatta collocazione geografica, rozzo, è vero, ma fresco, vigoroso, naturalissimo, che ricorda il venerdì santo: 24 Ibidem, p. 117. Per persuadere il lettore della sua affermazione, il Pansini riteneva fossero della « nostra lingua mediterranea » e pugliese in particolare le espressioni jacoponiche del tipo: ditto per detti, maleditto per maledetto, mitto per metto, lasso per lascio, ragghiare per ragliare, roscio per rosso, esanguinato per insanguinato, fore per fuori, co per con, scito per andato, peccanno per peccando, lengua per lingua, remaste per restate, so per sono, dì per dici, alentata per liberata. appicciare per accendere, lorda per sporca, ma nel significato deteriore di donna da trivio, colcato per coricato, affittare per guardare (di marca tipicamente pugliese, mentre in Toscana è considerato arcaismo), redisti e resedisti per restati e ritornati, stuta per spegne, smorza, ma, in senso figurato, sta anche per uccide, adduce per reca, porta, tusto per duro, hatte per ti ha, màmmate, sò rate, fràtete, tua madre, tua sorella, tuo fratello (tutti possessivi, come si vede, divenuti suffissi, ma di uso ancora oggi tanto comune nei linguaggi meridionali). In tempi più recenti sembra faccia eco a questa affermazione anche quanto è stato scritto da Michele Melillo a proposito del dialetto di un paesino della Daunia (Cfr. la sua recensione alla raccolta dei canti popolari, della poesia dialettale e in lingua di Alberona, Aria ed arie di Alberona, cit., « La Capitanata », anno I, nn. 5-6, sett-dic. 1963, pp. 169171): « La lingua di Alberona [l’affermazione potrebbe essere estesa, è evidente, anche ad altri centri pugliesi e della Daunia in particolare], per quanto insidiata sempre più dai contatti con le correnti culturali della vita contemporanea, conserva ancora i caratteri di quella grande comunità linguistica appenninica o centromeridionale, che nel medioevo aveva una cultura ed una lingua pressoché comuni nelle regioni che si svolgono lungo il dorsale degli Appennini, dalla Lucania alla Puglia settentrionale, all’Irpinia, agli Abruzzi e Mouse, al Lazio orientale, alle Marche, all’Umbria. Non si esagera dicendo che ad Alberona (Foggia) e nei centri più conservativi di quest’ampio territorio si parla la stessa lingua in cui fu scritto il Ritmo cassinese, la stessa lingua in cui furono concepiti i laudari di Perugia e di Assisi ». Di recente, in quel vasto ginepraio che è il fenomeno laudistico della nostra Penisola, ha cercato di mettere piede, fornendo utili risultati di ricerche e di studi, G. VARANINI Laude dugenteschie, Padova, Antenore, 1972 e Laude cortonesi. Verona, Fiorini, 1974. (*) Ci preme sottolineare che dei canti popolari abbiam dato di volta in volta una traduzione fedelissima all’originale dialettale, trascurando di frequente perfino le più elementari norme grammaticali e sintattiche, specie quelle riferite alla punteggiatura, così poco presente, del resto, nei testi esaminati, essendo essi più soggetti alla trasmissione orale, recitata e cantata, anziché a quella scritta o colta. 92 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE Nel sebbulke nel sebbulke Ricorriamo nuie peccatore Jame a piangere i nostr’arrore Mò ch’è muorte lu belle Gesù. Mò ch’è sparse lu sue sangue Mò ch’è tiempe de perdone. Quanne Criste fuzìe pegliate Erene verse li doie ore ‘N casa d’Anne fuzìe purtate Ku ‘na faccia strafiggiate. Chi lu devene a li lanciate, Une e duie li devene morte N’ate e dùie senza piatà. La Madonne se messe lu mande Pe se truvà tre juorne ‘nnanze Giude e Giude l’ascerne ‘nnanze Ka vulevene arraggiuna. Giuda e Giude tradetore M’hai tradute lu mie figliuole M’hai tradute lu mie figliuole E pe trentatrè denare. In casa mie fusse menute Lu mie vele m’arrie vennute Lu mie vele de lu mie pette Lu teneve ku grande affette Abbokke la porte de Pelate Gese Criste ‘ncatenate Tup tup — Chi è lò? — — So’ la matre de piatà. Mamma mamme n’t’ pozze rapì Ka li Giudeie m’hanne ‘ncatenate; Mamma mamma dulurose Tu dice ka pate e ìe repose La Madonne fa’ nu gran chiande — Figlie ka pate e stai ‘nnante. — Mamma mamme ìe mò me parte Ku San Paule e San Giuanne A vesetà lu Sacramènte. 93 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ (Traduzione: Nel sepolcro nel sepolcro / Ricorriamo noi peccatori / Andiamo a piangere i nostri errori / Ora ch’è morto il bel Gesù. / Ora ch’è sparso il suo sangue / Ora che è tempo di perdono. / Quando Cristo fu preso / Erano verso le due / In casa d’Anna fu portato / Con una faccia straziata. / Chi gli dava colpi di lancia, / Uno e due gli davano morte / Altri due senza pietà. / La Madonna s’è messa il manto / Per trovarsi tre giorni avanti / Giuda e Giuda le uscirono innanzi / Che volevano ragionare. / Giuda e Giuda traditore / Hai tradito mio figlio / Hai tradito mio figlio / E per trentatré danari. / In casa fossi venuto / Il mio velo avrei venduto / Il mio velo del mio petto / Lo tenevo con grande affetto. / Imbocca la porta di Pilato / Gesù Cristo incatenato / Tup tup — Chi è là? — / Sono la madre di pietà. / Mamma mamma non posso aprirti / Chè i Giudei m’hanno incatenato; / Mamma mamma dolorosa / Tu dici che soffri ed io riposo / La Madonna fa un gran pianto / — Figlio che soffre e stai avanti — / Mamma mamma io ora parto / Con San Paolo e San Giovanni / Ce ne andiamo al santo sepolcro / A visitare il Sacramento). In Puglia però, specie nel Subappennino dauno, si trovano esempi di poesia religiosa che non seguono solo le rime o le assonanze, ma si affidano a libere combinazioni di metri o a sequenze di versi o frasi che fra loro non hanno alcuna relazione logica e che di frequente sconfinano nel semplice gioco delle ninnananne e delle filastrocche. Per rabbonire i bimbi capricciosi e tenerli raccolti e intenti intorno a sé, la vecchietta intonava, con accento cantilenato, le « strappole », anch’esse di non facile ambientazione geografica: Sole sole sante Kemuoglie tutte quante Kemuoglie quella vecchie Ke sta sopa a ‘na cerze La cerze se n’è cadute E la vecchie se n’è feiute Se n’è feiute muntagne muntagne E ha truvate ‘na castagne ‘A castagne nen è cotte E mangiamece la recotte La recotte nen è quagliate E mangiamece la ‘nzalate La ‘nzalate nen c’è uoglie 94 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE E chiamame a mastre ‘Mbruoglie Mastre ‘Mbruoglie è iute a la messe Ku quatte prencepesse E ku quatte cavalluzze E ziè vecchie musse de ciucce. (Traduzione: Sole sole santo / Che avvolgi e copri tutti / Copri quella vecchia / Che sta sopra una quercia / La quercia se n’è caduta / E la vecchia se n’è scappata / Se n’è scappata montagne montagne / E ha trovato una castagna / La castagna non è cotta / E mangiamoci la ricotta / La ricotta non è quagliata / E mangiamoci l’insalata / L’insalata non ha olio / E chiamiamo a mastro Imbroglio / Mastro Imbroglio è andato alla messa / Con quattro principesse / E con quattro cavallucci / E zio vecchio muso di ciuco). Oppure: I’ saccie na canzone de galle e de capone. Iere ssere la cantaie nnante a Munzignore: a Munzignore li piacije e lu disse a zì Dumineke Zì Dumineke ije a l’uorte e truvaje, na vacca morte: la facije fella felle e la dije a zia Sabbelle: Zia Sabbelle cucinave e lu moneke abballave abballave tunne tunne comme nu papere de palumme abballava chiatte chiatte come nu papere de piatte. (Traduzione: Io so una canzone / di gallo e di capone. / Ieri sera la cantai davanti a Monsignore: / a Monsignore piacque / e lo disse a zio Domenico / zio Domenico andò all’orto / e trovò una vacca morta: / la fece fette fette / e la diede a zia Elisabetta: / Zia Elisabetta cucinava / e il monaco ballava / ballava tondo tondo / come un papero / ballava piatto piatto / come un papero di piatto). Ma filastrocche e cantilene, nutrite di graziosa schiettezza ingenua, sono anche le seguenti: 95 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ Luna luna nove, Mineme quatt’ove Minimelle ‘nzine C’aggia fà li tagliuline: Una a tte, une a mme, Une a ‘u figghie de lu rre. Kutekaniglie vascia vascie, Mitte ‘u pede sop’a cascie E la cascie malandrine Kutekaniglie vie’ vicine. ([Traduzioni: Luna luna nuova / Gettami quattro uova / Buttamele in grembo / Chè devo preparare i tagliolini: / Una a te, una a me, / Una al figlio del re. Kutekaniglie (è la parola con la quale viene indicata ancora oggi, a Biccari, la lucciola. L’allegro, chiassoso inseguimento di questo minuscolo volatile era ed è sempre gioco abituale ai fanciulli lungo le siepi, durante le calde e profumate notti d’estate) bassa bassa / Metti il piede sulla cassa / E la cassa malandrina / La lucciola viene vicina]). Anche questa festosa canzoncina è tutta piena di ritmo e di interna concitazione: Zumbe e zumbette Marie de Sabette Cuscine e matarazze La Madonne te piglie ‘mbrazze Te piglie pe nu dite E te porte ‘mparavise Te piglie pe na cosse E te porte dinde ‘a fosse25 . (Traduzione: Salta e saltella / Maria di Elisabetta / Cuscino e materasso / La Madonna ti prende in braccio / Ti prende per un dito / E ti porta in paradiso / Ti prende per una gamba / E ti porta in una fossa). Altro tema particolarmente caro agli antichi poeti popolari meridionali e pugliesi fu quello dell’amore, rappresentato sotto varie forme, da quello tenero e delicato a quello tormentoso e appassionato, da quello sottilmente ironico ed allusivo a quello ferocemente sarcastico 25 Cfr. C. DI TIARANTO, La vita paesana in Capitanata, Matera, 1927, p. 144. 96 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE e sdegnoso. « Dal primo voto d’amore al giorno nuziale — osserva il Rubieri26 — in finite sono le fasi per cui passa l’amore, ed ognuna di queste fasi dà origine a canti ora patetici, ora vibranti d’amore, ora dolci, ora violenti. Il giovane innamorato è così preso d’amore per la sua bella da esaltarne in maniera iperbolica le fattezze »; la sua bellezza supera anche quella della luna in un canto garganico: La luna è ghianca e vu’ brunetta sìti: edda l’argientu e vu’ l’oru purtati; la luna ‘mmanca e vu’ sempri crisciti, edda perdi la luci e vu’ la dati27 . (Traduzione: La luna è bianca e voi brunetta siete: / ella l’argento e voi l’oro portate; / la luna è in mancanza e voi sempre crescete, / ella perde la luce e voi la date). Oppure: Pe na brunetta mi gioco la vita, ma pe na ghianca non m’auzo da magnare: chi ama la scorza e chi ama la muddica; chi ama la ncuddatura di lu pane; chi ama na brunetta saporita; chi ama na ghianca ‘nsipita, senza sale 28 . (Traduzione: Per una brunetta mi giocai la vita, / ma per una bianca non mi alzo da mangiare: / chi ama la scorza e chi ama la mollica; / chi ama l’orlatura del pane; / chi ama una brunetta saporita; / ma pochi una bianca insipida, senza sale). Una più compatta struttura metrica e di pensiero si rivela in questo canto alberonese, che è un’esplicita dichiarazione d’amore: O faccia de ‘na stella lauriente ‘nnanti a li porti toi si sona e canta, ma quà ci vò lo giudice ‘ntendente pe cumbinà stu matrimonio santo, pe cumpagnia si porta ‘u sariamento li stelle de lu cielo tutte quante, 26 27 28 E. RUBIERI, Storia della poesia popolare italiana, Firenze, 1877. p. 176. Cfr. M. VOCINO, « Puglia », anno II, gennaio -giugno 1925, p. 6. Ibidem, p. 6. 97 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ o mamma e patre stiteci presente si m’ete da parlà, parlate ‘nnante29 . (Traduzione: O faccia di una stella lucente / davanti alle porte tue si suona e canta, / ma qua ci vuole il giudice intenditore / per comb inare questo matrimonio santo, / per compagnia si porta un umile arbusto / le stelle del cielo tutte, / o mamma o padre state presenti / se mi dovete parlare, parlare davanti). Il La Sorsa30 ci offre moltissimi esempi di poesia popolare pugliese ispirati al sentimento d’amore. Ne riportiamo ancora qualcuno: Ma so venuto a cantà, cara mia bèlle, Ca mò agghie avute ‘u tiembe e la catarre, Fatt’a vedè ne picche a lu balcone, Quando te diche tutte la mia passione oppure: Do stèdde da lu ciele so cadute, E lendane u viende l’à pertate; M’anne ditte ca s’erene perdute, Ma dope mbrond’a tè l’agghje trevate. E ancora: Ammìneme nu garofele da la tua graste Ammìnamine ind’o cappiedde ca non se guaste. Alzete, bèlla mie, e damme u core, Ca u mie è cadute ind’alla rène! Mò so sciute ripa ripe de lu mare Pe sfuà a lu viende u mie delore! O, infine: I te ringrazie assà ca me vu bène Tu si nu angele du paravise, La bèdde tra le bedde t’à da chiamà, Na rose com’a tèe che non vediebbe ma’! Tu sì la stèdde ca reschiare u mare, Tu sì la spate ca mme ferisce u core, 29 Cfr. C. CIVETTA, Alberona e la sua lirica popolare, Napoli, Bideri, 1892, p. 99. S. LA SORSA, Usi, costumi e leste del popolo pugliese, Roma-Napoli, 19302 e Tradizioni popolari pugliesi, I - Canti d’amore, Bari-Roma, 1933. 30 98 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE Non s’alza ma ‘u sole la matine, Ci non t’alze tu, mendagne d’ore. (Traduzioni: Ora sort venuto a cantare, cara mia bella, / Chè ora ho avuto il tempo e la chitarra, / Affacciati un po’ al balcone, / Solo il tempo di esprimerti tutta la mia passione. / Due stelle dal cielo son cadute, / E lontano il vento l’ha portate; / Mi han detto che s’erano perdute, / Ma dopo sulla tua fronte l’ho ritrovate. / Gettami un garofano prelevato dal vaso. / Buttamelo nel cappello perché non si sciupi. / Alzati, bella mia, e dammi il cuore, / Chè il mio è caduto nella rena! / Ora sono andato riva riva lungo il mare / Per sfogare al vento il mio dolore! / — Io ti ringrazio assai che mi vuoi bene / Tu sei un angelo del paradiso, / Ti devo definire la bella tra le belle, / Una rosa come te io non l’ho vista mai! / Tu sei la stella che rischiara il mare, / Tu sei la spada che mi ferisce il cuore, / Non si leva in alto il sole la mattina, / Se non t’alzi tu, montagna d’oro). Ad un confronto testuale fra i canti popolari delle diverse zone pugliesi, orbitanti tutti intorno al tema dell’amore, risulta, ad esempio, che nel Salento predominano i toni appassionatamente nostalgici e malinconici, mentre nel barese, in Capitanata e nel Subappennino dauno 31 si registrano risultati poetici di genere più allegro, con note tra l’ironico e lo scherzoso, non di rado anche tra il caustico e il mordace, come in questo strambotto barese: Affàccete a la fenestre, facce de rose, Se non mi dai nu bacie, ie nen repose; Affàccete a la fenestre, nu sole memende, Quande te diche na parole, e te tenghe a mende32 . (Traduzione: Affacciati alla finestra, faccia di rosa, / Se non mi dai un bacio, io non riposo; / Affacciati alla finestra, un solo istante, / Il tempo di dirti una parola, e di tenerti a mente). Quali meravigliosi risultati raggiunge, poi, il cantore popolare quando, come nei due rispetti alberonesi che qui di seguito trascriviamo, veste un tema dei più belli attributi che la fantasia gli suggerisce! 31 Scarsissimi o quasi inesistenti sono i contributi di ricerche e di studi sulla poesia popolare in provincia di Foggia, fat ta eccezione, naturalmente, per il sempre utile volumetto del Civetta, già citato, e per quello di G. MELILLO, Canti popolari di Volturino, Avellino, 1925. 32 Cfr. S. LA SORSA, Usi, costumi e feste del popolo pugliese, cit., p. 255. 99 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ Quanto è bella la rosa quanno nasce che sopa na spinella si nutrisce, po’ se ne cala pe li rami abbascio, fronna pe fronna la rosa guarnisce quanto ivi bella quanno stivi ‘n’fasce, ma si’ cchiù bella mò che t’aggrannisci sia benedetto chi t’ha fatto nasce chi ‘nnante a l’occhi mii ti ci ha missa33 . E, sempre sulla rosa: Cuglii la rosa e mi pungii lu dito, la spina sta di guardia a tutte ‘e rose è camminato monti e gnu marina non c’è cchiù bello fiore che la rosa, cuglii la rosa e mi ferii lu dito, lu dito mi ferii, sanami Rosa la rosa non pò sta senza la spina, la spina non pò sta senza la rosa34 . (Traduzioni: Quanto è bella la rosa quando nasce / che sopra un piccolo stelo spinoso si nutre, / poi se ne scende lungo i rami giù, / fronda per fronda la rosa guarnisce / quanto eri bella quando eri in fasce, / ma sei più bella ora che cresci e ti fai donna / sia benedetto Colui che ti ha fatto nascere / chi ti ha messo davanti agli occhi miei. / Colsi la rosa e mi punsi il dito, / la spina è di guardia a tutte le rose / ho attraversato monti e ogni mare / non c’è fiore più bello della rosa, / colst la rosa e mi ferii il dito, / il dito mi ferii, sanami Rosa / la rosa non può stare senza la spina, / la spina non può stare senza la rosa). Più di un riscontro nelle innumerevoli varianti del canto popolare italiano potrebbe, è evidente, essere trovato, ma qui ci preme sottolineare il fatto che a rendere pregevoli questi componimenti (e anche molti altri che per comprensibili ragioni di spazio non riportiamo) èl’unità di contenuto e di forma che essi rivelano già ad una loro prima superficiale lettura35. 33 34 35 Cfr. C. CIVETTA, Op. cit., pp. 89-90. Ibidem, p. 89. Partì dalla conoscenza di questi e di numerosi altri canti popolari pugliesi 100 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE Anche il senso del distacco dalla persona amata costituisce uno dei motivi cari al poeta popolare; gli accenti di dolore sono tanto più alti e sentiti, quanto più grande è la separazione: La nave s’è partuta sopa l’onne e la partenza stata lagrimante, o Dio, quanno o’ iesse lu ritorno, non saccio si so iorni o si so ianni, li lettere ti manno iorni a iorni e suggellate pe stu proprio sango, si ve’ la morte dinti a quisti iorni l’anima a Dio, ‘o coe a te ti manna36 . (Traduzione: La nave se n’è partita sulle onde / e la partenza è la nostra risposta, dichiaratamente polemica, a quanto era stato affermato, in maniera un poco approssimativa e generica, da Pier Paolo Pasolini nella sua pur pregevole cernita della Poesia popolare italiana, Milano, Garzanti, 1960: « La poesia popolare pugliese, goffa e puerile, senza immagini, pedestre nelle contaminazioni, e tuttavia commovente in qualche sua montanara e umilissima allegria, è tutta legata alla convenzione dell’approccio amoroso » (p. 171). E giudizio non dissimile lo studioso esprimeva anche sulla poesia dialettale del Sud, in Poesia dia lettale del Novecento, Parma, Guanda, 1952: « per il resto dell’Italia meridionale (Calabria, Lucania e Puglia) e la Sardegna si è ancorati a schemi anacronistici, dovuti ad una tardiva assimilazione del romanticismo, giunto in provincia ridotto ai moduli di una poesia municipale, con qualche eco, talora, pascoliana o digiacomiana » (pp. XLII-XLVI). Prendendo lo spunto dal citato volume Aria ed arie di Alberona, che non pochi consensi dì studiosi e di uomini di varia formazione culturale (Tommaso Fiore sulla « Gazzetta del Mezzogiorno », 16 dicembre 1964, e testimonianze epist olari a firma di Leonardo Sinisgalli, Alessandro Parronchi, Italo Mancini, Mario Petrucciani, Mario Sansone, Lino Marini, Aldo Vallone, Oronzo Parlangeli, Mario Marti) andava registrando da qualche mese appena dalla sua pubblicazione, ci sembrò fosse giunto il momento di «rivendicare alla categoria dell’arte » la cospicua produzione popolare pugliese; i canti che venivano presentati in quella nostra raccolta (ma anche tutto il ricco patrimonio poetico giuntoci quasi sempre per tradizione orale e pazientemente messo insieme ed ordinato dal Gigli, La Sorsa, Pedio, Di Taranto ed altri) erano la più eloquente risposta che si potesse dare « a quella critica che si avvale di lunghi discorsi, talvolta di innegabili buone argomentazioni, ma che spesso è anche inutilmente demolitrice, poiché si fa banditrice di assunti che non trovano alcun fondamento di verità e nessuna dimostrazione pratica; cosicché il Pasolini non mi pare tenti nemmeno di affrontare il problema della effettiva validità di un considerevole gruppo di canti popolari pugliesi » (Cfr. G. DE MATTEIS, Risposta a Pasolini, « Il Giornale del Mezzogiorno », Roma, 18-25 aprile 1963). 36 Cfr. C. CIVETTA, Op. cit., p. 91. 101 GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________ stata piena di lacrime, / o Dio quando avverrà il ritorno, / non so se sono giorni o anni, / le lettere te le mando di giorno in giorno / e suggellate con questa mio sangue, / se arriva la morte in questi giorni / l’anima a Dio, il cuore a te io mando). Lo stesso tema viene insistito in altri rispetti di squisita fattura: Quanno si vo’ stutà stu tanta foco, i sta partenza non credeva mai, i prima mi trovava canto a vai e ma stenga da vai tanta lontano, tutte li pene mie cuntavo a voi, e ma i a chi li conta quisti guai? piangiono l’occhi mii pensanno a voi fontane che non panno allentà mai. O la partenza de le rose triste, ora mi parto e vaia a la passione, aia priane a San Giovan Battista che bona te mettesse la ‘ntenzione, na razia m’adda fare Gesù Cristo che t’accucchiasse pe la mia persona. Bella, mo mi parto e mo mi parto e faccio la partenza de la morte, me scrivo ‘o nome tuo sopa a carta e sempe ‘n’zeme a me i me lu porto; e quanno po’ i arrivo a quilli parte leggio lo vostro nome e mi conforto, si tornò n’ata vota a quisti parte, scucchiare a noi ci pò sulo la morte. Oh la partenza come sape forte, de li parole non ci faccio parte, stengo suggetto a certe lenghe torte, me vanno iudicanno d’ogni parte ah, tu ti cridi che pirdi la sorte? iama lu care mio che non ti lascia, 102 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE ‘ndanno bella figliola pirdi a sarte quanno lu munno è stretto e i sò morto37 . (Traduzioni: Quando vorrà spegnersi così gran fuoco, / io non credevo mai ci fosse questa partenza, / io prima mi trovavo accanto a voi / e ora sto da voi tanto lontano, / tutte le pene mie raccontavo a voi, / e ora a chi li racconto questi miei guai? / Piangono gli occhi miei pensando a voi / fontane che non possono fermarsi mai. / — O la partenza delle rose [com’è] triste, / ora mi parto e vado alla passione, / devo pregare a San Giovanni Battista / che ti metta la buona intenzione, / una grazia deve farmi Gesù Cristo / che ti leghi alla mia persona. / — Bella, ora me ne vado e ora me ne vado / e faccio la partenza della morte, / mi scrivo il tuo nome sulla carta / e sempre insieme a me lo porto; / e quando poi io arrivo a quella parte / leggo il vostro nome e mi conforto, / si tornò un’altra volta a questa parte, / solo la morte potrà dividerci. / Oh la si tornò un’altra volta a questa parte, / solo la morte potrà dividerci. / — Oh la partenza com’è dolorosa, / delle parole non ci faccio parte, / sto soggetto a certe cattive lingue, / mi vanno criticando da ogni parte / ah, tu credi di perdere la buona sorte? / ama il mio cuore che non ti lascia, / allora bella figliuola perdi la sorte / quando il mondo è distrutto ed io son morto). Ma allorché l’amore viene a mancare, quando cioè i sogni naufragano e la delusione o il fallimento si manifestano in tutta la loro tragica realtà, quel dolce sentimento si tramuta in accenti di profonda derisione (vengono prese di mira alcune caratteristiche fisiche della donna) e di odio anche: scompare, d’improvvis o, la primitiva immagine della donna bella, aureolata di virtù: Facce de na cecorie amare amare Ddie te l’ha luvate lo kelore; Te l’ha luvate pe te fà dannàne Tutte se maritene e tu none E mammete ha fatte ‘u vute a Sant’Antonie Pe ‘tte fane avene ‘nu nnamurate E Sant’Antonie ha respuoste ka so’ fenute Vattelu a fà de crete a la furnace38 . 37 Ibidem, pp. 91-93. Canto popolare recitato da un vecchio contadino di Biccari e trascritto da noi fedelmente qui. 38 103 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ (Traduzione: Faccia di una cicoria amara. / Dio te l’ha tolto il colorito; /Te l’ha tolto per farti dannare / Tutte si maritano e tu no / E tua madre ha fatto un voto a Sant’Antonio / Per farti avere l’innamorato / E Sant’Antonio ha risposto che son finiti / Vattelo a fare di creta alla fornace). Più risentiti accenti di rancore, caratterizzati da immagini argutissime, anche se malignamente allusive della ormai perduta verginità della donna alla quale il cantore popolare si rivolge, sono espressi in questo componimento alberonese: Rosa a lu tuo giardino ci so stato e m’aggio coto quillo ch’è voluto, aggio rumasto lu vado raperto, trasi chi vo trasì che i so sciuto tu ti cridivi che t’amavo tanto, i ti teneva pe passà lu tempo, mi ti credevo figlia di sergente, tu non si’ manco figlia di ‘nserviente39 . Il canto sembra essere nato dal rimpasto di versi tolti da altre lezioni, principalmente quelle di Lecce e di Caballino, che qui trascriviamo per rendere evidente la mobilità dei contenuti a cui va soggetto il canto popolare attraverso il tempo e passando di bocca in bocca: Bedda a lu tou giardinu nci so statu de la porta segreta su trasutu, de pizzu a pizzu l’aggiu camenatu lu sciardinieri nu mm’ha conosciutu nde l’aggiu coetu lu milu granatu e lu brecuccu tou caru tenutu, mo nci aggiu misu lo scuerpu allu atu trasi ci ole ien nd’aggiu ssutu40 . (Traduzioni. Canto alberonese: Rosa al tuo giardino ci sono stato / e ho colto quello che ho voluto, / ho lasciato la porta aperta, / entri chi vuole entrare, chè io sono uscito / tu credevi ch’io t’amavo tanto, / io invece ti tenevo come passatempo, / credevi d’essere figlia di ser 39 40 Cfr. C. CIVETTA, Op. Cit., p. 82. Ibidem, p. 83. 104 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE gente, / mentre tu non sei nemmeno figlia di un servo. — Canto di Lecce e Caballino: Bella al tuo giardino ci sono stato / sono entrato dalla porta segreta, / l’ho attraversato tutto, passo passo / il giardiniere non mi ha riconosciuto / l’ho raccolto il melograno e la tua pesca così gelosamente custodita, / ora non ho messo nessun argine al guado / entri pure chi vuole entrare laddove io sono uscito). La pena d’amore vien manifestata anche in altri modi e con diverse tonalità: Tre kose me martèllene lu pètte Spartènze, lontananze e gelusie E tutte e tre continuene l’affette, Ognune demostre la sua tirannie lo cendo cori ‘n pette non aveve Une l’aveve e l’ho dunate a vuie, Mo ka ce agghie misse tand’affette, Ameme bbelle e nen m’abbandunare. (Traduzione: Tre cose mi martellano il petto / Le divisioni, la lontananza e la gelosia / E tutte e tre rendono continuativo l’affetto, / Ognuno di essi, però, dimostra la sua tirannia / Io non avevo cento cuori in petto / Uno ne avevo e l’ho donato a voi, / Ora che vi ho messo tant’animo, / Anima bella non mi abbandonare); o anche quando si è in preda alla gelosia, come in questo componimento poetico barese: Mannaggia che gìlusia ca tegnu e agghiu, Mi levu da lu liettu e vegnu e vacu, Avanti alla porta tua m’assettu e stau E stau a sentire lo fiatu de lu tuo dormire; Non mi ni curu ci moro accisu, E avanti alla porta lu sangu spargu41 . (Traduzione: Per Bacco che gelosia che tengo ed ho! / Mi levo dal letto e vado e vengo, / Davanti alla tua porta mi siedo e aspetto / E sto a sentire il fiato del tuo dormire; / Non me ne curo se muoio ucciso, / E davanti alla porta spargo il sangue); 41 Cfr. S. LA SORSA, Usi, costumi e feste, ecc., cit., 695° componimento, p. 236. 105 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ oppure come in questo trittico alberonese: Pe dispetto di tutti i t’aggia amà, regni pe quanto vole gelusia, amante ti sarò, non dubità se mi sarai fedele anima mia dimmi di sì, di no, non m’ingannà dimmi la verità, no la buscia, lu patto tra di noi avima fà, amarci sempe o senza mai tradì42 . N’mezo la via c’è nato nu fico, l’aggio guardato di verno e di state, e iè menuto n’auto caro amico luvare me la vò la ‘nnamurata. Aio a fare scioccà povle e palline come sciocca lu mese di iennaro, aio a fa scorre lu sango a lavine come scorre l’acqua a la sciumara 43 . O quanta gelusia pate Janna, quanta turmenti e guai me dà Rosa, che si j’magno stengo canto a Janna, che si ì dormo stengo ‘n’braccio a Rosa vurria potè spartì la differenza, lu iorno a Janna e la notte pe Rosa, ma per restane a tutte duie cuntente dengo l’anima a Janna e ù core a Rosa44 . (Traduzioni: Per dispetto di tutti io devo amarti, / regni per tutto il tempo che vuole la gelosia, / amante ti sarò, non dubitare / se mi sarai fedele anima mia / dimmi di sì, di no, non m’ingannare / dimmi la verità, non la bugia, / il patto tra di noi dobbiamo fare, / amarci sempre o senza mai tradire. / — In mezzo alla strada è nato un fico, / gli ho fatto da guardia d’inverno e d’estate, / ed ora è venuto un altro caro amico / che mi vuole strappare l’innamorata. / Devo fare fioccare polvere e palline / come quando nevica nel mese di gennaio, / devo far scorrere 42 43 44 Cfr. C. CIVETTA, Op. cit., p. 81. Ibidem, p. 84. Ibidem, p. 98. 106 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE il sangue a fiotti / come scorre l’acqua della fiumana. / — Oh quanta gelosia soffre Giovanna / quanti tormenti e guai mi procura Rosa! / Infatti se io mangio sto accanto a Giovanna, / se, invece, dormo sto in braccio a Rosa / vorrei poter dividere la differenza: / il giorno a Giovanna e la notte per Rosa, / ma per fare restare contente entrambe / do l’anima a Giovanna e il cuore a Rosa). Fanno parte del genere amoroso anche i cosiddetti « canti dell’altalena », stornelli che venivano cantati durante la mietitura, la vendemmia e la raccolta delle olive, lavori ancora tanto comuni in molte zone pugliesi: Fiore di menta: nno mi guarda, nno ride, è indifferente, me vole fà morì de morte lenta. Oppure: Fior de viola: viene piglie e vieneme console; nno me fà chiù restare afflitta e sola. O, infine: Fior d’amaranto: na grossa pena tengo e la nasconno nno saccie dice quanta vôte ha chianto45 . (Traduzioni: Fiore di menta: / non mi guarda, non ride, è indifferente, / mi vuole fare morire di morte lenta. — Fior di viola: / vienimi a prendere e consolami; / non farmi restare più afflitta e sola. — Fior d’amaranto: / una grossa pena ho e la nascondo / non so dire quante volte ha pianto). Ma l’esplosione del cuore è irrefrenabile quando l’amore conquista tutto l’essere, come può chiaramente notarsi, ad esempio, nei due strambotti che seguono: Vurria che ogni iorno fusse festa e fusse la domenica matina, steva la bella mia a la finestra che dacquiava la rosa marina, i li dicie: ne’ dammi na rama, e respunnive: ianna a In giardino; 45 Cfr. C. DI TARANTO, Op. cit., p. 144. 107 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ fosse lu Dio ci avessi la mano, pizzo pe pizzo lo camminarria 46 . ‘N mezo ‘u mare ci steva nu castello, steva cuperto de sciuri e viole, la radiata iè di preta fina, li balecuni sò d’argento e oro; quanno t’affacci tu, donna ialante, dice la gente che ‘llu Sole sponta, quanno sponta lo sole, sponta vascio cchiù iavuza e cchiù ietta lu sbiannore, cusì pure è la donna quanno nasce, cchiù s’aggranisce e cchiù penza a l’amore 47 . (Traduzioni: Vorrei che ogni giorno fosse festa / e fosse la domenica mattina, / stava la bella mia alla finestra / che innaffiava la rosa marina, / io le dissi: dammi un ramoscello, / ed ella rispose: vieni al giardino; / se ne avessi la possibilità, / certo che lo attraverserei tutto, angolo per angolo. — In mezzo al mare c’era un castello, / stava coperto di fiori e di viole, / la scalinata è di pietra fine, / i balconi son d’argento e d’oro; / quando ti affacci tu, donna galante, / dice la gente che il sole spunta, / quando spunta il sole spunta basso / più va in alto e più butta lo splendore, / così pure è la donna quando nasce, / più si matura e più rivolge i suoi pensieri all’amore). Corre l’obbligo a questo punto del nostro discorso, al fine soprattutto di evitare l’insorgere di confusione tra i molti esempi e le varie lezioni riportati, di accennare alle differenze esistenti tra i diversi dialetti della Puglia. Sotto l’aspetto lessicologico i dialetti pugliesi sono una miniera di vocaboli formati in massima parte da elementi latini e greci, dei quali posseggono la radice. Appartengono alla grande famiglia dialettale « italiana meridionale (insieme con le parlate abruzzesi e molisane, lucane, campane e calabre) ma vanno più esattamente distinti in due varietà: i pugliesi settentrionali, che con i campano-lucani formano un gruppo a sé, molto vicino al marchigiano-umbro-romanesco, e i pugliesi meridionali o salentini, che sono di tipo affine al calabro-siculo. 46 47 Cfr. C. CIVETTA, Op. cit., p. 90. Ibidem, p. 95. 108 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE La gente di Capitanata, poi, dalla parlata schietta, ma spesso aspra e rozza anche, avverte l’influenza delle province confinanti di Avellino, Benevento, Campobasso. I dialetti del Salento recano tracce evidentissime dell’antica lingua latina, mescolate con i più recenti acquisti greci, albanesi, arabi e spagnuoli. Il dialetto barese, invece, ha subito più profonde trasformazioni in seguito al succedersi di svariate dominazioni straniere, per cui esso può considerarsi una vera e propria satura di vocaboli di provenienza bizantina, longobarda, saracena, francese, tedesca e spagrìuola. Vi sono, però, in Puglia anche piccole « colonie »linguistiche eteroglotte: il neolatino o franco provenzale di Faeto e Celle S. Vito, nella provincia di Foggia; l’albanese di tipo meridionale o tosco, di S. Paolo di Civitate, Chieuti, Casalnuovo Monterotaro, Casalvecchio, Castelluccio de’ Sauri, Panni, in Capitanata; S. Giorgio Ionico, Roccaforzata, Faggiano, Monteparano, S. Marzano, in provincia di Taranto; il greco o romanico a Calimera, Castrignano, Corigliano, Martano, Martignano, Soleto, Sternatia e Zollino, nel Salento. Pur tra tanta varietà di dialetti, la strofa di più comune riscontro nella poesia popolare pugliese resta sempre l’ottava48 , la quale, specie nelle canzoni d’amore, costituisce un assolo, è cioè un componimento che, per spigliatezza e nesso logico, può dirsi già in se stesso compiuto. Di tanto in tanto, però, questa strofa presenta qualche ipermetria, come può notarsi, ad esempio, nel canto che qui riportiamo (di dieci versi, anzicché di otto, come generalmente è il rispetto): Quanno vai a la Chiesa, pronta pronta pe la manella pigli l’acqua santa, po’ guardi atturno e te la mitti ‘n fronte e fai, padre, figlio, spirto santo, ti mitti a quillu luca facce fronte cu n’occhio a Dio e n’auto a l’amante trasi dainto e fai peccà li santi, isci dafora e fai muri la gente, 48 Questa forma lirico-monostrofica sa racchiudere « in una sola breve strofa un sentimento, un pensiero, un omaggio, un detto o anche un’arguzia o un’invettiva; ed è il mezzo abituale con cui il popolo esprime l’amore nel suo aspetto ambivalente (comprendente anche l’odio) o qualsiasi altro motivo e tema della vita quotidiana. E' qui che più chiaramente si palesa quel sintetismo lirico che è proprio della fantasia popolare» (Cfr. P. Toschi, Il folklore, Roma, Studium, 1960, p. 122). 109 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ fai murire a me, tu cara amante senza peccare e senza fare niente49 . (Traduzione: Quando vai alla Chiesa, pronta pronta / con la manina prendi l’acqua santa, / poi ti guardi attorno e te la porti alla fronte / e fai, Padre, Figlio e Spirito Santo, / ti metti a quel luogo di fronte / con un occhio rivolto a Dio e l’altro all’amante / entri dentro e fai peccare i santi, / esci fuori e fai morire la gente, / fai morire me, tu cara amante / senza peccare e senza fare niente). Il verso preferito nella canzone popolare è l’endecasillabo, pur non mancando altre forme metriche ed altre strofe. Generalmente l’ottava risulta costituita da due rime alternate quattro volte tra loro, senza la chiusa a rima baciata; l’assonanza compare solo quando il gioco dell’alternanza tra le rime manca. 49 Cfr. C. CIVETTA, Op. cit., p. 70. Si noti quale vistoso rimaneggiamento letterario (specie ortografico) questo canto abbia subito nel tentativo che Vincenzo D’Alterio ha voluto fare, riportando tutto all’ordine metrico e stilistico tradizionali, per la preparazione del volume Aria ed arie di Alberona, che più volte abbiamo citato: « Quanno vaj’a a la chjésje, pronta pronte, / pe’ la manélla pigghje l’acqua sante; / po’ huarde atturne e te la mitte ‘nfronte / e faje: Patre, Figghje, Spirte Sante. / Te mitt’a quiddhu loche facce-fronte, / pe’ ‘n’occhj’a Dije e ‘n’àut’a l’amante: / sènza peccane, sènza fà nijènte, / ‘ccuscì me faje murì, ‘nd’a Casa Sante! » - A’ Chjesje (p. 34). Michele Caruso, poi, parafraserà addirittura questa canzone (ed altre anche), mutuando dalla raccolta dei canti popolari del Civetta espressioni tipiche dell’antico dialetto alberonese, come, ad esempio, facce fronte (dirimpetto), vacca a riso (bocca a sorriso), sbiannore (biancore), s’aggrannisce (si matura, come il grano), ecc. Pur rifiutando una rigida linea di demarcazione tra poesia popolare e poesia dialettale ed accettando, invece, il principio ormai consolidato tra i critici (Cfr. M. SANSONE, Relazioni fra la letteratura italiana e le letterature dialettali, in AA. VV., Problemi ed orientamenti critici di lingua e letteratura italiana, IV, Letterature comparate, Milano, Marzorati 1948, pp. 281-287. Per una conoscenza più panoramica ed aggiornata del problema, si consulti anche: Letteratura e dialetto, a cura di L. BECCARIA, Bologna, Zanichelli, 1975) che il dialetto dev’essere visto come un linguaggio idoneo ad ogni esperienza artistica e non come sottoprodo tto della poesia in lingua, siamo propensi a credere sempre che se nei componimenti popolari in rima v’è l’ingerenza (come negli esempi sopra indicati) di forme e contenuti classici o classicheggianti (come sarebbe più esatto dire), non si otterrà né il canto popolare vero e proprio, ché mancherà l’affiato lirico, né la poesia cosiddetta « classica », ché questa sarà troppo costruita nei concetti e troppo elaborata nella forma. Come l’autore classico deve perciò adoperarsi perché il canto resti saldo nella sua interezza, così la poesia popolare deve leggersi tal quale è sentita dalla viva voce del popolo: solo così si potrà gustarne « la bellezza naturale della forma e del concetto » (Cfr. C. CIVETTA, Op. cit., p. 55). 110 ______________________________________________________________LA POESIA POPOLARE PUGLIESE Questo genere poetico, chiamato anche rispetto o strambotto, come abbiamo visto, fu inventato quasi contemporaneamente a Firenze e a Napoli ed incontrò largo seguito specie sul finire del XV secolo. Col trascorrere degli anni, le due forme metriche si differenziarono, tanto che lo strambotto diventò poesia colta, mentre il rispetto imitò quasi sempre le forme contadinesche. Tutti e due, però, si allontanarono dalla primitiva loro naturalezza e spontaneità, per rivolgersi il primo alle « svenevolezze dei madrigali cortigianeschi », l’altro « alla caricatura delle usanze villarecce » 50 . Un elemento essenziale dei canti popolari, già accennato, del resto, all’inizio del nostro discorso, è il motivo musicale, senza del quale la poesia non può reggersi: anch’esso è creazione del popolo ed è tanto espressivo, tanto intimamente legato alla poesia, che non può essere esposto senza che si faccia ricorso alle note musicali. Il Rubieri51 ritiene, infatti, che la musica sia una delle circostanze favorevoli alla stabilità del canto, tanto è vero che la poesia letteraria (o d’arte) può sussistere per se stessa, mentre la poesia popolare permane per la mu sica che l’accompagna. Per questa ragione si chiama « canto » nella poesia popolare, ciò che, invece, in quella letteraria si dice « componimento ». E la musica, con le sue cadenze fisse, dà norma non solamente alla musica del verso, ma anche a quella della strofa. L’essere ritornati alle origini, con quest’esame della poesia popolare meridionale, e pugliese in particolare, non equivale a pedanteria, ad amore di cose morte, a raccolta di foglie ingiallite; riteniamo, invece, che sia cosa importante ed utile scorgere i rapporti che legano indissolubilmente l’arte e la vita proprio risalendo al canto popolare. E riandare alle fonti, scandagliare nei recessi più intimi della poesia popolare non significa, a nostro avviso, accendere solamente il ricordo di ciò che fu creato dalle generazioni passate, bensì formulare anche l’auspicio che quegli accenti così naturali, nutriti di tanta freschezza, possano destare il fermento per una nuova autentica creazione poetica, oggi più che mai necessaria dopo le innumerevoli tormentose alchimie nelle quali si dibatte una pur cospicua parte della poesia italiana contemporanea. 50 Scarsamente adoperato nella poesia popolare pugliese è il tetrastico, ritenuto dai metrologi forma originaria e indigena della Sicilia, dal quale derivano i metri più noti della composizione dotta e popolare. 51 E. RUBIERI, Op. cit., p. 462. 111 GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________________ BIBLIOGRAFIA Opere di carattere generale: PITRÈ G., Canti popolari siciliani, vol. I, Palermo 1871. IDEM, Studi di poesia popolare, Palermo 1872. 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Si è, è vero, tentato di fare un bilancio della situazione culturale e letteraria pugliese contemporanea (per il Salento, ad esempio, si registrano le buone indagini di Donato Valli, La cultura letteraria nel Salento (1860-1950), Lecce, Milella, 1971; La cultura nel Salento: situazione ‘78, in « Sallentum », Anno I, N. 1, sett.-dic., 1978, presso l’Editrice Salentina, Galatina, 1978, pp. 5-13, e di Ennio Bonea, Subregione culturale, il Salento, Lecce, Milella, 1978), senza però preoccuparsi di correlare il tutto con il più ampio ventaglio delle esperienze culturali e letterarie della Penisola. E’ questo, a mio parere, il pericolo che lo studioso dovrebbe evitare; egli dovrebbe, cioè, essere animato dal desiderio di ricercare le voci più rappresentative della cultura della propria terra, operare una severa ed oculata cernita e cercare, con utili operazioni di agganci e di corrispondenze, di convogliare le proprie osservazioni nel discorso più generale della cultura nazionale. In tutto questo lavoro, però, il critico non deve lasciarsi alle spalle il ricco patrimonio delle tradizioni locali; egli ha, anzi, il preciso dovere di recuperarlo, in quanto esso rappresenta la summa della storia millenaria, degli usi, dei costumi, della letteratura popolare, della cultura tradizionale insomma della propria terra; né questa indagine dev’essere necessariamente avanguardista o populista tout court. In questo senso solamente, ossia né rifiutando in blocco il passato, né accettando troppo entusiasticamente il presente, ma indjrizzando le proprie scelte ad una integrazione culturale con il resto dell’Italia e dell’Europa, si può avere la speranza di vedere la fine di una divisione sociale ed economica ancora presente dopo cento anni e più di unificazione giuridica italiana; e così si può anche evitare di incorrere nella troppo frequente distinzione tra cultura regionale e provinciale e cultura nazionale: la prima caratterizzata perlopiù dalla varietà dei dialetti, oltre che da talune pregevoli « voci » che adoperano il linguaggio letterario, quasi sempre aderente alla problematica concreta della vita; la seconda, impostasi spesso sulla prima per il suo atteggiamento rivendicativo di un discorso di più ampie proporzioni, dialetticamente teso al superamento degli angusti limiti regionali e provinciali, tutta compiaciuta a volte del suo sterile dottrinarismo, del suo linguaggio togato ed accademico. 114 _____________________________________CULTURA LETTERARIA CONTEMPORANEA IN CAPITANATA Per superare l’impasse della « frattura » o della « distinzione » tra cultura nazionale e cultura regionale, sarà necessario tenere costantemente presente il compito che ha oggi la cultura: uscire dal cerchio ristretto di una vita meramente contemplativa (sia che si tratti dell’idillico ma sterile crogiolarsi in un tipo di letteratura cruscanteggiante, sia che si tratti dell’affermazione, ugualmente inattuale ed improduttiva, di una « cultura primitiva », nel senso etnologico del termine), per legarsi alla dinamica della vita reale, ai fatti della vita, alla vita comunitaria ed impegnata. Quanto più una cultura abbandonerà i principi astratti e si legherà all’esperienza anche sensibile, ai fatti, alla vita e, in particolare, alle esperienze più caratteristiche dei nostri giorni alla tecnica, al mondo del lavoro, alla vita comunitaria, tanto più tenderà a diradarsi e a non avere più ragione di esistere la tradizionale distinzione tra cultura nazionale e cultura regionale e provinciale (Su quest’ultimo specifico argomento si veda il mio articolo Cultura nazionale e cultura provinciale, apparso nel periodico di cultura, scienza e politica « La Terra », n. 1, gennaio 1978, Foggia, Cappetta). Certo, bisogna anche avere il coraggio di dire che ad accentuare questa distinzione contribuiscono, e in maniera non certamente encomiabile, i numerosi « foglietti » locali, cioè tutta quell’inflazione di giornali settimanali, quindicinali o mensili, i quali anziché promuovere un discorso di analisi spassionata, e soprattutto severa, della realtà culturale e sociale della Daunia, per tentare poi di riagganciare le proprie istanze alla situazione culturale nazionale, si limitano ad orbitare ineluttabilmente intorno a due categorie che impediscono quasi sempre il raggiungimento dì risultati positivi: il regionalismo e l’individualismo mitomaniaco. « Il primo — scrive giustamente Raffaele Nigro (Cfr. Poesia giovane nel Sud, sue prospettive, in « Atti del I Convegno Regionale sulla poesia nel Sud », Bari, Interventi culturali, N. 6, 1976, pp. 32-38) — è quello che [partorisce] opere e antipatie di ordine campanilistico, interessi provinciali e municipali, con un salto all’indietro di oltre quarant’anni.[...] I1 secondo non ha bisogno di spiegazioni [poiché è notorio che] risponde a un’esigenza infantilistica di sopraffazione e di emersione a tutti i costi ». A salvarci dal pericoloso inquinamento di questa falsa cultura c’è per fortuna, quel diffuso senso di operosità registrato da circa un decennio nei vari settori degli studi, dell’editoria anche, dell’educazione permanente, specie quest’ultima, che si esercita con sempre rinnovato vigore ed interesse in Foggia e nella provincia da parte di quella benemerita istituzione che è la Biblioteca Provinciale, diretta in modo così dignitoso e serio da Angelo Celuzza e dai suoi collaboratori, sorta per le premure dell’Amministrazione Provinciale e della Soprintendenza bibliografica, e che va sempre più arricchendosi di opere e di pregevole materiale di consultazione. Ciò, è evidente, assicura alla cultura della Puglia in genere e della Daunia in specie un carattere di autonomia, che consente il recupero e la salvaguardia di tutti i valori culturali ed etici che sono patrimonio esclusivo della nostra gente e che, di volta in volta e in forme diverse, si manifestano nelle opere degli artisti dauni. 115 GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________ E ciò, si badi bene, non è concetto che va confuso od etichettato con deteriori forme di campanilismo, ché l’arte, anche quella che impropriamente vien detta provinciale e regionale, si riporta sempre, nei suoi moti interni e ininterrotti, ad un segno determinato soltanto per le sue interferenze generali; in sostanza, l’importanza delle singole opere resta inalterata, in quanto associata al destino della creazione artistica. A questo punto dovrò necessariamente fermare gli occhi sui nomi più rappresentativi della cultura di Capitanata. Accennerò solo ad alcuni, comprendendo benissimo che un’analisi di questo tipo ha quasi sempre carattere limitativo e rivela, tra l’altro, parecchie lacune di fondo. Non si può pretendere, infatti, di prendere in esame se non singole personalità, con le loro rispettive opere, mentre dovranno essere sacrificate altre che pure hanno offerto alla cultura la testimonianza del loro impegno e della loro operosità. Sarebbe, del resto, impossibile fare entrare tutti in un discorso che è ancora in fieri e che ha bisogno di operare delle scelte, attraverso un necessario periodo di posa, di ripensamento critico e di filtrazione della realtà culturale e letteraria della Daunia. Bisogna procedere per gradi, registrando tutto, schedando ogni opera, eliminando subito il troppo e il superfluo, soprattutto il trito, salvando quelle « voci » che non risultino compromesse dai troppi insistiti accenti del campanilismo e dell’individualismo. Un’analisi orientata in questa direzione già io stesso tentai, ad esempio, vari anni fa, indicando dei nomi, che in parte hanno migliorato nelle loro opere i propri contenuti e i propri mezzi espressivi, in parte invece hanno subito una battuta d’arresto o, in qualche caso, un affossamento per incapacità a procedere sulla strada intrapresa (Cfr. il mio saggio Cultura pugliese contemporanea in un pacchetto di schede b ibliografiche, in « La Capitanata », VII, 1-6, parte seconda, 1969, pp. 17-22; e, più in generale, solo accennando a qualche nome e facendo un più esplicito riferimento alle tradizioni culturali, artistiche e letterarie delle popolazioni daunie, col chiaro intento di proporre anche soluzioni in chiave socio-politica, vedi quanto dice anche Mario Sansone nella relazione intitolata Cultura regionale, tenuta al Centro residenziale di studi pugliesi di Siponto nel 1974 e riportata fedelmente nel fascicolo Lingua e Storia in Puglia, n. I, Siponto, Atlantica, 1974, pp. 27-37). Un uomo costantemente impegnato nel campo culturale e letterario della Capitanata è Pasquale Soccio, che ha esplicato interrottamente, per più di cinquantanni, un’esemplare opera di educatore, di maestro di vita oltre che di cultura al servizio di molte generazioni di giovani. La sua produzione artistica è da considerare, oltre che su un piano letterario, anche su un piano storico, pedagogico e filosofico. Egli iniziò sin dagli anni Trenta il suo colloquio con il mondo della cultura. Va nno ricordate del suo periodo giovanile il sempre attuale commento alla Scienza nuova di Giambattista Vico, i saggi Rosmini e Gioberti, La pubertà, L’educazione moderna, Il maestro studioso, Benedetto Croce nell’ultima storiografia politica e Dall’utile al vitale in Benedetto Croce e in alcuni suoi interpreti. 116 _____________________________________CULTURA LETTERARIA CONTEMPORANEA IN CAPITANATA Il 1965 fu l’anno che lo vide vincitore al « Premio Gargano »con l’opera Gargano segreto, Bari, Adda, 1965, « un libro — come lo stesso Autore scrisse nella Premessa — nato dal bisogno di un colloquio con la mia terra, al fine di comprenderla e meglio comprendermi in momenti essenziali, decisivi e riassuntivi della mia stessa vita ». Nel volume si ritrova l’arcano, snervante a volte, silenzio dell’assolato Gargano; lo scrittore, con fine sensibilità, arricchita di notazioni felici, riesce a trasmettere al lettore l’alito possente che emana da quel lembo di terra, per molti aspetti ancora vergine e inospitale, nonostante l’incalzante e sempre più massiccia presenza dei turisti durante la stagione estiva. « Alla fine d’ogni capitolo — notavo vari anni fa, recensendo l’opera (Cfr. ‘La Capitanata’, III, 1-6, 1965, parte prima, pp. 6869) — non possiamo esimerci dall’esprimere lo stesso giudizio, tanto la sua prosa è vigilata e forbita: sapiente è l’uso delle aggettivazioni, colorite e calzanti, il linguaggio è limpido e piano, mai stucchevolmente paludato e pletorico, cordiale è l’invito al lettore perché guardi con simpatia al Gargano » . Nell’ultimo capitolo, intitolato Mie pietre, mia Patria, lo schianto della confessione è sincero; qui è dato di cogliere veramente l’intimo significato del libro: ogni pagina, ogni parola vogliono essere riassuntive della storia dell’uomo, il riflesso della sua personalità, conoscitrice del male di vivere. Nel colloquio con la sua terra, Soccio ritrova totalmente se stesso, riuscendo a tacitare e a superare l’urgenza del suo pessimismo, convertendo il tutto in una malinconia lieve, che trova il suo valido sostegno in una prosa di tipo lirico, dignitosametìte virile. In Unità e brigantaggio (Napoli, E.S.I., 1969) Soccio, attraverso le vicende drammatiche di San Marco in Lamis nei primi anni dell’Unità, rievoca l’atmosfera del Mezzogiorno contadino sconvolto dal brigantaggio e dalla reazione borbonica. Anni di intenso lavoro prepararono questo volume, prezioso non solamente per gli estimatori di storia locale, ma soprattutto per gli studiosi di storia nazionale, riferita al delicatis simo momento dell’Unità del Regno. Nel vasto scenario della « questione meridionale » il discorso storico-critico del Soccio assume una fisionomia ben precisa, quella cioè di voler conferire un volto o un’impronta meno estemporanea alla storia del suo paese e del Gargano e di volerla utilizzare nell’economia non più circoscritta ormai di quella praxis che orientò decisamente le scelte nella realizzazione dell’unificazione d’Italia. Un’ulteriore testimonianza di affetto, di impegno, di « presenza »viva nella sua terra il Soccio la offre con Omaggio a Foggia (Bari, Adda, 1974), libro strutturato in tre capitoletti, con una loro differente fisionomia, e con S. Matteo, rupe, riva di luce (Lucera, Catapano, 1978), agile operetta tutta spaziata all’auscultazione dell’atmosfera sacrale affiorante dal noto monastero di San Marco in Lamis, nel quale, « da profondi millenni, resiste una mirabile consonanza tra spirito e natura ». Recentissima è la pubblicazione del suo ultimo libro, Lacera minore (Lucera, Catapano, 1979), « pagine di doveroso omaggio », come lo stesso Autore dichiara — nella premessa, alla città — che lo vide 117 GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________ per vari decenni insegnante, preside, e impegnato anche nell’attività di scrittore. Sono prose di memoria, scritte in tempi diversi, raccolte in volume, ed offerte ai suoi allievi soprattutto. Non c’è, è evidente, attualità di contenuti (fatta eccezione per l’articolo riguardante il giornale « L’Azione Democratica »), ma tutto il periodare è accortamente forbito ed efficace. Discepolo di Pasquale Soccio, narratore ormai affermato, e non solo sul piano nazionale, nativo di Rodi Garganico, è Giuseppe Cassieri, che si contraddistingue per i suoi « umori vari, erotici, satirici, beffardi, tragici e civili »; egli si accosta in maniera cordiale alla natura, specie a quella del litorale garganico, che gli è più vicina sentimentalmente. Esordisce nel 1952 con Aria cupa, un romanzo la cui prosa ha il caratteristico sapore di casa nostra, sa cioè di « salinità » e di terrestrità mediterranee; in esso lo scrittore mette in luce come « una provincia pugliese risulti chiusa ai suoi pregiudizi ed inibita ad ogni possibile sviluppo ». Questo romanzo pare trovi il suo risvolto ideologico in Offerta speciale (Milano, Feltrinelli, 1970), dove è configurato il netto rifiuto di Cassieri per la costruzione di un campo boe per superpetroliere di fronte alle coste di una cittadina del Mezzogiorno, a difesa del patrimonio naturale: un impasto di temi non più tanto originale, che va pericolosamente fuorviandosi, perdendo il contatto con la dimensione umana dei fatti. Le prove più compiute e meglio riuscite di questo scrittore possono, però, additarsi ne La siesta, Notturno d’albergo, I delfini sulle tombe, Le trombe, La cocuzza e, in parte, ne Il calcinaccio. In queste opere soprattutto lo scrittore dà sfogo alla sua vena satirica; la sua lingua passa con sicurezza e disinvoltura dai toni ironici a quelli drammatici e il sondaggio psicologico è condotto in chiave umoristica; un umorismo anche molto amaro a volte, che non ha precedenti letterari (è da superare ormai la tentazione di richiamarci ai « generi »), né trova precisi agganci e rispondenze in altre esperienze narrative contemporanee. Accenti di vivace polemica, affiancati a fine umorismo si ritrovano anche nella sua intensa attività pubblicistica (si veda la raccolta dei suoi elzeviri. Culturmarket, Milano, Garzanti, 1977). Un buon successo di pubblico e di critica sta ottenendo il suo ultimo romanzo, Ingannare l’attesa (Milano, Garganti, 1979), opera finalista al premio « Campiello » . Due romanzi che vanno certamente al di là della « provincia » sono Il conservatore (Firenze, Vallecchi, 1972) e Acqua e sale (Milano, Rusconi, 1976), entrambi di Nino Casiglio, preside al Liceo Scientifico di S. Severo. Nel primo romanzo lo scrittore travasa una sua misura di umanistica maturità, sostanziata di assorta dimestichezza con i problemi della storia e della società, di acuta e partecipe analisi del cuore umano, di modulata sicurezza espressiva. In questa esperienza narrativa del Casiglio non c’è una lingua o un tessuto verbale che risente « palesemente del tirocinio pluriennale agli obblighi burocratici della scuola e dell’erudizione » — come osserva Carlo Villa (Cfr. « Paese sera —libri », 11 maggio 1973), ma una saggia orchestrazione di dati semantici, mossi da una smagata ironia e da una sicura disponibilità affettiva. 118 _____________________________________CULTURA LETTERARIA CONTEMPORANEA IN CAPITANATA In Acqua e sale Casiglio pare voglia indirizzare il lettore a comprendere non solo il destino del protagonista, il povero diavolo Donato Marzotta, ma anche la sua « essenziale vitalità »; in quest’opera, infatti, va registrata l’amorosa comprensione e compartecipazione dell’autore verso gli umili, una sorta quasi di manzonismo mediato e filtrato da esperienze non solamente culturali, ma denuncianti un loro sostrato lirico ed umano, temperato di volta in volta da una malinconia ironica e sottilmente insinuante. Il processo di decantazione del reale, già in certo senso felicemente avviato dal Consiglio nella sua prima prova narrativa, pare realizzarsi meglio in questo secondo romanzo, che si annoda ad una solida componente di psicologismo, che non è più dimensionato sulla sola storia del protagonista Specchia, ma che si connota dell’humus della realtà contemporanea, caratterizzata da lacerazioni e da crisi profonde. Narratori di buona lega, di sicuro taglio stilistico sono anche Domenico Lamura, « il medico poeta » — come lo definì Tommaso Fiore quando lo segnalò all’attenzione della critica nazionale —, nativo di Trinitapoli, cattolico, autore di Terra salda, li cenciaiolo pagatore e Adamo e la terra, e Maria Ricci Marcone, docente di lettere a Bari da molti anni, ma nativa di Foggia, autrice de Le stanze vuote, Bologna, Cappelli, 1967 e de Gli anni lunghi, Roma, Il Sagittario, 1968, precisa e lineare nella sua forma espressiva, fine descrittrice di ambienti. (Per la verifica delle pagine più significative di Cassieri, di Lamura e della Ricci Marcone, ma anche di altri autori, che per comprensibili ragioni di spazio non si possono qui passare in rassegna, si veda l’antologia, riguardante però l’arco più ampio della narrativa pugliese contemporanea, Prosatori e narratori pugliesi del Novecento, a cura di F. ULIVI ed. E. F. ACCROCCA, Bari, Adriatica Editrice, 1969; lo stesso dicasi, del resto, per i poeti, Lirici pugliesi del Novecento, sempre a cura degli Autori su citati e presso la stessa Casa editrice, 1967; Poeti di Puglia e di Basilicata, a cura di T. FIORE, ivi, s.d.; infine, in una dimensione prospettica orientata quasi esclusivamente alla Capitanata, ma con un criterio di selezione e di scelta quanto mai unilaterale ed improprio, Poeti dauni contemporanei, a cura di C. SERRICCHIO, A. MOTTA e C. STANI, e con prefazione di M. SANSONE, Foggia, Editrice Apulia, 1977). Nel campo della poesia, oltre al già citato Domenico Lamura e agli ormai noti Alfredo Petrucci, Umberto Fraccacreta e Marino Piazzolla, van segnalati, tra le voci più giovani o almeno più vicine a noi per i mezzi espressivi adoperati e per le tematiche che trattano, Cristanziano Serricchio e Michele Urrasio. Oltre a questi, però, vanno indicati altri nomi che, disciplinando sempre meglio il proprio linguaggio poetico ed orientando 11 proprio mondo artistico verso una robusta ed autonoma problematicità, possono approdare sicuramente a risultati migliori di quelli finora prodotti: Raffaele Antini, ad esempio, o Cosma Siani o, i già più noti, anche se appartenenti a un mondo classicheggiante, Gerardo Maruotti, Antonio Manuppelli, Giovanni La Selva, Mario Romano. Senza parlare, poi, dei numerosissimi e pur validi 119 GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________ rappresentanti della poesia dialettale, dai finissimi, mai troppo compianti, Guido Mucelli, Amalia Rabbaglietti, Raffaele Pagliara, Giacomo Strizzi all’assai umano Raffaele Lepore, dall’arguto Michele Caruso al pensoso Vincenzo D’Alterio, da Osvaldo Anzivino, Nicola Testi, ai sempre effervescenti Enrico Venditti e Costantino Catapano, da Gennaro Lucera a Francesco Granatiero e a Francesco Paolo Borazio: tutti interpreti fedeli dei sentimenti primigeni della nostra gente, della loro parte di anima più pura, ma anche più smaliziata e felice. Né vanno dimenticati, infine, gli uomini di cultura, i saggisti, i critici, gli studiosi di storia, gli estimatori d’arte, gli studiosi della lingua letteraria e dialettale, che pure hanno operato ed operano per la crescita culturale e civile della nostra Regione e della Daunia in particolare, e che entrano di diritto a far parte di questo mosaico di vita intellettuale che ho cercato di costruire: da Mario Simone a Vincenzo Tangaro, da Giuseppe Tamburrano al già citato Angelo Celuzza, da Carlo Gentile a Tommaso Nardella, a Pasquale De Cieco, a Michele Capuano, a Renzo Frattarolo, a Mario Sansone, a Michele Dell’Aquila, a Francesco Piccolo, ad Antonio Vitulli, a Maurizio Mazza e a tanti altri. L’elenco sarebbe troppo lungo. Torniamo, però, all’esame della poesia di Serricchio e di Urrasio prima di concludere questo discorso. Già il primo « tentativo » poetico del Serricchio, Nubilo et sereno (Foggia, S.D.C., 1950), pur mancando di un suo nucleo centrale, di una sua sincera forza di ispirazione, può essere assunto a paradigma di quel ben più nutrito e complesso quadro di idee e di sentimenti presente tanto nell’Ora del tempo (Lecce, Milella, 1956) che nell’edizioncina Fuori sulle pietre, composta per gli amici e ormai introvabile, nell’Occhio di Noè (Padova, Rebellato, 1961) e nell’Estate degli ulivi (ivi, 1973). I temi presenti nella prima raccolta, pur nutrendosi di una tiepida affabulazione poetica, scoprono il fianco ad una vaga e mai bene organata struttura sentimentale e di pensiero. Il momento di più consapevole forza espressiva in Sericolo è segnato dalla raccolta intitolata L’estate degli ulivi: qui l’indulgere sul tempo rimembrato, con venature solo a volte di compiaciuta svenevolezza, si attualizza, diventa cioè storia presente e vissuta, tanto come ricerca di contenuti che come esercizio formale e stilistico. All’amara constatazione della forza diluviata, caratterizzata, nei nostri tempi di dolore, dalla tremenda, anche se per molti aspetti positiva, avanzata tecnologica, il Sericolo non ha che da contrapporre l’ancestrale mitico ritorno alla fanciullezza dell’uomo, la propria felice immagine di un’estate garganella, di un« estate degli ulivi » appunto, dove possa appagare lo sguardo e la mente, e possa attingere un soffio di speranza per la ripresa: « Non ho che le tue mani stasera / a ridarmi il tepore della spenta estate, / a suscitare nel tremulo tocco / della tastiera la luna dei ricordi. / Si leveranno ancora dal mare / con strida di gabbiani e l’eco / rimbalzerà tra i silenzi rocciosi / senza più voce che chiami / o tinga un’esile speranza. / Non ho stasera che la dolcezza / dei sereni fuochi della piana / e l’onda che sollevi / muove tra le ventilate ginestre / la calma luce della quiete » — Non ho che le tue mani). 120 _____________________________________CULTURA LETTERARIA CONTEMPORANEA IN CAPITANATA Nell’ultima silloge. Stele daunie (Manduria, Lacaita, 1978), Cristanziano Serricchio rafforza la sua visione oggettiva della realtà, recuperando attraverso l’infinito scorrere del tempo i resti dell’antichità, facendoli rivivere in una dimensione di attualità; egli è talmente proiettato nell’orizzonte geografico, spirituale e letterario del suo Gargano, che non teme di ritessere la storia del passato, specie quella dei primordi della civiltà dauna (« Qui vennero con vele quadrate / dalla Tracia i Dauni e costruirono / capanne rotonde lungo i fiumi / e barattarono anfore / colme di grano coi vicini »). La produzione poetica di Michele Urrasio, nativo di Alberona, ma residente a Lucera, dove insegna, è distribuita in quattro volumi: Fibra su fibra (Foggia, Leone, 1965), Ancora un giorno (Lucera, Catapano, 1970), Nel visibile e oltre (ivi, 1974) e Dal fondo dei dolmen (Padova, Rebellato, 1977, con prefazione di M. SANSONE). A proposito della prima raccolta, scrissi nella Prefazione che ciò che contraddistingueva questo primo messaggio poetico urrasiano era «la forma distesa del dialogo » e « l’accondiscendenza al narrato », nonché un certo « impianto razionale » che conferiva pieno vigore stilistico alla finale riassuntìvità dei costrutti. Ancora un giorno era, invece, «vivificato da una nuova e più organica struttura sentimentale e di pensiero », e tutto il discorso si distendeva sulla pagina « in maniera lucida e chiara, con cadenze lievemente musicali » (Cfr. per questa seconda, e per la terza silloge anche, le mie Prefazioni, nonché il successivo volumetto, La poesia di Michele Urrasio, Lucera, Catapano, 1975, dov’è tracciato e seguito con maggiori dettagli ed esemplificazioni l’itinerario artistico del poeta). Una « svolta » e un messaggio insueti vanno sicuramente indicati nelle ultime due raccolte, le quali, pur non rifiutando l’antico e sempre valido mondo della memoria, si ripropongono in una prospettiva meno idillica rispetto alle prime e più storicizzata o, comunque, in continua comunione col tempo presente. Cosicché mi sembra di capire che le ultime poesie di Urrasio sono sostanziate da un senso di robusta drammaticità sociale. La storia individuale e la storia collettiva appaiono congiunte da un rapporto vitale in questa nuova voce poetica della Daunia, rapporto che le compenetra entrambe e che sa amalgamarle e diversificarle nello stesso tempo con sorprendente libertà di movimento. L’amore per la propria razza di contadini bruciati e la pena per il Sud disperato fanno spicco nell’ultima silloge soprattutto, laddove la solitudine non è chiusa in se stessa, ma aspira ad un senso di umana solidarietà, avverte cioè la necessità del colloquio, del rapporto sociale con gli uomini: « Eravamo i poveri che cercavano / il sole per riavere le mani, / la luce nel vuoto delle case, / negli occhi. Nei volti portavamo / i segni della miseria, l’amore / che ci scavava dentro brani / di speranza. Sul nostro tacere / dilagava il silenzio, rendeva / la morte simile alla vita, / se mai fummo vivi. Tessevamo / così i nostri giorni / al battere del vento che trasaliva /al nostro piegare il capo, rassegnati » 121 GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________ (Eravamo i poveri); oppure: « Questa luce che cade sui vetri / da un cielo di ombre / non è il ricordo di te, terra / scavata dal vento, nè delle mani / che scrissero a fatica il tuo nome. / E’ il rimpianto, la pena di chi / vive nel mare aperto / delle tue pianure, sul dorso / dei monti dove piegato il tempo / si vela di eroismo e di pazienza. / Questa luce incerta che ci ferisce / nel vano scuro della solitudine / è la speranza sepolta / negli occhi di chi crede ancora / al tuo sogno di vivere » . (Questa luce). GIUSEPPE DE M ATTEIS 122 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA tavola rotonda tenuta presso l’Auditorium della Biblioteca Prov.le di Foggia in occasione della presentazione del volume Primo non leggere di G. Barone e A. Petrucci. Interventi di: Dr. FRANCO GALASSO, Presidente Amministrazione Prov.le di Foggia; Prof. PASQUALE RICCIARDELLI, Presidente A. I. B. pugliese; Dr. ANGELO CELUZZA, Direttore Biblioteca Prov.le di Foggia; Dr. GIORGIO DE GREGORI, Direttore Biblioteca Corte Costituzionale; Prof. FRANCO BALBONI, Docente di Biblioteconomia, Università di Pisa; Dr. ANGELA VINAY, Direttrice Ufficio Centrale del Catalogo Unico delle Biblioteche italiane e Presidente Naz. A. I. B. Prof. ARMANDO PETRUCCI, Ordinario di Paleografia, Università di Roma; Dr. VIRGINIA CARINI - DAINOTTI, Ispettrice Centrale Ministero Beni Culturali e ambientali. 123 « Organizzazione bibliotecaria e pubblica lettura in Italia » Presidente GALASSO: … Dal giorno della inaugurazione di questa biblioteca e dell’apertura del XXIV congresso dell’AIB nella nostra città questo incontro vuole rispondere a quanto in quella occasione affermavamo come impegno dell’Amministrazione Provinciale e cioè il sostegno che avremmo continuato a dare alla organizzazione bibliotecaria provinciale ma soprattutto le occasioni di dibattito e di confronto che vogliamo continuare ad offrire a quanti operano nel settore e si sforzano di superare ritardi e anacronismi, che sono con tanta passione messi in evidenza dal lavoro del nostro illustre conterraneo Petrucci. Questo impegno si è concretizzato in provvedimenti tesi a favorire lo sviluppo di tutte le potenzialità che sono proprie della nuova biblioteca per indirizzare ogni attività nel solco della educazione permanente che è una esigenza indifferibile della nostra società. Questo incontro, voluto dalla sezione AIB della regione, deve costituire una conferma di quell’impegno ed una ulteriore indicazione per nuove metodologie di intervento per tutti, amminis tratori, tecnici e politici. Un saluto particolare agli illustri ospiti che hanno accettato l’invito a partecipare alla tavola rotonda. Questi incontri continueranno e non mancherà la presenza dei nostri operatori culturali a tutte le iniziative che mirino a chiarire e risolvere i problemi. Buon lavoro. Prof. RICCIARDELLI: La sezione pugliese dell’Associazione Italiana Biblioteche che ho l’onore di rappresentare è lieta di porgere il benvenuto cordiale agli studiosi, agli uomini politici, agli amministratori, a tutti coloro che sono interessati ai dibattiti culturali per migliorare le cose della nostra provincia e dell’intero paese, e ringraziamo il Presidente della Provincia perché desidereremmo che quanto affermiamo nelle tavole rotonde, nei convegni in occasione degli incontri culturali possa essere tradotto in realtà perché questo istituto, questo meraviglioso istituto culturale e sociale possa funzionare appieno e possa mettere nelle condizioni tutti i fruitori di beni librari e culturali di essere bene accolti e di trovare qui quanto necessita per la loro elevazione civile e sociale. Grazie e buon lavoro. 124 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA Dott. CELUZZA: L’occasione dell’organizzazione di questa serata mi è stata offerta dall’autore del libro « Primo: non leggere » che presentiamo, l’amico prof.Armando Petrucci nel corso di una telefonata di alcuni, mesi fa. Fu allora che appresi che sarebbe presto uscito presso l’editore Mazzotta un suo libro sulla biblioteca pubblica e sull’organizzazione della pubblica lettura in Italia. Ricordo che interruppi l’amico Armando sovrapponendo la mia alla sua voce per impegnarlo a presentare il libro a Foggia. Il Petrucci mi disse che forse sarebbe stato il caso di attendere che il libro fosse uscito e che io lo avessi letto prima di confermare o meno l’impegno. Se questa sera siamo qui riuniti non è certo perché la lettura del libro non abbia prodotto in me uno effetto choccante. Gli è però che non ho avvertito alcun tentativo di rigetto. Il Petrucci parla di ripugnanza nella lettura ma non si riferisce evidentemente al testo. Appartiene l’opera a quel gruppo di libri il cui apparire « produce una vera e propria esplosione » . Questa espressione è stata usata a proposito della ritardata traduzione in italiano del famoso testo di Mcluhan « La Galassia di Gutenberg » . Sono in corso discussioni, chiarimenti critici da parte degli addetti ai lavori, ma poiché il mio compito deve essere limitato alla introduzione del tema che sarà oggetto della tavola rotonda di questa sera, mi sia consentito di concludere questa premessa auspicando che il libro « Primo: non leggere » apra una discussione vasta e approfondita e coinvolga non solo gli addetti ai lavori ma anche le forze politiche e sociali del paese, al punto che quella « vertenza nazionale della diffusione di massa della cultura scritta e del libro », cui accenna nel suo libro Armando Petrucci, possa finalmente avviare in termini di tempo ragionevolmente brevi a soluzione il grosso problema dell’organizzazione della pubblica lettura nel nostro paese. Un elemento immediatamente significativo da sottolineare credo che sia già nella convergenza in questa iniziativa dell’Ente locale e dell’AIB, nel momento in cui la vastità del problema della pubblica lettura per la quale la competenza delle autonomie locali non è soltanto e tanto puramente legislativa ma strettamente legata alle concrete esigenze, ai bisogni culturali e sociali, ai problemi economici che hanno il loro substrato nelle vicende storiche di aree geografiche ben determinate ed è tutto questo che rifluisce nella locuzione forse di sapore burocratico « di interesse locale ». E non è un caso che sia un ente locale ormai da un decennio impegnato in realizzazioni concrete nel campo dell’organizzazione bibliotecaria, con un’encomiabile sforzo di mezzi finanziari e di risorse umane, ad avvertire l’esigenza di verificare anche da un punto di vista critico e concettuale il significato di questa esperienza, alla luce non soltanto del confronto con realizzazioni anche radicalmente diverse, ma sulla scorta di quanto gli studiosi del settore, e particolarmente 125 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ l’Associazione Italiana Biblioteche, hanno acquisito sul piano delle analisi, il che accade sempre quando si opera e si interviene sulla realtà. Si avverte il bisogno di soffermarsi a riflettere per riprendere in posizione dialettica con il passato nuova lena, nuove energie da indirizzare poi verso nuovi traguardi. Succede agli uomini, sta succedendo anche alle biblioteche. La spia di questo disagio e di questo bisogno di continue verifiche sulle strade intraprese è nelle vicende, anche tumultuose, della nostra Associazione, che, sul piano etico di una rigorosa professionalità, si avvia, con il rinnovamento di uomini e di metodi che i tempi imponevano, a una diversa capacità di rapporto e di dialogo al servizio dei cittadini, degli istituti e degli enti impegnati n questo difficile ambito.Riteniamo che per i motivi su esposti questo incontro non soltanto non si lascerà incapsulare nel rituale celebrativo delle presentazioni di novità librarie, ma offrirà anche motivi ed elementi di riflessione e di stimolo a quanti avvertono, oggi, in questa crisi che non si può artificiosamente circoscrivere in ambiti esclusivamente economistici, la centralità dei ritardi culturali del nostro paese. Certo la cultura non risolve i problemi le cui soluzioni devono essere affidate ai politici, ma alla cultura compete portare a chiarezza di coscienza i termini dei problemi e la natura dei nodi che intristiscono la nostra vita. Poche parole sui partecipanti. Al di là della loro alta preparazione specifica, che ne ha fatto i protagonisti più vivi della vicenda bibliotecaria italiana, desideriamo sottolineare la loro sofferta partecipazione alla concreta crescita dell’istituto bibliotecario e il fatto, non certamente secondario, della loro cordiale amicizia nei riguardi di una città che ha trovato in sé le energie per offrire un contributo di studio e di esperienze alla complessa problematica biblioteconomica. Il tema della tavola rotonda è noto « La biblioteca pubblica e l’organizzazione della lettura in Italia ». Sono presenti il dott. De Gregori che è il direttore della biblioteca della Corte Costituzionale, la dottoressa Vinay che è la direttrice della biblioteca universitaria Alessandrina e la presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche, il professore di biblioteconomia all’università di Pisa, il professor Armando Petrucci, che è professore di paleografia all’università di Roma, oltre ad essere illustre per i contributi che ha dato alla storia della Puglia e dell’Italia meridionale. Basterebbe pensare al suo Codice delle Isole Tremiti, che proprio il professor Jean-Marie Martin nelle Carte di Troia, appena uscito, dichiara che è un monumento non per il suo essere una fonte insostituibile ma un monumento per i contributi che ha dato, insostituibile, alla storia dell’Italia meridionale, eppoi è il figlio del nostro carissimo Alfredo Petrucci, che è nel nostro cuore e che veramente ha dato alla Puglia il meglio di sé stesso con, senza andare troppo lontano, le « Cattedrali di Puglia », le opere rarissime raccolte in quel prezioso volume « Pernix Apulia » . Partecipa a questa tavola rotonda anche la dottoressa Virginia Carini-Dainotti, alla quale noi altri bibliotecari dobbiamo moltissimo. Io mi riconosco come suo discepolo. Per un accordo tra gli amici, perché sono oltretutto amici miei e 126 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA della biblioteca di Foggia veramente carissimi, parlerà per primo il dottor De Gregori, direttore della biblioteca della Corte Costituzionale, dell’organizzazione bibliotecaria dello stato; poi parlerà il professor Balboni invece che vedrà l’argomento dal punto di vista dell’ente locale; ed infine la presidente dell’AIB, la dottoressa Vinay. Il professor Petrucci ci parlerà del suo libro. Chiuderà la prima tornata la dottoressa Carini che non ha voluto sedere qui ma è rimasta nascosta in mezzo ai nostri illustri invitati. Allora la parola al dottor De Gregori. DE GREGORI: Ben ha detto l’amico Celuzza nel definire il libro di Petrucci « un libro scioccante » . Anch’io ne ho avuto questa impressione: comunque e, certamente, un libro interessante, che si legge tutto d’un fiato. Per arrivare al traguardo dell’ultimo capitolo, che a me fa l’effetto di essere un po’ avveniristico e un po’ passatista. Di fronte a tanto interesse a me tocca ripetere in questo intervento concetti piuttosto banali, con un linguaggio e una terminologia comuni. Non dirò dell’amministrazione delle biblioteche nell’attuale organizzazione dello Stato, ma piuttosto di quelle che dovrebbero essere le sue funzioni nell’organizzare un sistema bibliotecario italiano: dello Stato inteso, da una parte, come Repubblica italiana, come persona giuridica, cioè, comprendente tutte le altre persone giuridiche che lo integrano, e dello Stato, dall’altra, inteso come Ente amministrativo, come emanazione, cioè, di quella persona giuridica. Un sistema bibliotecario deve assicurare vari servizi, da affidare ad enti amministrativi diversi: amministrazioni centrali e decentrate dello Stato, Regioni, Provincie, Comuni, ecc. E’ necessario, perciò, indispensabile, anzi, che alla base del sistema sia svolta un’azione di coordinamento attraverso la quale si eviti assolutamente, soprattutto, che certi servizi siano offerti due o più volte inutilmente, dai vari enti amministrativi, e che qualche servizio, invece, non sia offerto da nessuno: azione che fino ad ora non sia stata esercitate a dovere da nessuno. Azione, pure, che non è da svolgere solo all’inizio dell’organizzazione del sistema, e basta; ma che deve essere perpetuata attraverso verifiche periodiche, attraverso pianificazioni, sempre rispettose delle attribuzioni di competenze stabilite dalla Costituzione e dalle Leggi della Repubblica. E chi può esercitare questa azione di coordinamento, se non la Repubblica stessa, cioè, lo Stato inteso come persona giuridica che comprende tutte le altre? Soltanto dopo, e ben distinte da questa, vengono le funzioni che, nel sistema bibliotecario del nostro Paese deve svolgere lo Stato, inteso come amministrazione, attraverso i suoi Organi centrali e periferici: tra queste, secondo me, in primo piano, l’istruzione professionale. Badiamo bene che qui s’intende parlare d’istruzione professionale bibliotecaria a livello universitario o di scuola media superiore, da non confondere, quindi, con l’istruzione professionale intesa come avviamen- 127 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ to ad arti e mestieri, che ieri era compito delle scuole di avviamento professionale dello Stato, oggi è prerogativa delle Regioni. Si tratta della preparazione professionale del personale di prima e seconda categoria, che deve operare nelle biblioteche; cioè di una preparazione che non ha nulla di diverso da quella che si impartisce a chi vuoi fare il medico, l’ingegnere, ecc. Insomma, anche il personale addetto alle biblioteche deve esser preparato ad esercitare la sua professione, poiché il cittadino che le frequenta ha il diritto di trovarvi personale qualificato, che risponda ai compiti che ha da svolgere, che sappia cosa deve fare. Questa preparazione a due livelli, a livello di bibliotecario e a livello di assistente di biblioteca o di aiutobibliotecario (l’uno fornito di laurea, l’altro di diploma) non può essere impartita che dall’Amministrazione dello Stato, o quanto meno sotto la sua diretta vigilanza quanto a programmi, esami, titoli, come, del resto, accade per l’istruzione di qualsiasi grado. Perché deve essere un’istruzione unitaria, valida, pur nelle specializzazioni cui può dare adito, per qualsiasi tipo di biblioteca; valida, altresì, in tutto il territorio del paese. Chi la riceve, infatti, non può sapere in anticipo dove la vita lo porterà successivamente ad operare, in quale biblioteca, in quale località, tanto più ora che le frontiere sembrano cadere quanto a possibilità di scambio di personale, specie in Europa, dove tra i Paesi della Comunità, è stato recentemente stipulato un accordo per il riconoscimento reciproco del titolo di bibliotecario. Certo un’azione simile, intesa a creare un corpo di personale capace di esercitare la professione bibliotecaria, presuppone che, con opportuni strumenti legislativi, venga assicurato a quel personale uno sbocco occupazionale adeguato; che soprattutto sia impedito in modo assoluto che i posti disponibili nelle biblioteche vengano assegnati, come avviene frequentemente ancora oggi, per legami e benemerenze clientelari. Una seconda incombenza che credo spetti incontrastatamente all’Amministrazione dello Stato, è la costituzione dell’Archivio nazionale di tutti i supporti della trasmissione del pensiero (libri, periodici, dischi, nastri, films, ecc.): un’archivio che sia completo e rapido nell’aggiornamento, e non già che lasci così a desiderare, quanto a questi due requisiti, come è ora presso le due biblioteche nazionali centrali per la difettosa attuazione della legislazione sul deposito obbligatorio degli stampati. Questo archivio, pur con l’ausilio di altre istituzioni subordinate, deve essere la fonte sicura e rapida, per l’interno e per l’estero, della letteratura nazionale in ogni campo dello scibile: di qui la necessità della pubblicizzazione di esso attraverso la stampa e la diffusione di repertori di ogni genere. Altro compito che sembra spettare allo Stato è quello di assicurare uniformità di metodologie e tecniche all’interno del sistema, ciò che sarà, in parte, conseguenza dell’uniformità dell’istruzione professionale impartita dallo Stato, o, quanto meno, sulla base di programmi da esso predisposti. Ma poiché le metodologie e le tecniche si evolvono, bisogna badare che ciò avvenga in modo uniforme nel Paese e anche con un collegamento con le esperienze degli altri Paesi, e a ciò non 128 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA può provvedere che lo Stato, in presenza delle più ricche casistiche in ogni settore di lavoro, come si verifica soltanto nei grandi istituti bibliotecari a carattere nazionale e grazie ai rapporti internazionali di essi stessi, per lo più, mantenuti vivi. Resta ora da vedere se lo Stato abbia a rimanere assolutamente assente dalla gestione del Servizio di pubblica lettura o quali siano i limiti in cui esso può intervenire nella materia. Non c’è dubbio che esso sia di competenza esclusiva delle regioni: lo vogliono la Costituzione e le altre leggi, ma prima, direi, lo vogliono il buon senso e la coerenza. Sarebbe bello che noi bibliotecari che ci siamo affannati lungamente a predicare che la funzione della biblioteca pubblica deve essere svolta dall’ente locale, come un servizio capillare che deve essere presente, in una forma o in un’altra, dovunque; che abbiamo sprecato fiumi d’inchiostro e tante energie per risvegliare alcune di quelle biblioteche dai sonni profondi che dormivano in passato per avviarle ad un utile compito nel presente: che noi, dicevo, volessimo oggi contrastare il passo alle Regioni nel sacrosanto dovere di sostituirsi allo Stato ad attuare nel loro territorio una decente organizzazione di pubblica lettura attraverso un’opera di legislazione, di incentivazione, di sussidio di coordinamento, che valga a richiamare gli Enti locali a svolgere efficientemente il servizio. Lasciamo soli i burocrati su questa attardata posizione, a difendere fette di inutile potere! Lo so, quello che si dice e si lamenta. Le Regioni ripetono molti degli errori già commessi dallo Stato, come, ad es., la centralizzazione degli acquisti; le strutture trasmesse dallo Stato alle Regioni sono disattese, quando non addirittura smantellate, ciò che, del resto, potrebbe anche dipendere dal materiale umano trasmesso con quelle strutture; si delinea una sperequazione netta tra regioni del settentrione, del centro e del meridione. Lo so, tutto ciò, è in parte vero; ma solo in parte, perché, ad es., per questo ultimo aspetto, la situazione è smentita proprio dalla provincia di Foggia. Ma diamo fiducia alle Regioni, che sono nate ed agiscono da così poco tempo rispetto agli oltre cento anni di storia dello Stato accentratore! Io credo che, entrando in questo ordine di idee, non sarà neppure difficile riconoscere che allo Stato, specialmente in questa fase di avvio dell’organizzazione e delle strutture, spetta una funzione equilibratrice e di coordinamento. L’importante è che lo Stato non possa mai sostituirsi alle Regioni, neppure se sia sollecitato a farlo da queste stesse, come si dice che sia avvenuto in qualche caso (ma bis ognerebbe poter verificare se ciò non sia dovuto piuttosto a operazioni di sottogoverno). Ciò che bisogna assolutamente evitare è che lo Stato sia gestore diretto del servizio e che abbia contatti diretti con le Amministrazioni locali che lo devono, esse sole, invece, gestire. t necessario, d’altra parte, un rapporto, in materia di servizio bibliotecario, tra Stato e Regione; e allo Stato deve esser permesso intervenire, in stretto accordo con la Regione, là dove sia necessario, con sussidi finanziari e tecnici, con personale, sempre temporaneamente e per situazioni contigenti. Io, per ora vorrei fermarmi qui: salvo ad accennare, in un secondo 129 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ giro di interventi, alle strutture attraverso le quali lo Stato e gli altri Enti gestori del sistema, dovrebbero esercitare le loro funzioni. La recente costituzione del Ministero dei beni culturali, anche se per buona parte ha tradito le aspettative come è stato recentemente messo in rilievo dai fratelli Pensato, offre lo spunto ad ipotizzare attraverso quali strutture lo Stato potrebbe dare il suo primario apporto all’organizzazione di un sistema bibliotecario italiano. Al Consiglio nazionale dei beni culturali e ambientali, sede di azione politica in materia anche di biblioteche, dovrebbe esser demandata la funzione equilibratrice e di coordinamento indispensabile alla base di un efficiente sistema bibliotecario del Paese. Laddove dal Comitato di settore, organismo che dovrebbe essere prevalentemente tecnico, dovrebbero dipendere tutti i servizi a carattere nazionale, gestiti direttamente dallo Stato tramite Istituti centrali e periferici. Tra questi, i centrali potrebbero essere: un ispettorato per la istruzione professionale, un ispettorato per il coordinamento del servizio nazionale di lettura e della programmazione bibliotecaria regionale, costituiti entrambi da funzionari tecnici, e un ispettorato amministrativo; i periferici, la Biblioteca nazionale centrale, archivio della letteratura nazionale, con a latere alcuni altri istituti, gestiti dallo Stato o no: una discoteca, una filmoteca, l’Istituto del catalogo unico, due grandi biblioteche, una per le scienze umane, l’altra per la scienza e la tecnica, col compito di adunare la letteratura straniera più rappresentativa nella sfera di rispettiva competenza e di collaborare, con l’ausilio di altre biblioteche specializzate (ad es. quelle universitarie, quelle dei ministeri) alla diffusione di quella letteratura, attraverso la pubblicazione di repertori specialistici e un’adeguata canalizzazione di servizi di informazione e documentazione; l’istituto per il restauro del libro, al quale potrebbero essere affidate anche i compiti in materia di formazione ed evoluzione delle metodologie e delle tecniche. Un ufficio regionale per le biblioteche, comunque esso si chiami, costituito prevalentemente da tecnici, è indispensabile per mantenere i collegamenti della politica bibliotecaria regionale, a monte con l’Ispettorato dello Stato per il coordinamento del servizio nazionale di lettura e della programmazione, e a valle, con gli Enti locali, gestori di quel servizio e con tutti gli altri Enti che, nel territorio della Regione, siano in qualche modo coinvolti col sistema bibliotecario nazionale, non ultime le scuole, diversamente organizzate e strutturate, potrebbero prestare tanto valido concorso allo svolgimento del servizio nazionale di lettura. Tutto questo non è utopistico: per attuano basterebbe la decisa volontà di intervenire, di mettere ordine, secondo il buon senso e la logica. 130 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA dott. CELUZZA: Ringrazio il dott. De Gregori e prima di dare la parola al professor Balboni, mi sia consentito porgere il più caloroso saluto di benvenuto alla signora Nitti-Bovet e alla onorevole Anna Matera che hanno voluto essere presenti questa sera per partecipare all’interessante tavola rotonda. Professor BALBONI: Anch’io non so rinunciare a introdurre nel discorso alcune suggestioni che mi sono venute dalla lettura di questa nuova opera di Petrucci. Innanzitutto penso sia un fatto importante e di molto rilievo l’aver organizzato un incontro come questo. C’è oggi un rinnovato interesse per questi problemi, un interesse che ha le sue radici nel progresso civile e democratico che il popolo italiano ha compiuto in questi anni; progresso lento e non sempre lineare, ma è indubbiamente vero che in questi anni si sono registrate conquiste importanti, sia istituzionali che di costume; una maturazione culturale e politica, generalizzata e diffusa. Fatti del recente passato caratterizzati da svolte e orientamenti politici rilevanti ci indicano che esiste una prevalente volontà di cambiare le cose e di cambiarle in meglio. Questa constatazione investe tutti i momenti della vita associata e non è un caso quindi che noi ci troviamo qui a parlare e a discutere di problemi che solo fino a pochi anni fa discutevano prevalentemente gli addetti ai lavori, cioè i bibliotecari, troppo spesso mossi da spinte esclusivamente professionali ed addirittura corporative, in molti casi con una visione prevalentemente tecnicistica, senza la consapevolezza che qualunque tipo di struttura non può essere mutata in mancanza di una visione più ampia e quindi politica del divenire sociale.Ed è proprio con un taglio diverso, in una prospettiva diversa che ci si deve porre, sia quando tentiamo di indagare le ragioni dei ritardi storici dello sviluppo del nostro sistema bibliotecario, sia quando ci proponiamo di agire nella realtà presente. C’è tuttavia chi ancora ritiene, in questo campo specifico, che la cosiddetta biblioteconomia sia una disciplina esclusivamente tecnica e organizzativa e che quindi la biblioteca sia soltanto un deposito organizzato di informazioni e che infine il bibliotecario sia soprattutto uno specialista dell’informazione bibliografica, in possesso di tecniche specifiche, anche di quelle più raffinate e moderne: ieri la catalogazione tradizionale a schede, oggi l’uso del calcolatore. Insomma il bibliotecario, anche sotto la veste di un’apparente modernità, resta tuttora troppo spesso nel solco della tradizione e di una tradizione che molti di noi considerano superata. Una figura cioè disimp egnata, pressoché passiva, sia nei confronti della produzione culturale, che il bibliotecario recepisce « obbiettivamente », sia nei confronti dell’utente, del frequentatore della biblioteca, della società civile. Per non fare che un esempio: intorno alla cosiddetta « obiettività del bibliotecario » ci sono state spesso discussioni: basti ricordare l’esame 131 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ che di questo problema fece Barberi alcuni anni fa; esame che rifletteva una problematica collegata ad una concezione del ruolo della biblioteca e quindi del bibliotecario che oggi crediamo superata, proprio perché preferiamo considerare la biblioteca come una istituzione sociale e il bibliotecario come l’intellettuale tecnico che agisce ed opera nella società con una sua presenza ed una sua azione anche politica e la biblioteconomia, di conseguenza, come non più una disciplina formale e tecnica ma come una scienza sociale. E quì basterebbe forse ricordare il dibattito che c’è stato sulla figura dell’intellettuale tecnico in ogni paese: io ricordo un dibattito di alcuni anni fà sui « Quaderni Piacentini »; e lo stesso Petrucci non solo ne accenna al suo libro ma ne ha parlato anche più diffusamente nei suoi precedenti saggi, che non sono stati rifusi così com’erano in questo lavoro e conservano quindi ancora la loro originalità, la loro importanza. Questa premessa mi è sembrata necessaria, innanzitutto, perché mi sono proposto di fornire spunti di dibattito: è questo credo lo scopo principale del nostro incontro. D’altra parte, percorrere le vicende delle biblioteche del nostro paese non significa fare soltanto la storia degli istituti, come avviene in alcuni manuali che vanno per la maggiore, ma indagare e considerare le ragioni dello sviluppo o meglio del ritardato sviluppo delle biblioteche in un contesto storico più ampio, individuando le condizioni di vita e i conflitti sociali, i rapporti tra potere politico ed istituzioni, tra sviluppo economico e crescita culturale. In questo senso va intesa una storia delle biblioteche ed è precisamente con questo taglio che Petrucci e la Barone nell’opera che si discute questa sera analizzano il processo di formazione e sviluppo del sistema bibliotecario italiano. t questo un saggio molto importante, interessante proprio perché apre una problematica che per chi segue queste tematiche e per chi lavora in biblioteca ha elementi di originalità e stimoli veramente nuovi. E interessante soprattutto mi è sembrato in questo saggio l’analisi delle scelte o delle mancate scelte di politica culturale che la borghesia ha compiuto e compie in particolare attraverso l’industria editoriale. Una delle cause, infatti, del discontinuo sviluppo della biblioteca pubblica va ricercato senza dubbio nel fatto che l’editoria in Italia ha registrato enormi ritardi, rispetto a quei paesi industrialmente più avanzati che hanno costruito un sistema ben organizzato e capillare di diffusione dei prodotti culturali. Solo in questo dopoguerra, l’editoria italiana si è infatti, andata strutturando in modo diverso, secondo i canoni della moderna industria capitalistica. La crisi dell’editoria di questi ultimi anni è un sintomo di questo mutamento, di questa trasformazione da azienda prevalentemente di tipo familiare a grande industria ed anche quì si sono attivati i meccanismi tipici dell’economia neo capitalistica: concentrazione, accumulazione, accordi di cartello fino all’impiego di tecniche manageriali e pubblicitarie. Si è capovolto, come in altri settori, quel rapporto fra domanda e offerta che era tipico degli inizi dell’economia liberale; e avvenuto cioè, che mentre all’inizio la produzione e l’offerta erano commisurate - 132 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA Prof. FRANCO BALBONI 133 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ alla quantità e alla qualità di una domanda, oggi al contrario, è lo stesso produttore che determina la domanda. Questo avviene in tutti i campi e avviene anche nel campo della produzione editoriale. Ebbene la storia delle biblioteche è strettamente legata e fortemente condizionata da questi processi. Con il fascismo, per esempio, quando cioè il capitalismo riesce ad istituzionalizzare il suo potere, le biblioteche ricevono un relativo sviluppo, assumono un loro assetto che è in definitiva, quello che vige tuttora. E in quegli anni che viene creata la Direzione Generale e sono potenziate le Soprintendenze, con funzioni prefettizie; è in quegli anni che si ìstituzionalizza quel centralismo burocratico che ancora oggi, a trent’anni dalla Liberazione, si oppone allo sviluppo delle autonomie locali, al processo di democratizzazione delle strutture. A questo proposito l’esempio ricordato da De Gregori del Servizio Nazionale di Lettura è veramente emblematico, la cartina di tornasole delle tendenze, degli atteggiamenti e della politica che un certo tipo di burocrazia ministeriale va attuando. E sempre di quegli anni, cioè del periodo fascista, la creazione dell’Ente Nazionale Biblioteche Popolari e Scolastiche — dopo la soppressione della Federazione per le Biblioteche Popolari di ispirazione socialista — che ancora oggi svolge notevoli funzioni di agenzia di affari e di controllo ideologico. Petrucci sostiene che durante il fascismo le biblioteche vennero per la prima volta in Italia adoperate come strumento per la diffusione e la creazione del consenso ed è una osservazione molto giusta anche se forse in realtà l’azione del regime fu volta più decisamente a fascistizzare le strutture esistenti che non a svilupparle. Nel dopoguerra la situazione non è molto cambiata. Non sono mancati i tentativi rivolti alla istituzione di strutture pubbliche e al loro utilizzo in funzione privata, in funzione di precisi interessi privati e di mercato. Gli esempi anche qui non mancano — dalle “biblioteche del contadino” agli stessi “centri di lettura” —. Ma la logica del capitalismo tende soprattutto a creare il consumatore e questo è avvenuto e sta avvenendo anche nel campo della produzione e della distribuzione del bene culturale e del libro. In questo processo le biblioteche conoscono una nuova crisi strutturale. La biblioteca pubblica, in particolare, non serve più, non è più funzionale a questo sistema. E sono qui le ragioni di fondo delle crisi della biblioteca pubblica nel nostro paese, né sono valse, né valgono le ipotesi ed anche le iniziative di alcuni bibliotecari, non solo di buona volontà ma anche professionalmente molto preparati e qualificati, volte ad impostare un modello di biblioteca pubblica nato e sviluppato in momenti, in condizioni, in realtà socialmente e politicamente molto diverse. Tentativi astratti, non corrispondenti ai bisogni e alle tendenze e soprattutto alle scelte che il popolo italiano va maturando. La via, indubbiamente, è un’altra anche se non è la sola. Per rimanere nel settore che ci interessa, indubbiamente c’è uno strumento da utilizzare, ed è quello della rivalutazione delle autonomie locali, della responsabilizzazione del popolo italiano in tutte le sue componenti anche e soprattutto istituzionalizzate. 134 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA L’esperimento regionale, con tutte le sue contraddizioni ha però indubbiamente liberato delle energie; c’è tra le Regioni un interesse molto diffuso per questi problemi che trovano nella biblioteca un punto centrale come riferimento per le attività culturali in generale. Sono sul tappeto in questo momento alcune questioni di politica generale: la riforma dello Stato, la istituzione del nuovo Ministero dei Beni Culturali, nonostante l’opposizione le critiche di molta parte della cultura italiana, proprio perché esso tende a prefigurare una organizzazione dello Stato che può compromettere in qualche misura il dis egno di decentramento organico delle funzioni; la 382 mi limito a dare dei rapidi cenni alla problematica attuale, di questi giorni che dovrebbe completare il trasferimento alle Regioni delle competenze e quindi anche di quegli istituti culturali che non svolgono funzioni di carattere nazionale. E’ un dibattito che impegna tutti e che non possiamo ignorare nemmeno questa sera. — — dott. CELUZZA Ringrazio l’amico professor Balboni e interrompo per un minuto la discussione per dirvi che tra le adesioni alla « tavola rotonda » sono pervenuti i messaggi del prof. Giuseppe Semerari Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari e del prof. Francesco Maria De Robertis presidente della Società di Storia Patria per la Puglia. Dott.ssa VINAY Petrucci ha voluto individuare nella mutazione al vertice dell’associazione i segni di una inversione di tendenza da parte dei bibliotecari sul modo di concepire il proprio ruolo; di conseguenza una presa di coscienza collettiva sui compiti politici che tale inversione comporta. Ora questa affermazione di Petrucci va in un certo senso ridimensionata nel senso che tale presa di coscienza e tale inversione è avviata, non è ancora una realtà, suscita anzi molte perplessità e molte resistenze. E perche queste resistenze e queste perplessità possano essere capite, credo che sia opportuno ricordate brevemente alcuni momenti della storia dell’Associazione L’Associazione Italiana Bibliotecari è nata all’indomani di un congresso internazionale tenuto a Roma nel giugno del 1929. In quella occasione i bibliotecari italiani presenti al congresso ebbero quasi la sensazione fisica del loro isolamento e sentirono la necessità di avere anch’essi uno strumento che li mettesse a contatto con i progressi della biblioteconomia e con la realtà degli altri paesi. Siamo nel 1930; l’Associazione nasce come un’emanazione del Ministero e, quindi con un carattere ufficiale, tanto è vero che è il Ministro a nominarne i dirigenti, è il Ministro a favorirne la nascita, e la protezione del Ministero ne aiuta lo sviluppo ma ne condiziona l’indirizzo e l’azione. Di questa prima fase della nascita 135 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ dell’Associazione rimane da considerare un aspetto positivo che è quello di aver messo a contatto i bibliotecari italiani fra di loro e di aver unificato in un’unica associazione i bibliotecari appartenenti ad amminis trazioni diverse, cioè i bibliotecari degli Enti Locali con i bibliotecari statali e di aver avviato un primo discorso di unificazione di metodologie e di problematiche che ha dato alcuni risultati. Naturalmente nell’ambito e nella misura in cui tutto questo era possibile nelle condizioni politiche in cui ci si muoveva. Dobbiamo aspettare il primo dopoguerra, il 1948, per vedere l’associazione assumere un carattere indipendente, eleggere i propri rappresentanti e avviare un discorso autonomo nei riguardi del Ministero. La caratteristica, tuttavia, di associazione paritetica ad una politica ufficiale è rimasta nell’A.I.B. fino a questi ultimi anni. Il lavoro fatto dall’associazione pur in questi limiti è stato certamente utile. Dobbiamo all’associazione se, per esempio, si è sviluppato nel paese il concetto di biblioteca pubblica; se si sono dibattuti i problemi di cooperazione internazionale; se si sono introdotti concetti che hanno portato gli istituti ad acquisire un certo livello professionale. La crisi dell’associazione si è fatta sentire sempre più acutamente a partire dagli anni cinquanta: nonostante i tentativi fatti con la creazione dei gruppi di lavoro di esaltarne il carattere professionale e tecnico. La crisi dell’associazione a mio parere non è che il riflesso della crisi in cui si dibattono gli istituti bibliotecari in Italia. La mancanza di una politica bibliotecaria coerentemente perseguita e l’assenza di un rapporto tra questa e la politica culturale generale del paese, è stata particolarmente avvertita nel momento in cui veniva meno l’ideologia che ha dominato la nostra società negli anni del boom economico; l’ideologia cioè del progresso illimitato, dell’industrializzazione come mezzo per raggiungere questo progresso. Di conseguenza alcuni miti quali la cultura per tutti, la scuola per tutti, il benessere per tutti venivano sfatati rivelando l’incapacità del sistema di accogliere queste richieste. D’altra parte spostandosi gli interessi da un certo tipo di obiettivi ad altri i fatti culturali hanno assunto un rilievo tutto particolare che non poteva non farsi sentire in maniera abbastanza pesante anche nel nostro settore. Specificamente due fatti voglio qui ricordare: la scolarizzazione di massa che ha fatto scoppiare tutte le nostre strutture; l’introduzione di informazioni che hanno rivoluzionato il rapporto tra istituto ed istituto che ci ha fatti sentire praticamente fuori gioco sia su un piano tecnico professionale sia su un piano sociale. Questo disagio e queste incertezze non potevano non riflettersi nella associazione che raccoglie operatori imp egnati in un rapporto continuo con la società. La fase a cui noi stiamo andando incontro prevede la trasformazione dell’associazione mediante una più larga democratizzazione delle rappresentanze e attraverso un più vitale collegamento di essa con le componenti sociali, i sindacati le associazioni culturali libere per un diverso rapporto degli istituti bibliografici e del nostro lavoro con la società in cui viviamo. Ed è questa prospettiva di trasformazione che dobbiamo affrontare nel 136 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA congresso che terremo il prossimo mese. Si contrappone a questa esigenza sentita soprattutto dalle persone più giovani che sono entrate in questi ultimi anni in biblioteca e che provengono da esperienze di vita universitaria l’incertezza e la perplessità di coloro per i quali invece la funzione del bibliotecario è quella di un tecnico a cui viene assegnato il compito di predisporre gli strumenti per accedere nella maniera più semplice e più immediata al bene culturale, secondo l’associazione non deve impegnarsi in una azione di pressione politica presso gli organi dello Stato, presso le Regioni, presso i Comuni per un discorso politico nell’ambito dei beni culturali; compito che essi vorrebbero demandato ad altre forze. E’ con queste resistenze che oggi noi dobbiamo misurarci. Prof. A. PETRUCCI Intervengo con molto piacere, innanzi tutto per ringraziare gli amici foggiani che mi hanno voluto per presentare un libro, come quello di Giulia Barone e mio, che non è facile, e che anzi è volutamente polemico e in alcuni punto aspro e difficile da digerire. Difficile anche perché, pronunciata in questa splendida sede, in questa biblioteca fatta per leggere e per far legge, la frase che ne costituisce il titolo: Primo non leggere, può apparire blasfema. Io non credo che sia necessario in questa sede riassumere quello che nel libro c’è ma piuttosto sottolineare alcuni punti forse utili per il successivo dibattito. Il libro si divide in due parti, una storica, che configura il quadro di un secolo di storia di quello che qualcuno ha chiamato il sistema bibliotecario italiano, ma che tutto è stato fuori che qualcosa di organico e di sistematico; e una parte finale, che l’amico De Gregori ha or ora accusato di essere insieme avveniristica e passatista, nella quale si cerca di introdurre l’ipotesi di una lettura pubblica come reale studio sociale. Io credo che proprio in questa parte si propongono alcuni temi di discussione finora elusi dagli addetti ai lavori, sui quali vale invece la pena di soffermarci un poco. Oggi, dunque, si legge di più, ma non ci si pongono mai tre domande di fondo: cosa si legge? come si legge? perché si legge? Sono, queste, tre domande che ogni storico della civiltà scritta si deve porre a proposito di qualsiasi epoca o situazione del passato, e che anche uno storico della civiltà attuale ha il dovere di porsi. Analizziamole partitamente. Che cosa si legge? Sulla offerta di prodotto scritto a stampa per la pubblica lettura intervengono numerosi e pesanti condizionamenti; innanzitutto quello dell’industria editoriale, cui si riferiva prima Balboni; quindi quello della censura, a cominciare dalla censura cosiddetta « obbiettiva » del bibliotecario, sul cui potere a senso reazionario si è avuta recentemente un’impressionante testimonianza inglese. Ma la censura è qualcosa di più e di diverso a livello di strutture centrali dello Stato o comunque di strutture pubbliche del tipo di quelle che fino a ieri hanno sorretto, guidato e controllato l’opera delle biblioteche 137 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ locali; basti pensare all’azione nefasta dell’Ente Nazionale per le Biblioteche popolari e scolastiche, che ha esercitato per decenni un ininterrotto e assoluto potere censorio sulla offerta di pubblicazioni per la pubblica lettura, esteso a tutta l’Italia e governata dai medesimi personaggi con i medesimi criteri dal 1932 ad oggi. Perché si legge? La stragrande maggioranza dei lettori delle biblioteche italiane è costituita di studenti. In realtà la biblioteca pubblica non svolge più la funzione di garantire la possibilità di lettura a cittadini appartenenti a tutti i livelli sociali, ma soltanto una funzione di mero sussidio parascolastico, e ciò senza riuscire neppure a sostenere il diritto allo studio diminuendo il peso del costo del corredo librario per gli studenti meno abbienti, in quanto non riesce a fornirsi in tempo e a sufficienza di tutti i libri imposti dall’industria editoriale al mercato scolastico. Come si legge? Alcuni saggi recenti del pedagista romano Raffaele Laporta hanno dimostrato che la capacità di comprensione attraverso la lettura degli appartenenti alle classi subalterne è terribilmente bassa; eppure oggi molti degli appartenenti a queste classi leggono, ma leggono una prodotto culturalmente degradato a loro destinato e costituito di fumetti per adulti, periodici pornografici o di cronaca nera e così via. Inoltre il loro meccanismo di lettura è deviante ed erroneo, in quanto essi non posseggono un corretto codice di lettura e sono costretti ad interpretare quello che leggono rapportandolo alla loro scarsa esperienza linguistica di italiano scritto; secondo i risultati di alcuni sondaggi di Laporta il fenomeno si verifica anche a livello di studenti medi e universitari. Anche il problema del come si legge è perciò un problema di fondo all’interno di una società come la nostra che riflette evidenti le differenze di classe sui meccanismi stessi di distribuzione della cultura. Ed è problema non soltanto italiano, ma generale.Una recente inchiesta della BBC ha rivelato alla sbalordita borghesia inglese che in Gran Bretagna, ove esiste tuttora la migliore rete di biblioteche pubbliche e che vanta il maggior numero di libri letti d’Europa, si riscontrano circa due milioni di analfabeti (intendendo per tali gli adulti che hanno un livello di lettura e di scrittura di un bambino di 7-9 anni). In Italia ci sono certamente molto più analfabeti e semialfabeti che non in Gran Bretagna; e questo è un fenomen sociale di massa che relega nel limbo della non scrittura e della non lettura una buona parte degli italiani. Di fronte a tale realtà il progetto della biblioteca pubblica, ove bisognerebbe far entrare a forza i non lettori, appare del tutto inadeguato; e non a caso oggi la biblioteca come tale è « saltata » dalla industria editoriale e dal regime politico, che tentano di raggiungere direttamente il pubblico per altre vie e con altri mezzi. A questo tipo di problemi nell’ultimo capitolo del libro ho tentato di dare risposte diverse da quelle solite; ma qui, per chiudere, basterà dire che l’unica 138 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA via di uscita mi sembra essere quella di una vertenza nazionale della lettura come servizio sociale che sia guidata dal movimento sindacale e dalle masse lavoratrici nel loro complesso, e portata avanti da strutture di base che propongano un modello nuovo di biblioteca che faccia di chi non sa leggere un cittadino che sappia anche leggere. dott.ssa V. CARINI - DAINOTTI: Io detesto il mestiere del recensore, perché ho un animo mite e sono sempre riluttante davanti alla necessità di dire cose sgradevoli. Ma in questo caso il dirle è un dovere, e dunque vediamo di uscirne al più presto. Avvertono gli autori che « questo libro vuoi essere la storia degli errori, della lentezza, dell’impostazione arcaica e conservatrice che al problema bibliotecario è stata data dalla classe dirigente italiana nel secolo e più che va dall’unità ai nostri giorni ecc. ». Niente di male: si può anche scrivere un libro per denuciare errori e colpe. E questo si può fare in due forme: o ragionando pacatamente sui fatti o gettando all’avversario la polemica violenta e aggressiva di un pamplet. Ma gli illuministi francesi che hanno inventato il pamphlet, pretendevano che dovesse essere breve, incisivo, e percorso e sorretto « da spirito mordente e da ironia socratica ». Proprio così lo definisce l’Enciclopedia, e gli scrittori della Rivoluzione francese ce ne hanno dato affascinanti esempi. Purtroppo niente di simile nel volumetto che ci viene presentato. Non la brevità e l’incisività giacché la parte polemica è diluita e mescolata a stanche rimasticature di elaborazioni e di testi altrui. Non certo spirito mordente e ironia socratica; ma invece un uso e un abuso dell’insolenza gratuita, dell’insulto, del giudizio sentenzioso, delle sciabolate Contro uomini e cose. A questi difetti, gravissimi in autori che per professione o per vocazione già appartengono o mirano ad appartenere al mondo degli studi e della ricerca, altri se ne aggiungono intollerabili: la totale mancanza di una dimensione storicistica e la continua distorsione del pensiero altrui, il tutto in un’ottica che sarebbe indulgenza definire manichea giacché in realtà tutta la virtù è in troppo pochi e tutto il male è in troppi. E adesso ho l’obbligo di provare le mie asserzioni. Incominciamo dai bibliotecari: « I bibliotecari italiani del periodo della metà dell’800, e di molti decenni ancora, mancavano non solo delle doti di amministratore ma anche di un minimo di preparazione bibliologica e biblioteconomica. I loro meriti — se meriti esistevano — si restringevano a una buona cultura umanistica e filologica ». Che i nostri autori non sappiano che alla metà dell’800 e per molti decenni ancora i maggiori bibliotecari d’Europa e del nuovo mondo si misuravano appunto dal possesso di quella buona cultura? 139 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ Tommaso Gar fu il primo bibliotecario italiano a pubblicare un corso di bibliografia; ma « di valore invero assai discutibile », giudicano i nostri autori che forse ignorano il posto tenuto da Tommaso Gar nella cultura italiana dell’800. Desiderio Chilovi (che fu un grande bibliotecario) sognò anche di portar libri e lettura nelle zone rurali, e a questo fine istituì certe biblioteche mobili. Naturalmente concepiva la biblioteca popolare come gli uomini del suo tempo e le trasportava con i mezzi di allora, « someggiate » e non con i bibliobus. Ma quì leggiamo: « a una simile concezione, improntata al più chiuso conservatorismo, si riallaccia anche il programma, restato lettera morte, lanciato da Desiderio Chilovi, a favore della diffusione delle biblioteche rurali nel 1901 ». Enrico Narducci fu uno dei primi bibliotecari dell’Italia unita, ed eccolo presentato: « strana figura di ex garibaldino di Porta San Pancrazio e poi bibliotecario dei principi Boncompagni ». Capite la strana contraddizione! Sarebbe come dire: « strana figura di partigiano, e poi impiegato alla FIAT ». E passiamo ai politici: Tra gli uomini politici dell’ultimo 800, nessuno forse mostrò per le biblioteche tanto interesse quanto il Bonghi, e interesse fattivo. Ma ciò non lo giustifica al tribunale dei Nostri: « spirito fantasioso e velleitario » a pagina 23, diventa a pagine 30 nemico da combattere perché — ci dicono — era antiregionalista, cercava cioè, all’indomani della raggiunta unità, di « rafforzare la posizione centrale di Roma ». Il Bonghi preparò allora un « Regolamento delle Biblioteche » singolarmente avanzato anche nel contesto internazionale; ma per i nostri autori quel regolamento fu « faraonico e confusionario », anzi « la concezione fondamentalmente reazionaria del Regolamento si esprime nell’art. 49 che vieta di dare in lettura, mettendoli sullo stesso piano, giornali politici e libri osceni ». In realtà l’art. 49, in perfetta sintonia con tutti i regolamenti delle biblioteche di studio di allora e di oggi, elencava semplicemente tutti i tipi di materiale esclusi dal prestito o per ragioni di opportunità come è il caso dei libri « accompagnati da disegni osceni » (« a meno che il richiedente provi che gli sono necessari a un determinato studio letterario, storico o scientifico », aggiungere il Regolamento), ovvero per ragioni di conservazione, come è il caso dei giornali. Infine il discorso tenuto dal Bonghi all’inaugurazione della nuova Biblioteca Nazionale, che costituisce uno dei pochi documenti programmatici di una politica delle biblioteche nell’800, è per il Petrucci « vuoto e sciagurato », ... come quello recente di Spadolini, par di capire. E ancora: dopo il ‘70, soppresse le corporazioni religiose, fu emanata una legge per raccogliere i libri e le cose d’arte rimaste nei conventi, o presso le Amministrazioni provinciali, o — dove esistevano — nelle biblioteche e nei musei degli enti locali. Ovvio, no? Ma no!: 140 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA « L’animus laico degli uomini della Destra e la incompetenza culturale si combinarono per dar vita all’art. 24 della Legge 7 luglio ‘66... Pare incredibile che gli stessi uomini che decretarono la soppressione delle Corporazioni,... dimostrassero poi una così totale fiducia nel valore culturale del patrimonio così conservato ». Davvero pare incredibile che l’incompetenza culturale dei nostri autori si spinga a un tale livello. Vien fatto di chiedersi se essi condannino la Francia per non aver distrutto il Louvre al tempo della rivoluzione, o la Russia per aver chiuso nei suoi musei le antiche icone, o la Cina per aver gelosamente custodito i documenti d’arte della Città Proibita sfuggiti al saccheggio dei giorni di caos. Naturalmente potrei continuare, ma non voglio tediarvi. Io mi sono tediata. E del resto quì siamo ancora ai toni moderati. Con il capitolo 5. la mano passa al Petrucci, e la gamma delle definizioni si allarga e si affina (si fa per dire). L’ideologia fascista è « brutalmente classista ed elitaria, in ciò identica a quella dell’Italia liberale ». I personaggi del del tempo sono volta o volta « incapaci », « corrotti », « corruttori », « complici », tutti nessuno escluso. E non crediate che siano trattati meglio i protagonisti, o anche solo le comparse, della nostra storia più recente. A dire il vero « l’Italia borghese media e piccola stava riscoprendo, dopo anni di digiuno, la civiltà europea e anglosassone del libro, mentre un’altra Italia, quella operaia organizzata nei partiti di sinistra e nel sindacato, scopriva il mito del libro democratico e popolare e cominciava a cercarne il corrispettivo in opere, in collane, in periodici di indirizzo politico preciso, di forte civile impegno, di suggestiva e stimolante divulgazione storica e scientifica ». Ma l’altra Italia borghese, quella dell’« apparato pubblico ». quella no, anzi « manovrata dai governanti DC e dai rappresentanti dell’editoria cattolica », faceva prova del suo « ossequio alla cultura ufficiale » e naturalmente moderata e qualunquista ». Insomma, che valore ha una tale ricerca storica », e come si può prendere in considerazione uno scritto di questo tipo che, a suo modo, per diritto e per rovescio, rievoca i modi sbracati e le risse sboccate dei clericali e anticlericali di fine secolo! Verrebbe fatto di affermare che un tale documento dovrebbe semplicemente non essere preso in considerazione da qualunque biblioteca nella sua politica degli acquisti perché — sono i nostri canoni, beffeggiati dal Petrucci — « non contiene una onesta esposizione dei fatti » e neppure quel minimo denominatore di civiltà espositiva che è una delle condizioni del dialogo. Tuttavia, poiché nella concezione che è la nostra di ciò che deve essere la biblioteca siamo assertori del dialogo e del civile confronto, facciamo adesso uno sforzo per identificare l’opinione, la proposta che forse è contenuta nel libro, e — identificandola — confrontiamola alla teoria della biblioteca pubblica come noi l’abbiamo affermata e difesa, senza ambiguità, senza conformismi, senza neppure quel pericoloso e 141 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ spregevole conformismo dell’anticonformismo che affligge ora la nostra società. Dico « noi » e parlo al plurale perché l’attività pubblicistica e pratica di un gran numero di bibliotecari mi autorizza a farlo, e perché un gran numero di bibliotecari raccolti nell’AIB, votando nei ‘64 il documento degli standards, ha chiaramente espresso la propria scelta. Ripeteremo dunque che la Biblioteca Pubblica che noi difendiamo è un istituto creato dalla democrazia di tipo occidentale per realizzare alcuni fondamentali diritti di libertà: in particolare il diritto di informare, cioè di comunicare agli altri liberamente il proprio pensiero, e il diritto di essere informati, non solo genericamente per conoscere e cioè per crescere come individui, ma anche nell’interesse della collettività per poter partecipare alla gestione della cosa pubblica, consentendo o opponendosi. L’accettazione o il rifiuto di questi diritti distinguono i regimi democratici da quelli totalitari; ma che cosa vuoi dire concedere o rifiutare al cittadino il diritto di essere informato? Anche i regimi totalitari riconoscono al cittadino il diritto di essere informato, anzi gliene fanno un dovere; ma riservano a sé il diritto di informare, e il monopolio dell’informazione, e affermano che così facendo difendono il cittadino (che generalmente configurano incolto e ingenuo) dalle informazioni false o tendenziose. Essi invece dicono di fornirgli « la verità ». Nella concezione democratica il cittadino è ritenuto « capace di intendere e di volere », anche se non sia provvisto di una cultura elevata, e non gli è risparmiata la fatica di ricercare da sé la verità; gli si raccomanda invece di diffidare di tutti quelli che si dicono portatori della verità. E la biblioteca, come agenzia di informazione, mantenuta con le tasse, cioè dai cittadini, si assume il compito di mettere a disposizione libri e altri documenti che rappresentino i punti di vista, e di organizzare incontri, dibattiti, manifestazioni culturali in cui possano esprimersi tutti i punti di vista, in forme anche più semplici e immediate di quelle del leggere e dello scrivere. In questo modo la Biblioteca può e vuole aiutare il cittadino a ricercare faticosamente, nella pluralità delle fonti di informazione e dei punti di vista, la sua verità. Ridotta al nocciolo è questa l’intima natura della Biblioteca Pubblica, di questo istituto nato sì negli Stati Uniti e dagli americani battezzato col nome di « pubblic library », un nome ricco di contenuti semantici; ma trapiantato ormai in Inghilterra, negli stati scandinavi, in Francia (dove non è affatto vero che sia fallito), nei tre paesi del Benelux, e finalmente in Italia e nella Germania del dopoguerra. Il dottor Petrucci non contesta che sia questa la nostra proposta. Devo anzi dire che l’atteggiamento dei due autori non sembra da principio negativo. Nel capitolo 3° si dice che la biblioteca pubblica di modello americano, la public library, è « un nuovo e più democratico modo di intendere la funzione della biblioteca. Veramente la parola « democratico » è chiusa fra virgolette, non si sa se per riservare un proprio copy right sulla definizione. Nel capitolo 5°, parlando con lode di 142 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA Guido Biagi (uno di quei bibliotecari buoni a nulla del capitolo 1°) si osserva: « Anche il Biagi, naturalmente, additava quale modello da adottare le publìc libraries americane, biblioteche di cultura e non di abbassamento culturale ». Nel capitolo 6° si ricorda che nel 1937, a Macerata, al Congresso dell’AIB, « Bottai ebbe modo di attaccare duramente la tematica democratica della public library di modello anglosas sone, ivi proposta da Luigi De Gregori ». Anche se la parola « democratica » è di nuovo virgolettata (allusivamente, credo) il senso però mi sembra chiaro. Del resto nel capitolo 7°, parlando del Congresso di Palermo del ‘48, il Petrucci scrive: « Guido Gonella vi lanciò per la prima volta pubblicamente il modello democristiano della biblioteca del popolo.., erede diretta di quella bottaiana e tutt’affatto opposta all’ideale democratico della « biblioteca per tutti » vagheggiata da tempo dai bibliotecari più esperti e progressisti ». E questa volta la parola « democratico » non è virgolettata. Ma se volete ancora una controprova, ecco un passo del capitolo 8°: « Primo a proporre pubblicamente in Italia la « biblioteca per tutti » di tipo americano, era stato — in piena epoca fascista — Ettore Fabietti con un articolo sulla Nuova Antologia del 1930 che rappresentò il suo ultimo lucido contributo alla battaglia per la cultura popolare ». Vero è che il Fabietti è un personaggio scomodo per i nostri autori: è stato l’uomo scelto da Turati per lavorare nella Società Unitaria e nella Federazione milanese delle Biblioteche Popolari, perciò nel capitolo 30 gli viene conferito il diploma di « grande animatore delle biblioteche popolari italiane »; ma il Fabietti proprio nel 1930 si fece banditore della tesi che « la biblioteca pubblica non può avere un partito politico, né servire un credo filosofico o religioso perché, in caso contrario snatura se stessa e si condanna alla sterilità ». E la stessa tesi il Fabietti tornò a sostenere nel 1947, in uno dei primi congressi organizzati dopo la guerra sul tema della lettura pubblica. Forse anche per questo il povero Fabietti viene poi espulso dall’esiguo manipolo degli eroi positivi, e il Petrucci ne scrive con sdegno: « proprio a costui toccò di tracciare un ritratto del « libro per il popolo » in cui al paternalismo ottocentesco si sposava un bigottismo filisteo e qualunquistico della peggiore specie ». Tant’è, anche se eretico a p. 115, aveva però dato a p. 131, come abbiamo visto, un lucido contributo alla difesa della Biblioteca pubblica. Ma allora! questa Biblioteca, questa public library va bene anche a Baroni e Petrucci? E noi che l’abbiamo difesa possiamo considerarci assolti? No, niente da fare. Tra i motivi di condanna confusamente raccolti negli ultimi capitoli del libro, il più grave è quello di aver voluto contrabbandare, sotto l’etichetta della « obiettività », il « reale ossequio alla cultura ufficiale, con tutto il sottinteso classismo », e naturalmente il « qualunquismo ». Con argomentatori tanto sottili, a niente servirebbe difendersi, e tanto meno aprire un dibattito sematico sull’obiettività, concetto che noi respingiamo come astratto e che vogliamo sostituito dall’imparzialità che vale « non prender parte », tra teorie e opinioni 143 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ diverse o contrastanti astenersi dall’influenzare e dal dirigere, e invece tutte documentarle per offrirle all’analisi critica e al giudizio del cittadino-protagonista. L’unica consolazione ci viene dal constatare che insieme a noi sono contestati e condannati anche quei gruppi e quelle organizzazioni in cui ci pareva che il Petrucci avesse riposto le sue speranze. Rifacendosi ai fermenti dell’immediato dopoguerra, egli scrive: « Era probabilmente quello il momento adatto, se mai ve n’era stato uno, per affrontare su basi nuove e concrete il problema della pubblica lettura in Italia, tenendo presenti sia le esigenze del nuovo pubblico giovane di estrazione borghese e piccolo borghese, sia le necessità e le richieste del pubblico potenziale rappresentato dalla classe operaia e dagli strati contadini che la Resistenza e la lotta politico-sindacale avevano in qualche modo acculturati e avvicinati alla civilità dello scritto e del libro. L’occasione fu, come tutti sanno, mancata perché nessuno seppe non soltanto coglierla ma forse neppure individuarla, sia a livello politico sia a livello tecnico, e per cattiva volontà e per impreparazione e per ignoranza ». Che nel frattempo un altro gruppo di tecnici, nel quadro dell’Amministrazione pubblica, si sia invece coraggiosamente accinto a corrispondere a quelle esigenze, non compensa il nostro autore; anzi, mentre da un lato lamenta « le incertezze e le imp reparazione delle sinistre di fronte all’impegno di costruire un nuovo progetto politico per le biblioteche », mentre lamenta il fallimento della sola iniziativa concreta di matrice politica di quegli anni, quella del Centro del Libro Popolare, ancor più lamenta che in quel vuoto prendesse forza il disegno della biblioteca pubblica, portato avanti dai tecnici dello Stato e degli Enti locali. Avrebbe invece dovuto indagare le ragioni di quel fallimento del Centro del Libro Popolare, e non imputarlo semplicisticamente a una sorta di tradimento politico. Il Centro si era costituito nel 1949; era strettamente collegato al Partito Comunista, e finanziato dal servizio di diffusione della stampa comunista. Aveva lo scopo dichiarato di costituire « biblioteche popolari rurali, scolastiche, carcerarie, comunali, nei circoli politici, nelle fabbriche, nei centri ospedalieri, nelle cooperative, in tutti gli ambienti e presso tutte le collettività popolari ». Qualunque tecnico, chiunque si sia occupato di biblioteche e di strumenti dell’informazione e dell’autoeducazione permanente, sarebbe in grado di indicare le mille ragioni per cui un progetto del genere —quello sì veramente faraonico e confusionario — non poteva che fallire. Ma il Petrucci non cerca questa spiegazione, a lui brucia soltanto che da quel tentativo non sia uscito « un modello di biblioteca e di centro di diffusione della cultura che fosse nuovo e diverso dagli altri, e soprattutto alternativo a quello che gli addetti ai lavori proprio allora stavano importando d’oltre Atlantico insieme con gli aiuti del Piano Marshall: rispetto cioè al mito tutto anglosassone della public library ». A parte il fatto che il modello della Public Library era già noto da 144 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA decenni, e il Petrucci lo sapeva dagli studi altrui; a parte l’allusione al Piano Marshall che sembra suggerire chissà quali colpevoli collusioni col nemico, è però interessante sottolineare che il Petrucci, mentre condanna la Biblioteca pubblica, è però alla ricerca di un modello alternative. Ma, come non l’ha trovato nell’iniziativa di partito, così deve constatare che il modello alternative non gli viene offerto neppure dalle Regioni. Lo seguiamo mentre ne passa in rassegna l’operato con crescente riprovazione. La Toscana ha svolto sì un’azione, e ha elaborato una legge regionale, ma « l’unico orientamento fu quello teso ad ampliare e a potenziare i consorzi provinciali di lettura e la circolazione del libro tramite le reti di prestito », e neppure la specifica proposta di legge del 1975 « non contiene novità di rilievo ». Dell’EmiliaRomagna non dice quel che pensa, ma « se si esamina l’attività legislativa di altre Regioni, si ricava l’impressione di una generale tendenza a confermare gli orientamenti e gli istituti consolidati.., senza proporre alcuno sforzo di innovazione o alcuna prospettiva globale di intervento ». Non diversamente si comporta la Lombardia. Non diversamente la Puglia cui anzi rimprovera di avere regolamentate l’istituzione e il funzionamento dei sistemi bibliotecari. Insomma egli deve riconoscere con dolore che neppure le Regioni hanno proposto un modello alternative, e invece: « si limitano a gestire gli istituti esistenti e applicano ad essi gli schemi fallimentarmente consolidati (come ci si possa consolidare se si è fatto fallimento!) della public library e del sistema reticolare ». Poiché adesso è chiaro che un modello alternative alla public library non è stato ancora proposto, poiché è anche chiaro ormai che il Petrucci rifiuta la nostra « biblioteca pubblica », sembra evidente che spetti ormai a lui dirci finalmente, nelle ultime 20 pagine, se lui almeno ha un’idea di questo modello, in altre parole qual’è il modello che ci propone nel momento stesso in cui rifiuta e maledice il nostro. Mi dispiace di dover dire che questo modello il Petrucci non lo offre alla nostra impaziente attesa. Tuttavia io mi son data carico coscienziosamente di individuarne almeno le linee generali, ed ora vi dirò quel che ho trovato. Dice il Petrucci, verso la fine della sua argomentazione, che « le sempre più estese masse proletarie che partecipano, attraverso la lotta politica, all’elaborazione di forme di cultura nuova, costituiscono un pubblico potenziale privilegiato già capace di per sé di appropriarsi del libro come strumento di acculturazione e di gestirne la diffusione e la distribuzione attraverso la rete di « luoghi politici » che le masse stesse controllano e in cui svolgono funzione egemone come classe: consigli di fabbrica e di zona, Case del popolo, Camere del lavoro, Cral aziendali, circoli e associazioni democratiche, istanze di base variamente organizzate, ecc. ». Ecco dunque il 1° modello alternative: da un lato la Biblioteca pubblica da noi teorizzata, attuata e difesa, un istituto di tutta la comunità, affidato a tecnici, collegato in un tessuto, mantenuto con le tasse, un istituto che il Petrucci accusava di classismo; dall’altro lato una polvere di piccoli nuclei, non si sa bene da chi 145 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ gestiti e come, ma comunque destinati a servire la « funzione egemone di una classe ». Ho detto che non si sa bene da chi gestiti e come perché lo stesso Petrucci afferma: « Non è certamente possibile in questa sede, e nella fase iniziale prospettare un modello di tale nuova istituzione ». Veramente nuova non sembrava a me, anzi paurosamente simile alle biblioteche popolari di fine secolo, almeno a quelle volenterosamente create dalle società di mutue soccorso e dalle cooperative, e comunque similissime a quelle del Centro del Libro Popolare, abbandonate dal Partito Comunista nel ‘54. Ma per il Petrucci: « E evidente che un tale processo essenzialmente politico, potrà e dovrà svilupparsi soprattutto mediante l’istituzione di centri polivalenti di diffusione del libro completamente di tipo nuovo rispetto al tradizionale modello di biblioteca classista e selezionatrice che tutti abbiamo conosciuto ». Insomma o dobbiamo ammettere che il Petrucci abbia voluto dirci « son nuove perché son nuove », o dobbiamo continuare a cercare dove sia l’elemento dirimente, l’elemento di novità, l’alternativa. E finalmente io credo di averlo trovato. Rifiutando di richiamarsi, anche solo a scopo di confronto, alle vecchie esperienze operaistiche di fine secolo, l’autore elenca una serie di nodi, diciamo di problemi che « sarebbe necessario risolvere prima di porre mano a qualsiasi iniziativa globale nel campo della diffusione del libro e della pubblica lettura ». Ebbene, uno di questi nodi, il solo che non ricorra abitualmente nella problematica della Biblioteca pubblica (gli altri sono il finanziamento, il personale e simili), il solo è: « la scelta di un messaggio politicoideologico univoco ». E così finalmente sappiamo che il sogno vagheggiato dall’autore è quello di costruire in tutto il paese, con il denaro pubblico, non biblioteche pubbliche ma biblioteche di parte, intese all’affermazione e alla difesa di un solo e univoco messaggio politico-ideologico. Così si spiega che, per esempio, in un altro punto del libro egli avesse già rimproverato alla biblioteca pubblica « la tendenza ad accogliere la generalità della produzione editoriale ». Ecco il piano inclinato che dalla Biblioteca pubblica porta alla biblioteca di Petrucci, e dall’impegno critico, dal diritto democratico all’accesso all’informazione porta all’indottrinamento, alla censura contro chi non pensa come noi, e contro gli editori che osano stampare ciò che a noi non piace. E stato abbastanza faticoso; ma adesso i termini del problema sono chiari adavanti a noi, e dunque la scelta è divenuta facile. Io scelgo, con più convinzione di prima, la Biblioteca pubblica. Eppure non tutto in questo libro mi è dispiaciuto. Ho trovato per esempio molto bella la copertina: spiritosa, efficace. Solo mi viene il dubbio che quel bracconiere abbia un nome che ormai conosciamo. E in realtà, se il messaggio da trasmettere deve essere uno e uno solo, se possediamo già la verità, a che servono i libri! Come il califfo Omar, bruciamo la biblioteca di Alessandria. Tant’è, se i libri dicono quello che dice il Corano sono inutili, e se dicono cose diverse da quello che dice il Corano sono dannosi. 146 da s. a d.: prof. PETRUCCI, prof. BALBONI, dr. CELUZZA, dr. DE GREGORI, dr. VINAY ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ INTERVENTI AL DIBATTITO Dott. Prencipe della Biblioteca Civica di Manfredonia: Io cerco di capire anche dal discorso che ha fatto la CARINI. Che cosa è l’imparzialità per un bibliotecario? Vivo a Manfredonia che che ha 50.000 abitanti; ebbene la mia biblioteca viene frequentata in media da 40-50-60 ragazzi che vengono a fare quelle ricerche famigerate cioè a copiare le famose dieci righe dell’enciclopedia e quindi usando la biblioteca in un modo assolutamente distorto. Oltre questi 50-60 ragazzi che tutto fanno fuorché ricerca vi sono alcuni professori, alcuni dei corsi abilitanti, ecc, che conducono delle ricerche per conto loro. Ebbene dei 50.000 abitanti quindi non viene quasi nessuno; soltanto ogni tanto viene un vecchietto che chiede I reali di Francia. Eppure dico Manfredonia è una realtà che si evolve continuamente ogni giorno, è una realtà in cui sta nascendo una classe operaia attraverso l’ANIC ecc, e in questi giorni, da mesi va avanti per esempio un comitato disoccupati - organizzati sono presenti problematiche industriali. Eppure la biblioteca non viene usata.La biblioteca ha una vasta gamma di libri che potrebbero servire allora dunque questa è una biblioteca parziale e pur essendo d’accordo per una biblioteca pubblica vedo che è una biblioteca parziale perché serve questi 60 ragazzi e serve qualche sparuto, qualche moglie di professore che viene a chiedere il romanzo di Cassola però nel quartiere non fa nessun discorso, per gli emigranti non fa nessun discorso ed è in questo ambito che io comprendo il discorso del dott. Petrucci cioè della scelta di campo. A questo punto non si pone più il problema della parzialità o imparzialità del bibliotecario. Il bibliotecario serve la comunità e questi centri di aggregazione della cultura sono gestiti collettivamente e solo così mi sembra che si possa superare questo falso mito dell’imparzialità del perché non viene mai l’emigrante o moglie di emigrante se la biblioteca facesse dibattiti e producesse cultura e interessi nella comunità. Prof. GIANCASPERO: Cercherò di essere breve. Salendo mi sono proposto proprio questo primo di non leggere, di non leggere e cosa il prezzo non perché sia esorbitante ma perché speravo di trovare sulla copertina sul retro la parola omaggio. Non lo ho trovata. Che significa questo? Io penso che quando si presenta un libro proprio per invogliare alla lettura, alla pubblica lettura gli autori potrebbero tagliare così una briciola, cento, duecento copie in omaggio non sono niente di fronte alla diecimila, ventimila, trentamila che poi in seguito vengono vendute. E' una proposta lanciata sotto forma di battuta anche per vivacizzare un po’ il pubblico; ma c’è una seconda proposta che vorrei lanciare. Io sono soltanto un insegnante di scuola elementare non m’intendo di biblioteche ad ogni modo noto che se c’è un vuoto di rapporto, se manca 148 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA questo rapporto tra la scuola e la biblioteca in parte è dovuto al fatto che una normativa scolastica molto capricciosa impedisce alla scuola stessa e agli insegnanti di avvicinarsi alla biblioteca con una certa tranquillità, con un certo spazio anche appunto di tempo per effettuare anche quelle famigerate ricerche. Io ho insegnato anche a Manfredonia e ho notato una ventata di ripresa che vorrebbe la popolazione manfredoniana realizzare. Ora la conclusione è che perché non creare una figura che sia ecco un ponte tra la scuola e la biblioteca una figura di personaggio che abbia un ruolo di ponte, di congiunzione in poche parole dove la montagna non può andare da Maometto, è Maometto che ci va alla montagna. Mi è sembrato poco prima di aver capito che la funzione della biblioteca non deve essere soltanto quella di supporto scolastico. Come ha scritto Vittorio Rossi nell’ultimo libro « Il cane abbaia la luna » già il libro entra nella scuola grazie ai professori, voleva dire i professori così in senso generico, cioè è già molto che il libro entra a scuola perciò è già che la biblioteca abbia tra gli altri anche questo ruolo di supporto scolastico, supporto non nel senso deteriore della parola ma come stimolo appunto alla lettura stessa. Bibliotecario di Carapelle Sig. MANZOLILLO: Parlando la Sig.ra Carini, mi sono ricordato di un congresso a Roma nel 1970 (1969-70) dove dissi che nella mia biblioteca di Carapelle feci un’assemblea di braccianti in sciopero e la signora si scandalizzò. Sono d’accordo con la relazione che ha fatto il dott. Petrucci che la funzione della biblioteca è questa. Cioè io ho fatto un’indagine a Foggia per sapere dalla gente che cosa è veramente questa benedetta biblioteca. Che cosa è. Sono stato al quartiere residenziale, poi in centro e così in un’altra parte verso il rione dei Preti. Beh quei ragazzi che erano muratori, manovali, ecc. mi hanno risposto quando io ho chiesto che cosa è la biblioteca? Tu ci vai qualche volta? Certi mi ridevano in faccia quando io gli chiedevo se andavano in biblioteca o meno. Poi passando quì in centro dove abita una certa Foggia diciamo così borghesina insomma. Mi rispondevano che la biblioteca è un doposcuola. R. GIAMPIETRO: Sono rimasto colpito — come ognuno dei presenti, credo — dalla coerenza brillante dell’intervento della dott.ssa Carini. Abbiamo ascoltato una serie impressionante di obiezioni e di affermazioni critiche nei confronti del volume di Petrucci, che hanno in comune tra loro, peraltro, una caratteristica sulla quale — io credo — è utile ancora qualche riflessione. A fronte della nostra esperienza quotidiana di operatori della cul- 149 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ tura, di bibliotecari, ma aggiungerei anche di cittadini, e quindi a fronte di una esperienza concreta che ha a che fare con realtà corpose di fatto, la dott.ssa Carini ci ha invitato a considerare, valutare e infine ad opporre al libro di Petrucci — un libro, non dimentichiamolo, di storia dei lotti bibliotecari — alcune assunzioni di principio, alcune proposizioni normative, in una parola, una ideologia o, come dicono gli inglesi, una ‘filosofia’ di quel fondamentale strumento dì appropriazione dì massa della cultura che è la biblioteca pubblica. Dall’intervento della dott.ssa Carini, insomma, oltre e dietro le pur numerose sue precisazioni storiche, abbiamo appreso fondamentalmente, tuttavia, ciò che, in una sorta di « linea di diritto », la realtà dovrebbe essere. Tuttavia, le cose stanno altrimenti; le cifre della pubblica lettura sono altre e ben peggiori degli esiti desumibili dalla pura coerenza interna del « modello »: né ci è detto come ciò, abbastanza paradossalmente, avvenga. A questo punto, per evitare la sterilizzazione repentina del nostro dibattito, dovremmo, — credo — uscire da una mera logica contrappositiva difatti, negativi quanto incontestabili, e valori o categorie necessariamente di per sé vuote, per seguire, anche oltre ogni inutile conflitto di ideologie, una via diversa: probabilmente, una via più « profonda » nel senso che essa forse ci consente di andare alle radici meno « ovvie »e meno facilmente riducibili ad una contraddizione speculare dei termini del discorso. Intanto, una prima domanda: piuttosto che chiederci se la ideologia della « public library » è in sé democratica, progressiva, ecc. — il che, in certa misura, è indubitabile — non dovremmo piuttosto chiederci perché, pur in presenza di una battaglia per l’egemonia tra modelli bibliotecologici, alla fine anche in Italia vinta dalla « filosofia » della biblioteca pubblica — i fatti non sono granché cambiati? L’invito, vale a dire, da parte mia, è ad una storicizzazione integrale di quella ideologia, da operarsi radicandone il « modello » in una concreta esperienza storica della pubblica lettura, in cui essa diviene « fatto » tra i « fatti », — anche al fine di evidenziare un suo « insospettabile » e forse inatteso ruolo e funzionalità storica: e va aggiunto — rispetto ad uno specifico assetto dei rapporti sociali ed a una specifica modalità storica di appropriazione della cultura. Ora, mi pare che proprio operando questo tipo dì «riduzione », che potrete chiamare, se vorrete, di storica sociale o di semplice individuazione critica della « fortuna » di un concetto — in questo caso, di una teoria vera e propria — si incontrino delle « sorprese ». Non credo casuale che proprio lo iato, ovunque realizzatosi, anche se in diversa misura, tra « ideologia » della biblioteca pubblica e realtà storica della sua « fortuna » effettiva, operativa, sia all’origine di una crisi di identità che oggi tocca persino la categoria più insospettabile dei paladini della « public library »; alludo agli operatori, nonché agli 150 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA storici ed agli studiosi della biblioteca pubblica che più di tutti noi apprezziamo: quelli dell’area anglosassone. In un articolo apparso di recente nella rivisita dell’associazione professionale americana, il « Library Journal », nel settembre ‘73, dal titolo ma soprattutto dal sottotitolo eloquenti (« The purpose of the american public library.A revisionist interpretation of history »), Michael Harris, dell’università del Kentucky, ha riassunto efficacemente le tesi di una sua più ampia ricerca, il cui senso generale è il seguente: nella patria per lo meno seconda — gli Usa — della « public library », ci sono molti elementi storici, di fatto, per ritenere alquanto « sospettabili » sia la « neutralità » del ruolo storico-culturale assolto dai bibliotecari come dalla biblioteca pubblica/istituzione, sia, soprattutto, la genuinità del disinteresse di classe dei celebri suoi Padri Pellegrini e Fondatori, della specie di un Carnegie. Mentre la dott.ssa Carini, ricorrendo improvvisamente e sorprendentemente ad un determinismo sociologico non esplicitate, ci diceva che la biblioteca pubblica, alla fine, è avanzata e democratica perché espressione e quasi rispecchiamento di una società borghese in cui la classe operaia assume il ruolo di protagonista storico, il ricordo della tesi di Harris mi ha fatto riflettere che ,se ciò è parzialmente vero, è altrettanto e forse più vero che, entro la reale dialettica sociale innescata da questo fenomeno « macrostorico », proprio la diversa, più avanzata dinamica di classe della società capitalista ha probabilmente indotto la produzione storica, da parte dei ceti dominati, della originaria « public library » come occasione preziosa di contenimento ideologicoculturale — direi, con termine non causale — di un « roll-back » non propriamente democratico e progressivo delle nuove spinte sociali; nella più benevola delle versioni, è questa la nascita di una pedagogia paternalistica di « recupero e controllo » di massa, al fondo autoritaria invece che promotrice di autentica fruizione critica. Come spiegare altrimenti — ed ecco una « sospettosa » altra mia adesione alle « spie » della storia — la problematica lunga e non esaltante della censura e dell’autocensura dei bibliotecari, non a caso anch’essa ricordata ampiamente da Harris, anche nell’aria nuova, aperta a tutti e « democraticissima », della « public library »? Non c’è « pruderie » vittoriana che tenga, qui, a spiegare il fatto: per « educare » la « bruta violenza » operaia, il maggior pericolo, per i tutori del mondo come Carnegie, non era una qualche « genere proibito », ma il genere di letture, appunto del mondo, che potevano fare i Sacco e i Vanzetti. Solo storia di ieri? Direi proprio di no, anche se oggi è da leggere in diversa angolatura. L’anno scorso, a Liverpool, mi è capitato di frequentare il terzo seminario europeo di quel Politecnico, dedicato alla biblioteca pubblica ed ai temi dell’educazione permanente. Nella patria prima della « public library », ho potuto ascoltare relazioni che convergevano, di fatto, nella denuncia di quella crisi teorica e storica cui accennavo. Ricordo, ad esempio, lo splendido intervento di Janet Hill, responsabile dei « Lambeth Amenithy Services » di Londra, e il 151 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ suo appassionato, « incredibile » modo di « distruggere » la biblioteca pubblica ‘obiettiva e neutrale’ (di cui or ora disegnava gli improbabili profili la dottoressa Carini) con la pratica sperimentale dello « outreac » — della fornitura, cioè, di servizi di pubblica lettura e di socializzazione effettiva di essi fuori del tempio bibliotecario, nella sede di destinazione sociale primaria, fra i sottoproletari neri, portoricani, italiani di Londra. Chiediamoci ora: cosa c’è, al di là dei risultati (per ora, si dice, insufficienti), al di là della precarietà « teorica » di questa ferita apertasi all’interno dello stesso connettivo della già così compassata « librarianship » inglese? Anche l’« outreach » è un indizio — mi pare — ancora una volta di un fatto, che non è possibile esorcizzare con nessuna « modellistica » della democrazia formale, anche in sede di pubblica lettura: per tutti i segmenti e gruppi sociali, ma soprattutto per coloro che sono fuori dei canali egemoni della comunicazione sociale e della circolazione dei beni culturali, la domanda di cultura non nasce e si insedia né dove la cultura e l’informazione si producono né dove — ed a maggior ragione — se ne opera la trasmissione « sociale ». Credo proprio che sia ancora tutto da dimostrare questo strano, « robinsoniano » concetto di individuo, ripropostici dalla dott.ssa Carini, il quale, pur privo di un suo « linguaggio », di una sua educazione alla lettura, riesca perciò stesso (non è dato saper come né perché) a provarne il bisogno, a sentirsi « motivato » e bell’e disposto alla democratica azione dell’« oggettivo » bibliotecario pubblico ». Senza scomodare l’« uomo simbolico » di Cassirer, d’altra parte, non è certo difficile ammettere che non esiste un uomo senza « simboli », senza cultura, senza concrezioni « intelettuali ». Ma quali? Di quale segno e genesi storica, e titolo culturale? Ecco — intrecciato agli altri — un nuovo tema, oggi sempre meglio, finalmente, affrontato: le hanno, certo, quelli che non vanno nella biblioteca, le loro motivazioni culturali, la propria cultura e la propria domanda di verificarla; ma non è proprio questo segno alternative di cultura che oggi è confuso e, — come da noi consueto — assurdamente disperso e dissipato, da una strutturazione « pubblica » delle istituzioni e della circolazione culturale che, non curandosi del recupero della vecchia, elude il compito storico di fornire una nuova autentica cultura, davvero democraticamente e pubblicamente gestita? In questo quadro, certo non univoco né definito di presenze storiche, è forse solo un primo, inevitabile passo il prendere almeno atto che esiste, entro quella generale, anche una crisi, probabilmente salutare, dell’ideologia della biblioteca pubblica, di cui soprattutto per « altre », « nostre » ragioni si dovrebbe far conto qui, in Italia, in un Paese in cui ben più che in Inghilterra o negli Stati Uniti sussistono le ragioni di fondo per cui l’asetticità del modello « classico » di biblioteca pubblica segna il passo. E quando, per altro verso, si parla di « parzialità », di scarsa ogget- 152 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA tività, di « asimmetria », dèmoni della violazione di libertà, io credo che, al di là della specifica valutazione — contestuale o di merito — di singoli, specifici problemi o vicende storiche — si corra il rischio di dimenticare altre, grandi questioni: le fondamentali, a mio parere, e cioè che, ad esempio, una parzialità, una scarsa obiettività, una asimmetria gravissime abitino non nei cervelli dei bibliotecari faziosi né nelle pure stanze ideologiche della istituzione bibliotecaria, ma nella realtà storica delle corpose pratiche di egemonie sociali. Anche se è forse vero che è democratica, con bella classicità moderna, l’ideologia della biblioteca pubblica, che cosa è, se non ineguale, discriminata ed emarginata la realtà dei suoi effettivi, o meglio, « potenziali » utenti, individuali e di massa? Temo proprio che tra ideologia democratica e povertà dei fatti, siano questi ultimi i più duri: duri come la realtà di tante nostre grandi e piccole biblioteche, pubbliche cattedrali nel deserto, o come le cifre di certe statistiche recentissime della pubblica lettura e della alfabetizzazione primaria — si badi bene — della situazione non italiana ma inglese. Bisogna allora ricominciare tutto daccapo, buttare alle ortiche la biblioteca pubblica? Tutt’altro. Direi che dovremmo, invece, e con forza e fantasia politica adeguate, sposarla davvero, farla nostra sul serio l’idea-chiave della biblioteca pubblica, trasformarne la struttura teorica (si pensi solo alla grande questione di democrazia reale che ci pone il tema della sua gestione sociale e pluralistica, o all’altra determinante dimensione aperta dei rapporti con il territorio), ma soprattutto batterei perché si traduca in realtà concrete e socialmente vissute in prima persona. Nè si tratta, per giungere a ciò, di passare inevitabilmente per le angustie ideologiche sterili del settarismo: come già si ebbe modo di chiarire in un altro nostro incontro con la Dott.ssa Carini, non c’è luogo per opposizioni polari tra obiettività e non obiettività, tranne che in situazioni di arbitrio bibliotecario e intellettuale che — non a caso! — sono possibili solo in situazioni di latitanza o di assenza di una gestione sociale, controllata dal basso, della cultura e della sua diffusione. Capovolgerei, semmai, il piano argomentativo scelto dalla dott.ssa Carini; senza tema, con ciò, di fare un cinico gioco verbale, direi che è bene, che bisogna essere parziali e non obiettivi, nel senso ben specifico che tali bisogna essere se già il nostro interlocutore sociale — non certo quello individuale ed astratto — lo è, ed ampiamente, perché non obiettiva e parziale è la sua collocazione di classe e culturale; se addirittura egli non « esiste », e bisogna farlo esistere, là, nel suo « luogo storico »dove c’è solo la sua assenza, egli che pure è titolare di diritto uguale negli strumenti di emancipazione sociale e civile. Gli inglesi, maestri d’eufemismo, usano per questo genere di uomini il termine « underprivileged ». Con qualche avventurosìtà storico-semantica, provo a dire che in 153 ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA_____________________________ questo termine si cela una traccia di analisi storico-sociale che sconfigge, significativamente, ogni piattezza categoriale dell’idea di democrazia formale e della sua biblioteca, restituendoci una articolazione drammatica che sa di realtà, non di ideologia. Se qualcuno mi volesse obiettare che sto parlando, contraddittoriamente, di una nuova « obiettività parziale », sarei tentato di inviarle, infine, al dibattito che proprio in questi giorni si è aperto sul tema della neutralità della scienza, a proposito del contributo di Cini « L’Ape e l’architetto »; non lo faccio, se non per avvertire noi tutti che, oltre gli esiti di quel dibattito come del nostro di oggi, non è certamente di problemi caratterizzati da qualche passione narcisistica per l’intelletto, ma di una sostanziale, nuova fiducia in un altro tipo di ragione che abbiamo forse bisogno. Grazie. REPLICA PETRUCCI Sarò brevissimo, perché quanto dovevo dire l’ho scritto a chiare note nel libro di cui qui si discute, per cui tutte le risposte che dovrei dare sono scontate. Si tratta di un libro certamente spiacevole, un ma organico, che non si può tagliare a pezzi, come ha fatto la dott.ssa Carini - Dainotti, cui va peraltro la mia gratitudine per avere aperto e reso vivace il dibattito; non lo si può tagliare a pezzi nel senso che alcune delle affermazioni, che isolate potrebbero apparire immotivate, trovano poi giustificazione in altre pagine o in altre parti del libro stesso. Devo dare atto alla Carini - Dainotti della sua assoluta coerenza con un progetto culturale da lei portato avanti con decisione per decenni; ma è un progetto con il quale non sono e non sarà mai d’accordo. Confermo « in toto » il giudizio sull’opera di Bonghi e di Narducci, due personaggi che portano intera la responsabilità del fallimento della grande Nazionale romana. L’ultimo capitolo del mio libro sarebbe dunque utopistico. Ma io credo che il più bell’elogio dell’utopia l’abbiamo sentito recitare stasera per bocca della dott.ssa Carini - Dainotti; Non c’è utopia che sia più utopistica di quella di una « public library » in una società di classe, distorta e crudele come quella nella quale viviamo; nel modello di una biblioteca in cui tutti possono entrare e di cui tutti possono usufruire, quando abbiamo sotto gli occhi le distorsioni che condizionano il livello culturale della stragrande maggioranza dei cittadini. Non è con l’iniezione forzata di libri che si creano i lettori; i lettori devono crearsi da sé, e lo faranno quando avranno acquisito la coscienza politica del loro riscatto, che non può non essere anche riscatto culturale. Voglio chiudere ricordando due libri, uno dei quali ha avuto scarsa fortuna, mentre l’altro, tradotto di recente in italiano, ne avrà probabilmente di più, anche per il nome assai noto dell’autore: il primo è 154 _____________________________ORGANIZZAZIONE BIBLIOTECARIA E PUBBLICA LETTURA IN ITALIA costituito da un’inchiesta condotta nel 1964 sulle letture dei romani da Simonetta Piccone Stella e da Annabella Rossi e si intitola: La fatica di leggere; l’altro, di Robert Ecarpit, porta il titolo di La fame di leggere. Ebbene io credo che il messaggio di fondo che può scorgersi nel libro mio e di Giulia Barone sia riassumibile nella speranza che per le moltitudini oggi escluse dalla cultura scritta assai presto « la fatica di leggere » possa trasformarsi in « fame di leggere ». 155 NOTA SUL VILLAGGIO NEOLITICO SCOPERTO AL CENTRO DI FOGGIA Nel settembre 1977, durante i lavori di scavo per l’impianto di un tratto della nuova rete fognante, sono venute in luce, nel centro di Foggia, le strutture di un villaggio neolitico. Esse sono state rilevate lungo la trincea (larga m. 3, profonda m. 5,50, e lunga m. 180) che percorreva tutta via B. Pinerolo, a partire dall’ingresso Sud della Villa Comunale. Ma pare che esse siano state viste, dagli operai che eseguivano i lavori, anche nel tratto che attraversava la Villa, già coperto al momento del mio intervento. Le strutture, canaletti fossati e sacche terrose, erano intagliate in un banco alluvionale costituito da ciottoli inglobati in argille giallastre. Il loro riempimento era molto sciolto, di colore bruno scuro e, in alcuni punti, molto carbonioso. Sono state individuate nove strutture (Tav. I): Struttura A: ancora all’interno del perimetro della Villa; presente sui due lati della trincea, a forma di grande sacca. Sul lato est era vis ibile per m. 16 ed era profonda nei punti massimi m. 4; il riempimento era interessato da lenti biancastre, forse livelli evaporitici. Sul lato ovest dove era ancora visibile interamente, misurava m. 39 di lunghezza e m. 2,50 di profondità. Struttura B: dista m. 8 dal termine di A, presente solo sul lato ovest della trincea; con sezione semicircolare, larga m. 7 e con profondità massima di m. 2,30. Struttura C: dista m. 4 dal termine di B, sempre sul lato ovest; sezione a losanga, lunga m. 3, profonda m. 1,30. Struttura D: dista m. 15 dal termine di C; ancora sul lato ovest; sezione rettangolare, larga m. 3,20 profonda m. 1,20. Struttura E: dista m. 37 dal termine di D; presente sui due lati della trincea; sezione sub-triangolare, larga m. 5, profonda m. 4. Sul lato ovest è spostata di m. 1,40 verso sud rispetto all’altra. Struttura F: dista m. 19 da E; sul lato est della trincea; a sezione di cilindro, larga m. 1,80. La profondità esatta non è nota perché proseguiva oltre il fondo della trincea. Potrebbe trattarsi di un pozzo. 156 ____________________________NOTA SUL VILLAGGIO NEOLITICO SCOPERTO AL CENTRO DI FO GGIA Struttura G: dista m. 41,50 dal termine di F; presente sui due lati ed in entrambi con sezione rettangolare, larga m. 1,70 e profonda m. 2,40. Anche in questo caso si nota uno spostamento di quella ovest di un metro verso sud. Struttura H: dista m. 33 dal termine di G; sul lato est della trincea; sezione ad U, larga m. 4,10, profonda m. 3,30. Struttura I: presente sui due lati della trincea. Lato est: dista m. 6,80 dal termine di H; sezione a trapezio capovolto, larga m. 5; profonda m. 3,20. Lato ovest: sezione ad U, larga m. 4,60, profonda m. 3,60, spostata di m. 2,20 verso sud rispetto all’altra. Tutte le strutture descritte iniziano direttamente al di sotto della massicciata del manto stradale. Probabilmente, all’epoca della costruzione della strada, fu eseguito uno sterramento per livellare il terreno. Quindi, le profondità sono da ritenersi inferiori alle reali. I reperti archeologici sono stati in gran parte recuperati da un sommario esame del terreno di risulta dello scavo, già trasportato ad una discarica nei pressi del Cimitero di Foggia. Solo un limitato numero di essi è stato raccolto lungo le sezioni delle strutture, prima che esse venissero ricoperte, e tra questi lo scheletro di un bambino, il cui cranio affiorava sulla parete della struttura B, a pochi centimetri dal manto stradale. In queste condizioni non è stato possibile accertare alcuna stratificazione dei resti, né, d’altra parte, si è potuta osservare alcuna particolare distinzione dei tipi ceramici nelle singole strutture. Pertanto, i reperti vengono qui presentati tipologicamente e verranno inquadrati cronologicamente sulla base di quanto già noto sulla sequenza delle culture neolitiche del Tavoliere (Tinè, 1975). Le ceramiche decorate Si possono dividere in tre classi: a) ceramiche impresse; b) ceramiche dipinte tipo Masseria La Quercia; c) ceramiche figuline dipinte a bande rosse, tipo Passo di Corvo. Le decorazioni impresse (Tav. II) riguardano n. 11 frammenti e variano dall’impressione a tacche e unghiate all’incisione a crudo con motivi a solchi, a segmenti, a chèvron. I frammenti appartengono a vasi d’impasto grossolano, con pareti spesse da mm 9 a mm 19. Frequente il motivo a rocker, eseguito su ceramica di impasto più depurato, pareti spesse da mm 4 a mm 9, con superfici levigate e talvolta associato alla decorazione dipinta nello stile di Masseria La Quercia. (Tav. II, 5, 6). La decorazione dipinta tipo Masseria La Quercia interessa n. 23 frammenti (Tav. III), ancora di impasto, ma con superfici accuratamente levigate e spesso lucide; lo spessore delle 157 LAURA SIMONE_______________________________________________________________________________ pareti varia da mm 4 a mm 9. Sono presenti motivi a tratteggio obliquo, rombi e triangolo campiti a reticolo. Le decorazioni interessano spesso anche l’interno del frammento e i colori di queste variano dal rosso al bruno scuro, mentre il fondo è color camoscio. Le forme riconosciute sono ciotole, fiaschi e orcioli. La ceramica figulina tipo Passo di Corvo è presente con n. 182 frammenti. Le pareti sono sottili da mm 2 a mm 7, le superfici accuratamente levigate, il colore di fondo varia dal giallino, al camoscio all’arancio scuro. In questa classe sono riconoscibili: ciotole profonde, ciotole a calotta sferica, fiaschi a collo basso e indistinta, orcioli e ollette a collo distinto (Tav. IV). Degno di menzione particolare un frammento di ciotola a scomparti (Tav. V, 4), che conserva sia una porzione di parete che una del diaframma divisorio. Inoltre un frammento circolare, forato al centro e decorato con una banda rossa (Tav. V, 2) trova confronti a Passo di Corvo (Radmilli, 1975), a M. Aquilone (Manfredini, 1972), Ripoli (Cremonesi, 1965) e nel neolitico antico della Tessaglia (Weiberg, 1965) e può essere interpretato o come un pendaglio o, più probabilmente, come una fuseruola. Classe della ceramica bruno-levigata In questa classe, presente con n. 590 frammenti, gli impasti sono ben depurati, lo spessore delle pareti varia dai 12 ai 3 millimetri, le superfici quasi sempre levigate a stecca e spesso lucidate. Le forme presenti sono; ollette con collo distinto, ciotole profonde, ciotole con orlo lobato, ciotole con carena a spigolo acuto, ciotole con carena arrotondata, ciotole con orlo ingrossato all’interno, ciotole a calotta sferica. (Tav. VI). Un orciolo globulare (Fig. 1) quasi integro, proviene dalla struttura E. Infine, due frammenti particolari: il primo è un piede di rython (Tav. V, 1), ha evidenti segni di steccature e conserva una bugnetta sulla parte anteriore. Un terzo della circonferenza del lembo superiore è costituito da un bordo finito. L’altro frammento fa parte del diaframma interno di una ciotola a scomparti (Tav. V, 3). Industria litica Gli strumenti, talvolta frammentari, sono in selce e ossidiana. Sono presenti lame, e lamelle a sezione trapezioidale, raschiatoi su scheggia e grattatoi su lama (Tav. VII). Complessivamente, tra strumenti e schegge, si sono recuperati n. 31 esemplari. Si sono rinvenuti anche frammenti di macine. Resti umani Sono stati riconosciuti resti di crani umani appartenenti a sette individui tra cui un bambino. Alcuni presentavano tracce di combustione, avvenuta probabilmente in momenti successivi alla sepoltura. 158 ____________________________NOTA SUL VILLAGGIO NEOLITICO SCOPERTO AL CENTRO DI FO GGIA Inoltre, come già detto, nella struttura B, all’estremità sud di questa e a pochi centimetri dal manto stradale, è stata rinvenuta una sepoltura di bambino di circa otto anni (Fig. 2). Lo scheletro era in posizione fortemente contratta, adagiato sul fianco sinistro, orientato in direzione Est-Ovest e con il volto rivolto a sud. Altre ossa umane sono state riconosciute mescolate nel terreno di riempimento ed associate in modo caotico con frammenti ceramici ed ossa animali. Resti faunistici Da un esame sommario dei resti recuperati, la fauna risulta costituita in prevalenza da ovini e suini, con scarsa presenza di bovini. Quasi tutte le ossa sono spezzate e quantitativamente ammontano ad alcune centinaia di esemplari. CONCLUSIONI Se per alcune delle strutture rilevate è al momento difficile individuare la funzionalità, per altre (E-G-I) è verosimile pensare che si tratti di fossati con andamento curvilineo e, pertanto, ritenere G, per le sue modeste dimenisoni, un fossato a « C », ed E-I ipotetici fossati di recinzione del villaggio. La ceramica recuperata indica due fasi di occupazione del villaggio, anche se, come si è detto, non è stato possibile in questa occasione accertare quali strutture siano state utilizzate in una fase piuttosto che nell’altra. Per una cronologia assoluta dello stanziamento, ci si deve valere delle date al C 14 fornite da altri scavi nel Tavoliere: 5050 ± 100 a.C. e 4590 ± 65 a.C. per la fase di Masseria La Quercia al Villaggio Scaramella di S. Vito (Cortesi e altri, 1969) e 4190 ± 120 a.C. per quella di Passo di Corvo nel sito eponimo (Alessio e altri, 1976). Nessuno degli elementi archeologici posseduti induce a spingere più indietro la data della prima occupazione del sito: infatti, la scarsa ceramica impressa, per la sua genericità, si può riferire alla fase Masseria La Quercia, tanto più che alcuni frammenti di essa portano unite la tecnica ad impressione e quella dipinta tipica di quest’ultima fase culturale. L’abbandono del sito, invece, tenuto conto della data (3650 ± 70 a.C.; Cortesi e altri, 1969) della facies individuata alla Scaloria Bassa e ritenuta immediatamente successiva a quella di Passo di Corvo, può essere anche posto nell’ambito della prima metà del IV mill. a.C. Per quanto riguarda i frammenti di vasi e scomparti, essi trovano confronto in un unico esemplare proveniente dal Villaggio di M Aquilone, attribuibile alla cultura di Masseria La Quercia, in ceramica bruno levigata (Manfredini, 1972, Fig. 14, 16). E’ comunque difficile dar loro una attribuzione certa al primo periodo del nostro villaggio poiché quello di ceramica figulina fa propendere per una attribuzione alla fase di Passo di Corvo. 159 LAURA SIMONE_______________________________________________________________________________ Il piede di rython è altrettanto difficilmente collocabile, dal momento che i vasi polipodi sono presenti, anche se sporadicamente, in tutte le fasi culturali di quest’area geografica, da quella del villaggio di Rendina nei pressi di Melfi in Basilicata, a quelle del Guadone, di Masseria La Quercia e di Passo di Corvo nel foggiano. Poiché questi tipici vasi sono presenti, con maggior frequenza e varietà, nei siti neolitici dell’opposta sponda adriatica, come Cakrani in Albania (Korkuti, 1975) e Danilo in Dalmazia (Korosec 1958-59); Batovic, 1975) i nostri esemplari potrebbero costituire una testimonianza di contatti culturali tra le due aree. E’ in programma, con fondi messi a disposizione dall’Amministrazione Civica di Foggia, un saggio di scavo stratigrafico nell’area interessata dalla struttura A, situata all’interno della cinta della Villa Comunale, dove si spera di raccogliere dati più significativi circa le strutture di questo sito. Laura Simone BIBLIOGRAFIA M. ALESSIO, F. BELLA, S. IPROTA, 1976, Radiocarbon, vol. 18, n. 3, p. 333. S. BATOVIC, 1975, Le relazioni tra la Daunia e la sponda orientale dell’Adriatico in « Atti Coll. Inter. Preist. Protost. della Daunia », 23-29 Aprile 1973, Firenze 1975. A. CORTESI, B. TURI, F. BELLA, 1969, Radiocarbon, II, 1969. G. CREMONESI, Il villaggio di Ripoli alla luce dei recenti scavi « Riv. Sc. Preist. », 1965 (fig. 16, 16). M. KORKUTI, 1975, Uno sguardo sui rapporti fra la cultura neolitica di Cakrani e di Velca con le limitrofe culture in « Atti Coll. Intern. Preist. Protost. della Daunia », 23-29 Aprile 1973, Firenze 1975. J. KOROSEC, 1958-59, Neolitiska naseobina u Danilu Bitiniju, Zagabria 1959. A. MANFREDINI, 1972, Il villaggio trincerato di M. Aquilone nel quadro del neolitico dell’Italia Meridionale, Origini, 1972. A. RADMILLI, 1975, Guida alla preistoria italiana (Tav. XXV, fig. 14), Sansoni 1975. S. TINE’, 1975, La civiltà neolitica del Tavoliere in « Atti Coll. Intern. Preist. Protost. della Daunia », 23-29 Aprile 1973, Firenze 1975. S. WEIMBERG, 1965, The stone age in The Aegean, Cambridge, 1965. 160 ____________________________NOTA SUL VILLAGGIO NEOLITICO SCOPERTO AL CENTRO DI FO GGIA 161 LAURA SIMONE_______________________________________________________________________________ Fig. 2 – Scheletro di bambino dalla struttura B. 162 163 164 LAURA SIMONE_______________________________________________________________________________ 166 ____________________________NOTA SUL VILLAGGIO NEOLITICO SCOPERTO AL CENTRO DI FO GGIA 167 la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale Direttore responsabile: m 0 Mario Taronna Redazione: dott. Luigi Mancino Tipografia Laurenziana - Napoli - Via. Tribunali, 316 Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963 Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150 Tipografia Laurenziana - Napoli - Luglio 1980