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LA COMUNICAZIONE E’ DI MODA
Tutti noi, volutamente o non, viviamo dì moda e di mode. Moda e mode ci sono, si fanno sentire e
vedere, in alcuni casi ci eccitano, ci cambiano, ci condizionano, spesso s'identificano con noi stessi.
Questo stato ci rivela che tra chi offre moda e mode e chi le domanda e le accetta s'instaura una relazione
che va attentamente studiata e messa sotto controllo. A qualsiasi livello si attesti l'azienda che offre
moda, la comunicazione è un elemento non trascurabile, a qualsiasi livello essa si faccia comunicare il
proprio stile, far vedere i propri abiti diviene fondamentale.
Al marketing viene affidato un ruolo determinante per mantenere il felice posizionamento acquisito nel
mercato, per rinforzarlo, per salvaguardarlo, per sostenere la non facile battaglia concorrenziale.
Tutto ciò che è moda fa ed è comunicazione: i prodotti, le collezioni, gli stilisti, le griffe, le fiere, le
sfilate; la moda è dunque un fatto di comunicazione, pertanto senza il trasferimento di messaggi non
avremmo la stessa moda e i suoi connessi.
La moda oltre che essere accettata e portata, va prima di tutto capita, seguita; ciò resta possibile
solamente se la si conosce, se c'è qualcuno che la comunica; non si potrà giammai seguire una tendenza,
acquistare un capo se il consumatore non ne ha conoscenza, se nessuno l'ha comunicato.
IL PUNTO VENDITA NEL SETTORE MODA: QUANDO LA COMUNICAZIONE PASSA
ATTRAVERSO LA DIMENSIONE EMOZIONALE DEL “CONCEPT STORE”
Nel corso degli ultimi anni, le imprese industriali del settore moda hanno manifestato un interesse
crescente verso le politiche di “retailing”; l’importanza che e strategie commerciali rivestono
nell’affermazione dei prodotti sul mercato induce, infatti, verso forme di maggiore programmazione e
controllo delle attività distributive nei punti vendita che in alcuni casi hanno portato all’introduzione di
nuovi format aventi una notevole capacità comunicazionale come i “concept store”.
Se fino ad oggi le potenzialità comunicative del punto vendita sono state circoscritte alla trasmissione di
informazioni relative all’offerta commerciale (il prodotto, i suoi benefici, i servizi ad esso collegati), i
grandi mutamenti che interessano le dinamiche competitive, così come i comportamenti di consumo,
hanno spinto le imprese industriali a scoprire e a sfruttare le rilevanti opportunità che il concept store offre
per trasmettere all’esterno l’identità in ciascuna marca.
La creazione di ambienti di vendita stimolanti ed emotivamente coinvolgenti rappresenta, dunque, una
modalità sempre più spesso adottata dalle imprese del settore moda al fine di generare nuovo valore per la
domanda.
Con questo lavoro si propone di analizzare la dimensione emozionale dello “shopping”, che costituisce un
utile ausilio per la comprensione del processo di scelta della domanda in alcune situazioni di acquisto che
altrimenti sarebbero da considerare devianti ed irrazionali.
Atelier Missoni
1.
Il prodotto moda e la sua complessità
La moda è quell’atteggiamento della collettività caratterizzato dalla innata tendenza all’imitazione,
che conferisce all’individuo la sicurezza di appartenere ad un gruppo sociale, esprimendo la propria
personalità. In particolare, nasce dal superamento del bisogno puramente funzionale di coprirsi,
comportando l’emergere di un bisogno sociale ed estetico.
In questa prospettiva, il prodotto-moda risponde al vago desiderio di valori quale la bellezza, la rarità,
la voglia di distinguersi e di apparire.
Non è detto che un prodotto moda sia per forza un bene di lusso. Ogni realtà imprenditoriale operante
nel sistema-moda decide in base alla strategia adottata, a quale segmento di mercato rivolgersi, quale
prodotto offrire e quali caratteristiche.
La rivoluzione dell’”Information & Communication Technology” ha reso molto più semplice, rispetto
al passato, l’accesso alle informazioni, con conseguente possibilità per il consumatore stesso, di
confrontare l’enorme varietà di offerte presenti sul mercato. In un contesto economico ormai
caratterizzato dall’eccesso di offerta rispetto alla domanda, non è facile per il consumatore scegliere il
prodotto “differente”.
Modello creato da Krizia
In questo contesto così singolare, si colloca il ruolo della marca
intesa come strumento capace di comunicare lo stile creativo
dell’azienda senza tradirne l’identità, in modo tale che il logo sia
percepito come una garanzia.
La marca si pone come protagonista dei percorsi di sviluppo
dell’impresa al punto da dare vita ad un vero circolo virtuoso
basato sull’attività di ricerca e di sviluppo e sulla comunicazione.
Questo consentirà di sviluppare flussi fiduciari relativi non solo
alle relazioni con i consumatori finali, ma anche con sovrasistemi
che popolano l’ambiente.
In particolare nella moda, possiamo assistere ad una importante
dissociazione tra il prodotto e la marca, al punto tale che il primo
è considerato ciò che l’impresa produce, mentre la marca è ciò
che l’impresa vende.
Milano Moda Donna – E. Coveri
La marca, dunque, non viene considerata solo come garante di qualità, ma anche come strumento che gratifichi
l’acquisto.
Oggi le motivazioni che spingono all’acquisto, non sono solo dettate dal bisogno di uno specifico bene, ma
anche da motivi di ordine personale e/o sociale.
Il consumatore, dunque, è alla continua ricerca di un’esperienza d’acquisto in cui i prodotto vengono selezionati
più che per le loro caratteristiche funzionali, per le loro valenze simboliche ed estetiche.
Tale situazione ha incoraggiato, nel passato, le aziende operanti nel settore moda ad ampliare la gamma della
propria offerta e, nel caso specifico, nei modelli, nei tessuti, negli accessori e nelle taglie, garantendo la continua
innovazione della produzione, nel passaggio da una stagione all’altra.
A ragione, si devono considerare le ripercussioni dell’aumento della varietà e della variabilità dei costi di
gestione. L’aumento della prima, infatti, comporta anche l’aumento dei ricavi di vendita, così come la netta
contrazione della redditività a causa dell’aumento dei costi di gestione della complessità.
Esposizione Missoni
Milano Moda Donna
Oggi le numerose aziende operanti nel settore
prestano attenzione a comprimere la varietà tramite
l’approccio metodologico VRP (Variety Reduction
Program) applicato in Giappone nella prima metà
degli anni Settanta per fronteggiare la complessità
derivante dalla eccessiva spinta verso la
differenziazione del prodotto.
La gestione della varietà nelle imprese di moda da
sollevato una interessante riflessione: ridurre la
varietà, con un conseguente taglio al numero degli
articoli, modelli e tessuti impiegati, non
necessariamente implica la rinuncia alla creatività ne
tanto meno a categorie di clienti più esigenti.
Spesso i designer orientano la propria attività alla
proposta di innovazioni stilistiche tali da
assecondare in ogni caso il consumatore, senza
pensare alle ripercussioni in termine di costi.
Se è vero che il consumatore del duemila non
conosce più il consumismo sfrenato degli anni
Ottanta, neppure bisogna sottovalutare la sua
incapacità di percepire le differenze spesso ridotte,
in termini di qualità, creatività e design. Nasce
quindi l’esigenza di non considerare più la qualità
come strumento assoluto per acquisire un vantaggio
competitivo conservabile e durevole.
La qualità da sola non basta per conquistare quote di
mercato. Ne consegue dunque la conseguenza di
adottare strategie di nicchia.
2. Le strategie di comunicazione nella moda
Negli ultimi anni il settore moda si è reso protagonista di una sensibile dissociazione tra il prodotto e
la marca, con il conseguente passaggio dalla comunicazione di prodotto a quella di brand, che associa
alla classica valenza informativa, la valenza emotiva.
A ben vedere, il prodotto moda parla di sé al consumatore, e per questo la comunicazione deve spesso
declinare i codici stilistici in codici di immagine.
La marca moderna non è più legata al prodotto né alla categoria di prodotto, piuttosto veicola il modus
vivendi a cui si accosta con interesse il consumatore, per condividerne i valori e i comportamenti.
In questo modo la comunicazione di massa, come la pubblicità, si è mostrata spesso inefficace,
essendo probabilmente più appropriata la piattaforma informativa a garantire il contatto diretto col
cliente o il potenziale tale. Questo ha comportato l’affermarsi del punto vendita come luogo di
interazione e di comunicazione tra cliente ed azienda, luogo preferito per lo scambio di informazioni.
Il punto vendita comunica ciò che la marca è, ponendosi tra i principali protagonisti nella costruzione
della brand identity attraverso una serie di elementi ”hard” (location e layout) e di elementi “soft”
(intrattenimento e servizi), divenendo così una vera e propria piattaforma relazionale, strumento
ottimale per costruire solide e durature relazioni di fiducia con la clientela attuale e potenziale.
Dita Von Teese per Dolce&Gabbana
I termini “identità” e “immagine” non devono essere confusi e non devono essere considerati
sinonimi. Il secondo infatti, è un concetto associato all’atto di trasmissione di un messaggio da parte
dell’impresa. Quindi l’identità precede l’immagine, e di conseguenza, , per effettuare efficaci ed
efficienti investimenti in politiche comunicazionali , sarebbe opportuno conoscere quantomeno
l’identità di marca per poi poterla comunicare mediante la costruzione della sua immagine.
Nell’attuale contesto competitivo, si può dire che la fiducia si costruisce spesso su fattori immateriali
e non più esclusivamente in rapporto agli attributi fisici dei beni.
L’adesione ad una griffe piuttosto che ad un’altra, proprio perché legata a motivazioni che solo in
modo mediato hanno a che fare con gli attributi fisici dei beni, e sono invece determinate da quelli
immateriali, espongono nei confronti dei mutamenti degli stili di vita e quindi alla concorrenza.
Da questo deriva la necessità di comunicare in maniera coerente i valori intangibili veicolati dal
brand, mediante una comunicazione non più di massa ma personalizzata, che si concretizzi cioè, in
luoghi fisici di incontro con il cliente, che vadano oltre l’ambiente virtuale offerto dalle nuove
tecnologie.
Campagna pubblicitaria Dolce&Gabbana
Emporio Armani
Si può dire che è risultata estremamente efficace la scelta
strategica adottata dalle aziende industriali che si stanno
rendendo protagoniste di processi di integrazione a valle
mediante strategie di vertical branding.
Controllare il processo distributivo al fine di attuare una
efficace comunicazione con il consumatore finale per la
costruzione del brand image e della brand identità. E’ chiara
dunque la necessità di fare ricorso a strumenti di
comunicazione non solo verbali,
che solletichino,
incuriosiscano e provochino la sfera emotiva ed istintiva del
cliente.
Bisogna dire però che le strategie di comunicazione della
moda conoscono una problematica rilevante legata al rischio
della mancata coerenza e continuità nella trasmissione di
codici, messaggi e valori al consumatore finale. Di qui
l’esigenza di adottare processi di comunicazione integrata,
secondo un’ottica di unitarietà della stessa, nell’estrema
articolazione degli strumenti utilizzati.
3. La distribuzione e il vertical branding
A patire dalla seconda metà degli anni Novanta nel settore moda si afferma la tendenza a controllare
direttamente i canali distributivi mediante forme di integrazione verticale a valle, realizzate per mezzo
dell’apertura di negozi di proprietà e franchising.
I motivi che si pongono alla base di queste scelte sono legati al controllo delle logiche di gestione e quindi
delle modalità di vendita, all’ottenimento di informazioni sulle tendenze del mercato e alla costruzione di
una coerente immagine di marca.
In questo quadro la distribuzione diviene strumento imprescindibile per comunicare in maniera efficace la
marca e la sua identità, distinguendo la propria offerta da quella dei competitors tramite l’erogazione di
servizi attraenti per il cliente o potenziale tale.
Il sistema vertical branding entra a far parte della strategia comunicativa che, nel settore in questione,
deve coniugare alle classiche funzioni informative quelle legate alla sfera emotiva.
Atelier Yves Saint Laurent
Il controllo dei canali distributivi consente di interpretare il punto vendita non più solo come lo scenario in
cui si consuma l’atto di acquisto, di rafforzarne la fidelizzazione monitorando l’evoluzione delle sue
esigenze.
Questo nuovo modo di intendere la funzione retailing perfettamente integrata con il resto della filiera, ha
comportato la nascita di nuovi format: i “corners”, i “flagship store”, i “factory outlets”, i “concept store”.
Questi infatti divengono strumenti di brand retailtenment che valorizzano la dimensione esperienziale
dello shopping, conciliando al meglio la rappresentazione di marca e l’intrattenimento.
Non va dimenticato che si tratta di scelte distributive comportanti costi sostenuti che non sempre l’azienda
a capacità di sopportare.
In particolare, la creazione di negozi monomarca non sarebbe una scelta distribuiva efficace ed efficiente
laddove l’azienda non dovesse offrire al mercato un’ampia gamma di prodotti supportati dalla marca
forte.
Louis Vuitton - Parigi
Il meccanismo di crescita numerica dei monomarca, tipico degli anni Novanta, ha conosciuto un
importante arresto per effetto della crisi mondiale, che ha ridotto gli investimenti in monomarca del lusso
in cui l’architettura e il design ruotano attorno alla marca.
Nel caso in cui l’azienda non dovesse avere la possibilità di investire in strategie di vertical branding, una
soluzione sarebbe costituire nuovi e più moderni format distributivi e di maggiori servizi offerti al
consumatore.
Posto infatti, che i fattori influenzanti le imprese del settore distributivo si distinguono in controllabili e
non, sono sicuramente i fattori controllabili, dall’assortimento del punto vendita al personale, lo fonti della
store loyalty.
Scarso successo ha avuto il commercio elettronico. Ci troviamo ancora nella situazione in cui il
consumatore è poco attratto dall’acquistare via web, soprattutto se ci si riferisce al mercato del settore
moda, in cui l’acquirente manifesta la necessità del contatto face to face con il venditore, spesso al fine di
essere guidato e consigliato nell’atto d’acquisto.
Non dimentichiamo infatti, che i vestiti e i gioielli, in particolare, non possono essere venduti tramite un
video che per suo carattere intrinseco, è privo di passionalità e carattere, ne tramite un catalogo, perché
essi veicolano gli elementi intangibili capaci di soddisfare un bisogno emozionale.
Prada store
4. Il concept store: il punto vendita da luogo d’acquisto a luogo
di permanenza
Le aziende nel settore moda stanno progressivamente allargando il
proprio business, affiancando all’attività produttiva anche quella
della distribuzione e della commercializzazione diretta delle
proprie marche e delle proprie griffe, attraverso forme di
integrazione verticale discendente.
Il punto vendita viene ad assumere certamente un ruolo strategico
critico nel tentativo di differenziarsi dalla concorrenza e di attuare
un’efficace comunicazione con il consumatore finale, soprattutto
in considerazione del peso sempre più significativo che viene a
rivestire la selezione e la scelta del punto vendita stesso all’interno
del processo decisionale del consumatore.
Pertanto , a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, si è
sentita la necessità di creare e di sviluppare una particolare
categoria di punto vendita attorno ad un format innovativo,
denominata concept store , al fine di soddisfare bisogni sempre più
complessi e articolati della domanda.
Il concept store può essere definito come uno spazio commerciale,
costruito attorno ad un tema specifico, in cui i prodotti sono messi
in scena in un contesto spettacolare ed espressivo, e dove prima
dei prodotti ciò che si vuole proporre è la gratificante esperienza
che il consumatore può provare nel negozio stesso. Tale
concezione del punto vendita si caratterizza come un nuovo modo
di vendere e comprare che propone uno stile di vita e mescola
oggetti diversi in una esposizione curata ai minimi dettagli
attraverso un particolare sistema di arredo.
Louis Vuitton - Tokyo
Dietro questo tipo di scelta ci sono certamente delle ragioni di riduzione dei costi (grazie
all’eliminazione degli intermediari), ma soprattutto delle motivazioni legate alla necessità di
arricchire l’esperienza di shopping e comunicare al meglio l’identità dei prodotti e la
“filosofia” della marca anche durante l’acquisto. In tali casi, tutte le leve disponibili (location,
merchandising, arredo, tematizzazione) devono essere coordinate in modo da trasmettere
determinati valori e far comprendere lo “spirito” del brand.
Sempre più spesso, infatti, le aziende tentano di proporre al consumatore un universo
immaginario di marca che diventa più credibile se si poggia su uno spazio ad esso integrato e
realmente esistente sul piano fisico come quello di vendita. La creazione di tali ambienti di
vendita, stimolanti ed emotivamente coinvolgenti, rappresenta la modalità strategica sempre
più spesso adottata al fine di generare nuovo valore per la domanda
Dunque ci si è resi conto che, nel contesto attuale, non è più possibile ragionare impiegando
soltanto categorie del marketing tradizionale come i benefit dei prodotti perchè resi sempre più
simili dall'elevato tasso di concorrenzialità presente nei mercati. Per differenziare i prodotti è
necessario allora offrire in più al consumatore l'emozione dell'esperienza, che non prescinde i
benefit e le funzioni dei prodotti, ma li integra in una nuova sintesi che tiene conto della
complessa articolazione della personalità di ogni consumatore .
Emporio Armani cafè
Showroom Gucci - progetto
E' proprio al fine di soddisfare esigenze
sempre più stringenti della domanda, dovute
alla crescita delle alternative di acquisto e
delle relative possibilità di accesso che
caratterizzano il settore moda, che si è cercato
di modificare, attraverso l'utilizzo del concept
store, l'idea che sottintende il concetto di
punto vendita, trasformandolo da luogo
d'acquisto a luogo di permanenza.
A tal riguardo si sottolinea sempre più spesso
il maggior rilievo che assume, all'interno del
processo di acquisto del consumatore,
l'atteggiamento ricreativo rispetto a quello
funzionale.
Oggi, infatti, è largamente condivisa la
consapevolezza che il consumatore cerchi di
esaudire esigenze/preferenze emozionali ed
edonistiche oltre che razionali e funzionali. In
tal senso, l'acquirente ricreativo risulta
particolarmente attratto dagli aspetti del punto
vendita che possono rendere l'acquisto più
piacevole e divertente, quali la creatività e
l'originalità
dell'ambiente
e
del
merchandising, gli stimoli sensoriali, le
attività ludiche e i momenti di aggregazione
sociale.
Dunque, seguendo l'atteggiamento ricreativo
il consumatore considera lo shopping come
un'attività che contribuisce a migliorare in
modo significativo il livello di qualità della
vita ed il benessere personale. Ma quali sono
gli elementi che all'interno del concept store
possono essere utilizzarti per produrre
l'esperienza per il consumatore sono:
Showroom Gucci
SENSE: tutto ciò che stimola i cinque sensi
dell’individuo;
FEEL: ciò che consente di creare emozioni
positive;
THINK: ciò che consente di sviluppare
esperienze razionali e “problem solving”, ma
in grado comunque di coinvolgere;
ACT: mostra come fare e dice di fare
qualcosa, presenta cioè, uno stile di vita;
RELATE: collega il singolo individuo alle
altre persone e alla cultura sociale più in
generale.
5. L’entertainment nel retail
Negli ultimi anni l'intrattenimento è diventato una importante leva gestionale che le imprese
possono utilizzare nel rapporto con i consumatori. L'integrazione dell'offerta con utilità
aggiuntive volte alla soddisfazione di bisogni di svago e divertimento, infatti, può essere un
fattore di differenziazione in grado di creare valore e arricchire in maniera determinante
l'esperienza di acquisto. Ciò può avvenire attraverso la realizzazione di punti vendita ad alto
contenuto spettacolare in cui organizzare eventi, rappresentazioni, prove di prodotti o altre forme
di intrattenimento, tanto da far usare neologismi composti come retailtainment e shoptainment
per definire un vero e proprio metamercato.
L'intrattenimento nel retail può rispondere, dunque, sia all'obiettivo di potenziare le relazioni
con una domanda sempre più esigente, sia a quello di differenziarsi rispetto alla concorrenza in
un contesto competitivo che rende sempre più difficile agire sui prezzi.
Nei concept store del settore moda l'intrattenimento svolge ormai un ruolo molto importante per
creare traffico al suo interno e sviluppare la relazione tra consumatore e punto vendita; ciò si
verifica soprattutto perché si cerca di raggiungere più direttamente i consumatori per trasmettere
loro i valori della marca coinvolgendoli nella brand experience.
Roccobarocco
La spettacolarizzazione del punto vendita sempre più spinta sembra giustificare l'apparente
paradosso per cui, parallelamente all'affermarsi di modelli di economia virtuale, sono gli aspetti
"fisici" connessi al negozio che acquistano maggiore rilevanza.
E’ possibile individuare sette leve di entertainment all'interno del punto vendita, per ognuna
delle quali l'impresa può definire specifici strumenti ed assegnare specifici obiettivi di
marketing:
1) atmosfera;
2) spettacolo;
3) valorizzazione del tempo;
4) merchandising;
5) innovazione continua;
6) gioco;
7) ristoro.
Tali leve consentono di soddisfare in un unico luogo e nello stesso momento grappoli di bisogni
integrati e convergenti di divertimento, di relazione, di socializzazione, di acquisto, in grado di
generare un valore maggiore della somma di quelli prodotti dai singoli sottosistemi.
D&G store
L'utilità per i concept store del fattore intrattenimento deriva dal ruolo che esso svolge nei
processi di acquisto, in quanto può consentire complementarietà funzionali e simboliche nella
definizione dell'offerta in risposta alle esigenze della domanda.In relazione al processo
d'acquisto l'intrattenimento può essere considerato come strumento per catturare l'attenzione e
conquistare il tempo dei consumatori affinché esso possa tradursi in maggiore frequenza di visita
e nel relativo aumento di spesa da parte del consumatore stesso. In tal senso l'entertainment si
pone l'obiettivo di attrarre e fidelizzare il consumatore e diviene fattore strategico fondamentale
per la crescita del piacere dello shopping e per influenzare le scelte del e nel punto
vendita.L'arricchimento dell'offerta con contenuti di intrattenimento consente complementarità
funzionali nel processo di acquisto attraverso l'offerta di servizi accessori all'acquisto in senso
stretto, che rendono più piacevole l'attività di shopping e aumentano i tempi di permanenza nel
punto vendita.E' possibile, inoltre, realizzare complementarità sul piano simbolico, in quanto
l'intrattenimento rappresenta sempre la leva più importante attraverso cui potenziare la funzione
comunicativa del punto vendita, soprattutto nella sua dimensione emozionale.Lo sviluppo della
dimensione emozionale all'interno del punto vendita risulta particolarmente evidente nel settore
moda, dove l'adesione del consumatore ad una griffe piuttosto che ad un'altra è legata a
motivazioni che solo in modo mediato hanno a che fare con gli attributi fisici dei prodotti e sono
invece maggiormente determinate da quelli immateriali, come l'autogratificazione,
l'allontanamento dalla routine e le stimolazioni sensoriali. E' perciò fondamentale non solo
disporre di strumenti per comunicare ai clienti, acquisiti e non ancora tali, la sostanza della
propria offerta, ma anche quelli necessari per poterla rappresentare in modo compiuto, in un
contesto capace di evocare le valenze emozionali che la connotano e la rendono distintiva.
6. Lo shopping come esperienza: verso nuovi modelli di consumo
Il consumatore viene definito come essere prevalentemente razionale che svolge i propri
acquisti seguendo processi di tipo "problem solving" (tale processo parte dalla percezione
del bisogno, come una sensazione di mancanza, per arrivare alla scelta del bene che, a
suo giudizio, meglio soddisfa tale esigenza).
Il processo d'acquisto, però, attraverso una serie di fasi sequenziali, tra cui la ricerca di
informazioni e l'identificazione e valutazione delle alternative, comporta l'attivazione del
sistema cognitivo individuale, e quindi la definizione di personali atteggiamenti che si
traducono in intenzioni di acquisto caratterizzate da forte emotività.
Ci si rende conto perciò che, per avere successo in un settore come la moda,
caratterizzato da forte competitività e da brand molto forti, nonché dalla predominanza
della dimensione edonistica rispetto a quella utilitaristica, non si può prescindere dalla
capacità del punto vendita, attraverso i suoi diversi elementi, di stimolare continuamente
l'interazione e il coinvolgimento del consumatore. Come emerso in precedenza,
l'organizzazione dello spazio di vendita e la disposizione delle attrezzature
contribuiscono quindi significativamente a favorire l'interazione fra il cliente e
l'ambiente circostante, mentre la realizzazione di eventi e l'offerta di entertainment
facilitano l'interazione di tipo personale, ovvero fra i diversi clienti. Ciò impone che lo
spazio di vendita si arricchisca di nuove leve di valore che consentano la
rappresentazione dell'esperienza di marca.
Louis Vuitton - Sydney
L'experiential shopping è determinato dunque dall'effetto
congiunto della presenza, all'interno del concept store, di
stimoli sensoriali atti a suscitare una risposta emotiva e di
un individuo, che per le sue caratteristiche individuali e
per i benefici ricercati presenta un atteggiamento
edonistico nei confronti dello shopping stesso. E' molto
più probabile, infatti, che gli stimoli volti a produrre
emozioni siano percepiti e interiorizzati soprattutto da
acquirenti di questo tipo, che possono risultare
particolarmente sensibili a quei chuncks of information
che permettono di suscitare effettivamente il
coinvolgimento emotivo nell' acquisto.
Si nota, quindi, un sostanziale accordo in letteratura nel
proporre nuovi modelli di consumo nei quali si sostiene
l'esistenza di una relazione positiva tra esperienze
emotive e risorse (monetarie e non monetarie) investite
nello shopping.
Tale relazione positiva deriva dal valore soggettivo che il
cliente attribuisce alla marca del prodotto acquistato e dal
significato simbolico che essa è in grado di esprimere. Il
concept store, quindi, dovrebbe essere in grado di
soddisfare non solo le esigenze prettamente funzionali
che spingono l'acquirente potenziale alla visita - vale a
dire l'acquisto del bene o la ricerca di informazioni -ma
anche i bisogni di tipo affettivo, legati alle emozioni e
agli aspetti sensoriali. Tali bisogni nell'odierna società
postmoderna assumono un ruolo sempre più critico nella
strutturazione delle preferenze e dei comportamenti di
acquisto. Dalle evidenze emerse da questo lavoro si
desume, quindi, l'esigenze di attivare nuove fonti di
creazione di valore per l'acquirente, favorendo lo
shopping come esperienza.
STRATEGIE COMUNICATIVE
DI ALCUNE AZIENDE TESSILI DELL’EMILIA ROMAGNA
Cerchiamo di analizzare le campagne promozionali e i testi
pubblicitari attraverso cui le aziende tessili dell’EmiliaRomagna fanno conoscere i loro prodotti.
Bisogna sapere che la comunicazione di un’azienda può
essere valutata tenendo conto di tutte le varie forme di
manifestazione. E’ chiaro infatti che la comunicazione rivolta
al consumatore finale differisce da quella rivolta agli
intermediari di commercio (grossisti, negozianti, gestori di
comunità, ecc.) non solo nei contenuti, ma anche nei canali,
nei modi di presentazione, nelle strategie discorsive e così
via. Gli intermediari sono tra l’altro destinatari molto
importanti dal punto di vista sia commerciale sia
comunicativo.
Possiamo cedere ora quali sono le principali strategie
comunicative che le aziende mettono in pratica per
pubblicizzare le loro marche, linee e collezioni.
•
•
Bisogna però sapere che esistono:
Aziende che presentano uno stile che va al di là delle immagini di moda
tradizionali. Esse si presentano come soggetto del fare moda: cercano di
innovare sia i prodotti che le stesse modalità di comunicazione.
Aziende che si posizionano all’interno di paradigmi e stili già consolidati. Esse
tendono a seguire i trend della moda, e quindi anche i canoni rappresentativi
che contraddistinguono il breve ciclo di vita degli odierni prodotti di moda. Di
conseguenza, tali aziende cercano di ricavarsi una nicchia di mercato e di
posizionarsi al suo interno.
Le aziende che cercano di proporre uno stile di vita, e quindi di fare moda,
sono particolarmente attente alle istanze culturali e sociali del momento, e in
questo senso pongono i loro prodotti comunicativi all’interno del mondo di
riferimento.
Grazie alla scelta di un certo tipo di ambientazione e all’utilizzo di tecniche di
comunicazione specifiche, questa strategia comunicativa diviene inoltre più
indiretta: si racconta l’abito facendo finta di raccontare altro, attraverso
un’organizzazione narrativa che supera la semplice fotografia del capo
d’abbigliamento.
Le marche, per esempio, giocano sulla etnicizzazione (sull’utilizzo di oggetti
che provengono da culture altre) e su commistioni innovative tra stili, ambienti
e oggetti diversi.
Facciamo qualche esempio concreto:
Blumarine
Il marchio Blumarine si distingue innanzitutto per la scelta degli scenari in cui ambienta le sue
collezioni, a partire dalla campagna curata da Helmut Newton (autunno-inverno 1998-’99), in
cui grigi paesaggi urbani di periferia fanno da sfondo agli abiti e al corpo della modella. Il
contrasto tra questi due elementi, il corpo-abito, impeccabile e colorato, e lo squallore di
palazzi scrostati e di carcasse d’automobili abbandonate, contribuisce così a caratterizzare
un’immagine di marca che va al di là della semplice presentazione della collezione. All’abito si
aggiunge la qualità cromatica e formale dell’immagine, la notorietà dell’autore (Newton), e le
suggestioni di un mondo. Ma anche nelle collezioni successive Blumarine si mantiene fedele a
questa strategia, benché cambino il contesto e l’autore. Nelle campagne delle ultime stagioni
emerge infatti un’attenzione estrema agli oggetti che circondano l’abito e all’ambiente in cui è
fotografato, come vedremo meglio nel paragrafo successivo dedicato alle rappresentazioni del
corpo.
Blumarine, catalogo autunno-inverno 1998-99
La Perla
La Perla si distingue invece per la strategia complessiva di comunicazione aziendale,
estremamente diversificata, attenta ai diversi pubblici e alla qualità delle immagini. Per ogni
marca si precisa e si delinea un mondo di riferimento, a volte, come nel caso di Malizia
Underwear, attraverso l’uso di tecniche fotografiche peculiari, quali il negativo della fotografia
e l’utilizzo di filtri cromatici Non importa allora che i singoli capi non si distinguano o
risultino addirittura sfuocati, perché la qualità e la sofisticazione della fotografia divengono i
valori comunicati dalla marca, e di conseguenza dai suoi prodotti.
Malizia Underwear, primavera-estate 1999
Le aziende che seguono invece i trend della moda allo scopo di conquistare una
nicchia di mercato, mantengono come riferimento l’universo comunicativo
consolidato della moda stessa. Le strategie comunicative impiegate si trovano
perciò a negoziare i significati e i valori che intendono veicolare con ciò che è
loro più contiguo, vale a dire con i canoni rappresentativi e con gli stilemi che
circolano nell’universo di discorso a cui appartengono.
Quel che caratterizza questa seconda strategia è dunque l’assenza di un’idea
forte di comunicazione e di ‘campagna’. Benché non manchi la cura e una certa
qualità delle immagini, i testi in questo caso declinano un paradigma affermato,
in cui ogni campagna non mostra la sua specificità, bensì si inserisce nel contesto
della comunicazione di moda. In altre parole, quel che è assente da questa
strategia comunicativa è un’immagine integrata, in cui la presentazione, pur
raffinata, del prodotto non rientra in un progetto comunicativo globale e a lungo
termine, dove i valori proposti possono sopravvivere alle singole collezioni e
legarsi così alla marca. In questo modo, i cataloghi o le immagini proposte, la
singola campagna, più che attirare un pubblico nuovo o contribuire alla
fidelizzazione del consumatore, funge da richiamo a chi già conosce il marchio.
Un esempio di questa strategia è la comunicazione del marchio Fausta.
Fausta
Nel marchio Fausta, l’enfasi di ciascuna delle
immagini è sul capo di abbigliamento e sulla
marca stessa, e da cui è assente qualsiasi
valore che non riguardi la qualità del
prodotto.
Fausta Tricot, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Pinko e C’est Petit
Lo stesso discorso vale anche per Pinko e C’est petit nei cui testi, benché innovativi rispetto al formato, al
taglio delle inquadrature e alla qualità delle immagini (la modella a volte è ‘tagliata’ dall’immagine
che risulta quindi non centrata; le fotografie presentano un’attenzione estrema ai cromatismi e ai
contrasti del colore), non compare l’articolazione di un racconto, e quindi la contestualizzazione
dell’abito in un percorso di consumo. E’ vero che nel catalogo di C’est petit le immagini sono
ambientate in una serra, ma tale scenario rimane sullo sfondo, senza partecipare alla narrazione del
prodotto.
Pinko, catalogo autunno-inverno 1999-2000
C’est petit, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Les Copains
Il caso di Les Copains è invece del tutto particolare, in quanto presenta caratteristiche appartenenti a
entrambe le strategie individuate. Alla cura estrema con cui sono confezionate le immagini, i dettagli
e il formato di alcuni cataloghi, oppure la presentazione delle sfilate, si alternano altri prodotti
comunicativi che adottano invece una strategia diversa, sempre curata, ma, ancora una volta,
incapace di creare un contesto o un mondo di valori in cui inserire la comunicazione del prodotto. La
comunicazione di Les Copains si caratterizza allora per la mancanza di una continuità di indirizzo
generale, di una coerenza che permetta la riconoscibilità non tanto del prodotto, quanto del marchio e
del suo universo di valori.
Les Copains Trend, catalogo autunno-inverno 1998-1999
Les Copains, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Nella campagna Blumarine, il corpo è il vestito, e viceversa. L’abito si integra con il corpo che lo
modella all’interno di un ambiente. Addirittura il corpo si insinua, anzi, in alcuni casi si conquista un
posto nell’ambiente stesso per indicare e per sottolineare il mondo riflesso dall’abito, a sua volta
abitato in modo originale da chi lo indossa.
Blumarine, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Blumarine, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Blumarine, catalogo autunno-inverno 1999-2000
MAX&Co.
Un esempio opposto è quello della campagna MAX&Co, dove la presenza del corpo sembra quasi azzerarsi, per
lasciare spazio a quella delle ‘persone’. People è infatti lo slogan della campagna autunno-inverno 19992000: al posto del corpo-vestito di Blumarine troviamo l’abito indossato, quasi privato di un corpo. Non a
caso metà delle immagini ritraggono modelle tra la folla di Londra, soffermandosi sulla continuità tra stile
dell’abbigliamento e ambiente urbano: il corpo si fa. Anche quando sono ritratte in un interno, le modelle,
assolutamente statiche e in posa, si limitano a vestire gli abiti , a volte interagendo tra di loro, senza che la
loro fisicità si iscriva nell’immagine stessa e si leghi così alla marca (le ragazze ritratte si assomigliano,
declinando, ancora, uno stile di abbigliamento, e non un corpo). Le persone a cui si richiama lo slogan di
MAX&Co sono quindi quelle che abitano la città e il mondo, le quali aderiscono a uno stile che “veste” il
corpo. Da notare anche le immagini che fanno da cornice a tutta la storia raccontata dal catalogo; se la
prima immagine ritrae l’uscita di un metrò cittadino pieno di gente che cammina a ritmo sostenuto,
presumibilmente verso il posto di lavoro, l’ultima ritrae lo stesso luogo inanimato. E’ come se si
raccontasse la vita quotidiana di un angolo di città, con il risveglio frenetico del mattino e il lento assopirsi
della sera.
Max&Co, catalogo People are people
Max&Co, catalogo People are people
Max&Co, prima e ultima immagine del catalogo People are people
Nel catalogo Pinko invece, la bellezza dei visi
e dei corpi delle modelle è in funzione del
vestito, e contribuisce a definire un modello di
seduttività e di bellezza femminile che,
attraverso il corpo, si trasferisce al vestito.
Come dicevamo costrette e a volte anche
tagliato nelle e dalle inquadrature (che in
questo modo evidenziano i dettagli del corpo),
le modelle si piegano e assumono pose e
contorsioni che esaltano l’abito e la sua
capacità di coprire-scoprire, non c’è un
ambiente, un paesaggio o degli oggetti che
circondano questo corpo-abito.
Pinko, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Liu Jo
La stessa immobilità, forse ancora più
accentuata, si riscontra anche nelle immagini
di Liu Jo, dove l’oggettivazione del corpo è
sottolineata dalla porzione che di esso viene
selezionata dallo sguardo. Lo spettatore ha di
fronte il viso e il petto della modella, distante
e raccolta in se stessa. Lo sguardo è assente e
il corpo a volte raccolto, altre disteso, senza
alcuna interazione né con lo sguardo dello
spettatore, né con l’ambiente circostante.
Liu Jo, rivista-catalogo primavera-estate 1999
La Perla underwear
L’intera comunicazione de La Perla
meriterebbe un discorso a parte, dal momento
che, essendo un’azienda di underwear, veste
l’intimità del corpo, a diretto contatto con la
sua pelle. E’ ovvio in questo caso che il corpo,
la sua forma e la sua ‘superficie’ siano esaltati
dalle immagini, e che l’effetto di seduzione e
di erotismo venga sfruttato ampiamente,
sebbene a volte in modo ironico.
La Perla Underwear, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Malizia Underwear, catalogo autunno-inverno 1999-2000
Sul rapporto tra corpo e abito gioca però anche la campagna di La Perla Outerwear, dove accanto a un
corpo nudo, e in quanto tale senza mistero né seduzione, si pone il corpo vestito, che diviene seducente
proprio perché coperto. Il corpo vestito, in questo caso, è un corpo adeguato ad affrontare il mondo. E’
un corpo che acquista la sua femminilità vestendosi. Pur quindi mostrando il corpo, queste immagini
parlano in realtà dell’abito e del modo in cui può rendere elegante la figura – e non il corpo- femminile.
Solo con un capo di vestiario il corpo della donna La Perla sembra quindi esaltare la propria forma
femminile e la propria bellezza.
La Perla Outerwear, autunno-inverno 1999-2000
Le sfilate
Un’altra notevole forma di comunicazione nel campo della moda riguarda le sfilate. Le sfilate hanno il
compito essenziale di attirare l’attenzione verso una certa marca. Il loro valore economico principale
consiste nella presentazione dei nuovi modelli non tanto ai consumatori finali ma agli agenti
specializzati, i buyers, che a loro volta rappresentano i venditori al pubblico. Attraverso canali indiretti,
come la stampa e la televisione, le nuove collezioni vengono però presentate anche ai consumatori.
Quotidiani e settimanali, oltre che le riviste specializzate contribuiscono all’amplificazione
dell’evento-sfilata. Discorso simile vale per il mezzo televisivo: oltre a una sempre più cospicua
attenzione rivolta a eventi di moda e costume da parte dei telegiornali, ci sono trasmissioni, come
Moda e rubriche, come TG2 Costume e Società, dedicate alle cosiddette Soft news, al pettegolezzo e
agli eventi mondani in cui le sfilate di moda si collocano a pieno titolo.
Quanto sia importante l’aspetto pubblicitario è testimoniato sia dalla qualità delle sfilate, mai
particolarmente innovative, sia dalla cura prestata dalle aziende nel radunare la rassegna stampa o nel
registrare i telegiornali e le trasmissioni che fanno riferimento al proprio marchio.
Frankie Morello
La registrazione video della sfilata non ha niente di ricercato al livello visivo: si presenta come una
documentazione con pochi punti di ripresa e con l’attenzione volutamente rivolta quasi esclusivamente
al capo d’abbigliamento. A partire dalla Primavera-Estate 1999 si è però aggiunto un backstage iniziale
con un montaggio delle immagini riprese prima della sfilata. Quest’ultimo mutamento stilistico, oltre a
essere in accordo con le ultime tendenze culturali e artistiche, fa presupporre anche un utilizzo non solo
di documentazione interna dell’evento-sfilata, ma anche di presentazione per televisioni o fiere ed
eventualmente da utilizzare nei punti-vendita .
L’oggetto di attenzione poi, non è solo il vestito ma il corpo in generale e in particolare quello di
alcune modelle famose di cui vengono valorizzati tutti gli aspetti della loro bellezza: il volto e le altre
parti del corpo, l’andatura e il portamento.
Backstage di una sfilata
Il catalogo
L’altro oggetto comunicativo è il catalogo di presentazione dell’azienda: l’aspetto scritto della
comunicazione ha la predominanza rispetto all’aspetto visivo. Nella stessa pagina si trovano immagini
dell’azienda “al lavoro” (uffici, laboratori, sartoria) o addirittura la foto del Presidente e quella dei vari
stabilimenti di produzione. Troviamo fotografie di vetrine e negozi, in Italia e all’estero, oppure le
varie soluzioni proposte dall’azienda ai commercianti per esporre le merci. Il tutto viene corredato da
immagini pubblicitarie e di cataloghi, da servizi fotografici già comparsi su riviste oppure da istantanee
di sfilate.
PROGETTARE SPAZI PER LA MODA: COMUNICAZIONE VISIVA E CONSUMO
Non solo il progetto, ma anche il “pensiero” del Progettista, o gruppo di Progettisti, che ha scelto ha
progettato. In sei domande le scelte e le considerazioni di 2T_R e Studio Catucci, ovvero di coloro che
hanno realizzato lo store Leam Limited di Roma.
(Intervista tratta dalla rivista mensile “Ponte”, mensile di progettazione, gestione e tecnica per
costruire)
D. Architettura e comunicazione. Sono oggi le parole chiave per realizzare una seducente
boutique di moda?
Crediamo di si. Questo legame non riguarda solo la moda ma l’architettura in genere. La moda ha in
più un problema legato alla velocità del consumo e quindi deve riuscire a coniugare il tempo di vita
dell’architettura con quello dei suoi prodotti. Analizziamo il problema a partire da una scala più ampia.
Koolhaas ha scritto che gli architetti vivono un momento eccezionale in quanto sono indispensabili ai
gruppi economici proprio per comunicare la loro immagine nel mondo. Basta pensare, per rimanere
nell’ambito della moda, a Prada, Tod’s ed Hermès che sono gli esempi più evidenti di questo rapporto
negli ultimi anni.
Ma non solo, è un rapporto che funziona in due direzioni. Da una parte l’architettura è usata grazie alla
potenzialità evocativa dell’immagine; dall’altra sempre più spesso si assiste ad un uso dell’architettura
comparabile a quello della moda. Non c’è più un sindaco che possa rinunciare a un Calatrava per il suo
nuovo ponte, a Foster per la stazione o Herzog e De Meuron per il nuovo stadio (cambiando i fattori la
somma rimane uguale); qui da noi, ad esempio, alla fiera di Milano ogni gruppo economico si è vestito di
una “griffe” diversa. In questo senso il piccolo gruppo imprenditoriale che gestisce uno o più negozi,
concentrati in una città, come è nel nostro caso, ha una necessità completamente diversa. Nel caso di questi
gruppi si assiste anche a necessità di cambiamenti e sperimentazioni più frequenti. Il marchio Leam, per
esempio, ha un ruolo consolidato nel panorama romano. Uno dei temi che abbiamo maggiormente affrontato
è stata la necessità di rinnovare la sua immagine senza perdere la sua identità in modo da comunicare ai
clienti attraverso lo spazio del negozio una filosofia di approccio alla moda. Per Leam Limited, infatti, è
stato creato un marchio speciale diverso per Leam Uomo e Leam Donna (il marchio Leam Limited è una
produzione Ottodesign). L’architettura in questo caso fa parte integrante di un sistema di comunicazione
che fa dell’immagine il motore primo della persuasione; l’immagine che offre il negozio deve essere in
grado di sintetizzare la familiarità del luogo con il rinnovamento dei desideri.
D. Obiettivi e strategie del vostro progetto…
Il progetto si compone fondamentalmente di due spazi: il corridoio di accesso e lo spazio del
negozio. Mentre ci occupavamo dello spazio centrale di esposizione e vendita, ci siamo resi conto
che il vero nodo problematico era quello della distanza del negozio dalla strada: un accesso che
doveva avvenire attraverso un vero e proprio corridoio. Dopotutto sulla facciata dell’edificio non era
possibile pensare a nessun tipo di intervento di alto impatto visivo. Abbiamo preferito rinunciare
anche all’insegna per lavorare unicamente sulle difficoltà e sulle potenzialità architettoniche di
questo spazio. Così abbiamo pensato ad una sequenza di spazi diversi, anzi opposti. Uno fortemente
longitudinale e buio caratterizzato da tagli di luce trasversali che ne accorciassero l’effetto
prospettico senza offrire riferimenti immediati di scala: vetrine senza infisso, alte circa 4 metri, da
terra a soffitto.
Sono stati eliminati tutti gli elementi che ne potessero far percepire la dimensione. Il lavoro è stato di
nascondere accessi a spazi tecnici, serrature, meccanismi, maniglie, luci serrande. Insomma tutto ciò
che potesse riportare questo spazio ad una dimensione consueta. Inoltre il taglio delle vetrine
permette allestimenti inusuali (uno dei più interessanti è stato il montaggio di grandi scritte sui vetri)
anche grazie al tipo di moda che Leam Limited propone: sempre molto selezionata e certamente non
di tipo “corrente”. A questo spazio si contrappone quello del negozio vero e proprio cui si arriva
dopo la mediazione di una piccola serra/giardino in cui sono stati piantati alcuni bambù tra geometrie
di sassi di fiume e in cui prevale la luce naturale una idea di esterno. Nel negozio, che si trova in un
ex garage, la luce naturale arriva da un lucernaio sul tetto al di sotto del quale abbiamo collocato la
grande pedana espositore.
Abbiamo pensato da subito ad un elemento sintetico, lavorando ancora
sull’idea dei contrasti scalari e sullo spazio. Anche per questo non
abbiamo
introdotto
alcun
elemento
di
arredo.
Tutto è affidato alle potenzialità espressive della grande pedana che
dilata lo spazio orizzontalmente grazie al dinamismo dei piani metallici
che ne definiscono la forma. Questi piani, attraverso leggere deviazioni
della geometria di base, divengono anche scala di accesso o creano
elementi di esposizione per pezzi eccezionali.
Lo spazio può essere percorso interamente e percepito dal basso e
dall’alto (la scala che sale dalla pedana al primo piano porta al reparto
Leam Uomo). Tutto lo spazio è caratterizzato da tre soli materiali:
• il cemento dei grandi telai che liberano completamente lo spazio
centrale del negozio
• la pietra lavica grigia del pavimento
• il metallo degli inserti.
D. In che modo l’architettura contemporanea aiuta a vendere la moda?
L’architettura contemporanea spesso è vissuta come futuribile. Ancora oggi
vediamo come architetture degli anni 50 e anche precedenti siano utilizzate dai
pubblicitari per ambientazioni di spot che descrivono un futuro (a volte neanche
prossimo). Basti pensare anche alla grande attualità della foto della villa a
Garches di Le Corbusier con in primo piano la macchina d’epoca che conferma
come quel tipo di contrasto sia ancora in gran parte attuale. In quest’ottica
crediamo che i clienti preferiscono ancora un’immagine rassicurante per la
propria casa e sono tentati dal linguaggio contemporaneo del negozio, vogliono
ritrovare in questo quel senso di appartenenza al contemporaneo che non sono
pronti a rischiare sulla propria pelle. Sono per lo più gli oggetti tecnologici ad
essere simboli della contemporaneità: lo schermo piatto, il computer, il
telefono… insomma ancora oggetti facilmente consumabili. Per lo spazio (in tutti
i sensi) c’è ancora tempo, tanto che, nella maggior parte dei casi, l’innovazione si
ferma alla pelle esterna e non coinvolge lo spazio dell’edificio nella sua totalità.
D. Quali sono state le dinamiche di interazione progettista-committente?
Molto dinamiche con continui ripensamenti e paure, dopotutto ci vuole poco perché un
negozio non funzioni. Non è stato il caso di committenza “al buio”: con lo stesso
gruppo di progettisti avevamo realizzato alcuni anni fa il palazzetto Leam moda donna,
che si trova accanto al Leam Limited, con ottimi risultati. Il nostro committente
conosce abbastanza bene il panorama internazionale e le ultime realizzazioni nel
campo dell’architettura e del design. Ricordo una visita alla mostra di Zaha Hadid al
MAXXI per discutere del senso di fluidità dello spazio. Inoltre prima di decidere il
taglio (anche commerciale) da dare al suo nuovo spazio ha voluto vedere di persona
come è vissuta la moda in alcune nuove capitali del design europeo. Alla fine
possiamo dire che ha partecipato “attivamente” anche durante le fasi di cantiere.
D. Il progetto della boutique ha riguardato anche gli arredi?
In caso contrario, quali sono stati i parametri che hanno guidato alla loro scelta? Come
dicevamo anche nella risposta precedente non ci sono arredi per scelta.
D. Ritiene che l’attuale panorama delle tecnologie di costruzione fornisca
soluzioni efficaci per la realizzazione di boutique di moda dal linguaggio
innovativo, in grado di dialogare con lo scenario complesso della città
contemporanea?
Non credo che sia il caso di Roma, soprattutto, ma in generale anche nel
panorama italiano non vedo ancora la capacità di comprendere l’importanza di
mettere in relazione questi due mondi, quello dello spazio della città e quello
che potremmo definire dell’immagine e dell’effimero. Basti pensare al chiasso
che provocano i pannelli pubblicitari in giro per la città. Certo vedendo Tod’s di
Toyo Ito o ovviamente il livello di innovazione che si può permettere un gruppo
come Prada o Hermès sembra di appartenere a mondi diversi, soprattutto a mondi
che hanno compreso alla perfezione le potenzialità di ricaduta a livello di
pubblicità che una operazione del genere può portare. La ricerca tecnologica si
può fare se c’è un budget che la permette. Anche per questa ragione il nostro
negozio si affida alla configurazione di uno spazio e non alla “trovata” sui
materiali. Certo sotto diversi aspetti l’immagine è meno suadente, meno
pubblicabile, ma certo (crediamo) più vera nel contesto in cui si colloca. Abbiamo
lavorato con una impresa con ottime maestranze e che ha realizzato tutti i pezzi in
maniera tradizionale.
INFLUENZARE LA COMUNICAZIONE DI MODA PERCHE’ SIA PIU’ ATTENTA AI VALORI
CHE TRASMETTE
La comunicazione di moda vive dell'idea per cui l'efficacia è strettamente legata all'immagine e alle
suggestioni che il prodotto è in grado di suscitare.
Da qui un rischio: la tentazione di sfruttare eccessivamente il valore aggiunto che tale suggestione
conferisce al prodotto stesso.
Questo rischio risulta evidente nella comunicazione pubblicitaria attuale: le immagini di moda tendono ad
essere in molti casi gratuitamente trasgressive e superficiali, spesso volgari.
Chi realizza o utilizza questo tipo di campagne si giustifica dicendo che questo tipo di comunicazione è
creata unicamente per generare vendite e fatturato e non può proporsi fini educativi. In considerazione
della funzione che la pubblicità ha acquisito nel creare e confermare gli stili di vita, gli studiosi
sottolineano, tuttavia, e con sempre maggiore frequenza, che ciò non può più essere vero. La pubblicità
deve piuttosto tendere a sensibilizzare il pubblico al raggiungimento di obiettivi di interesse generale e
sociale.
Campagna Dolce&Gabbana
Campagne Dolce&Gabbana
UN CASO PARTICOLARE DI COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA DI MODA:
PRADA E LUNA ROSSA
Sfogliando riviste di moda si può notare come ormai tutte le case di moda tendano ad indicare oltre ai più
famosi punti vendita anche il proprio indirizzo internet. La causa di questo interesse da parte della moda è
dovuto alla multimedialità abbastanza recente: se prima si tendeva ad indicare solo il marchio oggi non si
può certo omettere di segnalare anche il proprio sito. Navigando in alcuni di questi siti si può notare che
molti di essi debbono essere ancora attivati, mostrano per ora solo la scritta "opening soon". Si sa che una
delle caratteristiche dei periodi multimediali è quella di poter operare una ricerca per parole mediante il
servizio "search" e cercare quindi il sito del proprio stilista preferito. Fino a poco tempo fa, se si ciccava sul
sito di Prada, comparivano alcuni indirizzi, uno dei quali rimandava al sito www.prada.com nel quale è
presente solo il logo e la scritta "opening soon”. Con il secondo indirizzo proposto www.pradaamericascup.com è apparsa una pagina web interamente dedicata alla famosa imbarcazione "Luna Rossa" .
Prada con tale mossa ha voluto associare, con un abilissima strategia di marketing , il proprio marchio alla
più famosa regata velica del mondo e farsi quindi in modo non convenzionale ma estremamente incisivo
una grande pubblicità: chiunque voglia visitare il sito di Luna Rossa non può non imbattersi nel celebre
marchio Prada.
Capagna Prada
Sfogliando le riviste di moda e incontrando le pubblicità di Prada è stato facile associare tale marchio
all’evento sportivo che ha coinvolto ed emozionato tanti italiani e non solo. Nel caso di Prada si può
parlare di moda attraverso la comunicazione di massa e di moda come comunicazione di massa, vediamo
in che modo. Analizzando la pubblicità apparsa su Vogue n°593 del gennaio 2000 è evidente come sia
legata al fenomeno sportivo "Luna Rossa". La pubblicità si sviluppa in ben due fogli e quattro facciate, ed
è costituita da un supporto cartaceo molto simile al cartoncino. Massiccia è la presenza del colore azzurro,
impreziosito notevolmente dall’effetto flou che persiste in tutte le pagine. La pubblicità ha una struttura
simmetrica, infatti sul fronte della prima pagina ritroviamo una testimonial che indossa un capo Prada, sul
retro-pagina ritroviamo uno sfondo evocativo del cielo e un elemento fondamentale: una linea rossa di 5
mm di altezza, che si estende orizzontalmente da lato a lato del foglio. Nella seconda pagina abbiamo un
altro soggetto indossante capi Prada che parrebbe seduto su una barca a vela. Solo in ultima pagina viene
chiarita l’appartenenza di tale pubblicità al gruppo Prada; infatti solo al termine della campagna compare
l’ormai famoso marchio rosso. L’ambientazione ricopre in questa campagna pubblicitaria un’importanza
notevole. Prada ha sfruttato, con l’utilizzo della barca (quasi sicuramente a vela), il mare e il cielo, tutti i
riferimenti all’evento sportivo dell’America’s Cup, in cui il team di Luna Rossa, guidato da De Angelis,
era completamente sponsorizzato e vestito dal marchio milanese. Il marchio Prada è realizzato con lo
stesso "tema" del logo indicante il nome dell’imbarcazione: Luna Rossa. Questi particolari dimostrano
come l’azienda milanese, durante le regate, ricorrendo ad un mezzo "non convenzionale" (stampa, spot
televisivi o altro) si sia fatta grandissima pubblicità.
Campagna Prada
Si può affermare che il gruppo Prada, con tale mossa, abbia voluto conseguire l’appeal verso i consumatori
italiani; infatti come è noto il mercato più favorevole all’azienda è stato da sempre quello americano e
giapponese. Approfittando del coinvolgimento e della partecipazione del pubblico all’evento sportivo,
Prada ha fatto conoscere la sua linea sportiva aumentando notevolmente il fatturato delle vendite in Italia.
E’ stato come se, il pubblico per sostenere e supportare "emotivamente" Luna Rossa, comprasse scarpe e
borse Prada e dicesse: "anch’io faccio vela e tifo Luna Rossa". "Senza dubbio le rappresentazioni più
frequenti della retorica di moda riguardano non il lavoro bensì il suo contrario l’ozio". Con questa citazione
dello studioso francese ho voluto sottolineare come la moda si serva di elementi appartenenti agli ambiti
più svariati per creare nuove tendenze e farle diventare moda. Prada è ricorsa all’ambito sportivo; i suoi
accessori essendo divenuti status symbol possono essere indossati ovunque, l’importante è mostrarli se non
ostentarli. Nella pubblicità il riferimento continuo al mare è dominante, soprattutto grazie all’utilizzo del
colore, all’ambientazione e all’abbigliamento indossato. I colori vengono definiti dall’azienda milanese
"NAVY" e sono sulle tonalità del celeste, azzurro e bianco; non sembra mai mancare il riferimento a Luna
Rossa con un dettaglio anche irrilevante ma tassativamente rosso. In questa pubblicità viene proposta la
donna raffinata/affascinante: l’espressione del volto, la postura e l’atteggiamento globale sono
caratterizzati da equilibrio, armonia e formalismo. Con l’affievolirsi del fenomeno "Luna Rossa" è andato
scemando anche il favore del pubblico nei confronti del marchio Prada e più precisamente della linea
sportiva. L’affascinante universo di internet sicuramente abbatte numerosi limiti come il tempo, i mezzi e i
luoghi. Tranquillamente da casa e "cliccando" i vari search è possibile seguire in tempo reale quello che
succede nel mondo, è addirittura impossibile "parlando di moda" non imbattersi in siti dedicati al
complesso mondo della vela.
Campagna Prada
Campagne Verasce
In Italia ci sono importanti Enti, conosciuti a livello mondiale, che ogni anno si occupano di moda
attraverso fiere, sfilate e spettacoli televisivi:
CAMERA NAZIONALE DELLA MODA ITALIANA
La Camera Nazionale della Moda Italiana é l'Associazione senza scopo di lucro che disciplina, coordina
e promuove lo sviluppo della Moda Italiana. Rappresenta i più alti valori culturali della Moda Italiana e si
propone di tutelarne, coordinarne e potenziarne l'immagine, sia in Italia sia all'estero. Come previsto dalle
disposizioni statutarie, l'Associazione é il punto di riferimento e l'interlocutore privilegiato per tutte quelle
iniziative nazionali ed internazionali volte a valorizzare e a promuovere lo stile, il costume e la Moda
italiana. Fin dal 1958, anno della sua fondazione, ha attuato nel corso del tempo una politica di supporto
organizzativo finalizzata alla conoscenza, alla promozione e allo sviluppo della Moda attraverso eventi di
alta levatura di immagine in Italia e all'estero. Le recenti intese sui calendari internazionali che hanno
portato alla sigla dell'accordo Italo-Francese hanno conferito a Milano e alla Camera Nazionale della Moda
Italiana il ruolo di indiscusso protagonista sullo scacchiere internazionale della Moda, contribuendo anche
al consolidamento delle alleanze con Londra e New York. Il Protocollo d'Intesa Italo-Francese firmato a
Parigi il 26 giugno 2000 rappresenta la precisa volontà della Camera Nazionale della Moda Italiana e della
Federation Française de la Couture di condurre una politica comune volta allo sviluppo e alla diffusione dei
prodotti del lusso nelle aree extra-europee.
Organigramma che rappresenta la struttura della Camera Nazionale della Moda
Tra gli obiettivi della Camera Nazionale della Moda Italiana c'è l'organizzazione e gestione delle principali
manifestazioni, eventi e sfilate che si terranno per rappresentare il sistema Moda Italiano a Milano,
considerata come la Capitale della Moda, sia per l'uomo che per la donna, proprio per la convergenza tra il
pret-à-porter "alto", di lusso e l'apporto degli stilisti. Le manifestazioni sono quattro appuntamenti legati
alla presentazione della Collezione Milano Moda Uomo e Milano Moda Donna, tutti a disposizione degli
associati e degli ospiti dell'evento. La Camera Nazionale della Moda Italiana è responsabile della
presentazione della moda di sartoria a Roma "AltaRoma" e anche di diversi spettacoli come "Donna
Sotto le Stelle" e “Modanare a Porto Cervo”.
Camera Nazionale della Moda - sfilata
- ALTAROMA
Altaroma è sinonimo di impegno e volontà di rappresentare un crocevia virtuale dove le creatività più diverse
di giovani designer internazionali si incontrano, per presentare sperimentazioni che affondano le loro radici
nella cultura e nella tradizione di Paesi e culture diversissime, eppure complementari fra loro. Una
contemporaneità intrisa di storia. Una esposizione di know-how artigianali, tecnici e sperimentali declinati e
sviluppati per salvaguardare e sostenere un network di competenze e mestieri che, creando un circolo virtuoso,
attingono all’immenso patrimonio di archivi storici, forme, idee, ricami e colori creando un meltin pot globale
di alta artigianalità. Un nuovo linguaggio universale che fonde antichi saperi e tecniche avveniristiche in un
ideale World Fashion Fusion.
Manifesto AltaRoma Moda
- DONNA SOTTO LE STELLE
Donna sotto le stelle è l'annuale serata di sfilate e spettacolo che si svolge nel suggestivo scenario di
Piazza di Spagna e che conclude la settimana dedicata all'Alta Moda a Roma. Viene trasmessa in prima
serata sulle reti mediaste ed in particolare su Canale 5, rappresenta un grande show televisivo ed un evento
di costume e tendenza divenuto un appuntamento irrinunciabile per tutti. L'evento televisivo giunto alla
XVII edizione ricopre all'interno del palcoscenico delle manifestazioni moda un ruolo importante e
prestigioso. La cornice suggestiva di Trinità dei Monti, la presenza delle firme più prestigiose dell'alta
moda e del prét à porter e la partecipazione di importanti nomi del mondo della cultura, dello spettacolo,
della politica rendono la serata unica e testimoniano la rilevanza internazionale dell'evento. Ogni edizione
presenta in passerella i più importanti nomi dello stilismo associati a testimonial appartenenti al mondo
dello spettacolo del cinema e della televisione che giustificano il grandissimo successo di pubblico che
ogni anno accorre numerosissimo ai piedi della stupenda e magica scalinata di Piazza di Spagna. La
presenza televisiva dell'evento risale al 1986 ed era trasmessa dalla Rai con la partecipazione delle sole
Case di Alta Moda. Con il passaggio dell'evento televisivo alla Fininvest nel 1993 si apre la partecipazione
alle Case di prét à porter. "Donna sotto le Stelle" si conferma anche nel nuovo millennio un momento
importante per riaffermare con forza la personalità inimitabile del grande "made in Italy".
Donna Sotto le Stelle – momento della sfilata
- MODAMARE A PORTO CERVO
MODAMARE a Porto Cervo - La notte delle stelle - è l'annuale appuntamento con la moda e la bellezza
che apre la stagione estiva, una magnifica occasione per presentare le tendenze per l'estate racchiuse in un
evento televisivo giunto alla X edizione e che di anno in anno cambia cornice sempre alla ricerca
dell'habitat più naturale per ospitarlo. Portofino, Positano, Capri, Taormina, Porto Cervo: le perle della
mondanità e dei mari più affascinanti d'Italia hanno accolto con la loro magia alcune delle edizioni di
questa manifestazione televisiva che ha deciso di rinnovarsi proponendo, proprio per la decima edizione,
un format tutto nuovo orientato a rendere Modamare a Portocervo un appuntamento imperdibile per il
pubblico. Stilisti di prestigio, VIP, bellezza costituiscono un cocktail di ingredienti che rende appetibile la
trasmissione ai tantissimi curiosi che vogliono saperne di più del meraviglioso e magico mondo della
moda.
PITTI IMMAGINE
La mission di Pitti Immagine è creare fiere ed eventi per la moda intesa come fatto produttivo e di
consumo, di progettazione, estetico e culturale. La forte interazione tra comunicazione e marketing,
che agiscono in autonomia ma all'interno di un quadro di riferimento sempre esplicito e condiviso - è
la nostra specificità e forse il principale fattore competitivo. Sono cinque le rassegne di moda
organizzate attualmente a Firenze e tutte tra le più importanti al mondo: Pitti Immagine Uomo, Bimbo,
Filati, Casa e Pelle. Ciascuna di queste fiere presenta il quadro più aggiornato e completo della
produzione italiana e internazionale della fascia alta.
Le fiere si sono spostate dalla moda come prodotto alla moda come stili di vita globali, ai contesti
scenografici e di allestimento, alle relazioni sociali e di comunicazione tra classi, generazioni e
culture, ai rapporti di consumo e di segno tra oggetti diversi. Anche nella fiera hanno iniziato a
lavorare professionisti e "creativi" di altissima competenza, che hanno messo al centro dell'obiettivo il
progetto nell’ambito del marketing, dell’allestimento e della comunicazione.
Le caratteristiche delle rassegne commerciali sono:
1) La completezza, la selezione e la segmentazione dell’offerta di alto valore
2) La qualità della domanda
3) L’internazionalità
4) La visione dinamica dei mercati e dei consumi
5) L’anticipo e la concentrazione su tendenze e stili
6) La promozione della moda italiana
7) L’azione e la progettazione in un ambiente globalizzato
8) L’organizzazione e l’efficienza al servizio del risultato
9) L’orientamento al progetto
Pitti immagine
Pitti Immagine pone la sua attenzione sulla capacità della moda di essere modello di marketing e
comunicazione per altre merceologie e per altri settori industriali e di essere progetto
multidisciplinare: moda, design, architettura, spettacolo, arte…
Grazie a questo impegno, un appuntamento commerciale tutto sommato tradizionale come la fiera è
diventato un evento di moda, cioè uno spettacolo al servizio di uno dei più importanti e dinamici
settori della nostra economia.
Nella mission dell'azienda si esprime anche l’obiettivo nei confronti della moda italiana, vista però come
protagonista centrale di un panorama che deve sempre essere internazionale.
La sfida che la moda italiana dovrà sostenere nel contesto globale è quello trasformare merci prodotte bene,
benissimo e a costi ragionevoli in veicoli di affermazione sociale, elementi di comfort psicologico,
messaggeri di una cultura e di uno stile di vita invidiati e invidiabili, testimoni di modernità. Solo così
si potranno valorizzare adeguatamente le tecniche e le tecnologie, le competenze, un'industria
straordinaria radicata in tutto il territorio, i distretti produttivi, il patrimonio artistico e paesaggistico.
Pitti Immagine
Pitti bimbo
Pitti uomo
-
CENTRO DI FIRENZE PER LA MODA ITALIANA
Il Centro di Firenze per la Moda Italiana (CFMI) è un'associazione senza scopo di lucro, a
partecipazione privata e pubblica, che si è costituita nel 1954 con l'obiettivo di promuovere e
realizzare iniziative commerciali e promozionali a livello internazionale a sostegno del sistema moda
italiano. Il CFMI fornisce le linee generali di politica fieristica e promozionale a Pitti Immagine
(che controlla nella misura dell'85%) e a Ente Moda Italia (di cui possiede il 50%), società che opera
nel settore delle fiere estere. L'altro socio di riferimento in queste due partecipazioni è Sistema Moda
Italia, l'associazione che rappresenta in Confindustria le industrie dell'abbigliamento, della maglieria e
della calzetteria, del tessile laniero.
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FONDAZIONE PITTI IMMAGINE DISCOVERY
Pitti Immagine Discovery nasce ufficialmente il 9 aprile del 1999 con la presentazione di These restless
minds, una video installazione dell'artista californiano Doug Aitken. La scommessa di Pitti
Immagine è quella di avere a Firenze un luogo dove concentrare l'attenzione sulle più stimolanti
ricerche dei linguaggi contemporanei. Viene ritagliato uno spazio all'interno dell'edificio occupato da
Pitti Immagine in via Faenza e reso luogo espositivo dall'architetto Claudio Silvestrin. Inizia così
un'esperienza unica, sotto la direzione di Francesco Bonami: non è una galleria, non è un museo,
non è una collezione. E' un laboratorio dove si sperimenta la capacità di un'azienda di intervenire su
una città e la sua vita culturale in modo preciso, in modo chiaro. Nella primavera del 2002 Pitti
Immagine e il Centro di Firenze per la Moda Italiana trasformano il programma discovery nella
Fondazione Pitti Immagine Discovery, allo scopo di dare maggiore consistenza e rilievo
istituzionale alle attività del Gruppo legate alla contemporaneità.
La Fondazione ha il compito di promuovere in autonomia i progetti espositivi ed editoriali in cui si
confrontano moda, arti visive, cinema, fotografia, pubblicità, architettura, musica. In altre parole, il
compito di evidenziare i fenomeni artistici più innovativi dai quali la moda trae materia di
progettazione e per i quali essa stessa è sempre più spesso motivo e materia di riflessione e di
produzione. Le situazioni presentate dalla Fondazione Discovery sono sempre il riflesso del
variegato scenario artistico internazionale, ma la loro cronaca racconta anche i recenti sviluppi
della strategia culturale e di comunicazione di Pitti Immagine (Premio Guggenheim Impresa &
Cultura 2001) in particolare la costruzione di eventi e moduli di ricerca che approfondiscono di volta
in volta fatti sociali e di costume, trend economici e come in questo caso i fenomeni artistici più
innovativi, dai quali la moda trae materia di elaborazione e con i quali sempre più spesso si relaziona.
Non a caso l'esperienza di discovery ha costituito la palestra in cui si sono formate le capacità
progettuali e operative che hanno dato luogo ai recenti eventi realizzati per il più ampio progetto del
Gruppo "La Cultura della Moda".
BLOG: Pitti Immagine dispone anche di un blog, blog.pittimmagine.com, ed è una preziosissima fonte
per quanto riguarda foto di sfilate, articoli riguardanti l’assegnazione di importanti premi (tra i quali il
Premio Pitti), mappe degli espositori alla fiera ed elenco degli eventi.
PITTI PRESS: Esempio di comunicato stampa
SUPERSTREET N.5:
IL MEGLIO DELLO STREETWEAR DESIGN UNDER 18 RAGGIUNGE QUOTA 59 MARCHI
Streetwear evoluto e denim culture. SuperStreet N.5 è la sezione che Pitti Bimbo dedica ai progetti più
rappresentativi di una realtà di mercato in continua espansione. Una costante selezione di nuovi marchi e un talent
scouting nel graphic design emergente per i progetti allestitivi, sono i punti di forza della sezione più dinamica di Pitti
Bimbo.
I numeri e i nomi
Ritratto di una nicchia di mercato molto dinamica, SuperStreet N.5 si presenta all’edizione invernale con
ben 14 new entry.
59 i brand protagonisti a rappresentare il meglio dello streetwear e del jeanswear per ragazzi. 2.500 mq la
superficie espositiva totale che coinvolge le aree del Padiglione delle Ghiaia, del Cortile dell’Armeria,
dell’Armeria e della Fureria.
In scena le collezioni autunno/inverno 2007/2008.
Questi i nomi:
I NUOVI INGRESSI: Bomb Boogie, Calvin Klein Jeans Kids, Converse, Corleone, Gaudì Junior & Girl,
Ceko ‘El Nino’, J and Company, Maharishi, Nordkapp, Ollie, Onelove, Tru Trussardi Baby e Junior,
university pl.
I MARCHI GIÀ PRESENTI: 40Weft, Add Junior, Antik Batik, Bikkembergs, Brema, Canadian Classics,
Colors of California, Crocs, Cult, DDP, Docksteps, Eddie Pen, Em-Sign, Energie, European Culture
Junior, Evisu Bonsai, Gas Junior, Guess Kids, Guru Gang, Hot Wheels, Indijo, Jaggy, Joe Black, Juicy
Couture, Killah, Liu.Jo Girl, Liu.Jo Baby, Liu.Jo Honey, Mauro Grifoni, Merrell, Miss Sixty, Momino,
Murphy & Nye Jr’s, Onitsuka Tiger, Nolita Pocket, Pepe Jeans London Kids, Pickwick Junior, Pirelli,
Rare The Kid, Refrigiwear, Roy Roger’s Bambino/a, Save The Queen Circus, Take Two Teen, Teva,
Vintage 55, W.H.O.P Without Paper.
L’allestimento
Specchio della contemporaneità, rappresentazione di un lifestyle in permanente evoluzione, l’allestimento
di SuperStreet è un progetto speciale che ogni edizione viene affidato a artisti emergenti della scena
underground internazionale del design, dell’animazione e della street art.
Joe Velluto - giovane studio di industrial design con all’attivo progetti e collaborazioni di profilo internazionale e
fondatore della Nazionale Italiana Design - trasforma SuperStreet N.5 in un luogo immaginario popolato da
fantastici abitanti: Boogie Park, un parco cittadino dove i piccoli abitanti (talpe, gnomi, scoiattoli…) si scatenano
ballando la break-dance, andando in skate, suonando la musica come dei veri dj (usando tappi di bottiglie al posto
dei dischi …). Un immaginario surreale che mette in risalto l’ironia con la quale bambini e ragazzi si approcciano la
realtà che li circonda.
Firenze, 19 gennaio 2007
La comunicazione, nel mondo della moda, passa anche attraverso riviste di moda e design.
Le più importanti sono:
VOGUE (www.vogue.co.uk)
ELLE (www.elle.it)
MARIE CLAIRE (www.marieclaire.com)
A-ABITARE (www.abitare.corriere.it)
ARCHITECTURAL DIGEST (www.architecturaldigest.com)
I.D. MAGAZINE (www.idonline.com)
DOMUS (www.edidomus.it)