fALLACIE ESEGEtIChE
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fALLACIE ESEGEtIChE
D.A. Carson fallacie esegetiche Edizioni GBU Indice Abbreviazioni Prefazione alla seconda edizione Introduzione 1. 2. 3. 4. 5. Fallacie linguistiche Fallacie grammaticali Fallacie logiche Fallacie dovute ai presupposti e fallacie di ordine storico Riflessioni conclusive Indice degli autori Indice degli argomenti Indice delle citazioni bibliche Dizionarietto IX 1 3 17 61 87 129 143 151 153 155 159 Introduzione Concentrarsi sulle fallacie1 esegetiche o di altro genere sembra un po’ come concentrarsi sul peccato: coloro che sono colpevoli potrebbero prenderne atto in maniera riluttante e fermarsi a esaminare i loro errori solo superficialmente; ma in questo modo di procedere non c’è nulla di redentivo. Tuttavia, quando certi tipi di peccato sono comuni e (ancor peggio) spesso non riconosciuti da coloro che li commettono, una loro descrizione dettagliata potrebbe avere l’effetto salutare non solo di incoraggiare un profondo esame personale ma anche di fornire un incentivo a seguire strade migliori. Spero che nel parlare di ciò che non si deve fare in esegesi possiamo desiderare tutti più ardentemente di interpretare la Parola di Dio in maniera corretta. Se mi concentro sull’aspetto negativo della questione lo faccio nella speranza che i lettori potranno in tal modo avere un vantaggio maggiore dall’istruzione positiva che gli arriva dai testi e dalle predicazioni. Prima di procedere con lo studio vorrei evitare le domande fuorvianti che possono nascere in seguito, indicando fin da ora l’importanza di questo studio e i pericoli che gli sono intrinseci e riconoscendo con franchezza le molte limitazioni che gli ho imposto. L’importanza di questo studio Questo studio è importante perché le fallacie esegetiche sono purtroppo frequenti anche fra di noi che abbiamo la grazia e la 1. Il termine fallacia qui è utilizzato come termine che indica un’argomentazione che nonostante un’apparente forza logica è errata, vale a dire presenta un difetto che compromette il valore dimostrativo dell’argomentazione. 3 fallacie esegetiche responsabilità da parte di Dio di proclamare fedelmente la sua Parola. Commettere un errore nell’interpretazione di un’opera di Shakespeare, non ricostruire fedelmente i versi di un brano di Spenser, sono cose che difficilmente avranno delle implicazioni eterne; ma non possiamo accettare alla leggera una simile trascuratezza nell’interpretazione della Scrittura. Abbiamo a che fare con i pensieri di Dio: siamo obbligati a fare il più grande sforzo per comprenderli correttamente e spiegarli chiaramente. Stando così le cose, è ancor più scandaloso trovare sui pulpiti evangelici, dove le Scritture sono ufficialmente riverite, frequenti e inescusabili trascuratezze nella loro esposizione. Tutti noi, naturalmente, commetteremo i nostri errori esegetici: sono dolorosamente consapevole di alcuni dei miei che con il passare degli anni sono venuti a galla grazie a letture più ampie o a colleghi attenti che mi amano abbastanza da correggermi. Ma la situazione è tragica quando il predicatore o l’insegnante è assolutamente non consapevole delle assurdità che proferisce e del danno che fa alla chiesa di Dio. Né dall’altro lato dobbiamo essere soddisfatti nel puntare il dito verso altri gruppi le cui capacità sono inferiori alle nostre: dobbiamo iniziare dalla pulizia in casa nostra. L’essenza di ogni pensiero critico, nel senso migliore di questa abusata espressione, sta nel fornire una giustificazione delle opinioni che si possiedono. Un’interpretazione critica della Scrittura è quella che esibisce una giustificazione adeguata dal punto di vista lessicale, grammaticale, culturale, teologico, storico, geografico o di qualche altro genere2. In altre parole, l’esegesi critica nel senso in cui uso il termine è l’esegesi che esibisce dei buoni motivi per le scelte che compie e per le posizioni che adotta. L’esegesi critica si oppone alle semplici opinioni personali, agli appelli ciechi a un’autorità (quella dell’interprete o di qualcun altro), alle interpretazioni arbitrarie e alle opinioni speculative. Ciò non significa negare che le cose spirituali devono essere giudicate spiritualmente né che sia irrilevante 2. Per questo uso del termine critico mi affido a Bernard Ramm, Protestant Biblical Interpretation: A Handbook of Hermeneutics for Conservative Protestants, 2. ed. Wilde, Boston, 1956, pp. 101–103. Questo materiale non si trova nella terza edizione. 4 Introduzione la pietà; vuole piuttosto dire che neanche la pietà e il dono dello Spirito Santo garantiscono interpretazioni infallibili. Quando due interpreti, ugualmente pii, si presentano con due interpretazioni di un testo incompatibili, deve essere chiaro anche al più spirituale di noi, e forse anche alla maggioranza di coloro che non si abbandonano a forme deteriori di polisemia (di cui parlerò di più avanti), che non possono avere ragione tutti e due3. Se questi interpreti non sono solo spirituali ma anche maturi, forse potremmo sperare che indagheranno sui motivi per i quali sono giunti a conclusioni diverse. Con una verifica attenta, cortese e onesta potrebbero trovare con il tempo una soluzione alle opposte pretese interpretative. Forse ha ragione uno e l’altro ha torto; forse hanno entrambi in parte ragione e in parte torto e hanno bisogno di modificare le proprie posizioni; oppure, può essere che i due interpreti non riescono ad annullare le specifiche ragioni che li portano a dissentire e rimangono quindi incapaci di individuare il problema esegetico o ermeneutico e risolverlo. Non importa: dal nostro punto di vista, quello che è importante è che i due interpreti siano impegnati in un’esegesi critica, un’esegesi che fornisce o tenta di fornire una giustificazione adeguata per le conclusioni raggiunte e per ogni opinione professata. 3. A volte un impedimento non permette di capire questo punto. Quasi venti anni fa ero in macchina con un altro credente che mi confidò ciò che il Signore gli aveva «detto» quella mattina durante il tempo di raccoglimento. Stava leggendo Matteo nella versione King James, e mi resi conto che non solo aveva capito male l’inglese antico, ma che anche quella versione in quel punto aveva tradotto male il testo greco. Suggerii con gentilezza che ci poteva essere un altro modo per comprendere il brano e riassunsi quello che ritenevo fosse il suo significato. Il fratello scartò il mio punto di vista ritenendolo impossibile in quanto lo Spirito Santo, che non mente, gli aveva rivelato la verità su quel versetto. Essendo io allora giovane e intraprendente, andai avanti con la mia spiegazione di grammatica, sul contesto e sulla traduzione, ma le spiegazioni furono messe da parte grazie a un riferimento a 1 Corinzi 2:10b–15: le cose spirituali devono essere giudicate spiritualmente, cosa questa che lasciò pochi dubbi sul mio stato. Sinceramente curioso, chiesi a questo fratello che cosa avrebbe detto se io avessi sostenuto la mia interpretazione non per ragioni di grammatica e di testo ma perché il Signore stesso mi aveva dato l’interpretazione che proponevo. Rimase in silenzio per diverso tempo e poi concluse, «Suppongo che lo Spirito ci dice che la Bibbia vuole dire cose diverse a persone diverse». 5 fallacie esegetiche Ma se l’esegesi critica offre buone ragioni, il suo compito deve anche essere quello di respingere ragioni sbagliate. Ecco perché è importante il nostro studio. Illuminando le nostre fallacie esegetiche possiamo divenire dei migliori esperti di esegesi critica. L’analisi attenta della Bibbia ci renderà capaci di «ascoltarla» un po’ meglio. È troppo facile imporre al testo della Scrittura interpretazioni tradizionali che abbiamo ereditato. Senza renderci conto, trasferiamo l’autorità della Scrittura alle nostre tradizioni e le investiamo di una falsa certezza se non addirittura di una certezza idolatra. Siccome le tradizioni si modificano nell’atto di essere tramandate, può accadere che con il passare del tempo possiamo essere trasportati lontano dalla Parola di Dio, pur continuando a insistere che tutte le nostre opinioni teologiche sono «bibliche» e quindi vere. Quando siamo in una simile condizione, se studiamo la Bibbia in modo non critico è probabile che il nostro studio non farà altro che rafforzare i nostri errori. Se la Bibbia deve compiere la sua opera di continua riforma, sia della nostra vita sia della nostra dottrina, dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per ascoltarla nuovamente e utilizzare le migliori risorse che disponiamo. L’importanza di uno studio come il nostro non può correre il rischio di essere sopravalutata se dobbiamo andare verso l’unanimità sulle questioni d’interpretazione che ancora ci dividono. Mi sto rivolgendo a coloro che hanno una considerazione molto alta della Scrittura: è triste osservare quante differenze ci sono fra noi per ciò che la Scrittura veramente dice. Certo, le grandi verità che ci uniscono non vanno minimizzate; ma resta il fatto che fra quelli che credono che i canonici 66 libri siano niente di meno della Parola di Dio scritta c’è una gamma inquietante di opinioni teologiche incompatibili. Robert K. Johnston ha ragione quando scrive: «[Che] gli evangelici, nel mentre sostengono tutti una norma biblica, raggiungano formulazioni teologiche contraddittorie su molte delle questioni principali che studiano è un fatto che fa pensare alla natura problematica della loro reale comprensione dell’interpretazione teologica. Sostenere che la Bibbia è autorevole ma non essere capaci di essere 6 Introduzione d’accordo su quello che dice (anche con gli altri evangelici) è controproducente»4. È probabile che l’accusa non sia formulata in maniera corretta: ciò che Johnston ritiene controproducente può essere di natura ermeneutica ed esegetica; non necessariamente ha a che fare con l’autorità della Bibbia. Tuttavia quest’affermazione ci aiuta a confrontarci con un certo, imbarazzante grado di confusione. Perché, fra coloro che hanno la stessa, alta considerazione dell’autorità della Scrittura, ci sono alcuni che pensano che le lingue siano il segno definitivo del battesimo dello Spirito, mentre altri pensano che il dono delle lingue sia facoltativo e ancora altri che non esista più come dono autentico? Come mai ci sono alcuni che hanno un approccio dispensazionalista alla Scrittura e altri che si definiscono teologi del patto? Come mai ci sono diversi tipi di calvinisti e di arminiani, di battisti e di pedobattisti? Come mai alcuni difendono risolutamente una forma di governo della chiesa di tipo presbiteriana, mentre altri spingono verso forme di congregazionalismo e altri ancora difendono i tre uffici e la struttura gerarchica che ha dominato l’Occidente per quasi un millennio e mezzo fin dall’epoca dei padri post–apostolici? Posso osare chiedere il significato della Cena del Signore? O domandare la ragione per la quale esiste una pletora di opinioni escatologiche? In un certo senso, bisogna ammetterlo, le ragioni non sono sempre razionali e suscettibili di essere corrette unicamente in virtù di un migliore rigore esegetico. Molti insegnanti e predicatori locali non sono mai stati costretti a confortarsi intensamente con interpretazioni alternative; e siccome perderebbero una certa sicurezza psicologica se permettessero alle proprie domande sollevate dalla lettura della Scrittura di essere formulate adeguatamente, è improbabile che rovesceranno le tradizioni ereditate. Ma io non sto parlando di queste persone. Per amore della mia tesi restringo il campo ai conduttori più sapienti, maturi, formati e pii che si trovano in ogni posizione: 4. Robert K. Johnston, Evangelical at an Impasse: Biblical Authority in Practice, John Knox, Atlanta, 1979, pp. vii–viii. 7 fallacie esegetiche perché non riescono a muoversi verso un’unanimità maggiore su tutti i fronti dottrinali? In prima battuta potrebbero esserci diverse, pratiche barriere da superare. I leader potrebbero pensare di non avere il tempo da trascorrere in questo genere di dibattiti che potrebbe condurre a vere soluzioni. Probabilmente la maggior parte di loro pensa che l’altro sia così convinto della sua posizione che ci sia poco da guadagnare nel tentare un tale dialogo, essendo convinti che la gran parte, se non tutto il cambiamento, dovrebbe essere fatto dagli oppositori, i quali dovrebbero ammettere i loro errori e adottare la retta posizione! Altri potrebbero essere troppo insicuri nella posizione che hanno da tentare un confronto. Ma se potessimo rimuovere tutti questi tipi di impedimenti, scopriremmo che le cause cruciali delle divisioni dottrinali fra queste ipotetiche guide che abbiamo adesso radunato (con la nostra immaginazione) per un’umile e profondo dibattito al fine di cercare di superare le loro divisioni, sarebbero differenze di opinione su ciò che veramente dice questo o quel brano, oppure sul modo in cui sono collegati questo brano e quel brano. È naturalmente possibile che un lungo e franco dibattito potrebbe in un primo momento non far altro che mostrare la natura delle differenze oppure quanto esse siano intrecciate con problematiche più ampie. Alla fine, però, quando tutti questi rivoli secondari sono stati attentamente e umilmente esplorati, per il fatto che facevano sorgere difficili questioni esegetiche, ciò che resta da discutere tra coloro che hanno un’alta considerazione della Scrittura saranno unicamente questioni esegetiche ed ermeneutiche. Anche se i nostri interlocutori giungessero solo al punto in cui riterrebbero insufficienti le prove esegetiche per approdare a una decisione sicura, avranno comunque ottenuto qualcosa; infatti, quella posizione, raggiunta con onestà da entrambe le parti che si confrontano, indicherebbe che nessuna parte ha il diritto di escludere l’altra su basi bibliche. Di tanto in tanto sono stato coinvolto in simili discussioni; a volte le ho anche cercate io stesso. A volte è impossibile andare lontano: le barriere emotive sono troppo alte o l’impegno temporale necessario a raggiungere l’unanimità è troppo gran8 Introduzione de. Ma quando si sono svolte discussioni profittevoli, si è registrato da ambo le parti una capacità crescente di distinguere un buon ragionamento da uno cattivo, un ragionamento forte da uno debole. Da ciò segue, allora, l’importanza dello studio delle fallacie esegetiche. Forse troveremo in esso un incentivo ulteriore se ricordiamo come Paolo esorta i credenti di Filippi ad avere un medesimo pensare, esortazione che va oltre il solo incoraggiamento a sopportare gli altri ma che richiede anche la ricerca di un’unanimità nell’area cruciale del pensare i pensieri di Dio. Ciò fa sicuramente parte della disciplina dell’amare Dio con le proprie menti. Come molta parte della nostra teologia, in molti casi le nostre pratiche esegetiche ci sono state tramandate da insegnanti che le hanno apprese dal passato. Se i nostri insegnanti e noi stessi non ci siamo aggiornati, è probabile allora che le nostre capacità esegetiche siano rimaste indietro rispetto a sviluppi che sono intervenuti. L’ermeneutica, la linguistica, gli studi di letteratura e di grammatica e il progresso informatico cospirano insieme per esigere da noi un’autocritica rispetto alle nostre pratiche esegetiche. Inoltre, alcuni degli sviluppi sono occorsi in aree sempre più ampie della vita cristiana (per esempio, l’impatto della nuova ermeneutica sulla nostra comprensione della contestualizzazione nella missione mondiale) da richiedere una riflessione urgente e matura. La somma di tutta la nostra utile competenza esegetica non ha raggiunto il suo apice ai tempi della Riforma e neanche nel secolo scorso. Anche se possiamo imparare da coloro che ci hanno preceduto, dobbiamo affrontare la dura realtà degli ultimi secoli; né la nostalgia né la posizione che per certi versi si può preferire, quella dello struzzo, rimuoveranno le minacce o le opportunità che esigono nuovo rigore nell’applicazione delle nostre capacità esegetiche. Queste ultime due considerazioni mi ricordano l’osservazione di David Hackett Fischer, che si rivolge con durezza ai suoi colleghi storici: «Gli storci devono, inoltre, sviluppare prove critiche non solo per le proprie interpretazioni ma anche per i metodi che usano per giungere a esse ... Fra i miei colleghi è comune 9 fallacie esegetiche credere che qualsiasi procedura sia lecita, purché colui che la usa pubblichi un articolo ogni tanto e non sia condannato come criminale. La condizione della moderna storiografia è un po’ quella degli Ebrei al tempo dei Giudici: ognuno fa quello che gli pare meglio. I campi sono seminati con il sale e arati con una giovenca, e c’è carestia nel paese»5. Non sono abbastanza preparato per dire se la condizione dell’esegesi sia migliore o peggiore di quella della storiografia; ma sicuramente ci sono dolorose similitudini. L’ultimo motivo per cui questo studio ha assunto importanza è il cambiamento nel clima teologico che si è registrato nel mondo occidentale negli ultimi trenta o quarant’anni. Con il rischio di semplificare troppo, si potrebbe sostenere che la generazione dei cristiani conservatori precedente a quella attuale affrontava degli oppositori i quali sostenevano di fatto che la Bibbia non fosse affidabile e che solo gli ignoranti e i ciechi potevano affermare il contrario. Oggi ci sono naturalmente molte voci che dicono la stessa cosa; ma ci sono nuove voci che insistono in modo forte sul fatto che il nostro vero problema è ermeneutico ed esegetico. I conservatori, ci viene detto, non hanno compreso bene la Bibbia. Hanno imposto al testo sacro un’idea artificiale di autorità e un’esegesi forzata di ogni singolo brano. Una delle enfatizzazioni del duro, acerbo attacco al «fondamentalismo» da parte di James Barr è che i conservatori non capiscono veramente la Bibbia e che usano metodi critici incoerenti e addirittura in maniera disonesta6. A un altro livello, un’esplicita affermazione che si trova nel commentario su Matteo di Robert H. Gundry è che il suo approccio al testo è più fedele alla Scrittura di quello dei commentari tradizionali conservatori7. Fenomeni simili sono diffusissimi. Tutto ciò significa che un’apologetica tradizionale è in questi casi irrilevante. Siamo stati aggirati ai fianchi sulle questioni ermeneutiche ed esegetiche e uno dei passi che dobbiamo 5. David Hackett Fischer, Historians’ Fallacies: Toward a Logic of Historical Thought, Harper and Row, New York, 1970, pp. xix–xx. 6. James Barr, Fundamentalism, SCM, London, 1977. 7. Robert H. Gundry, Matthew: A Commentary on His Literary and Theological Art, Eerdmans, Grand Rapids, 1982. 10 Introduzione intraprendere per ritornare a discutere è quello di esaminare nuovamente proprio i nostri metodi esegetici ed ermeneutici. Ciò include la rigorosa messa a nudo delle argomentazioni pessime o deboli, sia nostre sia altrui. I pericoli di questo studio Se esistono delle ragioni che rendono importante uno studio delle fallacie esegetiche ne esistono anche altre che rendono un tale studio pericoloso. La prima è che un persistente atteggiamento negativo è spiritualmente deleterio. La persona che fa della scoperta di tutte le cose sbagliate lo scopo della sua vita, di quelle che hanno a che fare con la vita in generale e di quelle che hanno a che fare con un suo ambito, come l'esegesi, si espone a una catastrofe spirituale. La prima virtù a scomparire sarà la riconoscenza a Dio sia per le cose buone sia per la sua protezione sovrana e per i suoi propositi anche nelle cose cattive. Sarà presto seguita dalla perdita dell’umiltà, nel momento in cui il critico, molto informato sugli errori e sulle fallacie (soprattutto altrui!), inizia a sentirsi superiore a coloro che critica. L’esagerazione spirituale non è una virtù cristiana. Il negativismo eccessivo è un nutrimento calorico per la superbia. Purtroppo non ho potuto constatare che gli studenti delle scuole bibliche, per non parlare dei professori, siano esenti da questo pericolo. Dall’altra parte, una concentrazione prolungata sugli errori e sulle fallacie potrebbe produrre un effetto piuttosto diverso in alcuni. In coloro che già si sentono insicuri o sono profondamente consapevoli delle responsabilità che stanno sulle spalle di chi è incaricato di predicare tutto il consiglio di Dio, uno studio del genere potrebbe spingerli allo scoraggiamento se non alla disperazione. Lo studente sensibile potrebbe chiedersi, «se ci sono così tante trappole esegetiche, così tanti tranelli ermeneutici, come posso essere mai sicuro che sto interpretando correttamente e rettamente predicando le Scritture? Come posso evitare la terribile responsabilità di insegnare falsità e imporre sulla coscienza del popolo di Cristo cose che Cristo stesso non impone, oppure rimuovere ciò che al contrario 11 fallacie esegetiche egli desidera che vada sostenuto? Quanto danno potrei fare con la mia ignoranza e la mia confusione esegetica?» A tali studenti posso solo dire che si faranno ancor più errori se non si intraprende uno studio come questo, di quanti se ne faranno se ci si confronta con domande difficili e si migliorano le proprie capacità. La differenza è che nel primo caso si sarà inconsapevoli degli errori che si fanno. Se si è genuinamente preoccupati della qualità del proprio ministero e non solo della propria insicurezza psicologica, si tratterà di un’alternativa inaccettabile. L’ignoranza può forse rendere le persone felici ma non è una virtù. Il pericolo fondamentale in ogni studio critico della Bibbia è quello che gli ermeneutici ritengono la giusta distanza tra soggetto e oggetto (distanziazione). Si tratta di una componente necessaria di un lavoro critico ma è difficile e a volte è costosa. Possiamo cogliere la posta in gioco se consideriamo un fenomeno comune alla scuole bibliche, ricorrendo a un esempio. Giuseppe Cristiani si convertì nel periodo della scuola superiore. Studiò informatica all’università ma serviva anche nella sua chiesa e aveva un efficace ministero nel gruppo locale degli studenti universitari. La sua devozione era calda e costante. Nonostante un occasionale periodo di crisi spirituale, sentiva spesso, mentre leggeva la Bibbia, che il Signore gli parlava. Tuttavia nella Bibbia c’erano così tante cose che non capiva. Mentre raggiungeva la convinzione personale che avrebbe dovuto impegnarsi in un servizio cristiano a tempo pieno, la sua comunità lo confermava nella sua comprensione dei doni e della chiamata. Consapevole delle sue limitazioni andò alla Scuola Biblica con tutto il fervore di una nuova recluta. Dopo sei mesi di Scuola Biblica, la situazione era molto diversa. Giuseppe trascorreva molte ore al giorno nel memorizzare la morfologia greca e a imparare i dettagli dell’itinerario del secondo viaggio missionario di Paolo. Aveva anche iniziato a scrivere saggi di esegesi; ma nel mentre completava i suoi studi sul lessico, i digrammi della sintassi, la sintesi delle opinioni dei critici e la sua valutazione delle prove contrastanti, gli sembrava che la Bibbia non fosse così viva come un tempo. Giuseppe era preoccupato di questo; trovava che era più difficile 12 Introduzione pregare e testimoniare di quanto non accadesse prima di andare alla Scuola Biblica. Non capiva che cosa gli stesse succedendo; non credeva che la colpa fosse degli insegnanti, che per lo più erano credenti pii, maturi e con molta conoscenza. Passa altro tempo. A questo punto avrebbe potuto fare una serie di cose. Poteva rifugiarsi in un pietismo difensivo che denunciava fortemente l’intellettualismo arido che vedeva intorno a sé; oppure poteva essere risucchiato in un vortice di impegno intellettuale che scaccia via l’adorazione, la preghiera, la testimonianza e la meditazione della Scrittura; oppure poteva tirare avanti barcollando fino a quando veniva liberato con la laurea e con il ritorno al mondo reale. C’è una via migliore? Queste esperienze sono una componente necessaria della vita di una Scuola Biblica? La risposta è sì a tutte e due le domande. Tali esperienze sono necessarie e sono causate dalla distanziazione. Tuttavia comprendere il fenomeno può darci la possibilità di superare meglio tali difficoltà, più di quanto accada realmente. Quando cerchiamo di comprendere il senso di un testo (o anche di un’altra persona), per valutarlo criticamente, cioè, non in modo arbitrario ma avendo delle buone ragioni sul modo in cui l’autore voleva essere compreso, dobbiamo prima di tutto cogliere la natura e il grado delle differenze che separano la nostra comprensione dalla comprensione del testo. Solo allora potremo fondere con profitto il nostro orizzonte di comprensione con l’orizzonte del testo, vale a dire solo allora potremo iniziare a plasmare i nostri pensieri secondo le direttive del testo affinché possiamo veramente comprenderlo. Fallire nell’attraversare il processo della distanziazione prima della fusione degli orizzonti significa di solito che non c’è stata una vera fusione: l’interprete pensa di sapere quello che il testo intende ma troppo spesso gli ha semplicemente imposto i propri pensieri. Da qui consegue che se una Scuola sta insegnando a pensare in modo critico (nel senso in cui ho usato il termine), per forza di cose si faranno i conti con una qualche, preoccupante forma di dislocazione e distanziazione. Un’istituzione di valore inferiore non creerebbe tante difficoltà: in essa gli studenti sono incoraggiati unicamente ad apprendere e non a valutare. 13 fallacie esegetiche La distanziazione è difficile e può essere costosa. Ma non posso astenermi dal sottolineare che non è un fine in sé. Il suo giusto complemento è la fusione degli orizzonti di comprensione. Se questa parte del compito interpretativo è nutrita insieme alla distanziazione, non sarà così distruttiva. Infatti, la vita cristiana, la fede e il pensiero che emergono da questo doppio processo saranno più robusti, più attenti spiritualmente, più pieni di discernimento, più biblici e più critici di quanto sarebbero stati altrimenti. Ma alcune delle tappe sono pericolose: bisogna imparare a integrare l’intero percorso con l’impegno cristiano e il tema di questo studio sarà di beneficio a tale scopo. Se si fallisce nell’impegno in una tale integrazione ci si predispone a naufragare spiritualmente. I limiti di questo studio Questo studio non presenta un’analisi molto tecnica. È stato pensato per studenti di Scuole Bibliche e per altri che prendono sul serio la propria responsabilità nell’interpretare le Scritture; ma non aggiunge niente al sapere che hanno gli esperti. Forse dovrei aggiungere che il titolo, Fallacie esegetiche (non Fallacie ermeneutiche), si concentra su coloro che fanno esegesi. Con il rischio di fare una distinzione troppo semplicistica, sostengo che l’esegesi ha a che fare con l’interpretazione del testo mentre l’ermeneutica ha a che fare con la natura del processo interpretativo. L’esegesi conclude dicendo, «Questo brano significa questo»; l’ermeneutica conclude affermando, «Questo processo interpretativo presenta i seguenti metodi ed è affetto dai seguenti preconcetti». Le due cose sono ovviamente collegate. Ma benché l’ermeneutica sia una disciplina importante in sé, idealmente non è fine a se stessa: è serva dell’esegesi. In un certo senso, siccome sto discutendo di vari aspetti del processo interpretativo, si può dire che il mio è uno studio ermeneutico; ma siccome l’enfasi qui non è tanto sul processo considerato da un punto di vista teorico ma dal punto di vista di chi lo pratica e che deve spiegare ciò che il testo sacro vuole dire, ho sottolineato nella presentazione il lato esegetico di tutti i possibili significati. 14 Introduzione Siccome non è uno studio tecnico, non ho fornito ampie informazioni bibliografiche. Ho incluso nella presentazione solo le opere citate o a cui mi riferisco (anche se di sfuggita). Questo studio si concentra sulle fallacie esegetiche, non sugli errori storici e teologici, tranne che nel momento in cui influenzano l’esegesi. Non credo di essere stato esaustivo nella presentazione dei tipi di errori che discuto in questo libro. Gli errori di cui parlo sono quelli che sulla base della mia esperienza ritengo fra i più comuni. Tuttavia, ho cercato di essere imparziale negli esempi. Ho citato fallacie esegetiche tratte dalle opere di liberali e conservatori, dagli scritti di calvinisti e di arminiani. Sono menzionate persone quasi sconosciute come pure studiosi famosi. Due dei miei personali errori esegetici vengono da me sepolti definitivamente con vergogna. I miei esempi sono stati tratti per lo più da fonti piuttosto serie, non dalle pubblicazioni popolari dove il numero di errori è più alto; ma ho anche incluso alcuni esempi tratti da predicatori popolari. Una leggera maggioranza di esempi provengono da scrittori evangelici ma ciò riflette il pubblico per cui questo studio è stato per primo preparato. In queste pagine non c’è un’analisi del ruolo che lo Spirito Santo ha nel nostro compito esegetico. Il tema è importante e difficile ma significherebbe spostare l’enfasi sul piano ermeneutico il che andrebbe a detrimento dell’utilità di questo libro come manuale per chi pratica l’esegesi. In breve, si tratta in primo luogo di una raccolta di fallacie esegetiche tipiche dei principianti. 15