Il mare era immobile e, muovendosi
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Il mare era immobile e, muovendosi
Il mare era immobile e, muovendosi lentissimamente, una nave petroliera lungo la linea dell’orizzonte dava traccia di sé solo per un esile filo di fumo bianco e sembrava solcare esattamente il limite di quel mare, come fosse una sagoma grigia di cartone a strisciare lungo uno sfondo di carta celeste e luminosa. Nonostante l’ora mattutina e la sabbia che aveva conservato il fresco e l’umido della notte che persisteva sotto ai piedi di quei pochi che erano già in spiaggia, guardando con occhio esperto il colore chiaro del mare si intravedevano già le righe scure di brezza che di lì a poco sarebbero sopraggiunte svogliatamente dal largo, proprio lungo la linea immaginaria che congiungeva quella stessa spiaggia con la nave petroliera all’orizzonte, attraversando risolutamente tutto lo spazio fino al bagnasciuga. In tutta quella calma le proporzioni degli spazi aperti apparivano appiattite, quasi che un senso di ristretto, come aver tutto a portata di mano, avesse ridotto le lingue di terra, di mare, le case, le colline e tutto quanto attorno, in proporzioni più umane, come di una stanza dipinta di colori e sfumature meravigliose. La balza scura di sabbia bagnata alla fine dell’arenile delimitava perfettamente la linea orlata in cui i due elementi si fondevano, e già pochi metri più addietro l’esercito di sedie a sdraio e di ombrelloni dai colori identici, per il momento perfettamente allineati, si lasciavano immaginare scompaginati durante la mattinata da mani e da gusti diversi, alla ricerca di posizioni migliori per la tintarella, o 7 Bruno Magnolfi per la lettura di un quotidiano o di un giallo di moda. Di lì a poco, molte signore oltre la mezza età avrebbero finto di sfogliare una rivista illustrata commentando gli argomenti del giorno e attaccando interminabili conversazioni con la vicina di ombrellone, mentre i rispettivi nipotini avrebbero inevitabilmente ripreso a lavorare con i secchielli e le palette alle buche e a quei castelli di sabbia, poco più che immaginari, già tentati il giorno avanti. “Buongiorno, signora bionda...” aveva detto simpaticamente il bagnino abbronzantissimo sorridendo e passando con piena dedizione alle proprie occupazioni quotidiane pur conservando il suo solito sguardo deciso di chi ha già capito tutto o quasi e ha il pieno controllo della situazione; il suo rimanere in bilico tra il concedere confidenza e familiarità appena quanto serve e mai concederne una briciola di troppo, ne faceva subito, agli occhi dei più, un professionista serio, uno che non si dà certo la pena di preoccuparsi dei problemi altrui, ma che al momento giusto scatta e ti è subito d’aiuto. “La vita è bella...” pareva avesse scritto in fronte, “...e sentirsi liberi dagli impegni e dalle preoccupazioni, anche se non è del tutto vero, la rende senz’altro ancora più bella.” Sicuramente ai suoi occhi la maggior parte delle persone che gli passava davanti ogni giorno appariva identica, composta di unità addirittura interscambiabili tra loro. Probabilmente, se si esclude le ragazze carine e appetibili, solo con difficoltà riusciva a memorizzare qualche faccia o addirittura ricordarsi di qualche nome. Una strana legge della giungla portava gli abituali dello stabilimento balneare a un comportamento che sacrificava gli introversi, gli incolori, i timidi, per relegarli a un vago isolamento, a tutto vantaggio dei simpatici per forza, dei chiacchieroni, dei tormenti della tranquillità, che regnavano beati tra l’arenile e il bar, salutando tutti e dimenandosi pieni d’importanza. Evidentemente nel caso della persona appena salutata qualcosa era diverso. 8 Bionda, naturalmente Il suo vero cognome era Biondo a dire la verità, ma avendovi peraltro adattato fin da ragazza il colore dei capelli, adesso che aveva passato, anche se da poco, la soglia dei quarantacinque anni e conservava una linea invidiabile (a essere sinceri con un certo sforzo dato da qualche digiuno e da alcune cure dietetiche), il suo appariva un vezzo assolutamente non trascurabile. Al liceo per tutti era sempre stata “la bionda”, di nome e di fatto, e questo appellativo, pur non essendo lei una bellezza mozzafiato, l’aveva caratterizzata dandole un certo seguito, anche se marginale. Era una ragazza taciturna, si capiva quanto le piacesse stare con gli altri, e anche se a volte la sua presenza diventava quasi inquietante, con i suoi silenzi, lo sguardo freddo, nei vari gruppi di ragazzi che allora si formavano era lei quasi sempre la prima a essere ricordata, forse proprio per i suoi capelli vistosi. Molto tempo dopo si era sposata, probabilmente anche grazie a quell’elemento accessorio, indossando in quel giorno un radioso color platino, ma per quanto le sfumature di colore delle sue acconciature fossero sempre state il frutto alternato dei suoi umori mescolati alla volontà del parrucchiere di turno, aveva sempre e comunque conservato una fedeltà di fondo a quella tinta che contrastava ovviamente con il suo naturale e natio castano. Nella sua vita non si erano mai manifestate grandi caratteristiche: anzi, il suo cruccio era stato spesso quello di rimanere sprofondata in una routine troppo ordinaria e scontata. Avrebbe tanto voluto essere estroversa, simpatica, particolare, ma la sua personalità tendeva ad appiattirsi in atteggiamenti poco brillanti. Sua mamma era quasi uscita di senno quando lei aveva vent’anni, e Giulia si era immaginata fosse accaduto per quella vita di famiglia troppo monotona, per quelle giornate tutte identiche. Non voleva fare la stessa fine, certe volte dentro di sé sentiva un ribollire di cose che non trovavano alcuno sfogo. Sin da quei giorni aveva cercato di essere diversa, anche se raramente ci era riuscita. 9 Bruno Magnolfi Nel primo giorno di mare dapprima si era rannicchiata sulla sedia a sdraio e più tardi si era adagiata sul suo asciugamano a contatto con il caldo della sabbia, ma sempre in modo da essere poco notata, a evitare sguardi indagatori sul pallore del primo giorno e sulle piccole smagliature della pelle. Poi si era cosparsa di crema abbronzante e con l’andare delle ore si era sentita più sciolta e tranquilla. All’inizio le era parsa una sciocchezza e una scelta masochista venirsene al mare in pensione da sola: non le piaceva starsene isolata, e senza alcuna persona in appoggio le pareva che le sue giornate risultassero infinite e prive di qualsiasi contenuto. Con tutti coloro con i quali ne aveva parlato aveva finto interesse per quella vacanza solitaria, ma non perché ne fosse attratta veramente, solo per dare una dimensione di se stessa diversa e sfuggente. Ma nei suoi pensieri si era sentita preoccupata, le sembrava di isolarsi, di cadere in una dimensione non sua, di affrontare in questo modo un periodo quasi da incubo. Al contrario le erano bastati solo pochi giorni per farle scoprire quanto era riposante e piacevole rimanersene tutto il giorno avvolta soltanto dalle sue riflessioni. Si era sentita bene a contatto con quel mare amico e sotto al sole che poco alla volta pareva distendere le sue perplessità. Non era vero che avesse bisogno degli altri: da sola si sentiva forte, sicura di sé, dei suoi pensieri, adagiata in quell’osservazione contemplativa del mare e del sole. C’era stato anche un momento, nei giorni precedenti la partenza, in cui probabilmente avrebbe potuto decidere di rimanere in città, ma le era parsa una prova d’orgoglio importante quella sua scelta, come un dimostrare anche a se stessa che certe volte poteva fare a meno degli altri, e che riusciva a portare avanti i suoi programmi in ogni caso, e adesso sentiva proprio di aver fatto bene. Quella prima vacanza senza Ernesto, suo marito, auspicata da lui per una riflessione sulla loro vita coniugale, di 10 Bionda, naturalmente fatto arrivava dopo un doloroso percorso che, visti i loro rapporti ormai da diverso tempo sempre più freddi e distaccati, avrebbe probabilmente portato a una loro separazione, almeno così immaginava: nelle sue storie del passato era sempre stata lei a essere lasciata. Essere arrivati a questo passaggio, avendo sempre confidato in un miracoloso miglioramento del loro vivere assieme, a Giulia in un primo momento era parso terribile, e la sua solita paura della solitudine si era subito fatta sentire, lasciandola fiaccata e priva di qualsiasi forza per reagire, per quanto almeno in apparenza avesse conservato un comportamento equilibrato. Mantenendo un atteggiamento il più possibile naturale aveva lasciato che tutto scorresse con tranquillità nonostante il forte nervosismo dato dalla situazione, e anche nei giorni precedenti alla sua partenza era riuscita a non rivolgere al marito alcuna domanda diretta, quasi come si sentisse disinteressata ai suoi veri programmi. Aveva preparato con cura e con una certa tristezza le valigie, e parlando al marito in maniera un po’ indiretta aveva detto assaporando di fatto una certa amarezza: “...mi piace andarmene da sola; sento che non avrò bisogno di niente...” Confidava in qualcosa, per far trascorrere al meglio quel periodo, di cui non sapeva spiegare la natura, ma che sentiva dentro di sé, come qualcosa che avrebbe variato in meglio addirittura la sua vita. Generalmente non si sentiva mai ottimista, ma in quell’occasione era come se le sue sensazioni, il suo intuito, le suggerissero qualcosa di cui non capiva a fondo la natura ma che la incuriosiva. Dalla sua mamma aveva ereditato qualcosa che non riusciva a spiegarsi: sensibilità, introspezione, riuscire a vedere cose che agli altri non apparivano affatto. Quando era piccola la mamma le aveva parlato di qualcosa, poi non aveva più affrontato quell’argomento. Anche del futuro qualche volta aveva avuto immagini sconcertanti: c’erano dei personaggi che si muovevano nella sua mente in modo auto11 Bruno Magnolfi nomo, le indicavano qualcosa, suggerivano percorsi, comportamenti. Fantasie, aveva pensato lei la maggior parte delle volte, anche se qualcosa di inquietante restava sempre in aria, ogni volta. Ernesto, con le sue maniere anche troppo cortesi, aveva insistito per portarla in quel paese di mare con la sua auto, inevitabilmente al primo giorno del mese di agosto, rispettando certe tradizioni; e quel giorno avevano pranzato assieme, in un bel ristorante in riva al mare, senza fretta, come se niente li turbasse, poi lui l’aveva salutata ed era ripartito. E a Giulia, già da quel primo momento interamente da sola, il mare calmo del mattino era sembrato assorbire ogni tormento che più forte che mai le era parso di essersi portata fino lì, anche se lo schiamazzare dell’arenile aveva mostrato degnamente di quanta gente il mondo fosse composto, senza possibilità alcuna di annoiarsi. Peraltro quella specie di spazio teatrale così come appariva a lei lo stabilimento balneare, comprendeva una varietà discreta di personaggi e di situazioni, sufficiente per chiunque avesse il tempo e la voglia di osservare attorno a sé, tanto che noia e solitudine parevano subito scomparire, come magicamente scacciati da un caleidoscopio di minute espressioni e di piccoli avvenimenti che si svolgevano autonomamente da ogni parte. Il suo star da sola durante quei giorni di mare era subito stato anche come ricostituire delle forze di cui in passato aveva avuto rarissime volte una vera e propria necessità, e sapere di poter far leva soltanto su di sé in un frangente del genere per molti versi la spronava a reagire dandole un assurdo senso di benessere e di serenità, quasi di completezza. La quasi scelta di starsene in disparte e di non cercare durante la giornata alcuna compagnia, se non osservando gli altri da dietro i suoi occhiali scuri, indubbiamente denotava carattere e personalità, e per la prima volta se ne sentiva estremamente orgogliosa, tanto che all’improvviso tutto questo la rendeva forte e convinta 12 Bionda, naturalmente di poter dimostrare il proprio valore, di saper fronteggiare la situazione senza alcun bisogno di qualcuno con cui parlare o confidarsi. Un unico compagno si era portata fin lì: il suo piccolo e fedele quaderno per appunti (in realtà ne aveva molti con le copertine di svariati colori a seconda del suo umore), su cui scriveva in fretta le sue frasi e i suoi pensieri spesso quasi senza senso, ma che le mostravano nel tempo una traccia delle idee e degli avvenimenti. Una specie di diario delle sensazioni e delle piccole cose non dette, un quaderno insomma, al quale si era abituata fin dai tempi del liceo, forse per una forma di sostegno ai suoi pensieri e alla sua memoria. Durante gli anni seguenti al matrimonio con Ernesto l’estate era sempre stata l’occasione per viaggi verso luoghi interessanti e particolari, generalmente frutto della curiosità di lui per culture molto differenti dalla propria, ma questa volta, stante una situazione lavorativa particolare, suo marito aveva previsto di non potersi quasi muovere da Siena, per essere il più possibile disponibile, in qualità di avvocato, a seguire certe cause in corso di alcuni clienti, e così aveva chiesto a Giulia di sacrificarsi e trascorrere un periodo di vacanza in un luogo di mare il più possibile vicino alla città, in modo da poterla raggiungere, sempre che questo si fosse dimostrato possibile. Lei non aveva sollevato alcun problema, ma l’idea di rimanere diverse settimane da sola le era parsa subito poco piacevole. “Sai...” aveva detto fingendo, “...l’idea di starmene per conto mio per un po’ non mi dispiace affatto; posso leggere, pensare, rilassarmi appieno...” Ma già solo dirlo le creava un certo timore. Poi tutto aveva preso un suo corso, ed Ernesto le aveva prenotato l’albergo in quel delizioso paesino di mare dove Giulia era già stata altre volte anche da bambina, assieme ai suoi genitori, senza che le fosse saltato in mente, nonostante il suo assecondare la situazione, di mostrare la pur minima perplessità. 13