L`epatite C negli emofilici Editoriale

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L`epatite C negli emofilici Editoriale
Editoriale
Vol. 94, N. 1, Gennaio 2004
L’epatite C negli emofilici
Massimo Franchini1, Franco Capra2, Dino Veneri3, Giuliana Lo Cascio4,
Elena de Maria2, Franco Manzato5, Giuseppe Lippi5, Giorgio Gandini1
Riassunto. L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) è un’importante causa di morbilità
e mortalità nei pazienti affetti da disordini emorragici ereditari della coagulazione, trattati negli anni ’70 con concentrati dei fattori della coagulazione non virus inattivati. In
questo articolo, analizziamo brevemente le attuali conoscenze riguardo l’infezione da
HCV nei pazienti emofilici, descrivendo la prevalenza dell’infezione, la frequenza dei genotipi, la storia naturale della malattia ed i più importanti fattori di rischio coinvolti nella progressione dell’epatite cronica in cirrosi epatica, scompenso epatico e carcinoma epatocellulare. Infine, ci soffermiamo sui principali progressi conseguiti nel trattamento dell’epatite C in questi pazienti.
Parole chiave. Emofilia, epatite C, trattamento dell’epatite C in emofilici
Summary. Hepatitis C in hemophiliacs.
Hepatitis C virus (HCV) infection is an important cause of morbidity and mortality in
patients with hereditary bleeding disorders treated with non virus inactivated clotting
factor concentrates during the 1970s. In this article, we briefly report the actual knowledge about HCV infection in hemophiliacs, by analyzing the prevalence of HCV infection,
the genotype distribution, the natural history of the infection and the most important factors involved in the progression of chronic hepatitis into liver cirrhosis, hepatic decompensation and hepatocellular carcinoma. Finally, we describe the main advances in the
treatment of HCV infection.
Key words. HCV infection, hemophilia, therapy of HCV infection in hemophiliacs.
Introduzione
L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) si osserva frequentemente nei pazienti con disordini
emorragici ereditari della coagulazione trattati
con concentrati dei fattori della coagulazione, prima del 19851-3. Infatti, prima di tale periodo, i fattori della coagulazione non venivano trattati con
metodi virucidi ed erano in grado di trasmettere i
virus dell’epatite C, dell’epatite B (HBV) e dell’immunodeficienza umana (HIV)3. L’epatite C negli
emofilici differisce profondamente dall’infezione
nei pazienti senza deficit ereditari della coagulazione, essenzialmente perché, essendo i concentrati dei fattori della coagulazione prodotti a livello
industriale da pool di migliaia di donatori, spesso
gli emofilici risultano co-infettati da differenti ge1Servizio
notipi dell’HCV, o dell’HIV o dell’HBV4,5. Inoltre,
gli emofilici rappresentano un modello unico per lo
studio della storia naturale dell’infezione da HCV,
dal momento che per la maggior parte di essi è possibile risalire con precisione alla data di infezione,
rappresentata dalla prima infusione del concentrato non virus inattivato.
In questo editoriale, analizziamo brevemente
le attuali conoscenza riguardo l’infezione da HCV
nei pazienti emofilici, descrivendo la prevalenza
dell’infezione, la storia naturale della malattia, i
più importanti fattori di rischio coinvolti nella
progressione dell’epatite cronica in cirrosi epatica,
scompenso epatico e carcinoma epatocellulare. Infine, ci soffermiamo sui principali progressi conseguiti nel trattamento dell’epatite C in questi pazienti.
di Immunoematologia e Trasfusione – Centro Emofilia, Azienda Ospedaliera, Verona; 2Medicina Interna
A, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università, Verona; 3Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Divisione di Ematologia, Università, Verona; 4Servizio di Microbiologia, Azienda Ospedaliera, Verona; 5Istituto di
Chimica e Microscopia Clinica, Azienda Ospedaliera, Verona.
Pervenuto il 9 ottobre 2002.
M. Franchini, et al.: L’epatite C negli emofilici
La prevalenza dell’infezione da HCV
e la distribuzione genotipica negli emofilici
Virtualmente tutti gli emofilici trattati con concentrati dei fattori della coagulazione prima della
disponibilità delle tecniche di inattivazione virale
sono stati infettati dall’HCV al momento della prima infusione del fattore. Infatti, i dati della letteratura riportano una prevalenza molto alta di positività sierologica per il virus dell’epatite C nella
popolazione emofilica, variabile dal 98% di uno
studio tedesco6 al 100% di uno studio italiano7.
Inoltre, dal momento che i concentrati dei fattori
della coagulazione sono derivati dal plasma di parecchie migliaia di donatori di sangue, la distribuzione genotipica dell’HCV nella popolazione emofilica riflette quella della popolazione dei donatori,
mostrando una marcata variabilità etnica e geografica8. Mentre i genotipi 1, 2 e 3 sono più frequenti nel nord Europa e nel nord America, il genotipo 4 è più diffuso nell’est asiatico e nel nord
Africa ed il genotipo 5 nel sud Africa. La figura 1
mostra la differente distribuzione genotipica nella
popolazione emofilica riportata da cinque recenti
studi7,9-12.
Figura 1. Distribuzione dei genotipi HCV: dati della letteratura.
La storia naturale dell’infezione da HCV
negli emofilici
L’infezione da HCV è oggi riconosciuta come la
causa più frequente di malattia cronica del fegato:
si stima che circa 170 milioni di individui nel mondo risultino infettati da questo virus13. Se l’epidemiologia del virus dell’epatite C è nota dal 1989,
meno conosciuto è il decorso di questa infezione, dal
momento che l’esordio è spesso asintomatico e rimane non diagnosticato nella maggior parte dei pazienti. Per di più, la fase cronica della malattia rimane silente per parecchi anni, impedendo così di
stabilire con precisione il periodo di inizio dell’infe-
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zione14. Del resto, lo studio della storia naturale dell’epatite C è cruciale per la comprensione della patogenesi, delle complicanze, dei fattori prognostici
di questa malattia e, in ultima analisi, per un migliore approccio terapeutico. Le informazioni più
importanti riguardo la storia naturale dell’infezione
da HCV possono essere ottenute da studi retrospettivi su pazienti politrasfusi prima della scoperta
dell’HCV e su pazienti emofilici trattati prima del
1985 con concentrati dei fattori della coagulazione
non virus inattivati3,16,17. Infatti, in questi pazienti
la data dell’infezione può essere stabilita con precisione dal momento che la quasi totalità di essi è stata infettata al momento della prima trasfusione di
emocomponenti o emoderivati3.
Sono stati recentemente pubblicati numerosi
studi18-21 sull’infezione da HCV negli emofilici, con
lo scopo di chiarire il tempo intercorso tra l’infezione e l’insorgenza delle complicanze (cirrosi epatica,
scompenso epatico, carcinoma epatocellulare) ed i
fattori che influenzano la progressione della malattia. Studi sulla storia naturale dell’epatite C nei
pazienti non-emofilici mostrano che circa il 20-30%
dei pazienti con epatopatia cronica sviluppa cirrosi entro 20 anni dall’esposizione. Per i pazienti cirrotici, il rischio di sviluppare scompenso epatico e
carcinoma epatocellulare
entro 5 anni è rispettivamente del 15-20% e del
10%22-26. Gli studi sui pazienti emofilici, seppur limitati, confermano queste
osservazioni. Makris et
al.18 riscontrarono cirrosi
epatica in 19/63 (19%)
emofilici sottoposti a biopsia epatica. Essi, inoltre,
seguirono nel tempo 138
emofilici HCV positivi e
osservarono che 9 di essi
(6,5%) sviluppavano insufficienza epatica dopo
un periodo medio di 19
anni dall’infezione. Telfer
e colleghi19 studiarono retrospettivamente 255 pazienti con disordini ereditari della coagulazione ed
infezione da HCV e riportarono un rischio di insufficienza epatica del 10,8% venti anni dopo il primo
trattamento con concentrati non virus inattivati.
Comunque, l’analisi dei dati in questi due ultimi
studi risultava influenzata negativamente dall’elevata percentuale (40%) di pazienti coinfettati
dall’HIV, considerato uno dei più importanti cofattori di progressione della malattia epatica. Pertanto, le informazioni più utili sulla storia naturale dell’infezione da HCV negli emofilici provengono da studi su pazienti HCV positivi ed HIV
negativi. Meijer et al.21 riportarono la presenza di
cirrosi epatica in 7/45 (16%) pazienti con disturbi
emorragici ereditari della coagulazione a distanza
di 19 anni dall’infezione.
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Recenti Progressi in Medicina, 95, 1, 2004
In uno studio7 su 88 emofilici HIV negativi con
epatite cronica C, seguìti per un periodo medio di
25 anni, abbiamo osservato che 61 pazienti (69%)
avevano un’epatite cronica non progressiva mentre 12 (14%) sviluppavano una grave epatopatia (6
cirrosi epatica, 4 insufficienza epatica e 2 carcinoma epatocellulare) con una mortalità epato-correlata del 3%. Questi 2 ultimi studi, unitamente ad
altri20, confermano che la storia naturale dell’epatite C negli emofilici ha un decorso estremamente
lento, simile a quello riscontrato nei pazienti non
coagulopatici.
L’infezione da virus HCV è riconosciuta oggi come un importante fattore di rischio per lo sviluppo
di carcinoma epatocellulare27-29. Tale complicanza
è stata descritta per la prima volta da Colombo et
al.27, che eseguirono uno studio su 11801 emofilici
provenienti da 54 Centri negli Stati Uniti ed in
Europa e riscontrarono 10 casi di carcinoma epatocellulare, tutti in pazienti cirrotici, con una prevalenza 30 volte superiore alla popolazione normale. Un importante studio prospettico italiano28
ha valutato il rischio di sviluppare carcinoma epatocellulare in 385 emofilici: durante un follow-up
di 2 anni, 6 pazienti svilupparono carcinoma epatocellulare. I principali fattori di rischio risultavano essere un’età avanzata (> 45 anni) al momento
dell’infezione, la presenza di cirrosi, elevati valori
di alfa-fetoproteina.
Fattori di rischio per la progressione
dell’epatite C negli emofilici
Gli studi retrospettivi sulla storia naturale
dell’epatite C negli emofilici sono importanti anche perché permettono l’identificazione dei fattori in grado di influenzare la progressione della
malattia3. Parecchi studi hanno identificato l’età
al momento dell’infezione come un’importante
variabile in grado di influenzare la velocità di
progressione dell’epatite C negli emofilici. Ad
un’analisi multivariata, Makris et al.18 osservarono che pazienti con un’età avanzata (> 40 anni)
al momento dell’infezione e con un maggior durata dell’infezione da HCV (> 15 anni) avevano un
maggior rischio di sviluppare una epatopatia grave. Un’età superiore ai 45 anni al momento dell’infezione era l’unico fattore di rischio indipendente per progressione di malattia identificato da
Meijer et al.21 in 45 emofilici con epatite C. Numerosi autori3,9-11 hanno riscontrato, inoltre, una
relazione tra genotipo HCV e gravità dell’epatopatia. In particolare, il genotipo 1 è stato associato ad una maggiore severità della malattia
epatica, ad una più alta carica virale, ad una peggior risposta alla terapia ed, a una maggiore mortalità3. L’importanza della coinfezione da HIV per
la progressione dell’epatite C è stata riportata da
Eyster et al.5, i quali osservarono, in uno studio
prospettico su 236 emofilici, che il 9% dei pazienti HCV ed HIV positivi e nessun paziente HCV
positivo ed HIV negativo sviluppavano insufficienza epatica. Alle medesime conclusioni arrivarono Telfer e collaboratori19, che, in uno studio re-
trospettivo su 255 emofilici HCV positivi, osservarono che il rischio di sviluppare insufficienza
epatica era 21 volte più elevato nei pazienti coinfettati dall’HIV rispetto a quelli HIV negativi.
Studi successivi 30 hanno evidenziato livelli di
HCV-RNA significativamente più elevati nei pazienti HIV sieropositivi rispetto a quelli HIV sieronegativi, suggerendo che l’immunodeficienza
indotta dall’HIV è in grado di promuovere la replicazione dell’HCV con conseguente aumento del
danno epatico e più rapida progressione dell’epatopatia. L’effetto prognosticamente negativo della coinfezione HIV ed HCV è stata notata da vari
autori, tra cui Yee20, che osservò, dopo un periodo
di follow-up di 25 anni su 310 pazienti emofilici
HCV positivi, una mortalità correlata all’epatopatia del 3% nei pazienti HIV negativi e del 21%
in quelli HIV positivi.
Terapia
Studi condotti su pazienti non emofilici con
epatite cronica C 13,31-32 hanno dimostrato che l’associazione della ribavirina alla monoterapia con
interferone aumenta significativamente la percentuale di risposte virologiche persistenti (persistenza di negatività dell’HCV-RNA sei mesi dopo il termine della terapia) dal 20% al 40%. Gli studi sul
trattamento dell’epatite cronica C negli emofilici
sono invece limitati e comprendono piccole casistiche di pazienti33-36. I risultati della monoterapia
con interferone nei pazienti emofilici sono stati deludenti, come osservato in uno studio italiano36
condotto su 102 emofilici HIV negativi randomizzati a ricevere, oppure no, interferone al dosaggio
di 3 MU tre volte la settimana per un anno. Dopo
un periodo di follow-up di 12 mesi, solamente il
12% dei pazienti trattati mostrava una risposta
completa sostenuta. La causa di questa scarsa risposta veniva attribuita dagli Autori all’elevata
prevalenza, nella popolazione emofilica trattata,
di fattori prognostici sfavorevoli quali il genotipo 1,
l’alta carica virale e la lunga durata dell’infezione
da HCV. Un importante progresso nel trattamento dell’epatite cronica C nei pazienti con disordini
ereditari emorragici della coagulazione è stato rappresentato dall’associazione della ribavirina all’interferone, che ha permesso di ottenere percentuali di risposte virologiche simile a quelle ottenute
nei pazienti non emofilici37-38.
L’introduzione dell’interferone pegilato nella
terapia dell’epatite cronica C ha consentito di aumentare ulteriormente la percentuale delle risposte virologiche sostenute. Un recente studio
randomizzato 39 condotto su 1121 pazienti non
emofilici ha messo a confronto l’associazione interferone pegilato e ribavirina, l’associazione interferone e ribavirina e l’interferone pegilato da
solo ed ha osservato una percentuale di risposte
virologiche sostenute rispettivamente del 56%,
del 44% e del 29%. Sono attualmente in corso studi sull’efficacia della combinazione interferone
pegilato e ribavirina in pazienti emofilici con epatite cronica C.
M. Franchini, et al.: L’epatite C negli emofilici
Un capitolo a parte nella terapia dell’epatite
cronica correlata a HCV è rappresentato dal trattamento dei pazienti non responsivi alla monoterapia con interferone. Studi su pazienti non emofilici
refrattari ad un precedente ciclo di interferone hanno dimostrato che la terapia di combinazione con
interferone e ribavirina è in grado di ottenere fino
al 36% di risposte complete sostenute40. Un recente studio italiano41 condotto su 39 pazienti emofilici resistenti alla monoterapia standard ha evidenziato una percentuale di risposte virologiche sostenute del 37% dopo terapia di associazione con
interferone e ribavirina. Risultati simili (33% di risposta completa) sono emersi da un nostro studio
su 33 pazienti emofilici42, che ha inoltre individuato nel genotipo 1 il più importante fattore prognostico sfavorevole di mancata risposta alla terapia.
Un cenno, infine, merita il trapianto di fegato che
rappresenta l’unica possibilià terapeutica per gli stadi finali dell’epatopatia HCV correlata (cirrosi epatica scompensata e/o carcinoma epatocellualare)43.
Inoltre, il trapianto di fegato negli emofilici infettati
dall’HCV è in grado di correggere stabilmente la coagulopatia. Uno studio pubblicato nel 1998 da Gordon
e collaboratori44 su 26 pazienti emofilici sottoposti a
trapianto di fegato ha mostrato una soppravivenza a
3 anni dal trapianto significativamente superiore
nei pazienti HIV negativi rispetto a quelli HIV positivi (83% vs. 23%) ed una correzione del fattore carente entro 24 ore dal trapianto.
Conclusioni
L’infezione da HCV è uno dei maggiori problemi
per gli emofilici trattati prima del 1985 con concentrati dei fattori della coagulazione non sottoposti ad
inattivazione virale, dal momento che la quasi totalità di essi è stata infettata al momento della prima
infusione. Il trattamento dei concentrati con metodi virucidi (calore, vapore, pasteurizzazione, solvente-detergente, nanofiltrazione) ed il miglioramento dei test di screening (ricerca dell’HCV con
metodica PCR) sulle donazioni di plasma ha notevolmente ridotto il rischio di trasmissione dell’HCV
con i concentrati dei fattori della coagulazione. Un
ulteriore, importante progresso nel campo della sicurezza virale è rappresentato dall’introduzione, all’inizio degli anni ’90, dei concentrati ottenuti con la
tecnologia del DNA ricombinante (fattore VII, VIII,
IX).
Gli emofilici infettati dall’HCV rappresentano
un modello particolarmente adatto per lo studio
della storia naturale dell’epatite C, dal momento
che per la maggior parte di essi è nota la data dell’infezione (primo trattamento con il concentrato
non virus inattivato). Inoltre, poiché risultano essere stati infettati prima del 1985 (anno di introduzione dei concentrati virus inattivati), il periodo
di follow-up è sufficiente per lo studio delle complicanze a lungo termine dell’infezione da HCV.
I dati della letteratura mostrano che il decorso
dell’epatite C negli emofilici HIV negativi è lento,
paragonabile a quello dei pazienti senza disturbi
emorragici ereditari della coagulazione. Per quan-
33
to riguarda il trattamento dell’epatopatia cronica
HCV correlata, l’aggiunta della ribavirina alla terapia con interferone ha permesso di raggiungere
negli emofilici percentuali di remissioni complete
paragonabili ai pazienti non coagulopatici. Speranze di un ulteriore miglioramento di questi risultati derivano dall’uso di combinazioni di nuovi
farmaci, quali l’interferone pegilato e la ribavirina.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Massimo Franchini
Ospedale Policlinico
Servizio di Immunoematologia e Trasfusione
Centro Emofilia
Piazzale L. Scuro, 10
37134 Verona
E-mail: [email protected]
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