Sei la ragione della mia vita

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Sei la ragione della mia vita
QUANTO AMORE PER
UNA VITA NORMALE
Prima di iniziare questo racconto, permettetemi una risposta ad una domanda che viene posta spesso, può l’amore vincere una malattia grave ??
La nostra vita è stata la risposta, l’amore non può vincere una malattia
così grave come la Sclerosi Multipla, la malattia ha colpito Marcella in
tutta la sua cattiveria ed in tutti i suoi aspetti, quindi non abbiamo vinto la
malattia, ma siamo riusciti a vivere oltre la malattia stessa, compensando e
superando le sue limitazioni, la malattia ha vinto noi, ma noi abbiamo vinto
contro le sue privazioni, perché noi alla fine abbiamo vissuto una vita
degna di essere chiamata tale e forse oltre la normalità.
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Queste pagine sono dedicate all’amore, a chi sa amare senza condizioni, a chi pone
l’amore come la sola ed unica meta della propria vita, al nostro amore che sembra
uscito da un sogno ma vissuto e conquistato giorno dopo giorno, anche contro la
durezza della vita ma percorso tenendo sempre la sua delicata mano nella mia, alla
donna a cui ho dedicato la vita ora dedico questo racconto di vita ringraziandola ormai
solo con il pensiero di avermi regalato la possibilità di vivere un grande amore.
Molte di queste pagine sono state scritte molti anni addietro, ma poi lasciate in un
cassetto per molto tempo, pagine scritte a quattro mani ed ora purtroppo a due sole
mani, ma sono comunque un diario fedele della nostra vita.
Ho anche deciso di scrivere perché è sempre stato un desiderio di Marcella sin dal
lontano 1970 ed anche perché ritengo che la nostra storia, a ragione o a torto sia una
grande storia d’amore e l’amore non può fare mai male, se portato a conoscenza di
altri può solo arricchire e poi se nascerà un sorriso o una lacrima in chi legge è tutto
quello che volevo ottenere.
Forse in questo racconto mancherà del pudore, ma anche senza essere troppo realista e
descrittivo, non vi deve essere pudore perché altrimenti non potrò mai dire cosa è stato
veramente il nostro amore e sino a dove ci ha portati.
Avrei potuto iniziare questo racconto dall’inizio della nostra storia, oppure dalla morte
di Marcella, ma mi sembra giusto iniziare da due episodi che oggi mi permettono di
scrivere questo racconto.
Marcella era morta da circa 50 giorni ed un giorno forse per compagnia e forse per
sentire delle voci in casa, accesi la televisione vi era la trasmissione di Paola Perego
“se a casa di Paola ”, vidi anche scorrere l’invito ad inviare le proprie storie e le proprie emozioni. Senza riflettere scrissi ciò che avevo dentro, forse più di tutto la ribellione che avevo verso il mondo quasi a voler gettare in faccia a tutti “guardate cosa mi
avete tolto in quattro giorni”, convinto che non avrebbe avuto seguito ma ne avevo bisogno. Un’ora dopo suonò il telefono, era una ragazza di nome Serena, si fece raccontare a grandi linee la nostra storia, mi disse che si era emozionata molto leggendo la
mia lettera e mi invitava ad andare da loro in trasmissione, di carattere sono molto
schivo e non mi resi quasi conto di aver accettato subito la sua richiesta.
Dopo pochi giorni e dopo aver di nuovo parlato per telefono con Marco sempre della
trasmissione, andai a Roma, trovai in tutti loro una affettuosità ed una comprensione
che non avrei mai immaginato.
L’impatto emozionale fu fortissimo, in tutto questo tempo avevo cercato di chiudere
dentro di me il dolore, affrontarlo a viso aperto mi costrinse ad uscire ed a non chiudermi in me stesso, Paola poi ha avuto la capacità e l’intelligenza di non voler mai
cercare la commozione, che faticosamente frenavo, quando si accorgeva che si stava
per superare la soglia si fermava e mi guardava con dolcezza, quando poi parlavamo
dell’amore per Marcella, i suoi bellissimi occhi cambiavano in stupore ed in una
incredula curiosità, quello sguardo ha fatto nascere in me la voglia di raccontare tutto,
Marcella diverse volte mi aveva chiesto di scrivere la nostra storia, ma cosa serviva
scriverla noi la vivevamo tutti i giorni e gli altri potevano vederlo ogni giorno.
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Tornai ancora una volta ma molto brevemente in trasmissione e pur nella sua brevità
rividi ancora lo stesso sguardo negli occhi di Paola alle mie risposte, la cosa forse era
dettata anche dal fatto che noi non abbiamo adattato la nostra vita al mondo, ma abbiamo adattato il mondo alla nostra vita, quando lei mi chiedeva del fatto che io facessi le
foto per far vedere a Marcella ciò che io vedevo e condividerle, lei ne rimaneva stupita
non sono mai riuscito a dirle che quando lei guardava un tramonto, un fiore od altre
cose con accanto una persona cara chissà quante volte ha detto “guarda !!!”, noi facevamo la stessa cosa cambiava solo il mezzo ma il risultato era identico, feci anche un
sito dedicato a Marcella dove mettevo tutti i miei pensieri e condividere tutto con gli
altri.
Dovevo tornare una terza volta, ma non, avvenne magari per problemi di trasmissione,
non ha nessuna importanza perché da quel momento sono riuscito a non chiudermi più
e senza saperlo Paola e tutto i suoi collaboratori hanno esaudito l’ultimo desiderio di
Marcella che sempre mi diceva di non chiudermi se fosse accaduto quello che poi è
accaduto.
Il secondo episodio, avvenne proprio il giorno che avrei dovuto andare a Roma, quella
mattina telefonai in ospedale per sapere della cartella clinica di Marcella, erano passati
ormai tre mesi dalla sua morte ma ancora il reparto non archiviava, tre mesi di richieste, di solleciti sino a far interessare il tribunale per i diritti del malato, finalmente era
pronta ritirai la cartella ma aspettai di arrivare a casa, sapevo che comunque sarebbe
stato un rivivere di tante cose, ma il mio carattere mi impediva di lasciare perdere.
Come sempre le cose le affronto da solo ed anche questa volta feci la stessa cosa, se
prima la mia rabbia era stata per non essere stato vicino a Marcella anche se evitai
sempre di evidenziare altre insensibilità, quando lessi cosa era successo l’ultima sera,
il leggere che Marcella aveva provato anche dolore fisico per manovre che potevano
essere evitate con la mia collaborazione e poi quella frase corretta con dal punto di
vista della deglutizione è PEGGIORATA ed il tutto mezz’ora dopo che ero uscito.
Dentro di me esplose di tutto, piansi tutte le lacrime che avevo, diedi pugni nei muri,
andai al cimitero e davanti alla foto di Marcella sorridente, per la prima volta nella mia
vita maledii il mondo, la vita ed ogni cosa che continuava a farmi vivere, implorai e
chiesi a Marcella di prendermi con se. Alla sera sfogai la mia disperazione nel sito
scrivendo quello che mi passava dentro, poi suonò il telefono era un amico ed ex
collega, aveva letto ciò che avevo scritto e piangeva, non mi diede nemmeno il tempo
di parlare capii solo “ho letto e mi sono commosso ma voglio sentire la tua solita voce
e le solite cose” fu come ricevere uno schiaffo, mi sedetti e la mia prima reazione fu,
“ma perché non posso sfogarmi e vivere come voglio”.
Poi lentamente riuscii a guardarmi dentro, la rabbia ed il dolore mi stava trasformando, più aumentavano e più diminuiva la persona che era stata accanto a Marcella per
tanti anni, il dolore faceva da catalizzatore di se stesso, aumentava senza controllo,
richiamava solo altro dolore facendo finire l’amore che ho sempre avuto dentro in un
vortice senza fine, stavo diventando insensibile ed egoista come coloro che avevano
provocato tutto, in tanti anni la vita le aveva provate tutte ma il mio orgoglio era
sempre stato di non essere mai cambiato, mi tornarono alla mente le parole dette da
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Marcella in un momento difficile della nostra vita in cui stavamo per perderci “non
posso vivere con meno di quello che hai saputo darmi in tutti questi anni”, ora ero io
che non potevo vivere con meno di quello che ero stato prima della sua morte, dovevo
tornare come a volte mi chiamava lei “il suo dolce uomo fatto d’acciaio”.
Cancellai cosa avevo scritto, riscrissi tutto addolcendo molto la mia tristezza e tornai a
pensare agli altri.
Quello che è accaduto negli ultimi giorni, non passerà in secondo piano, affronterò la
cosa con più forza di quella che mi è servita per lottare contro la vita per 40 anni,
hanno calpestato parte dell’amore che avevo e che ho per Marcella e questo non lo
avrei permesso a nessuno nemmeno alla persona più cara, è come se fossero entrati in
un bellissimo giardino e dopo aver calpestato ogni cosa tu gli dicessi guarda che cosa
hai fatto, vedrebbero solo distruzione, invece voglio che sappiano come era il giardino
prima del loro arrivo, voglio che vedano cosa hanno distrutto.
Ma non ora, ora è il momento di parlare del nostro amore ogni cosa a suo tempo e
modo.
Prima di iniziare metto la mail ricevuta due giorni dopo dal mio amico e la lettera
inviata a Paola Perego.
-------------------------------------------------------------------------------------------------Caro Gianni,scusami per l'altra sera ma la commozione mi ha preso alla gola e non
riuscivo a spiaccicare parola,non sono ancora pronto x parlarti direttamente ma lo farò'
al + presto.
Forse tutto ciò è stato perché. Ti ho sempre considerato un amico sincero e degno di
un affetto che solo ad alcuni ho dato, quindi non ti ho chiamato prima (ho saputo solo
recentemente della scomparsa di Marcella) per rispettare il tuo dolore, ma il pensiero
che ho letto l'altro giorno mi ha sconvolto,non è da te o perlomeno non del Gianni che
conosco io.
-------------------------------------------------------------------------------------------------Diventa difficile e forse impossibile riuscire a dire in poche righe tutta una vita passata
con una persona cara e specialmente quando le emozioni e la commozione accompagnano ogni parola scritta.
Ho 60 anni di cui 40 passati con la persona amata, questa persona mi ha lasciato per
sempre il 15/09 quindi sono circa 50 giorni, una vita trascorsa nella più assoluta
normalità, vacanze insieme, viaggi in Spagna e Sardegna, ogni giorno uscivamo a
prenderci il caffè, andavamo a fare spese nei centri commerciali ed anche nella nostra
intimità vi era la completa normalità, una normalità che vi è stata sino a pochi giorni
dalla sua morte.
Vi era una sola differenza dagli altri mia moglie era ammalata di Sclerosi Multipla da
52 anni, da 25 sulla sedia a rotelle e da 20 nella più totale immobilità, la nostra normalità era conquistata in ogni istante della giornata, dalle piccole cose alle grandi cose, vi
sono migliaia di istanti vissuti e nessuno gettato, perché ogni istante poteva essere
l’ultimo vissuto in un certo modo. Avevo sempre la macchina fotografica pronta, certo
sempre pronta perché lei potesse vedere ciò che io vedevo, visto che molte volte non
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poteva vedere oltre la finestra e subito a mostrarle un tramonto, un paesaggio, un
animale o un piccolo fiore.
Poi vi sono le difficoltà, la sua igiene personale, il darle da mangiare, aiutarla quando
il dolori diventavano insopportabili, gli interventi al seno per dei carcinomi, sino alla
mastectomia, organizzare i nostri spostamenti perché nulla poteva essere lasciato al
caso.
Lei aveva 12 anni più di me, era già ammalata ma niente mi ha impedito di amarla sin
dal primo momento, un amore totale di due persone, che la malattia ha trasformato in
una sola persona che viveva attraverso di me, un amore che sembra uscito da un libro
ma in cui noi abbiamo scritto tutte le pagine, a volte anche con rabbia di vivere, ma
sempre e solo con amore.
Tutta la mia vita è stata scandita dai suoi tempi e diventa difficile dare un senso al
futuro, vorrei solo sensibilizzare la gente e le istituzioni su un aspetto di questa nostra
storia, gli ultimi giorni era ricoverata in unità coronarica quindi non potevo stare con
lei, una stanza grande, accogliente, non poteva chiamare a voce, non poteva suonare il
campanello ed era sola maledettamente sola, la penultima sera mi ha detto “non lasciarmi ho paura” ed ho dovuto quasi con rabbia dirle che non potevo fermarmi,
l’ultima sera poi ho visto il suo peggioramento (per me evidente fatto di piccolissime
cose), ma tutti i parametri erano normali, quando sono uscito dentro di me sapevo che
era l’ultima volta che la vedevo, il tutto sino alla telefonata di quella notte e per me
che ho passato anche le notti a tenerla per mano è tutto difficile da accettare, dentro di
me è come se pochi giorni avessero spazzato via tutta una vita .
Non ho nulla da rimproverare al personale sanitario, ne da rimproverarmi, ma vorrei
solo riuscire a dire che anche in certi reparti, il malato deve essere al centro di tutta
un’assistenza e non solo sanitaria, ma prima di ogni altra cosa affettiva, bisogna valutare la persona in quanto tale ed anche di chi è in grado di starle vicino, certo sarebbe
morta comunque, ma almeno sarebbe morta avendomi vicino come è sempre stato
nella sua vita, guardando e cercando sempre il mio sorriso che mai è mancato nella sua
vita, altrimenti continuando a cercare di evitare una cattiva sanità si finisce di avere
una sanità cattiva in cui il malato diventa quasi una specie di ostaggio in questo
ingranaggio enorme in cui vengono stritolati tutti i sentimenti.
------------------------------------------------------------------------------------------------Ed ora vi chiedo di accompagnarmi pazientemente nei miei ricordi ed in quello che ha
saputo scrivere il destino, si perché molte volte il destino sembra scrivere la vita in
modo strano verso appuntamenti lontanissimi, i destini di due persone sono come strade che magari mancano di incrociarsi per pochi attimi o magari strade che sembrano
destinate a non incrociarsi mai ed invece si incrociano solo grazie alla casualità di un
attimo, questo è esattamente ciò che è accaduto tra me e Marcella, se guardo il tempo
passato mi convinco sempre più della casualità del nostro incontro ma anche di due
destini scritti nei minimi particolari, un appuntamento di due persone diversissime tra
loro, sembra che nulla fosse destinato ad unirci, eppure quando le nostre vite si sono
incrociate ed unite, è stato un lento e inarrestabile amalgamarsi sino a farci divenire
complementari come una sola persona, sarà un lento narrare da parte mia, come lenta e
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travolgente è stata la nostra vita insieme, racconterò molti episodi del nostro vivere,
non vi sarà tutto non perché non sia ricordato, ma perché molte cose positive o negative devono essere note solo a chi le ha vissute e diventa impossibile condividerle con
altre persone.
Le nostre storie iniziarono veramente da lontano Marcella un carattere superficiale,
reso ancora più tale dalla sua malattia iniziata quando aveva circa 20 anni e con la
spensieratezza della sua età affrontò anche quella, forse anche con una forte dose di
incoscienza, amava ballare e vivere la vita molte volte tra un peggioramento e l’altro
senza porsi grandi problemi, io un carattere allegro che amava la natura, sempre pronto a fare corse nei campi ed a combinare qualche guaio. Quando Marcella a 22 anni
conobbe quello che lei definiva il suo grande amore, io avevo appena 10 anni e nella
mia mente vi era solo il giocare con un trenino elettrico, le nostre strade poi continuarono sempre con nessun interesse in comune, lei viveva come sempre tutto in modo
superficiale, per me la superficialità non esisteva nemmeno, vivevo sempre tutto in
modo profondo e totale, sino a che il destino fece in modo che una ragazza immatura
di 32 anni conoscesse un uomo di 20 anni che riuscì a mostrarle ed a farle vivere sentimenti che nemmeno pensava esistessero, due strade che sembravano non dovessero
mai incrociarsi e che invece una volta incrociate diventarono una sola ed interminabile
strada.
Nel mese di ottobre 69, dovendo partire per il militare a giugno 70, chiesi di anticipare
la partenza e togliermi il problema, pensavo anticipassero di qualche mese, invece il
18 ottobre, arrivò un carabiniere che mi comunicò che dovevo essere a Casale
Monferrato il 20. Vi erano solo treni locali che facevano la linea da Milano a Casale
Monferrato, era fatto da vagoni ancora con i sedili di legno notai che praticamente
tranne qualche persona eravamo tutti ragazzi che partivano come me per il servizio
militare, sembrava sempre di più una tradotta, quando arrivammo a destinazione
vedemmo immediatamente che vi erano dei militari ad attenderci, volevamo visitare la
città prima di andare in caserma e cercammo di non farci vedere, alcuni scesero dalla
parte opposta al marciapiede, noi entrammo nel bar della stazione vedendo che vi era
un’uscita dalla parte opposta, capimmo che quei tentativi erano ormai usuali per loro
ed in pochi minuti eravamo sui camion diretti in caserma, come nei migliori film
comici dopo circa un’ora vi fu la distribuzione assolutamente casuale delle divise,
casuale proprio perché fatta senza nessun criterio circa le taglie, per fortuna che poi
potendo scambiarci gli indumenti riuscimmo ad avere un aspetto decente certo che
avrei sfidato chiunque a dire che avevamo un aspetto marziale, ridicolo sì ma marziale
no di certo.
Mentre ero a Casale conobbi una ragazza, sorella di un mio commilitone, ci scrivevamo e sembrava che tutto filasse bene, alla fine di novembre mi comunicarono la mia
destinazione, era il reparto assaltatori in Friuli, dovevo partire nei primi di dicembre, il
30 novembre i miei vennero a trovarmi per il mio compleanno e vi era anche questa
ragazza mi aveva portato un libro di poesie in regalo, era una bella ragazza alta bruna,
dal viso molto delicato, aveva 17 anni mentre eravamo in parlatorio, arrivò il tenente e
mi comunicò che avevano cambiato la mia destinazione avevo 15 minuti per preparare
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tutto partire per Torino, salutai tutti e corsi via, mi scrisse diverse volte ma fu l’ultima
volta che la vidi perché quando io andavo a casa non vi era mai lei, insomma non
riuscivamo ad incontrarci.
Arrivai al 1° Autoreparto misto territoriale, il primo mese fu veramente duro, vi fu
l’attentato di piazza Fontana e per noi volle dire chiudere tutte le porte non poter andare in libera uscita, uscire di ronda sempre armati e non come capitava a Casale con le
munizioni ancora incartate, era come se fossimo tutti in attesa di una guerra, che per
fortuna non arrivò mai, per me poi quella piazza significava molte cose, era l’immagine della mia città che ho sempre amato, la piazza dove passavo tutti i giorni per andare
al lavoro e dove diverse volte avevo passeggiato tenendo per mano Gabriella, una
collega della Mondadori per cui provavo quello che credevo fosse amore.
La cosa più divertente di quel periodo era il servizio di sostituzione dei mezzi pubblici
nei giorni di sciopero, era veramente simpatico il dover aiutare le persone a salire su di
un camion, in special modo se erano donne giovani e carine, molte volte avevano
anche delle gonne strette e l’unico modo per farle salire era scendere dal camion per
aiutarle, erano costrette a far salire la gonna per poter alzare la gamba, sino al primo
gradino della scaletta, il gradino del resto era molto alto e quindi la gonna doveva
salire in proporzione e poi non rimaneva che aiutarle da dietro a salire, aiutarle da
dietro significava pur chiedendo scusa al dover appoggiare le mani sulle loro rotondità
posteriori, di solito si finiva poi per ridere sia loro che noi, capitava anche di trovare
delle ragazze che studiavano e visto che il tragitto a volte era lungo si finiva per
chiacchierare dei loro studi e della nostra vita militare, con alcune di quelle ragazze ci
trovavamo diverse volte al bowling ed a mangiare una pizza, tra loro vi era una ragazza di nome Claudia con cui mi trovavo molto bene, aveva 19 anni, sempre sorridente e
gioiosa, era veramente piacevole stare con lei.
A marzo mi trasferirono al centralino, finalmente un ambiente caldo e confortevole, vi
era di tutto, la televisione ed un piccolo fornelletto elettrico per il caffè.
Ad aprile i due colleghi anziani si congedarono e furono assegnati al centralino due
altri commilitoni Gigi ed Evaristo della Cremona, erano ambedue del mio stesso scaglione, due soli di noi dormivano in centralino io ed Evaristo, Gigi invece in camerata,
rispondevo quasi sempre io Gigi era sempre assorto ad ascoltare musica ed Evaristo
era sempre assonnato e prima che decidessero chi doveva rispondere io lo avevo già
fatto, di notte poi Evaristo non si svegliava nemmeno con le cannonate quindi per evitare di dovermi alzare ogni volta, mettevo la mia branda sotto il centralino e rispondevo senza alzarmi, avevo chiesto di scambiare i ruoli di Evaristo e Gigi ma non si poteva perché al centralino chi dormiva doveva essere di due reparti diversi, nel frattempo
iniziarono le prime telefonate di ragazze la prima è stata Mariangela 17 anni, poi
Amneris 16 anni ed infine Gisella di 21 anni, mi tenevano molta compagnia tutte
quante erano attratte dalla mia voce, dicevano che era calda, la cosa che colpiva di più
era il mio tono forte e quasi brusco di rispondere, quel “ Pronto caserma Pugnani “
cominciava a mettermi decisamente nei guai e non lo sapevo, Mariangela molte volte
mentre parlavamo mi chiedeva di ripeterlo, nel frattempo le mie zie venivano a trovarmi, erano tutte molto carine ed anche giovani avevano 27, 23 e 20 anni, ogni volta
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venivo preso in giro dal mio tenente che mi diceva di cambiare scusa, non potevano
essere mie zie, che avevo troppe donne e prima o poi se si fossero incontrate e per me
sarebbero stati guai.
In effetti era difficile da credere che avessi delle zie così giovani, addirittura una zia
Giovanna era più giovane di me, eravamo cresciuti insieme ed anche le scuole elementari le avevamo fatte insieme perché io ero del 30 novembre e quindi incominciai le
scuole l’anno dopo, ero molto protettivo nei suoi confronti non sopportavo nemmeno
che gli facessero dei rimproveri, una volta mentre eravamo a scuola, la maestra disse
“Giovanna tu ti fermi dopo l’orario perché non hai studiato”, mi alzai e dissi alla
maestra che mia zia sarebbe uscita con me e visto che la maestra insisteva, gli diedi
l’ultimatum o mia zia usciva con me o gli tiravo una scarpa, era il 56 dopo il sindaco
nel paese la persona più importante era la maestra, chiamarono non solo mia madre ma
tutti i parenti sino quasi alla quarta generazione, ma io irremovibile non volevo chiedere scusa, mancava solo l’esorcista e poi erano intervenuti tutti, fu solo perché me lo
chiese mia zia che a denti stretti chiesi scusa e comunque non conobbi l’esorcista ma
una specie di santona del paese si.
Ogni tanto mia zia anche negli anni successivi mi chiedeva di chiamarla “zia” ho
sempre risposto che avrei iniziato a chiamarla zia dopo che lei mi avesse chiamato
“nipote”, quindi per me è sempre rimasta Giovanna.
Ma ora è meglio tornare al racconto, alla fine di aprile, mi chiamarono al posto di
guardia, scesi e vidi un poco di movimento, chiesi al tenente cosa volesse e la risposta
fu “chiedilo a lei” e non dirmi che anche questa è tua zia, si spostò e vidi una ragazza
bruna, era molto bella con dei capelli mossi, non molto alta, con una minigonna cortissima, una camicetta stringata davanti abbastanza aperta, che stentava a contenere i seni
che si vedevano abbondantemente, i miei colleghi se la mangiavano letteralmente con
gli occhi, si avvicinò quasi di corsa e mi baciò come se fosse la mia fidanzata da sempre, capii dalla sua esuberanza che era Mariangela, aveva saltato la scuola per incontrarmi, cominciai ad inventare scuse per non uscire, ma il mio tenente risolse tutto,
entrò nel corpo di guardia prese un basco me lo lanciò e disse vai, feci presente che
non potevo non era orario per uscire, mi disse portala via da qui è molto meglio per
tutti e fatti furbo.
Uscii e lei si abbarbicò al mio braccio, seguito dall’invidia dei miei commilitoni di
guardia, le spiegai che avrebbe dovuto avvertirmi, non le importava nulla dei miei
rimproveri faceva sparire tutto nella profondità dei suo occhi neri, camminammo con
lei sempre più contro di me, era bello camminare lei era una bellissima giornata tiepida e con un leggero vento, ogni tanto la guardavo, mi piaceva trasmetteva allegria e
gioia di vivere e fisicamente era molto attraente in special modo i seni, erano molto
belli da quello che potevo vedere, mentre camminavamo si fermò di colpo si mise davanti a me, con uno sguardo tra il dolce ed il furbetto mi chiese di dire la solita frase
con cui rispondevo al telefono, la accontentai, vidi un lampo nei suoi occhi ed un sorriso felice, le offrii un gelato e lei si mise il mio basco chiedendomi se le stava bene in
effetti stava molto bene, i capelli facevano ancora più cornice al suo viso ridente, la
accompagnai al pullman per Venaria, mi disse che era molto contenta di aver passato
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un pomeriggio con me e mentre saliva si girò e mi stampò un bacio sulle labbra, scappò subito a sedersi e mi mandò di nuovo un bacio con la mano.
Quando rientrai sembrava che al posto di guardia aspettassero un’ispezione, erano tutti
in fila curiosi di come era andata, non risposi diedi al tenente il basco e dissi che
un’altra volta doveva farsi gli “affari” suoi, si mise a ridere e mi disse cosi impari a
fare il furbo con tutte quelle “zie”.
Naturalmente Mariangela alla sera mi telefonò, era felice come una bambina che aveva trovato chissà quale tesoro, ero contento anch’io anche se non condividevo le sue
sensazioni, mi chiese se mi era piaciuta, le dissi scherzando “abbastanza”, vi fu un lungo silenzio e la sua voce si fece un poco triste, le chiesi scusa per aver scherzato, le
dissi che era molto bella e cosa era successo al posto di guardia quando ero rientrato,
ritornò la Mariangela allegra di sempre, mi mandò un bacio e mi salutò. Sicuramente
mi aveva contagiato perché anch’io mi sentivo meglio, pensando alla passeggiata con
lei scesi in cortile e feci un giro nel buio della notte lungo il muro interno della caserma, un mio commilitone di guardia mi fece notare se non avevo freddo e che avrei
dovuto avere almeno il berretto, mi accorsi solo in quel momento che ero in maglietta
ed in calzoncini corti e naturalmente senza berretto, in effetti faceva freddo, ma forse
erano i miei dolci pensieri a non farmi sentire nulla.
Il tempo passava e le telefonate anche di Amneris e Gisella continuavano, Amneris
molto giovane era molto sensibile mi chiamava ogni volta che aveva un problema, le
liti con la sorella, le sgridate del padre, i problemi di scuola, arrivammo anche a risolvere insieme dei problemi di matematica, Gisella invece era più decisa, lavorava e mi
telefonava sempre di pomeriggio, sicuramente più donna delle altre, sapeva cosa voleva e mi chiese di vederci anche solo per mangiare una pizza, aprile era ormai terminato e le dissi che ci saremmo visti nella prima settimana di maggio, la sua voce molto
femminile era decisamente interessante, stimolava la mia curiosità e forse le sensazioni che davo a lei con la mia voce era anche provocato in me dalla sua, si era sempre
rifiutata di descriversi sapevo solo che era scura di capelli e abbastanza alta, il resto mi
diceva che solo accettando di conoscerla lo avrei saputo e che non temeva il mio giudizio, era sicura di lei e lo dimostrava ogni volta.
Tutto sino al 1° maggio, stava per entrare la voce che avrebbe cambiato tutta la mia
vita, una voce dolce ma che avrebbe avuto l’effetto di un tornado nel lento cammino
della mia esistenza.
Dovevo uscire con gli amici, avevamo deciso di andare al bowling, ma mi telefonò
Mariangela e quasi di corsa mi disse ti chiamo dopo devo dirti una cosa importante,
quindi non uscii assieme agli altri, feci uscire l’altro centralinista e rimasi solo tutto il
giorno, Mariangela non sapeva certo che con la sua frase io avrei incontrato la persona
che praticamente mi avrebbe portato via da lei per sempre.
Erano circa le 11, suonò il centralino una voce femminile mi chiese di un ufficiale, le
passai il corpo di guardia e ripresi a leggere un libro, dopo pochi minuti richiamò, mi
disse che quel suo amico ufficiale era stato trasferito, se potevo farle sapere dove
prestasse servizio, le dissi che gli uffici erano chiusi e che comunque non potevo darle
quel tipo di informazione e gli spiegai le ragioni, senza saperlo la conversazione
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scivolò verso altri argomenti di vita quotidiana, mi chiese se ero solo, le risposi che
sarei stato solo sino a sera, mi salutò dicendo se poteva richiamarmi nel pomeriggio,
per chiacchierare un poco visto che anche lei era sola in casa, le risposi che sarei stato
molto contento e la salutai.
Nel pomeriggio mi richiamò parlammo per molto tempo, delle cose più varie dal come
passavamo le giornate, ai nostri interessi, le chiesi il suo nome e mi disse di chiamarsi
Marcella, il tempo passava senza che me accorgessi, non mi accorsi nemmeno che era
arrivato e passato l’orario della cena, quando riagganciai mi feci portare del pane e
della frutta.
Mariangela nel frattempo aveva provato diverse volte a chiamarmi, ma trovava sempre
occupato, mi chiamò il giorno dopo e mi disse la cosa importante, mi voleva bene e mi
chiedeva di rivederci la settimana dopo, le dissi che anch’io le volevo bene ma forse
non era lo stesso sentimento, ne fu comunque contenta era convinta che se ci fossimo
frequentati sarei cambiato nei suoi riguardi.
Marcella chiamò due giorni dopo era domenica, il caso volle che fossi di nuovo solo,
chiamò al pomeriggio ed alla sera, cominciavo decisamente ad attaccarmi a quella
voce, attendevo le sue chiamate come non era mai successo con le altre, le telefonate
diventavano sempre più lunghe molte volte per ore.
Una settimana dopo mi chiamò Gisella e ci mettemmo d’accordo per vederci, nel pomeriggio mentre stavo preparandomi per uscire con lei (anche se dentro di me vi era la
convinzione che forse non si sarebbe fatta trovare, tutta la sua sicurezza a parole non
mi convinceva), arrivò di corsa il mio collega Evaristo e mi disse che forse aveva fatto
un guaio, aveva telefonato Marcella e lui senza capire chi era le aveva detto che mi
stavo preparando per andare da lei, si era molto arrabbiata e quando presi il telefono
sentii solo una voce tagliente che mi diceva, vai pure a divertirti non ti chiamo più, mi
accorsi anche con rabbia che non avevo il suo numero e se avesse messo in atto la sua
minaccia non l’avrei più risentita, poco dopo chiamò Gisella dicendomi che stava
uscendo dall’ufficio le dissi in modo brusco "vai a casa, vi sono problemi e non esco",
sentii altre rimostranze ma feci finta di nulla, per completare la cosa anche Mariangela
aveva deciso per quel giorno, naturalmente mi dovetti sorbire anche le sue lamentele,
come diceva il tenente i guai erano iniziati, non si erano incontrate di persona, ma nel
giorno in cui volevano uscire o parlare con me, si.
Alla sera Marcella chiamò, con una voce canzonatoria mi chiese se mi ero divertito, le
risposi che non ero più uscito perché mi ero arrabbiato e non capivo perché lei si era
arrabbiata, non si fidava sul fatto che non ero uscito, riuscii a convincerla e cambiò
tono, la sua voce tornò ad essere dolce ed allegra come sempre, mi disse che era come
se mi conoscesse da sempre e che quindi le avrebbe dato fastidio se io fossi uscito con
un’altra, mi fece molto piacere sentirle dire questo, anche se non ero molto d’accordo
con lei. Le nostre telefonate divennero frequentissime, conobbi tutto di lei, come era
fisicamente, la sua età 32 anni (quindi molto più dei miei anni), che aveva problemi
nel camminare (capii anche la battuta del primo giorno che aveva telefonato, visto che
era il primo maggio mi aveva detto se gli facevo gli auguri visto che era la sua festa ),
non mi importava nulla, volevo solo continuare con lei, ogni sua parola scavava
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sempre più dentro di me e mi diventava sempre più necessaria, molte volte se non
stava bene mi chiamava subito, diceva che la mia voce la faceva stare subito meglio
era come se la prendessi tra le braccia e che le davo un senso di protezione, imparai
che ogni tanto aveva mal di denti ed anche che quando era nel periodo aveva molti
disturbi, tenevo persino il conto dei giorni del periodo.
Con Mariangela e Gisella continuai a rimandare cercando di evitare le telefonate con
varie scuse, l’unica con cui parlavo liberamente era rimasta Amneris, anche lei ogni
tanto mi chiedeva di uscire ma non insisteva mai.
Una sera Marcella mi disse che mi voleva bene, quella sera le ore passarono molto più
in fretta del solito, era oramai notte, mi rilassai e il cambio di tono della mia voce ebbe
i suoi effetti, sentii la sua voce farsi dolcissima, sempre più mielosa ed intrigante, le
dissi che se continuava in quel modo mi avrebbe provocato, mi rispose “tu lo hai già
fatto cambiando voce”, finimmo per essere intimi più che mai, non avevo mai provato
nulla di simile non volevo più smettere e lei nemmeno, vi furono molte telefonate notturne a volte sino alle 5 del mattino, lei iniziava a quel punto a dormire per me arrivava invece l’ora della sveglia per fortuna non avevo problemi a dormire poco.
Capii anche che la mia voce aveva uno strano effetto, mi spiegò che sin dal primo momento le era entrata dentro e se molte volte mi rilassavo sembrava quasi che accarezzasse, che dava delle bellissime sensazioni, chiesi anche alle altre se accadesse anche a
loro la stessa cosa e mi dissero sorprese “ ma non te ne eri mai accorto ??”, pensavano
che mettessi in risalto apposta la mia voce in certi momenti abbassandone il tono, dissi
loro anche che avevo conosciuto Marcella e che le volevo bene, solo Amneris accettò
la cosa anche se con fatica.
Alla fine di maggio Marcella mi chiese se non era arrivato il momento di conoscerci,
andai a casa sua, quando venne ad aprirmi, il tornado che mi aveva colpito il 1°maggio
terminò il suo compito.
Quando mi venne ad aprire rimasi senza parole per la sua bellezza, era la prima volta
che la vedevo ed era come entrare in un sogno, aveva i capelli di un biondo caldo,
camminava in un modo strano appoggiandosi ad una sedia molto leggera di vimini,
con quel piede destro che sfiorava il pavimento con la punta leggermente distesa, quasi
disegnando un immaginario semicerchio, sembrava quasi non toccasse terra tanto era
la sua leggerezza nel muoversi ed in quello strano incedere pieno di musicalità spingeva ancora più in fuori il sedere che già era sporgente (scherzai sempre su questo dicendole che le mancava solo il codino per accentuare di più la cosa ), era minuta ma non
vi era niente di lei che non fosse proporzionato e messo al posto giusto, provai subito
un gran desiderio di prenderla tra le braccia, ma dentro avevo quasi paura di rompere
quell’incanto che avevo di fronte.
Ci sedemmo, lei non mi nascose che non ero il suo tipo e che visto la mia voce si
aspettasse un aspetto più maturo, in effetti dimostravo chiaramente i miei 20 anni, a
dispetto della mia voce e del mio modo di ragionare, poi con quella divisa e la mia
magrezza (ero alto 1,90 ma pesavo 70 chili), aveva decisamente ragione lei. Prima di
andarmene comunque la baciai cercando anche di tenere a freno la mia irruenza.
11
Rientrai in caserma convinto che non avrebbe più richiamato, quella sera infatti non
chiamò e nemmeno il giorno successivo, dopo due giorni ero in cortile ed Evaristo
dalla finestra mi disse che Marcella era al telefono volai letteralmente i gradini sino al
primo piano dove si trovava il centralino, mi chiese scusa di non aver chiamato prima
e mi disse che le erano mancate molto le nostre lunghe chiacchierate ed il mio calore,
da quel momento in me avvenne un cambiamento velocissimo. Il mio unico pensiero
era piacerle, se prima molte cose del mio aspetto venivano tralasciate, da quel momento niente venne più lasciato al caso, ad iniziare dal non andare più da lei in divisa ma
solo in borghese, cosa non facile perché a quei tempi era vietato girare in borghese ai
militari, il posto preferito per cambiarmi erano i bagni della stazione, lasciavo al deposito bagagli una borsa con gli abiti civili, la ritiravo entravo nei bagni in divisa ed
uscivo in borghese e poi lasciavo di nuovo la borsa al deposito, alla sera tutto avveniva
al contrario, il difficile era non incappare nella ronda che sapendo di queste abitudini
non solo mie tenevano d’occhio i bagni, quella degli alpini poi era particolarmente
tenace ed a volte dovevo attendere parecchio ed aspettare che si allontanasse.
Le nostre telefonate continuarono a volte facevamo le parole incrociate per telefono,
lei mi leggeva le domande e mi diceva i vari incroci, senza volerlo avevamo già iniziato a condividere ogni cosa, in quel mese ci vedemmo diverse volte ed ogni volta le
nostre tenerezze aumentavano e faticava sempre a frenarmi, ogni volta mi accorgevo
che un piccolo tassello veniva aggiunto alla nostra storia, alla fine di giugno partiva
per la montagna e sarebbe stata via tre mesi, andai il giorno prima della sua partenza,
le portai delle riviste di parole incrociate, una scorta di caramelle al limone di cui era
golosa con la scusa che aiutavano la digestione ed un portacipria di metallo e smalto.
Non era ancora partita ed io sentivo già la sua mancanza, quella sera le scrissi la mia
prima lettera in cui le dicevo tutto il mio amore, uscii subito a spedirla e poi le telefonai senza dirle nulla, volevo le arrivasse il più presto possibile. In quei tre mesi le
scrissi ogni giorno, a volte anche tre lettere al giorno tanto che le numeravo in un
angolo per via che non potesse sbagliarsi nel leggerle, brani di quelle lettere senza
cambiare nulla, oggi sono nelle mie poesie. Penso riuscii anche a farmi detestare dal
portalettere, visto che ogni giorno doveva fare una strada in salita e due piani a piedi,
Marcella mi raccontava che prima ancora di salire le diceva dalla strada quante erano
le lettere.
Anche lei mi scriveva spesso anche se non con la stessa intensità, le mancava molto la
sicurezza che sapevo darle e la mia serenità, in una lettera che scrissi ai primi di luglio,
le dissi apertamente “io ti sposerò !!” e che sarei andato da lei il 9, anche perché era
sotto il periodo e quindi ero costretto a stare buono, ma volevo andare da lei perché
sapevo che di solito aveva qualche malessere.
Rimase sorpresa della mia lettera anche perché io non le chiedevo di sposarmi, ma le
dicevo il mio proposito senza aspettarmi una risposta, insomma avevo deciso io e
basta, non rispose alla mia lettera perché ci saremmo visti prima dell’arrivo della sua
risposta, ripensandoci ora io 20 e lei 32 anni, dove avevo trovato tutta quella decisione
e sicurezza, forse nella mia gelosia.
12
Nei giorni precedenti girai molto cercando un regalo per il suo compleanno e alla fine
trovai il regalo ideale, la medaglia dell’amore su cui vi era scritto “ + di ieri – di domani” era perfetta diceva esattamente quello che pensavo, per arrivare da lei al mattino, la
sera prima non rientrai dalla libera uscita, dopo il solito giochetto per cambiarmi andai
in un albergo di fronte alla stazione per fortuna al centralino non avevamo il contrappello il mattino seguente presi il pullman, arrivai da lei poco prima di mezzogiorno,
feci la conoscenza di sua nonna che per fortuna mi prese subito in simpatia forse merito della scatola di cioccolatini che le portai, mi avevano preparato della pasta condita
con del pomodoro fresco, io odio il pomodoro fresco, mangiai quasi senza masticare
per non sentire il gusto il guaio era che volevano darmene ancora, inventai che il mio
stomaco viaggiando in pullman non era dei migliori, poi ci sedemmo sul divano e le
diedi la medaglia, era molto contenta ma non voleva accettarla disse che era troppo ma
poi la convinsi ed accettò la medaglia ma la catenina che aveva era troppo sottile per il
peso della medaglia, quindi si prese anche la mia catenina. Poi parlammo della mia lettera ed io ripetei esattamente quello che avevo scritto che l’avrei sposata, si alzò per
andare in camera e mentre camminava mi disse tu sei pazzo lo sai che potrei finire su
una sedia a rotelle e che anche la nostra differenza di età non era poca, feci appena in
tempo a dire non mi importa nulla della cosa, che sentii un “OHHH” e la vidi sparire
dalla mia vista, come se stesse scendendo lentamente in un ascensore, mi alzai subito
era a terra con una gamba piegata sotto di lei, quasi urlando mi diceva “tirami su”, voleva che la prendessi per le ascelle e continuava ad insistere, mi abbassai e la presi in
braccio, ripeteva “no non così”, poi si attaccò al collo con tutta la forza che aveva ed
iniziò a piangere, mi sedetti sul divano con lei in braccio, che continuava a piangere e
diceva ma proprio oggi che sei arrivato dovevo cadere, quando si fu calmata mi disse
anche che aveva avuto paura che non avessi la forza di alzarla e che saremmo ricaduti
entrambi.
Le ore nel frattempo erano passate e quindi ripresi il pullman per tornare a Torino, durante il viaggio le scrissi una lettera che imbucai prima di rientrare in caserma, in cui
le ricordavo ancora la mia decisione e della bella giornata passata insieme, alla domenica quando arrivarono i suoi genitori fece vedere contenta la medaglia che le avevo
regalato e suo padre gli chiese di me, non ebbe il coraggio di dire la mia vera età e
disse che avevo 24 anni, suo padre si mise le mani nei capelli e disse a sua madre “tua
figlia un giorno o l’altro uscirà con un minorenne” non sapeva certo che sua figlia
aveva preceduto la sua ipotesi, la maggiore età era ancora a 21 anni.
Pensai anche a quanto ero cambiato in pochi mesi, la mia prima ed unica ragazza era
stata Gabriella di un anno più giovane di me, una ragazza molto esile e delicata, con i
capelli biondi lunghi e lisci, eravamo colleghi e mi piaceva moltissimo, il nostro primo
appuntamento fu all’angolo di una strada vicino a casa sua, ero emozionato e attesi il
suo arrivo vicino al semaforo, la vidi arrivare e mentre attendeva di attraversare vidi
che iniziava a ridere, quando arrivò al mio fianco mi diede un bacio e mi disse “ è meglio spostarci sei alto magro e talmente rosso in viso che non vorrei ti scambiassero
per il semaforo !! “, suo padre era morto quando lei era giovanissima e sua madre mol13
to protettiva voleva conoscere con chi usciva, cosa che feci al nostro rientro. Uscimmo
molte volte, lunghe passeggiate e quando il tempo non era bello andavamo al cinema,
la baciavo spesso mi ricordo le sue labbra morbide e arrendevoli, ma appena la mia
mano si posava su di lei la sentivo irrigidirsi ed ho sempre rispettato ciò che lei mi
diceva con le sue reazioni, il tutto sino alla mia partenza per il militare, ora invece
bastava un bacio con Marcella, le sue labbra morbide ma in un certo senso combattive,
scatenavano immediatamente un desiderio che ogni volta stentavo a tenere a freno, a
volte mi sembrava quasi di voler divorare l’amore che provavo, ma a parte la passione
era che a distanza di così poco tempo ora dicevo “ io ti sposerò!!!” ad una donna di 12
anni più di me e non avevo nessun dubbio in merito, altro che viso come un semaforo,
quel ragazzo timoroso era sparito di colpo in pochi mesi.
Ogni 15 giorni andavo da lei ed a volte arrivavo che non aveva ancora fatto colazione,
nel frattempo continuavano le mie lettere in cui le dicevo a modo mio il mio amore
E’ una serata molto bella,
è il tempo ideale per una passeggiata,
tutto è cosi calmo persino il vento,
sembra muovere le foglie delicatamente,
passa sul mio viso come una carezza,
se chiudo gli occhi mi sembra di vederti vicino,
se alzo lo sguardo al cielo non posso fare a meno di desiderarti,
amo la solitudine che mi regna intorno,
senza nessuno che mi disturba,
sono gli attimi che ti sento più vicina,
la notte ha mille voci amiche,
persino gli oggetti sembrano parlare
le foglie mosse dal vento dicono parole che invitano alla calma.
Se tu mi dovessi mancare,
nessuno riuscirebbe a rompere il torpore della mia vita,
la mia vita è amore per te
senza l’amore per te non vi sarebbe vita,
ti amo ho bisogno di dirtelo,
mentre te lo dico vedere passare nei tuoi occhi,
una piccola ombra di gioia,
desiderare sempre di più che questa ombra si fermi e cresca,
a volte dubito che possa essere vero l’amore per te,
mi sembra troppo grande,
ma poi mi basta pensarti per capire,
che non si può volerti bene meno di quello che sento per te.
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Il sole è ormai tramontato su questa giornata,
finalmente ho sentito di amarti per tutta la vita,
tutto questa sera sembra darmi ragione,
ed una grande malinconia di te,
il cielo è blu cominciano a spuntare le stelle,
un leggero vento fresco passa come un bacio sulle mie labbra,
nemmeno una nuvola è venuta a sciupare questa visione,
in questa visione vi è dipinto tutto il mio amore per te,
vi è dipinto il tuo volto,
rimango ad ammirarlo per molto tempo,
vorrei che non dovesse mai andarsene,
che io potessi finalmente riempirmi l’anima di questa visione,
rimango a fissarti scoprendo cosi la bellezza del tuo volto a poco a poco,
come un bimbo che aprendo gli occhi per la prima volta,
comincia a scoprire il mondo che lo circonda,
continuando poi a farlo per tutta la vita,
cosi guardandoti io comincio scoprire l’amore,
mi accorgo che tutto il mondo scoperto sino ad ora non è mio,
è di tutti ma non mio,
il mio mondo inizio solo ora a vederlo,
potrò scoprirlo solo amandoti e standoti accanto,
solo cosi riuscirò a farlo veramente mio,
senza di te ritornerei come il bimbo che deve ancora aprire gli occhi,
prima di conoscerti vi era solo buio nella mia esistenza,
poi sono stato inondato dalla luce,
dal tuo viso proveniva la luce che aveva rischiarato la mia vita,
era il viso di un angelo,
era l’angelo della mia esistenza,
era la persona che amo sopra ogni altra cosa al mondo,
eri tu,
ti amo e ti dono tutta la ma vita per sempre.
Uscivo con i miei commilitoni e qualche volta incontravo Claudia, ma tutto il mio
interesse era svanito, molte volte con una scusa rientravo in caserma e lentamente non
uscii più con loro ero diventato decisamente una pessima compagnia, quindi facevo
delle lunghissime camminate da solo senza una meta, camminavo con un solo pensiero
Marcella.
Gisella mi telefonò dicendo che se fossi uscito con lei mi sarei dimenticato di Marcella
risposi che non sarei uscito perché non avevo bisogno di prove e da quel momento
chiamava solo per dirmi “esci ??” alla mia risposta negativa riagganciava senza dire
altro.
Amneris mi telefonava regolarmente ad agosto mi chiese di andare al mare con lei,
assieme a sua sorella ed il fidanzato, le dissi che non era il caso, dopo qualche giorno
15
mi fece trovare al posto di guardia una cintura per Marcella che aveva acquistato al
mare, quando telefonò la ringraziai e le dissi perché non mi avesse fatto chiamare,
questa volta fu lei a dirmi che non era il caso.
Mariangela invece era la più fantasiosa, chiamava nelle ore più strane magari cercando
di cambiare voce e qualche volta dicendomi che sarebbe di nuovo venuta a prendermi.
I miei viaggi continuavano anche se molte volte rischiavo rimanendo fuori di notte,
specialmente quando di servizio vi era il picchetto della Cremona, la nostra caserma
era divisa in due metà autoreparto e l’altra metà Quartier Generale della Cremona e
quindi il picchetto veniva svolto a giorni alterni e tra noi non correva molto buon sangue, con un ufficiale della Cremona poi era quasi guerra aperta lui faceva di tutto per
fregarmi ed io di solito facevo in modo di non passargli mai le telefonate private e se
le passavo lo facevo sempre correre al circolo ufficiali.
Alla fine di agosto ero d’accordo con Marcella che sarei andato da lei per conoscere i
suoi genitori, tre sere prima di partire ero al centralino e sentivo un gran baccano nella
camerata sopra di noi, non volevo che ci punissero tutti per quel casino e mi sarebbe
saltato il permesso, salii velocemente le scale e quando spalancai la porta mi arrivò un
colpo tremendo al viso, avevano bagnato delle scope e se le stavano tirando, una di
queste mi aveva preso in viso proprio con la punta del manico, a parte il primo momento di intontimento portai la mano sulla guancia e istintivamente la lingua dall’interno, mi accorsi che la lingua toccava le dita, mi aveva rotto la guancia proprio con la
forma dei denti, scesi al posto di guardia e chiesi “chi mi porta in ospedale ??”, mi
diedero tre punti, con l’infermiere che dava consigli al medico.
Al mio rientro in caserma vi era il mio ufficiale della Cremona preferito, voleva sapere
cosa era successo e chi era stato, chi era stato non lo sapevo e cosa era successo non lo
avrei certo detto a lui, risultato presi anche tre giorni di rigore era ormai sera ed io con
la mia bella faccia gonfia andai in cella, dopo circa un’ora arrivò una guardia e mi
disse "vai in centralino". Si erano accorti che vi ero solo io di servizio perché gli altri
erano in permesso, risposi "chiudi la porta e lasciami in pace", passai la notte in cella e
dentro mi dicevo tanto non posso telefonare a Marcella è in montagna. Al mattino
quando arrivò il mio tenente mi fece subito uscire anche se mi diede come sua abitudine, un colpo alla nuca con i guanti dicendo che la sera prima avrei dovuto andare al
centralino e che avrei avuto altri due giorni di punizione da passare in centralino, ma
senza farsi vedere rideva.
Scrissi subito a Marcella cosa mi era accaduto e che non potevo andare da lei, ma nella
lettera misi anche questa frase “ora avrò un sorriso più da duro “, non potevo mangiare
normalmente e il mio peso calò ancora da 70 a 65 chili ora ero veramente molto magro, oltre al disagio dovetti subire anche i commenti dei commilitoni della caserma che
scherzando sul doppio senso della parola dicevano che mi ero rotto la faccia per una
“scopata”.
In quei giorni chiamò solo Mariangela e mi disse mi passi Gianni, risposi sono io al
primo momento non voleva crederci poi inizio a farmi mille domande, voleva anche
venire a portarmi da mangiare la pregai di non farlo, con lo scompiglio che aveva
creato la volta precedente.
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Quando mi tolsero i punti quasi non si vedeva nulla e lentamente ripresi i miei chili e
ad andare da Marcella.
Una notte di settembre suonò il centralino, allungai la mano e sentii una musica intrigante era “Je t’aime moi non plus”, una canzone che aveva generato molte critiche e
curiosità per i suoi sussurri e sottintesi, dopo un paio di minuti sentii una voce femminile e mi fu tutto chiaro era Mariangela, diceva che aveva preso quel disco per sentirlo
con me, che era nuda nel letto e se mi ricordavo suoi seni, cercai diverse volte di farla
smettere, ma non mi ascoltava e riagganciai, richiamò subito ripetendo le stesse cose,
io riagganciavo e lei richiamava e devo essere sincero che qualche effetto iniziava ad
avere su di me, a questo punto le feci una battuta tra il serio e lo scherzoso dissi “ma
non hai freddo tutta nuda”, penso che su di lei ebbe lo stesso effetto del buttarle del
ghiaccio addosso, tutto si zitti di colpo poi mi resi conto che stava piangendo, cercai di
rimediare chiedendole scusa, non rispose subito poi piangendo sentii queste parole “sai
essere la persona più dolce del mondo, ma anche la più spietata, potevi almeno fingere, cosa ti costava dirmi che mi volevi bene “, riagganciò lasciandomi senza parole e
triste per la mia intransigenza nei suoi riguardi, forse vivevo l’amore in modo troppo
totale e non vedevo che potevo fare del male, ma purtroppo era il mio carattere non
riuscivo a mediare in nulla, non potevo richiamarla perché non avevo mai voluto il suo
numero, mi sedetti sulla ringhiera del balconcino e guardavo il cielo, sperando lei facesse altrettanto, le volevo bene anche se non era lo stesso bene ed avrei dovuto dirglielo, odiavo un poco me stesso per non essere stato più dolce nel parlare e sentivo
anche una grande solitudine dentro, guardavo quel cielo e non trovavo nessuna consolazione, come poteva l’amore che provavo per Marcella rendermi come mi aveva detto
Mariangela spietato verso di lei, il rumore della fontana nel cortile che aveva creato in
me molte parole d’amore ora sembrava solo ricordarmi le parole appena sentite, come
un lento e costante rimprovero.
Il giorno dopo non mi staccai mai un attimo dal centralino e finalmente Mariangela
chiamò nel pomeriggio, rimasi in silenzio ad ascoltarla come mi aveva chiesto, mi disse che non mi odiava, anche se non era d’accordo sulle mie scelte, scelte che lei avrebbe voluto che io avessi con altre se fossi stato innamorato di lei, di dire a Marcella che
era fortunata e che non mi avrebbe dimenticato proprio per la mia tremenda sincerità,
mi disse che mi voleva bene, di non dimenticarla, ma non avrebbe più chiamato.
Quando la sua voce sparì, non mi rimase altro che chiudere la linea, non ho mai dimenticato Mariangela mi ha insegnato molto in quella notte, mi ha ricordato che in
ogni situazione bisogna sempre rispettare i sentimenti degli altri ed anche a volte a dire
con un pochino più di leggerezza “ti voglio bene “ del resto cosa mi sarebbe costato ??
Gisella decise di porre fine alle sue insistenze, rispose Evaristo e lei prima disse che
avrebbe richiamato dopo un’ora, poi mandò al diavolo Evaristo e non chiamò più.
Marcella nel frattempo stava vivendo tutte le sue indecisioni, l’avevo letteralmente
investita e travolta con il mio modo di amare, bastava che la prendessi tra le braccia e
tutto spariva, ma poi quando mi allontanavo tutte le sue paure di abbandonarsi a quel
sentimento riaffioravano ed era veramente frastornata, quando andai da lei a metà
settembre i baci decisamente non mi bastavano più e lei si mise a piangere, mi disse
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che non si sentiva ancora pronta, voleva ancora del tempo per fare chiarezza e mi
chiese se ero disposto ad aspettare altrimenti non mi avrebbe dato torto, decisi che non
sarei più andato da lei, che non le avrei più scritto ed avrei atteso la risposta al suo
ritorno, lasciandole quindi tutto il tempo per decidere.
Quei 20 giorni furono interminabili, appena rientrò a Torino, mi chiamò subito, mi disse che le ero mancato molto, più di quello che pensasse di andare da lei appena possibile, perché non vedeva l’ora di rifugiarsi tra le mie braccia, qualche giorno dopo andai a casa sua e conobbi i suoi genitori che conoscevo già per telefono perché
chiamavo sempre ogni settimana per sue avere notizie, sua madre Elsa e suo padre
Furio una persona molto cordiale, per le nostre effusioni dovemmo rimandare ad
un’altra occasione, anche se quando mi accompagnò alla porta ci baciammo e la strinsi
fortissimo alzandola da terra.
Questa è una parte molto particolare ed anche molto personale, sono rimasto molto
titubante se scriverla o meglio descriverla, poi mi è sembrato giusto farlo anche perché
è stato il coronamento e la prima volta del nostro vivere completamente l’amore che
iniziava a legarci sempre di più, in me quei momenti sono rimasti scanditi ed anche
bruciati in attimi interminabili, ho cercato di far trasparire cosa stava accadendo in noi,
senza cadere in troppe descrizioni ma è stato sicuramente un travolgente e titubante
vivere l’amore.
Dopo una settimana, era il 15 ottobre un giovedì,finalmente riuscimmo a rimanere soli, venne ad aprirmi radiosa come non mai, dopo poche parole mi prese per mano ed
andammo in camera sua, come succedeva ogni volta, si sedette sul letto ed io feci
altrettanto, la abbracciai e le diedi un lungo bacio, la desideravo in modo tremendo e
sentivo che anche lei mi desiderava, da questo punto, tutto divenne come in un sogno,
forse sarà stato il mio immaginare mille volte la cosa ma presi una sicurezza che mai
avrei sospettato ogni gesto fu da me fatto come se fosse stata una cosa quasi normale
ed invece ogni cosa, era per me la prima volta, non solo non avevo mai fatto l’amore
nel vero senso della parola ma nemmeno il resto non era mai stato fatto da me, non
sapevo cosa volesse dire dare e ricevere il piacere, non avevo mai sentito una donna
vivere il piacere e non sapevo nemmeno come farle provare quel piacere, la feci scivolare lentamente sui cuscini ed iniziai ad accarezzarla quasi in modo frenetico, quando i
suoi seni spuntarono dalla camicetta li baciai cercando di frenare la mia passione, scesi
poi lentamente, e quando arrivai a quel bellissimo triangolo scuro, non sapevo da dove
iniziare, come sempre usai l’istinto , chiusi gli occhi ed abbassai il mio viso, la sentii
quasi sussultare e in quel modo capii cosa dovessi ancora fare, la sentivo vibrare sempre di più, era la prima volta che sentivo una donna provare tutto questo e ad ogni suo
gemito aumentava la mia passione, bruscamente mi disse di fermarmi, temendo di aver
sbagliato qualche cosa alzai il viso verso di lei, aveva gli occhi lucidi mi disse anche il
suo desiderio di essere mia, dovette aiutarmi non trovavo la strada, pensai di aver toccato il paradiso, ma quando ripresi quello che avevo interrotto prima, la sentii ancora
più calda sino a percepire il suo piacere finale con un gemito forte e liberatorio, mi
disse di nuovo di fermarmi e questa volta aggiunse che le sembrava di impazzire,
sentii però nella sua voce anche il sommesso suono di un pianto, pensai di nuovo di
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aver sbagliato chissà quali cose e mi precipitai verso il suo volto facendole mille domande, ma vidi nei suoi occhi non solo le lacrime ma anche una grandissima gioia,
allungò la sua mano e mi fece una dolcissima carezza sul viso, dicendomi che non
avevo sbagliato nulla e che era stato tutto molto intenso e meraviglioso, aggiunsi anche quel bellissimo pianto alla mia nuova conoscenza dell’amore, mi sdraiai vicino a
lei e la presi tra le braccia, si accoccolò sotto il mio braccio godendoci i nostri primi
esausti momenti di piacere, le dissi tutto il mio amore e lei mi chiese di attendere un
momento perché era esausta, dopo alcuni minuti mi regalò senza volerlo la più bella
frase d’amore “non avevo mai provato nulla di così forte e coinvolgente nella mia vita,
mi hai dato delle emozioni che non avevo mai provato”, chiuse lentamente i suoi occhi
e si addormentò con un braccio appoggiato sul mio petto ed io rimasi ad assaporare
quelle parole per sempre, era come un cucciolo che cercava rifugio e tra le mie braccia
aveva trovato finalmente quel rifugio, quel suo respiro lieve mi faceva sentire quanto
si sentisse protetta ed appagata, quelle morbide dita posate su di me che si muovevano
con il mio respiro, mi accarezzavano nel profondo e mi sentivo sempre più profondamente uomo, vidi la luce farsi sera e che purtroppo era arrivata l’ora del mio rientro in
caserma, la svegliai e mi chiese scusa di aver gettato quel tempo dormendo, non aveva
gettato nulla era stato bellissimo sentirla così tanto mia in quel suo dolcissimo modo di
dormire, questa è stata la prima volta che ho vissuto l’amore sino in fondo e con il
tempo mi resi conto che anche per lei era come se fosse la prima volta. Quando uscii le
mandai un mazzo di rose rosse scrissi solo “Ti amo Gianni” chiesi di consegnarle dopo
un’ora, la chiamai e mentre parlavamo arrivò il fioraio, mi disse strano hanno portato
dei fiori per me, feci il geloso e volevo sapere chi era che le mandava dei fiori, doveva
leggermi subito il biglietto, dopo un attimo sentii solo “sei proprio pazzo”, ma nel mio
cuore avevo visto benissimo il suo sorriso ed i suoi occhi umidi di gioia.
Ci vedevamo regolarmente tre volte alla settimana, due volte di sera ed una volta al
sabato o alla domenica pomeriggio, ma vi erano comunque le nostre interminabili
telefonate anche notturne, per poter rientrare tardi quando vi era il picchetto della
Cremona mi facevo firmare dal mio tenente il permesso TST termine spettacolo teatrale, questo mi permetteva di rientrare molto tardi, molte volte il tram era già passato
e quindi dovevo fare la strada a piedi dalla stazione alla caserma, in parte vi erano i
portici ma non per tutto il percorso, quando pioveva o nevicava mi piaceva sentire sul
viso, le gocce ed i fiocchi di neve, si vede che l’amore aiuta anche a non prendersi nulla perchè stranamente non mi presi mai nemmeno un raffreddore, a volte capitava però
che non mi ero fatto dare il permesso e facevo tardi, a quel punto avevo sempre in
tasca dei permessi e mettevo la firma del tenente, non mi ero accorto che il famoso ufficiale della Cremona non lo gettava via, ma al mattino lo consegnava al mio superiore, sino al giorno che telefonai al mio tenente per una firma su un ordine di servizio e
lui mi rispose non occorre che rientro sei così bravo a mettere la mia firma sui permessi mettila anche questa volta ed un giorno dovrai raccontarmi dove vai tutte le volte,
naturalmente il giorno dopo quel solito ed amichevole colpo coi guanti era un poco
meno amichevole, dopo circa una settimana il solito ufficiale ritirò il solito permesso
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ed al mattino quando lo diede al mio tenente questi rispose se lo sarà firmato da solo e
va bene così, finalmente vi fu una tregua con l’ufficiale della Cremona.
Gigi aveva iniziato a frequentare i movimenti studenteschi, mi diede l’indirizzo di un
appartamento abbastanza vicino a Marcella dove andarmi a cambiare, lo usavano per
dormire i giovani per i loro spostamenti tra una città e l’altra, era composto da due
stanze ed un bagno, una stanza completamente vuota dove mettevano i sacchi a pelo e
nell’altra una branda con solo il materasso, era sempre meglio dei bagni maleodoranti
della stazione.
Amneris continuò ancora a telefonare le chiesi se volesse venire a conoscermi da
Marcella, mi rispose che forse le stavo chiedendo troppo, nei primi giorni di novembre, mi disse che preferiva interrompere ora le chiamate sapendo che io ero ancora qui
e sapendo di potermi chiamare quando ne avesse avuto bisogno, le chiesi una promessa di non chiamare mai più in una caserma, cercai di spiegarle che poteva incontrare
una persona con molto meno scrupoli di me, che avrei potuto divertirmi con lei ed una
volta ottenuto ciò che volevo potevo andarmene senza nemmeno provare rimorso, cosa
che avveniva prima che io arrivassi al centralino le telefonate di queste ragazze erano
favori poi ricambiati con permessi ed altro, ora forse è anche chiaro del perché vi era
la mia guerra privata con certi personaggi , mi fece quella promessa e aggiunse che mi
voleva molto bene, le feci notare che non sapeva nemmeno che faccia avessi, la sua
voce era la voce più dolce che avessi mai sentito “ non sai se io non ti ho mai visto e ti
voglio veramente molto bene, auguri a te e Marcella” , la telefonata cessò di colpo ma
rimasi a lungo ad ascoltare il silenzio che usciva da quel maledetto telefono, almeno
questa volta non avevo nulla da rimproverarmi.
Stranamente in Marcella stava aumentando la gelosia, era talmente gelosa che se
telefonava ed io ero uscito per servizio, oppure ero di guardia, diventava subito nervosa e quando poi le telefonavo faticavo a farle capire che non ero fuori con altre ragazze, le proposi di farle controfirmare gli ordini di servizio del mio tenente, così sarebbe
stata tranquilla, le ricordai che stavo facendo il servizio militare e già pazzie ne facevo
a sufficienza per andare da lei, arrivò al punto di telefonare cambiando voce per sincerarsi che non cercassi di attaccare bottone.
Passarono le settimane e tra noi il legame diventava sempre più solido ed intenso,
molte volte Marcella mi diceva che non aveva mai avuto così tanta sicurezza e tranquillità da un uomo, che non aveva mai provato sentimenti e sensazioni così forti, mi
accorsi piano, piano, che passato il primo momento in cui era stata lei ad indicarmi la
strada dell’amore, ora ero io ad aver preso lei per mano ed ad insegnargli a vivere
l’amore in modo spontaneo e completo, senza vergognarsi di provare sentimenti molto
profondi e senza porsi limiti prefissati nel vivere l’amore, ero così sicuro e forte del
mio modo di vivere l’amore che trascinavo anche lei nel mio mondo, si un uomo di 20
anni stava insegnando a vivere l’amore ad una ragazza di 32 anni.
Hai primi di dicembre accadde qualche cosa di strano, ero riuscito ad andare a casa per
Sant’Ambrogio, il pomeriggio dell’Immacolata rientrai a Torino ero sceso dal treno
alla stazione di Porta Susa vidi la ronda ferma proprio all’uscita della stazione stessa,
mi fermarono e mi portarono subito al mio reparto, i cancelli della caserma erano
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insolitamente chiusi, di giorno di solito vi era solo la sbarra abbassata, tutti gli
automezzi erano in cortile pronti ad uscire, appena arrivato mi dissero di indossare la
divisa da combattimento, salii in armeria a prendere fucile e munizioni ed uscii subito
di ronda, non era chiaramente la solita esercitazione, non era mai capitato di avere i
caricatori inseriti nei fucili, era la prima volta che facevamo la ronda armata intorno
alla caserma, nessuno sapeva nulla di cosa stesse accadendo, non ero nemmeno riuscito ad avvertire Marcella, finalmente il mio turno finì quando rientrai in centralino chiamai il collega degli Alti Comandi, nemmeno lui sapeva nulla vi era comunque l’ordine
di non usare le linee civili ma solo quelle militari, scrissi una lettera a Marcella dove
spiegavo cosa stesse accadendo e che nulla era cambiato tra di noi, dormii vestito mi
tolsi solo gli anfibi, al mattino alle 6 uscii di nuovo di ronda questa volta motorizzata e
con il mio Tenente gli raccontai di Marcella e gli chiesi di farmi telefonare da una cabina, eravamo fermi davanti alla stazione e lui fece finta di non vedermi allontanare,
mi rispose lei e le dissi velocemente che non potevamo sentirci e tantomeno vederci,
cercai di rassicurarla che nulla era cambiato, che non era una scusa per troncare, si calmò quando le chiesi di chiamare i miei per dire che ero arrivato bene, la conversazione
da parte mia era stata un fiume di parole veloci ed imbucai la lettera, avevamo ordine
anche di evitare contatti con i civili e quando vedevamo un militare di portarlo subito
al suo reparto, avevo già vissuto il periodo dell’attentato a Piazza Fontana ma ora era
ancora diverso, solo noi anziani uscivamo dalla caserma e solo per servizio, molti
incarichi venivano assegnati solo a noi, dopo cinque giorni massacranti di colpo tutto
finì e tutto senza nessuna spiegazione, solo dopo qualche anno quando ormai avevo
quasi dimenticato tutto venni a sapere cosa era successo in quei giorni, vi era stato un
tentativo di colpo di stato quello che è stato poi sempre chiamato “il golpe Borghese”,
molte volte si vivono briciole di storia senza che una persona nemmeno se ne renda
conto.
Il mio servizio militare stava quasi per finire e si accorsero che tutti e tre del centralino
ci saremmo congedati, il mio tenente mi chiese di fermarmi dei giorni in più in cambio
potevo andare in lienza per Capodanno, del resto mi ricordò che comunque vi erano
ancora quei 5 giorni di rigore che avrei dovuto recuperare, naturalmente accettai visto
che in ogni caso avrei dovuto andare via dopo gli altri, Evaristo e Gigi furono subito
sostituiti da altri due militari.
Arrivò la solita cena dei congedanti, quando dissi a Marcella della cena subito accettò
la cosa senza dire nulla ma poi non so per quale ragione, le tornarono alla mente
Mariangela e Gisella, dubitava che uscissi a cena con una di loro, le ricordai che non
telefonavano da mesi, ma naturalmente non potevo darle la prova di questo, più io parlavo più aumentava in lei la gelosia, mi chiese anche di rinunciare alla cena, le risposi
che non potevo sarei stato l’unico a rompere quella consuetudine, arrivò la cena fatidica, il ristorante era vicino a lei e volle che passassi prima da lei, non avevo tempo per
cambiarmi nei soliti posti, lo feci in una 500 di un amico parcheggiata in un posto
buio, andai da lei non era comunque tranquilla, faceva di tutto per non farmi andare
via, ogni volta che mi avvicinavo alla porta mi chiamava indietro per un bacio, per
mettere a posto il cappotto ed altro, quando stavo per uscire mi disse appena sei al
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ristorante chiamami, uscii tornai alla 500 e mi rimisi la divisa, l’auto era ormai fredda,
mettermi in slip ed infilarmi la divisa gelata visto che era la fine di dicembre non era
certo piacevole.
Quando entrai al ristorante erano già arrivati tutti, facendo finta di dover andare in
bagno la chiamai, volle il numero di telefono, ebbe anche un’altra idea mi disse che se
avesse trovato un suo amico sarebbe venuta li facendo finta di non conoscermi, le dissi
anche la mia gelosia se fosse venuta con un altro poteva scordarsi poi di mangiare e
tanto meno di andarsene con lui, cena dei congedanti o no, niente mi avrebbe fermato,
passai comunque tutta la serata a guardare ogni persona che entrava.
Poco dopo chiamò il mio collega del centralino, mi avvertiva che Marcella mi aveva
cercato, aveva controllato facendo finta di nulla e chiedendo di me, naturalmente
l’aveva informata della cena e le aveva chiesto se non l’avessi avvertita, la spudorata
disse che se ne era dimenticata, naturalmente gli altri mi chiesero ridendo se era accaduto qualche cosa in caserma, a metà serata la cameriera si avvicina al tavolo, dicendo
che vi era una donna al telefono e che aveva bisogno di parlare con Bassanini, i commenti si sprecarono dal fatto che anche li le donne non mi lasciavano tranquillo, chi
era la misteriosa donna, ti controlla anche qui, quante piangeranno alla tua partenza ed
altri commenti.
La cena andava per le lunghe anche se non avevo mangiato quasi nulla, anche perchè
mi andava letteralmente di traverso ogni volta che la porta si apriva visto che mi aspettavo una sua entrata da un momento all’altro, decisi di chiamarla per informarla del
ritardo, ora dubitava che magari le avrei viste finita la cena ed anche se la cameriera
era carina, cercai di tranquillizzarla, mi disse che appena rientrato dovevo chiamarla
anche se fosse stato tardissimo, naturalmente il vedermi parlare al telefono gesticolando un poco non sfuggi hai miei commilitoni che così ebbero un argomento in più per
continuare a prendermi in giro, solo il tenente mi chiese serio, se al mio congedo sarei
andato a casa o mi sarei fermato definitivamente a Torino, gli dissi che sarei andato a
casa, ma sarei tornato sicuramente presto.
Era ormai tardissimo e come spesso succede in questi casi i commilitoni decisero di
andare in centro a fare baldoria, mi feci lasciare vicino alla stazione e percorsi la strada
a piedi sino alla caserma, al mio rientro le telefonai non era comunque convinta che le
avessi raccontato la verità, non potevo fare altro che ripeterle mille volte che non era
come pensava, sembrò convincersi e la salutai, stavo andando in bagno, suonò il centralino e dal corridoio sentii il collega che diceva, “no stai calma è qui te lo passo
subito”, era lei non credeva la chiamassi dalla caserma ed aveva controllato, non
avendo risposto io si stava alterando, mi venne naturalmente da ridere e rideva anche
lei, ma mi diede anche un ultimatum “tu a cena senza di me non vai più da nessuna
parte”, andai finalmente in bagno divertito ed anche contento della sua gelosia.
Arrivò Natale e riuscii ad andare da lei solo al pomeriggio, gli comprai dei regalini tra
cui un cagnolino di peluche, fu una sorpresa per lei perché sapeva che ero di servizio,
ma non potevo far passare quel giorno senza vederla, suo padre guardava il cagnolino
forse si chiedeva se sua figlia avesse veramente 32 anni poi mi chiese se avessi impegni per Capodanno, gli risposi che ero libero e mi invitò a passare il fine anno con loro
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in montagna, Marcella era veramente senza parole, molte volte mi aveva detto di non
essere mai riuscita a passare un fine anno con nessuno ed io avevo apposta fatto quel
patto con il mio tenente perché sapevo quanto ci tenesse a passarlo con me.
Andammo in albergo ed avevamo due camere separate, allo scoccare della mezzanotte
capii la sua abitudine scaramantica voleva passare quel momento in piedi, ma era bloccata dal tavolo e quasi con rabbia mi disse "aiutami ad alzarmi sono incastrata" facemmo il brindisi con gli altri, ci demmo un bacio dolcissimo e lei fece saettare la sua lingua tra le mie labbra, un contatto velocissimo ma anche un chiaro segno del suo amore, nella notte la raggiunsi nella sua camera e passammo la nostra prima dolce appassionata notte d’amore fu anche la prima volta che il sonno ci colse nella completezza
dell’amore, le promisi che non avremmo mai più passato un capodanno divisi, ma
anche senza dire nulla fu anche l’ultima volta che mi chiese un aiuto, da quel momento
non ve ne fu mai più bisogno, bastava uno sguardo e la mia mano era sempre pronta
per lei.
Nessuno di noi due affrontò l’argomento della mia partenza da Torino, nemmeno
durante la notte passata insieme, solo dopo essere tornati dalla montagna, Marcella mi
chiese quando sarei partito e quando sarei tornato, forse dentro di lei la paura del mio
distacco diventava sempre più pesante, evitava comunque di pormi domande precise
anche perché a detta sua non voleva influenzare una mia decisione, non voleva forzarmi in nessun modo, per me il problema non esisteva nemmeno, sarei tornato e basta.
Giunse il giorno tanto atteso e tanto temuto, il 7 gennaio, mi cambiai e per la prima
volta camminai in caserma in borghese, mi fece una strana sensazione di colpo era
diventato un ambiente totalmente estraneo, i miei commilitoni se ne erano andati cinque giorni prima tra schiamazzi e risate, in un certo senso per quei cinque giorni io ero
il vecchio, il nonno come alcuni mi chiamavano, andavo in mensa e quando arrivavo i
giovani si spostavano, mi mettevo sempre in fila dopo di loro, trovavo stupide certe
consuetudini, ora invece mi sentivo veramente il “nonno”, volevo uscire e basta possibilmente inosservato come molte volte facevo quando scappavo da Marcella, salutai i
ragazzi del centralino lasciai loro dei libri ed anche la preghiera di continuare con la
mia scelta di non passare quelle telefonate, scesi le scale e passai vicino alla fontana,
mi fermai a sentire il rumore degli zampilli dell’acqua, quante notti mi avevano tenuto
compagnia e quante volte mi avevano ispirato le parole d’amore che scrivevo a
Marcella, percorsi quel vialetto come avevo fatto innumerevoli volte, appena arrivai al
posto di guardia vidi molti ragazzi, reclute e non più reclute erano venuti a salutarmi,
il nonno che sorrideva sempre e che non si arrabbiava mai, stava andandosene, quanti
di quei ragazzi erano venuti da me per telefonare a casa e quanti avevano solo voglia
di un posto caldo dove parlare, li conoscevo tutti, li avevo visti arrivare molte volte
spaesati ed ora erano li a dirmi ciao, uno di loro si avvicinò e mi chiese scusa per quella “scopata”, non mi era mai interessato chi era stato, sapevo che non era diretta a me e
mi era sempre bastato, il picchetto era tutto fuori dal posto di guardia come quella volta di Mariangela, spontaneamente stavo per fare il saluto, ma ora ero un “borghese”,
strinsi la mano al tenente ed uscii in fretta dicendo ciao, non era bello vedere il
“nonno” con gli occhi lucidi, non mi girai più a guardare verso di loro.
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Erano le due del pomeriggio, volevo portare come sempre un regalo per Marcella,
girai guardando le vetrine, ma non mi veniva in mente nulla, poi vidi in un negozio
una bilancia pesa persone, mi ricordai che non aveva nessuna bilancia, perché in
montagna la portavo a pesarsi sulla pesa del formaggiaio, aspettai che il negozio
aprisse, camminando avanti ed indietro pensando anche che da quella sera sarei stato
lontano, finalmente il negozio aprì comperai la bilancia e presi il pullman per andare
da lei, quando arrivai mi aspettava, mi venne ad aprire e mi diede un bacio, ma non vi
era la solita gioia delle altre volte, andammo in camera sua, di solito si sedeva sul letto
e si appoggiava contro il mio braccio, questa volta si sedette sulla sua sedia sembrava
quasi voler anticipare il distacco, aveva quasi paura di provare ancora il mio affetto ed
il mio tepore, le diedi la bilancia mi ringraziò, ma quasi senza guardarmi, poi vidi nei
suoi occhi tutta la tristezza del mondo, tutta l’insicurezza del distacco le era di colpo
piombata addosso, dopo un silenzio che sembrava eterno mi chiese a che ora partivo e
quando sarei tornato, con quel “quando sarei tornato” forse voleva dire “se sarei
tornato”, le confermai che appena fatto vidimare il mio arrivo al comune sarei tornato
da lei, rimase di nuovo in silenzio, aveva forse preparato dentro di se tutte le parole,
voleva controllare le sue reazioni ma incominciava a non riuscirci più, la sua intenzione di farsi vedere distaccata per non influenzare una mia decisione stava venendo
meno, mi chinai verso di lei e la strinsi contro la mia spalla e capii perché aveva voluto
evitare il mio contatto, si mise a piangere e di colpo mi disse quasi con rabbia “ora che
mi hai fatto provare tutto questo, ora che mi hai insegnato cosa vuol dire veramente
amare, cosa fai, te ne vai e non torni?? Se tu non torni saresti peggio di tutti, soffrirei
più che per chiunque altro, non ho mai provato con nessuno quello che ho provato con
te ed ora cosa fai mi togli tutto ??”, non si rese conto che con quelle lacrime tutto ciò
che lei aveva acceso in me, la curiosità, la gioia, la passione e l’amore, con quella
lontanissima telefonata, ora con quelle dolcissime lacrime faceva in modo che nulla
poteva mai più spegnersi dentro di me.
Non mi aspettavo una reazione come la sua, pensavo di essere riuscito a darle una certa tranquillità circa i miei sentimenti, ma forse aveva paura che una volta lontano da lei
e fossi tornato alla mia solita vita, potessi vedere anche i miei sentimenti in un altro
modo, insomma temeva di sentirsi dire che mi ero sbagliato, mi dava atto della mia
buona fede, ma vedevo che nei suoi occhi non vi era timore, ma veramente paura, la
strinsi ancora di più cercai di parlarle con tutta la mia dolce decisione ma sapevo meglio di lei che erano tutte parole inutili, in quel momento nulla poteva servire solo il
tempo poteva farle capire quanto ero sicuro di me, potevo fare molte cose ma non certo far passare i giorni in un attimo, cercai di farle capire che le chiedevo solo di aver
fiducia in me, per la prima volta piangeva davanti a me ed era indirettamente per causa
mia, sembrò calmarsi e mi disse che dovevo andare altrimenti avrei perso il treno,
uscii con le sue lacrime che erano arrivate anche ai miei occhi, arrivai alla stazione mi
precipitai in una cabina e la richiamai, mi mancava già terribilmente parlammo a lungo
poi dovetti ancora lasciarla, le dissi tutto il mio amore e quanto mi era indispensabile,
iniziava proprio in quel momento la sfida della mia vita, iniziava per me il voler vivere
un amore forse impossibile, il mio carattere non accettava la parola impossibile e forse
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è proprio questa sfida impossibile che mi dava la forza per far divenire l’impossibile
per altri, possibile e quasi facile per me.
Queste parole sono state scritte dalle sue dolci e paurose lacrime
Quel giorno piangendo chiedesti,
ed ora tornerai ??
quel giorno piangendo dicesti,
mi hai insegnato ad amare,
quel giorno piangendo implorasti,
di non farti soffrire,
quel giorno piangendo scrivesti,
per sempre nel mio cuore,
quanto volessi vivere di me.
La tua voce accese la curiosità,
i tuoi occhi accesero la gioia,
i tuoi baci accesero la passione,
il tuo corpo accese l’amore,
una tua lacrima fece che tutto questo,
non si spegnesse mai più.
Una bimba di 32 anni con una lacrima,
fece capire ad un uomo di 21 anni,
quanto era stato grande l’amore che,
le era stato donato per sempre.
Un giorno di tanti anni fa,
una piccola lacrima,
mi fece capire quanto immenso è l’amore,
mi fece capire quanta immensa tristezza,
vi può essere in una minuscola lacrima.
La chiamavo spesso ma purtroppo non erano certo le nostre lunghe telefonate che facevamo più volte al giorno, dopo una settimana tornai da lei, non l’avvertii del mio arrivo per farle una sorpresa, anche l’ascensore mi sembrò essere diventato più lento poi
finalmente suonai alla porta, venne ad aprirmi sua madre, si spostò senza dire nulla ed
entrai lentamente, era seduta in cucina, rimase senza parole, non voleva forse credere
hai suoi occhi, ma ero davanti a lei, ero tornato ed avevo così mantenuto la mia prima
promessa, mi sembrò quasi corresse verso di me, poi alzò il viso in attesa, non dovette
attendere nemmeno un istante, ci baciammo e la alzai tenendola stretta tra le mie braccia, non sapeva se ridere o piangere mise il suo capo teneramente sulla mia spalla, poi
fece quello che più le piaceva mi baciò nell’incavo del collo nascondendo il viso con25
tro di me, sentii le sue lacrime inumidirmi e avrei voluto non posarla mai più a terra,
con il braccio libero salutai sua madre ed andammo in camera, ci sedemmo sul letto e
lei si precipitò sotto il mio braccio, ogni tanto si staccava e mi guardava negli occhi
sembrava non convincersi della mia presenza, aveva gli occhi umidi d’amore e si stringeva sempre di più a me, quanto mi era mancato quel calore che sentivo contro di me e
sicuramente era mancato ancora di più a lei, quando si fu calmata iniziò a chiedermi
cosa avessi fatto, se mi era mancata molto, ed altre mille cose, arrivò anche suo padre
era molto contento di rivedermi, perchè vedeva di nuovo sua figlia felice.
Alla sera andai in albergo vicino a casa sua, le telefonai anche se ci eravamo appena
lasciati, quanta freddezza in quella camera era peggio persino del centralino della caserma, al mattino dopo la raggiunsi mi aspettava e mi abbracciò come il giorno prima,
al pomeriggio rimanemmo soli e ci rifugiammo nel nostro appassionato amore, si addormentò sotto il mio braccio, come sempre la guardavo dormire quanto era bella,
aveva sul viso una serenità che non le avevo mai visto prima, vedevo il cielo divenire
sempre più buio, ma non volevo svegliarla era troppo bello tenerla accanto a me, finalmente si svegliò e si accorse quanto il tempo era volato le diedi un bacio sui capelli,
senza alzare il viso mi chiese di colpo se avessi rivisto Gabriella, le risposi che non
l’avevo vista e che non desideravo rivederla.
Giunse di nuovo l’ora della partenza e rividi di nuovo nei suoi occhi la tristezza del lasciarci, ci baciammo teneramente ribadii che ci saremmo rivisti dopo una settimana,
salutai i suoi ed uscii, appena arrivato in stazione la chiamai mi mancava tantissimo e
non mi stancavo di ripeterglielo, ma nella sua voce vi era sempre un tono d’incertezza.
Le scrivevo delle cartoline ed anche delle lettere in cui le dicevo tutta la mia tristezza
per la nostra lontananza, intanto cercavo un posto di lavoro ma molte volte ero demoralizzato dai miei insuccessi, volevo sposarla al più presto, avevo sempre paura di
perderla e volevo fosse mia davanti al mondo.
Naturalmente la settimana successiva tornai da lei e tutto fu come la volta precedente,
anche se finalmente si stava tranquillizzando le portavo come ho sempre fatto un
piccolo regalo, mi chiesi chi dei due si sarebbe stancato, se io dal sentirmi dire di non
portare niente o lei dal dirmelo, sapevo comunque che si sarebbe arresa prima lei
perché avrei sempre continuato a portarle qualche cosa, non potevo rinunciare a quel
suo sguardo sorpreso e felice.
La settimana seguente, stavo per andare in albergo quando suo padre disse improvvisamente mettendomi un braccio sulle spalle, lascia perdere l’albergo non buttare via
i soldi, tanto non cambia nulla con tutte le volte che rimanete da soli, rimasi per un
attimo stupito anche perché avrei dormito in camera di Marcella nel letto accanto al
suo, poi aggiunse che almeno saremmo stati più tempo vicini e non vedeva Marcella
triste appena uscivo per andare in albergo.
Ci addormentammo vicini poi mi spostai nel mio letto, lo avvicinai tanto da poter
tenere la sua mano nella mia, l’indomani arrivò di nuovo il momento del distacco e
suo padre mi disse di tornare quando potevo.
Quella settimana decisi di affrontare il dubbio di Marcella, senza dirle nulla andai a
trovare Gabriella all’uscita dal lavoro, non era cambiata per niente, mi chiese di
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Marcella, le dissi che ero sempre più innamorato e le chiesi di lei, mi disse che aveva
conosciuto una persona e che era felice, naturalmente le chiesi cosa ne pensasse sua
madre, mi diede una risposta che non mi aspettavo disse “ pensi che una madre dopo
aver conosciuto uno come te possa andargli bene qualcun'altro “ vidi nei suoi chiarissimi occhi azzurri tutta la dolcezza dell’affetto per me, affetto e niente altro, la
accompagnai verso casa sua parlando di tante cose, del tempo del mio militare e di
quanto erano state dolci le nostre passeggiate, ridemmo anche del nostro primo
incontro e del semaforo, eravamo legati da ricordi molto belli che ora avevano il loro
vero valore l’amicizia, le diedi un bacio sulla guancia e vidi nel suo sorriso quanto le
aveva fatto piacere rivedere un vecchio amico.
Quando arrivai a Torino non dissi nulla a Marcella, attesi che lei mi facesse la solita
domanda, come al solito non mi guardava in viso, accoccolata sotto il mio braccio
disse le solite parole “hai rivisto Gabriellla ??”, questa volta dissi "si", scese di colpo il
gelo, la sentii prima irrigidirsi e poi quasi spegnersi, rimasi in silenzio, con un filo di
voce mi chiese cosa era successo, rimasi ancora in silenzio, si stava innervosendo nella
paura della risposta, le alzai il viso e le chiesi di aprire gli occhi e di guardarmi, le feci
il sorriso più innamorato del mondo, non le bastava comunque, volle sapere ogni nostra parola e gesto, le raccontai tutto, si alzo di scatto e si butto sulle mie labbra, un
poco arrabbiata perché l’avevo fatta attendere prima di rispondere alle sue domande,
ne fu molto felice ma disse “bene ora non la devi più rivedere”, di colpo era tornata la
Marcella della cena dei congedanti con tutta la sua sicurezza e gelosia.
Lei era stata la mia prima donna, certo non potevo pretendere che a 32 anni io fossi il
suo primo uomo, non le feci domande specifiche lasciai che fosse lei a parlarmene ed
alla fine le feci una sola richiesta, doveva tenere il suo passato lontano dal nostro presente, non doveva permettere che nulla del suo passato si mettesse tra di noi, anche
perché conoscevo la mia gelosia e la mia intransigenza .
Intanto le settimane passavano ed ora avevo finalmente trovato un lavoro alla
Telecom, finalmente le cose cominciavano a mettersi nel verso giusto, molte cose succedevano nei nostri incontri, per San Valentino decisi di regalarle una fedina con dei
brillantini, sapevo le piaceva un modello che si chiamava riviera, andai da un gioielliere in centro di Milano ed ordinai la fedina, avevo nel frattempo preso la misura da
un suo anello provandolo su di me era persino stretto sul mio dito mignolo, aveva
veramente le dita piccole misura 5,5 infatti l’orefice mi chiese ma la sua fidanzata è
una bambina, avrei voluto veder la sua faccia se gli avessi detto che era una bambina
di 32 anni.
Rimanemmo in casa soli, i suoi erano dai vicini di casa, mi diede una fedina d'oro
aggiungendo che non dovevo mai toglierla perché tutti dovevano sapere che ero impegnato, la ringraziai e feci finta di nulla, mi guardava poco convinta era stupita che
non le avessi preso niente per San Valentino, io che non mi dimenticavo mai di nulla e
che ogni occasione era buona per farle un regalo, feci finta di niente e poi fingendo di
ricordarmi le diedi la scatolina con noncuranza, non le sembrava vero la mise immediatamente appena i suoi tornarono si precipitò a far loro vedere cosa le avessi regalato, la guardava e la riguardava felice, sapeva molto bene che in quel gesto, in quel
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dono vi era molto più del valore di quella fedina vi era un impegno che doveva essere
per tutta la vita.
Altre volte nascondevo i suoi regali, nelle tasche interne del cappotto, oppure nel giornale, riuscivo anche a nascondere le cose sotto l’ascella, quando arrivavo mi guardava
in viso, non osava chiedermi ed io molte volte mi scusavo del non aver avuto tempo
per comprare nulla, diceva che era ora che la smettessi col portarle ogni volta qualche
cosa, ma vedevo sul suo viso la delusione, poi a quel punto le gettavo il cappotto in
grembo e lei appoggiando le mani sentiva che vi era qualche cosa, cominciava a
frugare sino a che trovava il suo regalo, molte volte erano pantofole con il bordo di
cigno, reggiseno, mutandine ed altro, suo padre guardava divertito la sua caccia al
tesoro e molte volte le diceva in piemontese “che gagna” che significa che bambina, si
la vedeva tornare bambina, una bambina che non aveva mai visto così felice e sapeva
che era merito mio e del mio amore.
Era molto gelosa ogni volta facendo finta di mettere a posto le mie cose, frugava nella
mia borsa e se poteva mi frugava anche nelle tasche, mi divertivo a vederla gelosa e
quando arrivavo, facevo sparire un biglietto, non prima di essermene fatto accorgere
da lei, si scatenava voleva a tutti i costi vedere tutto ciò che avevo, toglievo il portacarte e le facevo vedere che non vi era nulla, ma intanto passavo il biglietto da una
mano all’altra, nel frattempo suo padre le chiedeva cosa stesse combinando, lei imperterrita doveva finire la sua perquisizione poi quando vedeva che era magari un biglietto bianco o magari con scritto "gelosa !!!", capiva che stavo solo giocando, una volta
invece rischiammo veramente di litigare nel suo frugare nelle mie tasche prese il mio
portafoglio fece per aprirlo, le dissi di fermarsi, se voleva vedere cosa vi era dentro dovevamo essere soli e gli avrei fatto vedere io il contenuto, mise il portafoglio sulla
sedia e fece per andare in camera, la fermai e le chiesi di ridarmi il portafoglio l’avrei
portato io, non voleva restituirmelo, questa volta cambiai tono e le rifeci la richiesta,
era molto contrariata ma mi diede il tutto, nel frattempo suo padre rimase senza parole
aveva assistito a tutto e conoscendo sua figlia si aspettava qualche scenata, andammo
in camera con calma le spiegai che poteva guardare ovunque e quando voleva, ma doveva chiedermelo, aprii il portafoglio e le feci vedere tutto ciò che conteneva, volle
vedere anche i più piccoli scomparti, si strinse a me contenta, fu l’unica volta che dovemmo arrivare a quel tipo di spiegazione, non voleva tornare in cucina, le dissi che
doveva farlo dovevamo chiedere scusa a suo padre, a malincuore mi seguì quando entrammo in cucina suo padre era in una posa strana, si vedeva chiaramente che era per
così dire con le”orecchie dritte”, si aspettava qualche strillo, ci vide e finalmente fece
un largo sorriso di sollievo, gli chiesi scusa e spiegai che Marcella poteva guardare
tutto ma a certe condizioni, nel frattempo Marcella non poteva passare per sconfitta e
mentre si sedeva disse con aria di trionfo che non aveva trovato nulla per far capire
che aveva poi guardato dove voleva, suo padre si alzò per andare a letto e mentre passava mi mise un braccio sulle spalle e mi disse “porta pazienza è un vizio di famiglia”.
Nell’estate Marcella tornò in montagna ed io cambiai quindi il mio itinerario, dovevo
prendere due treni e poi il pullman, ma comunque andai sempre tutte le settimane da
lei, il venerdì sera si metteva sul balcone e guardava la gente scendere dall’ultimo
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pullman, quando mi vedeva mi aspettava sulla porta, molte volte scendevo alla fermata
prima e poi facevo la strada a piedi rasentando i muri per non farmi vedere, lei rimaneva delusa nel vedere che doveva aspettare il sabato, salivo le scale lentamente ed uscivo sul balcone magari commentando il panorama, si rifugiava tra le mie braccia con
una velocità inaspettata.
Qualche volta andavo in auto e potevo partire al lunedì mattina alle 5, un fine settimana i suoi genitori partirono alla domenica sera, eravamo sul balcone, la tenevo
stretta contro di me scaldavo il suo corpo dal fresco serale, rientrammo per andare a
dormire, questa volta invece andammo nella camera dei suoi genitori, era la prima
volta che eravamo in un letto matrimoniale, fu una notte stupenda non solo perché
facemmo all’amore, ma anche perché fu tutto estremamente dolce, al mattino le diedi
un bacio ed uscii, vi era un freddo intenso, come intensi erano stati i momenti passati,
la notte sembrava quasi non voler cedere il posto al giorno, come i miei ricordi di lei
che non volevano cedere il posto alla realtà della mia partenza, abbassai il finestrino e
la brezza gelida invase il mio tepore, fermai l’auto in riva ad un lago e guardai l’acqua
calma e tranquilla, come erano calmi e tranquilli i miei pensieri cullati dai primi cinguettii degli uccelli, ma quei piccoli e deboli trilli mi ricordarono che dovevo lasciare
quel luogo di pace, ripartii ma sino al mio arrivo a Milano fui accompagnato e coccolato, dalle mille piccole carezze e baci che avevo appena vissuto, le espressioni del suo
viso prima disegnato dalla passione, poi ammorbidito dalla consapevolezza dell’essere
l’uno dell’altro anche nei più profondi pensieri ed infine accarezzato dalla gioia del
ritrovarsi nel sonno ristoratore rifugiata tra le mie braccia, erano continuamente nei
miei occhi, il vento che continuava ad entrare dal finestrino aveva il sapore delle sue
dita che si insinuavano tra i miei capelli, dandomi quel leggero brivido che sempre
accompagnava quel suo consueto gesto, tutto continuò a parlarmi di lei sino a che vidi
le prime case della città farsi sempre più vicine e lentamente i miei dolci pensieri
vennero sostituiti dal frastuono del traffico, ma i ricordi nulla potrà mai scacciarli ne
spegnerli, perché basterà un soffio di vento, uno sguardo nel cielo per rivivere sempre
quei momenti d’amore.
Nel mese di agosto giunsero finalmente le tanto attese ferie, Marcella contava le ore,
mi diceva che finalmente mi avrebbe avuto tutto per se per ben tre settimane, la portavo molte volte al bar della piazza, ci sedevamo fuori e guardavamo chi passava,
accaddero due episodi uno che dimostrò quanto io l’amassi e l’altro quanto io fossi
geloso, eravamo seduti mangiando un gelato, quando passò una bella ragazza proprio
davanti a noi, Marcella mi osservò subito per vedere le mie reazioni, non mi accorsi
nemmeno che era passata due volte, il secondo episodio accadde pochi giorni dopo,
mentre eravamo di nuovo seduti al bar, arrivò un ragazzo del paese che aveva circa la
mia età, iniziò a parlare con noi poi si sedette senza nemmeno che lo invitassimo,
cominciò a fare delle battute, cercai di trattenermi poi visto che non potevo dare il giro
alla sedia dove lui era seduto, mi alzai lo salutai e presi Marcella in braccio, protestava
dicendomi di posarla, dove la stavo portando e che non voleva, non sentii nulla feci
quella lunga rampa fatta di sassi, feci i due piani in un attimo e mi fermai solo quando
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la posai sul divano, mi fulminava con lo sguardo ma era anche divertita dalla cosa, non
riusciva a capire come avevo fatto a portarla in un attimo dalla piazza a casa.
Al giovedì era giorno di mercato, il paese si animava più del solito, chiesi a Marcella
se era mai andata al mercato, mi rispose di no perché era nell’altra piazza del paese ed
in auto non si poteva andare, bisognava quindi andare a piedi ed era impossibile per lei
andarci, come al solito la parola impossibile mi diede fastidio, le infilai le scarpe la
presi in braccio e scesi le scale, pensava mi fermassi al bar, invece presi la strada per il
mercato, mi fermai solo un attimo senza posarla sul gradino di un negozio, poi ripresi
la strada e la portai al mercato, la posai e girammo i banchi con lei appoggiata al mio
braccio, finito le compere, la ripresi in braccio con lei che teneva i sacchetti in grembo
e partii deciso mi fermai di nuovo solo un attimo su un gradino e poi feci di nuovo la
rampa ed i due piani, mi guardava stupita anche perché la strada era veramente notevole credeva fosse impossibile, almeno lo credeva un’ora prima ora non più, quando al
sabato arrivò suo padre mentre eravamo a tavola, lei con aria trionfante disse che era
stata al mercato, le chiese se le era piaciuto, poi le chiese come avesse fatto ad andarci, Marcella con la semplicità con cui ormai le avevo insegnato a vivere ogni cosa
disse mi ha portata Gianni, suo padre non afferrò subito cosa volesse dire portata, poi
gli venne il dubbio e chiese come l’avevo portata, alla risposta in braccio poco ci
manco che si strozzasse si bloccò e mi guardò, si fece ripetere tutto anche da me ed
alla mia conferma rimase senza parole.
Finirono anche le ferie, avrei dovuto partire alle 18 perché dopo non vi erano più
pullman per Ivrea, Furio chiese ad un amico se potevano accompagnarmi ad Ivrea alla
sera, il momento dei saluti fu solo rimandato ma comunque giunse egualmente, vi
erano tutti a salutarmi e tutti con gli occhi lucidi ed io non ero da meno, Marcella mi
accompagnò sino alla porta, mentre mi baciava sentii le sue lacrime sul mio viso,
passai un dito e raccolsi una sua lacrima e la portai alle labbra, mi disse che non mi
avrebbe guardato dalla finestra, partimmo io Furio e l’amico, arrivammo alla stazione
scendemmo tutti e tre, ma nessuno si decideva a salutare, vidi il papà di Marcella
molto in difficoltà, non sapeva cosa fare, aveva anche lui gli occhi lucidi, presi l’iniziativa e gli strinsi la mano dicendo loro di tornare da Marcella che si faceva tardi,
Furio disse solo senza praticamente guardarmi “ torna presto”, li vidi partire ma non
girò più la testa, mi sembrò quasi che stesse salutando un figlio non un futuro genero.
A settembre mia sorella Lella (Rosella), venne in montagna a conoscere Marcella, la
curiosità da parte sua era grande, non avevo mai raccontato molto di lei, i miei non mi
chiedeva nulla ed io non mi curavo di dire nulla, del resto il mio carattere non era
molto morbido, ero dolcissimo ma non avrei mai accettato nessun consiglio, dovevano
solo accettare la mia decisione di amare Marcella, mia sorella disse poi a che avevano
pensato anche che avessi conosciuto una ragazza madre, legarono subito e quando
dopo tre giorni tornammo a Milano mia sorella non smetteva di elogiarla.
In quei tre mesi Marcella mi scriveva molte lettere, tutte molto romantiche ma in tutte
vi era sempre una cosa presente, quanto gli pesasse la mia lontananza e la sua paura di
perdermi, tutte molto belle ma una in particolare mi è sempre rimasta nel cuore,
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Amore mio,
mi sono alzata adesso e ti scrivo subito, anche se so che prima di due o tre
giorni non ti arriverà, qui è una giornata come ieri, solo un po’ più calma e molto
vuota senza di te. Oggi sto bene, stamattina mi sono alzata bene, ho fatto pulizia, ho
messo un po’ di ordine in casa, insomma tutto bene. E tu tesoro mio come stai ? Sei
arrivato bene ? Io sono stata sveglia sino alle 23.30, di più non ho resistito, ma penso
che a quell’ora fossi già quasi a casa. Tesoro chissà il caldo che avrai ! Sento sempre
ogni giorno di più la tua mancanza, sai che ormai vivo per te e di te, ti amo tanto da
impazzire, speriamo tu possa venire su venerdì, sono sempre ore in più che possiamo
rubare al tempo che passa inesorabilmente in fretta, ore da passare assieme, vicini ,
uno fra le braccia dell’altro, tutte per noi, dove niente e nessuno vi può penetrare. Ti
amo tesoro, non posso più fare a meno di te ed ho tanta paura che qualcuna possa
portarti via da me. Ti confesso che ora che sei tornato a lavorare ho molta paura, le
occasioni non mancano e di ragazze belle, giovani e simpatiche, ce ne sono molte,
anche se so che sei tutto mio. Mi raccomando con tutte le belle ragazze che girano in
mini, non fare troppi “ brutti pensierini !!!! “.Ti voglio tanto bene e mi manchi sempre
ogni giorno di più, è tutto così meravigliosamente bello e dolce che mi sembra da un
momento all’altro tutto debba sparire nel nulla.
Ti mando un grosso bacione e un forte abbraccio ciao amorone.
Tua Marcella
La semplicità con cui ora lei viveva il nostro rapporto era quasi disarmante, ricordo
che aveva l’abitudine quando doveva fare il bagno di farsi aiutare dalla nonna, un
giorno parlando mi disse che doveva fare il bagno e che doveva chiedere a sua nonna
quando poteva venire, le chiesi se voleva che la aiutassi io, accettò subito naturalmente
fu veramente eccitante per me vederla in piedi tutta nuda ed aiutarla ad insaponarsi,
passarle la mia mano resa scivolosa dal sapone sul suo corpo era decisamente provocante e non ricordo le innumerevoli volte che lei mi invitava a stare buono, alla fine
dopo averla asciugata la avvolsi in un asciugamano e la portai in camera, potete immaginare quando aprii lì asciugamano (anzi meglio di no sono geloso anche dei pensieri)
rimasi letteralmente estasiato e altro che stare buono, quando poi tornarono i suoi
genitori lei tutta contenta comunicò loro che le avevo dato una mano a fare il bagno,
senza porsi minimamente il dubbio della loro reazione stupita, un altro episodio fu il
giorno che decise di darmi le chiavi di casa sua, arrivai alla sera molto tardi, erano già
tutti a letto infilai tranquillamente la chiave nella serratura ed aprii la porta, i suoi
genitori saltarono letteralmente nel letto, sentii sua madre chiedere ad alta voce chi era
entrato, ero più stupito di loro e lei senza il minimo imbarazzo disse è Gianni gli ho
dato le chiavi, avrei voluto sprofondare ma lei era così, molte volte imprevedibile e
forse anche superficiale.
Nel mese di ottobre mi scrisse una bellissima lettera, tra le molte parole d’amore, vi
era anche la nostalgia della notte appena passata di quanto io riuscissi sempre ad appagarla totalmente, sottolineava quanto io la facessi sentire “donna” e di come ogni volta
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fosse la prima volta, un continuo scoprire l’amore anche nei gesti consueti e vi era
sempre la gioia del ritrovarsi e del donarsi, arrivai come sempre alla fine della settimana e quando di notte si rifugiò tra le mie braccia, mi ricordò di nuovo quanto si sentisse donna ed amata in quei momenti, dissi solo una frase “ho imparato ad amare, amando te”, mi chiese spiegazioni di quella frase, dicendo con un pizzico di gelosia che forse con le altre non ero stato così passionale, come era accaduto a lei prima di conoscermi, gli dissi la verità e lei si mise di colpo seduta nel letto, non voleva credermi,
continuava a ripetere che non era possibile che io fossi così focoso e sicuro di me,
senza avere mai fatto nulla con le altre, con calma gli spiegai che senza volerlo mi
aveva indicato lei la strada da seguire e che immediatamente mi ero sentito padrone
dei miei gesti e cosa aveva significato la prima volta con lei, come non ero mai riuscito ad andare oltre con le altre, solo perché mancava l’amore vero, mi rispose che se
lo avesse saputo forse non avrebbe avuto il coraggio quel giorno di un anno prima, le
ricordai che ero anche minorenne e la feci sdraiare di nuovo sotto il mio braccio, teneva gli occhi chiusi ma non riusciva ad addormentarsi, l’essere l’unica vera donna della
mia vita era quasi un peso per lei, ma poi il tepore delle mie braccia delicatamente
fecero tornare in lei la serenità e sentiva come sempre la grande sicurezza che le sapevo dare, il tutto risvegliò la passione tra noi e quasi si consegnò in modo ancor più
consapevole al mio desiderio ed al mio gioioso modo di vivere l’amore.
Sino ad ora ho fatto un percorso lento anche se sicuramente privo di molte cose, ma
era solo per spiegare come è nato il nostro amore e come lentamente la disabilità di
Marcella veniva già colmata dal nostro vivere l’amore, magari nella normalità del
nostro vivere vi sono anche sfuggite ed era in questo modo che noi le vivevamo, ma
così deve essere sino alla fine una storia d’amore infinita e basta.
Ora salterò moltissime cose sarebbe un ripetere e metterò solo gli episodi che mi
sembrano significativi, anche se potrei descrivere minuziosamente ogni istante.
Marcella non era mai andata comperare di sua iniziativa i regali, doveva sempre delegare ad altri ora invece scopriva anche queste cose, per l’Epifania 72 uscimmo a fare
compere e la notte mi alzai ed appesi in cucina i regali, poi tornai a letto da lei al mattino noi eravamo già svegli ed in attesa, suo padre si alzò e quando entrò in cucina
dopo un attimo di silenzio esclamò “Elsa vieni a vedere cosa hanno fatto i ragazzi”,
sentivo Marcella stringersi sempre più forte a me, li aveva comperati lei, lei!!!!
Ad aprile comperai finalmente una fiat 127 non ricordo nemmeno quante rate erano,
questo ci permetteva tantissime cose, prima tra tutte rimanere più tempo insieme, gli
piaceva moltissimo quell’auto era sua e per prima cosa vi mise un adesivo appena
sotto il lunotto in modo che fosse ben visibile “pericolo moglie gelosa” non vi dico le
battute in special modo dei benzinai, quando Marcella era in montagna e venivo a
sapere che non stava bene finito il lavoro partivo ed andavo da lei, arrivavo dopo cena
e senza aver mangiato, passavo la notte seduto su di una poltrona vicino al suo letto
tenendole la mano ed al mattino alle 5 ripartivo per Milano ed andavo al lavoro, suo
padre quando lo sapeva mi diceva di non fare quelle cose che al mattino ero stanco per
viaggiare ma poi aggiungeva “è inutile che io te lo dica tanto tu le fai egualmente”.
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Una sera che eravamo al bar del paese e di fronte vi era l’auto di suo padre una Fulvia
Montecarlo, Marcella si intestardì a voler fare un giro proprio con quell’auto, sapeva
che non volevo guidare auto non mie ed anche suo padre mi disse di portala a fare un
giro, salimmo in macchina ed uscimmo dal paese, feci poca strada e mi fermai era
buio pesto, ma il mio umore era peggio mi girai verso di lei le diedi un bacio e le dissi
che un’altra volta doveva prima chiedermelo e non davanti a tutti, sapeva anche
quanto non mi piacesse usare le auto degli altri, rimisi in moto e tornai nella piazza,
suo padre era stupito nel vederci già tornare, gli restituii le chiavi dicendo Marcella lo
sapeva che non ero d’accordo di guidare la sua auto, la presi in braccio e tornammo a
casa.
Mi accorsi anche che lei non aveva mai avuto un grande rapporto con suo padre e
lentamente attraverso di me questo rapporto si stava creando, dissi anche a Furio perché non viene qualche volta in camera quando vi siamo noi per chiacchierare, mi rispose magari do fastidio ma da quel momento veniva da noi e magari si sdraiava nel
letto di Marcella e parlava con noi, era molto affezionato a me ed anche da parte mia
ero molto attaccato a lui, quando partivo entrava in camera e vedeva Marcella triste, si
sedeva vicino a lei e diceva “ti manca tanto Gianni vero ?”, quando poi arrivavo appena entravo mi salutava dicendomi meno male che sei arrivato, quando non ci sei Marcella non parla più, come diceva lei nelle sue lettere si chiudeva nel suo “mutismo”.
Quel capodanno andammo a Laigueglia quando tornammo eravamo fuori in auto
chiesi a Furio di pagare il soggiorno al mare, ma non solo per me anche per Marcella
del resto era la mia fidanzata, si mise a ridere e quando entrò in casa andò da sua figlia
e gli raccontò la cosa, Marcella mi disse anche che era molto contento della mia
richiesta, perché dimostrava cosa sentissi per lei ma liquidò la cosa dicendo digli di
non fare il “fol” il pazzo insomma.
Oltre al fatto che ogni volta portavo sempre dei regali a Marcella ( come prevedevo si
era arresa lei), anche quando era il mio compleanno le facevo un regalo il più bel regalo era il suo sorriso divertito e sentirle dire sei sempre il solito pazzo.
Una volta andai per lavoro al Consolato del Canada, mi fecero una proposta allettante,
cercavano personale per la telefonia che era in fase di sviluppo e in particolare tecnici
italiani, era tutto veramente vantaggioso e quando andai da Marcella le dissi della proposta, facendole presente anche i lati negativi, non avevamo ancora deciso nulla che
lei entrando in cucina disse a suo padre “sai che andiamo a vivere in Canada” come se
dicesse andiamo a fare una scampagnata, spiegai tutto a suo padre, disse che sarebbe
rimasto dispiaciuto per la nostra distanza ma che sicuramente dovevo pensarci bene
perché era un’opportunità che difficilmente si sarebbe ripresentata, quella settimana
valutai attentamente ogni cosa, poi quando tornai a Torino dissi sia a Marcella che a
suo padre che avevo deciso di rinunciare anche perché per lavoro magari dovevo stare
più lontano da Marcella, suo padre mi disse di pensarci bene che rinunciavo a tante
cose, quando dissi no ormai ho deciso, si alzo mi abbracciò e mi disse “grazie”
Rimaneva sempre in sospeso la storia della mia età, molte volte dicevo che bisognava
chiarire le cose, ma ogni volta rimandava, sino al giorno in cui Marcella venne a
Milano per due settimane e Furio ed Elsa vennero a pranzo dai miei, eravamo ormai a
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fine pranzo e mio padre parlando disse la mia età, vidi Furio irrigidirsi ma non disse
nulla sino al momento della partenza e salendo in macchina disse a sua figlia poi a
casa ne parliamo, Marcella non sarebbe più tornata a casa la costrinsi ad anticipare il
rientro, ma come al solito dovetti essere io a dare spiegazioni della sua cocciutaggine,
entrammo in casa suo padre era seduto in cucina e disse “Marcella cosa hai da
dirmi??”, Marcella si mise sulla sua sedia e non apriva bocca, quindi fui costretto a
spiegare io ogni cosa, dalla paura iniziale al non voler affrontare dopo la cosa, lui disse
che passato il primo periodo avrebbe dovuto dirgli tutto, la sua espressione era cambiata ma era comunque deluso da sua figlia, si avvicinò a me che ero in piedi mi mise
un braccio intorno alle spalle e disse senza girarsi verso di lei “Marcella doveva avere
più fiducia verso suo padre, meno male che ci sei tu che hai più testa di mia figlia”,
non tornò mai sull’argomento anche se da parte mia Marcella avrebbe dovuto parlare
con lui da sola e chiedergli scusa, ma non lo fece mai.
In quattro anni ho sempre passato con lei tutte le feste, tutti i fine settimana ed ogni
momento che avevo libero, rubavo letteralmente le ore ed i minuti alla vita, i colleghi
di Milano dicevano che al venerdì pomeriggio per trovare me, d’inverno bisognava
chiamare l’autostradale e d’estate i caselli autostradali, mi piaceva farle delle sorprese,
magari la chiamavo dicendo sto partendo in questo momento ed invece ero alla cabina
sotto casa sua, poi entravo lentamente in casa, oppure quando dovevo partire preparavo ogni cosa anche la valigia la salutavo e vedevo sempre il suo musetto triste, poi
scendevo aspettavo qualche minuto e la chiamavo come facevo sempre dalla stazione
o da una cabina vicino all’autostrada, poi rientravo in casa perché partivo la mattina
seguente, anche in montagna partivo in auto arrivavo nell’altra piazza e tornavo a
piedi, era troppo bello vedere il suo gioioso stupore, nel venire ad abbracciarmi diceva
che ero sempre pieno di sorprese.
Una volta un mio collega aveva lasciato aperto un armadietto metallico sopra alla mia
testa, non mi accorsi di nulla e mi alzai, presi una capocciata tremenda, a parte il primo momento di confusione andammo poi in ospedale e mi diedero dei punti di sutura
in testa, il mio collega era dispiaciuto dell’accaduto ma lo rassicurai dicendo, che almeno potevo andare da Marcella in montagna qualche giorno, partii subito immaginate Marcella quando mi vide arrivare con la testa fasciata, a parte le prime rimostranze poi fini nel solito modo tra le mie braccia che diceva “SEI SEMPRE IL SOLITO
PAZZO” ma intanto si stringeva sempre di più a me.
Nei primi anni era nata una bambina ai loro vicino di casa, una bella bimba di nome
Elsa, veniva sempre da loro e la vedevamo crescere giorno per giorno, appena arrivavo
mi veniva in braccio, voleva molte volte essere lei a darmi da mangiare, se mi avvicinavo a Marcella si metteva tra noi ed appena poteva si metteva in mezzo anche nel
letto e si addormentava, rubandoci sicuramente ore dallo stare vicini ma regalandoci la
gioia di vederla così tanto affettuosa con noi, se poi vedeva che stavamo uscendo voleva venire sempre con noi, ma la nostra più grande soddisfazione era farle il bagno.
Nel mio lavoro capitava spesso di fare incontri anche a volte ripetuti come con Tony
Dallara , Mike Bongiorno ed altre persone importanti ma nulla hanno a che fare con la
nostra storia, vi erano due clienti dove andavo spesso la filiale Fiat e l’Istituto
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Bancario San Paolo, alla Fiat mi trovavo molto bene con le centraliniste tra loro vi era
Franca una ragazza con dei problemi di vista, fumava molto e cercavo di farla smettere
o almeno di diminuire il quantitativo di sigarette, portavo dei dolci e mi fermavo spesso a parlare con lei dei suoi problemi, un giorno mentre ero in centrale telefonica entrò
Maria un’altra centralinista di 28 anni era quella con cui avevo più confidenza e mi
avvertì che Franca si era innamorata di me, che con le mie attenzioni potevo confondere più di una donna e poi di non abbracciare mai nessuna se non avessi avuto poi intenzione di continuare, mi spiegò che era molto facile entrare tra le mie braccia, ma
diventava molto difficile uscirne dopo aver provato il calore e la protezione che sapevo dare, quello che era successo un giorno con lei che scherzando si era seduta sulle
mie gambe e l’avevo abbracciata mi disse che aveva faticato non poco ad alzarsi.
Alla sede del SanPaolo invece vi era una sola centralinista Serena, dovendo fare delle
modifiche importanti passai moltissimo tempo con lei senza mai però parlare più di
tanto, sino ad una sera che si dimenticò letteralmente di me, vi erano due locali abbastanza piccoli divisi da una porta che lasciavo sempre aperta, quella sera sentendo che
lei stava discutendo con il fidanzato, per non disturbarla chiusi la porta, quando lei finì
pensò che me ne fossi andato, spense le luci del centralino e se ne andò senza avvertirmi che uscivano tutti un’ora prima, quando finii il mio orario scesi nel salone, era deserto non volevo toccare nulla non sapendo che sistema di allarme vi era, stavo ormai
contattando la mia sede per avvertire di cosa era successo quando vidi il sorvegliante
che stava controllando le porte esterne, mi precipitai battendo la mano contro i vetri
per fortuna il sorvegliante era lo stesso di quando ero arrivato e riuscii così ad uscire,
al lunedì successivo raccontai a Serena cosa era successo e dal quel momento si sgelò
la situazione tra noi diventando buoni amici, era veramente una bella ragazza molto
spigliata e schietta e con la scusa di venire da me molti miei colleghi cercavano di
farle il filo, un giorno arrivai e trovai due miei capi al centralino, quando lei mi vide si
alzò subito si appiccicò a me e mi diede un bacio, mi chiese con aria seria come mai
ero in ritardo, mancava solo che mi facesse una scenata di gelosia, le risposi che avevo
trovato traffico, ma dentro di me non capivo tutte quelle effusioni, i miei capi mi
guardarono invidiosi e se ne andarono, Serena mi spiegò che passavano sempre e ogni
volta le chiedevano di uscire, per togliersi quei mosconi aveva deciso quella piacevole
sceneggiata, ridendo le dissi di farlo tutte le volte che voleva, mi rispose di non fare il
furbo tanto sapeva che non ci avrei mai provato, perché ero troppo innamorato di
Marcella, mi raccontò che aveva una storia complicata e che alla sera era sempre sola,
mi disse se una sera magari potevamo andare a cena insieme precisando comunque
“solo la cena”, le spiegai che Marcella era molto gelosa e che non avrebbe gradito che
uscissi con lei, mi disse che se volevo le avrebbe chiesto lei di fidarsi, rifiutai
dicendole che se era gelosa prima, dopo aver parlato con lei sarebbe stato peggio, le
accennai cosa era successo alla cena dei congedanti e rinunciò all’idea della cena, tutti
i venerdì sera sa-pendo che sarei partito subito per Torino, mi dava un bacio sulla
guancia e poi ridendo passava le dita per togliere le tracce del rossetto, dicendo che
Marcella se avesse visto mi avrebbe cavato gli occhi, non mi fidavo mai e qualche
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volta feci bene perché volutamente o no qualche volta le tracce di rossetto rimanevano
sulla mia guancia.
Quasi mi stavo dimenticando di una persona veramente speciale, il proprietario della
raffineria Rondine una persona molto schiva, non più giovane, dava anche una certa
soggezione visto che era di pochissime parole, un giorno parlavo con Sabina la centralinista, le raccontavo di Marcella della sua difficoltà nel camminare, con nessun’altra
centralinista avevo mai parlato di Marcella in quel modo, del fatto che non avevo mai
saltato una settimana senza andare da lei e dell’amore che sentivo, non mi accorsi che
lui era dietro di me ed aveva sentito tutto andò in ufficio, tornò con un blocchetto di
buoni benzina che mi sarebbero bastati per almeno un mese, me li diede e disse solo
poche parole “ questo è il minimo che si possa fare, quando si sente di un amore come
il suo, quando li termina venga da me “, lo ringraziai ma lui mi diede una risposta che
mi lasciò senza parole “ grazie a lei di ricordarmi che esiste ancora un amore così “,
non andai mai da lui e lui sapendolo mi faceva trovare ogni mese un blocchetto al
centralino.
Eravamo ormai alla fine del 73, i progetti di sposarci divenivano ora più consistenti,
anche perché la lontananza pesava sempre di più a tutti e due le settimane divenivano
ogni volta sempre più lunghe, due soli giorni alla settimana non ci bastavano più,
Marcella aveva bisogno di una conferma, un giorno volle andare in montagna e mentre
eravamo seduti sul balcone vidi il suo viso pensieroso, le chiesi cosa avesse, dopo le
prime reticenze mi disse i suoi dubbi, mi fece presente che lei poteva peggiorare da un
giorno all’altro e che avrebbe anche potuto finire su di una sedia a rotelle, non era più
detto quasi in quel modo scherzoso del 1970, capii perché aveva voluto che fossimo
soli voleva che guardassi cosa poteva essere il nostro futuro, naturalmente temeva in
un mio ripensamento, la presi tra le braccia e le risposi che niente poteva cambiare
l’amore per lei e la mia intenzione di sposarla, che avremmo affrontato ogni cosa
insieme e nel momento in cui i problemi si fossero presentati, appoggiò il suo viso
contro di me, non pianse ma aveva una grande voglia di farlo, era forse paura, ma
anche un poco di gioia nel sentirsi rassicurare.
Con Marcella, ci consideravamo sempre più marito e moglie, una coppia costretta a
vivere separati per lavoro, un giorno le scrissi una cartolina mettendo nell’indirizzo
anche il mio cognome come se fossimo veramente sposati, suo padre ricordando la
vicenda del Canada in cui avremmo dovuto sposarci in fretta, quando consegnò la cartolina a sua figlia, le chiese se per caso ci eravamo sposati di nascosto, lei si mise a ridere ma come al solito non si limitò a negare la cosa, ma aggiunse che avevamo veramente pensato di sposarci in quel modo, poteva certo risparmiarsi quella precisazione
ma come al solito era impulsiva anche nelle risposte, suo padre prese molto male la
cosa e le disse di non fare mai una cosa del genere.
Per telefono mi raccontò la cosa e quando arrivai suo padre mi chiese se era vero
quello che aveva affermato sua figlia, era serio e contrariato come non era mai stato
nei miei confronti, risposi che in effetti avevamo preso in considerazione la cosa, spiegai le mie ragioni dicendo “ siamo uomini lei sa benissimo che quando chiudiamo la
porta della camera, noi viviamo senza riserve come marito e moglie, non è giusto nei
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suoi confronti ne verso Marcella che io venga qui tutte le settimane e poi magari da un
momento all’altro io decida di sparire, senza nemmeno dover dare delle spiegazioni, è
ora che io mi prenda e non solo verbalmente le mie responsabilità “, rimase senza parole vidi i suoi occhi divenire lucidi, sembrava quasi imbarazzato si rendeva conto che
aveva di fronte non un giovane, ma bensì un uomo di 24 anni deciso e sicuro di ciò
che voleva e dell’amore per sua figlia, un uomo conscio delle sue scelte anche nel voler affrontare la vita con una persona con problemi fisici, dovette ammettere che avevo
ragione, ma mi consigliò nel caso di convivere con sua figlia per un certo periodo, si
preoccupava ora più per me che per Marcella, temeva che le difficoltà forse mi avrebbero schiacciato e mi fossi poi trovato senza via di uscita, ribadii che se fossi andato a
vivere con sua figlia sarebbe stato solo come marito e moglie, mi sorrise mi diede la
mano e questa volta mi fece una richiesta “per cortesia se decidete di sposarvi dimmelo, non fatelo di nascosto”, gli promisi che non sarebbe successo e sicuramente avrebbe potuto accadere qualsiasi cosa non avrebbe mai dubitato della mia parola.
Volevo guadagnare il più possibile e quindi decisi di accettare la proposta di lavorare
in provincia, non cambiava nulla nel mio lavoro solo che dovendo tutti i giorni fare
molti chilometri per raggiungere i clienti facevamo molti straordinari, era inverno ed il
lato negativo era naturalmente la nebbia, qualche volta facevamo veramente moltissimi chilometri ed a volte erano più le ore che guidavo che quelle che rimanevamo dal
cliente, alla sera se eravamo lontani arrivavamo anche alle 21, non dissi nulla a
Marcella non sarebbe stata d’accordo e si sarebbe preoccupata.
Il capodanno 73-74 lo passammo di nuovo a Laigueglia, ci divertimmo molto anche se
con alterne gelosie, il giorno del nostro arrivo vi era un gruppo di giovani che venivano da Milano, tra loro vi era una ragazza che mi guardava in continuazione, la gelosia
di Marcella non si fece attendere iniziò con mille domande, se la conoscevo e perché
continuava a guardarmi, le ripetevo che con il mio lavoro potevo averla incontrata
ovunque e che comunque non la ricordavo, ogni volta che lei guardava erano domande
e poi mi baciava facendo in modo che lei vedesse, quasi a volerle dire che ero suo, non
mi permise più di scendere senza di lei, nella serata del veglione le cose si invertirono,
vi era un uomo che con una scusa o con l’altra era sempre con noi, arrivò quasi a
volersi sedere tra noi, cosa che naturalmente non gli permisi e avvertii Marcella che se
ci avesse ancora riprovato mi sarei arrabbiato, appena passata la mezzanotte quel moscone tornò, non volevo reagire in malo modo e quindi dissi a Marcella basta così
alzati ed andiamo in camera, non voleva ma dopo uno sguardo al mio viso si alzò e
salimmo in camera, ci spogliammo con lei che protestava per la serata rovinata, capiva
la mia gelosia ma non era comunque d’accordo, mi calmai e le dissi preparati di nuovo, ci rivestimmo e scendemmo suo padre che probabilmente aveva assistito a tutto, ci
salutò con un mezzo sorriso dicendo siete di nuovo qui ?.
Il giorno dopo partimmo e nemmeno a farlo apposta, nell’auto vicino alla nostra vi era
di nuovo quella ragazza che naturalmente mi guardava, non aveva un viso molto divertito, Marcella non si fece sfuggire l’occasione e mi baciò di nuovo, poi sull’autostrada
visto che erano dietro di noi si girò a salutarla con la mano dal lunotto posteriore, chi
fosse non lo sapemmo mai anche perché io non la incontrai mai a Milano.
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Continuavo ad andare per lavoro alla Fiat, sempre facendo attenzione a non provocare
altri guai, molte volte però accadeva che nonostante tutte le mie attenzioni Franca
avesse delle reazioni negative, avevo l’abitudine di passare al venerdì pomeriggio anche perché era per me il posto più vicino per entrare in autostrada, come sempre avevo
con me il regalo da portare a Marcella, molte volte parlando con Manuela (l’altra centralinista) o Maria mi chiedevano cosa avessi preso, mostravo loro senza pensarci cosa
avevo, molte volte era biancheria intima, vi erano state diverse cose molto provocanti,
un babydoll ed un pigiama sgambato giallo chiuso da una lampo sul davanti, naturalmente loro facevano commenti circa cosa sarebbe successo quella sera e dopo aver
aperto la lampo cosa avrei visto, una volta invece dissi che avevo preso delle lenzuola,
Maria mi chiese di vederle, aprii la borsa e tirai fuori una coppia di lenzuola a fiorellini rossi, Franca forse immaginò cosa potevano significare quelle lenzuola, scoppiò a
piangere ed usci dalla stanza, rimasi mortificato ma Maria mi tranquillizzò dicendomi
che non era colpa mia ma era solo sua non doveva chiedermi di mostrarle davanti a lei.
Ad aprile Furio venne a Milano per lavoro, lo accompagnai in albergo, la sera dopo
andammo fuori a cena e lo vedevo veramente stanco, non lo avevo mai visto così demotivato da tutto, quando lo riaccompagnai in albergo al momento di salutarmi mi
disse “ spero che il signore mi tenga una mano sulla testa con te per Marcella”, gli
dissi che per Marcella non doveva preoccuparsi di nulla, quella frase la trovavo strana
perché in un certo senso aveva sempre cercato di togliermi ogni responsabilità, ora
invece sembrava quasi una richiesta, pensai comunque dipendesse dalla stanchezza.
Nella nostra storia mancano delle parti che ho deciso di riunire in una specie di riassunto, parti che hanno avuto una certa importanza ma che non sono riuscite a cambiare
la nostra storia, come ho già scritto nel 71 mia sorella venne a conoscere Marcella e ne
rimase entusiasta, nel 72 anche i miei genitori conobbero Marcella ed il commento di
mia madre fu “ora capisco perché mio figlio faccia così tanta strada” quindi tutto bene,
ma i fatti successivi mi fecero capire che era solo una posizione di attesa, forse l’attesa
che la nostra storia finisse da sola, poi visto che la cosa non succedeva cambiarono
molte cose. Nel 73 avevo ripreso a studiare, ma come quasi sempre accade quando si
interrompono certe cose diventa poi difficile riprenderle, lavorando voleva anche dire
rinunciare a molto tempo con Marcella, decisi quindi di interrompere gli studi, aspettavo il momento giusto per dirlo a Marcella, quando un giorno che era venuta a Milano
da noi mia madre glie lo disse improvvisamente mentre io ero al lavoro, ci rimase male ma spiegai ogni cosa e mi capì, compreso il fatto che mia madre aveva sempre privilegiato mio fratello Giuliano in tutto e questo era probabilmente la fine della tregua,
un tentativo di provocare una rottura tra di noi.
La volta successiva che venne a Milano la tregua si ruppe definitivamente, quando
arrivavo dal lavoro davo un bacio a Marcella, così come a volte facevo mentre eravamo sul divano baci non certo appassionati baci quasi solo sfiorati, al mattino quando
mi alzai per andare al lavoro mia madre disse che a mio fratello dava fastidio che io
baciassi Marcella e che non era un buon esempio per mia sorella o smettevo o non
dovevo più portarla da loro, andai al lavoro presi delle ferie e tornai a casa senza dire
una parola presi Marcella che non capiva cosa fosse successo e la portai in montagna,
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le spiegai ogni cosa e la mia intenzione di non tornare più a casa dai miei, mi pregò di
non farlo perché non voleva essere la causa della rottura acconsentii solo dicendo che
ci saremmo sposati presto, anche se ormai la rottura era fatta tornai a casa praticamente solo per dormire ed a volte nemmeno per quello, partivo alla sera andavo da Marcella, tornavo al mattino ed andavo a lavorare senza nemmeno passare da casa, quando
mi chiedevano dicevo solo "ho lavorato" non dovevo certo dare spiegazioni a loro e
naturalmente non portai più Marcella a Milano. All’inizio del 74 facevo più straordinari possibili per mettere da parte i soldi per sposarci, una sera al mio rientro mia madre mi disse che quello non era un albergo se volevo continuare a rimanere dovevo dare un terzo dello stipendio, già mi pagavo le telefonate, ma dissi solo che mio fratello
non aveva mai dato nulla, la risposta fu ora lo darà anche lui, mio fratello aveva tre
anni più di me e forse anche in questo vi sarebbe dovuta essere una differenza, diciamo tre anni di bonus per me, senza poi contare le altre cose tipo fargli trovare i pacchetti di sigarette nel cassetto e che lui prendeva senza nemmeno dire grazie, oppure
quando lasciava la macchina a mio padre solo per farsi fare il pieno ed anche qui senza
dire grazie o quando i miei partivano per le vacanze ed il frigo era sempre pieno di
cose che piacevano a lui e non a me, ma l’elenco sarebbe troppo lungo. Da quel momento diedi i soldi in casa e non feci mai discussioni, primo per la promessa fatta a
Marcella e poi perché avrebbe voluto dire trascinare mia sorellina in cose spiacevoli.
Qualcuno forse ricorderà che quando andai la prima volta in trasmissione dalla Perego
lei mi chiese se nessuno avesse avuto da ridire alla nostra storia, cercai di essere evasivo e rispondere solo parzialmente, dicendo no e poi il mio carattere …., sono sicuro
che sarebbe stato il volere di Marcella non essere indirettamente la causa di una nuova
rottura e poi i miei oggi hanno 87 anni mio padre e 84 mia madre ed eravamo proprio
ritornati a Milano perché ormai sono anziani ed è giusto che io sia qui con loro se un
giorno avranno bisogno, con il tempo molte cose sono state superate ed ho fatto finta
di dimenticarle, ma dentro di me non ho mai dimenticato nulla.
Il destino stava per cambiare radicalmente la nostra vita, stava per cambiarla in modo
inaspettato e traumatico, stava per cancellare tutti i nostri progetti e per coronare il nostro sogno di sposarci in modo però doloroso.
Alla fine di giugno Marcella andò in montagna come al solito, venerdì 5 luglio arrivai
da lei, suo padre passò dalla vicina di casa e le disse “ora posso anche chiudere gli occhi tranquillo, ora per Marcella c’è Gianni”, una frase detta quasi per dire, forse per
manifestare la propria tranquillità, o forse per dire quello che nemmeno lui sapeva, una
frase di cui noi venimmo a conoscenza dopo anni, ma che visto gli avvenimenti che
seguirono, collegai a ciò che mi aveva detto a Milano e mi suonò quasi come un silenzioso passaggio di consegne, quasi nel voler coronare il suo sogno di accompagnare
all’altare la figlia e consegnarmela, come se potesse farlo solo più con le parole.
Al lunedì partii come sempre alle 5 dalla montagna, nel pomeriggio appena rientrato a
casa, mi chiamò Elsa la mamma di Marcella, dicendomi che Furio si era sentito male e
lo avevano ricoverato d’urgenza in ospedale, era grave per una emorragia cerebrale,
partii immediatamente per Torino, poco dopo il mio arrivo suonò il telefono Furio si
era aggravato, al nostro arrivo in ospedale vista la poca tranquillità di Elsa, entrai solo
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io e mi comunicarono che era ormai questione di ore, non avevo mai affrontato questi
problemi, ma affrontai tutti gli avvenimenti che seguirono con una decisione che non
pensavo di avere, come se si trattasse di mio padre senza chiedere niente a nessuno,
diedi ordine all’infermiera di chiamare l’ambulanza per portarlo a casa, non volevo
che una persona così dolce passasse le sue ultime ore in un ambiente così freddo ed
impersonale, uscii e dissi agli amici che attendevano fuori cosa avevo deciso e che
partivo per andare a prendere Marcella, un collega di Furio disse di non andare che era
inutile andare subito che era meglio attendere il mattino e telefonare poi con calma, mi
girai con tutta la rabbia che avevo in corpo, lo guardai dritto in faccia e dissi con tutto
il disprezzo e la freddezza che provavo in quel momento, “ lei cosa vuol sapere cosa è
meglio per Marcella, io sò cosa devo fare e sò come vorrebbe che mi comportassi,
quindi vado da lei “, mi girai senza attendere replica e partii, lungo la strada nella mia
mente i pensieri si accavallavano, mille pensieri a come dirle la cosa, avrei voluto evitare che provasse un simile dolore e che fossi proprio io a doverla far soffrire, ma mai
avrei permesso che fosse un altro a parlarle, dopo un tragitto che mi sembrò interminabile arrivai che era quasi l’una di notte, bussai ed attesi che la nonna mi aprisse, entrai
in camera di Marcella, lei mi accolse quasi con un sorriso, forse pensava ad una mia
sorpresa, purtroppo lo era ed anche molto sgradita, vide però sul mio viso la tristezza e
mi chiese cosa era successo, le dissi solo “tuo padre si è sentito male”, furono subito
domande, come stava, cosa era successo, se era grave, che magari si sarebbe ripreso,
scossi solo la testa e dissi poche ma pesantissime parole che stentavano ad uscire dalla
mia bocca “no tesoro non c’è più niente da fare”, ebbe quasi un gesto di rabbia, mi rifece la domanda non è possibile si riprenderà, ripetei tutto scuotendo la testa, dopo
pochi minuti sentii il telefono della vicina, mi avvicinai alla porta e la vicina mi comunicò che avevano chiamato dicendo che era mancato, tornai da Marcella e con tutto la
dolcezza e l’amore che potevo, mi inginocchia di fronte a lei e le dissi “papà non c’è
più”, perché era toccato proprio a me che l’amavo così tanto portarle una notizia così
crudele, perché l’amore a volte ti spinge ad essere protagonista tuo malgrado della sua
infelicità, forse perché l’amore ti fa vivere per lei le gioie, ma vorresti anche portarle
via tutte le tristezze, come se facendole tue diventassero meno pesanti per lei.
Partimmo per Torino, arrivammo che Furio era già in casa, poi tutto iniziò a correre
dinanzi a noi come se quel triste e cadenzato susseguirsi non fosse nostro, purtroppo
invece tutto è rimasto nella mia mente per sempre, ogni gesto, ogni azione è per sempre e indelebilmente dentro di me, cercando di far fronte a mille cose da fare, dovetti
essere io a provvedere a tutto, il ragazzo senza esperienza che come avevo tempo
prima dimostrato proprio a Furio di essere un uomo, ora da uomo dovevo agire e fare,
la tensione si allentò solo un attimo al martedì pomeriggio quando mi assopii per poco
vicino a Marcella, poi riprese sino al giorno del funerale.
Rimasi con Marcella per tutta la settimana e finito il disbrigo di tutte le pratiche portai
sia lei che sua madre in montagna, in agosto feci tre settimane di ferie viste tutte le
difficoltà in cui erano, Furio aveva fatto degli investimenti su delle pietre preziose ma
si era troppo fidato di altri ed ora in questa situazione non avevamo nulla per provarlo,
dissi a Marcella che avremmo fatto fronte anche a queste difficoltà ed iniziammo a
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prendere in considerazione l’ipotesi di andare a vivere insieme, per facilitare la mia
richiesta di trasferimento a Torino decidemmo di anticipare il nostro matrimonio, molte volte avevamo parlato di sposarci ma tutto era comunque ancora da programmare,
avevo 24 anni, mi sentivo pronto ad iniziare una vita con Marcella ma non avevo previsto il dover di colpo avere una famiglia sulle spalle, in special modo la convivenza
con una suocera con cui avevo al massimo diviso due giorni alla settimana e che sapevo non essere certo l’ideale per il mio ed il suo carattere, purtroppo visti i tempi ristretti non avevo scelta e del resto amavo troppo Marcella per lasciarla in mezzo a dei problemi e non potevo non affrontare per lei questa nuova difficoltà, speravo comunque
che si trattasse di un periodo di convivenza sereno e non definitivo, decidemmo visto
il poco tempo trascorso dalla morte di Furio e le nostre disponibilità finanziarie di sposarci solo civilmente e di rimandare il matrimonio religioso a data successiva.
Come al solito il mio carattere deciso mi portò forse a fare degli errori almeno dal punto di vista del comportamento, chi mi incontra per la prima volta ha subito l’impressione di trovarsi di fronte ad una persona sempre disponibile e dolce con tutti, sempre
sorridente ed aperta hai problemi degli altri ed in effetti è così, ma ricordo che quando
dovevo prendere delle decisioni che riguardavano la mia vita con Marcella, ne parlavo
solo con lei e poi sarei stato pronto ad abbattere il mondo senza nemmeno curarmi se
gli altri fossero essere d’accordo o no sul mio modo di agire o di vivere, mi facevo
guidare solo dall’amore immenso che avevo per lei, il resto non esisteva o era solo
marginale, tutto ruotava intorno a lei, la mia vita, il mio destino, non esisteva nulla di
me che non fosse dedicato a lei, quindi a casa parlai pochissimo, dissi a miei genitori
della nostra decisione di anticipare il matrimonio, ma non dissi quando questo sarebbe
avvenuto, ne se fossero d’accordo.
Feci i tutti documenti necessari e per non coinvolgere oltre i miei genitori andai anche
al mio paese d’origine, decidemmo per il giorno 11 settembre, per fare le fedi e risparmiare usammo anche piccoli oggetti d’oro che avevamo facendoli fondere e facendo
così le nostre fedi.
Il 9 settembre dissi hai miei genitori che mi sarei sposato il giorno 11 e partii per i preparativi, mia madre e mio padre si trovarono in municipio e finalmente Marcella era
mia davanti al mondo, i miei partirono subito per Milano, come ho già detto le finanze
erano scarse e quindi non facemmo foto e ritornando a casa mi fermai a comprare dei
polli allo spiedo che mangiammo con i testimoni, era vero che Furio era morto da poco
ma era pur vero che anche senza grandi festeggiamenti un pranzo al ristorante ci sarebbe piaciuto, ma quei polli erano l’unica cosa che potevamo permetterci e comunque
erano buonissimi mangiati da marito e moglie.
In questi giorni mentre che scrivo questo racconto, vado a vedere il racconto che avevo iniziato nel 1970 e che poi avevo continuato aggiungendo ogni volta delle parti, ora
invece come è logico sto togliendo delle parti ed aggiornandone altre alla situazione
radicalmente cambiata dalla morte di Marcella, ne ho trovata una che mi ha fatto letteralmente venire i brividi e le lacrime, è stata scritta nel 1974 subito dopo il matrimonio è quasi leggere ciò che è avvenuto in tutti questi anni, quasi una guida che mi ero
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prefissato uno scrivere il futuro sino alla fine, non mi ricordavo assolutamente di averla scritta e quindi la riporto integralmente e senza correzioni pensate solo che è stata
scritta nel 74 che avevo 24 anni e subito dopo il matrimonio con Marcella.
Molte volte la tua meta sembra ancora lontana e più la desideri e più sembra allontanarsi, poi il destino attraverso magari strade tortuose ti porta improvvisamente quasi
ad essere investito dalla tua stessa meta, rimani quasi travolto da tutto quello che hai
sempre agognato, non sai se stai veramente vivendo il tuo sogno o se stai sognando la
tua vita futura, non vi è il tempo per farsi e fare domande, ma inizi a percorrere la strada che sempre hai sognato ma che non hai avuto il tempo di guardare e pianificare,
solo una cosa mi aveva fatto da guida e continuava a farmela “l’amore”, solo lui poteva aiutarmi nelle mie scelte e come sempre mi ero affidato a lui, a quel delicato e
fortissimo amore che mi aveva fatto fare delle scelte coraggiose e forse irrazionali, a
quel giovanissimo amore che mi aveva spinto anni prima a fare delle promesse e finalmente era riuscito a farmi mantenere la seconda promessa fatta, quella di far sapere al
mondo che Marcella era ora mia moglie, ora stavo per intraprendere la mia promessa
più difficile, renderla felice e vivere con lei tutta la mia vita futura, avrei combattuto
anche contro me stesso per vivere sino in fondo quell’amore, sapevo che dentro di me
vi era tutta la forza necessaria e la volontà per vincere anche contro il destino, avrei
percorso la vita che ancora mi rimaneva insieme a lei tenendola per mano e se un giorno lei non avesse più potuto farlo, l’avrei portata e trascinata oltre la mia stessa vita,
perché sapevo che l’amore che avevo dentro non solo mi avrebbe dato la forza per vincere, ma eternamente sarebbe esistito anche dopo di noi, nei ricordi e nelle speranze di
chi ci aveva conosciuto, sapevo che un giorno vi sarebbero state persone che ci avrebbero invidiato, invidiato le nostre difficoltà perché superate con amore, invidiato le nostre sconfitte perché piante con amore, invidiato la nostra vita insieme perché vissuta
sempre e solo con amore, l’amore quando è vero amore lo si può solo desiderare e si
può invidiare chi lo sta vivendo così totalmente come noi lo stavamo vivendo, sapevo
anche che non sarei stato io a scrivere se la mia promessa sarebbe stata mantenuta, sapevo che non sarei stato io a descrivere la fine della nostra storia, perché la mia promessa sarà conclusa solo quando sarà scritta la parola fine al nostro amore e la parola
fine esisterà solo quando noi avremo finito di esistere.
Passammo la nostra piccola luna di miele, nell’unico modo che ci era permesso dalle
nostre finanze, insieme il più possibile, i più bei paesaggi erano sostituiti dal nostro
guardarci negli occhi, i nostri pranzi erano sostituiti dal mangiare con un sorriso dallo
stesso piatto, le nostre serate di musica erano sostituiti dallo stare vicini tenendoci per
mano, ma tutto ci rendeva egualmente felici eravamo comunque marito e moglie e solo questo era importante, solo una cosa era diversa il nostro donarci, sembrava di colpo
che tutto fosse più completo anche se tutto continuava ad avere la passione e la gioia
della prima volta.
Il 21 dello stesso mese si sposò mio fratello, fu un matrimonio ben diverso dal nostro,
con tutti i preparativi del caso, Marcella non venne primo perché suo padre era mancato da circa due mesi ed anche per i fatti che erano accaduti l’anno precedente, vole42
vo andarmene dopo la cerimonia religiosa, ma mio fratello mi chiese di andare al pranzo per poi portarli a Milano prima della fine, non ricordo praticamente nulla solo il
mio continuo guardare l’orologio, finalmente salimmo in auto e la madre di mia cognata non perse l’occasione per dimostrare la sua ignoranza disse una frase che diceva
tutta la sua scarsa sensibilità, “suona perché questo è un matrimonio giusto” riferendosi chiaramente al mio matrimonio civile, non risposi perché non era il momento, indubbiamente non aveva capito nulla ne dei nostri problemi, ne dell’amore tra me e
Marcella, senza nulla togliere a cosa vi era tra mio fratello e mia cognata, non era
nemmeno l’ombra di quello che univa me e Marcella, ma del resto l’ignoranza molte
volte è proprio di chi parla molto e la madre di mia cognata era conosciuta come una
grande chiacchierona, mi diede solo fastidio che mio fratello non disse nulla, forse
aspettava l’autorizzazione di mia cognata.
Tornai a Milano e ripresi il mio lavoro, incontrai Tony Dallara che mi regalò un suo
quadro ne io ne Marcella capivamo da che parte guardarlo, per fortuna la sua firma ci
faceva capire come metterlo ma per noi rimaneva una specie di uovo al tegamino, poi
tornai alla Fiat non sapevo come comportarmi volevo gridare cosa avevo fatto ma non
volevo ferire nessuno, entrai al centralino per fortuna Franca era andata a pranzo, mi
salutarono e mi chiesero il perché della mia lunga assenza, risposi con la mia solita
sincerità “mi sono sposato”, rimasero senza parole e mi chiesero se stavo scherzando,
feci vedere la fede, spiegai cosa era accaduto e della decisione presa in quel modo improvviso, Maria mi baciò e rimanendomi davanti stringendomi le mani, disse che ero il
solito imprevedibile, che era felice per me e che finalmente avevo coronato il mio sogno, si strinse forte a me e vedevo nei suoi occhi una vera emozione, Manuela mi consigliò di andarmene in attesa che lei avesse il tempo di dirlo a Franca, lasciai trascorrere più di un’ora e tornai da loro, entrai cercando di non far rumore ma dopo pochi
passi, la vidi alzare il viso e sentii il mio nome “Gianni ?” conosceva molto bene i miei
passi, la salutai e dopo poche parole andai nell’altro locale, ero seduto in silenzio
quando la porta si aprì, vidi Franca che si avvicinava con il muro che le faceva da
guida, mise una mano sul mio viso e delicatamente seguiva i miei lineamenti, era la
prima volta che lo faceva, la sua mano si soffermò a lungo sui miei occhi e quando arrivò sulle mie labbra la ritrasse quasi di scatto come se bruciassero, mi disse che era
molto contenta per Marcella, mi ricordai che era la prima volta in diversi anni che pronunciava quel nome e lo disse molto lentamente, risposi solo un “ mi spiace “, mi chiese se ero felice ed alla mia risposta affermativa, mi diede un bacio sulla guancia con la
sua mano che le faceva da guida e disse poche parole “ se tu sei felice lo sono anche
io”, se ne andò sempre con quel leggero tocco delle dita sul muro ad ogni passo, chiuse la porta alle sue spalle e capii quanto a volte può essere triste vivere la felicità altrui,
alla sera quando uscii salutai e Franca mi chiese se sarei tornato ancora, gli spiegai che
non sapevo quando mi avrebbero dato il trasferimento e che quindi sarei tornato.
Nei giorni successivi tornai spesso da loro, ma evitavo di fermarmi a chiacchierare, un
giorno ero appena uscito non avevo voglia di pranzare, decisi di fare una passeggiata e
mentre camminavo lentamente sotto gli alberi, sentii una mano che prendeva la mia,
mi girai era Maria mi aveva raggiunto, mi chiese se poteva fare due passi con me, na43
turalmente ne ero felice le chiesi solo se non le dava fastidio che magari vedendoci i
suoi colleghi potessero fare strane congetture, si mise a ridere e mi strinse ancora più
la mano, mi chiese se ora era più difficile rimanere lontano da Marcella e che Franca
le aveva chiesto se ero arrabbiato con lei, le spiegai che in effetti ora diventava quasi
insopportabile la lontananza e che evitavo Franca per non farle altro male ma che avrei
ricominciato a parlarle come prima, non dicemmo altro camminammo a lungo sempre
tendendoci per mano, vi era un tiepido sole ed un soffio di vento sembrava quasi accarezzare il viso, era ormai ottobre inoltrato e l’autunno stava ormai colorando ogni foglia, sembrava quasi che per ricordare il sole ora sempre più freddo usasse dei colori
sempre più caldi e tenui, mi fermai e raccolsi due foglie, le feci osservare che ognuna
era diversa dalle altre e che nessuna era colorata in modo eguale, ma tutte erano immensamente belle, mi disse che non aveva nemmeno sospettato che io provassi e
sapessi dire certe cose con quella semplicità, che avessi una così grande dolcezza e
sensibilità, che trasmettessi tutte quelle sensazioni in poche parole e con il calore di
una mano, eravamo ormai tornati indietro, vedemmo delle sue colleghe alla finestra le
feci osservare la cosa, mi rispose ridendo “sai quante in questo momento mi stanno
invidiando e non sanno come sei veramente altrimenti …”.
La settimana successiva quando stavo per partire per Torino, le centraliniste della Fiat
mi regalarono un servizio per due da caffè, era molto carino e dopo tanti anni, ogni
volta che lo usavamo mi ricordavo con tenerezza e con nostalgia di loro, di quei tempi
pieni di sogni, di speranze giovanili ed anche delle mie prime vere scoperte da uomo.
Giovedì 30 ottobre mentre ero al centralino, Maria mi passò una comunicazione
nell’altra stanza, avvertendomi che era la direzione Telecom, in pochissime parole mi
comunicarono che il giorno dopo, dovevo consegnare tutto il materiale in mia dotazione e che da primo di novembre ero trasferito alla sede di Torino, come tutto quello che
è sempre accaduto nella mia vita, tutto avveniva all’improvviso e di novembre, quando
entrai nel centralino, guardandomi in viso Maria capì immediatamente cosa volesse dire quella telefonata mi chiese solo “quando parti ?”, risposi contento domani, la mia
gioia si spense subito mano a mano che aumentava il silenzio in quella stanza, erano
felici per me ma ognuna per varie ragioni era dispiaciuta della mia partenza e nel sapere che le nostre vite si stavano separando, rimasi tutto il giorno con loro ma parlammo
solo di lavoro, non vi fu nessun accenno al nostro distacco, in quegli anni avevo diviso
molto della mia vita con loro ed avevo anche forse regalato loro anche una parte di
me, lentamente la sera era arrivata, quante volte avevo visto farsi buio con loro, ma
quella volta era più buio del solito, sapevamo che sarebbe stata l’ultima volta che lo
vedevamo insieme, arrivarono i momenti dei saluti, Manuela con il suo fare serioso di
sempre mi diede un bacio e mi fece gli auguri, Maria con gli occhi lucidi, appoggiò i
suoi capelli biondi contro il mio petto, mi accarezzò il viso chiedendomi di non dimenticarmi di loro, non risposi perché mi mise un dito sulle labbra facendomi capire di
non parlare, mi avvicinai a Franca per salutarla mi chiese di dirle solo ciao come le
altre volte, cosa che feci e mi chiusi la porta alle spalle, uscii per strada stavo per salire
sul furgone sentii una mano che mi accarezzava la nuca, mi girai era Maria che aveva
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fatto quel gesto passando dietro di me, scese velocemente in strada e salì sull’auto del
marito che la attendeva.
Andai a casa avvertii i miei genitori del mio trasferimento, iniziai a fare i bagagli, si
trattava comunque delle ultime cose anche perché avevo già portato via quasi tutto, la
casa ora si svuotava veramente con i miei genitori rimaneva solo mia sorella, solo in
quel momento mi rendevo conto di questa cosa, ma era troppa la gioia di poter stare
sempre con Marcella che tutto veniva cancellato, non dimenticato ma cancellato dalla
vita futura.
Il giorno dopo salutai i colleghi, il “gabolista” (riferito a tutte le stranezze che facevo
per scappare magari 10 minuti prima) questa volta se ne andava in orario, salii in auto
e partii verso il mio futuro di vita insieme a Marcella, per 4 anni non era mai accaduto
che non arrivassi a fine settimana, ma era sempre per pochi giorni poi dovevamo dividerci, questa volta invece era per sempre, ce ne rendemmo conto solo al lunedì quando
uscii per andare al lavoro e rientrai a mezzogiorno per il pranzo.
Iniziai a lavorare a Torino in coppia con un altro collega, dopo circa un mese arrivarono dei nuovi assunti, misero con me un ragazzo alto quanto me di nome Paolo, era di
un paesino vicino ad Asti e tutti i giorni faceva il pendolare, la cosa ridicola era che a
me avevano ritirato tutto il materiale quando ero partito da Milano e non era stato ancora rimpiazzato a lui non lo avevano ancora dato, all’inizio utilizzavamo il tagliaunghie come forbice e cacciavite poi entrai in un supermercato e comperai degli attrezzi,
con gli altri colleghi non trovavo molta intesa era un ambiente molto freddo e diffidente, tenevo sempre i contatti con le centraliniste della Fiat e dopo parecchie telefonate
un giorno mi rispose Manuela, rimase un poco in silenzio e poi disse che avevo preso
l’accento piemontese e che non gli piacevo proprio.
Dopo qualche mese Marcella ereditò una piccola cifra da una zia, non era molto ma
era il necessario per sposarci in chiesa e fare il pranzo, decidemmo per il 22 aprile la
data della cerimonia, limitammo gli invitati ai parenti stretti ed a un gruppo di amici,
Marcella era bella più che mai, era come l’avevo sempre sognata, era come se rivivessi
dall’inizio il nostro sogno d’amore, anche se eravamo già sposati civilmente provavo
la stessa emozione di quando l’avevo vista la prima volta, naturalmente anche in questa occasione non rispettammo nulla delle tradizioni, non bisogna vedere la sposa prima della cerimonia, ci vestimmo aiutandoci a vicenda, andammo in chiesa con la stessa auto, la portai in braccio sino in chiesa, poi quando la posai al suono della marcia
nuziale andammo all’altare tenendoci a braccetto e non divisi, per concludere ci sedemmo anche al contrario con lei alla mia destra, insomma sconvolgemmo tutte le
consuetudini e forse la cosa ci portò ancora più fortuna, ci togliemmo la fede al
momento di entrare in chiesa e la rimettemmo davanti al prete scambiandoci nuovamente la nostra promessa d’amore, poi finalmente andammo al pranzo fu tutto molto
allegro e abbastanza veloce, era proprio come dividere la nostra gioia con tutti loro,
con grande spontaneità ed allegria.
La più grande difficoltà che incontravamo era certamente la parte finanziaria, spesso
non arrivavamo alla fine del mese ed era la nonna di Marcella che ci prestava qualche
cosa per tamponare, poi dopo pochi giorni le restituivamo il tutto, non volevo far man45
care nulla a Mracella e molte volte risparmiavo anche saltando la colazione con i colleghi, quando era in montagna sarei andato da lei tutte le sere ma dovevo rinunciare
per non spendere nella benzina, anche le lettere che le scrivevo le mettevo da parte e le
portavo ogni cosa quando andavo da lei per non pagare il francobollo, eppure affrontavamo ogni cosa con gioia e serenità, molte volte ridendoci sopra le dicevo vedi come
sono diventato tirchio nemmeno i soldi per un francobollo voglio spendere, ma dentro
di me avrei voluto regalarle il mondo ogni giorno, comunque le donavo la mia più
grande ed unica ricchezza “il mio amore” e quel dono era continuo e senza un attimo
di respiro.
Insegnai a Marcella a fare da mangiare, imparò molto velocemente ed iniziò anche
lentamente a sperimentare la sua fantasia con nuove ricette, quando ci mettevamo a
tavola per lei ogni volta era una grossa soddisfazione il vedermi mangiare con gioia
ciò che mi aveva preparato e non dovevo nemmeno fingere era tutto molto buono ed
appetitoso, poi sparecchiavamo e lei lavava i piatti con la mia collaborazione, molte
volte pensavo a come sarebbe stato contento Furio, nel vedere sua figlia così cambiata
e felice, quanti complimenti le avrebbe fatto assaggiando i suoi piatti .......
Ad ottobre 75 approfittando del fatto che eravamo a Milano per trovare i miei genitori,
andai in Fiat aprii la porta del centralino lentamente vi fu un attimo di incredulità, poi
come al solito la prima a parlare fu Maria, mi salutò e venne subito verso di me mettendosi sulle punte per darmi un bacio, rimase poi abbracciata a me, dicendo “come sei
diventato uomo, certo che ora non mi siederei più sulle tue ginocchia, altrimenti ..…”,
non finì la frase ma avevamo subito capito ambedue cosa intendesse dire, forse questa
volta non avrebbe avuto la voglia di alzarsi ed andarsene dal mio abbraccio, Manuela
mi disse che Franca aveva ora un fidanzato, anche se a gesti mi faceva capire che non
era cambiato molto di quello che sentiva per me, parlammo un poco di noi poi Maria
mi disse perché non avevo portato Marcella con me, le spiegai i suoi problemi e visto
che per salire vi era uno scalone molto lungo che faceva un semicerchio non poteva
certo venire, vidi sui loro visi incredulità alla mia affermazione, spiegai della malattia
e che quando l’avevo conosciuta era già ammalata, dopo poco salutai, Franca mi fece
finalmente un bel sorriso, Manuela mi chiese di continuare a farmi sentire e Maria mi
diede un bacio togliendomi poi il rossetto dalle labbra, mi fece una carezza e mi
sussurro, “sei un uomo veramente speciale”, mai vi era stata così tanta dolcezza in lei
e quelle parole mi fecero veramente molto piacere.
La convivenza intanto iniziata provvisoriamente nel 1974 continuava ed ogni tanto direi molto spesso questa convivenza era molto pesante, a parte le liti tra Marcella e sua
madre, era il carattere impossibile di mia suocera ora non vorrei sembrare il solito genero che si lamenta della suocera, per esempio come ho già detto le nostre finanze erano
quelle che erano, ma era quasi un obbligo che Marcella andasse in montagna e quindi
avevamo un alloggio per tutto l’anno, logicamente avrebbe dovuto stare lei con
Marcella, ma quando non le faceva comodo Marcella doveva tornare a Torino, ha
sempre contribuito pochissimo nelle spese, i piccoli dispetti nei miei confronti, senza
contare che entrava anche nella nostra intimità aprendo la porta senza preavviso magari in certi momenti, questo sino al giorno che avevo chiuso la porta a chiave, lei insi46
steva e gli ho urlato “stiamo scopando !!!!”, almeno questo da quella sera cessò, anche
negli anni in cui Marcella non poteva più muoversi e bisognava lavarla, forse una madre avrebbe dovuto farlo almeno in certi giorni, un giorno che aveva litigato con sua
figlia, Marcella le chiese di chiamarmi perché non si sentiva bene e lei non lo fece,
quando rientrai Marcella me lo disse, gli dissi a muso duro che verso di me poteva fare
ciò che voleva, ma se si fosse azzardata ancora una volta a fare qualche cosa contro
sua figlia da quel momento doveva scordarsi sia la figlia che il genero, dopo molti anni
un giorno Marcella le chiese visto l’avversione verso di me, “se non ci fosse stato
Gianni alla morte di papà cosa avresti fatto con me”, la risposta fu immediata “ti avrei
messa in un istituto non potevo certo sacrificare la mia vita per te “ e finisco come
l’aveva definita il neurologo di Marcella dopo averla conosciuta “non ha mai avuto la
vocazione della madre”, diverse volte ricordavo a Marcella che sarebbe stato meglio
per noi andare ad abitare da soli, ma lei non si sentiva di lasciare sola sua madre nonostante tutte le angherie ed era come se si sentisse responsabile per lei, ecco spiegato
anche la ragione del perché il nostro racconto è un racconto a due.
Volevamo rendere più completa la nostra felicità con un figlio, ma volevamo avere
delle rassicurazioni circa la malattia di Marcella, i pareri erano contrastanti e visti i
rischi possibili decidemmo di rinunciare, non fu una decisione facile sapeva quanto mi
piacessero i bambini, ma vi erano troppe incertezze sulla sua gravidanza, di fronte alla
possibilità di un suo eventuale peggioramento non avemmo dubbi ed decidemmo di
non parlarne più, ma la delusione dentro di me era notevole e cercai sempre di non far
sorgere sensi di colpa in lei.
A proposito delle scarse finanze vi è un episodio che forse rende l’idea del nostro
vivere, un giorno Marcella mi disse di non uscire senza soldi in tasca ed io compiaciuto aprii il portafoglio e dissi, no tesoro non ho bisogno come vedi ho 10.000 lire, sapendo che comunque dovevo comperare il pane ed altro insisteva ed io gli risposi serio
“stai tranquilla con 10.000 lire in tasca mi sento ricco” (la benzina costava già più di
1.000 lire al litro), si mise a piangere alla mia risposta non perché vi erano difficoltà,
ma per la serietà e la tenerezza con cui avevo risposto, in effetti era vero con quei soldi
sapevo di poterle anche fare un regalino ed avevo quindi il necessario per sentirmi
ricco. Può far sorridere ma era la nostra vita ed in quella vita senza fronzoli ed altre
fantasie non ci siamo mai sentiti privati di nulla, al mattino uscivo presto e le lasciavo
sul comodino i miei messaggi d’amore e le raccomandazioni per la sua salute, il tutto
scritto sul retro di blocchetti magari stampati e recuperati in giro, valevano quanto una
rosa o un diamante, non mi sono mai dimenticato di una festa o di un anniversario,
compreso quel 15 ottobre, invece del mazzo di fiori era una sola rosa, molte volte era
un capo di biancheria intima acquistato al supermercato anche facendomi guidare dal
prezzo, ma immaginando il vederlo poi indossato da lei, aspettandomi quel dolce lampo che passava nei suoi occhi e sempre in attesa della solita frase che mi definiva pazzo e poi lei leggeva nei miei occhi cosa era guardarla quando li indossava, era la nostra
vita e non vi era un altro modo di viverla, ma sempre e comunque nella felicità del
nostro amore.
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Si sposò mia sorella ed a mio fratello nacque una figlia Stefania, la nostra prima
nipotina e ci trovavamo tutti insieme dai miei genitori nelle varie festività.
Nel 1979 la nostra prima vera vacanza, andammo a Falcade nelle dolomiti in provincia
di Belluno, era un albergo convenzionato con la Telecom ed avevo quindi la possibilità di farmi trattenere l’importo in dieci mesi sullo stipendio, ci sfogammo a visitare
tutto ciò che potevamo ed eravamo in viaggio tutti i giorni. Tornati a casa a Marcella
venne trovato un piccolo nodulo al seno destro, dopo varie cure tutte inutili, nell’anno
successivo andammo al centro tumori di Milano, quanto faticavo a farmi vedere calmo, alla visita ci consigliarono di fare la mammografia. Per fortuna si trattava di una
ciste sierosa,tornammo di nuovo a Milano, quella sala d'aspetto sembrava un ambiente
irreale, notai una cosa strana, mentre si era in attesa anche se uno non voleva le gente
che attendeva la propria chiamata iniziava a parlare, ma quando arrivava il loro turno
ed entravano nelle sale visita, quando uscivano si dirigevano immediatamente verso
l’uscita, senza più degnare di uno sguardo le persone con cui magari avevano parlato a
lungo poco prima, sembravano quasi scappare da quel luogo, come se fuggire li preservasse dal male, quando entrammo ci spiegarono la diagnosi e siringarono la ciste,
rimasi con lei anche se non era piacevole vedere l’ago che si muoveva nel suo seno,
ma dove dovevo essere se non con lei, ci consigliarono di continuare con i controlli, il
sospiro di sollievo fu veramente enorme e ci accorgemmo che in effetti quando avevi
finito il voler lasciare quel luogo velocemente diveniva quasi una necessità.
All’inizio del 1982 nacquero altre due nipoti Marta la figlia di mia sorella e Elena la
seconda figlia di mio fratello, tra loro vi erano solo 20 giorni, la piccola Elsa appena
poteva era da noi, le facevamo il bagno e dormiva spesso tra di noi, molte volte si sbagliava e mi chiamava papà mi faceva involontariamente un enorme piacere, accadde
anche che la sua maestra chiamò sua madre per sapere chi era questo Gianni, perché in
un tema ringraziava il signore che esistesse Gianni, sua madre spiegò chi ero e quanto
fossi importante per la bambina.
Finalmente le nostre finanze erano diventate più rassicuranti in parte per gli aumenti
miei, in parte per il secondo lavoro che facevo ormai da qualche anno ed anche perché
a Marcella diedero la pensione d’invalidità e l’assegno d'accompagnamento.
Non ci sembrava vero poter disporre di più denaro, specialmente per me che potevo
incrementare i regali per Marcella, non erano mai mancati ma ora era diverso, finalmente non dovevo rinunciare a fare colazione con i colleghi inventando magari scuse
per poterle poi fare un regalo.
Per le ferie cambiavamo ogni anno località ma sempre sulle dolomiti, ogni volta la
loro bellezza diveniva sempre più coinvolgente ed entusiasmante, molte volte la loro
maestosità sembrava togliere il respiro, ma allo stesso tempo respiravi nuova vita, ad
ogni curva era come scoprire una parte della nostra anima, il nostro sguardo non sapeva dove perdersi e quando ci fermavamo la vista si perdeva nell’infinito e nei mille
colori di quelle rocce, ci sembrava quasi di ritrovarvi i mille piccoli volti del nostro
amore e poi accadeva una cosa strana, in città Marcella si stancava subito invece su
quelle strade sembrava ritrovare nuova forza, ad ogni curva era lei a chiedermi di andare oltre per scoprire cosa vi era dopo, quelle magiche enormi e dolcissime monta48
gne, le davano una vitalità sorprendente, era come se quelle mille leggende e favole
legate a quei posti da millenni, divenissero vere, come se quei folletti, gnomi e fate
fossero veri e facessero ogni giorno un piccolo miracolo e sconfiggessero la sua
malattia, facendola divenire ridente e felice.
Nella nostra intimità tutto procedeva al meglio, anche se a volte la sua impossibilità a
muoversi liberamente condizionavano un poco, così come la sua stanchezza strideva
con la mia passionalità, tanto che Marcella molte volte mi diceva riuscirò mai a vederti
tranquillo, non sei tranquillo nemmeno dopo aver fatto l’amore, le venivano i dubbi
che non riuscisse ad appagarmi, la verità era invece che mi bastava guardarla o ricordare cosa era appena avvenuto per risvegliare immediatamente in me la passione come
se ancora non avessi fatto nulla, vi era un solo problema vero molte volte mentre facevamo all’amore lei provava dolore, andammo dal neurologo che disse che la Sclerosi
Multipla non provocava dolore, dal ginecologo che escluse ogni problema organico,
nessuno sapeva spiegare la cosa, l’unica risposta era forse è lei che è troppo dotato, ma
se io ero troppo dotato come mai non avveniva sempre, ci facevamo un mucchio di domande, forse certe volte ero troppo focoso, forse ero troppo irruente, ci condizionava
non poco questa situazione cercavo di spegnere il mio desiderio ed era lei che vedendomi in certi momenti diceva facciamolo egualmente, ma non era facile pensare a me
sapendo che lei potesse provare dolore, poi un giorno mi venne in mente una crema
che le mettevo a volte dove le facevo le iniezioni era una crema leggermente anestetizzante che usavano anche per introdurre i cateteri, misi quella crema e facemmo l’amore, guardavo in faccia Marcella e non vedevo smorfie di dolore, lentamente riuscii a
rilassarmi ed a far prevalere la passione ed anche sul suo viso ritornava il desiderio,
ritrovammo la gioia e le lacrime dei nostri primi momenti d’amore.
Marcella iniziò ad avere problemi di vista, offuscamenti improvvisi e sdoppiamento,
insensibilità ad una mano e ad un piede, molti suoni diventavano insopportabili, da
queste cose fu chiaro che lentamente la malattia stava ritornando a voler essere la protagonista nella nostra vita, una protagonista che inesorabilmente avrebbe portato
Marcella ben oltre la sua previsione di finire su di una sedia a rotelle, se da questo momento tralascerò molte persone, non sarà una dimenticanza ma bensì una necessità
perché da questo momento tutto e tutti divennero solo comparse nella nostra quotidianità per vivere una vita normale contro la malattia, perché è stata una lotta solitaria
combattuta in ogni istante dei nostri giorni e delle nostre notti e molte volte sarò forse
duro nel dire, ma noi abbiamo dovuto vincere quella durezza per poter vivere.
Marcella quando ci siamo conosciuti nel 1970 era già ammalata, non avevamo mai
potuto fare una passeggiata tenendoci per mano, il baciarci in piedi senza doverla sorreggere, la gioia di trovarla ad aspettarmi alla mia uscita dal lavoro, la felicità di avere
un figlio, lo sperimentare magari nuovi modi di fare all’amore, le difficoltà finanziarie,
ci era sempre bastata la nostra vita senza troppi sogni ed eravamo comunque riusciti ad
essere felici, a non sentirci privati di nulla ed ora dopo solo 8 anni di matrimonio, la
malattia voleva toglierci anche le briciole di quei sogni, ma i conti sarebbero stati poi
fatti alla fine, Marcella aveva 44 anni ed io 32 si stava iniziando un nuovo modo di
vivere, vivere attimo per attimo senza niente di sicuro e di scontato.
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Tentammo qualche cura ma ci rendemmo conto che non erano stati fatti molti passi
avanti da quando Marcella aveva avuto i primi sintomi della malattia e quindi la sua
malattia lentamente continuava, piccolissime cose se ne andavano inesorabilmente ed
a volte era solo guardando indietro che ti rendevi conto di cosa avevi perso, nel tentativo di rallentarla nel gennaio 83, fece un ricovero di 20 giorni in un ospedale specializzato a Gallarate, era la prima volta che faceva un ricovero da quando ci conoscevamo, rimasi con lei tutti i giorni del ricovero, arrivavo al mattino alle 7 portandole il
caffè e me ne andavo alle 22 dopo averla aiutata ad andare in bagno, cercavo di darle
tutta la forza che avevo dentro, ma non vi fu nessun risultato, l’unico modo per rallentarla era il cercare di fare la nostra vita il più felicemente possibile, non veniva rallentato nulla ma almeno ci sembrava di strapparle un poco di vita e quindi tornavamo
sulle nostre amate Dolomiti sognando che il mondo sotto di noi non esistesse e con lui
tutti i nostri problemi.
Marcella voleva un gatto ed un giorno arrivai con un piccolo gatto nero, vi furono naturalmente liti con Elsa che non lo voleva, non gli importava nulla che sua figlia fosse
contenta e piangesse all’idea di non poterlo tenere, ne che non dovesse fare nulla per
lui, comunque il gatto rimase con noi, riversavamo su di lui tutto il nostro affetto, dormiva praticamente sotto il mio braccio o in mezzo alle mie gambe, quando entravo in
casa mi attendeva vicino alla porta e si arrampicava sino alle mie spalle, riempiendomi
di piccoli graffi si stendeva ed io facevo ogni cosa con lui in quella posizione, ogni
tanto mi mordicchiava il lobo e conquistava ogni giorno tutti noi con la sua esuberanza
e simpatia, per svegliare me di notte andava a mordere il braccio a Marcella sino a che
i suoi strilli mi svegliavano, a quel punto mi alzavo e lui mi veniva in braccio tutto
contento in attesa di mangiare, una volta Marcella cadde nell’entrata e lui si mise a
tirarla per la manica della maglia, poi visto che non riusciva ad aiutarla si accuccio per
terra accanto a lei in attesa del mio arrivo.
Nel 1984 ricominciarono altri problemi di salute per Marcella, le trovarono un nodulo
al seno sinistro, questa volta però non si trattava di una ciste, era necessario un intervento chirurgico, si ricoverò in ospedale a settembre, il giorno successivo la operarono, la accompagnai sino alla porta della sala operatoria ed iniziai a contare i minuti, vi
erano due miei colleghi con me, cercavano di farmi pensare ad altro, ma volevo restare
solo e con una scusa mi allontanai, come sempre mi succede quando ho qualche problema mi chiudo, non voglio parlare con nessuno, voglio solo stare solo, solo ed ancora più solo con la mia angoscia e la mia malinconia, i minuti si erano trasformati in
ore, la mia inquietudine aumentava, poi finalmente vidi il suo viso terreo uscire, era
ancora un poco sotto l’effetto dell’anestesia, il medico mi comunicò che il nodulo era
molto più grande del previsto 6 cm ma che comunque avevano tolto tutto riuscendo
comunque a lasciarle il seno, del seno non mi importava nulla l’importane era vederla
davanti a me, le tenevo la mano e quanta gioia nel sentire le sue dita muoversi, lentamente aprì gli occhi non riusciva a parlare ma capii subito cosa volesse chiedermi, le
dissi che le avevano lasciato il seno, passai tutto il tempo, notte compresa a tenerle la
mano, il giorno successivo la dimisero, venne il medico per farle la medicazione e lei
non ebbe il coraggio di guardarsi e non voleva che vedessi il seno, dissi al medico che
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le medicazioni successive le avrei fatte io, quando giunse il momento staccai lentamente i cerotti con lei che mi guardava in viso, voleva vedere una mia eventuale
espressione di fastidio, rimasi imperturbabile ma feci una fatica enorme i suoi seni
anche se piccoli erano sempre stati la parte che mi piaceva di più del suo corpo ed ora
quel seno era quasi irriconoscibile, quando finii la medicazione scherzai chiedendole
come aveva fatto un nodulo così grosso a stare nel suo seno che era abbastanza piccolo, tolsero i punti ma lei continuava ogni volta a non voler guardare, fino al giorno che
vincendo anche in me un attimo di incertezza mi abbassai e baciai il seno proprio sulla
ferita, poi presi tra le labbra il suo capezzolo dicendole quanto l’amassi, istintivamente
abbassò lo sguardo come faceva sempre nei nostri momenti di intimità, volle che smettessi subito, dicendo che non poteva piacermi un seno in quelle condizioni, ogni tanto
ripetevo il mio tentativo ma con lo stesso risultato, ormai si era rimessa ma quella parte del suo corpo stentava ad accettarla, una sera cominciammo a far l’amore, mise una
mano tra me ed il seno dicendomi di usare l’altro, delicatamente ma con decisione le
spostai la mano, le dissi che anche quella parte faceva parte del suo corpo ed io amavo
anche quella, baciai ogni piccola parte di quel seno e quando arrivai al capezzolo, la
sentii ancora per un attimo irrigidirsi, poi il piacere giunse unito alle lacrime, altre volte era accaduto ma questa volta erano lacrime dolcissime, le sue lacrime divennero ancora più copiose quando mi accarezzò e si accorse che anche il mio viso era bagnato,
mi sdraiai vicino a lei e la presi vicino, come sempre si appoggiò nell’incavo del mio
braccio sentivo le sue lacrime che bagnavano il mio petto, così come le mie bagnavano
le sue dita appoggiate sul mio volto, in quei momenti silenziosi furono dette le più
belle e complete parole d’amore.
Non avevamo ancora superato del tutto il problema del nodulo, che un ulteriore peggioramento costrinse Marcella ad un nuovo ricovero ci proposero di provare una nuova cura, ma la permanenza in ospedale doveva essere di 40 giorni, dopo l’iniziale riluttanza accettammo la proposta, ricordo con quanta speranza ci recammo in ospedale,
una settimana si fermò mia suocera, poi per più di trenta giorni mi fermai io, rimanevo
sempre con lei tutti i giorni arrivavo alle 7 ed uscivo alle 22, ero diventato quasi una
parte di quel reparto, qualche volta il personale mi chiedeva aiuto, per accompagnare
altri pazienti a fare degli esami o per alzare gente molto pesante, alla sera magari mangiavamo una pizza tutti insieme ed una volta un infermiere ci fece la granita siciliana,
in un modo veramente ingegnoso, mise una pentola con del succo di limone in un lavello, mise del ghiaccio tra la pentola e le pareti del lavello mettendo su di esso del
sale grosso, fece poi girare la pentola non troppo velocemente ed in pochi minuti mangiammo una squisita granita, fu un mese veramente pesante passavo 15 ore al giorno
in quell’ambiente la maggior parte seduto su una sedia, poi alla sera andavo in albergo
ma molte volte erano più le ore che stavo sveglio che quelle che passavo a dormire,
per completare l’opera ruppero anche il vetro della mia macchina per rubare la ruota di
scorta, senza contare anche la spesa del passare un mese in albergo, comunque ogni
giorno vivevamo la speranza, le dovevano fare il prelievo lombare, cercai di tranquillizzarla perché molti anni prima, aveva avuto problemi nel fare quel prelievo, proprio
in quel periodo il primario che non era quasi mai presente decise di riprendere la sua
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autorità e quel giorno volle fare lui la lombare a Marcella, ero in attesa e dopo parecchi minuti la riportarono nel suo letto, vidi che era molto nervosa mi spiegò che l’aveva bucata 3 volte e non era riuscito comunque a fare il prelievo, il giorno dopo visto
che quell’incapace se ne era andato un medico del reparto cercò di convincerla a rifare
l’esame, ottenuto un rifiuto venne da me pregandomi di convincerla risposi che se con
lui si era limitata a rifiutare nervosamente poteva immaginare cosa avrebbe detto a me
che non aveva problemi di confidenza e che comunque ero contrario anch’io dovevano
intervenire mentre il primario stava sbagliando.
Queste sono state scritte in quell’occasione
Vorrei correre da te e portarti via,
sono molti anni che ci vogliamo bene,
ma sembra trascorso un attimo da allora,
tesoro metticela tutta,
dobbiamo vivere ogni giorno sempre più insieme,
intensamente perché ogni ieri non può divenire domani,
voglio fare con te almeno una parte della strada della vita,
forza gioia ti sto aspettando,
prendi la mia mano aspetta solo di stringere la tua,
ricorda hai un appuntamento,
con la persona più pazza ed innamorata di questo mondo,
tuo marito e sono fiero di esserlo !!!!!!!!!
La tua malattia è come l’ombra degli alberi in un giorno di sole,
la osservi, la guardi, sembra non muoversi,
ma impercettibilmente si allunga sempre più verso di te,
sino ad offuscarti la vista del sole della vita.
Comunque come quasi sempre succede più grande era la speranza più grande fu la delusione e la delusione fu veramente enorme, vi erano state troppe voci incoraggianti è
vero che i medici non avevano mai detto nulla ma nemmeno avevano smentito, forse
sarebbe stato meglio che avessero frenato quell’entusiasmo, comunque tornammo a
casa con Marcella forse in condizioni peggiori di come eravamo partiti, non avendo
più nemmeno ferie dovemmo rinunciare anche a quella boccata di vita che erano le
nostre amate montagne, uscire diventava sempre più problematico e Marcella si convinse a prendere una sedia a rotelle, doveva servire solo per uscire a fare compere,
quando andai ritirare la carrozzina la tenni quasi 10 giorni in macchina non avevo il
coraggio, era quasi una sconfitta ed attendevo ad affrontare la cosa, poi una sera le
dissi se voleva provarla, non volle farlo vicino a casa quindi andammo in un supermercato lontano, misi la carrozzina accanto alla macchina e la aiutai a sedersi, quanta tristezza mi stringeva il cuore, facevo finta di nulla ma avrei voluto gettare quella sedia
ed anche gettare tutta la mia rabbia in faccia al destino, quell’oggetto fatto di metallo
doveva sostituire una parte di lei, per fortuna la tranquillità del poter girare tra gli sca52
fali ci aiutò ad accettare la cosa, non solo arrivati sotto casa decise che era inutile rimandare ed andammo al supermercato della nostra piazza, acquistammo diverse cose e
mettevo tutto in braccio a lei, eravamo quasi di casa in quel luogo e molte volte le
commesse portavano magari una sedia per farla sedere o le portavano degli oggetti da
scegliere, quella volta videro e forse capirono la nostra difficoltà ed una di loro si avvicinò scherzando tolse gli oggetti che la stavano quasi coprendo dicendo che questi
uomini non capivano niente, se l’avevo presa per un carrello della spesa e che portava
tutto lei alla cassa, al nostro rientro trovammo un nostro vicino di casa che probabilmente preso alla sprovvista nel vedere Marcella sulla carrozzina disse “come la trovo
bene”, Marcella lo avrebbe fulminato e da quel momento per noi era il signor “come la
trovo bene”, comunque quell’oggetto che doveva servire solo provvisoriamente divenne in breve tempo indispensabile non solo nelle uscite ma anche nella nostra vita
domestica.
Questo non ha una grande importanza ma la racconto egualmente, un giorno con un
collega ero per lavoro in una sede Fiat, mentre stavo parlando con il responsabile dei
telefoni, si avvicina un uomo e mi saluta in modo amichevole dicendomi ciao
Bassanini come stai, risposi bene ma chiesi chi era, mi disse se non mi ricordavo di
lui, non mi ricordavo proprio ma quando mi disse il suo nome ricordai chi era, era il
mio tenente della Cremona preferito, quello che aveva sempre cercato di fregarmi mi
aveva riconosciuto dopo 15 anni e ricordava anche il mio cognome si vede che si era
proprio preso a cuore la mia persona visto le centinaia di militari che erano passati in
quella caserma ed ora era li che mi chiedeva come stavo e se potevamo darci del tu,
risposi ti ringrazio ma ti sarei grato, non solo di non darci del tu, ma se non parliamo
affatto è meglio, non ero mai scortese e quando si allontanò spiegai sia al collega che
al responsabile cosa vi era stato a quei tempi.
Nel 1986 Marcella fece un nuovo ricovero di 11 giorni, questa volta le fecero delle
dosi massicce di cortisone, quando tornò a casa ci vollero mesi prima di poter riprendere la nostra solita vita, non vi fu nessun miglioramento l’unica cosa positiva era che
a causa del cortisone le era aumentato l’appetito e quindi ora era decisamente più in
carne, il neurologo a questo punto ammise che forse l’unico modo per combattere
quella stupida malattia era il non fare nulla e quindi il sospendere le cure, il dover ammettere che ora non vi era più nulla per rallentare i suoi peggioramenti, il sapere che
da quel momento ogni cosa che veniva tolto non sarebbe mai più tornato demoralizzò
non poco Marcella, anche in me la rabbia del dover per la prima volta nella mia vita
accettare una sconfitta senza possibilità di contrastarla era enorme, mi rimaneva una
sola cosa da fare, farle sentire ancora di più il mio amore, quell’estate tornammo come
sempre nelle nostre care Dolomiti, cercando di fare nostri ogni attimo e di approfittare
dei piccoli miglioramenti, aveva anche problemi di vista ci voleva tempo per mettere a
fuoco le cose, iniziai a fare molte foto, dove lei non poteva arrivare arrivavo io facevo
delle foto e lei poteva guardarle con calma, era l’unico modo per condividere con lei
tutto quello che i mie occhi vedevano.
In quell’anno nacque il secondo figlio di mia sorella Beniamino, vista la nostra
distanza i nostri rapporti con i nipoti non potevano essere certamente quelli voluti,
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erano molto affezionati, ma mancava certamente quell’affiatamento che avremmo voluto, avrei desiderato vedermeli saltare in braccio ma quando ci vedevamo dovevamo
ricostruire la confidenza ed a quel punto era arrivato nuovamente il momento di separarci, cosa che invece era sempre più grande con la piccola Elsa, quando Marcella mi
preparava da mangiare le diceva cosa non mi piaceva e le poche volte che avevo la
febbre mi portava da bere a letto, se mi assopivo rimaneva in disparte con quei suoi
occhioni a guardarmi ed appena li aprivo mi chiedeva subito se avessi bisogno di qualche cosa, quanto era bello farsi coccolare da lei e dal suo affetto, quando usciva con
me al rientro riferiva a Marcella di tutte le donne che salutavo e poi aggiungeva perché
tutte le donne salutano Gianni ??
Anche sul lavoro dovevo ogni giorno inventare degli espedienti per passare da casa,
non volevo passasse a letto tutto il giorno e quindi a metà mattinata passavo, la portavo in bagno e la mettevo sulla sedia, a pranzo avevo un’ora ed in quell’ora facevo stare tutto, cucinare , darle da mangiare, portarla in bagno e metterla a letto, naturalmente
le mettevo il telefono vicino perché potesse rispondere o chiamarmi, se provavo a
chiamarla e non rispondeva mi precipitavo immediatamente a casa, per fortuna il mio
era un lavoro esterno e quindi potevo farlo, guardandomi sempre intorno per paura di
eventuali controlli che non erano poi molto rari, il tempo che perdevo lo recuperavo e
nessuno ebbe mai da lamentarsi del mio lavoro.
Gli anni nel frattempo passavano ed inesorabilmente ogni giorno un impercettibile
peggioramento avveniva ed io sostituivo sempre più i suoi gesti, è stato un lento fondersi tra di noi, lentamente stavamo diventando una sola persona, non vi era nemmeno
bisogno di dire che io già facevo, naturalmente senza nemmeno una incertezza ora non
dovevamo guardarci negli occhi sapevamo già cosa vi era nello sguardo dell’altro, tutto avveniva senza vergogna o fastidi solo perché andava fatto e così veniva fatto,
quando iniziò a non muovere liberamente le braccia dovetti anche forzare certe sue
incertezze, per esempio il doversi far aiutare nei suoi gesti di pulizia era stato molto
difficile da accettare sino ad una sera in cui dopo averla portata in bagno vidi che non
riusciva a lavarsi, mi disse con rabbia di portarla a letto, per quella sera avrebbe rinunciato a lavarsi, l’amore fece diventare nostri anche quei gesti, presi il sapone e tra le
sue proteste portai a termine ogni cosa, sapendo che da quel momento l’avrei sostituita
anche nel suo più profondo privato, certamente provai altrettanto disagio che provò lei
ma riuscii anche a scherzare indugiando con le dita nel suo intimo e dicendole che ora
potevo pasticciare come volevo, la portai a letto e la misi sotto il mio braccio accarezzandole il viso, sentii solo il suo piangere sommesso riempire il dolce silenzio del nostro volerci bene, certo che nei giorni del periodo il disagio aumentava ma tutto andava fatto anche in quei giorni, di notte non riusciva più a girarsi e quindi era costretta a
svegliarmi per aiutarla a sistemarsi, quindi non vi fu più una notte in cui dormii interamente, ma anche quello non mi pesava ed al mattino mi svegliavo prima per poterla
portare in bagno a lavarsi e sistemarsi, non ammettevo che non fosse a suo agio quando arrivava la fisioterapista, volevo che fosse bella come era sempre stata, anzi le facevo molte volte promettere che se mi fosse accaduto qualche cosa doveva continuare ad
avere cura di lei, vi era una cosa in particolare che mi dava terribilmente fastidio le
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calze quando si smagliavano poteva anche essere una cosa piccolissima, le rompevo e
le gettavo subito e lei doveva continuare a fare altrettanto.
Poi dopo averla risistemata a letto, non prima di aver rubato qualche carezza e bacio,
scendevo a prenderle un caffè al bar sotto casa, mi sedevo accanto a lei e le intingevo
dei biscotti, era un rubare giornalmente attimi di vita al destino, anche se per fare tutto
ciò dormivo meno, normalmente circa 5 o 6 ore per notte e mai in modo continuativo,
ma il tutto mi dava una tale gioia che non vi avrei mai rinunciato, il sedermi sul bordo
del letto e darle quel caffè era per me una grande felicità data da una piccola cosa e
sono proprio le piccole cose conquistate volta per volta a darti le felicità più grandi.
Riuscii anche a non farle rinunciare ai nostri momenti di intimità, anche in queste cose
era importante continuare con quello che potevamo fare, se una cosa od un modo ci
veniva tolto, continuavamo con quello che ci era rimasto ma sempre con la stessa intensità del primo giorno e molte volte quando riuscivamo a ritrovare il piacere reciproco, l’intensità emotiva era maggiore e le lacrime arrivavano sempre più spesso accompagnate dalla consapevolezza che ogni volta era una conquista, ma sapevamo anche di
non poter prevedere sino a quando ci sarebbe stata concessa quella gioia.
Anche per me vi furono dei problemi fui operato al ginocchio, rimasi una notte in
ospedale e quindi dovetti affidare Marcella ad un’infermiera, il giorno dopo finalmente
tornai a casa non vedevo l’ora di tenerla tra le braccia, mentre la stringevo le venne il
bisogno di andare in bagno, la tenevo tra le braccia e saltellando su una sola gamba la
portai in bagno, i primi giorni rimase l’infermiera ma volevo essere io a pensare a lei e
quindi feci tutto anche se appoggiavo solo un piede.
Nel lavoro cambiai mansioni, rimanevo nello stesso reparto ma con compiti diversi ed
un grande vantaggio, non dovevo più andare alla sede di lavoro, iniziavo da un cliente
e poi mi spostavo a piedi ed il tutto era nella zona in cui abitavo, anche i clienti erano
quelli di prima erano cambiate solo le mie competenze al mattino andavo al giornale
“La Stampa “ o al centralino dell’avvocato Agnelli ed alla fine della giornata finivo
sempre da loro, pur godendo di una certa libertà, non capitò mai che non rispettassi gli
orari o il luogo dove dovevo prendere servizio.
Nella mia zona di lavoro vi erano anche delle sedi Fiat, in una di queste vi erano due
centraliniste che conoscevo molto bene, avevo passato molto tempo con loro al tempo
dell’attivazione della centrale telefonica, erano molto giovani ed una di queste aveva
anche la gemella che lavorava nella stessa sede, forse la differenza di età, forse il mio
modo di fare, si creava come era accaduto moltissime volte una grande confidenza,
tanto da arrivare a dare loro consigli per problemi molto personali, un giorno mi dissero una cosa che non mi fece piacere, mi dissero parlando di un collega, tu ….. lo
consideri un amico, pensa che quando tu non ci sei dice che sei un arrivista e che la tua
gentilezza è solo per provarci con noi, risposi voi sapete che non è vero forse è lui che
vuole provarci, in quanto al considerarlo amico non è così, quando per me una persona
non ha valore, posso incontrarlo, mangiare insieme a lui e fare ogni cosa, ma rimane
come se non esistesse per me, il tempo poi dimostrò che quello che dicevo era vero,
quando vi fu la possibilità di un passaggio in un altro reparto con vantaggi anche di
categoria, lui telefonava anche a casa al responsabile di quel reparto, il colmo era che
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il responsabile poi mi chiamava e mi diceva Gianni cosa devo fare, otteneva sempre la
stessa risposta fai come meglio credi non mi importa di cosa decidi, da parte mia i
valori sono altri e quello che conta è la mia dignità, ma vi sarebbero anche altri episodi
ma quello che conta è che ancora oggi io posso sempre guardare negli occhi chiunque
e non devo fare finta di dover parlare al cellulare per non dover guardare in faccia
un’altra persona, io mi sono realizzato nella dignità della vita altri si sono rea-lizzati
nel lavoro, chissà se un giorno il lavoro si ricorderà di loro, io sarò sicuramente
ricordato.
Nel 1989 mio fratello e mia madre, ebbero delle incomprensioni con il risultato di
creare una rottura tra di loro, provai a mediare ma fu tutto inutile, da parte mia avevo
vari problemi dai peggioramenti di Marcella alle liti quasi quotidiane con mia suocera
e quindi non avevo certo voglia di sentire sempre le loro ragioni, poi ritenevo giusto
che fosse mio fratello a cedere, visto che il tutto era nato da una frase detta da mia madre, quindi non era certo una cosa grave e poi lui era sempre stato privilegiato in tutto
e quindi non mi feci più sentire da lui, cosa che successe anche da parte sua.
Nell’anno successivo venni operato alla parte posteriore del collo, si trattava di un
lipoma nulla di grave ma era praticamente appoggiato alla colonna cervicale, su consiglio del chirurgo decisi per un intervento in anestesia locale per poter fare tutto in
giornata, l’intervento durò molto più del previsto e la parte finale fu veramente dolorosissima, arrivai a casa e sentii quel dolore per un paio di giorni, Marcella era veramente preoccupata anche perché io non mi ero mai lamentato nemmeno in passato del
male, di solito sopportavo molto bene il dolore fisico, ma quello era fortissimo nemmeno quando mi ero fatto male a militare e mi avevano ricucito il viso senza nessuna
anestesia avevo sentito così tanto male. Quando tornai in ospedale chiesi le ragioni di
tutto quello che era successo al chirurgo, mi disse che non aveva previsto che avessi
una muscolatura del collo così dura e che non solo non riusciva quasi a tagliare ma
non era nemmeno riuscito ad iniettare tutto il liquido dell’anestesia, quindi praticamente una buona parte di intervento era avvenuto senza anestetico, riuscii a controllarmi e diedi solo un consiglio al medico, che in futuro noi ci fossimo sempre incontrati solo in ospedale e mai da soli, in seguito la ferita non si chiudeva chiamai quindi il
mio medico di famiglia, tolse la medicazione e vide che non mi avevano nemmeno tagliato i capelli, avevo i capelli in mezzo alla ferita, rimediò come poteva e dopo circa
una settimana la ferita si chiuse, ma visto che al termine dell’intervento non erano
riusciti ad avvicinare i lembi del taglio mi rimase una specie di callo alla nuca, che
ancora oggi mi crea non pochi problemi.
Nello stesso anno avvenne anche un altro fatto doloroso, il nostro gatto Puci aveva
ormai da circa un anno problemi ad urinare, si formavano continuamente dei calcoli,
diverse volte erano riusciti a sbloccare la situazione ora però la situazione si era
aggravata, era diventato uno strazio sentirlo tutti i giorni piangere ogni volta che
doveva urinare, il veterinario ci consigliò di porre termine alla cosa, parlai a lungo con
Marcella poi andammo in ambulatorio, il medico ci confermò che non vi era più nulla
da fare, decidemmo che non era giusto vederlo soffrire così, lo accarezzai mentre gli
faceva l’iniezione, sembrò addormentarsi, stavamo uscendo e mi girai per fargli men56
talmente un ultimo saluto, aprì per attimo gli occhi erano già velati, ma vidi chiaramente il suo sguardo era finalmente tornato dolce e rilassato, mi sembrò di vedere
quasi un ringraziamento per aver messo termine alle sue sofferenze, salimmo in auto
strinsi la mano di Marcella e mi lasciai andare fu come se il pianto mi salisse dal
cuore, non riuscii a frenare le mie emozioni, sapevo che avevamo fatto l’unico gesto
d’amore possibile ma l’idea di tornare a casa senza di lui era veramente grande, riuscii
faticosamente a frenarmi anche per poter consolare Marcella, ma anche a distanza di
moltissimi anni quell’ultimo sguardo è sempre presente in me ed in quei momenti
nascono sempre dal mio cuore le stesse dolcissime lacrime.
Nel frattempo la convivenza con mia suocera diveniva sempre più problematica, sin
dai primi anni vi erano state incomprensioni e con il passare degli anni la cosa si era
accentuata sempre di più, quando decidevamo di andare a fare un viaggio erano sempre litigi se lei non poteva venire con noi, avevamo praticamente perso i nostri momenti intimi perché quando andavamo in camera la tensione generata dalle continue
liti non creava certo l’atmosfera, giusta quello che era sbagliato era il fatto che
Marcella praticamente mi costringesse a vivere con lei, moltissime volte volevo che
come tutte le coppie andassimo ad abitare da soli, ma lei non si era mai sentita di lasciare sua madre, lentamente tutto questo stava incrinando anche il nostro rapporto,
più volte l’avevo avvertita che avrei rinunciato anche a lei per non vivere con sua madre, ogni giorno diventava sempre più pesante rientrare in casa anche se vi era lei ad
attendermi, ma sottovalutava sempre il mio disagio, tutto continuò tra alti e bassi sino
ad un giorno del 1991, eravamo usciti ed al nostro rientro sua madre ci comunicò che
aveva telefonato Sandro, Marcella anni prima di conoscere me era stata fidanzata con
lui, quando ci eravamo conosciuti lei aveva 32 anni e certo non potevo pensare che
non avesse avuto nessuno prima di me, non mi era mai interessata la sua vita antecedente alla nostra conoscenza e non le avevo mai fatto domande, le avevo chiesto di fare in modo che il suo passato non dovesse mai entrare nel nostro presente, non avevo
mai preteso ne imposto nulla ma quella era stata la mia unica richiesta, il passato ora
era li e voleva entrare nel nostro presente, le ricordai la cosa e feci presente a sua madre che non gradivo queste telefonate, sua madre mi rispose con il più completo menefreghismo che lei avrebbe comunque parlato con lui, dopo qualche giorno lui chiamò
di sera, passai la telefonata a Marcella dicendole che avrei preferito se lo togliesse di
torno per sempre, parlò a lungo davanti a me di cosa era avvenuto nella loro vita da
quando non si erano più frequentati, ma non una parola per dirgli di non farsi più
sentire, quando finì la telefonata iniziò forse l’unico vero litigio della nostra vita, vi fu
come un effetto valanga ora volevo sapere ogni cosa di lei, dalle più piccole alle più
grandi, praticamente conoscevo solo ora una parte di lei, nella vita ogni persona commette degli errori ed anche lei confermava la regola, la cosa che non riuscivo ad accettare era il fatto che avrebbe dovuto confidarsi nei primi anni della nostra conoscenza,
anche la nostra vita coniugale avrebbe avuto altre basi ed un altro sviluppo se avessi
saputo tutto, ad iniziare proprio da sua madre, le incomprensioni tra di noi aumentarono il tutto era aggravato dal fatto che era anche diventata ormai insopportabile per me
la convivenza con sua madre, avevo dedicato tutta la mia vita a Marcella, anche nei
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momenti di maggiore delusione non avevo mai ceduto e molte volte non mi ero nemmeno accorto di proposte nemmeno tanto velate di altre donne, avrei potuto tradirla
moltissime volte, visto che con il mio lavoro conoscevo spesso molte donne e molte
volte si instauravano anche rapporti di confidenza, anche per il mio carattere molto
disponibile verso chiunque, ma non avevo mai dovuto fare una scelta amavo lei e
quindi non vi era nessuna scelta da fare, in cambio le avevo solo chiesto quella cosa di
tenere il suo passato lontano ed ora lei non mi accontentava nemmeno in quello.
Tutto questo incrinò per la prima volta l’amore che sentivo per lei, quell’amore aveva
resistito a tutto, alle mille difficoltà della vita, alle molte privazioni, al rinunciare molte volte alla passione, ora si stava lentamente sgretolando, era come se avesse strappato e gettato via 21 anni della nostra vita, ma quelli erano gli unici anni vissuti veramente da me, avevo costruito faticosamente giorno per giorno, pezzo per pezzo la nostra felicità, avevo conquistato e difeso quel mio unico ed enorme amore ed ora che mi
guardavo indietro, non vi era più nulla che valesse la pena di ricordare e non vi era più
nulla in cui credere, ogni cosa ora aveva un valore diverso e per me non vi erano più
valori sia nel passato che nel presente, avevo di colpo perso tutto quello in cui avevo
sempre creduto ed ero svuotato da ogni voglia di lottare per il nostro futuro.
Parlavamo sempre meno, il mio interesse per lei calava ogni giorno sempre di più e lei
rimaneva sempre sulle sue posizioni senza nemmeno fare un tentativo per venirmi incontro, invece di tendermi la mano mi muoveva solo critiche e così facendo favoriva il
mio distacco da lei, in tutti gli anni passati insieme non aveva mai capito il mio carattere, mi aveva sempre visto come una persona molto forte ma sempre dolcissima, ora
invece conosceva la parte più intransigente ed anche spietata di me, non si era mai resa
conto come ero veramente, lei conosceva solo la parte dolce, non si era mai resa conto
che per essere sempre così dolce e forte con lei nonostante tutte le avversità della vita,
dentro era come se fossi fatto d’acciaio niente mi poteva scalfire e nemmeno piegare,
se una cosa mi veniva chiesta con un sorriso od una carezza io concedevo tutto me
stesso, ma se mi veniva imposto con rudezza nessuno avrebbe mai ottenuto nulla ed a
quel punto nemmeno le lacrime potevano impietosirmi diventavo veramente implacabile e senza alcuna pietà ed era quello che accadeva tra di noi ogni giorno, stava costruendo un muro tra di noi e sua madre con il suo modo di fare le passava i mattoni
per erigerlo, il vivere con lei era ormai diventato più una questione di testa che non di
cuore, esattamente il contrario di come era sempre stata la nostra vita insieme, iniziai a
vedere quello che non avevo visto prima, per me lei era stata da sempre l’unica donna,
ora mi rendevo conto che ve ne erano molte altre ed anche interessate a me, non mi
sentivo più così insensibile verso di loro e da quel lato ero diventato molto vulnerabile.
Per ragioni che sarebbero troppo lunghe da spiegare e non opportune, andai una settimana ad Agrigento, avevo prenotato un’auto in aeroporto, l’unica auto disponibile era
una Lancia Thema, feci la conoscenza di due ragazze abitavano in un bel paesino 30
km fuori Agrigento, una aveva 21 anni di nome Maria, una ragazza alta capelli corvini
ricciolissimi, occhi nerissimi, veramente molto bella e visto che avevo tutti i pomeriggi liberi mi chiese se volevo andare a visitare la Valle Dei Templi. Il giorno dopo ci
trovammo in una piazza di Agrigento ed era venuta anche sua cugina, prendemmo una
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spremuta in un bar della città poi salimmo in auto ed andammo alla Valle Dei Templi,
visitammo quel posto suggestivo chiacchierando di lei e dei suoi studi, il giorno dopo
andammo a Porto Empedocle, mentre le riaccompagnavo a casa, la cugina vide le mie
poesie sul sedile posteriore, Maria lesse le prime e mi chiese se poteva prenderle, al
mattino dopo mi telefonò e mi propose se volevo vedere la Valle Dei Templi di sera,
invitai lei e la cugina a cena, per ringraziarle della loro disponibilità, arrivai che il
giorno stava lentamente andandosene, la cugina non poteva venire perché aveva dei
parenti, ritornammo ad Agrigento, le chiesi consiglio dove andare a cenare, voleva
andare in un ristorante cinese, ma quel giorno era chiuso, girammo diversi locali erano
tutti chiusi, mi indicò una pizzeria molto caratteristica, volle solo mangiare una pizza,
sorrideva allegra ed era piena di gioia di vivere.
Uscimmo vi era una bancarella con dei pupazzi si fermò, ne prese uno e mi chiese se
mi piaceva, aveva gli occhi che sembravano brillare, salimmo in auto con lei che stringeva ed accarezzava quel pupazzo che naturalmente gli avevo appena regalato non si
poteva deludere uno sguardo come quello che avevo visto poco prima, ci recammo
nella Valle Dei Templi, dava decisamente delle sensazioni particolari con quelle luci
morbide, anche quelle sembravano voler rispettare la maestosità e la storia che scaturiva da ogni pietra, aveva freddo le misi la mia giacca sulle spalle, il nostri passi furono
gli stessi del giorno prima e ripercorremmo la stessa strada, ma vi era sicuramente
qualche cosa di diverso, la notte spingeva sicuramente ad una intimità di pensieri, ad
una unione di sensazioni scandito dal rumore dei nostri passi che seppur leggeri risuonavano sempre troppo forti nel silenzio che era intorno e dentro di noi, all’improvviso
si mise a dire le parole di alcune mie poesie, le piacevano molto e le aveva lette tutta la
notte, si mise a parlare di me sembrava quasi mi conoscesse da sempre, era rimasta
molto colpita dal mio carattere dolce ma anche un poco ombroso e deciso, era riuscita
in due giorni a capirmi molto più di Marcella con cui avevo passato più di 21 anni, ci
sedemmo l’uno di fronte all’altro anche se i nostri visi erano parzialmente velati
dall’oscurità potevo vedere chiaramente il suo sguardo penetrante, le spiegai la causa
del mio momento di solitudine, salimmo in auto e presi la strada per riportarla a casa,
avevo la radio accesa e trasmettevano le canzoni di Claudio Baglioni, lungo la strada
vidi un punto in cui si vedeva dall’alto tutta la Valle Dei Templi illuminata, mi fermai
e scesi per vedere quello scenario, dopo un istante sentii la sua presenza accanto a me
sempre con la mia giacca sulle spalle, mi prese la mano e si appoggiò contro il mio
braccio, la bellezza di quel luogo, la musica che continuava a scandire canzoni d’amore e la sua dolcezza fecero il resto, le passai il braccio attorno alle spalle e rimanemmo
a lungo a guardare in silenzio quell’immagine di sogno, sentii che aveva comunque
freddo, salimmo in auto e la presi nuovamente tra le braccia, questa volta i nostri visi
erano molto vicini e la baciai, aprì quei meravigliosi occhi, si nascose letteralmente
sotto il mio braccio e mi accarezzò il viso, rimanemmo in silenzio attimi che erano una
eternità ed ore che sembravano un attimo, vi furono molti baci ma rimase stupita che
mi fossi fermato senza cercare altro, le spiegai che nella mia vita avevo sempre voluto
che tutti si ricordassero di me con un sorriso e mai con fastidio, secondo un suo pensiero non poteva esistere persona che non ricordasse con nostalgia l’avermi incontrato,
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le ricordai che sarei partito la sera successiva e non era giusto che la considerassi
l’avventura di una sera, mi disse che per lei non sarebbe stato comunque l’avventura di
una sera ma un sogno da ricordare, mi chiese se sarei mai più tornato, la bacia questa
volta dolcemente e capì l’inutilità delle sue parole, si fece lasciare all’inizio del paese.
Feci quei 30 km che mi separavano da Agrigento ad una velocità pazzesca, volevo forse fuggire e distruggere quel ricordo, mi rendevo conto che in una sera avevo riprovato
le emozioni che credevo perse per sempre, avevo rivissuto le stesse sensazioni che
avevo provato quando avevo visto per la prima volta Marcella ed era per merito di una
ragazza che aveva metà dei miei anni, quella ragazza aveva saputo vedere in una notte,
quello che Marcella non era riuscita a vedere per molti anni, andai sino al mare, rimasi
in quella stupenda solitudine sperando di trovare una risposta che mai avrei avuto, ma
che solo dentro di me potevo trovare, piansi tutta la mia esistenza piena di rinunce, ma
comunque non potevo abbandonare e rinunciare alla storia della mia esistenza, il cielo
cominciava a rischiararsi, solo i miei pensieri rimanevano sempre più bui.
Salii in auto andai in albergo, mi feci la barba ed una doccia e preparai la valigia, sapevo che non potevo gettare la mia vita passata ed anche che non potevo legare a me la
giovinezza di Maria, il telefono suonò era la cugina mi aspettava nell’atrio dell’albergo, mi aveva portato un braccialetto, vi era anche un biglietto con poche righe mi chiedeva di lasciarle le mie poesie e di tenere il braccialetto sempre con me, anche senza
indossarlo.
Andai all’aeroporto di Catania, guidando lentamente ripensando e ripercorrendo tutto
quanto era avvenuto in quelle poche ore, avevo ritrovato parte delle mia giovinezza in
un volto quasi sconosciuto, mi rendevo sempre più conto che non volevo ammettere
quello che era ormai chiaro, anche se io mi fossi gettato in altri amori mai avrei riprovato ciò che avevo provato con Marcella, non avrei mai potuto ritrovare quelle emozioni e sensazioni, la mia vita era legata ormai in modo indissolubile con lei e solo con
lei avrei continuato a vivere la mia vera vita, sarebbe forse stato facile vivere e prendere la dolce giovinezza di Maria, ma sicuramente nella mia mente e nel mio cuore niente avrebbe mai sostituito Marcella, ripensai anche alla stranezza della vita a come il
destino molte volte percorra strade lunghissime per poi farti ritrovare ogni cosa in un
attimo, per me quell’attimo furono un giovane corpo caldo, dei baci quasi rubati ed
uno sguardo profondo come il mare, giunsi all’aeroporto e quando l’aereo si alzò, una
parte di me rimase per sempre in quell’isola meravigliosa, in fondo a dei meravigliosi
occhi neri, in tutte queste mie parole manca solo una cosa la descrizione del corpo di
Maria, era bella come un sogno, che preferisco ricordare come tale ed a cui non sarebbe giusto dare un corpo, i sogni cessano di essere tali quando prendono corpo ed a quel
punto possono solo cadere come le nostre illusioni.
Al mio rientro ritornando nel solito ambiente, anche tutte le tensioni tornarono sino ad
una sera che Marcella mi disse “non posso vivere con meno di quello che hai saputo
darmi sino a ieri o torna tutto come prima o è meglio lasciarci”, quella notte rividi tutta
la mia vita e che non potevo rinunciare ne a Marcella ne al mio amore per lei, al mattino dopo le feci arrivare un mazzo di rose, era la mia risposta lentamente ricominciai a
ricostruire un tassello dopo l’altro l’amore e tutta l’esistenza passata, tornò la passione
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ed il sorriso, il rivedere con gli stessi occhi la vita, vi erano ancora dei sussulti della
nostra crisi, ma ora non avevo più dubbi non avrei mai potuto provare nulla senza di
lei, la mia esistenza era da sempre legata a lei e lo sarebbe stata per sempre, ritrovai
anche la cosa più importante “me stesso”, avevo ritrovato tutti i miei valori, le mie
convinzioni ed anche tutta la forza e la volontà dei miei 20 anni, nulla era cambiato
dentro di me era solo nascosto dal buio del mio orgoglio ferito e dalle amarezze provate, le ferite subite si sarebbero trasformate con il tempo in cicatrici ed anche se i
segni sarebbero rimasti per sempre come tristi ricordi, tutto questo avrebbe poi fatto
parte del bagaglio della mia esistenza, una esistenza cambiata profondamente ma che
era sempre stata e sempre sarebbe stata dedicata a lei.
Andai un mese a Milano, sentendo fortemente la sua mancanza, una sera rientrai in
albergo ed il portiere mi consegnò un mazzo di bellissime rose rosse, ricordando che le
sere precedenti non ero uscito con loro i colleghi iniziarono a fare battute, dicendomi
che la sconosciuta doveva essere veramente innamorata e soddisfatta se mi aveva addirittura mandato dei fiori, aprii il biglietto feci un sorriso felice erano di Marcella, scriveva tutto il suo amore per me, nessuno volle credermi per loro era impossibile che
esistesse ancora un amore così intenso dopo 22 anni, come sempre loro non potevano
sapere che era proprio quella parola “impossibile” a fare in modo che tutto ciò fosse
vero.
Andai anche due settimane a Roma e questa volta la lontananza fu veramente un tormento, alla sera volevo solo sentire la sua voce e volevo mi richiamasse dopo che si
era messa a letto mi sembrava di esserle più vicino, quasi mai riuscii a dormire il pensiero che potesse avere bisogno di me, si trasformava sempre in angoscia e l’angoscia
in malinconiche poesie d’amore, anche i regali tornarono ad essere frequentissimi
come nel passato, nel frattempo a mia sorella nacque la terza figlia Noemi.
Nel mio lavoro, pur andando per molti anni dagli stessi clienti, non parlavo mai della
malattia di Marcella, non mi vergognavo certo della cosa ma non volevo in un certo
senso avere magari dei trattamenti di favore per quella ragione, i nostri rapporti dovevano sempre essere improntati alla più completa professionalità, con molta cortesia
quasi amicizia con alcuni ma sempre con imparzialità assoluta, pensate che sono stato
il tecnico del giornale “La Stampa” per quasi 20 anni e mai ho voluto l’abbonamento
al giornale e nemmeno passavo prima di uscire a ritiralo, avevo colleghi che passavano
apposta, solo un anno il centralinista mi fece avere l’abbonamento e quando l’anno
dopo cessò, mi disse perché non l’avevo avvertito gli ricordai che non lo volevo, molti
clienti compreso molti giornalisti sapevano di noi solo quando ci incontravano per
strada, un giorno uscendo da casa ci imbattemmo nella segretaria dell’avvocato
Agnelli apparentemente non ebbe reazioni, ci salutammo e lei attraversò la strada dopo
qualche giorno andai nella villa in collina dell’avvocato, aveva chiesto ma non aveva
saputo molto, quando arrivai sorridevo in attesa di una sua domanda che arrivò di li a
poco, mi chiese di Marcella gli spiegai a grandi linee la cosa dicendo che malattia
aveva, ne aveva parlato anche ad altri e mi disse “ e lei ha ancora il coraggio e la forza
di sorridere alla gente come noi complimenti”, sempre sommariamente gli dissi che la
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cosa importante era tornare a casa ed avere Marcella che mi attendeva, non parlammo
mai più della cosa.
Voglio solo fare un pensiero veloce di una persona Edoardo Agnelli, andai da lui
diverse volte, ma non voglio raccontare oltre di una persona che mi è rimasta nel
ricordo per la sua grande solitudine che leggevi chiaramente nei suoi occhi.
In tanti anni non eravamo mai riusciti a far togliere a mia suocera un armadio che era
in camera nostra, anche perché ogni volta Marcella rinunciava, ora però non si poteva
più rimandare, aveva bisogno di un posto dove stare specialmente di pomeriggio, non
poteva stare a letto tutto il giorno, iniziarono di nuovo le liti e Marcella era di nuovo
pronta a lasciar perdere, come ho sempre detto qualsiasi cosa aiutasse Marcella doveva
diventare un obbligo, non per sua madre secondo lei poteva stare a letto tutto il giorno,
dissi a mia suocera che se entro una settimana quell’armadio non se ne andava ce ne
saremmo andati noi, fui irremovibile anche con Marcella, lei sarebbe venuta via con
me e non era una richiesta, mia suocera forse si fece qualche conto in tasca e decise di
togliere l’armadio e noi mettemmo un divano, al mattino stava sulla carrozzina poi al
pomeriggio sul divano, quando io arrivavo dal lavoro la mettevo a letto vicino a me e
dopo cena si metteva di nuovo sul divano sino a sera tardissimo, poteva almeno appoggiare la testa, avere la schiena più sostenuta in modo da non stancarsi troppo ed
anche per aiutare la respirazione.
Prendemmo anche una gatta questa volta tigrata, era molto paurosa ed anche un poco
solitaria, ma riusciva comunque a riempire la nostra vita con il suo zampettare per casa, durante le ferie ricominciammo ad andare sulle dolomiti, tra noi tutto tornò lentamente alla normalità, anche i suoi lenti e piccoli peggioramenti continuarono con la
stessa regolarità, non avevamo mezzo di contrastarli potevamo solo ridurre le privazioni che ci dava, nel lontano 1971 le avevo regalato quella fedina, con la promessa che
un giorno le avrei regalato qualche cosa di più importante, vi erano stati moltissimi regali di valore, ma ora era giunto il momento di fare quel regalo, le regalai un anello di
brillanti con al centro un rubino, era anche il segno che tra noi erano definitivamente
passati tutti i dissapori , andammo a cena in una trattoria di amici e le donai quel segno
che aveva atteso a lungo, non tanto per il valore ma per cosa rappresentasse, vidi nei
suoi occhi passare tutta la nostra vita, una vita difficile ma anche felice, che solo per
un breve tratto non era stata percorsa tenendoci per mano, ed ora potevamo di nuovo
incamminarci verso il nostro destino, cosa ci attendeva ancora non lo sapevamo ma
una cosa era certa le mani che si stavamo stringendo non si sarebbero mai più riaperte,
la vita aveva cercato di toglierci la cosa più bella il “nostro amore”, non vi era riuscita
e non vi sarebbe riuscita mai più.
In primavera ed in autunno andavamo al mare, a Miramare di Rimini o in Versilia, due
luoghi decisamente diversi ma ambedue molto belli in quei periodi poi regnava una
grande tranquillità, a Miramare quando tornavamo vi era una grande famigliarità anche i negozianti ci riconoscevano ed era quasi come tornare a casa, la Versilia decisamente con un fascino notevole, le stupende città Toscane e tra tutte Lucca una vera
perla incastonata e protetta dalle sue mura, entrare in centro era come sentire il profumo di un mondo passato ma mai dimenticato, una città che è entrata nei nostri cuori e
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che vi rimarrà per sempre e poi le meravigliose Apuane, portai Marcella in una località
quasi sconosciuta sopra Carrara, Campo Cecina passammo in vari paesini e giungemmo a destinazione, la feci scendere e quando si girò rimase senza parole eravamo circa
a 1600 metri di altitudine, sotto di noi vi erano le cave di marmo, la città sembrava
quasi spegnersi e sfumarsi, il candore del marmo e poi tutto un susseguirsi di colori
sino al mare, l’unico limite era dato dalla nostra vista, il tutto era accentuato dal totale
silenzio in cui eravamo immersi, uno scenario che ci tolse letteralmente il respiro,
nonostante vi fossi già stato le sensazioni si erano rinnovate come se fosse la prima
volta, non ci si può mai abituare a simili bellezze e forse anche perché viste per la
prima volta con lei, ti entrano e ti scavano dentro, ritrovi sensazioni dimenticate, ritrovi te stesso con una gioia così intensa che diventa malinconia, un groppo ti prende alla
gola e quasi le lacrime ti salgono dal cuore, mi accorsi che senza volerlo parlavo piano
quasi a non voler disturbare quella pace con degli inutili suoni e stupide parole, il mio
desiderio sarebbe un giorno di rimanere in quei luoghi, dimenticare ed essere dimenticato dal mondo per sempre, scendemmo lentamente verso la città senza parlare perché
solo il silenzio era l’unico vero commento.
Un’altra ragione che ci portava in Versilia era anche il poter andare al cimitero di
Carrara dove erano sepolti i miei nonni, ma in particolare la mia bisnonna, una persona
dolcissima sempre pronta ad aiutarti, per qualsiasi cosa era lei il punto di riferimento,
le mie innumerevoli sbucciature su cui lei metteva lo zucchero per formare la crosta, il
consolarti dopo una sgridata, il suo prepararti la merenda, pane con l’olio ed il sale e
qualche volta anche un pizzico di prezzemolo e tutto sempre con quel suo dolce sorriso, ma la cosa più bella era quando infilava una mano nella tasca del grembiule e
quasi di nascosto dagli altri ti dava “le scarpette “, dei pezzetti di liquirizia con varie
forme e ti sussurrava non dirlo agli altri a te ne do di più, magari non era vero ma ti
faceva tanto sentire speciale, ora dopo tanti anni il cambiare i fiori e il mettere ordine
era per me come porgere a lei quelle minuscole scarpette di liquirizia ed il ricevere in
cambio una carezza sul viso da quella mano sottile e rugosa che ricordavo e che rimpiangevo, ho sempre sentito la sua presenza accanto a me e nei momenti difficili mi
era sempre bastato pensare a lei per sapere cosa dovessi fare, persino Marcella sapendo questo nel periodo della nostra crisi mi aveva detto di pensare e chiedere consiglio
a lei, cosa che feci quella notte in cui presi l’unica decisione possibile.
Pochi giorni dopo la morte di Marcella pensai alla mia bisnonna e tra le lacrime dissi
ad alta voce “nonna ora ti affido Marcella, pensa tu a lei sino al giorno che saremo di
nuovo insieme, solo tu puoi darle quello di cui sempre ha avuto bisogno l’amore”.
Dovetti di nuovo fare un intervento al ginocchio questa volta al menisco, organizzai
ogni cosa per fare tutto in giornata, arrivai a casa per pranzo, Marcella mi attendeva
felice come sempre del mio ritorno, le chiesi se avesse mangiato mi rispose di no, come al solito non avevamo nessun aiuto, reggendomi sulle stampelle preparai il pranzo
e l’aiutai a pranzare, non potevo fare tutto per lei quindi avevo preso un aiuto per il
giorno ed una infermiera per la notte, finalmente ci coricammo vicini era bello tenerci
per mano dopo ogni difficoltà, l’infermiera si era sistemata su di una poltrona in cucina, nella notte Marcella la chiamò per andare in bagno, le mise giù le gambe dal letto e
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fece per alzarla, persero l’equilibrio balzai immediatamente dal letto con il ginocchio
dolorante, non capisco ancora oggi come feci ad essere così rapido nel fare il giro del
letto, afferrai Marcella prima che cadessero, il resto della notte la passammo bisbigliando e ridendo ogni volta che aveva bisogno di qualche cosa, per non far sentire
all’infermiera e magari volesse aiutarci non volevo corresse di nuovo dei pericoli, al
mattino le dissi che non avevamo più bisogno di lei, non voleva che la pagassimo
comunque il tempo lo aveva perso quindi saldammo il costo di quella notte, come
avevo sempre sostenuto era meglio che facessi sempre tutto io.
Un’altra cosa abbastanza spiacevole accadde per la prima volta in quel periodo, come
ho già detto Marcella ora non poteva più muovere le mani, la portavo in bagno e per
non farla scivolare lateralmente avevo fatto una specie di fodera al coperchio del water
in questa fodera nella parte esterna avevo fatto come due cilindri semiduri, in questo
modo lei rimaneva come incastrata e non scivolava, la lavavo ed altro, quando invece
doveva fare altro dopo averle messo la peretta di glicerina nel letto la portavo in bagno, ma quella volta dopo averla portata in bagno non riusciva proprio, vedevo nei
suoi occhi il disagio aumentare insieme ai dolori del non riuscire a liberarsi, continuava a dirmi e adesso come facciamo, le risposi ti aiuto io ma non voleva, non potevo
certo trovare in poco tempo un aiuto, alla fine gli dissi smettila e faccio io, misi i guanti della crema sulle dita e mi abbassai appoggiando la mia guancia contro la sua, lei
pensò ad un gesto di tenerezza per toglierle il disagio, ma in verità era per non far vedere anche il mio disagio, quando tutto fu finito come al solito la portai a letto nella
nostra solita posizione e lei mi fece una domanda, "cosa devi ancora farmi ??". Non
avevo risposte se vi fossero state altre cose le avrei fatte sicuramente, ma non sapevo
cosa potesse ancora esserci, capitò molte altre volte lo stesso problema, ma non provai
mai più fastidio, anche se quel gesto di tenerezza vi è sempre stato e il considerarla
sempre e comunque la donna più bella del mondo, del resto non penso che se fosse
stato fatto da altre persone il suo disagio potesse essere minore visto che io conoscevo
ogni più piccola parte del suo corpo da tantissimi anni.
Una sera di tanti anni fa, non ero di servizio ma mi telefonarono per un problema in un
ospedale, era il reparto di oncologia infantile, il telefono non funzionava, stavo cercando di capire il problema ed ero inginocchiato, sentii una presenza accanto a me mi girai e vidi un bambino completamente senza capelli e gli occhi leggermente incavati,
ero inginocchiato ma era comunque più piccolo di me, guardava incuriosito da ciò che
stessi facendo, l’infermiera gli disse di lasciarmi lavorare, ma visto che non dava nessun fastidio lo lasciò accanto a me, rispose solo al mio ciao ed a nessun’altra domanda, mi guardava e basta, mentre io cercavo di spiegargli cosa stessi facendo. Riuscii a
riparare provvisoriamente il problema, il mattino dopo tornai per sistemare tutto definitivamente e lui di nuovo tornò ad osservarmi, ma sempre solo con un ciao ed un
sorriso sforzato.
Notai che accanto a quasi tutti gli altri bambini vi era un famigliare, chiesi al personale
che a grandi linee mi spiegarono, che ormai era in fase terminale ed i genitori avevano
avuto quasi un rifiuto di tutto ciò che stava accadendo e quindi non andavano quasi
mai. Nei giorni successivi con delle scuse passavo in quel reparto, ma lui sempre e so64
lo con quel ciao e quel leggero sorriso, vi era una specie di dignità in lui che rifiutava
ogni altro rapporto. Poi per vari motivi passarono giorni forse settimane ed un giorno
trovandomi in quel ospedale salii nel reparto, ma questa volta lui non venne a dirmi
ciao, chiesi al personale la malattia aveva vinto, volevo chiedere se alla fine i genitori
fossero stati accanto a lui, ma non ne ebbi il coraggio, ma ricordai sempre la dignità e
la forza di quel bambino.
Cosa vorrei chiedere per il futuro ????? non posso chiedere che nessun bambino si
ammali di certe malattie, sarebbe oltre il miracolo, ma che nessun bambino debba
trovare in certi momenti un rapporto in un “ciao” verso uno sconosciuto.
Alla fine di quell’anno a Rossana la moglie del mio collega Paolo, venne diagnosticato
un tumore maligno, era incurabile potevano solo rallentare il male, avevano una figlia
molto giovane Monica e ciò le diede la forza per combattere ancora di più, le stavamo
vicini il più possibile in special modo Marcella, non passò giorno che non si sentissero
anche se magari solo con una telefonata, la operarono e fece tutte le terapie, un altro
amico propose loro di provare una cura alternativa in Germania, ci dissero che anche
per la sclerosi multipla potevano aiutarci ad avere meno problemi collaterali, andammo tutti e quattro, dopo due settimane tornammo era migliorato solo l’umore.
Marcella ormai poteva solo più muovere un poco la mano sinistra, per poterle permettere di telefonare feci una scatoletta sottile con all’interno un pulsante molto morbido,
un microfono ed un altoparlante, quando uscivo le appoggiavo la mano sulla scatoletta
e lei con una leggera pressione del dito sul pulsante poteva chiamarmi senza che dovesse fare altro, poi con una leggera pressione chiudeva la chiamata, quando invece
ero a casa e voleva fare le sue telefonate a volte lunghissime, le mettevo una cuffia e le
facevo il numero di telefono.
Per i nostri 25 anni di matrimonio andammo in Sardegna, a Santa Teresa di Gallura,
era la prima volta che Marcella prendeva l’aereo mise i cerotti per paura di soffrire il
mal d’aria, girammo moltissimo, quel mare meraviglioso ed anche molto impetuoso, le
rocce modellate dal vento non smettevano di stupirci, tutto era meravigliosamente
bello, anche se erano passati molti anni era il nostro viaggio di nozze e come una
coppia in viaggio di nozze erano anche le ore che passavamo in camera, al ritorno in
aereo non mise più i cerotti ed andò tutto bene, rimase entusiasta di quel viaggio ed
anch’io e non solo del viaggio.
Una sera improvvisamente gli venne la tachicardia, le pulsazioni erano velocissime e
non accennavano a diminuire, andammo quindi in pronto soccorso misero Marcella in
una stanza in attesa della visita e l’infermiera mi disse di uscire, risposi che sarei uscito solo con Marcella, dopo due ore il medico si accorse che non era stata segnalata
l’urgenza, le fecero una endovena per rallentare le pulsazioni e dovevano fare un ECG
per vedere dei parametri nel momento dell’endovena, non avevano abbastanza carta e
quindi cercarono di sincronizzarsi ma non vi riuscirono, quando andammo al centro
per le aritmie i medici continuavano a non capire l’ECG, continuavano con le varie
ipotesi per fortuna ero presente in pronto soccorso e gli spiegai cosa era accaduto,
quindi conclusero che era una tachicardia parossistica quindi non importante.
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In quell’anno mori anche Rossana, Marcella ne risenti molto ed anche questo non
l’aiutava ad affrontare la sua malattia.
Il vantaggio di esserci sposati prima civilmente e poi religiosamente era anche di avere
due anniversari, per il 25 anni di matrimonio religioso andammo a Malaga, non potevo
organizzare tutto quindi mi rivolsi ad un tour operator molto conosciuto, facendo
presente i nostri problemi arrivammo che era quasi notte, trovammo un pullman che
attendeva noi e altri, era un pullman normalissimo e quindi caricare Marcella non era
agevole tra gradini e corridoio stretto, gli uffici per noleggiare un’auto erano ormai
chiusi non mi restò che caricare Marcella, parte in braccio e parte quasi trascinandola,
in più Marcella continuava a ridere per la scena facendo ridere anche me, dicendo che
mi mancava solo la clava, ricordando gli uomini preistorici, la camera poi non era
l’ideale, ma per risolvere il problema bastò una mancia (in spagna è l’unica cosa per
risolvere i problemi velocemente) e ci diedero subito un’altra camera, il giorno dopo
contattando la rappresentante del tour operator noleggiammo un’auto e iniziammo le
nostre gite, il veder ballare il flamenco poi trasmetteva veramente una grande sensualità, di tutti i posti che abbiamo visitato il più bello è stato sicuramente Ronda, un paese
dove tutto è mescolato quasi con sapienza, la cultura cristiana e quella araba, il panorama dolce e piatto da una parte e gli strapiombi con le case sino sul bordo dall’altra,
molto meglio che essere su di una terrazza, i negozi e la loro simpatica disponibilità,
capisco perché scrittori come Ernest Hemingway e Orson Welles amassero così tanto
quel luogo ed infatti ad Orson Welles è intitolata una stupenda passeggiata proprio
dove lui passeggiava ogni giorno.
Quando eravamo partiti da Malpensa appena arrivati in aeroporto ci avevano messo
immediatamente a disposizione del personale ed anche i bagni erano decisamente molto puliti, il giorno del ritorno ci recammo all’aeroporto di Malaga, non solo non vi era
nessuna assistenza ma i bagni erano veramente sporchi, faticai a trovarne uno da poter
fare entrare Marcella, in più la torre di controllo di Malaga non aveva avvertito del nostro arrivo a Malpensa era ormai notte e visto che non erano previsti arrivi con problemi, il personale era andato via, dovettero quindi contattare i reperibili a farla breve
rimanemmo sull’aereo più di un’ora con il personale di bordo che non poteva andarsene e lasciarci soli, nel frattempo i nostri bagagli erano stati ritirati rimanendo molto
tempo sul nastro trasportatore, finalmente sbarcammo ed il personale si mise immediatamente a disposizione, pensarono loro a recuperare i bagagli ed anche quando andai a
prendere l’auto rimasero con Marcella.
Marcella voleva di nuovo fare un viaggio in aereo e le sarebbe piaciuto andare a
Tenerife, un’isola delle Canarie, naturalmente aggiungeva che non poteva farlo per le
troppe ore di volo e troppo lungo il tempo dopo che eravamo usciti da casa, che si
stancava troppo, quel “non poteva” proprio non lo digerivo, le dissi che avevo organizzato un altro viaggio in Spagna (non era una bugia, le Canarie sono in Spagna), mi
rivolsi questa volta ad un altro tour operator meno conosciuto ma che mi erano sembrati più sensibili a certe esigenze, dissi che saremmo partiti di sera come la volta
precedente, avevo invece prenotato un albergo nelle immediate vicinanze dell’aeroporto, quando mi infilai nel cortile dell’albergo mi chiese dove stavamo andando, risposi
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che partivamo nel primo pomeriggio del giorno dopo, era veramente un bell’albergo
con un bellissimo parco e l’ingresso era praticamente la struttura in ferro della vecchia
stazione ferroviaria, passammo la notte e pranzammo nell’albergo, a me passò subito
la fame, per fortuna a Marcella invece no, lei non aveva visto i prezzi. Andammo in
aeroporto e solo al momento dell’imbarco capì dove stavamo andando, aveva un’immensa gioia negli occhi, anche se un poco di timore per le ore di volo, le consiglia di
andare in bagno prima della partenza e partimmo, mi aspettavo quasi gli stessi problemi di Malaga invece fu tutto perfetto, gli addetti ci attendevano e rimasero con noi
sino all’uscita e rifiutarono la mancia, avevo prenotato un ‘auto ma comunque il
personale del tour operator era venuto in aeroporto con un furgone attrezzato per la
carrozzina. Anche qui non ci fermammo mai, il Pico de Teide la più alta montagna
della Spagna, di origine vulcanica come del resto tutta l’isola, dove è stato girato il
film “il pianeta delle scimmie”, Loro Parque con i suoi continui spettacoli e dove
appena arrivavi ti facevano mettere in prima fila, facendo spostare gli altri nelle file
dietro, allo spettacolo dei delfini le persone in prima fila non volevano spostarsi, feci
capire al personale che non era importante, Marcella si metteva di fianco ai sedili ed io
nella fila dietro, furono categorici o si spostavano facendo posto anche a me di fianco
a Marcella o non sarebbe iniziato lo spettacolo, quindi si spostarono con grande disappunto, non quanto il mio quando mi accorsi che erano italiani, vedendo poi una persona in carrozzina gli addestratori dei delfini facevano salire i delfini praticamente contro i piedi di Marcella, ma tutta l’isola era totalmente accessibile agli invalidi e capivi
che non era una cortesia dovuta, ma una normale cortesia.
Unica nota negativa fu che a Marcella vennero dei dolori, non fortissimi ma continui,
le gambe a volte le saltavano improvvisamente, capimmo poi il perché, la persona del
tour operator era molto giovane, italiano e faceva il calciatore ma poi aveva avuto problemi alla schiena con dolori molto forti, aveva girato mezza europa ma nessuno aveva
mai trovato una cura, sino al giorno in cui conobbe un medico olandese che gli parlò
di quest’isola, ci raccontò che passata la prima settimana di peggioramento tutto era
passato ed ora erano anni che non aveva più problemi e che il merito era del vulcano
che era comunque in attività e che alle porte di Tenerife vi era proprio una clinica per
la Sclerosi Multipla gestita dai dei medici olandesi. Partimmo dopo due giorni ed
anche alla partenza fu tutto perfetto, nemmeno il disbrigo dei biglietti e del posto di
polizia, tutto fu semplificato al massimo, salimmo sull’aereo ed appena l’aereo prese
quota a Marcella sparirono tutti i dolori.
Le piaceva molto stare vicino al finestrino perché poteva vedere tutto farsi estremamente piccolo, di notte poi era sicuramente più suggestivo le luci che molte volte
sparivano sotto le nuvole per poi riapparire improvvise e con altre forme, forse era
anche una rivincita che avveniva ogni volta verso la vita, non le ho mai chiesto a cosa
pensasse in quei momenti, cosa pensassi io lo conosco molto bene, la tenevo per mano
e questo mi sarebbe bastato, perché nel caso tutto sarebbe finito insieme e tenendoci
per mano, cosa lo capite sicuramente, almeno lo spero.
Qualche persona potrà pensare che visto i viaggi ed altro, forse dovevamo aver vinto
almeno una lotteria, il mio stipendio era aumentato e la pensione con l’assegno di
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accompagnamento di Marcella, ci aveva fatto raggiungere una certa tranquillità economica, ma era tutto anche il frutto di determinate scelte, anni prima avevamo intenzione
di comprarci un alloggio, voleva dire fare prestiti ed un mutuo, Marcella era già ammalata e cosa ci sarebbe servito affrontare altri sacrifici e privazioni, quando avessimo
finito di pagare Marcella come sarebbe stata, cosa poteva offrirgli la vita a quel punto?
Era meglio vivere subito, minuto per minuto, che non dire poi lo faremo, con i suoi
peggioramenti non facevo più nemmeno il secondo lavoro, non ci è mai interessato il
capo firmato, ma cosa potesse stare bene una volta indossato, come dicevo mi piaceva
molto comperarle della biancheria provocante e non era importante fosse firmata, la
firmavo io con la mia gioia nel vederla su di lei ed anche l’auto era scelta per cosa
dovesse servire e non in base ad altri criteri, negli ultimi anni in cui andavo dall’avvocato un giorno ero in garage con gli autisti, ci conoscevamo ormai da tanti anni e uno
di questi scoprì una ferrari era bellissima, mi disse è bella ti piacerebbe averla ?? Gli
risposi ridendo “certo mi piacerebbe guidarla ma averla no,primo costa troppo mantenerla e secondo dove metto la carrozzina di Marcella”.
Sapevo che quando facevamo un viaggio, pur pagando subito, il costo doveva poi
essere in un certo senso spalmato nei mesi successivi, ho sempre avuto questa mentalità anche a 20 anni e questo mi ha permesso di farle sempre dei regali e non solo nelle
ricorrenze, anzi più erano inaspettati più erano belli, non era il loro valore ma cosa dovevano rappresentare, in quanto a mentalità la prima cosa che ho fatto dopo il matrimonio è stata un’assicurazione sulla vita con beneficiaria Marcella, assicurazione che
ho mantenuto dal 30 settembre 1974 al 30 settembre 2010.
Sua madre soffriva da molto tempo di diabete e trigliceridi alti ma non aveva mai
voluto fare una dieta e mangiava di tutto, per poter tenere dei dolci dovevamo tenerli
nel nostro guardaroba chiuso a chiave, ma non potevamo certo tenere tutto chiuso,
anche la frutta che lei mangiava a chili ed un giorno ebbe un ictus, la portai in ospedale e dopo 15 giorni la dimisero che camminava con difficoltà, prese una persona per
farsi aiutare ma faceva molta attenzione che non aiutasse Marcella, dopo qualche mese
riuscì a riprendere una certa autonomia anche se con il bastone, se ripenso che quando
la nonna di Marcella aveva avuto problemi, andavo io in ospedale a fare tutto ed era
giusto del resto già nel 71 diceva sempre che ero suo nipote, ma comunque aveva una
figlia che stava benissimo visto che parlo del 90 ed il giorno che è morta in ospedale
mia suocera era talmente intenta a parlare con gli altri che nemmeno se ne era accorta,
ero ai piedi del letto, le vidi fare un sospiro più forte e se ne andò forse è stato per
quello che tutte le persone nella camera fecero le condoglianze a me e non a lei, ma
non aggiungo altro..
A giugno 2001 la malattia ci fece una sorpresa inaspettata, inaspettata perché mai
nemmeno immaginata, stavamo facendo all’amore e Marcella quasi urlò smetti subito,
improvvisamente il suo corpo veniva come attraversato da scosse elettriche, come se
fossero attacchi epilettici ma senza perdere conoscenza, ho sempre detto che è una malattia crudele, perché tortura lasciandoti sempre conscio di ciò che ti accade, iniziò
delle cure ma senza risultato, ad agosto le venne la febbre molto alta, non aveva quasi
mai la febbre e visto che non passava dopo 10 giorni la ricoverarono, provarono diver68
si tipi di antibiotici senza risultato, la febbre diminuiva mentre faceva la fisiologica per
poi tornare come prima, durante i molti controlli quasi per caso si accorsero che aveva
una massa dietro al peritoneo, pensarono subito ad un tumore ed a me crollò il mondo
addosso, non era possibile fare una biopsia vista la posizione, naturalmente stavo con
lei giorno e notte, uscivo solo quando arrivava qualcuno e solo per sistemarmi poi tornavo da lei, di notte mi appoggiavo al letto e magari mi addormentavo, il personale
passando mi metteva a volte una coperta sulle spalle. Per fare altri accertamenti dovevamo aspettare la settimana successiva ed andammo a casa per due giorni, come sempre trovò da parte di sua madre la solita accoglienza e dopo essere andata dal parrucchiere volle tornare in ospedale, gli accertamenti ci diedero una qualche tranquillità
secondo loro non era una massa tumorale ma bensì una probabile ciste, ci consigliarono di tenerla sotto controllo, raccontai a Marcella cosa era accaduto quando mi avevano detto cosa potesse essere e quanta fatica avessi fatto a rimanere calmo, la dimisero
con la diagnosi di una sospetta infezione delle vie urinarie, con una piccola piaga che
le avevano provocato l’unica volta che le avevano messo loro la padella e naturalmente con la febbre per cui era stata ricoverata, due giorni dopo andai a ritirare le lastre
fatte poco prima della dimissione e nel referto riferivano un versamento pleurico, che
non era presente al ricovero, probabilmente il continuo stare a letto non aveva giovato,
telefonai arrabbiato al medico del reparto dicendo che avevano dimesso un paziente
con un versamento pleurico e questi mi consigliò di riportarla da loro ma rifiutai,
d’accordo con il mio medico curante Marcella inizio a fare di nuovo le flebo di fisiologica a casa e dopo quasi un mese la febbre iniziò a scendere e le scosse in proporzione iniziarono a tornare, sparita la febbre le scosse erano a tempo pieno e provocavano anche un senso di soffocamento. Io avevo ripreso il lavoro e quando Marcella mi
chiamava volavo letteralmente a casa. Era agosto, visto il periodo era difficile trovare
un neurologo, chiamai molte volte in ospedale proprio nel centro che si interessava
della Sclerosi Multipla per avere assistenza, facendo presente che abitavamo di fronte
e che appena la muovevo iniziavano le scosse ma nessuno era disposto a venire la solita risposta la porti qui, dopo l’ennesima telefonata il centralino mi passò un altro
reparto di neurologia, mi rispose la segretaria del primario dicendo che mi avrebbe
fatto richiamare non vi speravo, era ora di pranzo e il professore telefonò gli spiegai la
cosa e dopo dieci minuti era li, era un uomo imponente non si avvicinò nemmeno a
Marcella si mise ai piedi del letto ed alzò improvvisamente la voce e subito arrivarono
le scosse, lo fece un paio di volte e tutte le volte Marcella diceva che si sentiva soffocare, il professore divenne immediatamente rassicurante dicendo se dice che si sente
soffocare vuol dire che sta respirando, stia tranquilla non è niente adesso vado di là
con suo marito e vedrà che con il medicinale che le prescrivo in pochi giorni passerà
tutto, mi spiegò che in effetti era un disturbo simile all’epilessia e ci diede il medicinale per l’epilessia, dopo due giorni Marcella stava decisamente meglio anche se non era
passato tutto ma stava meglio.
Dopo circa un mese il reparto dove era stata ricoverata per la febbre chiamò chiedendoci di andare a fare un controllo per poter chiudere la cartella clinica, il professore
visitò Marcella e quando scoprii la schiena vedendo i due segni rossi all’altezza delle
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scapole disse con aria saccente alla dottoressa vede questa è un chiaro segno di lesione
da decubito, coprii la schiena lo spostai e dissi alla dottoressa quello è un chiaro segno
della pressione della carrozzina dove è appoggiata, se la tengo sollevata sparisce in
pochi minuti e uscii subito con Marcella da quel reparto.
Avevo notato che le scosse erano iniziate dopo pochi giorni che Marcella aveva messo
delle candelette vaginali prescritte dalla ginecologa, facevamo presente i nostri dubbi
nelle varie visite dai neurologi compresi quelli dei centri per la sua malattia, tutti erano
concordi nel dire che non vi potesse essere una relazione, alcuni azzardavano anche
una battuta che forse credevano spiritosa “non le ha prese per bocca vero??”, restammo con i nostri dubbi, avevo tenuto il nome del medicinale e dopo un paio di anni leggendo in internet il foglietto illustrativo (bugiardino), notai che era cambiato avevano
aggiunto da non somministrare ai pazienti affetti da Sclerosi Multipla, magari a
Marcella le scosse sarebbero venute egualmente anche senza le candelette, ma chi può
dirlo ?, fu un peccato non aver potuto dare per bocca le candelette a certi medici !!
Quando tornammo nelle nostre splendide dolomiti tutto sembrava di nuovo sopito e
lontano, pensammo che anche questa volta ce l’avevamo fatta, avevo comperato una
fotocamera digitale e le foto diventavano a centinaia, appena rientravamo in albergo le
condividevo e commentavo con lei, vi era anche una cosa che attirava Marcella i mercati e i centri commerciali, dicevo sempre che la mia auto era l’unica che mi costava
quando si fermava, partivamo con la macchina carica e tornavamo che facevamo fatica
a salirci, una volta tra le altre cose comperò persino una pattumiera, non una fatta
magari in modo particolare ma una di plastica che trovi ovunque, era un’abitudine che
ha sempre avuto quando andava al mercato o in un centro commerciale doveva
comperare qualche cosa a costo di comprare una pattumiera e questo non solo in ferie.
Mi ruppi nuovamente il menisco, eravamo a casa e stavo aiutando Marcella, mi ero
piegato sulle ginocchia di fronte a lei, quando improvvisamente sentii un dolore molto
forte al ginocchio e mi trovai seduto per terra, non riuscivo più ad allungare la gamba,
conoscevo quel dolore e capii immediatamente che mi ero rotto di nuovo una parte del
menisco, mi chiedeva cosa era accaduto ed io che gli dicevo stai calma non è successo
nulla cercando di controllare il dolore, presi il polpaccio tra le mani e lentamente iniziai ad allungare la gamba sino a che sentii il classico colpo ed il ginocchio si sbloccò,
certo che faceva male ma non potevo rimanere con il ginocchio piegato, finii di sistemare Marcella e misi il tutore.
Ora devo raccontare una parte che dentro di me ha pesato molto e per tanti anni, forse
una parte che non rimarrà magari per sempre in questo racconto ma che devo dire, nei
tanti anni passati in Telecom ho conosciuto molti colleghi ed amici e questo sin dai
primi anni, non parlo di nessuno o quasi ed in questo modo nessuno si sentirà differente da altri ma di questo devo parlare, era un collega siciliano nei tanti anni si era instaurata una forte forma di rispetto, una amicizia discreta tanto che lui non conosceva
Marcella e nemmeno io conoscevo sua moglie ed i figli, quando i giorni di festa passava sotto casa mia qualche volta mi lasciava dei biglietti sotto il tergicristallo della
mia auto (lo facevano anche altri colleghi), quando poi gli dicevo potevi fermarti e
salire, quasi si vergognava dicendo sai non volevo disturbare, un giorno iniziò a non
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stare bene e gli riscontrarono un cancro, lo operarono ed andai diverse volte a trovarlo
in ospedale e lui sempre con quella sua dolcezza che si faceva forza per la sua famiglia, ma purtroppo le cose non migliorarono ed alla fine rimaneva solo aspettare che
tutto finisse, andai anche a trovarlo a casa, ma era doloroso vedere con quanta forza
lottasse e tu sapevi che era tutto inutile, il nostro responsabile parlò con l’ufficio
personale in che modo poter dare un aiuto in più alla famiglia, l’unica possibilità era
che lui si licenziasse ma volevano anche che fosse lui a firmare, lo trovavo una grossa
crudeltà sapendo anche quanto lui fosse attaccato alla nostra ditta, quando ormai erano
diventate solo questione di settimane la figlia venne da noi, per farmi una richiesta,
suo padre non si fidava di nessuno ogni volta che doveva firmare qualche cosa leggeva
tutto fin nei minimi dettagli, la figlia mi disse che io ero l’unico con cui lui avrebbe
firmato senza leggere, visto che per me aveva una vera venerazione ed una fiducia
cieca, il mattino dopo presi le carte in ufficio ed andai da lui, era veramente stanco, gli
dissi che doveva firmare dei fogli per la mutua e lui senza nemmeno provare a leggere
mise le firme dicendomi tu mi manderai in galera, andai in ufficio e quasi gettai i fogli
sulla scrivania del responsabile, dopo una settimana alle 8 del mattino suonò il cellulare era il figlio che mi diceva papà è morto, andai al funerale, la famiglia mi chiese di
essere presente al momento del ritiro delle ceneri ed al cimitero.
Avrei preferito dirgli stai morendo e questo è l’unico modo per dare un aiuto in più
alla tua famiglia ed avrebbe firmato subito, sicuramente si sarebbe spenta subito la sua
volontà di lottare, ma forse sarebbe stato più sereno sapendo di aver aiutato ancora per
una volta la sua famiglia, ma non ero io a dover decidere e dentro di me sapevo che
sicuramente avrebbe voluto quella cosa, ma nessuno si è mai domandato cosa mi era
stato chiesto in quei giorni, non è un peso che mi porto dentro e non mi sento in colpa,
ma avrei preferito non mentire proprio a lui.
Ciao Nino.
Ora scrivo anche di un’altra collega di cui non conosco nemmeno il nome, ma solo per
spiegare come sono fatto, per un certo tempo dovetti seguire mio malgrado le sale da
dove rispondevano le operatrici del 187, anche qui nonostante tutto si era instaurato un
ottimo rapporto, un giorno passando vidi in una sala intenta a rispondere una ragazza,
era arrivata da poco, molto alta con i capelli nerissimi, una bellezza quasi dura come le
bellezze rumene era comunque molto bella, notai subito come fosse seria e non guardasse mai nessuno, chiesi alla responsabile della sala Chiarina di lei, mi disse che era
da loro già da un mese ma non parlava mai, nemmeno con le colleghe, anche nei giorni successivi quando passavo lei era sempre seria, da quel momento ogni volta che
passavo accanto a lei le lasciavo un cioccolatino o una caramella, la guardavo le facevo un sorriso e me ne andavo senza dire nulla, vedevo che prendeva ciò che le avevo
lasciato e lo mangiava, forse si chiedeva anche "ma questo cosa vuole", un giorno le
lasciai un biglietto con queste parole
La donna senza sorriso,
è come un bel fiore senza profumo,
la guardi e poi………….nulla.
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Vidi che leggeva e che questa volta sorrideva, lasciavo comunque i soliti cioccolatini e
caramelle questa volta con un ciao e lei rispondeva con un sorriso dicendomi ciao, per
varie ragioni passò una settimana e quando tornai, la vidi che prendeva il caffè con le
colleghe, era diventato inutile che io passassi da lei, la rividi poi diverse volte per
strada anche con il figlio, scambiavo qualche parola sul suo lavoro e con suo figlio,
non ho mai saputo come si chiamasse, ma non aveva importanza, ora aveva il sorriso
sulle labbra.
Alla mamma di Marcella venne di nuovo un altro ictus e questa volta più serio, dopo
le cure la mandarono in convalescenza ma lei continuava comunque a voler tornare a
casa subito, cercavamo un posto adatto per quando fosse stata dimessa cercando anche
di convincerla che la nostra situazione non era già semplice, disse una frase “io vengo
a casa e Marcella se ne va in un istituto”, Marcella per l’ennesima volta ci rimase malissimo, cercai di dirle che forse era diciamo fuori di testa, anche se i medici dicevano
il contrario, insomma pretendeva che io mettessi Marcella in un istituto e guardassi lei,
Marcella era disposta comunque a farla venire a casa, ma questa volta fui irremovibile
se sua madre veniva a casa ce ne saremmo andati noi, la regione aveva tempi di attesa
di anni e quindi girai molti centri privati, non vi racconto quante tristi realtà vidi, poi
ne trovai uno in collina, un ex albergo trasformato, veramente molto bello dove vedevi
il rispetto verso queste persone, non costava poco ma dissi a Marcella sino a che vi
saranno i soldi di tua madre bene poi ci penseremo noi.
Hai primi di dicembre vi fu la possibilità di andare in mobilità, chiesi al mio responsabile di sentire l’ufficio personale e di mettermi in lista, tra turni, orari sfalsati ed altro
non riuscivo più a gestire la totale immobilità di Marcella, la risposta fu non hai i
requisiti previdenziali, non ero convinto per fortuna poco tempo prima avevo fatto
delle verifiche della mia posizione e secondo il mio giudizio avevo tutto il diritto alla
mobilità, andai all’ufficio del personale ma la risposta era la stessa a questo punto
senza nemmeno un appuntamento andai dalla responsabile, ci eravamo sentiti diverse
volte per telefono, per dei suoi problemi non di lavoro, guardò le mie carte e si convinse che era tutto in regola, mi disse stai tranquillo tu verrai in mobilità con me,
anche lei era ormai stanca di tante cose, venni poi a sapere che non faceva comodo che
io me ne andassi, a questo punto mi concessero anche tre mesi quindi invece di aprile
sarei andato via il primo di gennaio.
Marcella continuava comunque i controlli mammografici, alla fine del 2002 decisero
di farle un ago aspirato per dei sospetti circa un addensamento, la dottoressa non riusciva a farle il prelievo perché il nodulo si spostava e la ragazza che l’aiutava non era
diciamo molto sveglia, gli chiesi se volesse il mio aiuto e mi disse di si, quando con
l’ecografia inquadrò bene il nodulo io tenni fermo il seno con una mano e con l’altra
gli passavo i vetrini, i risultati tardavano ad arrivare finalmente arrivarono alla vigilia
di Natale, andai subito in ospedale il risultato era però sfavorevole si trattava di un
carcinoma, quindi maligno per fortuna ancora agli inizi, andai subito in reparto di
oncologia e trovai la disponibilità di un medico che si fermava apposta per noi, corsi a
casa e Marcella non voleva saperne, diceva che si poteva aspettare, non si rendeva
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conto del problema e nemmeno avevo tempo di spiegarle, gli dissi veramente in modo
brusco “la vuoi capire che è maligno e dobbiamo andare subito”, la vestii senza che lei
dicesse più nulla e dopo mezz’ora eravamo in ospedale, come era prevedibile doveva
operarsi il prima possibile .
Erano i giorni in cui lasciavo il lavoro avrebbero dovuto essere giorni di festa e tanto
per cambiare tutto era rovinato, non ero il solo ad andare via organizzammo qualche
cosa, pochissimi colleghi sapevano di quest’ultimo problema di Marcella, comunque
festeggiammo anche se magari con battute non molto felici sui panini ed altro, gli idioti riescono a crescere ovunque, quando uno giunge alla fine del suo periodo lavorativo
magari lascia perdere molte regole, ma non era il mio carattere la penultima sera bisognava fermarsi per dei lavori, doveva fermarsi Beppe che era stato operato al cuore
non molto tempo prima, se si fosse fermato sarebbe arrivato a casa tardissimo perché
doveva prendere il treno ed era visibilmente ancora provato dai vari interventi, naturalmente i colleghi facevano a gara …. ad andarsene, mi fermai io e dissi Beppe vai a
casa che è meglio, al mattino successivo non volevo segnare gli straordinari lo avevo
fatto per il collega e non per l’azienda, ma il mio capo li segnò comunque consegnai il
tesserino ed attesi la fine dell’orario, avendo cura di non lasciare niente in sospeso,
non dovevo bollare ma non uscii un minuto prima e nessuno fece poi qualche cosa al
posto mio, chiusi la porta alle mie spalle e per sempre.
Il mio lavoro, entrai in Sip poi diventata Telecom nel 1971 avevo 21 anni, ho sempre
dato moltissimo perché ritenevo fosse giusto che una persona dovesse dare tutto ciò
che poteva in particolare con serietà e onestà, sono sempre stato ben voluto da tutti i
colleghi perché hanno sempre saputo chi avevano di fronte e che non avrebbero avuto
mai sorprese dal mio comportamento, nessun collega si è mai sentito rifiutare un aiuto,
molti nuovi assunti hanno sempre trovato consigli e allo stesso tempo protezione e
questo sia a Milano che a Torino, nessuno ha mai dovuto fare il contrario nei mie confronti, non per nulla i colleghi di Torino mi chiamavano “PAPI” papà, eppure pur dando molto non ho mai ricevuto nulla che mi premiasse, ho avuto una sola cosa ieri
come oggi la stima ed il rispetto di tutti i colleghi, quando i clienti scrivevano per
complimentarsi alcuni dubitarono che fossi io a chiedere che lo facessero, non dicendomi nemmeno nulla molte volte qualche cliente mi diceva "pensavo che almeno mi
ringraziasse per la lettera che ho scritto" e leggevo la lettera da loro, ho sempre avuto
una clientela particolare sia a Milano che a Torino e certamente avrei potuto usare loro
per avere certe cose, ma mai ho chiesto a nessuno favori e mi avrebbe dato fastidio
mostrare loro cosa a volte vi era dietro la facciata, amavo comunque il mio lavoro e la
mia azienda e proteggevo la sua immagine, poi vollero anche togliermi dalla circolazione e visto che rifiutavo usarono i problemi di Marcella come ricatto, facendomi
capire che mi avrebbero reso la vita difficile ed andai in centrale interna, tutto il giorno
in un bel posto illuminato che anche se grande era comunque uno scantinato, poi alla
fine al 191 che a parte la gestione dei tecnici e la telediagnosi era comunque il più
delle volte rispondere al telefono, forse molti non sanno che è vero molte volte mi assentavo per correre da Marcella, ma pochi hanno fatto il mio lavoro e recuperavo alla
sera da casa con il computer a sistemare le cose che altri magari non avevano fatto e
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che potevano cambiare la qualità del servizio ed un’ultima cosa in tanti anni molti mi
hanno chiamato a casa, di giorno, di notte e nei giorni festivi, pur recandomi da loro,
non ho mai segnato un minuto di straordinari, lo facevo solo per il collega.
La verità alla fine di tutto è che molte volte i valori vengono ribaltati, non sono i valori
della persona sia morali che tecnici, ma la bravura nel mostrarsi, il clientelismo e il
non aver accanto una persona invalida perché secondo certe mentalità non puoi dare la
disponibilità dovuta, anche se molte volte mi chiedo perché si rivolgevano così spesso
a me, per risolvere i problemi e nemmeno si curavano poi di sapere se erano stati
risolti, la risposta è "perché erano sicuri che erano stati risolti".
Ripeto cosa ho scritto prima “il 31/12/2002 mi sono chiuso la porta alle spalle e per
sempre e non la riaprirò mai più”.
Ora riprendo con cose più importanti, alla fine di gennaio Marcella entrò in ospedale,
visto la particolarità del reparto per la notte misi un’infermiera, al mattino prestissimo
ero accanto a lei, dopo i soliti esami la portarono in sala operatoria, la accompagnai
come al solito sino all’ingresso della sala stessa e rimasi li ad aspettare, dopo un tempo
che mi sembrò interminabile, la vidi uscire ed era molto tranquilla, la portarono in
camera e chiacchierava mentre gli tenevo la mano, anzi diceva di avere fame sentii
improvvisamente la mano divenire inerte, capii subito che qualche cosa non andava,
lei ancora parlava ed io avevo già suonato ed ero dalla caposala dicendo che qualche
cosa non andava, corsi da lei e vidi che stava perdendo i sensi tornai in corridoio e vidi
una allieva infermiera che arrivava lentamente per prenderle la pressione gli urlai
“chiami subito perché se ne sta andando”, per fortuna in quel momento in reparto vi
era una anestesista ed un medico, corsero subito, naturalmente mi fecero attendere in
corridoio sentivo solo i loro sforzi e le loro imprecazioni, ero appoggiato al muro e
quasi trema-vo, poi finalmente sentii che le cose stavano andando meglio quando
l’anestesista iniziò a dire signora torni con noi, in gergo medico aveva avuto “un calo
pressorio importante” e avevano dovuto iniettarle dell’Atropina oltre che rianimarla,
quanto era bello rivederla con gli occhi aperti e che si lamentava della maschera per
l’ossigeno, tutto era stato causato da una incomprensione tra il personale della sala
operatoria ed il personale del reparto, quando erano andati a prenderla il personale
della sala operatoria aveva detto che non serviva mettere la flebo, ma intendevano nel
tragitto sino al reparto ed invece il personale del reparto non la mise nemmeno dopo,
facendo l’anestesia locale vi era stato anche un sanguinamento elevato e quelle erano
state poi le conseguenze.
Marcella stentava molto a riprendersi dall’intervento, spesso aveva dei cali improvvisi
della pressione, dovevo sdraiarla e tenerle le gambe sollevate, senza contare che oltre
alla salute vera e propria vi era di nuovo un problema legato al suo aspetto, come
sempre le facevo le medicazioni e lei non voleva vedere, anche se questa volta il seno
sembrava meno modificato della volta precedente, il taglio era più verso l’ascella e
meno evidente, passarono un paio di mesi prima che si riprendesse quasi totalmente e
come al solito non facevi a tempo a respirare che subito arrivava un altro problema, un
sabato mattina ci telefonarono che sua madre aveva avuto una crisi cardiaca ed era
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morta, per Marcella fu di nuovo un crollo, ritornarono le scosse e aumentammo il
medicinale per farle cessare.
La gatta che avevamo, da quando mia suocera non viveva più con noi si era attaccata
moltissimo a Marcella, aveva un suo carattere solitario ma appena poteva era sulle sue
gambe e quando viaggiavamo era come non averla nemmeno in auto, ogni tanto ci
fermavamo per vedere se stava bene, aveva un carattere dolcissimo anche se un poco
pauroso.
Naturalmente tutto quello che vi era tra di noi continuava regolarmente, i regali, i viaggi, le fotografie, le nostre uscite quasi quotidiane nonostante i gradini sotto casa, la
passione che tornò in modo prepotente anche in lei, forse quell’amalgamarsi in tutte le
altre cose aveva fatto cadere anche le ultime inibizioni ed ora era veramente un concedersi in modo totale, senza tempo e senza pensare a niente, molte volte di pomeriggio
non ci accorgevamo nemmeno che il sole era tramontato e che il tempo era volato
insieme alla luce, si rese anche conto quanto aveva limitato il nostro rapporto in tanti
anni di convivenza con sua madre, ma non rinunciavamo a metterci vicini magari al
buio, tanto non vi era nulla da vedere e da desiderare, era tutto in quel dolce respiro
che sentivo accanto a me, in quel tiepido calore che emanavano i nostri corpi, era tutto
nei pensieri che suonavano nella mente ed era anche nella domanda che anche in silenzio ci ponevamo “sino a quando ?”, forse molte volte era proprio quel pensiero che
scatenava in me il desiderio di ricominciare e mi accorgevo che era veramente un
divorare l’amore, quasi come se fosse l’ultima volta e volevo non perdere nulla di
quello che lei si sentiva di darmi in quel momento, saziarmi sino alle lacrime quasi con
disperazione mista a rabbia.
Una cosa che non ho mai scritto è che avevamo sempre amici che venivano a trovarci,
a Marcella piaceva moltissimo avere gente a cena, sono molto bravo a cucinare ed era
bello vederla felice che nemmeno mi accorgevo della fatica nel preparare ogni cosa e
poi il vedere lo stupore nei suoi occhi quando spuntava sempre qualche nuovo piatto
che lei non aveva previsto, ma anche tutti i giorni mi piaceva vederla mangiare ogni
volta cose diverse era una gioia quando assaggiava e poi diceva ma come hai fatto ?
Mangiava comunque molto poco era sempre stato una sua prerogativa, ma anche se
mangiava poco cucinavo ogni cosa sempre con amore ed entusiasmo.
La nostra quotidiana battaglia continuava, le scosse anche se in forma più lieve erano
sempre presenti, le nostre varie operazioni di igiene e di sblocco, tutto veniva fatto
sempre con naturalezza ed il più delle volte trovando anche una ragione per riderne, il
mio ginocchio che ogni tanto si bloccava, il doverla girare e spostare ogni notte, a
volte non la sentivo subito sino a che lei alzando la voce, riusciva a svegliarmi ma a
quel punto la voce mi arrivava di colpo ed in tutto il suo volume, saltavo letteralmente
nel letto, Marcella molte volte voleva smettere la fisioterapia ma non avevo mai voluto
cedere, lasciavo a lei la conduzione della casa con una signora che veniva tre mattine
alla settimana ed in quelle tre volte concentravo le mie uscite per pratiche o altro.
Questo è un episodio simpatico accaduto in ferie, eravamo in un albergo in Trentino,
Marcella era già totalmente immobile ed io naturalmente le davo da mangiare, le
sistemavo le gambe e le mani, vi era un bambino avrà avuto 5 anni ci osservava molto
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ed un giorno si avvicinò deciso, vidi la madre irrigidirsi pensando a cosa magari
avrebbe detto, guardò in faccia Marcella e chiese, “ma a te chi te mette i pedalini ??”,
tutta la disabilità di Marcella era sono in quello, quanto sarebbe bello che la gente
vedesse sempre la disabilità in quel modo.
Poi di nuovo la malattia cambiò, anzi aggiunse qualche cosa, i bruciori come sempre
tutto improvviso sentiva un enorme calore che faceva quasi lo stesso percorso delle
scosse, partiva da un piede, risaliva tutta la gamba poi scendeva all’altro piede, faceva
poi come un percorso di ritorno e si fermava alla vagina per le scosse ed alle natiche
per il bruciore, iniziò a prendere altri medicinali sempre dello stesso genere ma di tipi
diversi, prendeva tre medicinali diversi tutti per il dolore distribuiti nella giornata,
aumentavamo mano a mano che si ripresentavano i disturbi e questi problemi rimasero
sino alla fine e quando questi ci lasciavano una tregua riprendevamo caparbiamente la
nostra vita, molte volte quando eravamo fuori aveva comunque dei problemi ci
fermavamo, provavamo altre posizioni delle gambe, del busto e comunque avevo
sempre del ghiaccio pronto in caso diventassero insopportabili, la sedevo sul ghiaccio
in un primo momento aumentava il male ma poi lentamente si placava. Quando aveva
i dolori molto forti ed in modo incessante ed andavo in cucina per prendere il ghiaccio
quelli erano gli unici momenti, in cui dicevo a me stesso se era giusto soffrire in quel
modo, se vi era umanità in tutto quello, magari davo un pugno nel muro, ma subito
tornavo da lei con un sorriso cercando di darle tutta la mia forza e la mia dolcezza.
Dopo molti anni, di nascosto comperai tutto il necessario per fare l’albero di natale,
con la scusa della gatta e che dovevo tenere aperta la porta delle scale, chiusi la porta
della camera, portai tutto in sala mentre lei era sul divano guardando la televisione,
montai tutto con molta cura mentre lei mi chiedeva continuamente cosa stessi combinando e mi diceva vieni un poco con me sul divano controllai che fosse tutto perfetto,
alla sera la alzai per andare in cucina e cenare, uscendo dalla camera lei girava quasi le
spalle alla sala, mi chiedeva cosa avessi combinato tutto il pomeriggio, finita la cena
con una scusa andai in sala ed accesi le luci dell’albero, uscendo dalla cucina vide le
luci colorate in sala, ma quando la feci entrare rimase senza parole, da dietro misi la
mia guancia contro la sua e le chiesi “ti piace ?”, sentivo le sue dolcissime lacrime di
gioia che bagnavano la mia guancia, disse solo “grazie tesoro è bellissimo”.
Anche la nostra gatta rimasta 16 anni con noi mori, prima smise di mangiare e poi le
venne una emorragia, ero in cucina e per farla mangiare mi accovacciavo per terra e lei
mangiava dalla mia mano, fece una miagolata fortissima di dolore e mi ritrovai in una
pozza mista di urina e sangue, urlai solo “micia noooo” la tenevo sulle mie mani quasi
inerte soffriva, Marcella era nell’altra camera e mi chiedeva cosa succedesse, corsi da
lei e gli spiegai, ma non volevo lasciare sola la gatta e non volevo spostarla, nei giorni
precedenti avevamo chiamato diverse volte la veterinaria, fatto flebo e altro, le telefonai subito di venire, arrivò dopo qualche ora e mi disse che non vi erano più speranze,
misi una coperta sul tavolo con sopra la gatta e mentre la accarezzavo le fece l’iniezione la gatta si trascinava verso di me, la veterinaria andò da Marcella, la gatta mise il
suo musetto nella mia mano e ci lasciò, anche in questo momento mentre scrivo quel
suo ultimo gesto mi provoca le lacrime
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Marcella sentiva molto la mancanza della gatta, ogni volta che vi erano gatti per
televisione era un continuo chiedermi di prenderne ancora uno, non volevo avevo già
molto da fare e sapevo anche che avrebbe condizionato i nostri spostamenti, come
sempre un suo desiderio diventava poi un mio desiderio, senza dirle nulla andai in un
gattile, stavo guardando i vari cuccioli nelle gabbie, quando mi sentii tirare i pantaloni,
era un gattino rosso, la ragazza mi chiese quale gattino avessi scelto, risposi è lui che
ha scelto me, lo misi nel trasportino e miagolò tutto il tragitto sino a casa, sul pianerottolo lo nascosi sotto la giacca ed entrai, volevo fare come facevo molti anni prima
quando nascondevo le cose, ma era troppo intraprendente e feci appena tempo ad entrare in casa che il suo musetto spuntò dalla giacca, Marcella non sapeva se piangere o
se ridere, come al solito sentii sei sempre il solito pazzo aggiungendo "sarà impossibile che io mi affezioni come alla gatta", si vede che anche per Tommy, è il nome che
poi diede al gattino, la parola impossibile non esisteva come per me, perché tempo
qualche mese si conquistò più dell’affetto che aveva per la gatta. Appena Marcella si
sedeva, era in braccio a lei, quando era sul divano si sdraiava sulle sue gambe, quando
andava a letto immediatamente le si sdraiava accanto e verso il mattino si infilava sotto le lenzuola, aprivo leggermente il braccio di Marcella e lui si metteva con le zampine intorno al braccio e dormiva, non si alzava mai prima di lei, sempre pronto a giocare ed a riportare i giochi per poter poi correre a riprenderli veramente vivacissimo,
tutto sino alla morte di Marcella, dopo è cambiato repentinamente, non gioca praticamente più, non viene nel letto e passa quasi tutta la giornata e tutta la notte sul divano
dove si metteva lei ed alle 5 o al massimo alle 6 mi sveglia piangendo, Marcella diceva che sarebbe stato la mia compagnia un giorno, forse è vero e forse è anche una
ragione per continuare, ma quando a volte si guarda in giro o in piena notte si infila
sotto le lenzuola e dopo aver girato dove dormiva lei, esce deluso e va sul divano
appoggiando il musetto con gli occhi aperti e tristi, niente più di lui scatena tutta la
mia solitudine ed il mio pianto.
Non potevo più rimandare l’intervento al ginocchio, questa volta dovevo rimanere
almeno una notte in ospedale, chiamai una cooperativa specializzata nell’assistenza
domiciliare, nonostante i mie solleciti sino alla sera prima non vennero a vedere
Marcella, quando arrivarono la persona che avrebbe dovuto stare con lei disse che non
se la sentiva, mi assicurarono che comunque il mattino dopo sarebbe stato tutto a posto, andai in ospedale non molto tranquillo ma poi sentii Marcella che mi rassicurò, al
momento di andare in sala operatoria l’infermiera mi chiese come mai avessi scelto
l’anestesia locale al ginocchio invece dell’epidurale, le spiegai che avrei dovuto fermarmi una notte in più e per quale ragione volevo tornare a casa il più presto possibile,
mi fece una carezza sul viso e mi disse che ero eccezionale, l’intervento andò bene a
parte la solita cosa che accadeva sempre anche dal dentista, quando mi fanno l'anestesia, la parte diventa subito insensibile ma tutto passa anche con la stessa rapidità,
quindi a metà intervento quando il male diventò troppo forte mi fecero un’altra
anestesia, telefonai a casa e dissi che era andato tutto bene, ma da come mi spiegò
Marcella anche quella persona non riusciva molto ad aiutarla era più le volte che quasi
la gettava sulla sedia ed a letto che altro, molti amici si erano offerti di venirmi a
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prendere per portarmi a casa, ma al mattino appena mi dimisero non volevo attendere
un minuto in più, chiamai un taxi e andai subito a casa, nel frattempo la persona che
doveva assistere Marcella era andata via, come sempre misi prima di ogni altra cosa a
posto Marcella e poi telefonai alla cooperativa dicendo che dovevo liquidare la loro
prestazione, ma volevo una fattura dettagliata, non si fecero mai più sentire e per
fortuna che era certificata ISO 9000.
Molte volte dicevo a Marcella che era meglio usare la padella invece di andare sempre
in bagno, ma capivo anche il suo desiderio di normalità, non solo dovevo alzarla, ma
dovevo anche abbassarle i pantaloni e le mutandine, mentre la tenevo in piedi con le
sue braccia sulle mie spalle che tenevo ferme con il la mia testa piegata di lato e le sue
gambe bloccate in mezzo alle mie, alla fine dovevo fare tutto al contrario, ma una volta lei ebbe una contrazione alle gambe e le sue braccia scivolarono verso l’alto troppo
velocemente e sentii un suono di ossa rotte, quasi svenne ma poi sembrò fosse passato
tutto e non volle andare in ospedale, dopo due giorni il braccio si gonfiava e diventava
nero, contro la sua volontà la portai e dalla lastra si vedeva chiaramente che era una
frattura composta dell’omero destro, iniziarono a farle delle domande circa come si
fosse rotta il braccio e perché avesse atteso tanto, Marcella visto che erano già quasi
tre ore che eravamo in ospedale aveva difficoltà a rispondere e quindi rispondevo io
per lei, poi capii dove volevano arrivare pensavano che fosse stata maltrattata da me,
gli spiegai ogni cosa ed anche che se volevano parlare con lei dovevano prima distenderla e farla riposare, finalmente si convinsero e decisero anche di fare qualche cosa
per il braccio, fecero una fasciatura assurda che le bloccava il braccio attaccato al
corpo ma il suo busto era quasi una palla, se facevo poi per alzarla scivolava e spariva
come se fosse una tartaruga dentro alla fasciatura ed il braccio si muoveva comunque,
il giorno dopo andai in un negozio di ortopedia e comperai un tutore ed anche una
carrozzina comoda (con il buco), non potevo certo portarla in bagno per certi tipi di
bisogni, dopo tre giorni quando andammo al controllo sostituirono la fasciatura con il
nostro tutore, nonostante le nostre paure l’osso si rinsaldò in meno di un mese.
Con Tommy così vivace non potevamo più fare l’albero, avrebbe riempito la casa con
gli addobbi, feci un’altra sorpresa, mentre lei era intenta a seguire le pulizie io mi
chiusi in camera e mettendo dei chiodini lungo i bordi della finestra, feci una vera e
propria ragnatela di luci multicolori, non avevo lasciato nemmeno un angolo scoperto,
era tutto coperto dalle tende e lei non si accorse di nulla sino al pomeriggio che era seduta sul divano e le dissi chiudi gli occhi, accesi le luci e quando aprì gli occhi brillavano più delle luci stesse, le piaceva che si accendessero e si spegnessero lentamente,
le accendevamo all’imbrunire e rimanevano accese sino a notte fonda, si entusiasmava
e rilassava osservando il casuale accostarsi dei colori. Quando poi nella casualità i
colori divenivano uniformi, penso avrebbe voluto fermare il nostro piccolo mondo con
noi due ad osservare e la mia mano che stringeva la sua, ogni sorriso suo ed ogni sua
lacrima di gioia era il più grande premio che la vita potesse darmi e quindi feci la
stessa cosa a tutte le finestre e balconi della casa ed anche la parete che lei aveva di
fronte mentre mangiava la riempii di luci. Non voleva mai toglierle e molte volte
rimanevano sino a marzo inoltrato.
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Mentre eravamo in ferie mi ruppi di nuovo il menisco e questa volta eravamo in un
centro commerciale, tutto avvenne come quella volta a casa, solo che ora ero per terra
in mezzo agli scafali, Marcella era abbastanza preoccupata nel caso non si fosse sbloccato il ginocchio cosa avremmo fatto ?. Per fortuna il ginocchio si sbloccò, voleva
andare subito via, ma a quel punto facendo attenzione potevamo finire le compere, la
caricai come sempre in auto e mentre rientravamo mi fermai in una farmacia e comperai una fascia elastica molto stretta, finimmo comunque le ferie, al rientro feci tutti i
controlli e questa volta non potevo fare il solito intervento, ma avrei dovuto mettere
una protesi e l’ortopedico mi avvertì che non vi erano garanzie circa la tenuta della
protesi stessa quando avessi alzato Marcella e fatto dei movimenti particolari, senza
contare il tempo della rieducazione dopo l’intervento, la mia decisione ? Ho ancora
oggi una fasciatura elastica molto stretta.
Marcella non aveva più parenti a Torino, tranne un cugino con cui ci si vedeva raramente, molte volte gli facevo presente che forse sarebbe stato ragionevole spostarci
vicino ai miei genitori che ora erano anziani ed a mia sorella, ma era sempre restia ad
abbandonare la sua città decisione che sicuramente capivo anche se non condividevo
pienamente, sino al gennaio 2008 quando senza preavviso la mia pressione iniziò ad
avere degli sbalzi molto forti, da una pressione bassa saliva ad oltre 200, per poi scendere senza ragione , non potevo mangiare quasi più nulla perché stavo male e la pressione scendeva troppo, dopo vari tentativi del medico curante, feci la gastroscopia e mi
trovarono delle ulcere ed un problema di reflusso, probabilmente tutta la tensione di
tanti anni qualche cosa doveva pur aver provocato, non tolleravo i medicinali per quei
disturbi e calai anche decisamente di peso, Marcella mi aveva sempre visto indistruttibile anche dopo i vari interventi ed ora vi era una forte incertezza ed insicurezza in
tutto, dopo quasi 6 mesi finalmente iniziavo a riprendermi, avevo sempre comunque
fatto tutto per lei, ma certo era tutto più faticoso, quando dovevo andare a dei controlli
il problema era trovare qualche persona che rimanesse con lei e quindi si convinse
della necessità di avvicinarci a mia sorella, anche nel caso fosse accaduto qualche cosa
a lei sarei stato vicino ai miei e non lontano da tutti e con mille cose da sistemare,
sapeva che non mi sarei mai fermato a Torino.
Nonostante molti disturbi erano diminuiti, continuavo comunque a mangiare facendo
sempre molta attenzione e rinunciando a molte cose che mi piacevano, specialmente
alla sera mangiavo e mangio ancora ancora pollo, perché più digeribile e non potevo
non stare bene con Marcella da aiutare, a gennaio 2009 trovammo un appartamento,
incominciai ad organizzare tutto, per il trasloco avevamo deciso per fine giugno, pensai anche di andare a farmi dare le ultime mammografie che Marcella aveva fatto a
ottobre, per potere poi continuare i controlli in Lombardia, mi recai al centro di
"prevenzione serena" e prima non trovavano le lastre, poi mi dissero "stavamo per
chiamare per un dubbio", come la volta precedente erano passati più di tre mesi, portai
Marcella a fare l’ecografia e nel pomeriggio a fare l’ago aspirato, dopo tre giorni mi
recai per i risultati e mi comunicarono che vi erano due carcinomi e questa volta invasivi, presi l’appuntamento con il chirurgo per la visita ed il giorno dopo eravamo da
lui, ci confermò l’urgenza e che questa volta doveva essere fatta la mastectomia, su cui
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eravamo pienamente d’accordo, chiesi anche garanzie che fosse tutto risolto in breve
tempo, dopo un mese non avevano ancora chiamato per l’intervento, iniziai la caccia
al medico e non solo per telefono, alla fine la chiamarono, come la volta precedente
misi un’infermiera per la notte, portarono sotto Marcella ed io rimasi in attesa, passarono ore e nessuno sapeva darmi notizie, la mia testa immaginava di tutto, mi dava
fastidio anche il sentir respirare, finalmente dopo tre ore la portarono in reparto, aveva
dolori fortissimi, non era un intervento facile da sopportare in anestesia locale, in più
era rimasta su quella barella durissima delle ore perché non sapevano come farla passare nella zona di sterilizzazione, alla sera tardi andai a casa e dopo poco mi telefonarono dal reparto che aveva dei dolori fortissimi, mi precipitai in reparto e la spostai
mettendole anche degli spessori per alleviare la compressione in certe zone delle
natiche e mettendole anche il ghiaccio sempre sotto le natiche, dopo pochi minuti il
dolore si calmò, rimase ancora un giorno in ospedale, il mattino in cui dovevano dimetterla, quando arrivai l’infermiera mi disse che Marcella sentiva il bisogno di andare di corpo, le misi la peretta di glicerina e la misi sulla comoda, ma per non far mancare nulla non riusciva a liberarsi, le infermiere sembravano passarsi il problema,
quando finalmente una decise di prendersi l’incombenza ed arrivò con guanti eccetera, con un sorriso dissi lasci fare a me, mi chinai diedi un bacio a Marcella sulla guancia e feci tutto, sotto lo sguardo più attonito che altro dell’infermiera.
A parte l’aspetto fisico, si riprese molto velocemente, unica cosa i dolori continuavano
sempre sparivano e poi tornavano a loro piacimento, se aumentavamo i medicinali, a
Marcella si abbassava ancora di più la pressione e non riusciva più a tenere la testa in
posizione eretta, cosa che già accadeva quando era stanca, molte volte anche mentre
mangiavamo dovevo oltre a darle da mangiare anche tenerle la testa diritta, per
mangiare quel poco che mangiava molte volte ci voleva più di un’ora ed anche il
parlare diveniva molte volte quasi incomprensibile.
Nel frattempo imballavo ogni cosa dovessimo portarci via, feci tutto da solo anche
perché nessuno poteva sapere cosa prendere e come metterle, per fortuna che mia
sorella pensava lei a tutto quello che era da sbrigare in riferimento al nuovo appartamento, a metà giugno ci trasferimmo rimanemmo ospiti di mia sorella, in attesa di
sistemare il più possibile, ad agosto quando il necessario era a posto entrammo nel
nostro appartamento, abitandoci avevamo più tempo per mettere in ordine le cose.
Ai primi di settembre era quasi tutto a posto, nel frattempo visto che i problemi di
Marcella continuavano andammo a fare una visita da una neurologa, anche per avere
un punto di riferimento in caso di documenti ed altro, alla visita avvenne quello che
sempre accadeva nelle varie visite neurologiche, avevo preparato un specie di riassunto di tutte le cose capitate in tanti anni, quando andavamo alle visite consegnavo i fogli
ed il medico iniziava a leggere, poi rileggeva ed ancora rileggeva, notavi quasi il non
voler più alzare la testa, probabilmente era quasi la paura di sentirsi chiedere se vi fossero nuove cure, quando dicevamo guardi che siamo venuti solo per avere un punto di
riferimento, il medico si rilassava e diventava di colpo cordiale, questo fatto ci faceva
fare delle grosse risate sia prima che dopo le visite, ci proposero un altro medicinale
per i dolori, ma dopo tre giorni tornammo precipitosamente ai medicinali precedenti.
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Uscivamo tutti i giorni a prendere il caffè, o in qualche centro commerciale, avevo anche ripreso a portare Marcella in bagno ed a novembre capitò quasi la stessa cosa, si
ruppe di nuovo un braccio ed allo stesso modo, solo che questa volta era il sinistro, le
fecero di nuovo quella fasciatura che anche se fatta meglio era comunque scomoda e
di nuovo mise il tutore, naturalmente le nostre uscite continuavano come sempre, in
più al sabato giravamo tutto il mercato e mai una volta che si tornasse a mani vuote,
nevicò moltissimo e vi furono dei giorni freddissimi, ma nemmeno le intemperie ci
fermavano tutti i giorni al mattino eravamo in giro a costo quasi di impacchettarla con
dei nylon.
A Natale, visto che avevamo più balconi le luci aumentarono moltissimo, anche gli
alberi per le strade qui erano pieni di luci, a Torino nella nostra camera avevamo una
finestra qui invece avevamo il balcone, quindi non solo passava ore a guardare le luci
ma anche a vedere la neve scendere, diceva che non aveva mai visto così tanta neve i
vita sua, ma era anche molte volte stanca di lottare in certi momenti specialmente durante i dolori, vedevo i suoi occhi spegnersi da ogni volontà.
Mi piaceva sempre molto ed a volte approfittavo del doverla aiutare per vederla nuda o
quasi, magari invece di togliere una cosa ne toglievo due ed ecco che di colpo vedevo
il suo corpo, era sempre una grande emozione, nonostante i tanti anni passati provavo
sempre lo stesso desiderio, indugiavo con lo sguardo come se fosse una carezza leggera passavo le dita delicatamente sfiorando la sua pelle profumata, lei mi guardava ogni
volta stupita e mi chiedeva, ma come fai a vedermi sempre bella, dopo tanti anni di
malattia ed ora anche senza un seno, ma cosa posso darti ormai ? A volte scherzando
dicevo "cosa vuoi farci si vede che ho dei cattivi gusti", ma il più delle volte vi era una
sola risposta, "mi piaci perché ti amo, non puoi impedirmi di amarti e di provare certe
cose per te", mi avvicinavo al suo viso e lei vedeva nei miei occhi quello che aveva
visto per tanti anni e che nulla era cambiato, il mio amore.
A quel punto molte volte era lei a dirmi proviamo e qualche volta è accaduto, ma il più
delle volte, il suo proviamo veniva cambiato in altre dolcissime ed appassionate cose,
magari baciavo il suo seno, oppure la mettevo accanto a me nuda, la stringevo e i nostri corpi tornavano a parlare come un tempo e lei mi aiutava nel suo unico modo possibile, baciando il mio petto ed io raggiungevo l’amore in modo solitario, ma con lei
stretta a me che mi stava donando quello che poteva donarmi, che anche se in un altro
modo era amore, era fare l’amore con la donna che amavo da sempre.
Marcella aveva sempre voluto la casa in ordine e molte volte nasceva qualche discussione, quando la discussione andava troppo per le lunghe, la prendevo e la mettevo nel
letto accanto a me, naturalmente non voleva e protestava, ma dopo qualche minuto si
zittiva e finalmente ritornava la serenità, passavano magari delle ore e mi dovevo alzare, appena la scostavo da me, ricominciava ridendo da dove aveva interrotto dicendo
“dico solo più questo”, una volta molti anni fa le dissi ho trovato il tuo epitaffio “qui
giace colei che finalmente tace “, ridemmo molto della cosa e lei molte volte di fronte
ad amici ripeteva la frase e mi sfidava dicendo vedremo se avrai il coraggio, vuoi
vedere che si è fatta cremare perché la pietra è troppo piccola per scrivere quella frase.
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Ed ora cercherò di scrivere questa parte, cercando quasi di non ricordare come se
stessi leggendo una parte scritta da altri e forse è stato proprio così.
Venerdì 10 settembre 2010, dopo aver pranzato misi Marcella come sempre sul divano, stavamo guardando una registrazione di una fiction molto simpatica e ridevamo,
come molte volte accadeva mi disse ascolta il mio cuore, di solito era solo una sua impressione ma questa volta era tornata la tachicardia e diversamente dal solito mi chiese
subito la pastiglia, dopo circa un’ora il cuore rallentò, ma non come le altre volte, le
altre volte le pulsazioni tornavano sotto i 60 e mi ricordo che io davo un bacio sul suo
petto dicendo “bravo cuoricino” ed esplodeva in me l’allegria, questa volta le pulsazioni non scesero sotto i 100, la giornata passò per il resto serena ma ero comunque
preoccupato, di notte poi mi accorsi che aveva più del solito delle pause respiratorie, al
mattino alle 5 le dissi andiamo in ospedale, non voleva ma riuscii a convincerla, alle 6
eravamo in un ospedale cardiologico, rimasi in sala di attesa per ore e nel frattempo mi
aveva raggiunto anche mia sorella, alle 10 mi dissero che non era nulla e che potevamo tornare a casa, quando entrai da lei per vestirla non resisteva più dai dolori.
Tornammo a casa ma la situazione nel pomeriggio peggiorò, aveva problemi respiratori e naturalmente dei dolori molto forti, chiamammo un’ambulanza e decidemmo di
andare in un altro ospedale, era il nostro anniversario di matrimonio e scherzai con i
lettighieri dicendo guarda cosa ha fatto per non festeggiare, ma avevo una morsa che
mi stringeva lo stomaco, in ambulanza dandole l’ossigena si sentì meglio, arrivati al
pronto soccorso dopo le rituali visite e controlli, il cardiologo di turno era dell’opinione di dimetterla, ma la dottoressa responsabile vedeva comunque dei parametri non
rassicuranti e decise di approfondire la cosa, per poterla vedere in continuazione la
misero in una delle sale visita e mi dissero di starle vicino, per permettermi di fare
questo usavano quando era possibile l’altra sala e comunque quando dovevo uscire il
personale con un cenno mi faceva capire di rientrare, nella notte mi diedero la diagnosi, miocardite e pericardite acuta con un versamento che comprimeva il cuore, mi spiegarono che non vi erano cure, l’unica cura per le persone giovani era il trapianto, la
speranza era che visto gli sforzi quasi nulli di Marcella e se riuscivano a stabilizzarla
vi era ancora del tempo.
Al mattino la trasferirono in unità coronarica, parlai con il personale facendo presente i
tanti problemi di Marcella, ma unico aiuto che accettavano era di andare a darle da
mangiare, per il resto gli orari erano quelli di visita, era una bella stanza molto spaziosa ma era sola, non poteva naturalmente suonare il campanello ed anche se avesse
chiamato non l’avrebbero sentita, ma mi dissero che in quel reparto vi erano solo quattro pazienti quindi passavano spesso a vederla e poi era sempre monitorata.
Il giorno successivo al pomeriggio fecero un’angiografia perché sospettavano anche
che avesse una vena otturata, visto che non riuscivano a stabilizzarla, infatti aveva una
vena otturata ma durante l’intervento il cuore si fermò, anche se poi aveva ripreso
spontaneamente, quando la riportarono nella sua camera mi disse “non lasciarmi sola
ho paura “, chiesi di nuovo al personale ma mi dissero che non potevo fermarmi, chiesi anche se era possibile mettere un’infermiera, la risposta fu come giustifichiamo
un’altra persona siamo già due per quattro pazienti, stia tranquillo noi passiamo
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sempre. Cercai di convincere Marcella ma insisteva, mi sentivo disperato nel non poter
fare nulla e risposi con una frase che è l’unica cosa che mi rimprovero di quei giorni
dissi quasi con rabbia “tesoro non puoi mettermi in croce, non posso ne fermarmi ne
mettere nessuno qui con te”, per la prima volta vidi i suoi occhi spegnersi, diventare
vuoti e senza più espressione, per la prima volta gli mancava il punto di riferimento di
40 anni di difficoltà, sempre mi aveva avuto al suo fianco, sempre vi era stato il mio
sorriso, sempre vi era stata la mia mano su di lei, misi un cellulare sul comodino con il
mio numero e le dissi fammi chiamare se hai bisogno, cercai ancora di rassicurarla le
diedi un bacio, ma ora era veramente e totalmente immobile, tutta la sua immobilità di
tanti anni che mai ci aveva impedito di vivere, ora era in lei e forse per la prima volta
la vedevo in modo chiaro e tangibile. Il giorno dopo tornai per il pranzo, ma mangiò
pochissimo, la sua espressione era un poco cambiata, era contenta di vedermi, ma aveva una grande passività quasi rassegnazione anche se cercavo di scuoterla e di rincuorarla dicendo quello che dicevano i medici, che dopo un paio di giorni l’avrebbero trasferita in un altro reparto ed avrei potuto starle vicino. Tornai alla sera e quando arrivai, mi chiese subito da bere, voleva continuamente bere e mentre passavano i minuti
questo suo bisogno di bere aumentava, ma aumentava anche la difficoltà nel bere, non
riusciva più a chiudere le labbra sulla cannuccia e se cercavo di darle da bere in altro
modo non riusciva a deglutire, non capivo più cosa dicesse nemmeno se mettevo
l’orecchio contro le sue labbra, chiamai il personale e feci presente la cosa ed aggiunsi
“sta peggiorando molto velocemente, da quando sono arrivato è peggiorata molto “,
guardarono i parametri ma erano tutti regolari e mi dissero vada tranquillo è tutto a
posto. Prima di uscire le diedi un bacio sulle labbra leggermente dischiuse e le dissi
ciao tesoro ci vediamo domani. Sapevo che era l’ultima volta che la vedevo anche se
dentro di me speravo il contrario, mentre andavo a casa, telefonai a mia sorella che era
sempre venuta a trovarla e le dissi Marcella non ce la fa più.
Arrivato a casa avevo bisogno di piangere e di sfogarmi e scrissi su un forum, che
Marcella era arrivata alla fine ormai, piangendo ad ogni parola che scrivevo, nella
notte suonò il telefono, era l’ospedale che mi diceva di andare subito che Marcella si
era aggravata, chiamai subito a mia sorella dicendole della telefonata e che passavo a
prenderla, quando uscii per strada accadde ciò che accadeva tutte le volte che uscivo
dall’ospedale dopo aver lasciato Marcella, mi misi a tremare come una foglia, il mio
corpo era attraversato da brividi come se fossi nudo davanti ad un immenso gelo.
Quando arrivammo in ospedale suonai e risposero arriviamo, dissi a mia sorella “è
morta”, ci informarono di cosa era successo ma non sentii una parola, quando ci fecero
entrare era distesa con gli occhi leggermente aperti, il personale chiese se volevamo il
conforto religioso risposi che se avesse voluto darmi un conforto poteva farmi stare vicino a lei in quegli ultimi giorni. Tutti i brividi sono svaniti di colpo, quando dolcemente ho passato le dita sul suo viso per chiuderle gli occhi rimasti socchiusi, è stata
l’ultima volta che ho accostato la mia mano a lei, era ormai entrata nell’ultima dimensione rimasta, i miei ricordi ed in quella dimensione la tengo tutti i momenti tra le mie
braccia e la stringo forte insieme alla mia tristezza, in quei giorni reagii ad ogni cosa
molto bene, perché vedevo mia sorella veramente provata ed aveva bisogno.
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Il mio racconto praticamente finisce quella notte del 15 settembre 2010 ed in quella
notte molte cose sono finite per sempre dentro di me e mai più torneranno, tutto ciò
che da questo momento leggerete, sono il frutto di episodi che mi hanno aiutato a non
morire dentro, di pensieri e precisazioni necessarie per la comprensione del nostro
amore, un tentativo di dare una ragione alla mia vita futura e forse il voler gettare in
faccia all’indifferenza del mondo un grandissimo amore.
Come avevo già detto dovevo anche scriverlo, per una promessa fatta a Marcella nel
1970 e come ultimo gesto d’amore nei suoi confronti, non vi chiedo di approvarlo o di
condividerlo, vi chiedo solo rispetto per questa storia perché questa giusta o sbagliata è
stata la mia vita, vissuta come io volevo o sono stato costretto a viverla, forse ho vissuto una vita fatta a modo mio, ma come ripeto è la mia vita e come tale và rispettata,
come sempre và rispettato l’amore, ma quanta fatica e quante lacrime hanno velato i
miei occhi nello scrivere ogni parola e sempre in modo spontaneo. Un’ultima cosa dimenticatevi pure di me, ma non dell’amore che ho raccontato.
Tesoro ti amo e ti amerò sempre in ogni istante della mia vita, ti ricordi le parole di
quel biglietto “OGGI COME IERI, DOMANI COME SEMPRE”.
Marcella poteva muovere solo il dito medio della mano sinistra, erano solo piccolissimi movimenti quasi impercettibili, quando la mettevo vicino a me mettevo la sua
mano sul mio petto e dopo pochi secondi sentivo in modo quasi impercettibile, il suo
muovere in modo continuo il dito, quasi non respiravo per poterlo sentire, poi abbassavo lo sguardo verso il suo viso ed incontravo il suo sguardo soddisfatto e mi chiedeva lo senti vero ?? Rispondevo certo tesoro lo sento e lei sorrideva contenta, era una
vittoria per lei perché poteva regalarmi una sensazione senza dover essere aiutata, un
dito che si muoveva più leggero del mio respiro.
Nella mia mente probabilmente la parola impossibile non esiste, specialmente se era
riferita a Marcella, bastava che lei dicesse vorrei ma non posso ed immediatamente
nella mia mente scattava un meccanismo e dovevo trovare il modo di fare quella cosa,
da quando le nostre vite si sono incontrate ed unite, Marcella non ha mai avuto limitazioni, adattavo ogni cosa alla nostra vita, non ho mai adattato la nostra vita alla realtà,
ma viceversa modificavo e portavo la realtà nella nostra vita, senza però mai alterarne
i valori, perché alterandone i valori sarebbe stato esistere ma non vivere e Marcella ha
vissuto una vita che è stata sicuramente oltre la normalità.
Pensando ora al percorso della nostra vita e della sua malattia mi accorgo che mai una
volta ho detto a Marcella vedrai che passerà, magari tornerà come prima, solo quando
aveva i dolori, ma per tutto il resto è stato un automatico sostituire i suoi gesti e non
farle mai sentire limitazioni, ma con sempre presente che niente sarebbe tornato come
prima. E’ stato sempre un incitamento a non perdere ogni attimo e quando a volte lei
rimandava le cose a dirle anche forse brutalmente, se voleva attendere di non poterle
più fare. Stranamente sono cose che solo ora me ne rendo conto, ma questo in un certo
senso ci ha permesso di affrontare la malattia a viso aperto, quasi sfidandola ogni
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giorno ed ogni istante della nostra vita ed in questo modo la nostra è stata veramente
una vita.
In una coppia, in cui uno dei due è ammalato bisogna continuare ad essere coppia con
gli stessi diritti e gli stessi doveri, non bisogna accettare cose solo per riconoscenza per
quello che l’altro fa, ne accettare cose dicendo sopporta perché è ammalato, altrimenti
si cessa di essere coppia, nel rapporto tra me e Marcella non vi era differenza, è vero
io ho dato molto a lei e sicuramente è vissuta grazie a me, ma lei mi ha dato innumerevoli cose, tra cui la più grande di tutte “una ragione per vivere”.
Molte volte aveva un braccialetto o un anello che le facevano male perché magari facevano spessore e premevano tra una mano e l’altra, dovevo continuamente spostarli o
spostarle le mani, dicevo non sarebbe meglio toglierli magari per qualche giorno e lei
non voleva e diceva se li tolgo non riuscirò più a rimetterli come i suoi gesti e le migliaia di piccole cose che la malattia ci aveva tolto, aveva ragione lei.
L’anellino, la mia fedina e la fede, sono stati tolti solo dopo la sua morte ed ora sono
con lei nella celletta, la medaglia dell’amore che è stato il mio primo regalo in segno
di amore, spero presto lo darò alla ragazza di mio nipote, non merita di rimanere
chiusa in un cassetto.
Da quando ci siamo conosciuti, tutte le notti ho sempre tenuto la mia mano su di lei e
se per caso la mano si spostava era lei che mi chiedeva di rimetterla, era quasi paura di
non ritrovarci insieme al mattino ed era vero perché 40 anni vissuti sempre insieme
giorno e notte sono stati troppo poco per il nostro amore.
Nella mia vita pochi desideri sono stati esauditi, anzi forse uno solo il passare tutta la
mia vita con Marcella, quando a volte con Marcella si parlava di una eventuale fine,
dicevo del mio desiderio che finisse insieme e nello stesso momento, dicevo che non
volevo una vita senza di lei e se avessi capito che la mia vita fosse al termine avrei
prima posto fine alla vita di Marcella, altrimenti quale vita poteva rimanergli da poter
essere chiamata vita ??
Quando i medici mi dissero la diagnosi finale di Marcella, capii che anche i pochi gesti
che ci erano rimasti erano spariti, il prenderla per le ascelle e farla girare su se stessa
per metterla in auto o sulla sedia, le volte che lei mi diceva metti le mie braccia sulle
tue spalle e mi alzi almeno un attimo in piedi, così posso abbracciarti, a tutto questo
avrei dovuto rispondere di no il cuore non avrebbe retto e questo lei lo aveva capito, la
vita aveva deciso di toglierci anche le briciole, a me sarebbe bastato a lei sicuramente
non sarebbe bastato.
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Forse il destino negli ultimi giorni ha voluto, risparmiarmi il dolore più grande, il
vederla morire, il vederla andarsene senza poter fare nulla per trattenerla, sarebbe
sicura mente stata una prova enorme, la rabbia che ho dentro non è per cosa è mancato
a me, ma per quello che può essere mancato a lei, il suo punto di riferimento di tutta
una vita ed il mio sorriso. Di quei giorni vi è un ricordo più di ogni altro, quando la
lasciavo ed è successo tutte le volte, avevo dei brividi che mi percorrevano tutto il
corpo, sino a tremare ed a battere i denti, come se fossi nudo davanti ad un immenso
gelo. Quei brividi sono svaniti di colpo, quando dolcemente ho passato le dita sul suo
viso per chiuderle gli occhi rimasti socchiusi, è stata l’ultima volta che ho accostato la
mia mano a lei, era ormai entrata nell’ultima dimensione rimasta, i miei ricordi ed in
quella dimensione la tengo tutti i momenti tra le mie braccia e la stringo forte insieme
alla tristezza.
Forse il destino ha voluto così ?? O sono io che voglio crederci per continuare a vivere
e forse il destino ha voluto e vuole anche questo.
Ma quando finirà il mio destino ??. Aspetto per l’ennesima volta che sia lui a decidere.
Nel frattempo ho creato un sito dedicato a Marcella dove scrivo, molti miei pensieri,
dove metto le parti del nostro racconto, i video con Paola Perego, alcune nostre foto,
solo alcune perché servivano per condividere ciò che io vedevo con Marcella quindi
sono diverse migliaia di foto che ho ed anche le mie poesie, attraverso questo sito mi
sono anche reso conto quanto in positivo poteva dare il conoscere la nostra storia e
questi sono alcuni dei messaggi che mi sono arrivati
Ho appena finito di guardare il video e sono qui con le lacrime agli occhi.
Non ci sono parole,posso solo dirti che sei un uomo grandioso.
al mio lui dico le stesse cose che diceva a te Marcella...gli chiedo in continuazione se è
sicuro di voler stare con me perché ora mi vede così che sto bene e faccio tutto ma gli
ricordo che un giorno potrei non camminare più o peggio.
Il tuo racconto mi ha dato la speranza che lui mi potrà continuare ad amare sempre nel
bene e nel male, nei tuoi occhi ho visto quello che spero di continuare a vedere nei
suoi. Un abbraccio sincero....che mi piacerebbe darti di persona.
caro Giovanni. Io penso che tu sia dotato di una capacità d'amore speciale e che gli
angeli stiano chiamando te. Per cosa? Per aiutarti, per guidarti e renderti felice. Tu hai
dentro qualità particolari che insieme a loro potresti scoprire.
La vita ci riserva quello che noi ci permettiamo di vivere. Un abbraccio grande. Anna
HO pianto mentre leggevo e sto piangendo ora...
grazie, perché stringerò ogni secondo della mia vita...
e non sprecherò nessun momento per poterlo vivere al meglio...
grazie ancora per avermi ricordato che ogni momento e speciale
anche con dolore, ma è l'amore a vincere...
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Leggendo la tua storia, ho avuto la convinzione che tu le abbia dato ciò che un essere
umano non osa sperare.
Le hai dato amore incondizionato, non l'hai mollata al suo destino, sei voluto stare con
lei.
Nulla ti ha fermato. Ti posso dire come lei può averti vissuto: tu sei stato il dono più
prezioso, le hai ridato la vita, quella vita intensa e vera che la malattia le aveva tolto.
L'hai protetta, l'hai scaldata, l'hai nutrita.
Tu l'hai fatto per amore e lei ti ha dato il mondo finché ha potuto...
Lei una persona che ama il suo uomo. Tu un uomo che ama la sua donna.
La malattia stava lì... ma voi siete stati più forti.
Ti abbraccio perché con lei sei stato un Uomo.
Ti abbraccio per il tuo dolore e per la tua serenità di chi ha amato davvero.
vorrei sapere chi ti ha mandato sulla terra...
tu col tuo dolore che aiuti me...
tu che sei rimasto solo e pur nel dolore consoli me..
tu che non so "chi sei" ma so "che sei"
Tu che non sai nulla di me eppure comprendi le pieghe del cuore
Tu che conosci il dolore e conosci l'amore, vorrei imparare tanto da te.
Vorrei ora dirti che non ho una parola per consolarti, mi dispiace perché vedo il tuo
dolore e non esiste nulla che possa dire per alleviarlo.
Se Marcella mi legge, e credo di sì, voglio farle sapere ora che è stata una persona
meravigliosa. Nella sua straordinarietà ha reso te così...
Esiste un modo per celebrare tutto questo?
Grazie... di cuore
Questo è stato inviato da me ad un’amica
Quando tuo marito ti guarda non chiederti quello che puoi dare, guarda lui negli occhi
e tu sai cosa gli stai dando in quel momento.
Ricordati ancora una cosa importante tutte le volte che puoi fai una carezza ed un
sorriso a tuo marito, perché io vivevo per quel sorriso come lui vive per il tuo.
E questa è stata la sua risposta
ciao Giovanni , ho letto il tuo messaggio insieme a mio marito .
ci siamo commossi , hai suscitato in noi un sentimento forte di stima nei tuoi
confronti, anche se non ci conosciamo . Giovanni sono certa che la tua Marcella è
sempre vicino a tè perché un amore cosi speciale neanche la morte riesce a distruggere
.
Giovanni ti ringrazio per le tue splendide parole di conforto mi sono servite molto,
forse tu non immagini quanto !!
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E' assurdo come in soli due secondi le parole di una persona di cui non conoscevi
l'esistenza fino a due giorni fa ti facciano emozionare al punto tale da piangere
ininterrottamente, senza sosta.. Un pianto liberatorio, un pianto forse in grado di farti
capire che cosa realmente vuoi da questa vita
Chiara
Questi sono invece reazioni e pensieri di questi ultimi giorni
17 dicembre ore 6
Come tutti i giorni sono sveglio da quasi due ore, ogni notte mi sveglio sempre alle
stesse ora in cui aiutavo Marcella, questo orologio interno non vuole cambiare, posso
chiedere aiuto ai medicinali, ma non cambia mai alle 2 ed alle 4 i miei occhi si aprono
e la mia mente inizia a scorrere ogni cosa.
Sai che è l’inizio dell’ennesimo giorno, l’ennesimo giorno senza di lei e scorri mentalmente le mille cose che ancora avresti potuto fare con lei, quando lei pigramente non
voleva mai alzarsi e tu a dirle dai dobbiamo fare …….. e poi quando si era alzata ed
era pronta era lei a dirti ma ora è tardi, ma non era mai tardi per vivere ed uscivamo in
mezzo a queste mille luci di festa a chiederci questo può piacere a questo o a quello ed
ogni giorno sempre vi era sempre qualche cosa da fare.
L’inizio del giorno è decisamente il momento più difficile per me, è sempre stato la
gioia del risveglio e trovarci sempre vicini, ora è guardare il giorno e basta, a volte
rimpiango la rabbia provata nei giorni scorsi, ma la rabbia ed il rancore non fanno
parte di me e ti resta la tristezza e basta.
Alcuni amici mi hanno consigliato di andare nei centri commerciali, almeno mi
distraggo in mezzo alla gente, la solitudine più grande è proprio stare in mezzo alla
gente che ti passa accanto e tu nemmeno esisti, poi da quando ho conosciuto Marcella
la mia mente a sempre ragionato in un unico modo “guarda che bello sono sicuro che
le starà molto bene” e tornavo a casa ogni volta con qualche oggetto per la sua e la mia
gioia ed oggi quando il mio sguardo cade su di un maglioncino, un reggiseno o altro, il
primo pensiero rimane lo stesso e poi lo devo trasformare in “le sarebbe piaciuto” e
getteresti ogni cosa per aria.
Per 40 anni ho dormito con il braccio disteso verso di lei, ora sto con le mani sotto le
ascelle per paura di allungare la mano e trovare il vuoto, questo avviene anche quando
sono seduto sul divano è quasi un abbraccio che faccio a me stesso, ma so benissimo
cosa sto abbracciando, il suo ricordo e la mia solitudine.
Nella mia mente è come se avessi scritto un diario lungo 40 anni ed ogni giorno in
modo inconsapevole lo sfoglio una pagina dopo l’altra, ogni più piccolo episodio della
nostra vita è scritto in quelle pagine ed in tutte le pagine non trovo mai un episodio di
sacrificio, ma solo di vita insieme. Non posso certo chiedere a nessuno di leggerle con
me, di condividerle, anche perché non potrebbero mai capirle, perché vanno lette con
l’amore che io ho provato ed ancora provo per Marcella.
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Nella mia mente è come se i ricordi facessero a gomitate per presentarsi, gli uni prima
degli altri, forse hanno fretta di farmi soffrire o hanno fretta di non farmi morire
dentro, il risultato comunque non cambia riescono a fare benissimo le due cose, ma
quanta fatica è continuare per la mia strada.
30 NOVEMBRE 2010
Caro amore oggi è il mio compleanno, il primo senza di te e spero anche l’……, non
potrò farti il mio solito regalo, per 40 anni il giorno del mio compleanno uscivo e
comperavo un regalo per lei e poi quando tornavo a casa, avevo il mio regalo il suo
sorriso e la sua frase “sei sempre il solito pazzo”, dopo 40 anni ero ancora il “solito”.
La solitudine è opprimente e quando non sono solo è ancora peggio, la gente può dire
ciò che vuole che sei sempre con me, che sempre mi accompagni, ma la verità è sempre una sola, tu non ci sei più e non tornerai mai più. Accetto questa situazione ma è
quasi intollerabile, è vero sei presente i tutti i miei pensieri, ma ogni pensiero diventa
doloroso, perché alla fine la mia mano resta sempre troppo vuota ed i miei occhi sempre troppo pieni.
Per 40 anni tutti i giorni ti mettevo nel letto accanto a me e tu ti rannicchiavi sotto il
mio braccio, tu ti sentivi protetta ed io l’uomo più importante del mondo, in questi
ultimi anni visto che non potevi più farlo da sola, mi dicevi di prendere la tua mano ed
appoggiarla sul mio viso per farmi una carezza, molte volte trovavi il mio viso umido
di lacrime e piangevi anche tu, ma le sensazioni erano sempre le stesse nonostante i
tanti anni passati. Spero presto di poterti di nuovo tenere tra le braccia e quel giorno
per la prima volta sarai tu a venirmi a prendere, ti prometto che ti regalerò un immenso
sorriso, anche se la gente intorno a me non capirà.
Ciao finalmente è passato il giorno del mio compleanno. Nel nostro matrimonio è
esistito tutto come in tutte le unioni. Un giorno spero presto di riuscire ad esaudire un
desiderio di Marcella del lontano 70, scrivere la nostra storia in tutti i suoi aspetti, i
dolori, gli errori e le tante gioie, avevo iniziato ma poi mi ero fermato per mancanza di
tempo, tanto devo solo scrivere il diario lungo 40 anni che ho nella mente. Magari la
leggeranno solo gli amici o magari nemmeno quelli, ma io la leggerò a lei tutti i giorni.
Ieri mattina sono andato da lei ho riempito il piccolo vaso di fiori, tutti di diverso
colore, magari borbotterà perché non vi è abbastanza acqua, ma alla fine dentro di me
ho sentito “sei sempre il solito pazzo” e finalmente dopo oltre due mesi ho sorriso.
L’egoismo degli anziani.
Oggi per Santo Stefano sono tornato da mia sorella per il pranzo, già ieri era stata dura
ma speravo oggi fosse meglio, tutto abbastanza bene sino alla fine del pranzo, poi mio
padre 87 anni inizia a dire che è stato un Natale triste ………….. era triste perché non
ha potuto andare lui a fare la spesa, che la sua vita era cambiata, non che Marcella era
morta, non che la vita di suo figlio era cambiata …………. Certo è anziano ma mi
hanno fatto tanto male quelle parole. Perché la sensibilità degli anziani non và oltre il
piatto in cui stanno mangiando.
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Ieri mattina sono andato in un centro commerciale, uno dei tanti posti in cui andavo
con Marcella, mi fermo al bar a prendere il caffè ed una signora del personale ti chiede
“come mai solo, la moglie tutto bene ?” e tu devi rispondere è morta a settembre, vedi
il suo disagio nel dirti mi dispiace e tu abbozzi un sorriso dicendo è successo, era una
domanda logica da parte sua abituata a vederti sempre con lei, ma in quel momento è
come se una mano crudele ti afferrasse alla gola, tutto quello che ti sembrava di essere
riuscito a costruirti dentro, la rassegnazione, la consapevolezza della sua morte e quasi
una serenità, di tutto questo non esiste più niente in pochi attimi. Te ne vai velocemente ti rinchiudi in auto e piangi, piangi ed ancora piangi.
Passi dal cimitero e guardi il suo viso sorridente e continui a farti le solite domande,
volevamo solo continuare la nostra vita fatta di mille piccole gioie e di mille piccole
difficoltà, non desideravamo niente altro che il nostro piccolo mondo.
Poi passo dai miei anziani genitori e loro iniziano a raccontarti, di mille sciocchezze,
cerchi di troncare ed andartene e non riesci a fare nemmeno quello devi per forza stare
ad ascoltarli, con dentro una gran voglia di piangere e loro niente continuano con il
loro insulso egoismo.
Finalmente me ne vado e questa volta salgo in auto ed urlo “basta” ed ancora mille
volte urlo quel basta, si basta dover ogni volta dover fingere, basta ogni volta non
dover dire, basta ogni volta non dover scrivere, BASTA !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Per molti anni sono sempre stato come diceva Marcella “il suo dolce uomo fatto
d’acciaio “ ma ero il SUO uomo fatto d’acciaio, oggi sono solo un uomo e basta, a cui
la vita ha tolta la ragione per essere d’acciaio, un uomo che ogni tanto ha bisogno di
urlare il suo dolore, di scrivere la sua amarezza e di mettersi in ginocchio e piangere in
un angolo, NON SEMPRE MA OGNI TANTO LASCIATEMELO FARE.
Buon natale
In tanti anni ho sempre cercato il regalo più adatto per vedere il tuo sorriso, dal paio di
mutandine dei primi anni all’anello magari degli ultimi, ma la cosa più bella era svegliarmi, venire vicino a te ancora addormentata darti un bacio e dirti buon natale tesoro e sentire la tua risposta assonnata anche a te tesoro, poi mi raggomitolavo in un intreccio di gambe quasi a prenderti in braccio e ci facevamo il regalo più bello, il calore
dell’amore, senza dire una parola, ma con l’amore che parlava per noi.
Tanti auguri tesoro, anche se non sento la tua voce, tanti auguri tesoro, anche se non
vedo i tuoi occhi, tanti auguri tesoro, anche se non sento il tuo calore, spero tu possa
vedere il mio regalo, guarda il mio viso, guarda le gocce che scendono lentamente,
scendono sino a bagnare il tuo cuscino, scendono, scendono, oggi solo questo calore
mi è rimasto il calore delle lacrime, ma vi è tutto l’amore per te.
Per gli altri vi sarà il mio sorriso, ma quanta fatica questo regalo chissà se lo sapranno
apprezzare.
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In questi ultimi tempi la preoccupazione più grande di Marcella era il lasciarmi solo,
sapeva quanto lei mi era necessaria per guardare il futuro, non voleva che mi chiudessi
verso gli altri, che rinunciassi a vivere, voleva che raccontassi al mondo cosa era stata
la nostra vita. Saranno tutte cose che farò, vivrò per raccontare la nostra storia, ma è
una storia che devo raccontare con un sorriso e quindi dovrà passare un poco di tempo.
Ora è il momento di far riposare i sentimenti, di mettere da parte quella dolorosa
rabbia che ho dentro, anche perché la gente intorno a me non possono pagare per il
mio dolore, ho messo in un cassetto la cartella clinica di Marcella, vi ho messo accanto
tutte le mie lacrime, cercherò di chiudere con loro anche un poco del mio dolore e di
fermare in parte la mente.
Molte volte vi sono amici che chiamano e dopo due parole iniziano a dirmi ti capisco
anch’io ho provato le stesse cose perché non sono riuscito a stare vicino negli ultimi
momenti oppure ti capisco perché anche a me è morta mia moglie, conosco le loro storie anche matrimoniali e quindi mi verrebbe da dire ma ti rendi conto di cosa stai parlando. Sanno cosa è voluto dire 40 anni della nostra vita, sempre vicini giorno e notte,
sanno cosa sono state le gioie, le difficoltà, vi sono cose che non si possono raccontare, quando a Marcella si bloccava l’intestino ed io l’aiutavo con un sorriso appoggiando la mia guancia alla sua e dicendole non è nulla, sanno quanto amore ci vuole
per molte di queste cose e non provare ne far provare disagio e dopo continuare a considerarla la donna più bella dl mondo, sanno quanto amore ci vuole ?? Certo è più
facile ricordare la prima volta che abbiamo fatto l’amore, ma è stato più utile mettere
l’amore nelle altre cose e comunque ricordare che la prima volta è stato il 15 ottobre
1970 e ricordare ogni più piccolo particolare.
E poi alla fine ti dicono chiama quando hai voglia di parlare ……………… forse non
hanno finito !!!!!!!!
A volte sembra che lentamente tutto il dolore che hai dentro si stia spegnendo, che
lentamente dentro di te la pace si stia facendo strada, ma poi basta un pensiero, ma poi
basta che giri lo sguardo, ma poi basta che tu senza accorgerti allunghi la mano nel
letto vuoto accanto a te e tutto crolla rovinosamente e peggio di prima, si peggio di
prima perché ti rendi conto che prima avevi ancora la speranza di ritrovare una certa
serenità, oggi invece ti rendi conto che questa serenità non l’avrai mai, quasi fai fatica
a ricordare le cose belle e se le ricordi ti danno un tremendo dolore ed allora scacci
anche quelle, ti rendi conto quanto hai lottato contro la volontà delle persone contrarie
a quell’amore, ti rendi conto quanto hai lottato contro l’arroganza della vita che non
voleva farti vivere quell’amore, ti rendi conto quanto quella persona ti dava in tutta la
sua immobilità, ti rendi conto quanto quella persona ti dava nei momenti in cui era
vicino a te, ti rendi conto quanto quella persona ti dava con l’unica cosa che riusciva a
darti in un “sorriso”, ti rendi conto che quella persona ti dava una ragione per vivere e
quella persona ora non è e non sarà mai più accanto a te e fai i conti di ciò che ti resta.
Ti amo tesoro e mi manchi tanto ……..troppo.
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La rassegnazione la raggiungi, quando ti rendi conto che la vita ti ha fatto vivere più di
quello che una persona possa sognare e che il futuro per quanto pieno, non potrà mai
darti la completezza dell’amore che hai vissuto nella tua vita trascorsa.
Quando riuscirai a non voler ostinatamente rivivere l’amore,
a non voler rivedere lo splendore del suo corpo,
a non voler cercare la bellezza del suo viso,
quando riuscirai a trasformare ogni cosa in ricordi,
finalmente avrai raggiunto la pace dentro di te,
ma non è ancora il tempo,
forse non vi sarà mai quel tempo.
Una storia vissuta oltre l’immaginabile,
ma l’immaginabile che non vale la storia,
può essere l’amore così forte ?
Vi sono storie che hanno durato una vita e sembra passato un attimo dal loro inizio e
storie iniziate da un attimo che sembra invece trascorso una vita dal loro inizio.
Nella vita vi sono sempre storie vissute e storie da vivere, sta a noi quale storia vivere,
se il futuro con nel cuore il passato, o il passato senza nel cuore il futuro.
Quando l’amore trascorso è stato molto importante, diventa difficile poter desiderare
una nuova felicità, ma è proprio ricordando chi ha diviso con te quell’amore, che devi
ancora desiderare un futuro felice, anche sapendo che nessun futuro potrà mai darti il
tuo passato.
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Vi sarebbe ancora una cosa in sospeso, che mi ero prefissato dal giorno che era morta
Marcella sino ad esplodere il giorno che ritirai la cartella clinica, il fare in modo che
quello che è capitato a noi non dovesse più ripetersi per altri, potrei forse colpire anche
la negligenza o chiamiamola mancanza del personale che non mi ha chiamato nel momento che si sono resi conto che si era aggravata e conoscendo Marcella avrà anche
chiesto che questo avvenisse e questo genera in me molta rabbia, ma sinceramente non
mi sentirei di colpire la singola persona e fare del male, non calmerebbe la mia rabbia
ma forse avrei qualche senso di colpa, ne tantomeno ricercare qualche forma di risarcimento, non cambierebbe il dolore che ho dentro, forse mi basterebbe sentirmi chiedere
scusa, ma sarebbe comunque un ravvivare il dolore.
Mi sono reso anche conto, che tutti sono disposti a dirti ti capisco per un istante ma è
solo l’inizio per poter raccontare la loro storia, in modo egoistico senza nemmeno rendersi conto che il dolore e la solitudine che hai dentro è strettamente proporzionale alla
vita che hai vissuto con quella persona e che oggi non è più presente, non sono disposti a prendere il tuo dolore ma a darti solo il loro e nemmeno sono disposti a seguirti in
una qualche iniziativa ed è per questo che molte volte preferisco stare solo.
Con questo racconto del resto ho detto anche queste cose, ho mostrato come è stata la
nostra vita e come avrebbe dovuto essere la fine e la sensibilità verso certi ammalati,
anche se una decisione definitiva non è ancora stata presa da me, in questo momento
ho solo bisogno di lasciar riposare i miei sentimenti, il mio cuore ed in un certo senso
anche Marcella.
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Ora il mio racconto è terminato niente verrà più aggiunto alla storia della mia vita con
Marcella, forse, anzi sicuramente non sarò riuscito a farvi capire tutto l’amore che vi
era nella nostra vita, perché è impossibile descriverla attraverso le parole, un amore
fatto non da grandi cose, ma da piccolissime cose che formavano la nostra vita di tutti
i giorni, da tutte le volte che le spostavo una mano, alle volte che le grattavo il naso,
dal ridere quando dovevo toglierle le crosticine dal naso dicendole che era eccitante,
dal più piccolo bacio, al fare l’amore in modo entusiasmante, alle mille volte che ho
asciugato le sue lacrime, ma di tante cose ve ne sono due molto significative per me,
quando mi chiedeva di alzarla e di tenerla in piedi contro di me, con le sue braccia
sulle mie spalle per potermi abbracciare anche solo per pochi attimi e quando era
vicino a me con il suo dito che leggero batteva sul mio petto, in quei due semplici gesti
vi era tutta la sua voglia di vivere e di non cedere alla malattia, fatti da lei e fatti per
me, quando anche quei piccoli gesti non potevano più esserci, se ne è andata per
sempre.
Ora il mio compito si è concluso, non ho idea che fine farà questo racconto, ma era
una cosa che dovevo concludere velocemente come è stato, ora qualsiasi cosa accada
sono tranquillo con me stesso, sarebbe stato un peccato lasciare questa parte sconosciuta, ora veramente posso sentirmi in pace, non senza dolore o la grande mancanza
di lei, ma solo in pace perché ho esaudito il suo primo desiderio ma che logicamente
doveva anche essere l’ultimo.
Come molte storie che si vedono nei film o si leggono nei libri la logica sceneggiatura
sarebbe di vederci riuniti al più presto e finito il film o chiuso il libro di essere poi dimenticati in breve tempo e visto come è stata la nostra vita sarebbe veramente la logica conclusione perché eravamo una sola persona e non si può vivere divisi a metà.
Tempo fa avevo scritto nel sito queste righe chiedendo di scrivere una risposta, nessuno ha mai scritto nulla, forse perché vi è una sola risposta e nessuno ha avuto il coraggio di darmi ragione.
Una domanda che faccio a me stesso, a voi che leggete ed alla vita, è giusto continuare
a vivere dopo un amore così, dopo che sai benissimo di essere riuscito anche nella più
difficile ed ultima promessa, quale vita può avere valore dopo questo amore, quale vita
si può desiderare ??
O sarebbe giusto che la vita, dico la vita e non io, finito di scrivere questo racconto e
regalato quindi agli altri un poco di questo amore attraverso i miei scritti, ponesse la
parola fine ad una vita che non può essere che povera nei miei riguardi ??
Io spero di finire il mio compito ed a quel punto il compito della vita cosa sarà ??
Non è una riflessione improvvisa ma il voler guardare il modo realistico il futuro,
avete una risposta, provate a scriverla ma forse sarà difficile ?
Ora ho finito il racconto, sono in pace con me stesso ed ora tocca alla vita !!!!
CON TUTTO IL NOSTRO AMORE
GIANNI E MARCELLA
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