in Flebologia
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S.I.F. Società Italiana di Flebologia U p D a t e S in Flebologia 2012 Marco Apperti, Gennaro Quarto, Antonio Sellitti U p D a t e S in Flebologia 2012 EDIZIONI ISBN 9788890401961 © Copyright dell’autore Vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, anche da uso interno e didattico, non autorizzata Gruppo Mag s.r.l 20144 Milano - Alzaia Naviglio Grande, 38 81100 Caserta - C.so Trieste, 214 e-mail: [email protected] www.doctmag.com - www.gruppomag.com Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i paesi Indice I. Prefazione....................................................................................... pag. 1 II. Introduzione.................................................................................... pag.3 III. Traguardi e nuove frontiere in flebologia - G. Genovese............... pag.5 1. FISIOPATOLOGIA ED EMODINAMICA DEL SISTEMA VENOSO........................................................... pag.11 1.1. Anatomia del sistema venoso - B. Cardamone...................... pag.12 1.2. La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti - F. Passariello....................................... pag.17 2. MAPPAGGIO MORFO-FUNZIONALE E TRATTAMENTO DELLE VARICI........................................ pag.23 2.1. L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi 2.2. La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta tronchi venosi - E. Bernardini................................................ pag.24 terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento delle varici degli arti inferiori - S. Ermini.............................. pag.30 2.3. Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa - A. Sellitti............................................. pag.35 3. I TRATTAMENTI ENDOVASCOLARI.................................... pag.39 3.1. Il trattamento con Laser e Visioven - L. Goffredi.................. pag.40 3.2. Il trattamento con Radiofrequenza - B. Bernardo.................. pag.46 3.3. E.V.L.T e R.F. vs chirurgia tradizionale: risultati di una metanalisi - G. Quarto................................... pag.52 4. LA RECIDIVA VARICOSA........................................................ pag.59 8. IL LINFEDEMA........................................................................... pag.169 4.1. Recidiva post scleroterapia classica - F. Ferrara................... pag.60 8.1. Le possibilità della terapia medica - G. M. Spinelli............... pag.170 4.2. Recidiva post trattamento ESEC - S. Castagnoli................... pag.71 8.2. Il linfedema: le possibilità della terapia compressiva 4.3. Varici recidive da neoangiogenesi - M. Del Guercio............. pag.75 e strategie riabilitative - D. Corda.......................................... pag.182 8.3. Le possibilità della chirurgia - C. Eretta................................ pag.185 5. LA TERAPIA MEDICA E COMPRESSIVA DELLA MALATTIA VENOSA CRONICA.............................. pag.79 9. L’ULCERA VENOSA.................................................................. pag.191 5.1. Trattamento medico delle flebopatie 9.1. La terapia medica e compressiva - F. Topo............................ pag.192 9.2. La copertura dell’ulcera - G. Nebbioso.................................. pag.197 9.3. Il ruolo della radiofrequenza (Pulse Dose) - G. Solimeno.... pag.206 con flebotropi - O. Pieroni..................................................... pag.80 5.2. La riabilitazione flebologica ed il termalismo - G. Bencivenga............................................... pag.89 6. VARICI RETICOLARI E TELANGECTASIE........................ pag.95 6.1. Emodinamica e fisiopatologia delle teleangectasie - A. Molisso..................................................... pag.96 6.2. Utilizzo del LASER Nd:YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori - S. Colaiuda........... pag.105 6.3. Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza - A. Crippa..................................... pag.115 6.4. Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale - P. F. Atelli........................................ pag.121 6.5. Scleroterapia e terapia compressiva - R. Moretti................... pag.126 6.6. Scleroterapia e complicanze - A. Tori.................................... pag.130 7. FLEBOTROMBOSI.................................................................... pag.135 7.1. Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale - G. A. Veneruso................................... pag.136 7.2. Trombosi venosa profonda e sindrome post flebo trombotica - R. Greco.................................................... pag.145 7.3. Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare - A. Di Filippo.................................. pag.150 PREFAZIONE Quando nell’ormai lontano 1986 un discreto numero di medici, stimolato dai miei primi insegnamenti, decise di fondare la Società Italiana di Flebologia, lo fece perché le Società Angiologiche dell’epoca guardavano alla Flebologia con un certo pregiudizio ingenerato probabilmente dai propri limiti culturali in materia; si accumulavano pertanto i “perché” senza risposte nelle giovani menti di chi questa materia la amava con intelligenza “curiosa”. Ed è stato proprio questo il fine che la Società Italiana di Flebologia si era proposto, nel tentativo di ricongiungere il momento della conoscenza empirica al momento in cui questa, ponendosi i “perché” e cercandone razionalmente le soluzioni, acquisisse così la dignità di Scienza. Merito di questa Società Scientifica non è stato certo il presuntuoso tentativo di emanare scienza (politica!) dall’alto, ma di offrirsi come palestra di confronto a quei giovani dotati di “curiosa” intelligenza, offrendo loro l’opportunità di confrontarsi e sinergizzarsi cosicché fossero i loro stessi sforzi culturali a generare le “risposte” scientifiche. Quei giovani, oggi uomini maturi, qualcuno quasi vecchio, hanno contribuito in gran parte alla stesura di questo volume la cui valenza non sta nell’effimero tentativo di autocelebrazione con schiumose e personali pseudo-novità; il loro valore sta proprio nello sforzo di approfondire gli argomenti canonici o cercare un razionale scientifico per le nuove proposte e può essere riassunto nelle parole di un grande Maestro della Medicina del novecento, il Pazzini : “ … veder l’oggi nell’ieri, il domani nell’oggi delle “ideuzze” del passato – con i nostri mezzi attuali – per fonti di ispirazione e progresso. Dallo sforzo creativo dei Padri il credito ed il conforto alla nostra fatica ed incitamento a nuovo operare”; ed è proprio collegando quest’ultimo rigo, alle parole di Augusto Murri “… niuno che pratichi tale disciplina o che intenda ad essa consacrarsi deve ignorare le personalità che percorsero il vasto campo …”, che sento il bisogno di aggiungere a tutti gli autori, soprattutto ai molti miei Allievi, una sola parola: grazie! giuseppe genovese 1 INTRODUZIONE Rare sono le materie scientifiche complesse e poco codificate come la Flebologia. La patologia che essa tratta è cosi “antica” e diffusa che i primi medici si ingegnarono a curarla e trattarla con le poche, ma spesso “moderne”, risorse a loro disposizione. Il primo intervento chirurgico descritto nella storia dell’uomo è, come tutti sanno, proprio un intervento sulla malattia varicosa. Per anni e anni la cultura flebologica è stata cultura di bottega, fatta di osservazione, esperienza ed esperimenti. Oggi gli ultrasuoni stanno cambiando questa cultura, senza modificarne gli strumenti, bensì le strategie. L’emodinamica venosa, ha lanciato una grossa sfida, raccolta da pochi, che, a fatica, cerca di guadagnare consensi e certezze. Le nuove tecniche ablative cercano di spodestare la “vecchia” chirurgia venosa che resiste e resta ancora il punto di paragone per tutte le metodiche. Anche la scleroterapia si è “modernizzata” con le “bollicine”, ma ancora non ha convinto molti. E che dire delle medicazioni presuntuosamente definite “avanzate”, che tentano di soppiantare quelle più “povere” che hanno sempre garantito eccellenti risultati a prezzi discount! Anche il bendaggio elastico è diventato duplex, triplex,quadruplex…, ma è sempre la sensibilità della mano che fascia che fa la differenza. Non voglio, in queste poche righe, demonizzare il nuovo a favore del vecchio, essendo anch’io, ormai, nella schiera dei diversamente giovani e più legato ai Bassi e ai Müller, che ai “Laser” e alle “Radiofrequenze”. Vorrei però sottolineare che tante cose, che oggi ci vengono vendute come nuove, tali non sono e che tante presupposte scoperte sono spesso rifacimenti di vecchi modelli o idee un pòattempati. 3 Vorrei sottolineare che la flebologia si impara ancora nella bottega artigianale dove…“molta osservazione e poco ragionamento...” fanno la differenza. TRAGUARDI e NUOVE FRONTIERE in FLEBOLOGIA: PERCORSO STORICO Questo Updates in Flebologia, raccolto dagli amici della Sezione Sud Italia della nostra società, è l’esempio concreto di come la cultura flebologica si crei in un continuo confronto tra il vecchio e il nuovo, il moderno e l’antico, il giovane e il meno giovane. Genovese G. Mi auguro che la lettura, lo studio e soprattutto l’applicazione seria e costante siano le armi in possesso di ciascuno di noi per portare avanti, seriamente, il nostro lavoro di flebologi. Antonio Tori 4 Un excursus storico delle supposizioni, delle prove e delle esperienze spesso negative di cui è tessuto il lontano passato di questa specializzazione, è fondamentale per l’inquadramento dei traguardi raggiunti e di nuove frontiere dagli stessi proposte. La medicina dei tempi antichissimi fu essenzialmente empirica e su questo terreno si sviluppò la medicina “magica” prima e quella “popolare” poi, in stretta connessione con l’osservazione critica della natura. Anche se l’origine delle flebopatie sfuma nella leggenda, la malattia venosa nasce con l’uomo, per il suo incedere bipede, quindi la sua preistoria inizia dalla vita antropoide del periodo oligocenico prima e dell’homo sapiens poi, fino ai giorni nostri. Di questa storia così lontana ritroviamo nelle raffigurazioni incise sulle pareti delle caverne, i primi documenti di inestimabile valore che portarono alla formazione del pensiero medico in tempi molto più lontani. Così possiamo considerare come prova, la più antica dell’esistenza della malattia flebo-linfatica, il graffito che appare su una rupe dell’Ennedi – deserto del Sahara- ; l’incisione rupestre rappresenta un cacciatore molto stilizzato ma con l’arto inferiore sinistro quasi elefantiasico rispetto al destro. Ovviamente non si conosce nulla su eventuali terapie effettuate, ma che si riproducessero gli effetti di una malattia su un graffito rupestre, testimonia l’importanza attribuita al “fenomeno” per la probabile diffusione. Si può ipotizzare un genere di “medicina empirica” da cui si sviluppò nei secoli una forma di “medicina magica” che, grazie ad una osservazione sempre più razionale e critica, portò alla “medicina popolare” in uso nell’antico Egitto. La prima figura di medico che emerge dalla nebbia dell’antichità risale al 2600 a.C. grazie al primo trattato di chirurgia scritto dall’egiziano Imhotep; in questo trattato, fra l’altro, veniva descritto l’uso corrente di bendaggi a X in caso di 5 vene varicose o “piaghe” delle gambe. In seguito, il papiro medico di Ebers risalente alla XVIII dinastia dedicò l’ottava di nove sezioni al cuore e ai vasi, sconsigliando però l’intervento chirurgico sulle varici, nonostante la chirurgia avesse raggiunto notevoli traguardi. Dovremo attendere il IV secolo a.C. per trovare nell’antica Grecia una prima documentazione di “medicina popolare” diffusa: ne è testimonianza un grande bassorilievo in marmo, ex-voto al Dio Asclepio, in cui è scolpita una grossa gamba con una safena varicosa. Questo bassorilievo può essere considerato come l’antesignano di tante altre testimonianze dipinte o incise in metalli preziosi nell’antichità e conservate in vari musei. Mi piace ricordare che l’origine etimologica di “flebologia” e di “safena” proviene dal greco: flebes (vene, ma riferito anche alle arterie, senza distinzione alcuna) e logos (studio) e ancora: safenés, che significa evidente, manifesta; definivano così, gli antichi greci, la più grande delle vene superficiali dell’arto inferiore. Nel 460 a.C. nasceva a Coos il grande medico Ippocrate che, a compendio di una vita spesa nell’attività di medico, studioso razionale e primo Maestro ufficiale della Medicina, scrisse, insieme ai suoi figli medici e altri allievi, il Corpus Hippocraticum. Nasceva così la “medicina razionale”. Nel Corpus veniva compendiato tutto il sapere della medicina antica fino al V secolo a.C.; per quanto concerne la Flebologia, Ippocrate rifiutava l’incisione delle vene varicose nel caso di gambe infiammate o edematose, cosa peraltro già sconsigliata dall’antica medicina egizia; preconizzava invece punture ravvicinate della vena, praticate lungo tutto il suo decorso varicoso, così da conseguirne la totale obliterazione, per effetto di trombosi indotta dalla lesione dell’endotelio ( o anche per concomitante infezione locale, aggiungeremmo oggi con le nostre conoscenze sull’asepsi). Venivano così proposti i primi germi della futura scleroterapia! Ippocrate aveva inoltre notato che gli Sciiti erano affetti da varici per il loro continuo stare a cavallo, con le gambe penzoloni e i piedi imbrigliati dalle staffe: si cominciavano a formare le prime osservazioni sulla stasi. Nel trattato “de ulceribus”, Ippocrate oltre a dare indicazioni quanto mai attuali sulle medicazioni (asciutte, non umide!) delle ulcere, sottolinea l’importanza 6 del bendaggio compressivo. Nel 150 d.C. Galeno, nativo di Pergamo, si trasferì a Roma e divenne il più famoso medico dell’epoca per la grande esperienza accumulata nell’assistenza medica dei gladiatori; tanta esperienza ebbe come frutto la produzione di 400 trattati; in alcuni di questi venivano ampiamente descritte le vene e le arterie, la loro differente struttura di parete, nonché la differente qualità del contenuto, distinguendo il sangue proveniente dal fegato come creatore di “spiriti naturali”, quello proveniente dai polmoni creatore di “spiriti vitali”, mentre quello proveniente dal cervello trasportava gli “spiriti animali”: commise così, il grave errore di asservire le proprie conoscenze ad un rigido dogmatismo teologico. Gli studi più importanti dal punto di vista flebologico verranno però descritti nel 400 da Oribasio di Pergamo che, sintetizzando il sapere medico greco e romano in 70 volumi, descriveva con grande correttezza il suo intervento chirurgico per le varici, dall’isolamento della vena alla legatura e sezione della stessa e delle sue collaterali. Nel VII secolo Aezio D’Amida, medico in Bisanzio, scrisse e pubblicò un compendio medico di 16 libri; in uno di questi, il Tetrabiblion, viene descritta con accuratezza e precisione la legatura delle varici; ed è proprio rifacendosi ad esso che Paolo di Eghina, nel sesto dei suoi sette libri pubblicati con il titolo “Epitome medicae” , sottolinea l’importanza del tronco safenico in rapporto alla evoluzione della malattia varicosa. Paolo praticava legature e resezioni a partire da qualche centimetro al di sotto della giunzione safeno-femorale e procedeva così: “ … Il procedimento aveva inizio con il lavaggio dell’arto, l’applicazione di un laccio alla radice della coscia e deambulazione; quando le varici cominciavano a svuotarsi se ne segnava il percorso con inchiostro; poi, posizionando il paziente con la gamba sollevata, si poneva un altro laccio al ginocchio e si faceva un’incisione con tagliente lungo il disegno precedentemente effettuato; si faceva attenzione a non praticare un’incisione molto profonda per non tagliare sbadatamente il vaso; allargate le labbra della ferita con uncini, con uno specillo curvo si dividevano le membrane apparse alla vista, così da evidenziare bene la vena e scollarla all’interno. Si poteva sciogliere quindi il laccio alla coscia e, sollevata la vena con uncino, passarvi sotto un ago con doppio filo e tagliare poi l’ansa onde avere due fili; aperta la vena con una lancetta 7 ed evacuatala di molto sangue, si procedeva con fili ad una legatura a monte in un primo tempo, a valle in un secondo tempo; quando si fosse svuotato pure il segmento distale con la compressione della gamba mediante le mani; il tutto era completato con l’ablazione del tratto intermedio o col lasciarlo in sito a riassorbirsi…… il trattamento della ferita mediante batuffolo di cotone imbevuto di vino e d’olio ( come già menzionato per l’ulcera), non si trascurava il bendaggio”. La descrizione appena esposta, risale al 600 d.C. e bisognerà attendere altri 1300 anni per ritrovarla pedissequamente riproposta dal Trendelenburg nel ‘900; non è esagerato affermare che in chirurgia (e non solo flebologica) per oltre un millennio non vi furono novità di rilievo: la religione, supportata dall’inquadramento teologico delle teorie di Galeno, aveva obnubilato la “medicina razionale” , arrestando così il progredire della scienza. Dai primi graffiti preistorici che documentavano le flebolinfopatie, la lenta trasformazione delle conoscenze empiriche in elaborato razionale di medicina scientifica ha visto un graduale evolversi del pensiero umano in un affinamento di terapie i cui semi avevano cominciato già a svilupparsi nel 2600 a.C. fino a fiorire, nel 600 d.C., grazie alla scuola chirurgica bizantina. A prescindere dai vari tentativi di paludare le mummie con abiti novecenteschi, la nascita dell’era moderna della Flebologia penso vada collocata ai nostri primi anni ’80, grazie all’evolversi delle moderne tecnologie: lo studio con gli ultrasuoni del sistema vascolare, in generale, e di quello venoso in particolare, ha consentito quel grande salto di qualità che possiamo indubbiamente definire un traguardo dell’era moderna. I traguardi, però, possono diventare una prigione delle idee, se non spostiamo ancora quegli orizzonti ormai raggiunti, inseguendone sempre di nuovi. Se Trendelenburg, riproponendo la “safenectomia corta” di Paolo di Eghina, avesse potuto disporre di un Ecocolordoppler, avrebbe potuto interpretare meglio quella distinzione topografica fra le varie regioni del corpo umano, proponendo una chirurgia meno radicale. Già nel 1490 il genio di Leonardo da Vinci applicato agli studi anatomici del corpo umano, aveva sottolineato l’importanza del sistema venoso della regione addominale che drenava nella vena femorale, incrociando quello dell’arto inferiore. Non mi sembra quindi di esagerare nel definire geniali gli studi di Claude Franceschi sull’emodinamica venosa dell’arto inferiore: l’utilizzo di uno dei tra8 guardi dell’era tecnologica, gli ultrasuoni, gli ha consentito di inaugurare l’era della moderna Flebologia. Certamente il superamento delle nuove frontiere sta proprio nel saper superare alcuni integralismi derivati da tali studi, anche se giustificati dall’entusiasmo per le nuove strade aperte: sono questi i traguardi raggiunti, queste devono essere le nuove frontiere da superare! Vorrei concludere, così come nella Prefazione a questo volume, con le parole del Pazzini, considerate alla luce di quanto esposto in questo capitolo: “ … veder l’oggi nell’ieri, il domani nell’oggi delle “ideuzze” del passato – con i nostri MEZZI ATTUALI – per fonti di ispirazione e progresso. “ BIBLIOGRAFIA: 1. LEONARDO DA VINCI “QUADERNI DI ANATOMIA” IV°: FOLIO 8 RECTO. 1490 2. TESTUT-LATARJET “ANATOMIA UMANA.” Vol.II°, pp.992-998.Ed.UTET 1972 3. GENOVESE G. “Superficial Epigastric Vein Sparing in Saphenous-Femoral Crossectomy”. 26th World Congress of the International College of Surgeons, Milan-Italy. 1988 4. FRANCESCHI C. “Théorie et pratique de la Cure Conservatrice et Hémodynamique de l’insuffisance Veineuse en Ambulatorie”. Editions de l’Armançon. 1988 5. DONADI GC, GENOVESE G. “FLEBOLOGIA”. Nuove Edizioni, Milano 1994 6. GENOVESE G. “CHIRURGIA delle VENE dei LINFATICI”, pp. 18-19, Masson Editori. 2003 7. GEOVESE G. “News on Crossectomy of Sapheno-Femoral Junction”. MAIN LECTURE 15th of the I.U.P. WORLD CONGRESS, Rio de Janeiro, Brasil 2005 8. GENOVESE G. “Treatment of Varicose Veins News” MAIN LECTURE, WORLD CONGRESS ASIAN CHAPTER of the I.U.P. Kyoto, Japan. 2007 9. GENOVESE G. “News on Crossectomy of Sapheno-Femoral Junction” International Angiology, Vol. 26, n.2, pp.68. 2007 10. MARIANI F. “SELECTIVE CROSSECTOMY”, of the great saphenous vein: result at five years, Acta Phlebologica, Vol. 9, n.1, pp. 6. 2008 11. GENOVESE G. “ROL DE LAS COLATERALE EN LA RECIDIVA DE LEV”. MAIN LECTURE XIV CONGRESO INTERNACIONAL del Colegio Argentinode Cirugia Venosa y Linfatica, Buenos Aires, Argentina. 2010 9 1. Fisiopatologia ed emodinamica DEL SISTEMA VENOSO 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso 1.1 - Anatomia del sistema venoso degli arti inferiori. Cardamone B., Sellitti A., Apperti M., Di Filippo A., Quarto G. ABSTRACT: The venous system of the lower limbs is composed by two main systems: deep and superficial system, divided by aponeurotic fascia. Valves are presents in both systems, but the number decreases, going to the upper part of the limbs. There are also perforating veins which let communicate the two systems, but only in one direction (from superficial to deep system). Communicating veins connect two different districts in the same system. Collateral veins converge into main veins of the same district. The deep venous system is made by veins which are near the deep arteries of the limbs. The most important superficial veins are short saphenous and long saphenous vein. They converge respectively into popliteal vein and femoral vein. Many anatomic variants of these crosses are possible, and that can be a reason for surgical failure. INTRODUZIONE: Il sistema venoso dell’arto inferiore è formato da una rete che origina distalmente a livello del piede e confluisce nella v. femorale nella regione inguinale. Può essere distinto in: 1. Superficiale 2. Profondo I due sistemi sono separati dalla fascia aponeurotica, per cui si può anche parlare rispettivamente di sistema sopra- e sotto-fasciale. Ambedue i sistemi sono provvisti di valvole, il cui numero diminuisce progressivamente dal basso verso l’alto, e sono raramente presenti o del tutto assenti nella v. cava inferiore. Le poche valvole della v. femorale e le prime due della g. safena sopportano quindi tutto il peso della colonna di sangue. Tra i due sistemi esistono connessioni transfasciali: le vene perforanti, che, in 12 1.1 - Anatomia del sistema venoso degli arti inferiori condizioni normali, consentono il flusso del sangue dalla superficie alla profondità, grazie alla presenza di valvole unidirezionali, tranne che a livello del piede, dove, per l’assenza di valvole, il flusso ematico dal sistema venoso profondo si dirige in quello superficiale. Per evitare confusioni terminologiche, è bene ricordare che esistono vene: 1. Perforanti: perforano la fascia muscolare, spesso accompagnate da un rametto arterioso e talvolta anche da un ramo nervoso sensoriale; 2. Comunicanti: connettono due differenti distretti di uno stesso sistema venoso (v. anastomotica di Giacomini, v. circonflessa femorale mediale); 3. Collaterali: assieme ad altre simili convergono in vene collettrici dello stesso distretto. Qualche Autore distingue le perforanti in: 1. Dirette: connettono direttamente il principale collettore di un distretto superficiale con il circolo profondo; 2. Indirette: la connessione si verifica attraverso un ramo collaterale. SISTEMA VENOSO PROFONDO: Origina a livello della pianta del piede, dall’arco plantare profondo, e dal dorso, con la confluenza nelle vene tibiali, anteriori e posteriori (vene propulsive, dotate di valvole) che si accompagnano alle arterie omonime e che, dopo la confluenza con le vene peroniere, passando al di sotto dell’arco tendineo del soleo, formano la v. poplitea. Durante il decorso ricevono numerose vene muscolari; da segnalare una ricca rete venosa, quella del soleo, formata da spazi venosi di ampio calibro, avalvolati, tortuosi, di tipo sinusoidale, interposti tra vene tibiali posteriori e peroneali. La vena poplitea passa quindi sulla faccia mediale della coscia, nel canale degli adduttori, diventando v. femorale superficiale; essa costeggia il margine mediale del m. sartorio e si dirige nel triangolo di Scarpa, ove riceve la v. femorale profonda formando così la v. femorale comune. Quest’ultima passa al di sotto del legamento inguinale e si continua come v. iliaca esterna. 13 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso SISTEMA VENOSO SUPERFICIALE: Origina a livello della pianta del piede, con l’arco venoso superficiale plantare, che dà vita alle due vene marginali del piede (mediale e laterale), e dal dorso, con l’arco venoso superficiale dorsale, da cui partono le vene marginali mediale e laterale, che rappresentano l’origine delle due vene safene. Dalla vena marginale laterale si sviluppa la vena piccola safena, che origina dietro il malleolo laterale e risale lungo il margine laterale del tendine calcaneare. A metà della gamba diventa sottofasciale, posizionandosi tra i due capi del m. gastrocnemio, e raggiunge il cavo popliteo ove confluisce nella v. poplitea ad altezza variabile. Essa riceve numerose collaterali della faccia posteriore e laterale della gamba e una comunicante piuttosto importante, la vena anastomotica di Giacomini, che, dal cavo popliteo, si dirige sulla faccia mediale di coscia confluendo nella v. g. safena; talvolta può raggiungere la g. safena direttamente alla crosse safeno-femorale. Dalla vena marginale mediale del piede, 1 cm al davanti del malleolo mediale, origina la vena grande safena, che sale verticalmente sulla faccia mediale di gamba, ricevendo collaterali attraverso le quali si connette a vene perforanti. A livello del ginocchio, circonda il condilo femorale mediale ed è in stretta connessione con il nervo safeno. Alla coscia, segue il margine mediale del m. sartorio, da cui si separa nel triangolo di Scarpa: qui, con un decorso ad arco, perfora la fascia cribriforme in corrispondenza della plica di Allan-Burns e confluisce nella v. femorale. Essa è dotata di più di 10 valvole, di cui le più importanti funzionalmente sono quella situata a livello della giunzione con la v. femorale (valvola ostiale) e quella pre-ostiale, situata circa 3-4 cm al di sotto di essa. Nel suo decorso riceve numerose collaterali, sia a livello della gamba (vene sottocutanee anteriori e mediali, tra cui la c.d. vena di Leonardo), che della coscia (vena di Giacomini). Alla crosse, confluiscono nella g. safena: 1. Collaterali prossimali o superiori: vene pudende esterne (2), vena circonflessa iliaca superficiale, vena epigastrica inferiore superficiale; 2. Collaterali distali o inferiori: safena accessoria mediale e laterale 14 1.1 - Anatomia del sistema venoso degli arti inferiori Il numero, la disposizione, la confluenza delle collaterali è quanto mai variabile: nel 25% dei casi possono raggiungere direttamente la v. femorale singolarmente o confluendo in un unico tronco. Inoltre si possono trovare variazioni anatomiche congenite della crosse, quali: 1. Crosse a Y: confluenza di due vene safene nella fossa ovale; 2. Crosse doppia: doppia confluenza safeno-femorale da parte di due safenedistinte; 3. crosse ad H: confluenza di due vene safene (di cui una accessoria) immediatamente prima dello sbocco nella v. femorale; SAFENE ACCESSORIE: Possono essere distinte dalle collaterali per la struttura della parete (tunica media spessa) e per la topografia (le collaterali decorrono in prossimità della safena principale). Possono confluire nella crosse della safena principale, direttamente nella vena femorale, al di sopra o al di sotto della crosse, oppure in un collaterale della crosse. PERFORANTI: Sono numerose, particolarmente a livello della gamba. Tra le più importanti funzionalmente è bene ricordare: 1. perforanti di Cockett: almeno 3, situate sulla faccia mediale di gamba, connettono il ramo collaterale postero-mediale della g. safena (v. di Leonardo) con il sistema profondo; 2. peforante di Boyd: situata al di sotto del condilo mediale tibiale, connette la g. safena alla rete del soleo; 3. perforante di Dodd: nel canale di Hunter, connette la g. safena alla v. femorale superficiale. 15 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. Testut L, Jacob O. Trattato di Anatomia Topografica. Ed. UTET, Torino, 1974, pp. 552795. Blanchemaison P, Greney P. Atlante anatomico delle vene superficiali degli arti inferiori. Ed. Minerva Medica, Torino, 1997. Genovese G. Anatomia venosa dell’arto inferiore. In: Chirurgia delle Vene e dei Linfatici, Masson Editore, Milano, 2003. 1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti 1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti. Passariello F. ABSTRACT: PHYSIO-PATHOLOGIC PREMISES: Tissue drainage (TD) is provided by the input-output pathways (I/O Paths or PI/O), which transport blood from micro-circulation to right atrium. A fundamental function for TD is given by the Trans-Mural Pressure (TMP), a quantity derived from the intravascular (iP) and the extra vascular pressure (eP). A TMP decrease is favourable to TD and can be achieved through an iP decrease. THE HEMODYNAMIC VENOUS MAP: The Hemodynamic Venous Map (HVM) or Cartography is the morphological and functional instrument, which is also the prerequisite of any possible therapeutic strategy based on the hemodinamics of the venous system. The HVM allows the detection of the PI/O, the Cycles (Sh) and the global response of the venous system to the functional manoeuvres. In addition, it’s possible to analyse the network structure (HVM Analysis) to retrieve several other information which could be useful to research, clinical practice and to the choice of a surgical strategy. STRATEGY: All PI/O are draining pathways and vice versa all draining pathways are PI/O. As a consequence, respecting the draining systems is equivalent to respecting the PI/O. The basic non elementary structure which is useful to the comprehension of the network hemodynamics is then the P-Shunt (PSh), composed by a Sh and a PI/O which goes through it. Considering all the PI/O going through the same Sh, we get the P-Shunt Set (PSS). In a PSh the aim of the hemodynamic therapy is the Sh disconnection, preserving the lone PI/O. The cut is effected on a branch which belongs to Sh but not to PI/O. In a PSS the aim of the hemodynamic therapy is the Sh disconnection, while the strategy must choose the most conservative cut, respecting the max number of PI/O in 16 17 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso PSS which are useful to DT. These remarks make evident the complexity and the richness of information deriving from the MEV. PREMESSE DI FISIOPATOLOGIA: Il Ritorno Venoso (RV) è il flusso netto che giunge all’atrio destro attraverso il sistema venoso, sistema capacitivo che varia volume e pressione in modo locale e asincrono nei singoli distretti. Man mano che ci si avvicina al cuore destro, sia in cava superiore sia in inferiore, il flusso venoso è sempre meno dipendente dalle funzioni locali. Il RV è il risultato della statistica del drenaggio venoso dei singoli distretti, così come in un fiume la portata è dipendente solo dalla statistica del flusso dei suoi affluenti, mentre risente poco delle loro variazioni locali. Il drenaggio tissutale (DT) è la somma del drenaggio venoso e linfatico ed è approssimativamente pari al drenaggio venoso, in quanto il drenaggio linfatico distrettuale è generalmente trascurabile e nei distretti caudali confluisce nel sistema venoso solo al livello del dotto toracico. Organi del sistema venoso che assicurano il DT sono: 1. i percorsi ingresso-uscita (I/O Paths o PI/O), che trasportano il sangue dal microcircolo all’atrio destro 2. le pompe: toraco-addominale, valvulo-muscolare e plantare1 Una funzione fondamentale per il DT è svolta dalla Pressione Trans-Murale (TMP), grandezza derivata dalla pressione intra-vasale (iP) ed extra-vasale (eP)1: I valori di eP sono variabili nel lungo periodo oppure per cause esterne, ad es. per variazione della pressione atmosferica o altitudine, per immersione in acqua o per uso di un tutore elastico. All’opposto, i valori di iP possono cambiare molto velocemente. L’organismo può allora regolare iP per controllare TMP, in quanto, a parità di eP nel breve periodo, le variazioni di iP si riflettono su TMP, hanno la stessa direzione e sono 18 1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti numericamente identiche. Una riduzione della TMP è favorevole al DT e può essere ottenuta mediante il decremento di iP. La riduzione del drenaggio venoso provoca invece incremento di iP e di TMP. LA MAPPA EMODINAMICA VENOSA: La Mappa Emodinamica Venosa (MEV) o Cartografia è lo strumento morfologico e funzionale prerequisito di ogni possibile strategia terapeutica basata sull’emodinamica del sistema venoso. La MEV è il risultato di un esame EcoDoppler molto più approfondito rispetto all’indagine standard comunemente eseguita2. Molto sinteticamente, la MEV permette di riconoscere i PI/O, i Cicli (Sh) e di rilevare la risposta globale delle rete venosa alle manovre funzionali. Il valore della MEV tuttavia non si riduce solo a queste informazioni, in quanto è possibile analizzare la struttura della rete (MEV Analysis3,4,5) per trarre numerose altre informazioni utili per la ricerca, per la pratica clinica e per la scelta della strategia chirurgica. Questi ulteriori approfondimenti richiedono l’elaborazione automatica al computer (MEV computerizzata o MEVc6,7,8). STRATEGIA: Il drenaggio venoso avviene attraverso i PI/O. Tutti i PI/O sono drenanti e viceversa tutti i percorsi drenanti sono PI/O. Il rispetto dei sistemi drenanti equivale quindi al rispetto dei PI/O. Particolare attenzione deve essere rivolta a strutture notevoli della MEV, che comportano la composizione di flussi di drenaggio (che riducono il volume dei distretti venosi) e reflussi (che invece li sovraccaricano in volume). 19 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso 1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti 5. Sh è una struttura chiusa che riporta il flusso al punto di partenza. Perché sia attivo, Sh deve essere rifornito e svuotarsi, deve essere cioè attraversato da un PI/O. La struttura base non elementare utile per la comprensione dell’emodinamica di una rete è allora il P-Shunt (PSh), composizione di Sh e di un PI/O che lo attraversa. Qualora si considerino tutti i PI/O che attraversano uno stesso Sh, si ottiene il P-Shunt Set (PSS). In un PSh lo scopo della terapia emodinamica è la deconnessione di Sh, preservando l’unico PI/O. Il taglio si effettua in un ramo che appartiene solo allo Sh. Il PSS è la struttura della MEV che costituisce la base del ragionamento emodinamico. Lo scopo della terapia emodinamica è la deconnessione di Sh, mentre la strategia deve scegliere il taglio più conservativo, rispettando il massimo numero di PI/O in PSS utili al DT9,10,11,12. Passariello F. Extra-Saphenous Non Pelvic Refluxes. Presented to the “Second International Days of Phlebology”, Parma, May 30th - 31st 2008. Acta Phlebol, 2008; 9: 89-90. 6. Passariello F. VNET (Rete Venosa). Software di disegno assistito e valutazione diagnostica della mappa venosa ecografica degli arti inferiori. English Translation: VNET (Venous Net). Min Angiol, 1991; 16: 373-4. 7. Passariello F. La Mappa Venosa Ecografica degli Arti Inferiori. Rilevazione, Teoria e Realizzazione Informatica. Min Angiol, 1991; 16; Suppl. 1 al N. 2, 299. 8. Passariello F. The VNet Program. Unerstanding the venous circulation of lower limbs. 21st World Congress of hte International Union of Angiology, Rome, May 22-26, 2004. 9. Passariello F. Nuove strategie per la chirurgia della safena esterna. In Passariello F. (editor): “La Chirurgia della Vena Safena Esterna”, Newprint, Napoli, 1991. 10. Passariello F, Carbone R. Chirurgia dell’arco della Safena Esterna. Min Angiol, Ed. Min. Medica, Torino (Aprile-Giugno 1992); 17 (Suppl. 3 al n. 2): 149-56. 11. Passariello F. Intelligenza artificiale e Chirurgia Vascolare venosa. Elaborazione automatica della strategia chirurgica. Atti XVI Congr. Naz. SIPV, 1994. 12. Passariello F. Il Modello VNet per la Simulazione Chirurgica Venosa. Min Cardioangiol, 2006; 54 (Suppl. 1 al n. 6):132-3 Le osservazioni fin qui presentate rendono conto della complessità e della ricchezza delle informazioni desumibili dalla MEV e dalla MEVc. L’approfondimento sui metodi di indagine e di calcolo esula comunque dal contesto clinico e fisiopatologico trattato in questo articolo, con rigore matematico anche eccessivo. BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 20 Franceschi C, Zamboni P. Principles of venous hemodynamics. Nova Science Publishers, New York, 2009. Franceschi C. Theorie et pratique de la (C)ure (H)emodynamique de l’(I)nsuffisance (V) eineuse en (A)mbulatoire. Éditions de l’Armancon, Precy-sous-Thyl, 1988. Passariello F. Suppression of the sapheno-femoral reflux by pure non-saphenous phlebectomy and anatomical structure of the reflux. Acta Phlebologica, 2008 December; 9(3): 105-7. Passariello F. MEV analysis and reservoir effect. Acta Phlebologica, 2008 December; 9(3):109-13. 21 2. Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici 2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi Bernardini E. ABSTRACT: OBJECTIVES: Hemodynamic principles suggest that primary venous insufficiency follows the hydrostatic column of venous pressure of the limbs, and therefore, venous reflux begins at the lower points and rises upwards. To test the hypothesis of an ‘‘ascending development’’of reflux, we carried an observational study to analyze the natural evolution of lower limb venous insufficiency. MATHERIALS AND METHODS: During a 9-year period patients with primary superficial venous disease, who refused treatment, were followed prospectively with 6-month scheduled clinical and duplex ultrasound examinations. Localization, stage, and evolution of the venous patterns were compared. RESULTS: A total of 104 limbs in 99 patients were analyzed (12 males, 92 female; mean age 48.7 years). Prevalence of reflux was ( p < 0.001) more frequent along great-saphenous and its tributaries (78/104, 75%) than nonsaphenous veins. The time of re-examination ranged from 1 to 13 years (mean 4 ± 3.1 years). With the exception of six remaining stable, all the veins showed a progression of insufficiency (94%); 47 involved deep circulation. In all the worsened refluxes, an extension to reach one or more venous segments at an upper level, uninvolved before, was found. There was no downward oriented pattern of progression. There was no significant difference in age, gender, and type of vein between the stable and progressive diseases. CONCLUSIONS: Natural history of primary venous insufficiency is that of a progressive disease, which begins at lower levels of the limbs and develops in an antegrade manner as venous stasis is higher where force of gravity is higher. 24 2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi This data do not support the aggressive and widespread treatment of terminal valve as first approach, but need to be supported by larger studies. INTRODUZIONE: Fin dalla sua nascita la terapia sclerosante si è sempre prefissata di ottenere l’obliterazione del vaso allo scopo di eliminare il reflusso venoso. La tendenza alla ricanalizzazione, nell’arco di pochi mesi, del vaso sclerosato ci fa essere pienamente d’accordo con coloro che asseriscono che la tecnica sclerosante degli assi safenici deve essere considerata solo una alternativa allo stripping non avendone la stessa efficacia ablativa. Questo perché la ricanalizzazione della vena è sempre stata considerata una evoluzione indesiderata, un insuccesso, quindi, una recidiva. Illustri autori hanno pubblicato, a più riprese, numerosi lavori sulla materia (Wallois, Ouvry, Schadeck), evidenziando però una totale discordanza tra il risultato clinico, positivo fino al 95% circa dei casi, e quello strumentale, solitamente negativo per la evidenziazione ecografica della pervietà vasale con un flusso che non rientrava negli scopi della metodica. Ma se il paziente, che è il diretto interessato, dichiara un netto miglioramento, sia funzionale che estetico, ciò significa che si sono verificate delle modificazioni emodinamiche che hanno influito positivamente dal punto di vista clinico nonostante la ricanalizzazione e presumibilmente anche in merito ad essa. La domanda, a questo punto, nasce spontanea: perché dobbiamo continuare a considerare la ricanalizzazione un insuccesso, quindi una recidiva, e non il contrario, includendola tra i principali fini della metodica? FINALITÀ ED EVOLUZIONE DELLA SCLEROSI: Se andiamo ad analizzare l’evoluzione della sclerosi con un’ottica diversa, non ablativa, ma emodinamica e conservativa, possiamo riscontrare una serie di modificazioni od effetti evolutivi che giustificano una totale revisione della metodica sclerosante. Evoluzione della sclerosi: 25 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici 1. ricanalizzazione; 2. fibrosi parietale; 3. riduzione di calibro; Di rilevante importanza, dal punto di vista emodinamico, la constatazione, pressoché costante, di una riduzione di calibro, rispetto a quello iniziale, del 30-80%, variabile da caso a caso. Questo, di per sé, determina una riduzione della portata del reflusso con conseguente diminuzione del diametro delle varici e riduzione della stasi venosa, rilevabili all’esame clinico, e con un netto miglioramento funzionale, dichiarato dal paziente. Ma altrettanto importanti sono gli effetti evolutivi della sclerosi, analizzabili con un accurato studio emodinamico, seriato, dal momento della formazione dello sclero fino ad alcuni mesi dopo la ricanalizzazione ed oltre, associati ad alcuni principi emodinamici. Effetti evolutivi della sclerosi: 1. la sclerosi, effettuata a qualsiasi livello, o direttamente sull’asse safenico (R2) o sul suo ramo collaterale (R3), sede del reflusso (R2-R3), determina un frazionamento della colonna idrostatica con conseguente riduzione della pressione venosa e della portata del reflusso e con una netta riduzione del sovraccarico a livello delle vene perforanti di rientro; 2. la sclerosi, effettuata sul ramo collaterale safenico, sede del reflusso, determina una riduzione di diametro sull’asse safenico refluente soprastante lo sclero, senza che tale segmento safenico sia stato interessato dalla sclerosi; 3. la ricanalizzazione si è evidenziata, nella totalità dei casi, nell’arco di 1-3 mesi, ma costantemente con una riduzione di diametro del 30-80%, con un flusso anterogrado nel 54% dei casi, retrogrado nel restante 46%. Ciò significa che in circa metà dei casi si è verificato, per la riduzione del diametro, un riallineamento valvolare; 4. nei casi ricanalizzati con flusso anterogrado, in quelli con valvola terminale inizialmente incontinente, si è verificata in molti casi una negativizzazione della manovra compressione-rilasciamento e in alcuni anche la negativizzazione della manovra di Valsalva. Ciò significa 26 2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi che l’iniziale incompetenza della valvola ostiale, testata con manovra di compressione-rilasciamento e con la manovra di Valsalva, si è negativizzata dopo il trattamento in gran parte dei casi. Ciò dimostra che l’incontinenza ostiale è regredibile, quindi curabile. La crosse viene trattata, successivamente, chirurgicamente o con ecosclerosi, solo quando il frazionamento della colonna idrostatica non sortisce un sufficiente effetto riduttivo del suo diametro e quindi la patologia non regredisce. Ciò avviene solitamente nei casi con incontinenza dell’intero asse safenico (circa il 3% delle incontinenze safeniche) o con reflusso R1-R2-R3 per lo più a diametro elevato (oltre i 10 mm). Complessivamente non sono molti. CONSEGUENZE EMODINAMICHE SCLEROTERAPIA: E CLINICHE POST- Conseguenze emodinamiche post-ricanalizzazione: 1. conservazione del drenaggio safenico; 2. mantenimento di un flusso: I. anterogrado attraverso l’ostio safeno-femorale o safenopopliteo; II. retrogrado attraverso una o più vene perforanti di rientro centrate sull’asse safenico e/o lungo il decorso del ramo collaterale refluente, con costante riduzione del diametro, che determina: a) la riduzione della portata ematica nel tronco safenico refluente pre-trattamento; b) la diminuzione o soppressione dell’ipertensione venosa per la frammentazione della colonna di pressione idrostatica determinata, in una buona parte dei casi, dal riallineamento valvolare in segmenti non interessati dallo sclero. 27 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici Conseguenze cliniche: 1. netto miglioramento funzionale per la soppressione della stasi; 2. scomparsa o drastica diminuzione del volume delle varici. PROTOCOLLO ESEC (Eco-Sclerosi Emodinamica Conservativa): Per ottenere con la ricanalizzazione tutti gli effetti evolutivi favorevoli occorre che la terapia sclerosante sia finalizzata alla conservazione dei vasi e non all’obliterazione. Quindi gli agenti sclerosanti devono avere un dosaggio inizialmente molto basso, sia in concentrazione che in quantità, possono, ma non devono obbligatoriamente, essere schiumosi (mousse) e devono essere iniettati in punti precisi, seguendo una strategia terapeutica stabilita dopo un accurato studio emodinamico effettuato con eco-color-doppler. Dosaggi iniziali: 0,30,5% per l’agente sclerosante liquido, 0,1-0,3% per la scleromousse. L’ESEC, nata 17 anni fa e perfezionata nel tempo, oltre a sfruttare gli effetti evolutivi della sclerosi, ha come cardini due evidenze emodinamiche: 1. l’evoluzione per lo più ascendente della malattia varicosa 2. il “lavaggio” dei vasi alle confluenze con altri rami profondi, safenici, collaterali o perforanti che, di fatto, impedisce la progressione ascendente dello sclero o del trombo (nel caso di trombosi venosa spontanea, non provocata dalla sclerosi) Il protocollo della E.S.E.C. è fondamentalmente diverso da quello della scleroterapia tradizionale che considera la ricanalizzazione un insuccesso. A ricanalizzazione avvenuta occorre di nuovo effettuare sempre uno studio emodinamico per verificare se persiste un reflusso, da non confondere col deflusso, anterogrado o retrogrado nelle perforanti di rientro senza salto di compartimento, perché in quest’ultimo caso abbiamo ottenuto comunque un sistema drenante. In caso di reflusso possiamo iniettare nuovamente il liquido o mousse sclerosante, ma a dosaggio spesso più basso di quello utilizzato l’ultima volta perché il diametro del vaso è comunque diminuito. E questo verrà ripetuto, se necessario, più volte fino a che non abbiamo ottenuto un deflusso post-ricanalizzazione. 28 2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi CONCLUSIONI: L’evolutività e la cronicità della malattia varicosa rende impossibile la guarigione, con qualunque metodica si intervenga, ma con l’E.S.E.C. siamo in grado di tenerla sotto controllo quasi incruentamente, soddisfacendo le attese dei pazienti trattati, che ricordiamo essere soprattutto la scomparsa della sintomatologia e delle varici compatibilmente al mantenimento, pressoché totale, del loro sistema venoso primitivo. BIBLIOGRAFIA: 1. Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Echo-Sclerosis Hemodynamic Conservative: A New Technique for Varicose Vein Treatment. Ann Vasc Surg, 2007 Jul; 21(4): 535-43. Epub 2007 May 18. 2. Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Ambulatory and Haemodynamic treatment of venous insufficiency by ultrasound-guided sclerotherapy (ESEC cure). Ann Vasc Surg, Volume 24, Issue 6, August 2010, Pages 709-720. 3. Bernardini E, De Rango P, Piccioli R, Bisacci C, Pagliuca V, Genovese G, Bisacci R. Development of primary superficial venous insufficiency: the ascending theory. Observational and hemodynamic data from a 9-year experience. Ann Vasc Surg, 2010 Aug; 24(6): 709-20. 29 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici 2.2 - La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento delle varici degli arti inferiori. Ermini S. ABSTRACT: CHIVA method is performed in Italy in a proportion of patients treated for varicose veins between the 1% and 2%. However the results of treatment with CHIVA method are better than any other method, as shown by 4 RCTs and by a Review of the Cochrane Library being printed. Also the use of the saphenous vein in coronary artery bypass graft and popliteal bypass is validated by a Review of Cochrane Library. If vascular surgeon decides to implement procedures other than the CHIVA, he should inform patients about the actual results to 10 years and the loss of possibility to use the saphenous vein for a life-saving intervention. INTRODUZIONE: La cura CHIVA è il trattamento conservativo emodinamico delle varici. L’emodinamicità vàdi pari passo con la conservazione del drenaggio venoso negli assi safenici ed in gran parte delle collaterali; è la caratteristica essenziale che contraddistingue questa metodica. La superiorità a 5 e 10 anni dei risultati della cura CHIVA nei confronti dello stripping è validata da 4 trials prospettici randomizzati (RCT). Poiché lo stripping è considerato il “Gold Standard” delle terapie demolitive, tutto quanto vale per le altre metodiche demolitive verso lo stripping, vale, di riflesso, verso la CHIVA. 30 2.2 - La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento delle varici degli arti inferiori LA METODICA CHIVA: La cura CHIVA si basa su una rigorosa analisi cartografica delle varici eseguita in orto-dinamismo, è estremamente flessibile ed attuabile in tutti i casi di IVS (insufficienza venosa superficiale), indipendentemente dal calibro degli assi safenici e dalla taglia delle varici che non condizionano i risultati della metodica. In considerazione di ciò e dei citati RCT, la cura CHIVA è per l’IVS il trattamento di prima scelta. Tuttavia esistono oggi numerose metodiche per trattare le varici ed è luogo comune affermare che il flebologo moderno deve selezionare i pazienti scegliendo quella più appropriata. In relazione a questa realtà ci sono varie considerazioni che non possono essere trascurate: 1. le varici sono state suddivise da C. Franceschi nel 1988 in vari tipi di circolazioni private (shunts) che tengono conto della presenza o meno di un punto di fuga e della sede del rientro del flusso retrogrado safenico. Le modalità del rientro non influiscono sulle scelte demolitive; al contrario, la tipologia del punto di fuga dovrebbe essere sempre valutata in una prospettiva terapeutica sia demolitiva che conservativa; 2. le metodiche per trattare le varici si possono raggruppare in demolitive e conservative emodinamiche (CHIVA). Le cure demolitive comprendono i vari tipi di stripping e le tecniche di occlusione vasale quali il laser endovenoso, la radiofrequenza, la scleromousse. La finalità è comunque sempre quella di sopprimere il tronco safenico e le collaterali; i criteri di scelta dovrebbero rispondere oggi alla Evidence Based Medicine. La EBM tiene conto dei risultati clinici, e cioè di quanto validato dai RCTs. Le decisioni cliniche secondo EBM dipenderanno quindi dall’interazione fra l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili (RCTs) e l’esperienza del medico, che però non è esonerato da un aggiornamento professionale continuo. 31 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici 2.2 - La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento delle varici degli arti inferiori STRATEGIE TERAPEUTICHE: I. Per quanto detto, l’etica professionale nel trattamento delle varici si dovrebbe estrinsecare in: 1. conservare ciò che è sano e cercare di recuperare ciò che può essere compromesso solo in modo reversibile; 2. informare il paziente sulla possibilità di usare la safena per un eventuale by pass; 3. informare il paziente sui risultati a distanza delle varie metodiche (RCTs). La tipologia del punto di fuga è l’elemento a comune dei vari trattamenti, demolitivi e conservativi. Analizzeremo con vari esempi come la chirurgia demolitiva non si rapporta con i patterns emodinamici dei punti di fuga, ma bensì quasi tutti li trascura. II. Vediamo alcuni esempi e riflettiamo sulla scelta terapeutica: 1. Varici safeniche ad origine ostiale con valvola terminale incontinente. I fattori da prendere in esame per la scelta terapeutica scaturiscono dalle seguenti considerazioni: I. II. è etico demolire una safena solo perché la cross è refluente, associandosi o meno all’incontinenza di altri tratti? La maggior parte delle safene che oggi operiamo hanno un calibro inferiore ai 7 mm., non hanno gozzi, sono incontinenti in media per 3-4/6 della loro lunghezza, il loro calibro si riduce del 3040 % dopo correzione emodinamica. Le safene tortuose sono < 1‰; la prospettiva dei risultati a distanza (RCTs). 2. Varici safeniche con incontinenza dell’arco safenico e continenza della valvola terminale. Riguardano il 45% delle incontinenze safeniche. Si associano nell’80% a safene che hanno un diametro < 5 mm. I fattori da prendere in esame per la scelta terapeutica scaturiscono dalle seguenti considerazioni: 32 è etico intervenire sulla cross safeno-femorale anche se continente? è etico demolire safene così piccole? 3. Punti di fuga di origine pelvica: rappresentano punti di fuga che possono con facilità recidivare dopo il trattamento. La recidiva di un punto di fuga post-stripping può dar luogo a recidiva di varici anche in distretti dove prima del trattamento non erano presenti vasi dilatati. In presenza della safena la recidiva varicosa da un punto di fuga è legata alla capacità aspirativa del punto di rientro e fintanto che permane un equilibrio emodinamico non si hanno nuove varici. Quali sono quindi le tecniche demolitive che trovano una indicazione logica nel trattamento di questo tipo di varici? 4. Shunts (circolazioni private) sistolici (che compaiono durante la fase di contrazione muscolare): si ritrovano spesso sulla cross safeno - poplitea. Sono caratterizzati dalla presenza di un reflusso non solo diastolico (che compare durante la fase di rilasciamento muscolare), ma anche sistolico-diastolico. Talvolta danno luogo ad un reflusso sistolico anterogrado (diretto verso l’alto) sulla vena di Giacomini. Il reflusso sistolico è dovuto ad un ostacolo al flusso nella rete profonda che determina un aumento della pressione laterale a livello popliteo. Non esistono, a mio parere, possibilità di trattamento per questa tipologia di varici nell’ambito della chirurgia demolitiva, in quanto uno shunt sistolico è equiparabile ad uno shunt vicariante e dunque non può essere soppresso. CONCLUSIONI: In conclusione il flebologo moderno dovrebbe adattare la sua scelta terapeutica ai pattern emodinamici sopra enunciati ed agli RCTs, rispondendo così ai criteri che caratterizzano la EBM. Nell’esperienza di chi scrive, in questa logica non trova spazio l’indicazione alle scelte demolitive. 33 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 34 Franceschi C, Zamboni P. Principles of hemodynamics - Nova Publishers, 2009. Josep Oriol Pares et al. Varicose Vein Surgery. Stripping versus the CHIVA method: a Randomized Controlled Trial. Ann Surg, April 2010; 251: 4 [ISRCTN52861672]. (international standard randomised controlled trial number) www.controlled-trials.com. Zamboni P et al. Minimally Invasive Surgical management of primary venous ulcer vs. Compression Treatment: a Randomized Clinical Trial. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2003; 00: 1-6. Iborra et al. Clinical and random study comparing two surgical techniques for varicose vein treatment : immediate results. Angiologia, 2000; 6: 253-258. Carandina, C. et al. Varicose Vein Stripping vs Haemodynamic Correction (CHIVA): a Long Term Randomised Trial. Eur J Vasc Endovasc Surg, 10.1016/j.ejvs.2007.09.011. Li J et al. The patency of sequential and individual vein coronary bypass grafts: a systematic review. Ann Thorac Surg, 2011; 92: 12920 McLain CP, Twine AD. Graft type for femoro-popliteal bypass surgery. Cochrane review abstract. Cochrane Database of Systematic Reviews 2011 Issue 10, Copyright © 2011 The Cochrane Collaboration. Franceschi C. La Cure CHIVA - Editions de L’Armançon, 1988. 2.3 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa 2.3 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa. Sellitti A., Cardamone B., Di Filippo A., Goffredi L., Sellitti M. E., Quarto G, Apperti M. ABSTRACT: Ablative surgery is considered the gold standard for the treatment of varicose veins. It is important to precede ablative operations by an accurate Echo-Color-Doppler study to prevent or reduce technical errors. In fact hemodynamic assessment of varicose veins determines the kind of operation (long strip, short, ultra-short or simply varicectomy). This research has reduced considerably the classic operations of stripping. INTRODUZIONE: La chirurgia ablativa, alla luce delle consolidate acquisizioni di emodinamica ed effettuata con accuratezza e precisione, resta, a nostro avviso, il pilastro della chirurgia delle varici. L’obiettivo è quello di ottenere un risultato funzionale ed estetico soddisfacente e duraturo nel tempo. Prevede: 1. Tempo di crosse; 2. Stripping lungo della safena interna, dalla giunzione safeno-femorale al malleolo mediale (nel 10% circa dei casi); 3. Stripping corto della safena interna, dalla giunzione safeno-femorale fino al terzo superiore di gamba; 4. Stripping ultra-corto della safena interna, dalla giunzione safeno-femorale fino al terzo medio-inferiore di coscia; 5. Stripping della safena esterna, dalla giunzione safeno-poplitea al malleolo laterale (meno dell’1%) o, più frequentemente, a metà polpaccio (stripping corto); 6. Stripping dei sistemi safenici accessori; 7. Varicectomia. L’ablazione dei tronchi safenici viene completata, in genere, dalla legatura-interruzione delle perforanti incontinenti e dalla varicectomia, raggiungendo così anche una finalità emodinamica attraverso l’exeresi delle vie di reflusso. 35 2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici MATERIALI E METODI: È importante fare precedere gli interventi ablativi da un accurato studio EcoColorDoppler per evitare o ridurre gli errori tecnici. Il mappaggio morfo-funzionale pre-operatorio ha notevolmente ridimensionato il classico intervento di stripping. Infatti con l’Eco-Color-Doppler si valuta: 1. Variabilitàanatomica del sistema; 2. Valutazione degli apparati valvolari; 3. Accurato studio dei punti di fuga e di rientro; 4. Interpretazione della direzione dei flussi; 5. Giusta esecuzione ed interpretazione delle manovre statiche e dinamiche. Le moderne acquisizioni di emodinamica hanno rivalutato la varicectomia considerata in passato un trattamento estetico (“eliminazione del visibile”). Essa è indicata: 1. A completamento di stripping ultra-corto, corto o lungo e nella recidiva; 2. Asse safenico non dilatato, con valvola preterminale incontinente e valvola terminale continente; 3. Reflusso N2 > N3 alto (con incontinenza breve safeno-femorale) e con safena sottostante continente; 4. Reflusso N1 > N3; 5. Reflusso di N3 a partenza dal golfo safenico con tronco safenico continente; 6. Presenza di perforanti di rientro sulla safena (in genere sotto il ginocchio), capaci di svuotare la quota refluente una volta eliminate le varici di N3; 7. Pazienti molto giovani o anziani, dove una chirurgia di minima puòessere giustificata (difficile stabilire l’evoluzione nel primo caso, risultati funzionalmente adeguati nel secondo caso); 8. Varici di piccolo calibro in pazienti che rifiutano la scleroterapia; 9. Altre situazioni: malattia ischemica cardiaca o periferica, artropatia, epatopatia, cause psicologiche, ecc. Nel periodo dicembre 1997 - aprile 2011 abbiamo trattato 1528 arti inferiori, in 913 casi (59,7%) abbiamo effettuato varicectomie senza interventi sul sistema safenico interno o esterno, in 615 casi (49,3%) siamo intervenuti sul sistema safenico interno o esterno con varicectomie associate. Tali interventi sono stati eseguiti in regime di DayHospital, in anestesia locale o spinale. RISULTATI: Il 100% dei pazienti trattati chirurgicamente secondo tali protocolli hanno riferito nel tempo un miglioramento estetico e clinico più che soddisfacente; non abbiamo mai rilevato, nei controlli Eco-Color-Doppler che sistematicamente effettuiamo ad un mese, tre mesi, sei mesi ed un anno dall’atto operatorio, recidive di crosse, laddove è stato necessario intervenire anche sul sistema delle safene; le varici residue ed evolutive 36 2.3 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa post-operatorie hanno sempre trovato giovamento con il trattamento scleroterapico. CONCLUSIONI: 1. La varicectomia può essere ritenuta intervento di scelta e non “palliativo” in circa il 60% dei pazienti varicosi; l’’atto operatorio (varicectomia isolata e/o a completamento di interventi sul sistema delle safene interne o esterne) viene eseguito in regime di Day-Surgery, generalmente in anestesia locale o spinale, effettuando mini incisioni cutanee che praticamente non alterano il profilo estetico; 2. Le collaterali varicose, quando non sono molto tortuose, anziché “mullerizzate” possono essere incannulate ed eliminate con ministripping; 3. In caso di stripping corto o ultra-corto safenico, previo un corretto marcaggio preoperatorio, si può orientare la sonda per un “incannulamento in blocco” safenico + collaterale (N2+N3); 4. Dopo l’intervento viene effettuato un bendaggio elastocompressivo, sostituito il giorno successivo da una calza elastica post-operatoria; 5. I pazienti possono essere dimessi dopo poche ore dall’intervento o al massimo il giorno dopo perfettamente deambulanti, riprendendo, in casi di necessità, anche l’attività lavorativa. In conclusione, nella chirurgia delle varici il trattamento ablativo rappresenta il gold standard. Esso deve essere necessariamente preceduto da un accurato studio Eco-ColorDoppler per evitare e/o ridurre gli errori tecnici, al fine di ottenere un soddisfacente risultato estetico e funzionale, duraturo nel tempo. BIBLIOGRAFIA: 1. Andreozzi GM. Flebologia per il medico pratico. Ed. Minerva Medica, 1994 2. Antignani PL. Diagnostica vascolare ultrasonografica. Ed. S.E.U., 2007 3. C.I.F Linee Guida diagnostiche-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici, Acta Phleb. - Rev. 2003- Vol.4, n° 1-2 - Aug. 2003 - Minerva Medica; 3-5: 79-80 4. Delfrate R. Manuale di emodinamica venosa degli arti inferiori. Ed. Ass. Umanizzazione della Chirurgia, Parma, 2011. 5. Franceschi C.Théorie et pratique de la cure CHIVA. Ed. de l’Armanoçon, Prècysous-Thil, 1988 6. Genovese G. Chirurgia delle vene e dei linfatici. Ed. Masson, Milano, 2003. 7. Mancini S. Trattato di Flebologia e Linfologia. Ed. U.T.E.T., Torino, 2001. 8. Mancini S. Manuale di Flebologia. Laris editrice, Colle Val D’Elsa (Si), 2009. 9. Ricci S, Georgiev M. Flebectomia ambulatoriale. Ed. P.R., Bologna, 1999. 37 3. I trattamenti endovascolari 3 - I trattamenti endovascolari 3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven 3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven application. This treatment has proved very effective also under aesthetic profile, allowing us to avoid numerous skin incisions, the risk of thermal injury due to incongruous exposure to laser light outside of the venous lumen. Goffredi L, Atelli P.F, Solimeno G., Quarto G., Apperti M. CONCLUSIONS: After subsequent checks, no patient showed signs of ABSTRACT: OBJECTIVES: The method of treatment of varicose veins with endovascular technique (EVLT) today is extremely successful. In fact, this method is particularly appreciated by patients thanks to its technical characteristics and, especially for functional and aesthetic results. METHODS: From November 2006 to date, we enrolled approximately 150 patients with varicose dilation of saphenous and extrasaphenous sides in which, instead of practicing numerous phlebectomy, we considered most suitable laser treatment with direct cannulation of the vein with a needle of 16G or of 18G and subsequent introduction of the probe, typically, of 600 microns. To ensure that the maneuver was not “blind”, but could be targeted, we have used, initially, a cold light source that we have already experienced (Epiven). For about two years we introduced a new system “Visioven®” patented by us, consisting of a defocused laser light source which, in contact with the skin surface, allows detection of saphenous and extrasafenous sides, difficult to detect accurately with the naked eye, especially during surgery with the patient supine and the circle emptied. RESULTS: In this way we were able to highlight the vein to be treated and then cannulated with a needle first and then with the laser probe in a precise and simple way. We obtained in this way, satisfactory results in terms of the effectiveness of therapy, because the safety of the correct position of the probe has given us the opportunity to apply the most appropriate laser energy without fear of failure to close the vein because of the incongruous extravascular 40 recanalization of the treated vessels, although, of course, the follow-up is too short to enable a final decision, while the aesthetic results are fully evaluated and were shown to have a great appreciation especially in patients of female sex. The transillumination laser with Visioven® (TILV) represents a noninvasive diagnostic method that, we believe, is essential in the endovascular laser treatment of saphenous and extrasaphenous sides. In fact, the use of endovascular laser without the possibility to pinpoint the location of the blood vessel would be impossible. Our method is easy to learn and to apply, and once acquired, it will become an indispensable tool in the hands of whom is using it. OBIETTIVI: Il trattamento delle varici degli arti inferiori con tecnica endovascolare (EVLT) è una metodica che, oggigiorno, riscuote molto successo. Infatti, per le sue caratteristiche tecniche e, soprattutto per i risultati funzionali ed estetici che riesce ad ottenere, è particolarmente apprezzata dai pazienti. Da circa sei anni anche noi ci siamo “convertiti” a questa metodica, anche se siamo convinti che le indicazioni e le modalità tecniche vadano ancora perfezionate e condivise dopo un uso cauto e ragionato. Proprio nell’ottica di ricercare nuove soluzioni ed aggiornamenti di tecnica, che rendessero la metodica più flessibile ed adeguata all’obbiettivo di ottenere un buon risultato terapeutico con il minimo di invasività, abbiamo messo a punto una tecnica originale per il trattamento laser delle collaterali safeniche ed extrasafeniche utilizzando uno strumento da noi ideato e brevettato che ci ha permesso di ottenere ottimi risultati funzionali ed estetici. 41 3 - I trattamenti endovascolari 3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven METODI: Abbiamo arruolato, da Novembre 2006 ad oggi, circa 150 pazienti affetti da dilatazione varicosa di collaterali safeniche ed extrasafeniche nei quali, invece di praticare numerose flebectomie, abbiamo ritenuto più indicato il trattamento laser con incannulamento diretto della vena con ago 16G, o 18G e successiva introduzione della sonda, in genere, da 600 µm. Per far sì che la manovra non fosse “cieca” ma potesse avvenire in maniera mirata, ci siamo avvalsi, inizialmente, di una sorgente di luce fredda da noi già sperimentata (Epiven) e, da circa due anni, di un nuovo sistema da noi brevettato, “Visioven®” (Fig. 1), costituito da una sorgente di luce laser defocalizzata che, a contatto con la superficie cutanea, permette di individuare collaterali safeniche ed extrasafeniche difficilmente individuabili con precisione ad occhio nudo, soprattutto durante l’atto chirurgico, a paziente in posizione supina e a circolo svuotato (Fig. 2). Fig. 2 - Collaterali extrasafeniche visualizzate con Visioven® RISULTATI: In tal modo siamo riusciti ad evidenziare la vena da trattare e quindi ad incannularla prima con l’ago e poi con la sonda laser in maniera precisa e semplice (Fig. 3). Abbiamo ottenuto, in tal modo, risultati soddisfacenti sotto il profilo dell’efficacia terapeutica, poiché la sicurezza della posizione corretta della sonda ci ha dato la possibilità di applicare l’energia laser più idonea senza temere la mancata chiusura della vena per l’incongrua applicazione extravasale. Ma anche sotto il profilo estetico il trattamento si è dimostrato di notevole efficacia, poiché, se da un lato abbiamo evitato di dover praticare numerose incisioni cutanee, dall’altro abbiamo evitato il rischio di lesioni termiche dovute ad incongrua esposizione alla luce laser al di fuori del lume venoso. Fig. 1 - L’apparecchiatura Visioven® 42 43 3 - I trattamenti endovascolari 3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. Apperti M. Insufficienza venosa cronica ed ulcere flebostatiche: criteri di scelta della terapia chirurgica. ActaVulnologica, 2006; Vol 4, 1 n.3. Apperti M. La epiillumnazione nel mappaggio e nel trattamento delle varici. Relazione al Simposio: Ricerche e novità in flebologia. Congr. Naz. C.I.F. – 2004. Canonico S, Campitiello F, Santoriello A, Apperti M, De Bellis W, Califano U. Il trattamento della malattia varicosa del paziente anziano in regime di Day Surgery. Dieci anni di esperienza. Chir Ital, Jul-Aug 2003; 55(4): 555-60. PMID: 12938602. Fig. 3 – Transilluminazione Laser con Visioven® (T.I.L.V.) CONCLUSIONI: Ai controlli successivi nessun paziente ha mostrato segni di ricanalizzazione dei vasi trattati, anche se, ovviamente, il follow-up è stato troppo breve per poter esprimere un giudizio definitivo, mentre i risultati estetici sono valutabili appieno ed hanno mostrato di avere un notevole apprezzamento, soprattutto nei pazienti di sesso femminile. La transilluminazione laser con il Visioven (T.I.L.V.) rappresenta, quindi, una metodica diagnostica non invasiva che riteniamo indispensabile nel trattamento endovascolare laser delle collaterali safeniche ed extrasafeniche. Sarebbe, infatti, improponibile l’uso del laser endovascolare senza la possibilità di poter individuare con precisione il percorso del vaso venoso; solo in tal modo, infatti, possiamo adoperare il laser senza incorrere nel rischio di ottenere più danni che benefici. La metodica è di facile applicazione, consente un rapido apprendimento, per cui possiamo ritenere che, una volta acquisita, divenga uno strumento indispensabile nelle mani di che lo adopera. 44 45 3 - I trattamenti endovascolari 3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza Bernardo B., Mastrangelo D., Bruno A., Civitillo F. ABSTRACT: Endovascular thermal occlusion of internal saphenous vein by radiofrequency is a new procedure for treatment of varicous veins of lower limbs. We report our preliminary experience on 40 patients treated by Closure Fast technique. Closure Fast causes the endovenous coagulation of the vein by conductive warming induced by the direct contact of a catheher percutaneously inserted activated by a generator. The final effect is the fibrotic occlusion of the vein. The advantages of this technique are: • Ambulatory surgery. • Local anesthesia. • Less invasivity. • Low incidence of emathomas. • Nerve and lymphatic fibers sparing. No major complications have been observed in our clinical series. Full good results were achieved in 70%; partial occlusion in 30%, but not requiring redo -surgery. OBIETTIVI: Il trattamento attuale delle varici degli arti inferiori si avvale di una serie di metodiche eterogenee che vanno da quelle conservative (sclerosi classica, ecosclerosi, sclerosi con mousse), a quelle chirurgiche non ablative (correzione emodinamica secondo tecnica Chiva), chirurgiche ablative (stripping, flebectomie con tecnica di Muller) o, infine, endovascolari (termoablazione con sistema laser o con sistema a radiofrequenza). Sottolineando che nessuna delle suddette procedure è stata standardizzata e validata, in aderenza alla tendenza 46 3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza ad eseguire trattamenti sempre meno invasivi e destruenti, abbiamo centrato la nostra attenzione su una tecnica di recente introduzione in Italia (ma molto praticata in Francia): la termo-occlusione della vena safena interna con sistema a radiofrequenza. METODI: Dal novembre 2010 al novembre 2011 presso l’Unità Dipartimentale di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare della Casa di Cura “GEPOS” di Telese Terme (BN), sono stati eseguiti per patologia varicosa degli arti inferiori 220 interventi su 195 pazienti. Le tecniche eseguite sono state: • chirurgia ablativa (stripping, flebectomie, crossectomia): 160 • termoocclusione con radiofrequenza: 40 • ecosclerosi con mousse: 15 • correzione emodinamica sec. Chiva: 5 La scelta del tipo di trattamento più idoneo è stata selezionata caso per caso in base alle caratteristiche anatomiche e cliniche del paziente e alle preferenze individuali sia del chirurgo operatore che del paziente. In questa sede vogliamo riportare la nostra esperienza preliminare su 40 pazienti trattati con la tecnica di occlusione termica con catetere a radiofrequenza. Abbiamo impiegato in tutti i casi il sistema Closure Fast (Covidien ™). Il sistema Closure Fast è concepito per la coagulazione endovenosa di vasi sanguigni in paziente con reflusso venoso superficiale: esso utilizza il principio fisico del riscaldamento conduttivo, ovvero del calore trasmesso attraverso il contatto diretto di un catetere introdotto per via percutanea nella vena safena interna opportunamente attivato attraverso l’energia di radiofrequenza fornita da un generatore per indurre la contrazione del collagene e infine l’occlusione fibrotica della vena. Il sistema si compone del catetere (4 Fr, lunghezza da 60 o 100 cm., monouso, compatibile con guida.0025) e di un generatore di radiofrequenza. Il catetere è provvisto alla sua estremità di una termocoppia lunga 7 cm. ed è contrassegnata sullo stelo da markers di 6,5 cm. in modo da consentire durante la fase di retrazione un opportuno “overlapping” delle zone trattate. 47 3 - I trattamenti endovascolari Durante il riposizionamento (ovvero durante la fase di retrazione) non avviene nessuna erogazione di energia da parte dell’apparato e, soprattutto, l’erogazione di energia non varia in base alla velocità di retrazione in quanto ogni segmento di 6,5 cm. viene trattato con un singolo ciclo on-off. Ogni ciclo è completamente e automaticamente standardizzato e gestito dal generatore che imposta durata, temperatura (120°) e potenza massima senza possibilità di “contaminazioni” individuali e senza necessità di impostare alcun parametro fisico (come accade invece per i sistemi laser a retrazione manuale continua). L’intervento viene eseguito in anestesia locale mediante infiltrazione manuale o, meglio, con l’ausilio di una pompa peristaltica di una soluzione anestetica per tumescenza fredda (4°) a base di soluzione salina fisiologica + lidocaina con epinefrina all’1% + bicarbonato sodio in concentrazione 8.4% che ha lo scopo di: 1. comprimere la vena trattata per favorire il contatto della parete venosa con l’elemento riscaldante del catetere; 2. creare una barriera liquida per proteggere la cute ed i tessuti molli dai danni termici (è necessario creare uno spessore di almeno 10 mm. tra la superficie cutanea e la vena), 3. consentire l’effetto analgesico sia durante che dopo il trattamento per almeno 4 ore; 4. ridurre in maniera significativa gli ematomi. Per quanto riguarda le indicazioni alla tecnica Closure Fast, possiamo affermare che, esaurita la prima fase di learning curve, essa può essere applicata alla maggior parte dei paziente affetti da varicosi della vena safena interna, evitando i seguenti casi: • tortuosità significativa. • segmenti di calibro > 14 mm. • anomalie di decorso (segmenti sottofasciali). • anomalie di calibro (segmenti esili post-flebitici alternati a segmenti varicosi). • anomalie numero (VSI duplici e triplici). • paziente estremamente magri. • presenza di materiale trombotico nella vena safena interna. 48 3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza La perfetta conoscenza dell’anatomia e dell’emodinamica venosa mediante ecocolorDoppler è presupposto indispensabile e fondamentale per la buona riuscita della tecnica. DESCRIZIONE DELLA METODICA: La tecnica Closure Fast prevede i seguenti steps: 1. Accurato mappaggio emodinamico e morfologico dell’arto con ecocolorDoppler. 2. Puntura ecoguidata in Trendelenburg della vena safena interna (di regola al III superiore della gamba o al III inferiore della coscia); in alternativa si esegue un accesso chirurgico con mini incisione di 3 cm. 3. Posizionamento nella VSI di un introduttore 7F da 11 cm. (secondo tecnica standard di Seldinger). 4. Introduzione del catetere operativo che viene fatto progredire verso l’alto sotto controllo ecografico. 5. Identificazione anatomica precisa della crosse safeno-femorale, avendo cura che la punta del catetere va posizionata esattamente 2 cm. al di sotto della confluenza del ramo epigastrico che deve essere lasciato pervio in modo da consentire un buon “lavaggio” della vena (va sottolineato che l’effetto di riscaldamento e quindi di trombosi della vena si prolunga in alcuni casi di 1.75 cm. oltre la punta del catetere). 6. Anestesia per tumescenza della vena, in particolare della regione inguinale. 7. Inizio del trattamento mediante cicli di riscaldamento della durata di 20 secondi a 120° ritirando il catetere step-by-step sulla guida dei markers centimetrati (è consigliabile eseguire 2 cicli alla crosse in caso di VSI di Ø > 8 mm.) e applicando una efficace compressione esterna. 8. Al termine del trattamento è possibile eseguire flebectomie secondo tecnica standard di Muller. 9. In caso di accesso percutaneo non è necessario applicare punti di sutura ma solo degli strips. 10. Viene applicato un bendaggio elastico o una calza di II classe di compressione. 49 3 - I trattamenti endovascolari Il paziente può deambulare immediatamente e viene dimesso dopo 2-3 ore con la consueta terapia flebotonica e antitrombotica (EBPM a basso dosaggio). RISULTATI: Nella serie di 40 pazienti trattati non abbiamo riscontrato alcuna complicazione maggiore (tromboflebiti superficiali, TVP). Complicazioni minori (ecchimosi) si sono verificate nel 10% dei casi. Il follow-up, eseguito mediante ecolorDoppler, ha mostrato la completa occlusione della VSI nel 70% dei casi; una occlusione incompleta (ovvero segmentaria) è stata osservata nel 30% dei casi, tuttavia non emodinamicamente significativa e, quindi, non trattata. In 1 caso (paziente n°3) abbiamo registrato la persistenza di fastidiose parestesie della coscia in una paziente molto magra (da riferire verosimilmente a insufficiente tumescenza e a danno termico). 3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza (Closure) Versus Ligation and Vein Stripping (EVOLVeS): Two-year Follow-up. Eur J Vasc Endovasc Surg. 2005; 29: 67-73. 4. Dietzek A. Two-Year Follow-Up Data from a Prospective, Multicenter Study of the Efficacy of the Closure FAST Catheter. Veith Symposium 2008, New York, NY. 5. Almeida J et al. Radiofrequency Endovenous ClosureFAST® versus Laser Ablation for the Treatment of Great Saphenous Reflux: A Multicenter, Single-blinded, Randomized Study (RECOVERY). J Vasc Interv Radiol 2009; 20: 752-759. 6. Proebstle et al. Three-year European follow-up of endovenous radiofrequency-powered segmental thermal ablation of the great saphenous vein with or without treatment of calf varicosities. J Vasc Surg 2011; 54: 146-52. CONCLUSIONI: La termoablazione della vena safena interna con sistema Closure Fast è una metodica efficace, sicura e di semplice esecuzione a patto che si abbia una buona conoscenza della diagnostica ecocolorDoppler e delle tecniche endovascolari. È indispensabile un periodo di training “tutorato” per ottimizzare i risultati e prevenire possibili complicazioni anche gravi (TVP) legate ad errori procedurali. BIBLIOGRAFIA: 1. Tawes RL, Barron ML, Coello AA, Joyce DH, Kolvenbach R. Optimal therapy for advanced chronic venous insufficiency. J Vasc Surg 2003; 37: 545-51. 2. Nicolaides AN. Cardiovascular Disease Educational and Research Trust; European Society of Vascular Surgery; The International Angiology Scientific Activity Congress Organization; International Union of Angiology; Union Internationale de Phlebologie at the Abbaye des Vaux de Cernay. Investigation of chronic venous insufficiency: A consensus statement (France, March 5-9, 1997). Circulation. 2000; 102: E126-63. 3. Lurie F, et al. Prospective Randomized Study of Endovenous Radiofrequency Obliteration 50 51 3 - I trattamenti endovascolari 3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi. Quarto G., Casillo N., Di Palma S., Furino E., Solimeno G., Apperti M., Sellitti A., Benassai G. ABSTRACT: OBJECTIVE: To determine in a meta-analysis if endovenous laser ablation (EVLA) has some advantages or disadvantages in comparison with conventional surgical ligation and stripping of great saphenous vein (GSV) incompetent. METHODS: 8 studies were enrolled (Beetwen March 2008 and September 2011), with a total of a 1515 limbs. Follow - Up: minimum 6 months, maximum 24 months. Search Engine: PUBMED, EMBASE, MEDLINE, DARE. No Publication Bias evaluated. Indefined CEAP classification. Retrospective and RCT studies. In one study were utilized local tumescent anaesthesia. OR based meta - analysis. RESULTS: Group A : 547 EVLA procedures (36%), 94 recurrencies (35%), Group B: 551 Surgery procedures (36%), 176 recurrencies (65%), Group C (double- blinded studies): 417 limbs (28%). Average OR: 0,8, minimum OR: 0,2, maximum OR: 2. CONCLUSIONS: Endovenous LASER ablation (EVLA) seems a safe and at this time a valid therapeutic option in patients with Great Saphenous Vein insufficiency in reduction of symptomatology and recurrencies at the follow up. More Evaluation of our study will be around more studies to enrole, and a comparison with RadioFrequency (RF) technique to reach more significance of this preliminary results. 52 3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi OBIETTIVI: Obiettivo del presente studio è valutare il tasso di recidiva riportato nella letteratura più recente (2008 ad oggi) del trattamento laser endovascolare della vena safena interna incontinente e confrontarlo con il trattamento chirurgico tradizionale, deducendone una stima matematica tramite tecnica statistica e di revisione sistematica delle pubblicazioni correnti di tipo meta-analitico. METODI: Il lavoro meta-analitico è stato svolto e scaglionato secondo i seguenti step: • Ricerca bibliografica: tramite i motori di ricerca PUBMED, EMBASE, MEDLINE e DARE, il publication bias è stato trascurato. Le KeyWords utilizzate come parametri di ricerca sono state le seguenti: GSV, EVLA, EVLT, Laser, HL/S, Stripping, Surgery. • Definizione del Trial Clinico di confronto: cut-off temporale: dal 2008 ad oggi; n° minimo di pazienti arruolati per ciascuno studio: 100; follow up minimo: 6 mesi; variabile di outcome: ricanalizzazione semiricanalizzazione vs. completa obliterazione; patologia: pazienti affetti da insufficienza venosa cronica degli arti inferiori, clinicamente conclamata, classificazione CEAP indefinita, ma con incontinenza della vena safena interna suscettibile di terapia chirurgica. Età variabile e razza indefinita. Lavori provenienti dall’intero panorama internazionale. Studi Restrospettivi, RCT (Randomized Control Trial) di tipo “double - blinded” e non. • Elaborazione ed Organizzazione Dati: Dopo il calcolo degli OR (Odds Ratio) per ciascuno dei Lavori presi in esame mediante tabella di contingenza classica, abbiamo provveduto a calcolarne il valore medio per il seguenti gruppi: LASER vs. Chirurgia, LASER vs. Radiofrequenza, Laser vs. Chirurgia vs. Radiofrequenza. Per ciascuno di questi gruppi abbiamo calcolato il valore medio di OR, e di conseguenza tratto le nostre conclusioni. Come si può evincere dalla nostra ricerca bibliografica, gli autori, in specie Statunitensi, tendono a considerare come “chirurgico”, salvo poche eccezioni, 53 3 - I trattamenti endovascolari 3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi l’intero repertorio di tecniche a disposizione, quali Cryostripping, Radiofrequenza, Foam Surgery, Legatura semplice o combinata secondo la tecnica CHIVA, Stripping classico. Di conseguenza, in Letteratura, sono molto rari i Lavori che ci danno una comparazione singola LASER vs. singola procedura Chirurgica. Nei risultati preliminari oggetto del presente lavoro, riportiamo esclusivamente i dati relativi al solo gruppo LASER vs. Chirurgia Dopo la tabellazione dei dati relativi alle pubblicazioni da noi analizzate, abbiamo deciso di realizzare un Forrest Plot che sintetizza così la media degli OR da noi ricavati: RISULTATI: Nello specifico sono stati analizzati n.8 Lavori, con un numero complessivo di arti pari a 1515, di cui 547 sottoposti a LASER terapia, e 551 sottoposti a Chirurgia, 417 sottoposti a trattamento non riportato (relativi ai due studi double - blinded randomizzati di Carradice e di Rasmussen). Le recidive LASER osservate sono state in totale 94, mentre le recidive Chirurgiche sono state in totale 176. La gamma degli OR va dallo 0,2 dello studio di Carradice (2011) al 2 di Christenson (2010), con un valore medio di 0,8. Abbiamo quindi provveduto a tabellare tutti i dati che abbiamo raccolto, ordinandoli per autore, e calcolando i loro valori complessivi. Autore Arti Tot. Laser Chirurgia R Laser R Surg. OR Anno Rasmussen (DB) 137 --- --- 18 25 0,7 2010 Van Groenendael 216 67 149 13 43 0,6 2009 Darwood 103 71 32 4 4 0,4 2008 Rass 346 185 161 30 37 0,8 2011 Christenson 199 99 100 2 1 2 2010 Theivacumar 129 69 60 5 5 1,1 2009 Carradice (DB) 280 --- --- 11 56 0,2 2011 Pronk 105 56 49 5 5 0,9 2010 Totale 1515 547 551 94 176 0,8 Legenda: Arti Tot.: indifferenti se sx o dx; Laser: procedura Laser Chirurgia: stripping classico breve o lungo abbinato meno a legatura alta (HL/S) R Laser: Recidiva dopo trattamento laser R Surg.: Recidiva dopo chirurgia tradizionale OR: Odds Ratio, o Rischio Relativo Anno: anno di pubblicazione del lavoro Tabella I. 54 Tabella II. Forrest Plot Procedure LASER: 36% del Totale, 94 recidive: 35% del Totale Recidive LASER: 36% del Totale, 176 recidive: 65% del Totale (Double Blinded: 28% del Totale) Dalla Tabella 2. si evince il valore medio di OR di 0,8, con un valore mediano di 1,5, inficiato tuttavia dallo scarso follow-up del lavoro di Christenson, che pur comportando una marcata variazione alla destra della tabella degli OR, continua a mantenere un valore inferiore ad 1, deponendo quindi a favore della procedura LASER. 55 3 - I trattamenti endovascolari CONCLUSIONI: Lo scarso follow-up della pubblicazione di Christenson comporta una deviazione a destra del diamante meta analitico, che, tuttavia, non determina, nella valutazione matematica, una diminuzione dell’efficacia del trattamento LASER rispetto al trattamento chirurgico. Il trattamento LASER, da questi dati preliminari meta analitici, appare una procedura più efficace del trattamento chirurgico nel ridurre la sintomatologia connessa alla insufficienza venosa cronica degli arti inferiori con incontinenza della Vena Grande Safena. I dati potrebbero essere inficiati dal breve follow-up, dovuto al fatto che il trattamento LASER endovenoso è di più recente introduzione nel bagaglio terapeutico per il trattamento della incontinenza della vena grande safena. Considerando che recidive (cliniche, morfo-funzionali, strumentali) dopo trattamento della insufficienza venosa cronica degli arti inferiori con tecnica chirurgica possono presentarsi anche a distanza di molti anni dalla procedura stessa, è evidente che più prolungati follow-up (almeno di 5 anni) sono necessari per poter operare una stima matematica più attendibile del confronto tra le citate tecniche. In aggiunta, i lavori analizzati, seppure risultano essere, per impostazione e numero di pazienti confrontati, i più significativi ed utili ai fini di una valutazione meta-analitica, sono comunque inficiati dal fatto di non considerare, almeno nella gran parte di essi, un confronto tra trattamento LASER e singola metodica chirurgica. Poichè esistono differenze tra i risultati ottenibili a breve, medio e lungo termine tra differenti procedure chirurgiche, oggetto di altri lavori e valutazioni meta-analitiche pubblicate ed in considerazione del fatto che incontinenze valvolari ostiali, preostiali, tronculari o combinate della vena grande safena potrebbero comportare differenti incidenze di recidive clinicostrumentali della insufficienza venosa cronica con incontinenza della vena grande safena a secondo della associazione con incontinenza del circolo venoso profondo del tipo di trattamento chirurgico eseguito, è evidente che sono molte le variabili che andrebbero considerate nei lavori concernenti i risultati di un trattamento della incontinenza della vena grande safena e che la valutazione 56 3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi di queste variabili potrebbe comportare differenti conclusioni meta-analitiche. Successive valutazioni del nostro studio riguarderanno il confronto con altre tecniche endovenose (RF vs. LASER vs. Chirurgia). BIBLIOGRAFIA: Ognuno dei Lavori da noi analizzati e Plottizzati nel grafico segue un ordine di numerazione a pedice (tab.1)che riportiamo nella ns. bibliografia: 1. Rasmussen LH, Bjoern L, Lawaetz M, Lawaetz B, Blemings A, Eklöf B. Randomised clinical trial comparing endovenous laser ablation with stripping of the great saphenous vein: clinical outcome and recurrence after 2 years. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2010 May; 39(5): 630-5. Epub 2010 Jan 12. 2. Van Groenendael L, van der Vliet JA, Flinkenflögel L, Roovers EA, van Sterkenburg SM, Reijnen MM. Treatment of recurrent varicose vein s of the great saphenous vein by conventional surgery and endovenous laser ablation. J Vasc Surg, 2009 Nov; 50(5): 1106-13. 3. Darwood RJ, Theivacumar N, Dellagrammaticas D, Mavor AI, Gough MJ. Randomized clinical trial comparing endovenous laser ablation with surgery for the treatment of primary great saphenous varicose veins. Br J Surg, 2008 Mar; 95(3): 294-301. 4. Rass K, Frings N, Glowacki P, Hamsch C, Gräber S, Vogt T, Tilgen W. Comparable Effectiveness of Endovenous Laser Ablation and High Ligation With Stripping of the Great Saphenous Vein: Two-Year Results of a Randomized Clinical Trial (RELACS Study). Arch Dermatol, 2011 Sep 19; [Epub ahead of print] 5. Christenson JT, Gueddi S, Gemayel G, Bounameaux H. Prospective randomized trial comparing endovenous laser ablation and surgery for treatment of primary great saphenous varicose veins with a 2-year follow-up. J Vasc Surg, 2010 Nov; 52(5): 1234-41. 6. Theivacumar NS, Darwood R, Gough MJ. Neovascularisation and recurrence 2 years after varicose vein treatment for sapheno-femoral and great saphenous vein reflux: a comparison of surgery and endovenous laser ablation. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2009 Aug; 38(2): 2037. Epub 2009 Jun 12. 7. Carradice D, Mekako AI, Mazari FA, Samuel N, Hatfield J, Chetter IC. Clinical and technical outcomes from a randomized clinical trial of endovenous laser ablation compared with conventional surgery for great saphenous varicose veins. Br J Surg, 2011 Aug; 98(8): 111723. doi: 10.1002/bjs.7615. Epub 2011 Jun 3. 8. Pronk P, Gauw SA, Mooij MC, Gaastra MT, Lawson JA, van Goethem AR, van Vlijmen-van Keulen CJ. Randomised controlled trial comparing sapheno-femoral ligation and stripping of the great saphenous vein with endovenous laser ablation (980 nm) using local tumescent anaesthesia: one year results. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2010 Nov; 40(5): 649-56. 57 4. La recidiva varicosa 4 - La recidiva varicosa 4.1 - Le recidive della scleroterapia classica 4.1 - Le recidive della scleroterapia classica. Ferrara F. ABSTRACT: OBJECTIVES: The aim of our work has been to evaluate, clinically and with duplex-examination, the results of compression-sclerotherapy of the sapheno-femoral junction (SFJ). This has been compared to its diameter and the possibility to apply a compression bandage. MATHERIALS AND METHODS: 1500 SFJs treated with Sigg’s method have been divided into three groups (A, B, C) depending on thighcircumference. Each of these groups has been divided into two equal subgroups (I, II) accurating to SFJ-diameter, more or less than 8 mm. Clinical and duplex-examination (7,5 MHz probe) have been done at 6, 8, 12 months and at 2 years (stage 1) for all cases, at 3 years (stage 2) for 1034 cases, at 5 years (stage 3) for 870 cases, at 8 years (stage 4) for 600 cases, at 11 years (stage 5) for 440 cases, and at 15 years (stage 7) for 260 cases. A new venous mapping, called VCG (Venous Cartesian Graph), has been proposed, using a Cartesian coordinate system of venous network explored by clinical and duplex examination, in the follow-up. RESULTS: Globally we have had 180 clinical failures (12%) and 346 duplex- failures (23%). CONCLUSIONS: We have shown that the SFJ can be successfully sclerosed without considering its diameter, but depending on its compression with a compression bandage. Positive results at 2 years will most probably be so up to 15 years. 60 OBIETTIVI: Lo scopo di questo lavoro è valutare con esame clinico ed ecoDoppler i risultati della scleroterapia della terminazione della GVS, ovvero, giunzione safeno-femorale (SFJ), in relazione al suo diametro ed alla possibilità di bendare con efficacia l’arto. MATERIALI E METODI: 1500 SFJ con diametro compreso tra 6 e 18mm (misurato a 3 cm dalla giunzione) sono state sclerosate in unica seduta con Soluzione Iodata al 4 - 6% e con compressione immediata: eccentrica positiva (tamponi di ovatta a nucleo duro di 4 cm di spessore, tenuti in sede con bende adesive per 7 giorni)1 e compressione concentrica (bendaggio ad elasticità corta estensione 35% - ad applicazione diurna - per 21 giorni)2. Una calza elastica (II o III classe) veniva poi indossata per altri 30 giorni. I 1.500 arti trattati (casi) sono sati divisi in tre Gruppi (A,B,C) a seconda della circonferenza di coscia (misurata a 5 cm dall’inguine - punto “g”): Gruppo A g <57 cm, Gruppo B g =58 - 63 cm, Gruppo C g >64 cm. Ogni Gruppo è stato, a sua volta, diviso in due Sotto-Gruppi di egual numero di casi, a seconda se il diametro della SFJ era maggiore (Sotto-Gruppo I) o minore (Sotto-Gruppo II) di 8 mm. I controlli clinici ed ecoDoppler (sonda da7,5 MHz) furono effettuati a 6, 8, 12 mesi e a 2 anni (Stadio 1) in tutti i casi, a 3 anni (Stadio 2) in 1034 casi, a 5 anni (Stadio 3) in 870 casi, a 8 anni (Stadio 4) in 600 casi, a 11 anni (Stadio 5) in 440 casi, and a 15 anni (Stadio 7) in 260 casi (Fig.1). Nella valutazione delle recidive, un nuovo mappaggio delle varici è stato proposto: il VCG (Venous Cartesian Graph). Esso si basa sulla registrazione cartacea della distribuzione delle varici, così come rilevabile metricamente sul paziente, a mezzo di uno strumento (SMS), utilizzato per misurare la circonferenza e la lunghezza della gamba nelle prescrizioni di calza compressiva. All’esame clinico gli insuccessi terapeutici (fallimenti) erano caratterizzati dalla presenza di varici in quantità >50% di quella della varicosi precedente 61 4 - La recidiva varicosa 4.1 - Le recidive della scleroterapia classica e dalla presenza dei segni di Insufficienza Venosa Cronica. All’esame eco-Doppler gli insuccessi terapeutici (fallimenti) erano caratterizzati dall’assenza dei seguenti segni5,6. 1. Segni morfologici (ecografici): incompressibilità della vena; modifiche a carico della parete vascolare, come addensamento di versante endoteliale, ma anche come sfocatura o frammentazione della parete; modifiche luminali quali iperecogenicità del lume e riduzione del calibro fino alla trasformazione della vena a cordone, sinonimo di risultato ideale. 2. Segni emodinamici (Doppler-analisi): assenza del flusso o del solo reflusso7,8. SCLEROTERAPIA della SFJ FOLLOW-UP: 1500 CASI (globalmente considerati) 1° STADIO 2 ANNI 1500 CASI GRUPPI A 436 B 624 C 440 2° STADIO 3 ANNI 1034 CASI GRUPPI A 318 B 402 C 314 3° STADIO 5 ANNI 870 CASI GRUPPI A 270 B 330 C 270 4° STADIO 8 ANNI 600 CASI GRUPPI A 192 B 210 C 198 400 CASI GRUPPI A 130 B 140 C 130 5°STADIO 11 ANNI 6° STADIO 15 ANNI 260 CASI A 80 Globalmente abbiamo rilevato 180 fallimenti (recidive) clinici (12%) (Fig. 2) e 346 (23%) fallimenti (recidive) ecoDoppler (Fig 3). GRUPPI B 100 C 80 Fig. 1 - I controlli sono stati effettuati al 1° Stadio in tutti i 1500 casi; di essi solo 250 sono giunti ad un follow-up di 15 anni. Per ogni Stadio è riportata la popolazione studiata e divisa in Gruppi a destra, e in Sotto-Gruppi a sinistra. Ogni Stadio è riconoscibile sempre con lo stesso colore in tutta la esposizione 62 RISULTATI: 1. DIAMETRO DELLA SFJ (rilievi comparati tra Sotto-Gruppi) Dai dati rilevati non si evince alcuna differenza di fallimenti a seconda che il diametro della SFJ fosse stato superiore (Sotto-Gruppo I) o inferiore (Sotto-Gruppo II) al valore di 8 mm I. LIVELLO CLINICO: 93 recidive su 750 casi nel SottoGruppo I ed 87 recidive su 750 casi nel Sotto-Gruppo II (χ 2 : 0,16 p : 0,6912 -Yates correction- odds ratio: 1,08) II. LIVELLO ECODOPPLER: 177 recidive su 750 casi nel Sotto-Gruppo I e 168 recidive su 750 casi nel SottoGruppo II (χ 2: 0,24 p: 0,6235 - Yates correction - odds ratio: 1,07). 2. CIRCONFERENZA DI COSCIA (rilievi comparati tra Gruppi) Importanti differenze nell’insorgenza di recidive sono state riscontrate a seconda della circonferenza di coscia. Sono state riscontrate più recidive a carico del Gruppo C rispetto ai Gruppi A e B insieme accorpati, così come evidenziato in dettaglio qui di seguito. I. LIVELLO CLINICO: la prevalenza dei fallimenti è stata dell’1,8% nel Gruppo A (8 casi), 9,2% nel Gruppo B (58 casi), 26% nel Gruppo C (114 casi); l’analisi statistica è effettuata rapportando le 114 recidive (su 440 casi del Gruppo C) con le 66 recidive su 1060 casi dei Gruppi A e B sommati (χ 2 : 111,62 p < 0,01 - Yates correction odds ratio : 5,25). II. LIVELLO ECODOPPLER: la prevalenza dei fallimenti è stata del 5% nel Gruppo A (19 casi), 20,9% nel Gruppo B (146 casi), 43,5% nel Gruppo C (179 casi); l’analisi statistica è effettuata rapportando le 179 recidive (su 63 4 - La recidiva varicosa 4.1 - Le recidive della scleroterapia classica 440 casi del Gruppo C) con le 166 recidive su 1060 casi dei Gruppi A e B sommati (χ 2: 111,62 p < 0,01 - Yates correction - odds ratio: 5,25) 3. INCIDENZA DELLE RECIDIVE NEL TEMPO Sia a livello clinico che ecografico il picco più alto dell’incidenza di recidive si registra dopo 2 anni dalla scleroterapia, al 1° Stadio (fig. 2 e 3): con 294 fallimenti ecografici (19,6%) e 140 fallimenti clinici (9,3%). Negli Stadi successivi, fino ad un follow-up di 15 anni, si aggiungono sul piano clinico altre 40 recidive e, sul piano strumentale, altre 52; con una incidenza variabile tra 1,3 ed 1,7% sul piano ecografico e tra l’1 e l’1,5% sul piano clinico. 4. PREVALENZA DEI SEGNI ECOGRAFICI Le figg. 4 e 5 mostrano la percentuale di rilevamento globale, in ogni Stadio, dei segni strumentali ecoDoppler, da noi considerati fondamentali nella valutazione dei risultati della scleroterapia. La Fig. 4 mostra la distribuzione dei tre fondamentali segni emodinamici (assenza del flusso, assenza del solo reflusso e persistenza del reflusso). La Fig. 5 mostra la distribuzione dei tre fondamentali segni morfologici rilevati con eco B-mode (modifiche della parete venosa, riduzione del calibro, modifiche del lume e compressibilità della vena). Tutte le percentuali si riferiscono alla globalità dei casi divisi per Gruppi (A, B e C). la compressione esercitata da due bende sovrapposte alla loro massima estensione: l’incremento di pressione è pari al 50%, anche a fronte di un incremento di 1 cm del raggio, del punto “g” di coscia. Si può rilevare, al livello ecoDoppler, che la presenza del tracciato piatto, Fig. 4-1° grafico, è elevata nel Gruppo “A” (arti magri), la persistenza del reflusso, Fig. 4-3° grafico, è alta nel Gruppo “C” (arti voluminosi). La scomparsa del reflusso è elevata nel Gruppo B e rappresenta sempre la caratteristica dei successi del Gruppo C. L’incidenza dei segni di buona sclerosi (assenza del flusso e del reflusso) in tutti gli Stadi dei controlli, si mostra duratura. La persistenza del reflusso, al contrario, aumenta del 1° al 7° Stadio in proporzione diretta con l’incidenza dei fallimenti. La percentuale delle modifiche morfologiche della parete e del calibro (Fig. 5) aumenta in proporzione inversa con la circonferenza “g”. L’incidenza delle modifiche del lume diminuisce sensibilmente dal 1° al 7° Stadio, soprattutto nel Gruppo C. Le incidenze più elevate sono a carico delle modifiche del calibro, e persistono più a lungo. DISCUSSIONE: Il limite di una efficace scleroterapia non è rappresentato dal diametro della SFJ, ma dalle dimensioni dell’arto. Questo limite è segnato dal valore di 64 cm di circonferenza di coscia. In base alla legge di Laplace, è più efficace la compressione esercitata da un bendaggio su di un arto magro, anziché quello applicato su un arto grasso. In quest’ultimo caso è consigliata l’applicazione di due bende sovrapposte. Infatti, abbiamo testato 64 65 4 - La recidiva varicosa 4.1 - Le recidive della scleroterapia classica 4. la massima incidenza di recidive si riscontra entro i 2 anni dalla sclerosi. Fig. 2 - Le recidive subcliniche: i fallimenti rilevati all’ecoDoppler sono suddivisi secondo i Gruppi e i Sotto-Gruppi, per ogni Stadio, con i loro differenti colori. L’incidenza di recidive per ogni Stadio è riportata nella colonna centrale CONCLUSIONI: Fig. 3 - Le recidive cliniche: i fallimenti rilevati all’es. clinico sono suddivisi secondo i Gruppi e i Sotto-Gruppi, per ogni Stadio, con i loro differenti colori. L’incidenza di recidive per ogni Stadio è riportata nella colonna centrale. Dai risultati della nostra casistica si può concludere che: 1. è possibile sclerosare una vena, indipendentemente dal suo diametro, a condizione che essa possa essere efficacemente compressa; 2. i segni di sclerosi efficace più importanti sul piano ecodoppler sono: l’assenza di reflusso e la riduzione del calibro del vaso; 3. la metà dei reflussi persistenti (fallimenti ecodoppler) non sviluppa una recidiva clinica delle varici, se si associa ad una importante riduzione del calibro venoso; 66 67 4 - La recidiva varicosa Fig. 4 - Prevalenza percentuale dei diversi segni strumentali emodinamici (Doppler) per ogni Stadio e distribuiti a seconda dei diversi Gruppi: il tracciato piatto è più frequente nel Gruppo A (arti magri), ma la persistenza del reflusso è più frequente nel Gruppo C (arti grassi) 4.1 - Le recidive della scleroterapia classica Fig. 5 - Prevalenza percentuale dei diversi segni strumentali morfologici (Eco) per ogni Stadio e distribuiti a seconda dei diversi Gruppi: con l’aumentare della circonferenza “g” si riduce la frequenza del rilievo dei segni di parete e di calibro di buona sclerosi BIBLIOGRAFIA: 1. Sigg K. Varizen, Ulcus cruris und Thrombose. Springer Verlag, 4 Aufl. Berlin, 1976 2. Bernbach H.R. Le traitement sclérosant selon Sigg. Phlébologie, 1991; 1: 31-6. 3. Griton Ph. La sclérothérapie de la veine saphène interne: indications, techniques et résultats. Actualité Vasculaires Internationales N°16. Novembre 1993, 4. Vin F. Contrôle du traitement par sclérose des varices. Phlébologie, 199; 43 (4): 67380. 5. Vin F, Schadeck M. La Maladie veineuse superficelle. Masson, Paris, 1991. 6. Schadeck M, Allaert F.A. Résultats à long terme de la sclérothérapie des saphènes internes. Phlébologie, 1997; 50 (2): 257-62. 68 69 4 - La recidiva varicosa 7. Zummo M. Sclérose versus chirurgie de la saphène interne. Critères selon le reflux au doppler. Phlébologie 89, A. Davy, R.Stemmer, éds. John Libbey. Eurotext Ltd 89: 7913 8. Bernbach H.R., Ferrara F. Die Sklerosierung der sapheno-femoralen Krosse mit Duplex kontrolle. European congress of the UIP. 26/09-01/10/99 Bremen/Germany.Vasomed, Supplement 1/1999: 21. 4.2 - Le recidive post-trattamento ESEC 4.2 - Le recidive post-trattamento ESEC Castagnoli S., Bernardini E. ABSTRACT: INTRODUCTION: Recanalization post-sclerotherapy of the veins has always been considered an undesirable development, a failure, then a relapse. Distinguished Authors have published, several times, several items about (Wallois, Ouvry, Schadeck), but it underscored a total discrepancy between the clinical outcome, positive up to 95% of cases, and the instrumental one, usually negative for the ultrasonographic evidence. ESEC TECHNIQUE: With the ESEC, recanalization is not a recurrence, but one of the main purposes of the method, representing the beginning of a series of events that will lead to a reduction of the vessel caliber, reduced flow and, in cases where it made valve realignment tube (up to 56%), also the total functional recovery during walking. The occurrence of retrograde flow does not necessarily mean that there is a reflux. Often the hemodynamic study showes a persistence of retrograde flow through one or more perforators without valve jump, or with a jump of a valve but without symptoms or varicose shooting events. Let us keep in mind that the varicose disease does not restore, primitive varicose being constitutional, chronic and progressive. DISCUSSION: We talk about relapse in general when, after the apparent success of a treatment, reappears in all, or in part, the previous pathological picture. The ESEC therapy aims, preserving the heritage saphenous pattern with its drainage, to the disappearance of symptoms, to a significant reduction of varicose veins with aesthetic improvement, to the evolution of the hemodynamic initial picture to a more stable and more easily retractable one: in summary, to the suppression of stasis and of CVI framework, without suppressing the veins. The treatment protocols require 2-6 sessions of ESEC in the first year, and there after 1-2 controls, with time to time necessary shooting sclerotherapy 70 71 4 - La recidiva varicosa traitments (0.52 times / year on average). In the most of cases, over time, the pathologic pattern tends to stabilize both in terms of symptoms and instrumental, as witnessed by the progressive reduction of the caliber of the varices. The relapse may occur with the early reappearance of symptoms, of course, in the absence of negative externalities, such as: a complicated pregnancy, a sudden weight gain, or other factors of a general nature; or it can manifest itself with an unexpected increase in the caliber of treated vessels and the need for early and challenging shots of sclerotherapy. All this accompanied by more or less apparent reappearance of varices and no positive evolution of hemodynamic cartographic findings. These paintings can happen and combined over time in various ways. CONCLUSIONS: The most common causes that may lead to recurrence have to be ascribed to the errors of the initial mapping, or to the treatment strategy in which was poorly set the size and cronology of the operations or, lastly, to errors in the choice of sclerotherapy liquid doses. Certainly, the variability among patients is very large and physicians should evaluate it, as a whole, caring patients expectations and their lifestyle. It is not sufficient to be a super-technician who reviews abstract instrumental paintings, but carefully consider the patient in all aspects of his life and his pathology. INTRODUZIONE: La ricanalizzazione delle vene post-scleroterapia è sempre stata considerata una evoluzione indesiderata, un insuccesso, quindi una recidiva. Illustri Autori hanno pubblicato, a più riprese, numerosi lavori sulla materia (Wallois, Ouvry, Schadeck), evidenziando però una totale discordanza tra il risultato clinico, positivo fino al 95% circa dei casi, e quello strumentale, solitamente negativo per la evidenza ecografica della pervietà vasale. 72 4.2 - Le recidive post-trattamento ESEC TECNICA ESEC: Con l’ESEC (eco-sclerosi erodinamica conservativa) la ricanalizzazione non è una recidiva, ma uno dei principali fini della metodica, rappresentando l’inizio di una serie di eventi che porteranno il vaso ad una riduzione di calibro, riduzione di portata e, nei casi in cui si è realizzato il riallineamento valvolare (fino al 56%), anche al recupero funzionale totale durante la deambulazione. Il riscontro di un flusso retrogrado non significa obbligatoriamente che ci sia un reflusso. Spesso lo studio emodinamico evidenzia una persistenza di un flusso retrogrado con rientro attraverso una o più perforanti senza salto di valvola, oppure con un salto di una valvola, ma senza manifestazioni di ripresa sintomatologica o varicosa. Teniamo comunque presente che la malattia varicosa primitiva non guarisce, essendo costituzionale, cronica ed evolutiva. DISCUSSIONE: Si parla di recidiva in generale quando, dopo l’apparente buon esito di un trattamento terapeutico, ricompare in tutto, o in parte, il quadro patologico precedente. La terapia ESEC mira, conservando il patrimonio safenico con il relativo drenaggio, alla scomparsa dei sintomi, ad una sensibile riduzione delle varici con miglioramento estetico, all’evoluzione del quadro emodinamico iniziale in uno più stabile e più facilmente ritrattabile: in sintesi, alla soppressione della stasi e del quadro di IVC, senza sopprimere le vene. I protocolli di trattamento ESEC prevedono 2-6 sedute di assestamento nel primo anno e, negli anni successivi, 1-2 controlli, con le riprese scleroterapiche di volta in volta necessarie (0,52 riprese/anno di media). Nella maggior parte dei casi, nel tempo, il quadro tende alla stabilizzazione sia dal punto di vista sintomatologico che strumentale, testimoniato dalla riduzione progressiva del calibro delle varici. La recidiva si può manifestare con la ricomparsa precoce dei sintomi, ovviamente in assenza di fattori esterni negativi quali, ad esempio: una gravidanza complicata, un brusco aumento di peso, o altri fattori di carattere 73 4 - La recidiva varicosa generale; oppure può manifestarsi con inatteso aumento del calibro dei vasi trattati e conseguente necessità di riprese scleroterapiche precoci e impegnative. Tutto ciò accompagnato più o meno dalla ricomparsa di varici evidenti ed evoluzione non positiva dei reperti cartografici emodinamici. Questi quadri si possono succedere e combinare variamente nel tempo. CONCLUSIONI: Le cause più frequenti che possono ingenerare le recidive vanno imputate a errori della cartografia iniziale, oppure alla strategia del trattamento in cui è stata mal impostata l’entità e la cronologia degli interventi o, infine, a errori nella scelta dei dosaggi dei liquidi sclerosanti. Certamente la variabilità personale dei pazienti è molto vasta ed il Medico deve valutarla nel suo complesso, attento alle aspettative e allo stile di vita. Non basta mai essere un super-tecnico che meramente esamina quadri strumentali astratti, bensì considerare attentamente tutte le risultanze del binomio visitaintervento terapeutico, al fine di avere una visione quanto più completa e chiara del paziente e della patologia trattata o da trattare. BIBLIOGRAFIA: 1. 2. Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Echo-sclerosis hemodynamic conservative (ESEC): a new technique for varicose vein treatment. Ann Vasc Surg, July-August 2007; 21(4): 535-43. Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Ambulatory and haemodynamic treatment of venous insufficiency by ultrasound-guidedscleroterapy (ESEC cure) - 14 years results. Phlebologie, 2007; 36(4): 186-95. 4.3 - Varici recidive da neoangiogenesi 4.3 - Varici recidive da neoangiogenesi M. Del Guercio ABSTRACT: Surgical treatment of lower limbs venous insufficiency, in the last years, has experienced an important development. In the same time, new varicose veins have been observed in an increasing number of operated limbs. Case studies about recurrent varices after surgery (REVAS) vary and come up to 65% in some of them. The causes of surgery failure may be ascribed to malpractice, evolution of varicose veins and new-angiogenesis; we could think to sex differences, hormonal levels, diet, job, but the real mechanisms are still not known. LA RECIDIVA POST-CHIRURGICA: La terapia chirurgica delle varici ha avuto un grande sviluppo sia per l’evidente incremento della malattia varicosa nelle società occidentali, che per un perfezionamento delle tecniche chirurgiche in tema di efficacia fisiopatologica ed estetica. Contemporaneamente, è stata osservata, nel corso di questi anni, la presenza negli arti operati di nuove vene varicose definite come varici recidive. Secondo Perrin, una recidiva viene definita come la presenza di vena varicosa in un arto operato precedentemente per varici, ovvero, Recurrent varices after surgery (REVAS)1 Per recidiva varicosa si intende la ricomparsa di vene varicose in un territorio precedentemente trattato (IFC GUIDELINES, Intern. Ang. 2005). Secondo le varie casistiche, l’incidenza di recidive post-chirurgiche possono arrivare fino al 65% a 5 anni dall’intervento, ma la letteratura fornisce dati quanto mai vari circa la percentuale di recidive dopo chirurgia2, 3. 74 75 4 - La recidiva varicosa 4.3 - Varici recidive da neoangiogenesi • Gruppo 5: chirurgia non convenzionale RECIDIVE DELLA CROSSECTOMIA + STRIPPING Tasso: 20 – 80 % (20-50 a 5 aa → 50-80 a 20 aa) M. Lauseker 2008 • Gruppo 6: insufficienza venosa profonda. AUTORE ANNO CASI FOLLOW-UP METODO TASSO Rivlin S. 1975 1708 5-10 aa clinico 6% Royle J.P. 1986 367 5 aa clinico 18 % Fischer R. 2001 125 34 aa Clin./ EcoD 48-60 % Le cause da ricondurre alle varici recidive possono essere ricondotte ad errori di tattica, errori di tecnica, ad evoluzione della malattia varicosa ed alla neovascolarizzazione. CONCLUSIONI: Van Rij A M 2003 137 5 aa Clin./ EcoD 47-93 % Kostas T. 2004 113 5 aa clinico 25 % Winterborn J 2004 133 11 aa clinico 62 % Allegra C. 2007 1326 5 aa EcoD 25 % Per quanto riguarda l’ipotesi di una evoluzione della malattia varicosa, secondo Winterborn5, non si riconoscono dati scientifici certi concernenti i meccanismi responsabili di tale evoluzione ma le osservazioni cliniche suggeriscono come fattori predisponenti: sesso, ereditarietà, fattori ormonali (gravidanza e terapia estro-progestinica), attività occupazionale e sportiva, abito nutrizionale, insufficienza venosa profonda. Ma, in effetti, gli autori concludono che le cause relative all’evoluzione della malattia varicosa rimangono ancora un mistero. Tabella I - Lauseker M. 2008. Percentuali di recidive post stripping. BIBLIOGRAFIA: FISIOPATOGENESI DELLA RECIDIVA 1. Perrin M. Recurrent varices after surgery (REVAS): a consensus document. Cardiovasc Surg, 2000; 8: 233-245. Secondo quanto pubblicato da M. Perrin su Phebologie, 1996 (4) le cause delle varici recidive possono essere classificate in 6 gruppi: 2. Wong J.K.F. Whole-leg Duplex Mapping for Varicose Veins: Observations on Patterns of Reflux in Recurrent and Primary Legs, with Clinical Correlation Eur. J. Endovasc. Surg, 2003. • Gruppo 1: crossectomia della safena interna e della safena esterna o legatura perforante non corretta 3. Kostas T., Ioannou C.V., Touloupakis E., E Daskalaki, Giannoukas A.D., Tsetis D., Katsamouris A.N.. Recurrent varicose veins after surgery: a new appraisal of a common and complex problem in vascular surgery. European journal of vascular and endovascular surgery : the official journal of the European Society for Vascular Surgery. 04/2004; 27(3):27582. 4. Perrin M. Surgical repair of varicose veins of the lower limbs by saphenous vein stripping. Phlebologie, 1996; 49 (4): 453-460. 5. Winterborn RJ., Foy C. et al. Causes of varicose vein recurrence: late results of a randomized controlled trial of stripping the long saphenous vein. J Vasc Surg 2004; 40:634-9. • Gruppo 2: errore di tattica: insuccesso nella corretta identificazione della patologia iniziale • Gruppo 3: evoluzione della malattia • Gruppo 4: varici residue 76 77 5. La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica 5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica 5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi. Pieroni O. ABSTRACT: The venous disease, today, is widespread, involving almost 50% of the population and as a result of lifestyle, diet, posture, little movement, etc., tends to increase more and more. The attention of the physician to the patient’s venous disease must be high, mainly in the early stages of venous disease onset, when the classic symptoms specific to that morbid state, are still hazy: heaviness, especially at night, tingling, slight edema, etc. In such a state preventive therapy plays a vital role in reducing the risk of chronic venous hypertension and its serious consequences. Current knowledge of pathophysiology of this disease, especially of the microcirculatory system and interstitial matrix, have enabled the availability of a wide range of drugs, including those most commonly used known as Phlebothropic preparations, to which you recognize a remarkable capacity for improvement of clinical symptoms of CVI. INTRODUZIONE: I farmaci cosiddetti “flebotropi” sono sostanze d’origine naturale, estrattiva o sintetica ed alcuni di essi sono complessi di più sostanze attive, tra di loro associate per migliorarne l’efficacia d’azione1,2. L’uso di tali farmaci trova la sua indicazione clinica sui sintomi soggettivi e funzionali dell’IVC (stancabilità, crampi notturni, gambe irrequiete, pesantezza, tensione) e sull’edema. L’insufficienza venosa cronica (IVC) è l’incapacità di una vena di assicurare un flusso unidirezionale e diretto verso il cuore, a pressione e portata adeguata alle necessità di drenaggio dei tessuti, di termoregolazione e di riempimento del cuore indipendentemente dalla postura e dall’attività fisica del soggetto (C. Franceschi). 80 5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi FISIOPATOLOGIA DELLA IVC: L’IVC è una patologia evolutiva ad eziologia multifattoriale e può manifestarsi con sintomi e segni variabili che vanno da un modesto edema malleolare fino a quadri gravi caratterizzati da ulcere distrofiche. Ricordiamo che alla base di una corretta funzionalità della parete venosa concorrono tre elementi fondamentali: 1. la resistenza: cioè la capacità della parete di un vaso di non lesionarsi in risposta agli stimoli pressori (come nella stasi venosa) e al passaggio degli elementi figurati del sangue; 2. la permeabilità: la capacità della parete di un vaso di lasciarsi attraversare in maniera selettiva da liquidi e sostanze organiche; 3. l’elasticità: la capacità della parete di un vaso di rispondere in maniera reversibile alle sollecitazioni pressorie. La resistenza, la permeabilità e l’elasticità del vaso sono garantite dall’integrità strutturale e fisiologica delle proteine strutturali (collagene, elastina) che costituiscono la parete vascolare e dalla integrità strutturale e fisiologica dei glicosamminoglicani che esplicano un ruolo essenziale nella fisiologia della sostanza fondamentale della parete vascolare. L’alterazione della resistenza, della permeabilità e della elasticità del vaso porta ad uno sfiancamento della parete vascolare e alla comparsa dell’ipertensione venosa. Con l’ipertensione venosa si verifica un rallentamento del flusso ed una marginazione dei leucociti. Nella corrente di sangue rallentata i globuli rossi formano ammassi a forma di pile detti rouleaux. I rouleaux sono più grandi dei leucociti ed occupano la parte centrale della corrente (quella dove il movimento è più veloce), mentre i leucociti e le piastrine tendono a disporsi alla periferia. La formazione di tali ammassi eritrocitari (rouleaux) spiega l’aumento della viscosità del sangue (fenomeno dello sludging). La periferizzazione leucocitaria con l’intermediazione di alcune integrine (ICAM-1, ICAM-2, ecc.) determinano la interazione leucocitiendotelio. I leucociti aderenti all’endotelio emettono degli pseudopodi che, inserendosi nelle giunzioni intercellulari, iniziano la trasmigrazione. I leucociti migrati vanno incontro a degranulazione per cui liberano, a livello della parete vascolare, enzimi proteolitici (elastasi, collagenasi, jaluronidasi) 81 5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica che danneggiano il collagene, l’elastina, l’acido ialuronico e predispongono all’aumento della permeabilità vasale con formazione di edema3. OPZIONI TERAPEUTICHE: In queste situazioni patologiche trova indicazione, oltre ai ben noti trattamenti elastocompressivi, chirurgici, scleroterapici, ecc., il trattamento farmacologico, che deve essere finalizzato a: 1. prevenire la patologia venosa; 2. ridurre la sintomatologia clinica; 3. ridurre la recidiva; (pur potendo essere, in ogni caso, vario e, soprattutto, dipendente dallo stadio clinico della flebopatia). La fase di prevenzione rappresenta il momento più importante del trattamento e deve essere messa in atto quando i sintomi clinici sono appena comparsi. In questa fase spesso il paziente riferisce senso di tensione, formicolii, lieve edema, pesantezza, sintomi che si accentuano nelle ore serotine e/o quando il paziente rimane a lungo in ortostatismo o nelle giornate di grande caldo o, nelle donne, la settimana che precede il ciclo mestruale. Spesso, nel momento dell’osservazione del paziente, è già presente una condizione di stasi microcircolatoria con alterazione della funzione di drenaggio venoso e linfatico, ristagno dei liquidi interstiziali e alterazione funzionale della matrice extracellulare. La matrice extracellulare gioca un ruolo importante nel mantenimento della funzione di drenaggio vascolare venoso e linfatico. Essa è costituita da una intricata rete di macromolecole che riempie lo spazio extracellulare collegandosi, mediante strutture specifiche (glicocalice), alle varie cellule, regolando, cosi, gli scambi tra lo spazio interstiziale e le cellule stesse. Ciò garantisce il normale apporto di sostanze nutritizie alle cellule e l’allontanamento da queste di cataboliti e tossine. In tal modo si mantengono attivi i meccanismi di drenaggio da parte dei piccoli capillari venosi e linfatici evitando la stasi del microcircolo. Possiamo affermare che in questa fase il trattamento medico assume un ruolo importante per evitare o, perlomeno, ritardare la cronica evoluzione di una flebopatia verso la I.V.C. 82 5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi FLEBOTROPI: Tra i vari farmaci in uso ricordiamo i FLEBOTROPI. La maggior parte di questi farmaci appartiene alla famiglia dei flavonoidi, che sono dei polifenoli vegetali con la struttura chimica del flavone. In quanto attivi sui tessuti degli esseri viventi, nel 1955 per decisione della Accademia delle Scienze di New York fu dato ad essi più propriamente il nome di “bioflavonoidi”. Tra i bioflavonoidi annoveriamo i benzopironi, i flavoni, flavani, rutina, rutosidee, escina, ruscus aculeatus, centella asiatica, anticianosidi, diosmina, esperidina, dobesilato di calcio, ginkgo biloba3. 1. Flavonoidi: sono un ampio gruppo di pigmenti naturali che condividono una comune struttura chimica: una molecola a tre anelli e gruppi ossidrilici ad essa legati (C28H32O15). Hanno una azione prevalentemente venotonica, antiedemigena, riducente la permeabilità capillare, e antinfiammatoria. Inoltre stimolano la biosintesi del collagene, stabilizzano le fibre del collagene, interagiscono con l’elastina stabilendo un complesso flavonoidi-elastina che protegge l’elastina della parete vascolare dall’attività proteolitica dell’enzima elastasi che viene liberata in condizioni di stasi veno-linfatica, migliorano l’adesività delle fibre elastiche ai fibroblasti e alle cellule muscolari lisce, esplicano un’azione estrogeno-agonista ed estrogenoantagonista ed ancora esplicano un’azione antiossidante. La diosmina rappresenta la sostanza più efficace nel processo di normalizzazione della permeabilità venulocapillare mediante l’aumento del tono venoso, la riduzione della risposta dei recettori venulari alle catecolamine, inibendo l’aumento della permeabilità indotta dall’istamina e dalla bradichinina, ripristinando l’integrità del film endoteliale di fibrina. Gli studi farmacocinetici hanno dimostrato che la diosmina, come tale, non è assorbita. Infatti in seguito a somministrazione orale, la diosmina è trasformata dalla flora batterica intestinale nel suo aglicone, diosmetina, più liposolubile, e come tale è assorbita a livello intestinale. Una volta in circolo, la diosmetina, svolge le note attività di riduzione sulla permeabilità capillare, di aumento del tono venoso e sulla portata linfatica e di riduzione dell’infiammazione mediante l’inibizione della 83 5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica sintesi di lipossigenasi. 2. Benzopironi: Si distinguono in alfa e gamma. I. Alfa: determinano una proteolisi delle proteine ad alto peso molecolare che si riscontrano nel linfedema, così da facilitare il drenaggio dell’edema grazie anche alla riduzione della pressione oncotica. Non hanno azione sulla coagulazione, a differenza dei dicumarolici che, pur essendo degli alfa-benzopironi, sono anticoagulanti orali. Sono estratti dal MELILOTO e sono spesso associati ai flavonoidi cumarina e esculetina. Il Meliloto è un efficace tonico, potente antiedemigeno e leggero anticoagulante. Contiene bioflavonoidi ed eterosidi cumarinici. A questi ultimi viene attribuita una notevole attività linfocinetica, con azione di drenaggio del liquido interstiziale. Ha azione diretta sulla muscolatura liscia dei vasi linfatici e stimola l’attività proteolitica dei macrofagi. II. Gamma: sono i cosiddetti flavonoidi ed erano noti come vit.P. Sono utilizzati sotto forma di estratti in preparazioni sintetiche o semisintetiche e si distinguono in: a) Flavoni: diosmina, quercetina, rutina e derivati, rutosidi; b) Flavani: esperidina. 3. Flebotropi: Il dobesilato di calcio riduce la permeabilità capillare, la viscosità ematica e migliora il drenaggio linfatico. L’escina, estratta dall’AESCULUS HIPPOCASTANUM, aumenta il tono della parete venosa e possiede un effetto antiedemigeno. L’escina, triterpene pentaciclico, aumenta la resistenza capillare, diminuisce la permeabilità ed ha un modesto effetto vasocostrittore: ne deriva un’azione antiedemigena, antiinfiammatoria e venotonica L’azione antinfiammatoria ed antiedemigena è dovuta alla esculetina, genina contenuta nell’esculoside,che risulta un potente inibitore della lipossigenasi e delle ciclossigenasi (COX-1 e COX-2).Contiene anche derivati cumarinici. 4. Ginkgo biloba che esplica attività simile ai flavonoidi: I. regola il tono venoso; 84 5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi 5. 6. 7. 8. 9. II. riduce la permeabilità capillare e l’aggregazione piastrinica. Centella asiatica: Il suo estratto triterpenico è in grado di intervenire sul metabolismo del tessuto connettivo inducendo una inibizione della crescita cellulare e della produzione di fibre collagene; tale sostanza è anche capace di stimolare la sintesi dei mesoglicani e di determinare un ripristino delle attività funzionali del periangio, particolarmente compromesse in presenza di lesioni di tipo sclerodermico, che accompagnano e favoriscono le lesioni ulcerative. Amamelide: Ricca di vitamina P, tannini gallici, flavonoidi, colina, acidi fenolici e sali minerali, agisce soprattutto riducendo la permeabilità capillare. Gambo d’ananas: Ricco di bromelina che, come noto, è un enzima proteolitico, aumenta la lisi dei depositi di fibrina nella zona di infiammazione, depositi che altrimenti bloccherebbero sia i capillari sanguigni che linfatici: l’azione si esplica principalmente attraverso il miglioramento del microcircolo. Vitis vinifera: Principi attivi: flavonoidi (quercetina, rutina, kaempferolo), tannini, antocianidine, OPC e resveratrolo. Gli OPC interagiscono con l’elastina tissutale che nonostante venga ancora riconosciuta dall’elastasi viene idrolizzata con una velocità significativamente inferiore. È stato, inoltre, dimostrato sperimentalmente che gli OPC stabilizzano le fibre collagene. Il resveratrolo è uno stilbene che eplica azioni antiossidanti, estrogeniche, miorilassanti sulla muscolatura liscia vascolare. Altri effetti del resveratrolo: sembrerebbero esplicarsi a livello della placca aterosclerotica: si comporterebbe come una sorta di solvente (azione antiaggregante piastrinica). Antocianosidi da Vaccinum Myrtillus: L’effetto capillaro-protettore di queste sostanze è noto da tempo ma il loro impiego è entrato nella pratica clinica solo da quando si è potuto disporre di antocianosidi ad alto dosaggio con rapporti costanti tra le diverse antocianidine. Secondo quanto pubblicato in letteratura, l’efficacia terapeutica degli antocianosidi sulla permeabilità capillare si esplicherebbe attraverso un duplice meccanismo d’azione: il primo, di carattere fisico-chimico, 85 5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica basato sulla formazione di complessi liposolubili tra le antocianidine (agliconi degli antocianosidi) ed i fosfolipidi delle membrane endoteliali; il secondo, di tipo extra-parietale, legato all’attività sulla biosintesi dei glicosaminoglicani (in particolare acido jaluronico) della sostanza fondamentale del connettivo e, in definitiva, sul manicotto mucopolisaccaridico peri-capillare. 10. Diosmina: viene usata da molti decenni per le sue proprietà capillarotrope e vasotoniche. Agisce come potente inibitore delle prostaglandine e del trombossano A2 e, interferendo con l’attivazione dei Leucociti, inibisce la attivazione della cascata infiammatoria, provocando una forte diminuzione della permeabilità capillare. La protezione contro il danno vascolare è mediata anche dall’inibizione dell’attivazione dei neutrofili e dalla diminuzione dei livelli serici delle proteine d’adesione endoteliale. La diosmina migliora diversi parametri compromessi nella patologia diabetica, grazie alla potente azione antiossidante: è molto importante la diminuzione del livello di glicosilazione delle proteine e l’aumento d’attività della glutatione perossidasi. Di rilievo è anche la capacità di normalizzare la velocità di filtrazione capillare e diminuire le resistenze al flusso ematico migliorandone la reologia. La diosmina prolunga l’effetto vasocostrittore della noradrenalina a livello delle pareti venose, per poi quindi ridurre la capacitanza, la distensibilità e la stasi. Questo incrementa il ritorno venoso e ciò riduce l’ipertensione venosa. Infine, la diosmina aumenta il drenaggio linfatico mediante l’incremento della frequenza e dell’intensità delle contrazioni linfatiche, aumentando la funzionalità della rete capillare linfatica. IL FITOSOMA® I principi attivi estratti dalle piante sono soprattutto in forma di tintura (dalla droga secca), tintura madre (dalla droga fresca), macerato glicerinato, estratto fluido, estratto secco titolato o, ancora, in forma micronizzata, complesso fitosomale, ecc. Spesso, però, il processo di purificazione a cui sono sottoposte le parti delle 86 5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi piante, riduce fortemente o priva le sostanze della loro naturale veicolazione per cui, da composti farmacologicamente attivi, si trasformano in ingredienti poco attivi, utili solo se somministrati ad alte dosi. Per questo problema non di poco conto, tra le varie formulazioni, appena lette, che abbiamo a nostra disposizione, ne è presente una che si basa su un concetto nuovo: il FITOSOMA®. Stiamo parlando di una struttura chimica brevettata determinata dall’interazione stechiometrica, in solvente aprotico, di una frazione polifenolica pura, o standardizzata, con una matrice fosfolipidica estratta dalla soia. Sulla base delle sue caratteristiche (chimico-fisiche, spettroscopiche e biologiche), il complesso sostanzialmente migliora la biodisponibilità orale del principio attivo. A parità di dosaggio in princìpi attivi, la biodisponibilità orale della forma fitosomale è almeno 3 volte superiore rispetto alla forma libera. Dopo somministrazione orale, infatti, il complesso fitosomale, superata la barriera gastrica, raggiunge l’intestino tenue dove è sottoposto ad un processo di emulsificazione e micellazione dovuto all’interazione con i sali biliari. In tale forma il FITOSOMA®, penetrato attraverso la mucosa intestinale, viene incorporato nei chilomicroni per mezzo dei quali, attraverso il sistema linfatico e il torrente ematico, raggiunge i tessuti bersaglio dove i principi attivi vengono rilasciati in forma praticamente pura. L’ottimizzazione della “resa” farmacologica del principio attivo viene poi permessa dallo sviluppo di tecnologie che hanno reso possibile la realizzazione del cosiddetto “rilascio controllato”. CONCLUSIONI: Il flebologo moderno dispone di un vasta gamma di sostanze ognuna delle quali ha una specifica caratteristica terapeutica che sarà adattata di volta in volta alla situazione patologica, e questo sia in fase preventiva, sia quando non è possibile eseguire un atto chirurgico, o, dopo la chirurgia stessa, come terapia di supporto. La documentazione scientifica è abbastanza ricca di dimostrazioni del beneficio di tale terapia per la riduzione della sintomatologia clinica e del miglioramento della qualità della vita del paziente flebopatico. 87 5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Allegra C. Guida alla terapia con antocianosidi nelle Flebopatie degli arti inferiori. Il Polso Ed., Milano, 1986. Linee guida diagnostico-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Acta Phleb Rev, 2003; Vol.4 n° 1-2. Allegra C, Antonimi V, Carlizza A, Tonelli V. L’estratto titolato triterpenico di Centella asiatica nella I.V. Min Angiol, 12,107 -16. Varlaro V. Fitoterapia. Aeffe Edizioni, Ottobre 2004. Mancini S. Manuale di Flebologia. Laris Editrice, Settembre 2009. Bombardelli E. Phytosome: new delivery system. Boll Chim Farm, 1991; 130(11): 431-438. 5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo 5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo Bencivenga G., Cardamone B., De Simone A., Furino E., Di Filippo A., Quarto G. ABSTRACT: Chronic Venous Insufficiency affects a wide range of population, causing high social costs due to days of hospitalization and sick leave. In this pathological pattern leg venous vessels lose their elasticity and their tensing strength, thus, the capacity to push blood to the cardiac pump; for this reason blood congests leg veins and weakens their walls developing, successively, the varicose veins. Thermal cares play, together elastic compressive therapy, an effective role in the prevention of this insufficiency. Kneipp cure is one of the most important thermal treatment, used for this purpose. It consists in doing a subsequent passage in two swimming pool, filled, respectively, with cold and moderately hot water (the passage from a swimming pool to another occurs by steps). This “vascular gymnastic” is effective, according to three mechanisms: chemical (sulfuric waters have anti-inflammatory and relaxing properties), thermic (the sequence of vasoconstriction - cold water - and vasodilatation – light hot water - stimulate veins wall) and mechanical (the passage from a swimming pool to another makes leg muscles to contract, activating the so called “muscular pump”). INTRODUZIONE: La patologia da insufficienza veno-linfatica degli arti inferiori interessa ampi strati della popolazione nelle differenti fasce d’età. Essa comporta elevati costi sociali per assenza dal lavoro con perdita di produttività, giornate di ricovero 88 89 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso 5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo ospedaliero, interventi chirurgici ed invalidità causata dalle gravi, seppur rare, complicanze trombo-emboliche e dalla presenza di ulcere negli stadi più avanzati. ogni percorso termale, il percorso Kneipp; esso a buon titolo si affianca, senza sostituirlo, al trattamento elastocompressivo, di cui rappresenta una utile, ed a nostro avviso, indispensabile integrazione. La flebopatia è il risultato della perdita di efficienza delle vene degli arti inferiori. Trattandosi di un percorso antigravitazionale, la circolazione venosa è strutturata in modo tale da permettere il ritorno del sangue al cuore, evitandone il reflusso ed il ristagno negli arti inferiori. Un importante meccanismo coinvolto in questa ascesa è l’elasticità delle vene. Quando le pareti venose perdono il proprio tono, cioè la capacità di variare lo stato di contrazione parietale in relazione a vari stimoli, le vene si dilatano, incrementando il ruolo di capacitanza, ma ostacolando il ritorno al cuore. Il sangue rallenta la propria velocità di scarico antigravitazionale e tende a refluire in senso cardiofugo, si crea, in questo modo, un ristagno ematico che aumenta la pressione nelle vene, “sfiancandole”: un circolo vizioso che si manifesta con edema, inizialmente malleolare, senso di pesantezza e affaticamento, corona flebectasica perimalleolare, sino ad arrivare alla comparsa di vere e proprie “vene varicose”, compromissione del microcircolo, lesioni ulcerative e, in ossequio alla triade di Virchow, incrementato rischio di trombosi venosa superficiale e profonda. Questa pratica è nota come percorso Kneipp, in onore dell’ Abate tedesco Sebastian Kneipp (1821-1897), il quale comprese gli effetti benefici dell’immersione alternata in acqua calda e fredda. IL PERCORSO KNEIPP: L’insufficienza venosa cronica ai primi stadi non rappresenta un problema grave; tuttavia, trattandosi di una malattia potenzialmente progressiva, è importante intervenire tempestivamente al fine di prevenire o, per lo meno, rallentare l’evoluzione dei segni e dei sintomi, attuando misure la cui efficacia è direttamente proporzionale alla tempestività con la quale vengono intraprese. La strategia messa in alto è volta, da un lato, a supplire alla perdita di tono delle pareti venose e dall’altro a creare una forza propulsiva ascendente, in modo da prevenire il ristagno ematico nel sistema venoso distale. L’elastocompressione rappresenta una delle misure più adottate in questo senso, ma il nostro scopo è quello di illustrare i vantaggi della medicina termale e, nella fattispecie, di una pratica che negli anni si è diffusa fino a diventare una parte imprescindibile di 90 Kneipp nel 1848, affetto dalla tubercolosi, scoprì casualmente il libro “Lezione sulla forza guaritrice dell’acqua fresca” di J. S. Hahn; non trovando giovamento nelle cure del tempo, Kneipp decise di applicare ciò che aveva letto: dopo essersi spogliato nudo, si tuffava nel Danubio e subito si rivestiva, contrastando il rapido raffreddamento correndo verso casa. Dopo soli 6 mesi di questo trattamento la TBC era sparita. Benché Kneipp attribuisse alla sua idroterapia benefici di vario genere, l’unico effetto scientificamente certo delle applicazioni di acqua calda e fredda è l’effetto vasomotorio. Il percorso vascolare rappresenta una forma di “ginnastica vascolare” . Si tratta di due vasche, a diversa temperatura, profonde circa 80 cm. La cura prevede sedute di 20 minuti camminando a media velocità prima in una vasca e poi nell’altra. Per passare dalla prima alla seconda si devono salire e poi scendere alcuni scalini (Fig. 1). Fig. 1 - Percorso Kneipp 91 1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso MECCANISMI DI AZIONE: 1. Chimico: le acque sulfureo-salsobromoiodiche (Fig. 2), utilizzate nella terapia dei percorsi vascolari, sono notoriamente rilassanti, defaticanti ed inoltre coadiuvanti nel trattamento antiflogistico. 5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo CONCLUSIONI: Il sistema nervoso porta gli stimoli percepiti a livello cutaneo all’interno del corpo1, stimolando il sistema immunitario, influenzando la secrezione gastrica e ormonale e rinforzando il sistema cardiovascolare3. Il calore calma e addolcisce il corpo, rallentando l’attività funzionale degli organi interni. Il freddo, al contrario, stimola e rinvigorisce aumentando l’attività interna. L’alternanza di caldo e freddo diminuisce lo stress e stimola “corpo e mente”. BIBLIOGRAFIA: 1. Senninger A, Von Weckbecker E. Changes of the neurovegetative skin tonus by the effect of the Kneipp cure. Munch Med Wochenschr, Mar 13 1953; 95(11): 308-11. 2. Frexinos J. The cold water cure of the parish priest Kneipp and the development of natural medicine in the nineteenth century. Rev Soc Fr Hist Hop, 2006 Dec; (123-124): 64-7. 3. Franke K. Physiological reactivity in the Kneipp cure, exemplified by reaction of blood pressure. Fig. 2 - Terme di Agnano (NA) 4. Medizinische, 1954 Jan 23; 4: 122-3. 2. Termico: l’acqua calda determina dilatazione dei vasi sanguigni (“vasodilatazione”), mentre l’acqua fredda causa un restringimento dei vasi (“vasocostrizione”). L’alternanza di vasodilatazione e vasocostrizione costituisce una vera e propria “ginnastica” per i vasi, che migliora la funzionalità vasomotoria1,2. La temperatura dell’acqua varia di 10°C tra una vasca e l’altra (rispettivamente 22°C e 32°C circa). 3. Meccanico: camminare da una vasca all’altra ed il salire i gradini mette in moto la cosiddetta “pompa muscolare”: i muscoli degli arti inferiori, contraendosi e rilasciandosi, “spremono” i vasi facilitando il ritorno venoso e riattivando così la circolazione. Inoltre, un ulteriore effetto meccanico che favorisce il ritorno venoso è ad opera degli idromassaggi laterali a pressione differenziata (massima a livello del piede, ridotta nella regione prossimale della coscia). 92 93 6. Varici reticolari e telangectasie 6 - Varici reticolari e telangectasie 6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie Molisso A., Apperti M., Goffredi L., Quarto G. ABSTRACT: The work aims to analyze the hemodinamic features related to telagectasic expressions. These characteristics are completely original and their specifications are traceable through the underlying pathophysiological aspects rather complex, and through the pathophysiological structure the different morphological aspects can be traced. The aim is to rationalize the therapeutic approach that historically produces clinical results not always decisive and stable. Conversely, a more thorough understanding of morphp-functional aspect and of different pathophysiological mechanisms can lead to more appropriate.approach. INTRODUZIONE: Il termine “telangectasia” indica una serie di manifestazioni cliniche collegate alla malattia varicosa e connotate da diverse varietà morfologiche. È ipotizzabile tuttavia che ad esse sia sotteso un meccanismo emodinamico assimilabile, anche se originale e specifico, ed in qualche modo sovrapponibile a quello delle varicosità di calibro maggiore. Network dermico: ad ogni tipo di patologia venosa dilatativa è sotteso un meccanismo emodinamico che sinteticamente possiamo chiamare “reflusso”. Lo spessore dell’epidermide oscilla tra 0,05 mm ed 0,1 mm, mentre il derma ha uno spessore di 1,1 mm ed il grasso sottocutaneo 1,2 mm per un totale di 3 mm circa. Le vene dermiche sono disposte in 2 plessi orizzontali, di cui il più superficiale è quello sub-papillare, connessi tra loro e comunicanti col network venoso ipodermico. 96 6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie ORGANIZZAZIONE E MORFOLOGIA DEL NETWORK: Si è sempre ritenuto che in queste strutture la linea di drenaggio, a partire dal plesso sub-papillare, fosse diretta dalla superficie in profondità verso il plesso sotto dermico, senza prevedere linee di flusso orizzontali. Gli studi condotti da Nobuaki Imanishi et al. (J Anat. 2008 May; 212(5): 669-673) su cadaveri col metodo stereografico (iniezione di mezzo di contrasto) hanno evidenziato che il network venoso dermico e sottodermico ha una struttura poligonale costituita da vene perimetrali che delimitano l’area poligonale e da numerose vene di calibro più piccolo incluse nell’area, il più delle volte a decorso ascendente, riccamente anastomizzate tra loro e con i rami che contornano il poligono. I Network sub-papillare e dermico sono costituiti quindi da strutture venose poligonali contigue, ma con un flusso preferenziale che non connette poligoni adiacenti, ma è diretto verso gli strati più profondi. In sede ipodermica si ritrovano ugualmente plessi venosi strutturati come poligoni di varia grandezza ed è verosimile che raccolgano il flusso dalle strutture sovrastanti. La conseguenza è che la linea emodinamica prevalente è orientata dalla superficie verso il profondo. Alcuni studi effettuati con l’ausilio di immagini stereoscopiche contrastate mostrano immagini di accumulo di contrasto alla base dei rami delle vene ascendenti, immagini riferibili a strutture valvolari, tra l’altro già descritte1,2. Questo dato è stato confermato anche utilizzando la microscopia elettronica a scansione (Murakami, 1971) che ha individuato sistemi valvolari in vene con diametro di 20 µm (Philips, 2004)3. Si tratta di valvole bicuspidi che nei punti di raccordo presentano il bordo libero orientato dal vaso più piccolo verso quello di maggior calibro. Questo fa pensare ad un meccanismo coinvolto nella direzionalità del flusso, anche perché le valvole delle “collecting veins” a livello dell’interfaccia tra il derma ed il grasso sottocutaneo hanno una disposizione che lascia supporre un’eguale direzionalità del flusso dall’alto verso il basso. 97 6 - Varici reticolari e telangectasie 6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie NETWORK SUB DERMICO: Il grasso ipodermico, strutturato in lobuli, è delimitato da bande di fibre collagene che derivano dal derma e che formano dei setti interlobulari. Queste fibre sono dei veri e propri ancoraggi fissati alla fascia sottostante conosciuta anche come fascia sottocutanea di Scarpa. Le vene che provengono dai plessi sovrastanti non penetrano nei lobi, ma transitano attraverso i setti interlobulari (Curri)4, oltrepassano, poi, la fascia sottocutanea e si collegano al circolo sottostante. La collocazione anatomica dei plessi dermoipodermici configura un sistema strutturalmente completo disposto in 3 piani sovrapposti e collocato al di sopra della lamina fibroelastica superficiale, al di sotto della quale ritroviamo quello che conosciamo come sistema venoso superficiale sopra-fasciale. Questa struttura morfologica nel suo complesso consente di prospettare i meccanismi mediante i quali possono realizzarsi reflussi e dilatazioni venose assiali e tronculari che rappresentano la vasta gamma delle teleangectasie (Figg. 1 e 2). Fig. 2 - Struttura poligonale del Network (da Nobuaki Imanishi et al. ) MECCANISMI FISIOPATOLOGICI: Si può ipotizzare che i meccanismi fisiopatologici sottesi alle dilatazioni telangectasiche possono essere di 3 tipi: 1. reflusso proveniente dai segmenti venosi sotto-ipodermici (meccanismo estrinseco); 2. reflusso generato da alterazione dello strato adiposo ipodermico (meccanismo intrinseco); 3. reflusso generato da alterazione delle strutture di sostegno dermoipodermiche (meccanismo intrinseco). Fig. 1 - Organizzazione e Morfologia del Network 98 Nel network descritto vi sono tutte le potenzialità affinchè si verifichi un reflusso o una serie di reflussi, anche se l’impianto della struttura offre un’ampia possibilità di compenso ai reflussi e spiega, almeno in parte, le diverse morfologie telangectasiche. Una vecchia classificazione faceva una distinzione tra reflusso compensato e 99 6 - Varici reticolari e telangectasie non compensato, o, se vogliamo, stabile ed instabile, distinzione che condividiamo pienamente: il reflusso è un fenomeno dinamico ed in continua evoluzione, e come tale per definizione è instabile e discontinuo. Tipo 1 - Reflusso dai segmenti venosi sotto ipodermici - Meccanismo Estrinseco L’ipoderma poggia sulla fascia sottocutanea fibroelastica al di sotto della quale giace il sistema venoso superficiale rappresentato principalmente dai circoli safenici ed extra safenici che, quando si interfacciano con i piani più superficiali, realizzano una ricca rete venosa. Sotto il profilo terapeutico è cruciale individuare i reflussi più prossimali collegati in maniera diretta alle espressioni dilatative e la loro direzione ed origine, anche perché eventuali reflussi situati più a monte sono di pertinenza di assi venosi di maggior calibro suscettibili di una strategia terapeutica diversa. Un reflusso residente in un segmento del circolo superficiale, safenico o non safenico, può sicuramente forzare i rami venosi interlobulari e poi espandersi nei plessi dermici e papillari, dando luogo alle telangectasie ed in questo caso si può supporre che l’effetto retrogrado si rifletta sia sulle strutture poligonali che su quelle intra-poligonali. Il risultato è una telangectasia complessa in cui si ritrovano segmenti dilatatati di vario calibro che tendono ad assumere una configurazione che riproduce l’impianto originario di tipo concentrico, e che talora è associata ad uno o più segmenti venosi rettilinei di maggior calibro, situati in un piano più profondo. Questa descrizione è solo schematica perché una volta che un reflusso approda al piano dermo-ipodermico possono realizzarsi più soluzioni di eventi dilatativi dovuti a reflussi secondari. Non dobbiamo dimenticare infatti che nei plessi sub papillari e dermici vi è un flusso pulsatile con valori pressori oscillanti tra gli 11 ed i 50 mmHg che rappresentano un valido sbarramento a reflussi che provengono dai plessi più profondi, ma nello stesso momento questo sbarramento se da una parte può indirizzare l’onda di reflusso in vario modo dall’altra può causare reflussi secondari che si ripercuotono sui plessi dermici. 100 6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie Tipo 2 - Reflusso generato da alterazione dello strato adiposo ipodermico - Meccanismo Intrinseco Si può dire che le vene per oltrepassare i lobuli devono percorrere una strettoia delimitata, oltre che dal grasso, dalle fibre collagene. È intuitivo che una patologia strutturale dei lobuli adiposi può riflettersi sulle vene che li attraversano. Una patologia o una condizione degenerativa dei lobuli adiposi si può realizzare sia con un aspetto lipedematoso che lipodistrofico (fibro-sclerosi), o anche con un’associazione di entrambe. Il risultato è che la strettoia naturale dei setti interlobulari si irrigidisce e/o si ipertrofizza causando uno stiramento ed una compressione sui segmenti venosi che li attraversano, e questo rappresenta una sorta di relativo ostacolo al naturale deflusso verso i piani profondi, cioè la premessa per un reflusso verso il piano dermico; può, inoltre, influenzare anche la rete venosa sottostante a cui viene a mancare la spinta di un flusso ortodromico, potendo sviluppare a sua volta un reflusso. Tipo 3 - Reflusso generato da alterazione delle strutture di sostegno dermoipodermiche - Meccanismo Intrinseco Le strutture di sostegno del complesso dermico ed ipodermico sono rappresentate sostanzialmente da fibre collagene. Ogni network venoso è dipendente, sotto il profilo cinetico, dalle strutture che lo circondano, e questo vale ad esempio per tutti i sistemi che si avvalgono di un impianto di pompa di tipo muscolofasciale: isolare il network venoso dal suo contesto cinetico equivale a sottrargli sia la spinta emodinamica sia il sistema di sostegno. Tra epiderma e derma vi sono due lamine sovrapposte: la lamina Lucida e la lamina Densa o Reticolare, al di sotto delle quali si sviluppa la rete di sostegno rappresentata da Collagene di vario tipo. Il network venoso attraversa questa rete nel suo percorso dermico e a sua volta è la rete stessa a fungere da sostegno al network. Tuttavia la degradazione delle fibre collagene e delle fibre elastiche, turn over a parte, è un fenomeno consueto. In tal modo viene a diminuire, in modo più o meno esteso, la funzione di sostegno producendo anche una riduzione dell’elasticità del tessuto. C’è da aggiungere che le vene dermiche sono ancorate all’ambiente circostante da fibrille collagene che hanno la funzione di 101 6 - Varici reticolari e telangectasie stabilizzare le strutture vasali e proteggerle dalle “shearing forces” (forze di frizione) a cui sono soggette (Braveman e Keh-Yen)5. In sostanza un impoverimento del patrimonio di sostegno finisce col provocare un collasso segmentario di alcuni segmenti della rete venosa del network dermico col risultato che le strutture di sbarramento, in primo luogo le valvole, perdono la loro funzione. La conseguenza è che possono verificarsi una serie complessa di reflussi regionali che a loro volta esprimono le teleangiectasie. A tutto questo bisogna aggiungere un aspetto patogenetico subordinato più direttamente ad un patologia vascolare, patologia che può contribuire ad un quadro lipedematoso o lipodistrofico. Ci riferiamo in questo caso all’edema in cui vi è una componente linfatica marcata: in queste circostanze abbiamo da una parte l’imbibizione del tessuto adiposo e dall’altra la raccolta edematosa che esercita di per sé uno stimolo infiammatorio capace di indurre una sovraespressione delle MMP (Matrix Metallo Proteinase) con conseguente rimodellamento della matrice. ESPRESSIONI MORFOLOGICHE DELLE TELEANGECTASIE: Le espressioni morfologiche delle teleangectasie sono numerose e dotate di ampia variabilità. Per elaborare una sistematizzazione in tutti i casi si deve tener conto dei 3 aspetti principali delle teleangectasie: vale a dire il colorito, o il colorito predominante, il loro diametro medio, e l’aspetto morfologico del complesso teleangectasico. Le proposte classificative sono state numerose (Redisch e Peltzer, Ouvry, Duffy et al.), anche se si rifanno sostanzialmente alla morfologia della lesione, distinguendo 4 tipologie: 1) Teleangectasie lineari e sinuose. 2) Teleangectasie arborescenti. 3) Teleangectasie stellate. 4) Teleangectasie puntiformi. Una classificazione efficace delle telangectasie non può non tenere in considerazione la fisiopatologia. A questo scopo introduciamo il concetto di “compenso”. Per “compenso” dobbiamo intendere la capacità da parte delle strutture valvolari e cinetiche di rendere il flusso omogeneo e finalizzato. Quindi il “com102 6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie penso” è un fenomeno del tutto fisiologico. Esso si interfaccia da una parte col flusso fisiologico e dall’altra col reflusso patologico. Per cui è lecito presumere che i reflussi fanno parte della normale dinamica e che nella maggior parte dei casi essi sono compensati: in realtà è dall’equilibrio, o dal mancato equilibrio, tra reflusso e compenso che si generano circostanze ipertensive ed anche ectasie canalicolari. Nel caso di un reflusso che proviene dalle vene sotto ipodermiche (Tipo 1) bisogna presumere che, nella maggioranza dei casi, esso è collegato ad una origine situata tra la fascia sottocutanea e quella superficiale. Abbiamo anche visto che esso si espande alle strutture venose poligonali. Queste strutture si trovano alla base delle vene intra-poligonali e sono connesse con loro attraverso valvole. In questo caso il compenso è rappresentato esclusivamente dallo sbarramento valvolare. Il reflusso, forzando le valvole, dà un risultato dilatativo che è verosimilmente una telangectasia stellata, che, in sostanza, riproduce il network intra-poligonale. Quando il reflusso è originato da un’alterazione dello strato adiposo, il reflusso origina da una sorta di stenosi terminale del network dermico, che rappresenta un ostacolo al deflusso. Il compenso, in questo caso, deve essere duplice, a monte e a valle della strettoia adiposa, ed agire contemporaneamente sulle strutture dermiche e su quelle sottodermiche. Considerato che l’ostacolo ed il reflusso che ne deriva è originariamente a bassa pressione, tutto si riduce ad un gioco di resistenza valvolare. Così ci dobbiamo aspettare un’espressione teleangectasica di tipo “arborescente”, considerando il tronco principale rappresentato dal segmento venoso che emerge dai lobuli adiposi. Quando il reflusso è causato da un’alterazione delle strutture di sostegno, si può parlare di una condizione di stasi nei loops venosi, che a causa della perdita di sostegno, divengono sede di dilatazione ed a lungo andare possono creare le premesse di uno stato ipertensivo segmentario che può produrre le condizioni, o le pre-condizioni, per una forzatura delle valvole a monte ed a valle. Restano in ultimo le “red spider” ovvero le teleangectasie rosse lineari. Ci sembra che l’ipotesi più avvalorata è quella della neo-angiogenesi. Ad ogni modo vogliamo proporre anche la possibilità di un meccanismo, che può contribuire alla formazione delle teleangectasie “rosse”. Ci vogliamo riferire ad un meccanismo a ritroso venulo-arteriolare a cui potrebbero partecipare le AVA (ArteroVenous Anastrosis) pre- e post-capillari. 103 6 - Varici reticolari e telangectasie CONCLUSIONI: Questa esposizione dimostra, in estrema sintesi, la obbiettiva difficoltà di inquadramento definitivo delle lesioni teleangectasiche che sono il risultato di una complessa ed estesa serie di collegamenti, interazioni e contatti di una vasta rete venosa. Proprio questa complessità è alla base dei risultati terapeutici non sempre brillanti; è evidente come una compressione accurata e profonda della organizzazione morfo-funzionale delle teleangectasie sia alla base di modalità di trattamento più efficaci. BIBLIOGRAFIA: 1. Imanishi N, Nakajima H, Aiso S. Anatomical study of the venous drainage architecture of the forearm skin and subcutaneous tissue. Plast Reconstr Surg, 2000; 106: 1287-94. 2. Imanishi N, Nakajima H, Aiso S. Anatomical study of the venous drainage architecture of the scapular skin and subcutaneous tissue. Plast Reconstr Surg, 2001; 108:656-63. 3. Phillips MN, Jones GT, van Rij AM, Zhang M. Micro-venous valves in the superficial veins of the human lower limb. Clin Anat, 2004; 17: 55-60. 4. Curri SB, Annoni F, Montorsi W, Microvalves in microveins, 9eme Congres Mondial de Phlebologie, 1986. 5. Braverman IM, Keh-Yen A. Ultrastructure of the human dermal microcirculation. III. The vessels in the mid- and lower dermis and subcutaneous fat. J Invest Dermatol, 1981; 77: 297 6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori 6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori. Colaiuda S., Colaiuda F., Brandi C., Grimaldi L., D’Aniello C. OBJECTIVES: This paper aims to evaluate the efficacy of Nd:YAG laser 1064 nm treatment for lower extremity reticular veins. METHODS: 50 female patients affected by lower limbs reticular veins, aged between 25 and 65 years, were treated. We conducted a clinical preventive screening to identify and evaluate possible bleeding disorders or other cardiovascular pathologies, and Doppler examination of lower limbs to exclude incontinent saphenous vein disorders. Five outpatient treatments were performed every 30 days using Nd:YAG laser 1064 nm. In the first session of treatment a 6 mm diameter spot was used with 140 J/cm2 of energy and a pulse duration of 40 msec; in the second and third sessions a 3 mm diameter spot was used with 350 J/cm2 of energy and a pulse duration of 30 msec; in the fourth and fifth sessions a 1.5 mm diameter spot was used with 550 J/cm2 of energy and a pulse duration of 20 msec. RESULTS:In 36 cases an 80% reduction in the extent of the venous network compared to the initial state was observed after 3 treatment sessions, and in 32 cases a 90% reduction compared to the initial state was observed after 5 sessions. CONCLUSIONS: The action of Nd:YAG laser 1064 nm has been particularly effective in non-invasive treatment of reticular veins in the legs, allowing an outpatient surgery technique that is well tolerated by patients. However, further studies are needed to confirm the results. 104 105 6 - Varici reticolari e telangectasie INTRODUZIONE: La nuova classificazione CEAP 1 definisce le vene reticolari come vene intradermiche bluastre permanentemente dilatate solitamente di diametro da 1 mm a meno di 3 mm. La varicosità del vaso è conseguenza di una modificazione della parete che comporta alterazioni della funzione delle valvole e, di conseguenza, inversione della normale direzione del flusso ematico venoso (reflusso), causando dilatazione e stasi con progressiva ripercussione sulla microcircolazione cutanea. Si assiste così, negli stadi più avanzati, ad una progressiva alterazione degli scambi fra capillari e tessuti, a continui e ripetuti microstravasi ematici, che portano ad alterazioni cromatiche (dermatite ocra), fino a vere e proprie difficoltà di irrorazione microcircolatoria, responsabili, in ultimo, di ulcerazioni della cute. La frequenza delle varici degli arti inferiori, scarsa nei bambini e negli adolescenti, aumenta con l’età e raggiunge il massimo tra la quinta e la sesta decade di vita con un maggior interessamento del sesso femminile rispetto a quello maschile (rapporto 3:1); sono presenti con forme clinicamente manifeste dal 15 al 55% degli uomini e dal 40 al 78% delle donne oltre i 60 anni1. La malattia varicosa riconosce una eziopatogenesi multifattoriale in cui diversi fattori concomitano in maniera variabile: vita sedentaria, anomalie della parete venosa o del sistema valvolare, alterazione del sistema di “pompa muscolare”, fattori ormonali, aumento della pressione intra-addominale indotta da neoplasie, gravidanze, obesità. La trasmissibilità ereditaria è controversa, ma una predisposizione familiare coesiste nell’85% dei pazienti affetti da varici2. L’approccio terapeutico alle varici degli arti inferiori è molteplice1. Negli stadi iniziali della malattia può essere sufficiente la terapia medica associata all’elastocompressione per il controllo dei sintomi. Nei pazienti con varici conclamate e con interessamento del sistema safenico è indicata invece la terapia chirurgica. Nei casi in cui l’approccio chirurgico non sia possibile per difficoltà tecnica, per incertezza di risultato o per elevato rischio, ovvero a seguito di richiesta specifica del paziente, si ricorre a trattamenti obliterativi endovascolari per ottenere l’obliterazione del lume del vaso, ottenibile sia con mezzi chimici che con mezzi fisici. Nel primo caso si parla più propriamente di scleroterapia; nel secondo caso di procedure obliterative 106 6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori endovascolari: radiofrequenza e tecnologia laser. Nell’ambito dei trattamenti con sistemi laser, negli ultimi anni si sono perfezionate nuove metodiche di intervento non invasive, nel tentativo di raggiungere un buon livello di efficacia funzionale e di effetto estetico3. Sulla base di queste considerazioni, è stato condotto uno studio clinico su 50 pazienti di sesso femminile affette da varici reticolari degli arti inferiori per verificare l’efficacia del laser Nd:YAG 1064 nm. L’obiettivo prefissato è stato quello di ottenere l’obliterazione del lume dei vasi interessati al fine di migliorare la patologia varicosa. MATERIALI E METODI: Sono state arruolate e sottoposte a trattamento 50 pazienti di sesso femminile con età compresa tra 25 e 65 anni (età media 49,6 anni) affette da varici reticolari degli arti inferiori con diametro massimo del vaso compreso tra 1 mm e 3 mm. Le pazienti sono state preventivamente sottoposte ad uno screening clinico, al fine di individuare disordini della coagulazione o altre patologie di interesse cardiovascolare che potessero rendere inefficace il trattamento, e ad esame Eco-Color Doppler degli arti inferiori per la valutazione delle peculiarità della patologia varicosa sia da un punto di vista morfologico (diametro, profondità, sede, caratteristiche della parete vascolare e degli apparati valvolari), che emodinamico (entità, lunghezza del reflusso). Per l’inquadramento nosografico della patologia varicosa è stata utilizzata la classificazione CEAP4. Tutte le lesioni sono state documentate fotograficamente. Prima di essere reclutate per lo studio, le pazienti hanno sottoscritto il consenso informato. Sono state effettuate 5 sedute di trattamento in regime ambulatoriale ogni 30 giorni utilizzando un sistema laser Nd:Yag con lunghezza d’onda 1064 nm (Palomar Lux 1064™, Palomar Medical Technologies, Inc., Burlington, MA) dotato di un sistema di raffreddamento a contatto a due livelli: durante l’accensione il manipolo si raffredda fino a 12 °C e nel momento dell’impulso il sistema di raffreddamento, di cui il sistema è dotato, abbassa ulteriormente la temperatura fino a 4 °C. Nella prima seduta di trattamento è stato utilizzato uno spot di 6 mm di diametro con energia 140 J/cm2 e una durata dell’impulso di 40 msec; 107 6 - Varici reticolari e telangectasie il manipolo è stato posizionato a contatto con la cute esercitando una leggera pressione e sono stati effettuati 3 colpi in sequenza: un colpo con manipolo perpendicolare al vaso e due colpi contrapposti con una inclinazione del manipolo di 45° rispetto al piano di trattamento, a destra e a sinistra del vaso. La sequenza successiva di colpi veniva distanziata di 2 cm lungo il decorso del vaso, rispetto alla precedente. Nella seconda e terza seduta è stato utilizzato uno spot di 3 mm di diametro con energia 350 J/cm2 e una durata dell’impulso di 30 msec; il manipolo è stato posizionato a contatto con la cute esercitando una leggera pressione e sono stati effettuati 3 colpi in sequenza: un colpo con manipolo perpendicolare al vaso e due colpi contrapposti con una inclinazione del manipolo di 45° rispetto al piano di trattamento, a destra e a sinistra del vaso. La sequenza successiva di colpi veniva distanziata di 1 cm lungo il decorso del vaso, rispetto alla precedente. Nella quarta e quinta seduta è stato utilizzato uno spot di 1,5 mm di diametro con energia 550 J/cm2 e una durata dell’impulso di 20 msec; il manipolo è stato posizionato a contatto con la cute, perpendicolare al vaso ed è stato effettuato un colpo. Il colpo successivo veniva distanziato di 0,5 cm lungo il decorso del vaso, rispetto al precedente (Tabella I). Al termine di ogni seduta sulla zona trattata è stato applicato un gel a base di phenylpropanoidi, eparina sodica e fitosoma di escina (Angiokrym®, Lab. Farm. Krymi, Roma), 2 volte al giorno per i 30 giorni successivi, per ottenere un’azione antiossidante, favorente la funzionalità del microcircolo ed antiedemigena superficiale, tesa a ridurre il gonfiore post trattamento. Nei 3 giorni seguenti ciascuna seduta di trattamento le pazienti hanno indossato una calza terapeutica classe I a compressione graduale 18/20 mmHg in caviglia. Per l’intera durata dello studio le pazienti hanno applicato quotidianamente un filtro solare ad alta protezione SPF 50+. A fine trattamento è stato effettuato il controllo mediante confronto fotografico. 6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori Tabella I - Parametri operativi. 1ª seduta Spot diametro 6 mm Energia Impulso durata 40 msec 140 J/cm2 2ª seduta 3 mm 350 J/cm2 30 msec 3ª seduta 3 mm 350 J/cm2 30 msec 4ª seduta 1,5 mm 550 J/cm2 20 msec 5ª seduta 1,5 mm 550 J/cm2 20 msec Manipolo A contatto della cute 3 colpi in sequenza: - 1 colpo perpendicolare - 2 colpi inclinati di 45°, contrapposti Distanza tra le sequenze: 2 cm lungo il decorso del vaso A contatto della cute 3 colpi in sequenza: - 1 colpo perpendicolare - 2 colpi inclinati di 45°, contrapposti Distanza tra le sequenze: 1 cm lungo il decorso del vaso A contatto della cute 3 colpi in sequenza: - 1 colpo perpendicolare - 2 colpi inclinati di 45° contrapposti Distanza tra le sequenze: 1 cm lungo il decorso del vaso A contatto della cute 1 colpo perpendicolare Distanza tra i colpi: 0,5 cm lungo il decorso del vaso A contatto della cute 1 colpo perpendicolare Distanza tra i colpi: 0,5 cm lungo il decorso del vaso RISULTATI: Il trattamento è stato ben tollerato da tutte le pazienti e non si sono verificati effetti indesiderati permanenti. I risultati sono stati valutati mediante confronto fotografico (Foto 1 e 2). Si è osservata una riduzione dell’estensione del reticolo venoso pari al 80% circa rispetto a quella iniziale dopo 3 sedute di trattamento in 36 casi, ed una riduzione pari al 90% circa rispetto a quella iniziale dopo 5 sedute in 32 casi. In 6 pazienti è stata osservata, nell’area trattata, la formazione 108 109 6 - Varici reticolari e telangectasie di zone di coagulo a tipo cordone, lungo l’asse del vaso, o a tipo nodulare, limitate alla grandezza dello spot, trattate mediante spremitura del materiale trombotico in essi contenuto, dopo 10 giorni dalla comparsa (Tabella II). Tutte le pazienti hanno riferito una sensazione di fastidio/dolore in corso di trattamento, scomparsa entro pochi minuti dal termine della seduta. Infine, non è stata riscontrata nessuna correlazione tra l’età delle pazienti e l’entità del miglioramento clinico ottenuto. Foto 1 - Pre-trattamento 6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori Tabella II - Risultati dello studio clinico. Paziente Diametro max del vaso in mm 2,7 3 3 2,5 3 3 2,5 2,5 3 1 2,7 3 2,5 2 3 1 2,3 2 2.5 3 1 3 2 2,2 2 2,5 1,5 3 1,5 2 3 1,5 2 2,3 2 2,5 1 2 2,5 2 2,5 3 1 1,5 3 2 2,5 1,5 3 2,8 Riduzione estensione reticolo venoso 3 sedute 5 sedute 80% 90% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 50% 90% 50% 80% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 90% 80% 90% 50% 80% 80% 80% 80% 90% 80% 90% 80% 90% 50% 80% 50% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 90% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 80% 90% 80% 80% 50% 90% 50% 80% 80% 80% 80% 90% 80% 90% 80% 80% 80% 90% 50% 80% 80% 80% 50% 90% 50% 90% 50% 90% 50% 90% 50% 90% 50% 90% Effetti indesiderati Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Coagulo Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Coagulo Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Coagulo Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Coagulo Nessuno Nessuno Nessuno Nessuno Coagulo Coagulo Foto 2 - Post-trattamento 110 111 6 - Varici reticolari e telangectasie DISCUSSIONE: Il laser Nd-Yag 1064 nm permette di ottenere una efficace fotocoagulazione dei vasi con diametro massimo 3 mm attraverso la fototermolisi selettiva, processo in cui l’energia luminosa viene assorbita in maniera selettiva dal sangue del vaso da trattare e poi trasformata in energia sotto forma di calore, portando la temperatura del sangue ad un livello sufficientemente elevato da provocare la distruzione definitiva della parete del vaso sanguigno senza danno alle strutture anatomiche adiacenti. Studi condotti sugli effetti clinici e istologici del laser Nd-Yag 1064 nm su teleangectasie e varici reticolari hanno dimostrato come questo effetto venga realizzato mediante l’induzione di trombosi vascolare con danno alla parete del vaso5-10. È stato studiato il TGF-β (Transforming Growth Factor-β) e i recettori tipo 1 e tipo 2 richiesti per la sua espressione: si è visto come la maggior parte delle radiazioni, compresa la luce laser, sia in grado di attivare il TGF-β, e l’attivazione simultanea dei recettori tipo 1 e tipo 2 è probabilmente sufficiente per l’avvio del processo fibrotico. Nessun ruolo sembra invece potere essere attribuito all’apoptosi nell’ambito del danno vascolare laser-indotto. Nell’esecuzione della tecnica è stata considerata la peculiarità dei fotoni di interagire con il tessuto-bersaglio per assorbimento e diffusione. Tenendo presente che l’assorbimento determina la fine della propagazione e che la maggior parte della luce assorbita è convertita in calore, con conseguente aumento della temperatura del bersaglio, sono stati eseguiti 3 colpi con diversa angolazione rispetto al piano di trattamento per ottenere una maggiore e progressiva coagulazione termo-indotta all’interno del vaso. Ciascun colpo determina un’area di coagulo che riduce l’estensione iniziale del bersaglio; i colpi successivi vengono assorbiti a livello delle zone ancora indenni, determinando una progressiva coagulazione del vaso. La possibilità di modificare i parametri operativi del sistema laser utilizzato (potenza, durata dell’impulso, diametro dello spot) e la disponibilità di nuove e migliori tecnologie di raffreddamento del manipolo hanno permesso, inoltre, di migliorare i risultati ed ottenere un maggior comfort per il paziente in termini di fastidio/dolore, riducendo al minimo gli effetti indesiderati. È stato infatti possibile ottenere, nelle pazienti sottoposte a trattamento, una distruzione dei 112 6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori vasi più efficiente, in assenza di iperpigmentazioni e di danno da calore alla cute circostante. CONCLUSIONI: L’azione del laser Nd-Yag 1064 nm si è dimostrata particolarmente efficace nel trattamento non invasivo delle varici reticolari degli arti inferiori. La tecnica di intervento utilizzata, assolutamente non invasiva, indolore e priva di effetti indesiderati permanenti, non richiede anestesia e può essere condotta routinariamente in ambulatorio. I risultati osservati nel nostro studio mostrano una buona attenuazione delle lesioni vascolari rispetto alle lesioni iniziali. La possibilità di variare i parametri operativi in funzione delle caratteristiche dei vasi da trattare ha permesso trattamenti più sicuri e confortevoli per le pazienti. È opportuno sottolineare che l’esecuzione di tale tecnica richiede personale istruito circa i protocolli da utilizzare nei vari trattamenti medici. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per la conferma dei risultati ottenuti. BIBLIOGRAFIA: 1. Linee Guida diagnostico-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Revisione 2003. Acta Phlebologica agosto 2003; vol. 4 - n. 1-2. 2. Botta G, Mancini St, Mancini S. Le varici degli arti inferiori. Manuale di Chirurgia. Monduzzi Editore, Bologna, 2007, 1148-60. 3. Jones RH, Carek PJ. Management of varicose veins. Am Fam Physician, 2008 Dec 1; 78(11): 1289-94. 4. Wittens CH, de Roos KP, van den Broek TA, van Zelm RT. Guideline “Diagnosis and treatment of varicose veins”. Ned Tijdschr Geneeskd, 2009; 153: B71. 5. Sadick NS, Prieto VG, Shea CR, Nicholson J, McCaffrey T. Clinical and Pathophysiologic Correlates of 1064-nm Nd: YAG Laser Treatment of Reticular Veins and Venulectasias. Arch Dermatol, 2001; 137: 613-617. 6. Sepp NT, Jie-Li L, Leek H, et al. Basic fibroblast growth factor increases expression of the QVB3 integrin complex in human microvascular endothelial cells. J Invest Dermatol, 1994; 103: 295-299. 7. Kahari VM, Olsen DR, Rhudy RW, Carillo P, Chen YQ, Vitto J. Transforming growth 113 6 - Varici reticolari e telangectasie factor β up regulates elastic gene expression in human skin fibroblasts: evidence for post transcriptional modulation. Lab Invest, 1992; 66: 580-587. 8. Majesky MW, Linder V, Twardzik DR, Schwartz SM, Reidy MS. Production of transforming growth factor β during repair of arterial injury. J Clin Invest, 1991; 88: 904-910. 9. Border WA, Noble NA. Transforming growth factor β in tissue fibrosis. N Engl J Med, 1994; 197: 287-1292. 10. Raghow R. Role of transforming growth factor β in repair and fibrosis. Chest, 1991; 99: 615-655. 6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza 6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza Crippa A. ABSTRACT: OBJECTIVES: In combination with usual transdermal therapy at 532 nm treatment, we have evaluated also 808 nm wave-length laser in intra-extra luminal procedure for the treatment of teleangectasias. Endolasering with 100 or 200 µm micro optical fibres can cause photothermocoagulation of the vessel wall thanks to the direct intra-extra venous contact. In fact, 808 nm being scarcely absorbed by both water and fat tissue, does not harm surrounding perivenous tissues during photocoagulation. When the firing becomes from the extravasal side, the first target is the adventitial vasa venarum. MATERIALS AND METHODS: Since march 2008, 300 patients (270 female, 30 male) presenting tortuous teleangectasias are treated with intra-extra luminal 808 nm diode Laser (Eufoton, Trieste, Italy). After topical anaesthesia (EMLA Cream or cryogenic local therapy), a special micro fiber of 100 or 200µm in teleangectasias are inserted intra - extra near the veins wall, using at the same time a combined skin cooling system during and after treatment. We differentiate 2 types of teleangectasias treatments. a. Telangectasias sized from 0,5 mm to 1 mm (blue, violet). We used a special titanium introducer for 25 G needle to introduce easily the fiber into the needle. Skin temperature must be controlled by palpation. The fiber is pushed up where the reflux originates and 114 115 6 - Varici reticolari e telangectasie the optical tip is indicated by the pilot red light at 635 nm. Once it has reached the reflux point, it is gently withdrawn under variable pullback speed and power laser setting. The end point is photocoagulation of the varicose blood content and wall, which immediately becomes shrunk as soon as it gets touched. The treatment of these telangectasias requires pressure applied with a cylinder of cotton, and elastic stocking 20-30 mmHg. Treatment was well tolerated. b. Teleangectasias sized less than 0,5 mm (red). We used the direct transcutaneous impact of the naked bare micro optical fiber of 100 or 200 µm.The laser emission enables us to puncture the skin penetrating the vessel wall structure and causing a photothermic damage to the vessel and connected perivenium vasa vasorum. Combined skin cooling is recommended. The immediate vessel bleaching is followed by micro skin burns sized 200/300 microns that disappear on approx 14 days. CONCLUSIONS: Effective treatment of teleangectasias was achieved with intra-extra luminal 808 nm laser with acceptable side effects. The vessel shrinking was achieved for: 1. the selective photothermolysis of intraluminal Hb, in extraluminal procedure on vasa venarum Hb; 2. direct contact of the optical fiber on collagen of the vessel wall. The treatment is cost effective because the low cost of the disposable micro optical fibers (Eufoton -FTF system). INTRODUZIONE: Le nuove tecniche endovascolari mediante laser endovenoso (L.E.V.) hanno trovato un preminente inserimento nei trattamenti delle grandi safene, delle col116 6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza laterali safeniche, ma anche delle vene reticolari, delle piccole TeleAngectasie Inferiori (TAI). Molto frequenti, le telangectasie degli arti inferiori non sono ben accettate dalle donne, essendo antiestetiche. Le telangectasie non pongono però solo un problema estetico. Esse rivelano, spesso, una lesione ancora misconosciuta del sistema venoso superficiale o profondo. Questi vasi sono espressione di una stasi circolatoria e rappresentano il danno distrettuale provocato da un macroreflusso varicoso o da un microreflusso venulare superficiale o profondo. È dimostrato che dal 15 al 50% degli individui in apparenza portatori di varici superficiali ha già sviluppato un’insufficienza venosa profonda. MATERIALI E METODI: Uno studio istologico inoltre ha dimostrato che in circa l’80% delle varici reticolari e delle TA ha già sviluppato la caratteristica displasia della parete e delle valvole che predispone allo sviluppo della malattia venosa cronica. Il trattamento laser endo-perivenoso è indicato per le sotto indicate classi di telangectasie: 1. Chiazze teleangectasiche. 2. Varici teleangectasiche. 3. Teleangectasie scarlatte essenziali. 4. Teleangectasie secondarie. Da settembre 2006 ad oggi abbiamo trattato 300 pazienti (98% femmine) con telangectasie e vene reticolari degli arti inferiori con tecnica laser endo-perivenoso 808 nm e con fibra monouso e low cost da 150 - 200 micron. Tutte le pazienti continuano ad essere sottoposte a controlli periodici e trattamenti come indicato in questa patologia. La chiusura permanente delle vene con tecnica endo-perivenosa avviene prin117 6 - Varici reticolari e telangectasie cipalmente tramite un processo ad alta temperatura di contatto tra il laser e la parete venosa. 6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza n the treatment of facial and leg telangiectasias. Dermatol Surg, February 1999; 24: 2, 221-226. 9. Longo L, Postiglione M, Botta G, Mancini S. Is there a best wavelength for laser treatment of telangiectases? Proc. SPIE, 2000; vol. 4166: 32 -5. DISCUSSIONE DEI RISULTATI E CONCLUSIONI: 10. Altshuler GB, Anderson RR, Manstein D, Zenzie HH et al. Extended Theory of Selective Photothermolysis. Laser Surg Med., 2001; Supp. 13: 50. I risultati dei trattamenti laser 808 nm endo-perivenoso sono buoni con sbiancamento delle teleangectasie a tre mesi del 70% e a 6 mesi del 90%. 11. Marangoni O, Longo L. Endoluminal Photothermosclerosis laser 808nm for treatment of the saphenous and collateral veins. Indications and Limits (Theoretic-Experimental). Lasers Med Sci, 2002; 17, N 4: A12. Non si sono osservate infezioni, matting o esiti cicatriziali. Tutte le pazienti hanno dimostrato gradimento per il trattamento endo-perivenoso (le più sensibili sono state pretrattate con sistema criogeno a contatto - cella di Peltier). Non ci sono limiti di dosaggio come nella sclerosi chimica; unico limite tempo operatore - paziente. BIBLIOGRAFIA: 1. Marangoni O. Teleangiectasie essenziali. Gazz Med Ital – Arch Sc Med, 1994; 153-6: 24351. 2. Marangoni O, Magaton Rizzi G, Trevisan G. 808nm diode laser with and without exogenous chromophore in the treatment of benign facial pigmented and vascular lesions. Proc. SPIE, 2000; vol. 4606: 18-22. 3. Marangoni O, Longo L, Melato M. Indicazioni chirurgiche, terapeutiche, diagnostiche, Laser in Flebologia. Proposta di Linee Guida. Minerva Cardioangiol, 2000; 49 (suppl 1 al n. 6): 350-2. 4. Mariani F, Trapassi S, Mancini St, Mancini S. Telangectasies in venous insufficiency. Investigation of refluxes and sclerotherapy (Follow-up at four years). Acta Phlebol, 2000; 1: 33-38. 5. Bassi G. Le varici essenziali non safeniche. Terapia Flebologica. Min Med, Torino, 1985; 99-104. 6. Dover JS, Sadick NS, Goldman MP. The Role of Lasers and Light Sources in the Treatment of Leg Veins. Dermatol Surg, 1999; 25: 328-36. 7. Goldman MP, Fitzpatrick RE. Leg Telangiectasia. Cutaneous Lasers Sur. Mosby Inc, St. Louis, 1999; 136-152. 8. West TB, Aster TS. Comparation of the long-pulse dye (590-595nm) and KTP lasers 118 12. Marangoni O, Longo L. Leg Telangectasies resistant to the sclerotherapy. Comparation between laser 532, 808, 980nm. Lasers Med Sci, Nov 2003; Supp 2: 18. 13. Corcos L, Marangoni O, De Anna D, Longo L. Transillumination Guided Endovenous Laser treatment of Saphenous, Perforative, and Peripheral Varicose Veins. UIP World Cong C.M. San Diego 2003; A50 14. Caramia M, Marangoni O. L’uso combinato transdermico ed endovasale del laser 808nm nel trattamento delle teleangiectasie degli arti inferiori. 7° Cong Int SIES, Bologna, 2004; A46. 15. Zerbinati N, Vergani R, Ambonati M, Beltrami B, et al. Valutazione microscopica, ultrastrutturale e di morfometria computerizzata nel trattamento cutaneo con laser Nd:YAG. 7° Cong Int SIES, Bologna, 2004; A41-42. 16. Lonardi R, Crippa A. Endoperivenous Laser Procedures for Teleangectasies Treatment. XVI World Meeting of the Union Internationale De Phlebologie. 119 6 - Varici reticolari e telangectasie 6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale. • the particular wavelength of laser light, which easier passes into sub- Atelli P. F., Goffredi L., Della Rocca M. D., Furino E., Quarto G., Apperti M. • the extreme manageability of handling, which allowed us to have a ABSTRACT: The actual experience come out from a practical need which has been made evident during sclerosing therapy of reticular veins and of the spider veins (or telangectasias): looking at blood vessel in a more evident way, in order to use the needle in a more precise and safe way. The idea of using instruments which should allow to have a better vision than eyesight or magnifying glass, come out from the need to see “more and better”. In fact the technique of trans-illumination has been using for ten years. For this purpose different instruments have been used, which only in part met our needs: a first instrument (figment of our testing!) had a strong luminous intensity, but a wavelength which didn’t detect in a more clear way the blood vessel to be sclerosed; in addiction, manipulation was still not ergonomic. A second tool used, worked with a complex system of infrared rays with digital elaboration of pictures which made usage not pratical; however this instrument was too much expensive. A third instrument used a led light and was very easy for the usage, but had a wavelength and a luminous intensity still not perfect. A fourth instrument lighted up blood vessels in a more evident way; basing on this, one, it was considered perfect for introducing the needle with more precision, but the particular shape obstructed a complete view of veins picture, made of reticular veins and telangectasias. Therefore, the need to find a system, which should overcame the difficulties, brought us day by day to create a new instrument, the VISIOVEN®, which is, in our opinion, the most efficient and suitable for our goals. These characteristics are mainly due to: 120 6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale cutaneous tissue and then glance also versus the surface, like a mirror; complete view of the system of reticular varices and of telangectasias, sometimes a wonderful vision! However, during our experience, we found that the trans-illumination could be used not only as an instrument for more precise detectability of an high number of veins, within the scope to proceed “from big to little”, from up versus down, first “mother vein”, then telangectasias. This procedure, of course, is correct, but could be changed into a sort of sclerosing therapy “a la demand” , pricking what is possible and visible, based mainly on morphologic interpretations, without understanding why sclerosing some blood vessel or others. Otherwise there are not many studies which help us to understand the flows and refluxes of vein system, which remains often not visible also at ultrasonography. This thinking pushed us to begin a speculative way which could bring to give an hemodynamic meaning to telangiectasias and the reticular system too. First results are very encouraging and, if they will be confirmed by testing experience of the involved colleagues, this could represent an unexpected success. We believe that the pictures have a more strength than speculative reflections into showing our idea and the results of an easy technique for the execution of a technique of irreplaceable helpfulness during our clinical practice. Not only for see more, but for see better! Not only for see, but mainly for understand! Obiettivi: Il nostro lavoro nasce dall’esigenza di rendere più agevole e più razionale la scleroterapia delle varici di piccolo calibro, in particolare Teleangectasie e 121 6 - Varici reticolari e telangectasie Reticolari. Il sistema venoso superficiale sottocutaneo è un sistema complesso in cui le vene dermiche sono disposte in due plessi orizzontali, uno più superficiale, detto sub-papillare, e l’altro profondo1. Questi due plessi sono interconnessi e comunicano con il circolo venoso ipodermico che è costituito da venule che decorrono parallelamente alla superficie cutanea al di sopra della fascia superficiale. Queste vene sono infine in comunicazione con le vene profonde attraverso il circolo safenico, ma anche direttamente attraverso vene perforanti o comunicanti2,3. In condizioni patologiche la dilatazione del circolo venoso ipodermico si manifesta con la comparsa di varici reticolari e quella del plesso sub papillare con l’evidenza di telangectasie. È ormai un concetto acquisito che una corretta indagine morfo-funzionale del sistema profondo e safenico è indispensabile per una corretta condotta terapeutica, ma un identico approccio sul sistema dermo-ipodermico, non solo non è praticato di routine, ma oggettivamente presenta alcuni ostacoli nella sua esecuzione. Scopo di questo lavoro è di contribuire a chiarire alcuni aspetti ancora oscuri nel campo della scleroterapia del sistema dermo-ipodermico. La nostra esperienza si è avvalsa dell’utilizzo di un apparecchio da noi ideato e brevettato, il Visioven®. Lo strumento consiste in una “scatola di comando” contenente il driver per la fonte laser, collegato a quest’ultimo mediante un cavo di trasmissione resistente ai comuni antisettici e all’usura. Il cavo del manipolo LASER è scollegabile dal driver mediante uno spinotto rapido anti-sgancio. Il LASER consta di un diodo con lunghezza d’onda pari a circa 500nm, di potenza di 150mW, raffreddato tramite l’utilizzo di alette passive, senza ventilazione forzata. Il LASER è dotato, a valle del diodo emettitore, di una lente alloggiata in una ghiera, in modo da poterla regolare e defocalizzare il raggio luminoso al fine di ottenere miglior sicurezza per gli operatori. È stato messo a punto anche un manipolo idoneo ad essere adoperato durante l’intervento chirurgico, autoclavabile e termoresistente. È provvisto, sulla culatta, di idoneo alloggiamento e blocco del diodo laser, mentre alla sua estremità è provvisto di un’ulteriore lente defocalizzante che consente di ottenere il massimo di intensità luminosa per contatto, e un’idonea dispersione già a distanze superiori a 10cm, per un’ulteriore sicurezza degli utilizzatori. Il manipolo prevede alla sua estremità distale una ghiera filettata per l’utilizzo di accessori tagliati a 45°. 122 6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale Metodi: Abbiamo trattato circa 200 pazienti affetti da malattia cronica venosa degli arti inferiori che presentavano teleangectasie e varici reticolari. Abbiamo utilizzato il Visioven® come sistema di mappaggio del sistema venoso dermoipodermico, sia in fase diagnostica che in fase di trattamento scleroterapico, e per la valutazione dei risultati (Fig. 1; Fig. 2). Fig. 1 - Utilizzo del Visioven® Fig. 2 - Utilizzo del Visioven® 123 6 - Varici reticolari e telangectasie Risultati: I pazienti sono stati rivalutati a 7, 30, 180 giorni, nonché a distanza di 2 anni. La chiusura completa delle varici reticolari a volte era evidenziata, nei controlli precoci, dalla presenza di un cordone senza segnali di flusso. Talora, invece, la vena “spariva“ letteralmente senza che potesse essere rilevata nessuna reazione, né infiammatoria né cromatica. Il dato è di più facile rilievo se, prima della scleroterapia, si documenta la mappatura fotograficamente o riportando il disegno su supporto cartaceo. 6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale 3. Imanishi N, Nakajima H, Aiso S. Anatomical study of the venous drainage architecture of the forearm skin and subcutaneous tissue. Plast Reconstr Surg, 2000;106:1287-1294. 4. Apperti M. La epiillumnazione nel mappaggio e nel trattamento delle varici. Relazione al Simposio: “Ricerche e novità in flebologia”. Congr. Naz. C.I.F. 2004. Conclusioni: L’esigenza di ideare un apparecchio che permettesse la visualizzazione di un sistema venoso spesso “invisibile” alla ultrasonografia è nata dall’esigenza di rendere la scleroterapia non più una manovra “alla cieca” e “on demand”, bensì un trattamento finalizzato alla correzione di flussi patologici sulla base dei concetti di emodinamica4. Siamo convinti che con questo sistema al di là di un inquadramento sistematico che, per la verità riteniamo ancora lontano da raggiungere, possiamo, fin da subito, iniziare ad avere un approccio più razionale alla scleroterapia delle teleangesctasie e delle reticolari, non fosse altro per il fatto che possiamo verificare e confrontare il risultato del nostro gesto terapeutico, che potrà essere adattato e modificato in funzione degli effetti raggiunti. Bibliografia: 1. Tretbar LL. The origin of reflux in incompetent blue reticular Telengiectatic veins. In, Davy A, Stemmer R, (eds) Phlebology 89, Montrogue, France, John Libbey Eurotext, 1989; p. 95. 2. Braverman IM, Keh-Yen A. Ultrastructure of the human dermal microcirculation. III. The vessels in the mid- and lower dermis and subcutaneous fat. J Invest Dermatol, 1981;77:297-304. 124 125 6 - Varici reticolari e telangectasie 6.5 - Scleroterapia e terapia compressiva 6.5 - Scleroterapia e terapia compressiva. Moretti R. ABSTRACT: The use of compression in sclerotherapy is an heavily discussed topic ever since. Positions in literature are the most various: some suggest to do a selective compression only on the treated vessels for short periods, others believe that compression should be modulated according to the size of the vessel and type of treatment, finally others recommend to use in every case fixed bandages with short lengthening bandages for long periods. We believe that compression prevents the formation of large thrombi, makes the treatment painless, is useful for aesthetic results, treat every the microcirculation, protects from thrombotic incidents and keeps quiet the sick, who cannot see the manifestations of healing inflammation. No less important topics may be: the possibility to control the inexperience of newbies and possible errors of the most experienced people, protection from legal medical problems. INTRODUZIONE: L’uso dell’elastocompressione nella terapia sclerosante è argomento fortemente discusso da sempre. Le posizioni in letteratura sono le più varie: alcuni consigliano di fare una compressione selettiva solo sul vaso trattato e per periodi brevi (Stemmer, Wallois), altri ritengono che la compressione debba essere modulata a seconda delle dimensioni del vaso e del tipo di trattamento, usando bendaggi fissi o tutori elastici ad ogni seduta e per tempi variabili dipendenti dall’importanza del trattamento (Genovese, Goldman, Mariani), infine altri ancora, che trattano principalmente vasi di notevoli dimensioni, consigliano di usare in ogni caso bendaggi fissi con bende a ridotto allungamento per periodi piuttosto lunghi (Fegan, Haid e Sigg). È molto interessante il parere espresso da M.P.Goldman a questo proposito: “raramente il medico si può permettere il lusso di somministrare una terapia 126 completamente innocua nel trattamento di una qualsiasi malattia”. Parere che si adatta perfettamente alla scleroterapia e che già nel 1962 era stato chiarito da Glauco Bassi: “l’elastocompressione impedisce la formazione di grossi trombi…rende il trattamento indolore, giova al risultato estetico, cura lo scompenso istangico, mette al riparo da incidenti trombotici…e mantiene tranquillo il malato che non vede le manifestazioni della flogosi curativa”. Sulla scorta di quanto detto da Bassi e da quanto ognuno di noi verifica nella pratica quotidiana, le motivazioni che inducono ad usare l’elastocompressione nella scleroterapia sono le più varie: la prevenzione delle complicanze, il miglioramento del microcircolo, il miglioramento dei risultati; argomenti non meno importanti possono essere la possibilità di tamponare l’inesperienza dei neofiti e qualche possibile errore dei più esperti e, cosa decisamente importante, può mettere a riparo da problemi medico legali che oggigiorno, purtroppo, sono sempre in agguato. Il RUOLO DELL’ELASTOCOMPRESSIONE: Il meccanismo d’azione che si suppone sia alla base dell’elastocompressione nella scleroterapia non è diverso da quello che si riscontra in ogni altra patologia che risente positivamente del trattamento elastocompressivo, ovvero la riduzione del calibro vasale che aumentando la velocità di flusso previene l’edema, migliora il microcircolo e rende più rapidi i processi riparatori tissutali. Su queste basi possiamo ipotizzare che l’elastocompressione sia in grado di prevenire molti piccoli e grandi problemi che occorrono dopo una seduta di scleroterapia anche se ben condotta: la riduzione del numero e dell’estensione degli ematomi, il controllo dell’edema localizzato e anche diffuso, l’orticaria localizzata, i piccoli trombi che poi lasciano una iperpigmentazione, il matting, l’escara, la varicoflebite e, più importante di tutti, il tromboembolismo. I mezzi a nostra disposizione sono tra i più vari: bendaggio fisso e rimuovibile, tutore elastico terapeutico e/o preventivo; i tempi di applicazione consigliata sono altrettanto vari, si passa da poche ore fino ad un mese dopo la seduta. Chi usa il bendaggio rimuovibile consiglia solitamente di indossarlo solo durante il 127 6 - Varici reticolari e telangectasie giorno, ma alcuni autori prescrivono il tutore elastico terapeutico da indossare ininterrottamente giorno e notte per circa un mese (Goldman, comunicazione personale). Varie sono le critiche, spesso condivisibili, a proposito dell’uso dell’elastocompressione in alcuni casi: nelle teleangectasie, nelle varici di coscia e nelle varici a canyon si ritiene che non siano in grado di esercitare un valido schiacciamento sul vaso trattato, in ogni caso agiscono sicuramente sul circolo superficiale e profondo della zona trattata riducendo alcune complicanze minori e maggiori come precedentemente illustrato. Altre critiche sono causate dalla difficoltà di realizzazione di alcuni bendaggi che dovrebbero arrivare fino all’inguine e anche per i costi che incidono sul trattamento. 6.5 - Scleroterapia e terapia compressiva 3. 4. 5. 6. 7. Mariani F. Scleroterapia e trattamento compressivo, pp. 103-104. Fegan G. Varicose veins - Compression Sclerotherapy. Heinemann Medical.Berrington Press, Hereford (England), London, 1967, ristampa 1990. Aid-Fisher F. Haid H.: Malattie delle vene. Il pensiero scientifico ed., Roma, 1988. Sigg K.. Varizen, ulcus cruris und thrombose. Springer Verlag, Berlin-Heidelberg, New York, 1968. Bassi G, Stemmer R. Raitements mecaniques fonctionnels en phlebologie. Piccin Ed., Padova, 1983. CONCLUSIONI: Le mie opinioni personali e le indicazioni a cui mi attengo sono le seguenti: 1. Safena interna, safena esterna, grosse varici ad origine safenica o dal profondo, specialmente se trattate con mousse: bendaggio fisso per tre settimane. 2. Varici extrasafeniche, non collegate al sistema profondo: bendaggio fisso per dieci giorni 3. Teleangectasie e varicosità reticolari: tamponi per alcune ore e collant 18 mmHg per sette giorni. In tutte le situazioni intermedie o miste è bene decidere in base ai principi sopra esposti caso per caso. BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 128 Stemmer R. Sclerose des variceset compression. Phlebologie, 1991; 44(1): 45-8. Wallois P. La sclerose des varices, base set technique du traitment. In Caille J.P. (eds): Phlebologie en pratique quotidienne, L’Exspansion Scientifique Francaisem, Paris, 1982; 113-30. 129 6 - Varici reticolari e telangectasie 6.6 - Scleroterapia e complicanze 6.6 - Scleroterapia e complicanze Tori A. ABSTRACT: Sclerotherapy is an easy and safe medical procedure; however, it is charged by some complications according to every medical and surgical procedure. These complications can be divided in two categories: general and local complications, which, in turn, can be distinguished in major and minor. Minor general complications (such as syncope, nausea and vomit, sense of uneasiness, fever and ocular discomfort) are unusual, but, they can make patient be worried, so it’s a good thing to inform patients about these complications; major general complications (such as allergic reactions and deep vein thrombosis – pulmonary embolism) are very rare, but potentially life threatening. Local complications (such as superficial phlebitis, arterial injection, scar), not less important than the general ones, are possible, but they depend on the capacity to perform the procedure in the right way or on the type of used drugs to carry out sclerotherapy; in addiction, these complications create serious aesthetical problems (bouquets of telangectasies, skin pigmentation) which invalidate the results of the treatment. Thus, we can say that sclerotherapy is not a dangerous procedure, but, both patients and operators have to be aware of the linked risks and complications and assume the necessary safeguards to avoid them. INTRODUZIONE: Come tutti i trattamenti medico-chirurgici, anche quello sclerosante può essere gravato da complicanze, generalmente di modesta entità ma, in qualche raro caso, anche estremamente gravi. Distinguiamo Complicanze Generali e Complicanze Locali. 130 COMPLICANZE GENERALI: Le Complicanze Generali vengono suddivise in: Minori e Maggiori. COMPLICANZE GENERALI MINORI: Decisamente rare, di poca importanza clinica, si risolvono nel giro di breve tempo, ma hanno la capacità di “spaventare” il paziente, per cui è sempre prudente avvisarlo della possibile comparsa di questi eventi, spiegando che sono transitori e di nessuna gravità. Tra queste ricordiamo: 1. Episodi presincopali e sincopali: compaiono soprattutto nei pazienti neurolabili, generalmente alla prima seduta, e sono legati a tensione emotiva, alla sensazione di dolore-bruciore. Passano in pochi minuti, ma possono arrivare alla completa perdita di coscienza con sincope respiratoria, crisi tetanica, vomito. Non sono legati al tipo di prodotto sclerosante utilizzato. Non necessitano di alcun trattamento in quanto si risolvono spontaneamente in qualche minuto tranquillizzando il paziente dopo averlo posto in posizione clinostatica. 2. Nausea, vomito, malessere generale: sono fenomeni legati ad una intolleranza immediata al prodotto. Sono estremamente rari, non legati ad uno specifico prodotto, si risolvono, anch’essi, in modo rapido e favorevole. 3. Febbre: compare dopo circa 12-24 ore, può essere anche alta e recede in brevissimo tempo. Rappresenta una intolleranza tardiva al prodotto utilizzato. Lo scarso numero degli episodi non permette di correlarli ad un prodotto specifico. 4. Disturbi oculari: abbagliamenti, perdita parziale del visus; scompaiono in 30 minuti e, generalmente, seguono di 1020 minuti il trattamento. Controlli oculistici eseguiti a breve 131 6 - Varici reticolari e telangectasie distanza di tempo non hanno mai evidenziato alcuna patologia organica. e con gravissime conseguenze, i cui danni sono rappresentati da lesioni neurologiche e cutaneo-muscolari per l’immediato diffondersi del farmaco all’estrema periferia dei tessuti. Cefalea, senso di sapore metallico in bocca, dolore epatico sono tutte complicanze rarissime, però riferite in letteratura, come possibili eventi avversi. 2. Lesioni dei nervi: più rare, possono comparire nel trattamento di tratti venosi vicini ai grossi nervi (sciatico - polplitei) o per uno stravaso vicino ad essi o, piuttosto, un passaggio dello sclerosante nei vasa nervorum. COMPLICANZE GENERALI MAGGIORI: Ancora più rare di quelle minori, ma tali da poter mettere in pericolo di vita il paziente. 1. Reazione Allergica: benigna e locale (orticaria) che si manifesta, generalmente, nei giorni successivi. Generale e immediata come lo shock anafilattico, violento e di non facile risoluzione. 2. Trombosi Venosa Profonda – Embolia polmonare: rarissimi eventi legati, certamente, ad una serie di cofattori avversi come la possibilità di una misconosciuta trombofilia, o un improvviso prolungato allettamento per cause non legate alla scleroterapia, oppure un inadeguato bendaggio, qualora vengano trattati grossi rami varicosi con mezzi aggressivi ed ad altissimo dosaggio (uso di Schiuma?). COMPLICANZE LOCALI: Anche le Complicanze Locali vengono, solitamente distinte in Maggiori e Minori. COMPLICANZE LOCALI MAGGIORI: 1. Iniezione Endoarteriosa: ormai “quasi” scomparsa con l’utilizzo dell’eco-sclerosi è stata, negli anni passati, un incidente non raro 132 6.6 - Scleroterapia e complicanze 3. Flebite superficiale: non rara, talvolta compare anche durante il trattamento di teleangiectasie drenate in un tronco più grosso o in safena, si risolvono con elastocompressione, ma lasciano quasi sempre discromie cutanee. 4. Escara: non è legata ad uno stravaso (se non massivo!), ma ad un danno ischemico locale della parte arteriosa del microcircolo. COMPLICANZE LOCALI MINORI: Apparentemente benigne per la loro modesta gravità clinica, spesso drammaticamente gravi dal punto di vista estetico. 1. Pigmentazione Residua: più frequenti con alcuni farmaci, legata soprattutto ad un errato dosaggio o ad una ipersensibilità individuale. Si attenua col tempo, ma può essere fonte di gravi inestetismi. 2. Bouquets di Teleangectasie post-sclerosi: (Matting) non legato al prodotto, ma probabilmente alla tattica sclerosante, compare prevalentemente nella regione interna del ginocchio, difficile da trattare. 3. Edema del piede: compare in seguito ad un trattamento troppo 133 6 - Varici reticolari e telangectasie “forte” e troppo basso. Si risolve, molto lentamente, solo con l’elastocompressione. La terapia con scleromousse e nata da pochi anni, non ha ancora uno standard definito, molti sono coloro che hanno modificato il metodo di produzione della schiuma, i dosaggi, la tecnica. Di certo sappiamo che ha un azione più efficace, necessita di minor quantità di prodotto, con essa si può incorrere nelle medesime complicanze finora descritte. Alcuni lavori parlano, però, di episodi di Embolia Cerebrale, di un maggior numero di TVP ed EP. La terapia Sclerosante non è una terapia pericolosa se si è pienamente coscienti dei rischi e delle complicanze che può provocare e se si è attenti a porre in atto tutti gli accorgimenti per evitarle. BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 134 Agrifoglio G, Montorsi W, Donadi GC. Flebologia. Masson ed., Milano, 1983. Bacci PA, Mariani F. La flebologia in Pratica. Alberti &C ed., Arezzo, 2003. Genovese G. Chirurgia delle vene e dei Linfatici. Masson ed., Milano, 2003. Mancini S. Trattato di Flebologia e Linfologia. Ed. UTET, Torino, 2001. Mariani F. Sieroterapia. Ed. Minerva Medica, Torino, 2006. Ouvry P. Sclerotherapie et thrombophilie. Phlebologie, 2003; 56(2) : 171-2 Tournay R e coll. Terapia Sclerosante delle varici. Cortina Ed., Milano, 1984. Vin F. Complication de la sclerotherapie des varices des membres inferieurs. Phlebologie, 1999; 52(1): 53-9. 7. Flebotrombosi 7 - Flebotrombosi 7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale 7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale. Veneruso G.A., D’Amodio A.S. ABSTRACT: The term Thrombophlebitis denotes an inflammatory and obstructive (thrombotic) disease affecting the superficial venous system. It is generally divided into two groups: primitive and secondary Thrombophlebitis. Whatever the etiology might be, and similarly to what happens in the deep circle, the thrombotic processes concerning superficial circle are directly ascribable to an alteration of one or more factors of the well known “Virchow’s triad” (1856). Thrombophlebitis are essentially divided into: Primitive Thrombophlebitis that occur isolately, usually in those subjects showing a base thrombophilia; Secondary Thrombophlebitis deriving from other pathologies that provoke a parietal damage. Usually a minor issue, the routine chemical-clinical laboratory becomes fundamental when applied to the diagnosis of congenital and acquired thrombophilic conditions. The superficial thrombophlebitis have a very clear clinical manifestation in terms of disease expression and anatomical position, which makes them easily recognizable at a first diagnosis. The instrumental evaluation of the disease is performed by EchocolorDoppler, which allows to evaluate the presence of thrombosis both qualitatively and quantitatively, and eventually to assess the involvement of the deep venous circle. DEFINIZIONE: Il termine Tromboflebite indica un’affezione a carico del sistema venoso 136 superficiale di natura infiammatoria ed ostruttiva (trombotica). Esse vengono essenzialmente distinte in Tromboflebiti primitive e secondarie. Quale che sia l’etiologia, come per i processi trombotici venosi inerenti il circolo profondo, anche per il circolo superficiale tali eventi sono comunque riconducibili in ultima analisi all’alterazione di uno o più fattori della famosa “Triade di Virchow” (1856). Infatti nella classificazione eziologica riscontriamo Tromboflebiti superficiali da: 1. Danno parietale. 2. Prevalente stasi venosa. 3. Prevalente ipercoagulabilità. Numerose evidenze in letteratura confermano lo stretto rapporto tra meccanismi trombogenici innescati da una flogosi acuta con l’attivazione dei monocitimacrofagi ed il conseguente rilascio di citochine (TNF - Tumor Necrosis Factor ed IL1 - Interleukina 1), che agiscono sulle cellule endoteliali sia riducendo le attività anti-trombotiche, sia aumentando la trombofilia (sintesi di Tissue -Factor o di PAI 1 - inibitore dell’attivatore del Plasminogeno). Inoltre, l’attivazione della coagulazione ematica genera molte sostanze enzimatiche fortemente flogogene (Fattore XII, PreCallicreina, Chininogeno ad alto p.m.). Appare evidente come l’interazione tra tutti questi elementi possa giocare un ruolo chiave nell’innescare i complessi processi che intervengono nel meccanismo flogosi/coagulazione. FORME CLINICHE: • Primitive o idiopatiche • Migranti • Forme secondarie Le forme cliniche primitive od idiopatiche sono caratterizzate da processi flogistici primitivi localizzati in un segmento della parete venosa determinanti una trombosi secondaria, senza apparente causa scatenante. Raramente 137 7 - Flebotrombosi recidivanti. Forme cliniche migranti Prevalentemente localizzate agli arti inferiori, interessano più segmenti venosi di uno stesso arto. Sono spesso a genesi immunitaria, e sostenute da concomitanti processi neoplastici maligni (scavo pelvico, addome, polmone). Riscontrate anche in corso di malattie infettive (tifo e tubercolosi) e di Mesenchimopatie reattive (Dermatomiosite, Lupus, Artrite Reumatoide), nelle gravi iperuricemie e anche come quadro prodromico nelle vasculiti (M. di Buerger, Poliarterite nodosa), a volte precedendole anche di anni. Forme cliniche secondarie Traumi (di qualsiasi natura, tali da indurre danno parietale; iatrogenici, da farmaci iniettati ev, da uso di cateteri venosi, con possibile sepsi del trombo) Neoplasie (anche da semplice compressione ab estrinseco oltre che da invasione parietale) Deficit emocoagulativi (deficit ATIII, aumento Fattore VIII, policitemia e trombocitemia) Infezioni Immobilità Gravidanza Farmaci (estroprogestinici) Forme particolari di tromboflebiti Periflebiti Propagazione del processo flogistico ai tessuti adiacenti; in tali casi, l’interessamento del sistema linfatico può risultare anche severo, con edema distrettuale importante, piodermite e linfoadenopatia consensuale. Nei casi di coinvolgimento dell’arteria vicina e del connettivo periavventiziale, si parla di “flebite a binocolo”. 138 7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale Flebite settica Rappresenta la complicanza più drammatica delle tromboflebiti superficiali da catetere ed è conseguente a fenomeni di contaminazione; si osserva con maggior frequenza quando si utilizzano dispositivi di materiale plastico da perfusione long-term. Tra i soggetti a maggior rischio vanno ricordati anche gli utilizzatori di sostanze da abuso per via iniettiva. Il quadro clinico è caratterizzato dallo stato febbrile di tipo settico e la complicanza più grave è l’embolia polmonare settica da migrazione di coaguli infetti. Flebite a “bottone di camicia” Particolarmente nel post partum, si può avere l’interessamento delle vv. perforanti di gamba nel comparto delle vv. gemellari, configurando un peculiare aspetto clinico detto Flebite “a bottone di camicia”. La peculiarità è insita nel rischio abbastanza elevato di TVP ed EP. Flebite subacuta reattiva di Mondor Trombosi Venosa con o senza periflebite interessante nella gran parte dei casi (50-90%) la vena toraco-epigastrica o la mammaria esterna o l’epigastrica superiore, con possibili fenomeni di irradiazione craniale (ascella e braccio) o caudale. La genesi è riconducibile a varie cause: traumi, lacerazioni muscolari, chirurgia (mastectomie), sindromi paraneoplastiche, infezioni, malattie sistemiche (artrite, Lupus, etc.). Il suo riscontro è abbastanza raro. Frequenti le recidive. Varicoflebite e varicotromboflebite Si verifica quando il processo flebitico colpisce un territorio venoso varicoso. È un evento abbastanza frequente causato molto spesso dai soli fenomeni di stasi venosa. Può complicarsi come “varicotromboflebite” nel qual caso i gozzi varicosi appaiono turgidi, dolenti e non svuotabili in posizione antideclive dell’arto. VaricoTromboflebite ascendente Un particolare caso di TFS è rappresentato dalla Varico-Tromboflebite ascendente della vena Safena. La pericolosità deriva dal coinvolgimento, nel processo trombotico, della giunzione safeno-femorale (o safeno-poplitea): in tali casi la presenza di un “trombo flottante” aggettante il lume della vena profonda, costituisce un emergenza chirurgica (interruzione della GSF o della 139 7 - Flebotrombosi 7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale GSP). Flebite “a fil di ferro” o di Favre Caratterizzata dalla presenza di un piccolo cordone venoso, liscio, teso e rigido, con piccole nodosità senza aderenze con i tessuti circostanti (da cui la denominazione alternativa di TFS “a fil di ferro”). Si manifesta nella malattia Tubercolare. DIAGNOSI CLINICA: Il quadro clinico è rappresentato essenzialmente dai segni cardinali dell’infiammazione acuta. Rubor Color Dolor Tumor In tutte le forme di flebotrombosi superficiale si apprezza un cordone rilevato e dolente sovrastato da cute iperemica, a volte discromica (Fig. 1). I cordoni possono confluire a formare veri e propri “piastroni”. Edema dei tessuti limitrofi ma non dell’intero arto. Rara l’iperpiressia (a meno di fatti settici) e la flogosi linfonodale. TVP ed EP: difficile il coinvolgimento del circolo profondo (tramite le perforanti), ma alterazioni serotine della temperatura, comparsa di edema dell’arto ed una sua impotenza funzionale dovrebbero indurre a sospettare l’evento TVP. 140 Fig. 1 - Caso clinico di flebotrombosi di N3 in territorio safenico interno DIAGNOSTICA STRUMENTALE: Essenzialmente basata sula valutazione clinica, certamente si giova non poco della valutazione strumentale basata sulla metodica EchocolorDoppler, che permette la valutazione quantitativa e qualitativa della trombosi, della sua estensione ed eventuale coinvolgimento del venoso profonda e, perché no, dell’arterioso. 141 7 - Flebotrombosi Foto 1 - Trombo in XV giornata con interessamento linfatico periflebitico 7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale Foto 3 - Trombo in XV giornata parzialmente adeso alle pareti con iniziali fenomeni di ricanalizzazione Foto 4 - Trombo in XXVI giornata con cattaeri di irregolarità parzialmente adeso alle pareti Foto 2 - Trombo in XV giornata che occupa l’intero lume vasale con nucleo centrale organizzato 142 143 7 - Flebotrombosi DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: In relazione al tipo di evento, la valutazione laboratoristica (emocromo con formula e piastrine, assetto coagulativo e D-dimero) potranno certamente essere di ausilio. Valutazioni più approfondite (Proteina C ed S, AT-III, Fattori coagulazione, Markers tumorali) saranno riservati a casi particolari. TERAPIA: • • • • • • Anti-infiammatori (generalmente FANS) Bendaggio elasto-compressivo o tutore elastico Eparina a basso peso molecolare (EBPM) Eparanolfato e/o steroidei per uso topico. Eventuale Antibiotico-Terapia Chirurgia (Varicotromboflebite ascendente safenica) BIBLIOGRAFIA: 1. Mancini S. Trattato di flebologie e linfologia. Ed. Utet, Torino, 2001. 2. Cavallaro A. La Tromboflebite. Aggiornamento medico, 1997: 16, 9. 3. Mannucci PM. Trombofilie congenite ed acquisite, Dipartimento di Medicina interna, Università degli Studi di Milano e Centro Emofilia e Trombosi A. Bianchi Bonomi, IRCCS Ospedale Maggiore di Milano. 4. Antignani PL, Poli L, Amato B, Riba U. Il Duplexscanner e il Color Doppler nella Patologia Vascolare, Metodologia e Diagnostica. II Edizione. Centro Scientifico Editore, Torino,1998. 5. Rabbia C, De Lucchi R, Cirillo R. Eco-Color-Doppler Vascolare. II Edizione. Minerva Medica, Torino, 1997. 144 7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica 7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica Greco R., Farina B. L., Prisco V. ABSTRACT: Deep vein thrombosis is the obstruction of a deep vein, which may be complicated by pulmonary embolism and, belatedly, with the drip-postthrombotic syndrome. The Post-flebothrombotic Syndrome (PFTS), which clinically may present with pain, feeling of heaviness in the limb affected, edema, cramps, itching or tingling, which may result in skin ulcers, can be highly debilitating. It is necessary to prevent such event. The ideal prevention of PFTS is to avoid the occurrence of deep venous thrombosis (DVT), and this can be done through a correct antithrombotic prophylaxis according the most recent Guide-Lines in patients at risk, and establishing a correct compression and an adequate anticoagulant therapy in DVT. EPIDEMIOLOGIA DELLA TVP: È difficile fornire stime precise sull’incidenza della trombosi venosa profonda (TVP) nella popolazione, poiché essa è spesso misconosciuta, per la scarsa applicazione di criteri diagnostici attendibili. Secondo uno studio svedese, il 2-3% della popolazione va incontro, nel corso della vita, ad un episodio di TVP (oltre 700.000 casi/anno in Europa). La TVP può insorgere a ciel sereno ma, più spesso, colpisce in situazioni cosiddette a rischio: • Età • Obesità grave • Vene varicose • Disidratazione • Immobilizzazione 145 7 - Flebotrombosi • • • • • • • • • • • • • • Infezioni gravi Gravidanza e post-parto Contraccettivi ormonali Terapia sostitutiva ormonale Malattia infiammatoria intestinale Sindrome nefrosica Malattie mieloproliferative Insufficienza respiratoria o cardiaca cronica Storia di TVP o EP Neoplasia Paralisi arti inferiori LAC, anticorpi anticardiolipina Condizioni trombofiliche congenite Trauma o chirurgia attuali o negli ultimi 3 mesi 7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica Fattori che concorrono al suo sviluppo sono l’ostruzione venosa, il reflusso valvolare, la disfunzione dei muscoli del polpaccio secondaria a ridotta perfusione, l’alterazione del microcircolo e del sistema linfatico. Nella fase acuta di una TVP il materiale trombotico fresco determina l’ostruzione della vena interessata. Nei primi mesi che seguono l’evento acuto si verifica un rimodellamento del trombo, che porta alla ricanalizzazione o comunque alla organizzazione del trombo stesso. Questo processo può esitare in un danno valvolare irreversibile, la cui conseguenza finale è la comparsa di ipertensione venosa che a sua volta provoca stasi e incontinenza delle vene perforanti distali, causando quindi edema perimalleolare, lipodermatosclerosi, atrofia cutanea, ulcere (Fig. 1 e 2). DIAGNOSI E COMPLICANZE DELLA TVP: La diagnosi di TVP si effettua grazie ad esami strumentali non invasivi (ecocolordoppler) e ad esami di laboratorio (D-dimeri), questi ultimi utili soprattutto per escludere un evento trombotico. La diagnosi strumentale deve essere preceduta da un sospetto clinico e quindi da una raccolta anamnestica accurata e dalla visita. Il sospetto clinico di TVP (che può essere stratificato secondo uno score specifico) obbliga ad iniziare immediatamente la terapia anticoagulante, se sospetto di TVP medio-alto, in attesa della conferma con ecocolordoppler, che deve essere eseguito naturalmente in tempi brevissimi se non è possibile farlo immediatamente, così da ridurre l’incidenza delle complicanze immediate (embolia polmonare) e tardive (SPFT). FISIOPATOLOGIA SINDROME POST-FLEBOTROMBOTICA: Fig. 1 - Ulcera perimalleolare da SPFT La fisiopatologia della SPFT (Sindrome Post-Flebotrombotica) non è ancora completamente nota. 146 147 7 - Flebotrombosi 7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. 4. Prandoni P. Il tromboembolismo venoso. Attualità e prospettive. Piccin, Padova, 2008, pp. 155-68. Botta G. La malattia post-trombotica.Centro di Flebolinfologia.Università degli Studi di Siena. Kahan SR, Hirsch A, Shrier I. Effect of postthrombotic sindrome on health-related qualità of life after deep venous thrombois. Arch Intern Med, 2002; 162: 1144-8. Kurz X, Hahn SR, Abenhaim L, et al. Chronic venous disorders of leg: epidemiology, outcomes diagnosis and management. Int Angiol, 1999; 18: 83-102. Fig. 2 - Ulcera di gamba sin. in SPFT PREVENZIONE DELLA SPFT: Dato l’alto grado di invalidità connesso alla SPFT e l’alto costo sociale, sarebbe opportuno prevenire tale manifestazione. La prevenzione ideale della SPFT è evitare l’insorgenza della TVP, e questo può essere effettuato attraverso la profilassi antitrombotica, almeno nei soggetti a rischio. Purtroppo, in oltre il 50% dei casi, gli eventi tromboembolici venosi compaiono improvvisamente, in soggetti senza alcun precedente fattore di rischio identificabile. Pertanto la profilassi antitrombotica, per quanto raccomandabile, non costituisce da sola una misura sufficiente a prevenire la SPFT. Bisogna quindi cercare di prevenire la SPFT dopo una TVP, innanzitutto attraverso una corretta e tempestiva terapia anticoagulante della TVP stessa, e attraverso l’educazione del paziente e la sua collaborazione nella osservanza di alcune norme comportamentali, della terapia medica ed elastocompressiva. 148 149 7 - Flebotrombosi 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare Di Filippo A., Riccio I., Sellitti M.E., Cardamone B., Sellitti A., Quarto G. ABSTRACT: Thrombohembolic disease includes two different clinical aspects: deep-vein thrombosis and pulmonary trombohembolism. DVT results from blood clot formation, usually, within large veins in proximal leg circulation (90% of cases); PTE happens when these clots broke off and travel to the pulmonary arterial circulation, creating a not perfused pulmonary area, which cannot perform the normal gas exchange. There is not PTE without DVT. For this reason, the prevention of a potentially mortal pathology, such as PTE, can be done with the adoption of a systematic DVT prophylaxis, with anticoagulants (i.e. LMWH). DVT, in itself, does not represent an immediate life threatening disease. In order to perform a DVT prophylaxis, according to more recent guidelines, categories of potentially at risk patients have to be detected. These categories include: chronic heart failure, acute respiratory insufficiency, lower limb immobility, orthopedical patients, general surgery and onchological patients. INTRODUZIONE: Le malattie delle vene colpiscono nel mondo occidentale più del 50% della popolazione femminile e circa il 30 % di quella maschile. Le manifestazioni cliniche vanno dalla insufficienza venosa cronica cosiddetta funzionale che presenta sintomi, ma non segni clinici di malattia, ai quadri clinici più gravi di ulcera venosa e trombosi venosa profonda, quest’ultima potenzialmente fatale quando si complica con il quadro dell’embolia polmonare. emboliche sono sostenute nella maggior parte dei casi da TVP prossimali (vene al di sopra del ginocchio), in percentuali molto basse l’embolo proviene dal cuore destra o dai distretti venosi della cava superiore. Data la sua alta incidenza la TVP/TEP ha importanza non solo dal punto di vista socio-economico, ma anche per le implicazioni medico legali. Si calcola che il 50% dei pazienti con TVP sviluppa una TEP e che il 70-80% dei pazienti con TEP abbia anche una TVP, nel restante 30% dei casi di TEP non viene rilevato alcun trombo livello delle vene profonde, perché il preesistente trombo che ha dato luogo all’embolia è stato completamente mobilizzato dalle vene profonde degli arti inferiori. La malattia tromboembolica venosa comprende due aspetti clinici differenti: la trombosi venosa profonda (TVP) e la tromboembolia polmonare (TEP), espressioni della stessa entità anatomopatologica. La TEP non è una malattia di per sé, ma una complicanza assai temibile della TVP. La TEP non si verifica se non vi è TVP! La incidenza di TVP/TEP e decessi per TEP possono ridursi significativamente se nei gruppi di pazienti a rischio si adotta una strategia di tromboprofilassi opportuna ed adeguata, anche se attualmente sottoutilizzata (studio GEMINI, studio ENDORSE, registro IMPROVE, studio MEDINOX), soprattutto nei reparti di medicina. Tutti i pazienti devono essere sottoposti alla stratificazione del rischio di TEV (scheda per la valutazione del rischio) (Tab. I). La TVP consiste in una occlusione completa o parziale del sistema venoso profondo degli arti più frequentemente quelli inferiori, le complicanze 150 151 7 - Flebotrombosi 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare Livelli di Rischio Basso Rischio Rischio intermedio o moderato Alto rischio Chirurgia minore in pazienti mobili Pazienti intemistici allettati Maggior parte dei pazienti sottoposti a procedure di chirurgia generale, urologica, ginecologica. Se rischio moderato associato ad elevato rischio emorragico Protesi elettiva d’anca o di ginocchio, frattura d’anca. Trauma maggiore, trauma spinale. Se rischio moderato associato ad elevato rischio emorragico Senza Profilassi* Profilassi raccomandata < 10% Nessuna profilassi specifica, ma deambulazione precoce e “aggressiva” Eparina a basso peso molecolare (EBPM) alle dosi raccomandate Eparina Calcica b.i.d 15 % - 40 % oppure t.i.d. Fondaparinux Profilassi meccanica** Eparina a basso peso molecolare (EBPM) alle dosi raccomandate 40 % - 80 % Fondaparinux Profilassi meccanica** Tabella I: Valutazione del rischio di TEV e profilassi raccomandata. *Incidenza basata sullo screening diagnostico con strumenti obiettivi (flebografia) di pazienti ai quali non è stata somministrata profilassi. **Compressione pneumatica intermittente (CPI) e/o calze a compressione graduata (antitrombo). Effettuare il passaggio a profilassi farmacologica alla diminuzione del rischio emorragico. 152 LINEE GUIDA NICE TEV 2010. L’efficacia delle eparine a basso peso molecolare EBPM e del fondaparinux nella prevenzione del TEV è stata dimostrata in pazienti “internistici” ospedalizzati affetti da scompenso cardiaco classe NHYA III o IV, insufficienza respiratoria acuta, BPCO, infezioni acute, immobilità arti inferiori, pazienti oncologici. La decisione di iniziare una profilassi farmacologica dovrebbe comunque derivare da un bilancio fra il rischio di TEV e il rischio emorragico del singolo paziente. EMBOLIA POLMONARE (TEP): DEFINIZIONE: Ostruzione acuta,ricorrente o cronica di uno o più vasi arteriosi polmonari,determinata dalla presenza di coaguli ematici provenienti da trombosi a sede periferica nel sistema venoso profondo. EPIDEMIOLOGIA: In Italia 65.000 casi l’anno. Un nuovo caso ogni 1000 abitanti. Nonostante il miglioramento della diagnosi e della terapia, la mortalità è rimasta alta e costante negli ultimi 40 anni Mortalità nei casi non trattati: 30%, trattata 2-8%. Nonostante i progressi della profilassi del tromboembolismo venoso la TEP ha ancora un notevole impatto ed è al terzo posto tra le cause di morte per malattie cardiache. L’embolia polmonare è una patologia frequente nella pratica clinica,essa infatti rappresenta la terza emergenza cardiovascolare dopo sindromi coronariche acute e stroke, ed è gravata da alta mortalità quando si associa ad instabilità emodinamica.. 153 7 - Flebotrombosi PATOGENESI DELLA TROMBOSI: Triade di Virchow: Ipercoagulabilità, stasi, danno endoteliale. Tutte le condizioni che comportano il rischio di una trombosi venosa profonda, predispongono allo sviluppo di una TEP. Fattori di rischio: 1. Stati di ipercoagulabilità congeniti od acquisiti 2. Obesità 3. Tumore 4. Gravidanza 5. Interventi chirurgici 6. Traumi 7. Fratture 8. Immobizzazione prolungata 9. Infarto del miocardio 10. Ictus 11. Terapia estrogenica 12. Malattia varicosa arti inferiori CLASSIFICAZIONE: Clinico-anatomica (BTS, ACCP) 1. TEP massiva: almeno 2 rami lobari (oltre il 50% del letto vascolare polmonare): dispnea, tachipnea, sincope, shock o ipotensione (minore di 90 mmHg), arresto cardiaco. La diagnosi deve essere rapida; importanza dell’eco bedside. 2. TEP sub massiva (quella senza ipotensione): almeno un ramo lobare (30-40% del letto vascolare polmonare): dolore toracico, tosse, emottisi, polipnea, ansia, parametri emodinamici stabili. 3. TEP non massiva, o TEP asintomatica, o microembolia cronica recidivante: non sono evidenti sintomi dell’avvenuta 154 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare embolizzazione, senza disfunzione ventricolare destra. Generalmente determinata da una ostruzione del letto polmonare arterioso inferiore al 30%, può dare origine ad un quadro di ipertensione polmonare cronica. Classificazione ESC 2008: 1. Ad alto rischio: pazienti in shock e pazienti con grave ipotensione sistemica (p.a. sistolica inferiore a 90 mmHg o riduzione di almeno 40 mmHg rispetto al valore basale per almeno 15 minuti) 2. A non alto rischio: tutti gli altri, suddivisi in: a. Pazienti a rischio intermedio: in base alla presenza di mionecrosi (troponina positiva) e/o di segni di disfunzione ventricolare destra (con metodiche di immagine o dalla positività dei peptidi natriuretici). b. Pazienti a basso rischio: assenza di disfunzione ventricolare destra e/ mionecrosi. EZIOLOGIA (ORIGINE DEL TROMBO): Trombosi venosa profonda prossimale (90%), vene al di sopra del ginocchio, poplitee, femorali, iliache,o da un trombo distale non trattato che si è esteso prossimalmente. Le TVP localizzate sotto il ginocchio (è interessato prevalentemente il sistema venoso del polpaccio) di rado embolizzano, tuttavia nel giro di qualche giorno, possono estendersi cranialmente, per poi eventualmente embolizzare. Sito iniziale della formazione del trombo è la tasca valvolare, dove il flusso ematico è stagnante con riduzione dell’apporto di O2 all’endotelio delle cuspidi, e si formano vortici a livello delle cuspidi valvolari. La stasi prolunga il tempo di contatto tra sangue e singoli elementi venosi ed i vortici lungo le cuspidi valvolari causano la deposizione di eritrociti, granulociti e piastrine. Il trombo si accresce nel lume venoso sia in senso longitudinale nel 155 7 - Flebotrombosi senso della corrente, sia per apposizione circonferenziale a causa dell’autogenerazione trombinica. TVP ed TEP sono entità non stabili, bensì dinamiche e che “ ciò che è vero in questo momento può non esserlo un’ora dopo o il giorno seguente”. Particolare attenzione alle trombosi venose superficiali. Che arrivano alla crosse safenofemorale o safenopoplitea. Embolie non trombotiche: grassose, settiche, gassose, da liquido amniotico, tumorali. La prima stima che si fa in p.s. è la ricerca di edema di un arto inferiore con possibile positività dei segni di : 1. Bauer: dolore alla palpazione profonda del polpaccio 2. Homans: dolore alla palpazione dopo la flessione dorsale del piede 3. Laurel: dolore al polpaccio dopo un colpo di tosse o uno starnuto In caso di diagnosi di TVP del sistema venoso profondo prossimale, il paziente deve essere ospedalizzato e si deve iniziare la terapia che è la stessa della TEP. Se non si reperta alcuna trombosi venosa, bisogna comunque continuare l’iter diagnostico della TEP. La profilassi della TVP è il mezzo più efficace per ridurre l’incidenza di TEP! DIAGNOSI DI TEP. Il processo diagnostico della TEP nasce prima di tutto da un elevato grado di sospetto clinico, che è integrazione di: 156 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare 1. 2. 3. 4. Anamnesi Fattori predisponenti Clinica Alta probabilità nei tests predittivi: (WELLS, GINEVRA, WIKI, PISA) 5. Esami strumentali di primo livello 6. Esperienza e competenza del clinico Ruolo fondamentale del clinico nella pronta formulazione del sospetto di TEP Alterazioni ECG: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Segni di sovraccarico destra acuto (S1 Q3 T3) T negativa (V1-V4) Fibrillazione atriale Tachicardia sinusale Bb destra di nuova insorgenza P polmonari in D2 D3 Ecg normale non esclude diagnosi di embolia polmonare Utile per escludere altre cause di dolore toracico Alterazioni rx torace Pensare a TEP in presenza di dispnea ed in assenza di rilievi rx particolari! Alterazioni frequenti ma aspecifiche. Segni indicativi: 1. Ingrandimento ventricolo destro 2. Segno di Palla: ingrandimento dell’a. polmonare inferiore destra a monte dell’embolo 3. Segno di Westermark: oligoemia regionale a valle della presunta sede di ostruzione 157 7 - Flebotrombosi 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare 4. Segno o gobba di Hampton: opacità basale di forma triangolare indicativo di infarto completo 5. Versamento pleurico che può mascherare l’infarto 6. Innalzamento del diaframma 7. Il ruolo principale della rx è quello di escludere altre patologie e di dare utili orientamenti per il successivo work up Alterazioni emogasanalisi: 1. Ipossiemia (PAO2 minore di 80 mmHg, ipocapnia (PACO2 minore di 40 mmHg) e tendenza all’alcalosi respiratoria per l’iperventilazione del paziente. 2. La gravità dell’ipossia correla con la gravità e l’estensione dell’ embolia polmonare 3. Nel 26% dei pazienti emogasanalisi normale Un’emogas analisi alterata può aumentare la probabilità di TEP, ma un’emogas analisi normale non può escludere la diagnosi. Ecocardiogramma TTE: 1. Nel paziente critico valore diagnostico 2. Nel paziente non critico valore prognostico (infatti: con disfunzione ventricolare destra TEP sub massiva; senza disfunzione ventricolare destra TEP non massiva) • Utile nella fase diagnostica nei soggetti emodinamicamente instabili, per escludere diagnosi alternative (IMA, Tamponamento cardiaco, Dissezione aortica). • È la prima indagine strumentale nel paziente critico • Ecocardiografia: disponibile in tutti gli ospedali e di facile esecuzione al letto del paziente Segni diretti 1. Evidenza di tromboembolo nelle sezioni destra o nei rami delle aa. polmonari. Segni indiretti (di cuore polmonare acuto): D dimero: utile per escludere, non per confermare TEP. 1. Prodotto della lisi plasminica della fibrina 2. Misurato con metodo ELISA 3. Valore soglia 500 ng/ml, se maggiore di 500 ng/ml associato a malattia tromboembolica 4. Alta sensibilità e bassa specificità 5. Elevato valore predittivo negativo (95%), basso potere predittivo positivo (40%) 6. Il test non va considerato isolatamente, ma va integrato con informazioni di ordine clinico e strumentale. 7. Se normale permette di escludere un processo trombotico in atto 158 1. Dilatazione e ipocinesi del ventricolo destro 2. Segno di Mac Connell: ipercinesia del segmento apicale con ipocinesia della parete libera (segno di grande specificità) 3. Fluttering o bulging del setto interventricolare spostato a sinistra con incremento del rapporto ventricolo destro/ ventricolo sinistro 4. Ventricolo sinistro a “d” o a “banana” in parasternale asse corto. 5. Ipertensione arteriosa polmonare 6. Insufficienza tricuspidale con PAP > 35 mmHg 7. Mancato collasso inspiratorio della vena cava inferiore che risulta dilatata ed ipomobile 159 7 - Flebotrombosi 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare 8. Importanza dell’ecocardiografia nella stratificazione prognostica: a. TEP a basso rischio: v. destro normale, mortalità inferiore al 4%. b. TEP submassiva: disfunzione ventricolare destra, mortalità 5-10%. c. TEP massiva: disfunzione ventricolare destra ed ipotensione o shock: mortalità 30%. 9. I pazienti con pressioni polmonari maggiori di 50 mmHg all’esordio hanno una maggiore frequenza di ipertensione polmonare cronica a distanza Ecocolor doppler venoso arti inferiori: Ultrasonografia venosa con compressione (CUS) seriata: tale metodica consente di esplorare tutto l’asse venoso profondo e di verificarne la pervietà e la comprimibilità mediante leggere pressioni della sonda in trasversale. 1. Unico criterio diagnostico validato dalla letteratura: assenza di comprimibilità CUS assente”. 2. Se il tratto venoso risulta comprimibile e le pareti venose collabiscono completamente, esso è sicuramente libero dalla presenza endoluminale di materiale trombotico. 3. L’incompressibilità della vena, la sua dilatazione, l’evidenza di materiale ecogeno nella vena, insieme all’assenza di flusso all’interno al color power doppler, costituiscono i semplici fondamenti dell’indagine ultrasonica. LA DIAGNOSI DELLA TVP: • Non è accurata in quanto né sensibile, né specifica. La mancanza di un elemento patognomonico richiede che la diagnosi in via definitiva 160 venga affidata al riscontro di un esame strumentale con ultrasuoni. • L’Ecocolordoppler venoso è fortemente raccomandato anche nel caso di trombosi venose superficiali non solo per verificare la precisa estensione prossimale della TVS, sempre sottostimata clinicamente, ma soprattutto per escludere la presenza della complicanza più temuta della TVS, e cioè l’estensione alle cross safenofemorali o safenopoplitee o alle vene perforanti e da lì alle vene profonde con possibile presenza di TVP e/o TEP. Diagnosticare TVP in pazienti con sospetta TEP è sufficiente per impostare terapia! DIAGNOSI CLINICA DELLA TEP: Segni e sintomi poco sensibili e poco specifici Sono più evidenti nella forma massiva e submassiva 1. Asintomatica nel 40-50% 2. Dispnea improvvisa 73% (a volte è l’unico elemento sul quale impostare l’iter diagnostico) 3. Tachipnea 70% 4. Tachicardia 60% 5. Sincope 20%, lipotimia associata a dispnea ed oppressione toracica 6. Ipotensione 7. Dolore toracico 66% 8. Tosse 37% 9. Emottisi 25% 10. TVP 33% 11. Shock 5% 12. Ansia, irrequietezza, agitazione, segni dell’ipossia. La variabilità delle manifestazioni cliniche è correlata con l’entità delle alterazioni emodinamiche, e quindi dal numero e dal volume degli emboli, o dall’estensione del parenchima polmonare interessato. 161 7 - Flebotrombosi L’embolia polmonare è una patologia molto difficile da diagnosticare, rappresentando la diagnosi più comunemente mancata che ha come conseguenza la morte, è importante, quindi, sospettarla ogni volta che è presente una dispnea inspiegabile ed improvvisa. Nei pazienti affetti da malattie cardiache e respiratorie il rischio di misconoscere questa patologia è particolarmente alto. 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare rischiare decisioni terapeutiche affrettate e potenzialmente dannose. La sequenza diagnostica deve tenere conto delle condizioni cliniche del paziente. Ecocardiografia: Segni diretti ed indiretti. Se il paziente con BPCO non migliora nonostante la terapia, pensare alla TEP. Embolia polmonare: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Il camaleonte Killer silenzioso dell’anziano (Webster) La grande simulatrice (Braunwald) Il grande mimo Sindrome proteiforme La più subdola fra le emergenze cardiologiche La sola valutazione clinica non permette di fare una diagnosi di certezza. Oltre ad avere una varia presentazione clinica è trasversale la sua presenza nei vari reparti: ortopedia, chirurgia, rianimazione, medicina, oncologia, cardiologia, ostetricia, lungodegenza, MMG. La difficoltà diagnostica è anche maggiore se il paziente è affetto da patologie croniche cardiache o respiratorie. Il 90% delle morti avvengono in pazienti non trattati perché non è stata effettuata la diagnosi! CONFERMA DIAGNOSTICA DIAGNOSTICA STRUMENTALE Angio TC spirale: È considerato l’esame principale per la diagnosi di TEP. È attualmente la metodica più utilizzata nel sospetto di TEP. La TC multislice consente l’analisi accurata del 90% delle aa. polmonari subsegmentali e dimostra emboli di 2 mm in aa. polmonari di settimo ordine Secondo alcuni studi la sensibilità della TC multislice sarebbe superiore a quella dell’angiografia con l’avvento delle TC 320 e 640 slice. Angio RM: Valida alternativa alla TC nei pazienti con ipersensibilità ai mdc; è in continua evoluzione; esame del futuro? Scintigrafia polmonare: Alto tasso di risultati a probabilità intermedia, limitata ai pazienti con controindicazioni alla TC Talora di difficile esecuzione la ventilatoria per le condizioni critiche del paziente. Non presente in ospedale. Angiografia polmonare: Gold standard, ma invasivo, costoso e gravata da alte complicanze; sempre meno utilizzata dopo l’avvento della TC multislice. Che deve susseguirsi rapidamente secondo un ordine prioritario per non 162 163 7 - Flebotrombosi DIAGNOSI DIFFERENZIALE: È VERAMENTE UNA TEP? Comprende tutte le condizioni patologiche che determinano dispnea o dolore pleurico o dolore toracico 1. Edema polmonare acuto 2. Infarto miocardico acuto 3. BPCO riacutizzata 4. Pneumotorace spontaneo 5. Polmonite e broncopolmonite 6. Asma 7. Atelettasia polmonare 8. Dissezione aortica 9. Frattura costale 10. Dolore muscolo scheletrico L’anamnesi, gli score clinici, l’esame obiettivo, l’ECG, l’rx torace, il dosaggio degli enzimi di mionecrosi, l’Ecocardiografia, l’Ecocolordoppler venoso arti inferiori permettono di effettuare sempre una corretta diagnosi differenziale. Nel sospetto di TEP si deve cercare di ottenere una diagnosi più “certa” possibile per evitare sia di non trattare i pazienti con TEP (esponendoli a rischio di morte), sia di trattare a lungo con terapia anticoagulante (potenzialmente pericolosa) pazienti nei quali non vi è TEP. VALUTAZIONE PROGNOSTICA: 1. Criteri clinici: shock, ipotensione, score di Aujeski 2. Criteri bioumorali: troponina (i livelli di troponina correlano con la dilatazione del v. destra e sono associati ad embolia polmonare complicata ed a maggiore mortalità) e BNP 3. Criteri strumentali: ECG, Ecocardio, angioTC • TEP massiva e submassiva: mortalità 10% alla prima ora. Necessita di formulare precocemente la diagnosi ed avviare la terapia adeguata 164 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare • Micro TEP: buona sopravvivenza(ostruzione limitata, spontanea lisi dell’embolo) TERAPIA: 1. Farmacologica (trombolisi, Eparina non frazionata ENF, Eparina a Basso Peso Molecolare EBPM, dicumarolici TAO) 2. Non farmacologica (filtri cavali, embolectomia) La gravità del quadro clinico è determinante nella scelta dell’approccio terapeutico TEP ad alto rischio o massiva o critica con instabilità emodinamica: La terapia trombolitica quando non controindicata rappresenta il gold standard dei quadri di TEP massiva. Terapia di supporto: 1. ENF endovena iniziale 2. Trombolisi (se non controindicazioni): rTPA al dosaggio di 100 mg in 2 ore 3. Alla sospensione del trattamento trombolitico, dopo valutazione dei parametri emocoagulativi, segue l’eparina sodica e.v. al dosaggio di 1.000 u.i l’ora, poi embricata con warfarin Embolectomia: (se trombolisi controindicata, o non responders alla terapia) 1. Chirurgica 2. Tramite cateterismo Filtri venosi cavali TEP a basso rischio: 1. Non benefici clinici della trombolisi 2. EBPM o fondaparinux 165 7 - Flebotrombosi 7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare 3. Segue TAO (dicumarolici) • Se probabilità bassa/moderata e d- dimero inferiore a 500 con CUS presente all’ecocolordoppler venoso arti inferiori : no TEP Non trattare • Se probabilità alta e D/dimero superiore a 500, con: 1. Ecocolordoppler arti inferiori positivo per TVP trattare 2. Ecocardiografia di moderata/bassa suggestività con a.segni diretti trattare b.segni indiretti trattare e seguire con TC multislice per conferma In attesa di ulteriori studi, non è chiaro, non essendovi linee guida valide, se la terapia trombolitica sia di alcun beneficio nei pazienti emodinamicamente stabili con evidenza ecocardiografica di disfunzione ventricolare destra. Per il trattamento iniziale di pazienti emodinamicamente stabili colpiti da embolia polmonare, la somministrazione sottocutanea di fondaparinux una volta al giorno, senza monitoraggio di laboratorio, è altrettanto efficace e sicura della somministrazione endovenosa di dosi aggiustate di eparina non frazionata. TC torace m.s. positiva per TEP La terapia anticoagulante orale (TAO) con farmaci inibitori della vitamina k (dicumarolici) è indicata nella terapia della TEP in fase acuta, questo trattamento può essere iniziato contemporaneamente alla terapia eparinica, embricando le due terapie per almeno 5 giorni e sospendendo l’eparina quando il valore dell’INR è in range (2-3, target 2,5) per almeno 2 giorni consecutivi. Non ottenere la anticoagulazione terapeutica entro le prime 24 ore comporta un alto tasso di recidive. trattare TC torace neg.: • Eseguire Scintigrafia polmonare, RM o angiografia polmonare: se positivi per TEP trattare CONSIDERAZIONI PERSONALI: Particolare attenzione va posta alla profilassi delle recidive. Nei pazienti colpiti da TEP si riscontra un’associazione lineare tra precocità di somministrazione della terapia anticoagulante e ridotta mortalità. A coloro che ritengono necessaria una diagnosi certa di TEP prima di iniziare il trattamento, troppo spesso potrebbe essere fornita l’unica prova certa: quella autoptica. ALGORITMO DIAGNOSTICO: ESC 2008 Sospetto clinico di TEP: Dopo valutazione della probabilità clinica Pre-test (Wells, Ginevra, Pisa, Wiki) 166 • Non bisogna mai arrestare un iter diagnostico per l’assenza di sintomi e segni classicamente associati a TEP! • Nessuno, clinico o radiologo, può illudersi di capire tutto da solo, facendo a meno dell’apporto integrato delle altrui conoscenze ed esperienze! • L’uomo vive in mezzo a ciò che vede, ma vede solo ciò che pensa! • Il medico che non pensa alla TEP raramente può diagnosticarla! • La dignità del dubbio va sempre preferita al tormento di un errore! BIBLIOGRAFIA: 1. Attinà D, Valentino M, Galiè N, Modolon C, Buia F, De Luca F, Bacchi-Reggiani ML, Zompatori M. Application of a new pulmonary artery obstruction score in the prognostic evaluation of acute pulmonary embolism: comparison with clinical and 167 7 - Flebotrombosi 2. 3. 4. haemodynamic parameters. Radiol Med. Mar 2011; 116(2): 230-45. Epub 2010 Dec 3. English, Italian. Cecil, Andreoli, Carpenter, Griggs, Loscalzo. Cecil trattato di medicina interna VI ED. Verduci Editore, 2003. Antithrombotic and Thrombolytic Therapy: American College of Chest Physicians Evidence-Based Clinical Practice Guidelines (8th Edition). Fauci A, Braunwald E, Kasper D, Hauser S, Longo D, Jameson J, Loscalzo J. Harrison’s Manual of Medicine, 17th ed. McGraw Hill Medical 2009, U.S, 769-772. 8. Il linfedema 168 8 - Il linfedema 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica Spinelli G.M. ABSTRACT: Flavonoids, often called “bioflavonoids”, are colourful substances that occur widely in the Plant Kingdom. Reasonably good, though not indisputable, evidence suggests that these bioflavonoids may be helpful for Haemorrhoidal Deseases, VCI and Limphoedema. Most literature describes OPC from grape seeds, Anthocyanosides from Bilberry, Diosmin and Hesperidin from citrus, Ananas, Orthosifon, Melilotus, Ruscus Aculeatus, Ginkgo biloba etc. to be valid tools especially for treating chronic haemorrhoids, VCI, Limphoedema. Other flavonoids show better kinetics and better oral bioavailability especially if complexed with lipophilic carriers (Phytosome®). Also some Homeopathic preparations show efficacy in the same deseases. INTRODUZIONE: Il linfedema, come dice la parola stessa, è un edema di natura linfatica caratterizzato dall’accumulo di liquidi, e successivamente di sostanze, negli spazi intercellulari. Esso è generalmente legato ad uno squilibrio tra assorbimento e filtrazione, con conseguente stasi linfatica, e può essere dovuto a lesioni o a disfunzioni (spasmo) del Sistema linfatico, con diminuzione del drenaggio ovvero sovraccarico del Sistema stesso per troppa offerta di liquido. A volte l’edema si instaura per cause congenite (ipo-aplasia dei linfatici), per insufficienza della pompa muscolare del polpaccio (pazienti non o poco deambulanti), per lesioni e/o ostruzioni delle vie linfatiche (post-traumatiche, post-operatorie) o, ancora, per patologie cronico-infiammatorie, flebolinfedemi, flebiti e periflebiti da prolungato allettamento o immobilizzazione, ecc. Essendo i linfatici un’importante via di deflusso del liquido extracellulare dei tessuti, i meccanismi principalmente responsabili dell’edema possono 170 essere legati ad un incremento della pressione idrostatica sanguigna per un qualsivoglia ostacolo alla progressione del sangue nel sistema venoso, oppure ad un blocco linfatico dovuto ad una lesione traumatica o ad una compressione dei linfatici dall’esterno, ovvero ad un’alterazione della microcircolazione tissutale con aumento della permeabilità capillare. Ricordiamo che, comunque, la permeabilità capillare può variare anche in seguito all’azione di una stasi venosa o di sostanze istaminosimili e serotoninosimili, oltre che per fenomeni idrostatici locali. Nei pazienti affetti da questa patologia, è caratteristico l’aumento di volume dell’arto o degli arti interessati, che appaiono, inoltre, spesso deformati a partire dalla radice delle dita e, andando più su, fino al ginocchio o addirittura fino all’inguine. La consistenza del segmento o dell’arto in toto può apparire più o meno dura, con la pelle tesa e minutissime goccioline perlate che si possono osservare in controluce. Importanti, per la loro frequenza, sono i linfedemi dovuti a patologie di pertinenza ortopedica ed, in particolare: i linfedemi post-traumatici duri, dovuti a distorsioni tibiotarsiche e/o a contusioni, etc.; i linfedemi acuti traumatici, secondari a strappi muscolari, stiramenti e sfibramenti legamentari, lesioni tendinee acute, fratture ossee, post-operatori, etc.; i linfedemi da gesso o, comunque, da prolungata immobilizzazione, etc. Attenzione: è sempre un linfedema quello legato a difetti posturali o alterazioni delle pompe muscolari, mentre non lo è quello cardiaco, renale, anasarcatico ecc. TERAPIA: L’atteggiamento fondamentale da tenere in questo tipo di patologia è rappresentato soprattutto dalla prevenzione, in particolar modo in quei pazienti con una dimostrata familiarità positiva e tenendo ben presente che il linfedema primario è una condizione clinica ad esordio improvviso e, perciò, parlando appunto in termini di prevenzione, poco prevedibile da questo punto di vista. Il linfedema secondario, invece, è clinicamente prevedibile, così come lo possono essere, in fase conclamata, alcune delle sue complicanze. La prevenzione del linfedema, nella maggior parte dei casi, deve avere come scopo quello di evitare le complicanze, soprattutto quelle infettive, e di impedire il possibile aumento 171 8 - Il linfedema di volume dell’arto affetto. Nei casi non ancora complicati, elettivamente suscettibili di prevenzione, questi fini sono raggiungibili mediante una precoce condotta terapeutica rappresentata dalla kinesiterapia (linfodrenaggio e pressoterapia), dall’uso di presidi elastocompressivi (bendaggi a più strati, tutori elastici, calze elastiche), dalla correzione di difetti posturali (tutori, ortesi, plantari, ecc.) nonché dalla assunzione di medicamenti ad azione linfotropa. Infatti, visto che il decorso clinico del linfedema risulta gradualmente e pesantemente ingravescente, quanto più è precoce l’azione terapeutica, tanto più si può ottenere il rallentamento dell’evoluzione della patologia che, altrimenti, arreca notevoli disagi al paziente non solo dal punto di vista prettamente fisico e comportamentale, ma anche dal punto di vista lavorativo, essendo i linfedemi più avanzati spesso gravemente invalidanti e con un alto costo sociale ed economico. Il protocollo terapeutico fisico deve, naturalmente, essere adattato alla condizione clinica e deve comprendere accorgimenti comportamentali (regole di vita, ginnastica domiciliare, psicoterapia, autoterapia) in tutti i tipi di linfedema, in particolar modo se si tratta di un linfedema negli stadi iniziali (molle intermittente, molle remittente), scelte di kinesiterapisti esperti (linfodrenaggio manuale, pressoterapia), farmaci efficaci ed affidabili, eventualmente cure termali flebo-linfologiche (percorsi termali, bagni Kneipp ecc.) (Kauffmann 1996, Biassoni 1996, Pecking 1996, Campisi 1996). Essendo la caratteristica principale del linfedema, dal punto di vista chimico, rappresentata dall’elevata concentrazione di proteine del fluido stagnante, la rimozione di questa componente è fondamentale se si vogliono ottenere risultati duraturi nel tempo. Rimuovere esclusivamente la componente idrica, ad esempio mediante l’uso di farmaci diuretici, significa ottenere un risultato transitorio e a volte controproducente in quanto tale condotta terapeutica non farebbe altro che concentrare ulteriormente le proteine del fluido stagnante. La conseguenza di tutto ciò sarebbe la eventualità di un ulteriore incremento dei fenomeni fibrotici del linfedema e la certezza di una sua reiteratezza. La terapia, pertanto, al pari della prevenzione, deve essere instaurata precocemente per arrestare l’evoluzione dal semplice edema, reversibile, alla fibrosi, irreversibile. L’intervento terapeutico si avvale del bendaggio elastocompressivo con bende a corta elasticità per ridurre, a livello interstiziale, la quota di liquidi 172 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica e linfa stagnante che i meccanismi di drenaggio, saturati, non riescono più a smaltire, determinando, così, la condizione di stasi a livello dello spazio interstiziale. Accanto a tale presidio, è necessario affiancare interventi di tipo fisico rappresentati dal L.D.M. (Linfo Drenaggio Manuale), dalla Pressoterapia sequenziale, dai percorsi termali, nonché dalla necessità di far indossare calze elastiche di compressione adeguata. FITOTERAPIA NELLE PATOLOGIE VASALI: Le molecole presenti nelle droghe vegetali, utili nel trattamento delle patologie vasali, possono essere raggruppate in 4 grandi famiglie: 1. flavonoidi; 2. antocianosidi; 3. lattoni; 4. saponine. FLAVONOIDI: Sono composti polifenolici, distribuiti ubiquitariamente nelle piante e considerati gli antiossidanti del mondo vegetale; esplicano, inoltre, azione antiflogistica paragonabile, dal punto di vista biochimico, ai cortisonici, in quanto, inibendo l’attività del timo, riducono la chemiotassi leucocitaria. I più usati nelle patologie vascolari sono: Rutina (Flavone), estratta in passato da Ruta graveolens, (non più perché tossica), oggi da altre piante; Citroflavonoidi (Flavoni, diosmina); Quercetina (Flavone) e Kaempferolo, presenti nei semi di Ippocastano e nelle foglie di Ginkgo biloba; Esperidina (flavani); Polifenoli contenuti nei frutti (cinorrodonti) della Rosa canina ANTOCIANOSIDI: Strutturalmente simili ai flavonoidi, impartiscono la colorazione alla pianta. Comprendono: cianidina, delfidina, malvidina, presenti nel Vaccinium myrtillus, proantocianosidi e i loro oligomeri (OPC), presenti nella Vitis vinifera. LATTONI: Si tratta di: Derivati triterpenici (acido asiatico, madecassico, asiaticoside, madecassicoside), contenuti nella Centella asiatica; Ginkgolidi A,B,C (il più attivo è il B), contenuti nella Ginkgo biloba; derivati Sesquiterpenici, composti che costituiscono una classe chimica; 173 8 - Il linfedema il bilobadile A, contenuto nella Ginkgo biloba. SAPONINE: Responsabili di diversi effetti. Nelle patologie venose sono utilizzate: Escina, saponina triterpenica dei semi di Ippocastano (Aesculus); Ruscogenina e Neoruscogenina, contenute nel rizoma di Ruscus Aculeatus. MECCANISMO D’AZIONE: 1. diminuzione della permeabilità vasale; 2. riduzione della fragilità vasale; 3. azione antiossidante, antiradicalica; 4. incremento dell’ossigenazione locale; 5. blocco della sintesi dei mediatori dell’infiammazione; 6. inibizione di collagenasi ed elastasi; 7. regolazione del metabolismo endoteliale; 8. stimolazione sintesi del collagene; 9. stimolazione di sostanze ad azione antiaggregante. Non eliminano, però, l’insufficienza venosa e/o linfatica!!!! In particolare abbiamo: 1. Antocianosidi da Vaccinum Myrtillus. L’effetto capillaro-protettore di queste sostanze è noto da tempo, ma il loro impiego è entrato nella pratica clinica solo da quando si è potuto disporre di antocianosidi ad alto dosaggio con rapporti costanti tra le diverse antocianidine. Secondo quanto pubblicato in letteratura, l’efficacia terapeutica degli antocianosidi sulla permeabilità capillare si esplicherebbe attraverso un duplice meccanismo d’azione: il primo, di carattere fisico-chimico, basato sulla formazione di complessi liposolubili tra le antocianidine (agliconi degli antocianosidi) ed i fosfolipidi delle membrane endoteliali; il secondo, di tipo extra-parietale, legato all’attività sulla biosintesi dei glicosaminoglicani (in particolare acido jaluronico) della sostanza fondamentale del connettivo e, in definitiva, sul manicotto mucopolisaccaridico peri-capillare. 174 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica 2. Triterpeni (Asiaticosidi) da Centella asiatica: sono dotate di azione linfodrenante e, soprattutto, proprietà stimolanti la produzione di collagene: aumentano la sintesi e il rilascio di tropocollagene e stimolano il turn-over dei mucopolisaccaridi acidi nel tessuto connettivo. Le sostanze attive della pianta sono note con il termine di “frazione triterpenica”. Mediante un processo di purificazione estremamente complesso, è possibile ottenere, a partire dalla parte aerea della Centella Asiatica, una miscela di tale frazione così composta: acido madecassico (30%), acido asiatico (30%), asiaticoside (40%). 3. Leucocianidine da Vitis Vinifera: il cosiddetto “paradosso francese” è un fenomeno ben noto alla comunità scientifica di tutto il mondo. Secondo tale paradosso i francesi, pur avendo una dieta ricca di grassi, risulterebbero straordinariamente protetti verso le malattie cardio-vascolari. Gli studi epidemiologici svolti a tale riguardo hanno successivamente messo in luce come tale paradosso trovi la sua spiegazione nella chimica del vino rosso: questo, ben presente nella dieta dei francesi ed estremamente ricco di polifenoli ad elevatissimo potere anti-ossidante, sarebbe il responsabile di una mirata azione antiaterosclerotica. Secondo i più recenti studi, la presenza di elevati tassi ematici di lipoproteine a bassa densità (LDL), provocata per esempio da una dieta ricca di grassi saturi, sarebbe una condizione, necessaria, ma non sufficiente, a generare una lesione ateromatosa. Quest’ultima, invece, verrebbe a generarsi solo in seguito all’ossidazione delle LDL che, così modificate, ingolferebbero i monociti circolanti trasformandoli nelle cosiddette “foam cells” (cellule schiuma), chiave di volta nell’eziologia dell’aterosclerosi. Il ruolo degli anti-ossidanti, alla luce di queste ricerche, sarebbe quindi evidente: limitando e/o contrastando l’ossidazione delle LDL, bloccherebbero sul nascere quel processo che, cominciato con la formazione di una placca ateromatosa, potrebbe condurre a patologie cardiovascolari in varie sedi (infarto, ictus,...). In diversi saggi enzimatici le leucoantocianidine sono inoltre risultate essere inibitori non-competitivi di enzimi come la xantino-ossidasi (genera quei radicali liberi imputati del danneggiamento delle pareti 175 8 - Il linfedema endoteliali) e di enzimi come l’elastasi, la collagenasi, la ialuronidasi e la beta-glucuronidasi (regolano il turn-over dei componenti della matrice extracellulare che circonda le pareti dei capillari). Alcuni test hanno poi permesso di evidenziare le proprietà capillaro-protettive, in quanto capaci di legare in maniera aspecifica le fibre che compongono le pareti dei vasi; mediante studi di farmacocinetica è stato, infine, possibile mettere in evidenza la buona biodisponibilità delle leucoantocianidine somministrate per via orale ed il loro tropismo per l’apparato cardiovascolare e, in particolare, per tutti quei tessuti, come le pareti delle arterie, particolarmente ricchi di glicosaminoglicani. 4. Meliloto (sommità fiorita, foglie): contiene bioflavonoidi, tannini, eterosidi cumarinici. A questi ultimi, ed in particolare al melilotoside, che è la frazione maggiormente presente, viene attribuita una notevole attività linfocinetica che dipende in buona parte dalla sua capacità di aumentare l’attività proteolitica dei macrofagi che, così, riducono significativamente la quantità delle macroproteine implicate nei linfedemi, specie in quelli legati a flogosi. Inoltre, la cumarina riduce il catabolismo delle catecolamine a livello vasale, adrenalina compresa, con conseguente miglioramento della contrattilità vasale e con riduzione dell’edema e del dolore. È utilizzato nella insufficienza veno-linfatica, negli edemi e nei linfedemi. Tra gli effetti collaterali, può dare nausea e diarrea all’inizio del trattamento. Non deve essere somministrato durante l’allattamento e ai bambini sotto i 10 anni di età. 5. Hamamelis virginiana L. (Amamelide): l’Amamelide è ricca in tannini: tannino gallico o amamelitannino e tannino catechico, derivati glucosidici dei flavonoli: miricetolo, quercetolo ecc. Ha un’attività analgesica, astringente, flebotonica ed emostatica per meccanismo di vasocostrizione da azione diretta sulla regolazione simpatica dei vasi. 6. Ginko biloba (flavonoidi, ginkolidi, bilobadile): agisce incrementando la perfusione ematica, anche a livello periferico. Migliora la ipoperfusione locale agendo sulle piccole arterie e sulle arteriole precapillari con una azione vasocinetica capace di incrementare il volume e la velocità del flusso ematico locale. Esperimenti eseguiti sull’aorta 176 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica isolata di cavia e sottoposta a perfusione, hanno, appunto, evidenziato come l’estratto svolga la sua azione sulla media della parete arteriosa grazie ad un’interazione diretta con i miociti parietali. Tale azione sembrerebbe migliorare sia la componente fasica che quella tonica della contrazione miocitica che normalmente sviluppa l’onda sfigmica. Può incrementare l’effetto degli anticoagulanti ed antiaggreganti piastrinici. 7. Gambo d’ananas: ricco di Bromelina che, come noto, è un enzima proteolitico che aumenta la lisi dei depositi di fibrina nella zona di infiammazione, depositi che altrimenti bloccherebbero sia i capillari sanguigni che linfatici; l’azione si esplica principalmente attraverso il miglioramento del microcircolo. È particolarmente utile negli edemi. 8. Ippocastano: utile in caso di IVC e linfatica, crisi emorroidarie. I cotiledoni del seme contengono, oltre a zuccheri e lipidi, anche flavonoidi e saponosidi; i tegumenti del seme contengono oligolimeri procianidoloci epicatecolici, tannini e derivati cumarinici (Vit.P). L’Escina, triterpene saponoside pentaciclico, aumenta la resistenza capillare, diminuisce la permeabilità e determina un aumento del tono capillare per azione sulla muscolatura vasale: ne deriva un’azione antiedemigena, antinfiammatoria e venotonica. Può potenziare leggermente l’effetto degli anticoagulanti orali ed è controindicato in gravidanza (effetto sul plesso mioenterico) e in età pediatrica. 9. Ruscus aculeatus (Pungitopo): è ricco di saponine, flavoni, nicotina, Vit. C, tannini e fitosteroli; ha proprietà antiflogistiche, diuretiche, aumenta il tono venoso e riduce la permeabilità capillare. 10. Ortosiphon: è un potente diuretico natriuretico, risparmiatore di K+ ed uricosurico. L’azione diuretica è importante perché riduce la ritenzione idrica da parte dei colloidi tissutali ed ematici con riduzione, quindi, della pressione oncotica. 11. Diosmina: viene usata da molti decenni per le sue proprietà capillarotrope e vasotoniche. Agisce come potente inibitore delle prostaglandine e del trombossano A2 ed interferendo con l’attivazione dei Leucociti, inibisce la attivazione della cascata infiammatoria provocando una 177 8 - Il linfedema forte diminuzione della permeabilità capillare. La protezione contro il danno vascolare è mediata anche dall’inibizione dell’attivazione dei neutrofili e dalla diminuzione dei livelli serici delle proteine d’adesione endoteliale. La diosmina migliora diversi parametri compromessi nella patologia diabetica, grazie alla potente azione antiossidante: è molto importante la diminuzione del livello di glicosilazione delle proteine e l’aumento d’attività della glutatione perossidasi. Di rilievo è anche la capacità di normalizzare la velocità di filtrazione capillare e diminuire le resistenze al flusso ematico migliorandone la reologia. La diosmina prolunga l’effetto vasocostrittore della noradrenalina a livello delle pareti venose, per poi quindi ridurre la capacitanza, la distensibilità e la stasi. Questo incrementa il ritorno venoso e ciò riduce l’ipertensione venosa. Infine, la diosmina aumenta il drenaggio linfatico mediante l’incremento della frequenza e dell’intensità delle contrazioni linfatiche, aumentando la funzionalità della rete capillare linfatica. 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica la biodisponibilità orale del principio attivo. Il FITOSOMA® incrementa l’assorbimento, la concentrazione plasmatica e l’efficacia del principio attivo stesso. A parità di dosaggio in princìpi attivi, la biodisponibilità orale della forma fitosomale è almeno 3 volte superiore rispetto alla forma libera. Dopo somministrazione orale, infatti, il complesso fitosomale, superata la barriera gastrica, raggiunge l’intestino tenue dove è sottoposto ad un processo di emulsione e micellazione dovuto all’interazione con i sali biliari. In tale forma il FITOSOMA®, penetrato attraverso la mucosa intestinale, viene incorporato nei chilomicroni per mezzo dei quali, attraverso il sistema linfatico e il torrente ematico, raggiunge i tessuti bersaglio dove i principi attivi vengono rilasciati in forma praticamente pura. L’ottimizzazione della “resa” farmacologica del principio attivo viene, poi, permessa dallo sviluppo di tecnologie che hanno reso possibile la realizzazione del cosiddetto “rilascio controllato”. FITOTERAPIA: Generalmente i principi attivi estratti dalle piante sono somministrati soprattutto in forma di tintura (dalla droga secca), tintura madre (dalla droga fresca), macerato glicerinato, estratto fluido, estratto secco titolato o, ancora, in forma micronizzata, complesso fitosomale, ecc. Spesso, però, il processo di purificazione a cui sono sottoposte le parti delle piante, riduce fortemente o priva le sostanze della loro naturale veicolazione: i principi attivi non sono più capaci di raggiungere i loro bersagli in concentrazione utile per cui, da composti farmacologicamente attivi, si trasformano in ingredienti poco attivi, utili solo se somministrati ad alte dosi. Per questo problema non di poco conto, tra le varie formulazioni, appena lette, che abbiamo a nostra disposizione, ne è presente una che si basa su un concetto nuovo: il FITOSOMA® che è una struttura chimica brevettata determinata dall’interazione stechiometrica, in solvente aprotico, di una frazione polifenolica pura, o standardizzata, con una matrice fosfolipidica estratta dalla soia. Sulla base delle sue caratteristiche (chimicofisiche, spettroscopiche e biologiche), il complesso sostanzialmente migliora 178 Fig.1 - Diagramma biodisponibilità fitosoma Fig. 2 - Struttura molecolare Fitosoma® 179 8 - Il linfedema CONCLUSIONI: In particolare, nella mia esperienza personale, nelle malattie Emorroidarie, nella IVC e nei Linfedemi, si sono notati gli ottimi risultati terapeutici di combinazioni di Vaccinium Myrtillus, Vitis vinifera e Centella Asiatica (Emospid) e Vitis vinifera, Ginkgo biloba e Melilotus Officinalis (Carvelin) complessati, appunto, in forma fitosomale. Queste combinazioni sono state e sono oggetto di valutazione della loro efficacia clinica in studi multicentrici intrapresi nell’ambito del Dottorato in Biotecnologie Cliniche e Sperimentali nelle Malattie delle Vene e dei Linfatici - Centro Interuniversitario di Ricerca e Formazione in Flebologia - Università degli Studi di Perugia, realizzati anche grazie alla indispensabile e fondamentale collaborazione di numerosi medici, in parte medici generici e in buona parte Flebologi che hanno frequentato i Corsi di Perfezionamento in Flebologia presso l’Università degli Studi di Perugia e che sono presenti su tutto il territorio nazionale, per cui gli studi stessi presentano una notevole omogeneicità, sia formativa che territoriale. Lo scopo delle ricerche era ed è di cercare, e possibilmente trovare, valide alternative agli usuali trattamenti orali ora disponibili e nuove terapie che siano sempre più efficaci verso i disturbi causati, appunto, da queste patologie con l’obbiettivo di valutare l’efficacia e la tollerabilità di nuovi fitoterapici e di nuove combinazioni che abbinano sperimentate conoscenze con le moderne tecniche farmaceutiche. Infine, nella mia esperienza ho imparato ad apprezzare l’ottima efficacia, nei Linfedemi, di preparati Omotossicologici come il Lymphomyosot (Heel) ed il Lymdiaral (Pascoe). 8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica multicentrico condotto su 3512 pazienti. Biologische Medizin 5/89 Vettoriello G, Cerreta G, Derwish A, Cataldi A, et al. Contribution of a combination of alpha and beta benzopyrones, flavonoides and natural terpenes in the treatment of lymphedema of the lower limbs at the 2nd stages of surgical classification. Minerva Cardioangiol. 44 (9) 447-455. 6. Linee guida diagnostico-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Acta Phleb. Rev. 2003 - Vol.4. n° 1-2 - Aug. 2003 - Minerva Medica; 3-5: 79-80 5. BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. 4. 180 Bombardelli. Phytosome: new delivery system. Boll Chim Farm 130(11) 431-438. Campisi C. Il linfedema, aspetti attuali di diagnosi e terapia. Flebologia Oggi, Minerva Medica Ed, 1997; 1: 27-41 Schirmohammadi R, Werner B. Il Sistema Linfatico e le possibilità terapeutiche. 12 anni di esperienza clinica con Lymdiaral®. Acta Biologica, 28 Maggio 1996; Anno XXXV (1) Zenner S, Metelmann M. Impiego terapeutico di Lymphomyoso®t: risultato di uno studio 181 8 - Il linfedema 8.2 - Il linfedema: le possibilità della terapia compressiva e strategie riabilitative 8.2 - Il linfedema: le possibilità della terapia compressiva e strategie riabilitative Nella CDP1 il cosiddetto bendaggio linfologico multistrato, che si differenzia dal bendaggio flebologico multistrato, rappresenta uno dei cardini terapeutici. Corda D. Nella CDP2, il tutore elastocontenitivo riveste un ruolo insostituibile nel contrastare la ipertensione interstiziale e nel mantenere un equilibrio tra produzione e trasporto della linfa. Lymphedema is a chronic, painless edema, usually of lower extremities. The conservative approach to this problem is recognized as golden standard by all international guidelines. It requires a patient-fitted combined decongesting physiotherapic program. This approach is divided in two phases: a short time intensive decongesting phase (CDP1) and a middle/long-time optimizing one (CDP2). CDP1 is characterized for using a multilayered lymphologic bandaging, while CDP2 for using an inelastic containing brace. Lymphatic drainage, hygiene and a correct wound treatment represent another pivotal point in the conservative approach to lymphedema. Altri pilastri fondamentali della fisioterapia decongestiva combinata (CDP, dall’inglese Complete Decongestive Physiotherapy) restano l’igiene e la cura della cute e delle sue eventuali lesioni; il drenaggio linfatico manuale con le sue diverse manualità che intervengono sull’interstizio, sui vasi, sui linfonodi, sugli spartiacque, sulle aree di fibrosi, sulle eventuali cicatrici e sulle eventuali aree irradiate; l’attivazione sequenziale delle pompe muscolari degli arti, sotto bendaggio, meglio se affidata, per gli arti inferiori, alla fisiologica deambulazione, soprattutto se può essere controllata come ad esempio su tapis roulant. Il tutore elastocontenitivo, di compressione idonea in relazione al tipo di linfedema, alle sue caratteristiche cliniche e soprattutto alla sede dell’edema, può essere richiesto anche su misura. In questo caso meglio se a trama piatta, ossia prodotto da telai lineari. ABSTRACT: INTRODUZIONE: Riconosciuto ormai come golden standard terapeutico dalle linee guida nazionali e internazionali stilate dalle Società Scientifiche del settore linfo-angiologico, vascolare e riabilitativo, l’approccio conservativo al linfedema richiede un personalizzato programma fisioterapico decongestivo combinato. L’approccio al paziente portatore di disabilità associata al linfedema richiede, invece, strategie riabilitative personalizzate con programmi a breve, a medio e lungo termine. LA FISIOTERAPIA DECONGESTIVA COMBINATA: I linfologi identificano un programma riabilitativo a breve termine (CDP1 o fase intensiva di decongestione) e un programma riabilitativo a medio/lungo termine (CDP2 o fase di mantenimento e ottimizzazione dei risultati ottenuti con la CDP1). 182 Due le variabili da considerare prima di richiedere un tutore elastocontenitivo: 1. la completa decongestione dell’arto, 2. l’esperienza nel rilevare le misure che non sempre e non in tutte le sedi corrispondono a quelle reali. IMPORTANZA DEL TEAM RIABILITATIVO: Un ultimo concetto, maturato ormai dopo tanti anni di esperienza in campo linfologico, è quello che ribadisce la stretta dipendenza dei risultati dalla preparazione e dall’esperienza del team riabilitativo-linfologico che si fa carico del paziente portatore di linfedema. 183 8 - Il linfedema 8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia 8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia BIBLIOGRAFIA: 1. Ko DSC, Lerner R, Klose G, Cosimi AB. Effective treatment of Lymphedema of the extremities. Arch Surg, april 1998; vol. 133: 452-458. 2. Yamamoto R, Yamamoto T. Effectiveness of the treatment-phase of two-phase complex decongestive physiotherapy for the treatment of extremity lymphedema. Int J Clin Oncol, 2007 dec;12(6): 463-8. Epub 2007 dec. 3. Yamamoto T, Todo Y, Kaneuchi M, Handa Y, Watanabe K., Yamamoto R. Study of edema reduction patterns during the treatment phase of complex decongestive physiotherapy for extremity linmphedema. Lymphology, 2008 Jun,; 41(2): 80-6. 4. Linee guida diagnostico-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Acta Phleb – Rev 2003 - Vol 4 n° 1-2 – Aug 2003, Minerva Medica. Eretta C., Benatti E.,, Berti S., Cevasco L., Falco E., Maritato P., Rota A., Maritato F. ABSTRACT: Lymphedema is a pathologic condition where the lymphatic flow is obstucted or proceeds very slowly: the result is a progressive swelling of the limbs. A typical complication is recurrent acute lymphangitis (erysipelas), that is responsable for a worsening of the clinical picture (swelling and hardnes of the limb). This will let the lymphedema progress very fast, bringing the patient to invalidating conditions and (rarely) to tumoral degeneration (Stewart-Treves syndrome). The continuous use of conservative treatment (bandaging, physiotherapy and compressive stockings) brings for sure an improvement of the lymphedema. In selected cases, microsurgery of the lymphatics leads to an improvement, if it is associated with conservative therapy. INTRODUZIONE: Il linfedema rappresenta un quadro patologico di non raro riscontro clinico caratterizzato dal rallentamento o dal blocco della circolazione linfatica dell’arto o degli arti colpiti, con evoluzione progressivamente ingravescente e comparsa di ricorrenti complicanze di tipo linfangitico acuto di natura per lo più erisipeloide, responsabili di un ulteriore e rapido aumento in volume e consistenza dell’edema. Viene così ad instaurarsi una sorta di circolo vizioso che, automantenendosi, determina la comparsa di un quadro cronico infettivotossico-metabolico, con grave invalidità del paziente e possibile, seppur fortunatamente rara, degenerazione sarcomatosa dei tessuti linfedematosi (s. di 184 185 8 - Il linfedema 8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia Stewart-Treves)1. Le metodiche terapeutiche di natura conservativa medico-fisica2,3, adottate nel trattamento del linfedema degli arti, consentono di raggiungere un certo miglioramento in alcuni tipi di linfedema, ma la terapia deve essere intensiva, proseguita per diversi mesi, ripetuta due o tre volte l’anno e il paziente deve portare un bendaggio o indossare costantemente una guaina elastica. Peraltro, la riduzione dell’edema procede lentamente e non sempre i presidi terapeutici medici e fisici adottati sono ben tollerati dal paziente. Le tecniche chirurgiche impiegate in passato per la cura dei linfedemi miravano alla riduzione volumetrica degli arti mediante interventi di tipo demolitivoresettivo. Le metodiche chirurgiche più comuni erano la cutolipofascectomia secondo Charles4, l’intervento di Thompson5 (drenaggio sottofasciale di lembo cutaneo scarificato) e la linfangectomia totale superficiale secondo Servelle6. Si trattava, tuttavia, di soluzioni di natura sintomatica che, non rimuovendo la causa dell’ostruzione al flusso linfatico, fornivano una temporanea riduzione dell’edema, con successiva recidiva del linfedema che si distribuiva in maniera disomogenea nell’arto colpito per la presenza delle ampie cicatrici retraenti deturpanti. L’avvento della microchirurgia ha consentito di studiare e realizzare soluzioni terapeutiche funzionali e causali del linfedema con lo scopo di drenare il flusso linfatico o di ricostruire le vie linfatiche ove ostruite o mancanti, mediante tecniche fini, riparatrici, intervenendo direttamente sulle strutture linfatiche stesse7,8. Le tecniche microchirurgiche hanno fornito risultati positivi e duraturi nel tempo sia per il trattamento di linfedemi primari, che secondari ad interventi di tipo oncologico, che comportano l’exeresi linfonodale in sedi “critiche”, quali l’ascella e l’inguine, associati o meno a radioterapia. 1. Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Terminali; 2. Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Laterali. Le tecniche più recentemente e comunemente impiegate sono le anastomosi linfatico-venose multiple, termino-terminali o termino-laterali, realizzate direttamente utilizzando vene principali o collaterali delle stesse, a seconda della situazione anatomica riscontrata al momento dell’intervento, ed eseguite al 1/3 medio della superficie volare del braccio, per l’arto superiore, ed in regione inguino-crurale, per l’arto inferiore (Fig.1). Nel nostro studio abbiamo arruolato pazienti affeti da linfedema degli arti al IV-V stadio della malattia, non rispondenti alla terapia medico-fisica riabilitativa. MATERIALI E METODI: Fig.1 - Anastomosi Linfatico-Venosa Multipla Termino-Terminale. Si osservino, in particolare, i collettori linfatici anastomizzati. Le tecniche di microchirurgia derivativa mirano al ripristino del flusso linfatico nella sede dell’ostruzione grazie alla realizzazione di un drenaggio linfo-venoso mediante: 186 187 8 - Il linfedema 8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia RISULTATI: CONCLUSIONI: I criteri di valutazione dei risultati sono rappresentati dalla volumetria ad acqua e dalla linfangioscintigrafia. Le misurazioni volumetriche ci hanno permesso di evidenziare risultati ottimi (con riduzione volumetrica dell’edema dell’arto colpito oltre il 75% rispetto alle condizioni precedenti l’intervento). Il follow-up dei pazienti trattati mediante microchirurgia comprendeva controlli periodici linfangioscintigrafici. La linfoscintigrafia, condotta a distanza di tempo variabile dall’intervento, ha consentito di dimostrare la pervietà delle anastomosi microchirurgiche derivative o ricostruttive mediante: 1. la dimostrazione di una riduzione del “dermal backflow”; 2. la “scomparsa” del tracciante in corrispondenza delle microanastomosi per il passaggio nel circolo ematico; 3. la precoce “captazione” epatica del tracciante indicativa di un più rapido passaggio del tracciante nel circolo sistemico; 4. il ripristino di vie linfatiche preferenziali di risalita del tracciante. L’utilizzo di tecniche microchirurgiche, nella nostra esperienza10, negli stadi più avanzati, ha consentito di raggiungere una rapida e significativa riduzione dell’edema (in rapporto alla componente liquida dello stesso), che viene mantenuta nel tempo e migliorata mediante procedure medico-fisiche, atte ad ottimizzare le vie di scarico realizzate chirurgicamente. La microchirurgia consente di trattare non solo i linfedemi secondari, ma anche quelli primari, che riconoscono quasi costantemente una causa ostruttiva congenita, rappresentata da fibrosclerosi linfonodale prossimale (ascellare o inguinale), con collettori linfatici, afferenti a tali stazioni linfoghiandolari, che si presentano ben funzionanti e spesso dilatati ed ipertrofici per il tentativo di superamento dell’ostacolo. Le tecniche microchirurgiche permettono di derivare il flusso linfatico ostruito su base congenita o acquisita nel circolo venoso, quando quest’ultimo è integro. Infine, le tecniche microchirurgiche giocano un ruolo di rilievo nella prevenzione del linfedema secondario, oltre che nel prevenire il peggioramento della patologia e delle sue complicanze (linfagiti, linforrea, verrucosi linfostatica ed impianto di un linfangiosarcoma negli stadi più avanzati). Ma esistono, inoltre, concrete possibilità di prevenzione anche del linfedema primario, basate su studi di genetica e di biologia molecolare, che saranno sicuramente in grado, in un prossimo futuro, di fornirci tecniche di bioingegneria capaci di trattare e correggere anomalie cromosomiche, che sono responsabili di quadri congeniti di linfedema, ancora durante la vita embrionale. Possiamo affermare, pertanto, che i risultati dell’esperienza clinica sopra riportata, nei pazienti affetti da linfedema periferico degli arti, stanno a dimostrare come oggi la microchirurgia sia da considerare un presidio terapeutico valido e determinante nella complessa problematica terapeutica dei difficili quadri di patologia dei vasi linfatici. Fig.2 - Caso clinico di linfedema primario dell’arto inferiore dx al IV stadio trattato con microchirurgia derivativa linfatico-venosa. Il “follow-up” post-operatorio è stato effettuato ad un anno dall’intervento 188 189 8 - Il linfedema BIBLIOGRAFIA: 1. Wienert V. Lower-limb chronic lymphedema and Stewart-Treves syndrome. Phlebolymphology, 2000; 27: 13-16. 2. Földi M. The therapy of lymphedema. Eur J Lymphol Rel Probl, 1993-1994; 14: 43-49. 59. 3. Leduc A. Le drainage lymphatique. Théorie et pratique. Masson, Milano, 1980. 4. Charles R.H. A system of treatment. Latham A. e English T.C. (eds.), Churchill, London, 1912, 3, 504. 5. Thompson N. The surgical treatment of chronic lymphoedema of the extremities. Surg Clin North Am, 1967; 47:2. 6. Servelle M. La lymphangiectomie superficielle totale. Traitement chirurgical de l’éléphantiasis. Rev Chir, 1947, 294. 7. Campisi C, Eretta C, Pertile D, Da Rin E, Campisi C, Macciò A, Campisi M, Accogli S, Bellini C, Bonioli E, Boccardo F. Microsurgery for treatment of peripheral lymphedema: long-term outcome and future perspectives. Microsurg, 2007; 27(4): 333-8 8. Campisi C, Davini D, Bellini C, Taddei G, Villa G, Fulcheri E, Zilli A, Da Rin E, Eretta C, Boccardo F. Lymphatic microsurgery for the treatment of lymphedema. Microsurg, 2006; 26(1): 65-9. 9. Boccardo F, Bellini C, Campisi C, Eretta C, Da Rin E, Pertile D, Benatti E, Campisi M, Talamo G, Macciò A, Campisi C. Role of lymphoscintigraphy in the indication to microsurgical treatment of peripheral lymphedemas. Eur J Lymphol Rel Probl, 2006; 16: 49. 10. Giacalone G, Verbeek J, Berghmans T, Opheide J, Reher, Belva F, Eretta C. Outcome of lymphoedema after microsurgical treatment. Abstract Book, XXII International Congress of Lymphology, Sydney, September 21-25, 2009. 190 9. L’ulcera venosa 9 - L’ulcera venosa 9.1 - Terapia medica e compressiva dell’ulcera venosa 9.1 - Terapia medica e compressiva dell’ulcera venosa Topo F. ABSTRACT: Flebostatic ulcer is a cutaneous wound that hardly goes to a spontaneous and/ or complete healing. The understating of pathofisiology of this lesion is the base of an effective therapy. Anticoagulants such as heparin, phlebotropics like Diosmin and Hesperidyn, GAGs, antibiotics, synergically act to accelerate healing process. Medical therapy is more effective if joined by mechanical compression, which prevents the venous insufficiency which represents the “primum movens” of this pathology. OBIETTIVI: L’ulcera da stasi venosa o flebostatica è una lesione cutanea cronica che non tende alla guarigione spontanea, che non riepitelizza prima di sei settimane e che recidiva con elevata frequenza; rappresenta circa il 75% di tutte le lesioni trofiche a carico dell’arto inferiore. La scarsa attenzione o la superficialità con la quale si affronta questa lesione, determinano a volte gli scarsi risultati di guarigione, ma soprattutto i casi di pazienti che per mesi o addirittura per anni camminano con l’ulcera ricoperta da semplici medicazioni locali, senza che venga minimamente corretta l’insufficienza venosa alla base. Pertanto è fondamentale tener conto della fisiopatologia e della clinica per orientare la giusta terapia medica e compressiva verso la guarigione dell’ulcera. METODI: Clinicamente, l’ulcera venosa di gamba si presenta, di solito, come una perdita di sostanza cutanea di forma irregolare, con il fondo ricoperto da un es192 sudato giallastro, con margini ben definiti, circondata da cute eritematosa o iperpigmentata e liposclerotica. Le ulcere variano di dimensione e sede, ma nei pazienti portatori di varici si osservano, abitualmente, nella regione mediale del terzo inferiore di gamba dovuta ad una insufficienza nel territorio della grande safena o di perforanti incontinenti; un’ulcera che compare nella parte laterale di gamba è spesso associata ad insufficienza della piccola safena. Il dolore in questi pazienti, anche in assenza di infezione, è aggravato dalla stazione eretta e diminuisce fino a scomparire con l’elevazione dell’arto. L’ulcera flebostatica rappresenta l’esito della evoluzione dell’insufficienza venosa cronica che determina prima a livello macrocircolatorio e successivamente microcircolatorio, ipertensione venosa compensata in un primo momento dal sistema linfatico; con l’usura del sistema linfatico compare l’edema. La stasi venosa determina l’apertura degli shunt artero-venosi, causando, congiuntamente all’edema interstiziale ed all’iperfibrinogemia interstiziale, l’alterazione dei processi di diffusione attraverso la matrice e l’interferenza sui processi metabolici cellulari che esitano nella lesione cutanea. Conseguentemente la terapia non può tener conto esclusivamente dell’emodinamica macrovascolare, ma anche di aspetti che coinvolgono l’unità microcicolatoria ed il laboratorio endoteliale. Dei vari trattamenti coinvolti nella terapia dell’ulcera venosa, la terapia medica e compressiva meritano particolare attenzione per gli aspetti fisiopatologici e clinici precedentemente menzionati. Numerosi sono i farmaci che trovano utilizzo avendo come principali bersagli il tono venoso, l’emoconcentrazione, l’aumentata permeabilità capillare, l’edema, la ridotta attività fibrinolitica, l’incremento del fibrinogeno plasmatico, il controllo del dolore e delle sovrainfezioni, le malattie concomitanti: tra questi annoveriamo flebolinfotropi, eparina e fibrinolitici minori, antidolorifici, diuretici, antibioticoterapia. Tra i flebotropi trovano largo impiego, ultimamente, i bioflavonoidi soprattutto la Diosmina e l’Esperidina micronizzata che hanno la capacità di migliorare il tono venoso, la resistenza dei capillari e migliorare il drenaggio linfatico. L’eparina a basso peso molecolare oltre alla sua attività antitrombotica, trova indicazione per la sua azione antiinfiammatoria riducendo la produzione di citochine infiammatorie. Tra i fibrinolitici minori vanno considerati i glicosaminoglicani (sulodexide e mesoglicano) che hanno 193 9 - L’ulcera venosa mostrato efficacia nell’accelerare il processo di guarigione dell’ulcera.Una revisione sistematica di studi controllati e randomizzati ha documentato che la compressione facilita la guarigione delle ulcere venose e può prevenire le recidive: qualsiasi cura dovrebbe sempre essere associata alla compressione. La compressione serve ad aumentare il flusso venoso, a diminuire il reflusso patologico durante il cammino, a migliorare la microcircolazione ed il drenaggio linfatico. In tal modo si riduce l’edema cronico, si riduce l’essudato dell’ulcera e la lesione regredisce più rapidamente. La terapia compressiva può essere attuata utilizzando bendaggi o calze elastiche. Nella fase acuta dell’ulcera è preferibile una compressione fatta con bende anelastiche, con bende all’ossido di zinco o con un bendaggio multistrato, da lasciare anche per una settimana; ma all’inizio del trattamento, finchè l’essudato e l’edema non diminuiscono, è preferibile rimuovere ed applicare il bendaggio più spesso. La tecnica del bendaggio deve essere eseguita da personale ben addestrato, in grado di esercitare la dovuta compressione, soprattutto con bendaggio multistrato anche nei casi cui viene eseguito su medicazioni avanzate utilizzate per il trattamento topico dell’ulcera. Il bendaggio dovrebbe essere in grado di esercitare una pressione a riposo di almeno 20-30 mmHg alla caviglia ed al terzo inferiore di gamba per poi decrescere in maniera graduata. Nei pazienti in cui sia presente un’arteriopatia obliterante di modesta entità con un indice ABI compreso tra 0.6 e 0.8, il bendaggio va praticato con molta attenzione. È imperativo in questi casi che venga fatto con materiale anelastico, in modo da esercitare una bassa pressione a riposo. Se l’insufficienza arteriosa è severa con un indice ABI al di sotto di 0.6, qualsiasi tipo di compressione è controindicata. La compressione mediante calze elastiche è utilizzata per mantenere il risultato raggiunto nella cura dell’ulcera venosa e prevenire le recidive. Generalmente, sono utilizzate calze della 2° classe di compressione (30-40 mmHg di pressione alla caviglia) o della 3° classe (40-50 mmHg). Nei pazienti allettati o che comunque camminano poco, può essere presa in considerazione l’opportunità di utilizzare la calza antitrombo. Il successo della compressione dipende anche dalla mobilità del paziente, il quale deve essere perciò incoraggiato a muoversi e a compiere regolari esercizi fisici e riabilitativi. 194 9.1 - Terapia medica e compressiva dell’ulcera venosa RISULTATI: La complessità del trattamento dell’ulcera venosa vede nella terapia medica e nel trattamento elastocompressivo, i cardini di una strategia terapeutica “versus guarigione”. Questi due aspetti trovano, in sinergia, un’associazione vincente come dimostrano i ” trials” effettuati e la revisione sistematica della letteratura, con studi che evidenziano come l’uno non è imprescindibile dall’altro, anche perché raramente vengono riportati tassi di complicanze e motivi di sospensione. La combinazione dei due trattamenti ha mostrato un maggior grado di evidenza scientifica nella cura delle ulcere venose, grazie ad una riduzione dei tempi di guarigione, ad una miglior gestione del paziente e ad un minor numero di medicazioni. Applicando questa associazione con l’utilizzo di bende la cui estensibilità sarà in funzione dei risultati che si vorranno ottenere, misurando la pressione venosa e valutando le caratteristiche cliniche dell’ulcera, valuteremo l’efficacia del trattamento combinato esposto. Le osservazioni fatte trovano conferma nel verificare come realmente il paziente portatore di ulcera flebostatica ha una migliore “compliance” e migliori risultati nel percorso di guarigione, nonché minori recidive. CONCLUSIONI: L’ulcera venosa è una condizione cronica che compromette la normale vita del paziente comportando dolore, disturbi del sonno, limitazioni nelle attività quotidiane. La scarsa attenzione, che spesso viene data a questa patologia, dipende dalla superficialità degli operatori sanitari, pensando questi che una volta fatta la diagnosi ed impostata la terapia, avvenga la guarigione. La corretta ed idonea strategia terapeutica passa attraverso la conoscenza dei meccanismi fisiopatologici e nella valutazione clinica che emerge da un attento esame obiettivo. Nella vasta gamma dei trattamenti utilizzati per la terapia dell’ulcera venosa meritano maggior considerazione la terapia medica e la compressione, le quali singolarmente o in maniera combinata, permettono di gestire al meglio i pazienti portatori di queste lesioni trofiche agli arti inferiori. L’efficacia di tale sinergia vede nella riduzione dei tempi di guarigione, ripresa dell’attività 195 9 - L’ulcera venosa lavorativa, riduzione del dolore locale, precoce ripresa della capacità deambulatoria, i parametri per valutare i risultati ottenuti. Riteniamo, pertanto, che qualunque strategia terapeutica si voglia attuare, non si può prescindere dalla terapia medica e dalla compressione che favoriranno, quantitativamente e qualitativamente, il processo di guarigione e ridurranno il rischio delle recidive. BIBLIOGRAFIA: 1. Collegio Italiano di Flebologia. Linee guida diagnostico-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici”. Acta Phlebologica, 2003; vol. 4: 29-31. 2. Guarnera G. L’ulcera venosa: dalla clinica alla terapia. Litografia Saba Roma, 2006; pp. 85-87, 105-107. 3. Stegmann W, Hubner K, Deichmann B, Muller B. Efficacy of rutosides in the treatment of venous varicose ulce. Therapiewoche 1986; 36: 1828-33. 4. Arosio E, Ferrari G, Santoro L et al. A placebo-contolled, double blind study of mesoglycan in the treatment of cronic venous ulcers. Eur J Endovasc Surg, 2001; 22: 365-72. 5. Stemmer R. Teoria e pratica del trattamento elastocompressivo. Chirurgia Vascolare di P. Belardi, Ed Minerva Medica; vol II cap. 48: 575-93. 6. Partsc H. Compressiontherapy therapy of legs. J Dermatol. Surg. Oncol, 1991; 17: 799805. 7. Fletcher A, Cullum N, Sheldon TA. A systematic review of compression treatment for venous leg ulcers. BMJ, 1997; 315, 576-80. 8. Stemmer R, Marescaux J, Furderer C. Il trattamento compressive degli arti inferiori, in particolare mediante calze e collant di contenimento. Der Hautarzt, 1980; 31: 355-65. 9. Allegra C. The role of the microcirculation in venous ulcers. Phlebolinfology, 1994; 2: 3-8. 10. Emter M. Modification du flux sanguine dans le veines des members inférieurs aprés compression. Phlébologie, 1991: 44 (2): 481-484. 9.2 - La copertura dell’ulcera 9.2 - La copertura dell’ulcera. Nebbioso G. ABSTRACT: The leg ulcers have an annual incidence in the adult population of about 1%, which reaches 3,6% in individuals older than 65 years1. Ulcers, sores, were once regarded as something shameful, just decent, to hide, from which the term “cover the ulcer”. Today, “coveing” means to dress the wound and to create all the optimal conditions for healing. Cure an injury, time, meant to dry the wound, healing it “in the crust”; but this concept has been completely reversed by Winter, who, in 1962, introduced the concept of moist wound healing. The concept of dressing has suffered in recent years a complex metamorphosis. From a dressing that did not interfere with the processes of tissue repair, we went to phisician who tried to establish an environment (wet) more favorable to the tissue repair process, until you arrive to the dressing techniques that seek to restore a proper balance of biochemical and cellular injury (i.e., platelet gels, dressings based on hyaluronic acid and collagen). The achievement, through appropriate medication, of these goals is essential, because you can obtain to the ulcer healing INTRODUZIONE: Le ulcere degli arti inferiori presentano un’incidenza annuale nella popolazione adulta di circa l’1% che raggiunge il 3,6% negli individui con più di 65 anni1. Le ulcere, le piaghe, un tempo venivano considerate come un qualcosa di vergognoso, di poco dignitoso, da nascondere, da cui il termine “coprire l’ulcera”. Oggigiorno, “coprire” significa medicare la lesione e creare tutte 196 197 9 - L’ulcera venosa le condizioni ottimali per la sua guarigione. Medicare la lesione, un tempo, significava essiccare la lesione, farla guarire “sotto crosta”, ma questo concetto è stato completamente ribaltato da Winter, che, nel 1962, introduceva il concetto di guarigione in ambiente umido. Il concetto di medicazione ha subito negli ultimi anni una complessa metamorfosi. Da una medicazione che non interferiva con i processi di riparazione tessutale, si è passati a medicazioni che cercano di determinare un ambiente (umido) più favorevole al processo di riparazione tessutale, fino a giungere a tecniche di medicazione che cercano di ripristinare un corretto equilibrio biochimico e cellulare della lesione (es. gel piastrinico, medicazioni a basi di acido ialuronico e collagene). Il raggiungimento, attraverso idonee medicazioni, di questi obiettivi è la condizione essenziale perché si arrivi alla guarigione dell’ulcera. METODOLOGIA: Nel wound care distinguiamo due categorie di medicazioni: TRADIZIONALE e ATTIVA. Le medicazioni tradizionali vanno distinte in: 1. semplici; 2. antisettiche; 3. grasse. Le garze semplici sono utilizzate sostanzialmente per l’occultamento della lesione ed isolamento dall’ambiente esterno. Le antisettiche contengono sostanze in grado di abbattere la carica batterica eventualmente presente sulla lesione. Le grasse sono medicazioni contenenti sostanze che ne riducono l’aderenza. Questo tipo di medicazione non rivolge la propria attenzione ai processi di riparazione e non interagisce con essi, ma si pone come obiettivo il mantenimento dell’emostasi e la copertura antisettica della lesione, contribuendo al manteni198 9.2 - La copertura dell’ulcera mento di un ambiente secco e determinando frequentemente la formazione di croste sulla lesione con un notevole ritardo dei tempi di guarigione. La medicazione tradizionale presenta degli svantaggi: 1. asportazione accidentale di tessuto di granulazione; 2. difficoltà del paziente alla propria igiene (doccia); 3. rischio di infezione; 4. perdita di liquidi e disidratazione della lesione. Le medicazioni avanzate rivolgono la propria attenzione ai processi riparativi, facilitandoli e non interferendo con essi. La specificità di questa medicazione risiede negli stessi prodotti che sono utilizzati. La medicazione è posta a diretto contatto con la lesione (medicazione primaria) è può necessitare di un supporto di fissaggio o di interazione con la stessa (medicazione secondaria). Le categorie di prodotti in questo momento presenti sul mercato delle medicazioni avanzate sono: 1. alginati; 2. poliuretani in schiume; 3. idrogeli; 4. idrocolloidi; 5. idrofibre. Negli ultimi anni sono state realizzate medicazioni che cercano di interferire positivamente sul processo di riparazione tessutale: le medicazioni attive. La medicazione della lesione deve avvenire secondo i canoni della “Wound Bed Preparation”, di seguito elencati: 1. eliminazione del tessuto necrotico (T); 2. controllo della carica batterica (I); 3. gestione dell’essudato (M); 4. controllo delle alterazioni fenotipiche cellulari perilesionali (E). 199 9 - L’ulcera venosa Da cui l’acronimo TIME2. L’asportazione della necrosi o della fibrina (debridement) può avvenire con modalità diverse: 1. chirurgica (mediante bisturi, courette o idrobisturi); 2. enzimatica (mediante l’applicazione sul fondo della lesione di enzimi quali collagenasi o catalasi, talvolta associate ad antibiotici quali la gentamicina o il cloramfenicolo); 3. idrolitica (mediante idrogeli); 4. meccanica. La scelta della medicazione va fatta in relazione allo stadio e alla stato della lesione. Lo stadio valuta la profondità della stessa in relazione alle componenti anatomiche quali il derma, la fascia muscolare, i muscoli e le strutture ossee. Lo stato della lesione determina la scelta della medicazione. 9.2 - La copertura dell’ulcera Ulcere iperessudanti richiedono l’utilizzo di medicazioni in alginato e idrofibra, particolarmente utili anche in presenza di infezione in quanto, una volta superata la loro capacità di assorbimento, permettono il drenaggio del materiale infetto. In presenza di colonizzazione critica o pregresse infezioni1 si richiede l’uso di medicazioni che nella loro struttura contengono antisettici, quali l’argento, che contribuisce a controllare la carica batterica. In alcune l’argento è contenuto nel loro interno, mentre in altre viene ceduto sulla lesione. Medicare la lesione significa anche non ledere la cute perilesionale (E) e a tal fine sono presenti in commercio medicazioni avanzate nella cui struttura è presente del silicone. In presenza di necrosi (T) o fibrina, nei casi in cui la medicazione va rimossa una o più volte al giorno, è preferibile usare medicazioni di basso costo che permettano, in ogni caso, di mantenere umida la lesione. Il silicone può coprire l’intera base della medicazione e dunque essere a contatto con tutta la lesione o in alternativa essere presente solo sui bordi della medicazione mentre il fondo della ferita rimane a contatto con il poliuretano. La gestione dell’essudato (M) influenza in maniera determinante la scelta della medicazione. In presenza di scarso essudato possiamo utilizzare medicazioni traumatiche, costituite da acido ialuronico o a struttura lipo-colloidale o idrocolloidale, che fanno sì che la lesione non si secchi. Un metodo molto semplice di proteggere il margine perilesionale è quello di applicare intorno alla lesione della pasta all’ossido di zinco. Alcune medicazioni in schiuma di poliuretano possono contenere nella struttura FANS, in particolare l’ibuprofene che, rilasciato sul fondo dell’ulcera, controlla sia il dolore che lo stato infiammatorio, gestendo contemporaneamente l’essudato. L’iperessudazione va gestita con medicazioni avanzate capaci di assorbite i liquidi in eccesso che, altrimenti, provocherebbero una macerazione del margine della cute perilesionale, favorendo l’aumento della carica batterica. Le schiume di poliuretano sono medicazioni che si usano in presenza di essudato medio, impermeabili ai liquidi, ai batteri, ma permeabili ai gas. Avendo la capacità di assorbire e trattenere l’essudato sotto elastocompressione trovano applicazione nel management delle ulcere venose, specialmente sotto bendaggio. Il loro utilizzo permette di ridurre il numero dei bendaggi, i costi dei materiali, l’impegno del personale sanitario e le liste di attesa. 200 Nella copertura dell’ulcera trovano applicazione anche prodotti costituiti da ac. ialuronico o cellulosa ossidate rigenerata o collagene. Questi prodotti interagendo col fondo della lesione vanno a stimolare la formazione della matrice extracellulare, controllando anche la concentrazione delle metalloproteasi, presenti in eccesso nell’essudato delle lesioni croniche cutanee4. La programmazione terapeutica della lesione deve essere guidata dalla conoscenza e dalla competenza del sanitario, i dispositivi che la tecnologia e la ricerca offrono sono un elemento di supporto prezioso, ma non la soluzione del problema. 201 9 - L’ulcera venosa Le medicazioni avanzate Essicazione della lesione e traumatismo alla rimozione Alginati 9.2 - La copertura dell’ulcera Idrogeli Idrocolloidi Idrofibre Poliuretani in schiume 202 Medicazione in schiuma di poliuretano Medicazione in schiuma di poliuretano con bordi in silicone Medicazione in schiuma di poliuretano e ibuprofene 203 9 - L’ulcera venosa TIPOLOGIA AVANZATE 9.2 - La copertura dell’ulcera ED INDICAZIONI DELLE MEDICAZIONI SCHIUME DI POLIURETANO CARATTERISTICHE Struttura alveolare tridimensionale Permeabilità ai gas Assorbimento essudato Contenimento sotto elastocompressione INDICAZIONI Lesioni moderatamente essudanti Lesioni molto essudanti Lesioni da decubito Lesioni vascolari BIBLIOGRAFIA: 1. 2. 3. 4. London NJM, Donnelly R. Ulcerated lower limb. BMJ 2000; 320: 1589-91. Bonadeo P, Marazzi M, Masina M, Ricci E, Romanelli M. Wound Bed. Preparation: evoluzione della pratica clinica secondo i principi del TIME. Aretrè 2004. Nebbioso G, Petrella F. La gestione dell’essudato sotto elastocompressione: evoluzione delle schiume di poliuretano. Acta Vulnologica, 2007 Marzo; 5(1): 7-12. 5. Nebbioso G, Petrella F, Caprarella E. Ruolo dell’acido ialuronico nelle lesioni croniche cutanee non-responder. Acta Vulnologica 2010 Marzo; 8(1): 15-19. IDROGEL CARATTERISTICHE Detersione autolitica Idratazione del tessuto necrotico e/o fibrinoso Mantenimento d’ambiente caldo-umido INDICAZIONI Lesioni necrotico-fibrinosoe Come preparazione alla detersione chirurgica. Richiedono una medicazione secondaria ALGINATI CARATTERISTICHE Derivati dalle alghe Elevata capacità d’assorbimento Attività emostatica INDICAZIONI Lesioni ad elevata essudazione Lesioni sanguinanti Necessitano di medicazione secondaria IDROCOLLOIDI CARATTERISTICHE Particelle idrofile matrice polimerica Formazione di gel con attivazione autolisi Mantenimento d’ambiente caldo-umido 204 INDICAZIONI Lesioni poco o moderatamente essudanti Protezione cute perilesionale 205 9 - L’ulcera venosa 9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose 9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose. Solimeno G., Quarto G., Goffredi L., Furino E., Benassai G., Atelli P.F., Sellitti A., Apperti M. ABSTRACT: Radiofrequency (RF) treatments have been used for over 30 years for a variety of pain syndromes1. The rationale is the theory that heating peripheral nerves can inhibit nociceptive input. However, classical RF, as used in past decades, results in an irreversible thermal damage of the treated nervous structures. So, in 1998, Sluijter et al.2 applied high-voltage RF current in bursts of 20 ms per 500 ms, permitting the generated heat to be washed out during the other silent 480 ms. This is the beginning of the Pulsed RadioFrequency (PRF), which has advantage of impeding nociceptive input, without subsequent heat-induced nerve injury. Radiofrequency Pulse Dose (PD) is a further advance in the treatment of chronic pain, which gives great results without any special effects. This method was also effective in the outpatient management of chronic pain in patients with venous chronic ulcers. INTRODUZIONE: La Radiofrequenza (RF) rappresenta una tecnica utilizzata oramai da decenni nella gestione del dolore cronico di varia origine, dalla neuralgia trigeminale, alla cervicalgia, al dolore somatico di origine spinale, alla neuralgia occipitale, all’artralgia di varia origine, al dolore post-chirurgico, a quello oncologico. Il razionale di utilizzo della radiofrequenza è legato all’assunto che il calore da essa generato nei tessuti target, e nella fattispecie nelle strutture nervose, determina un danno irreversibile che impedisce la trasmissione dell’impulso nocicettivo. 206 Infatti, quando applicata a tessuti biologici, questa corrente determina l’oscillazione di molecole elettricamente cariche, soprattutto proteine, la cui frizione reciproca e con i tessuti sviluppa calore. Se il calore sviluppato raggiunge determinate temperature, si determina un danno termico. Lo sviluppo di un danno termico indotto dalla RF richiede un circuito, rappresentato da un generatore di corrente collegato a due terminali3. Ad un terminale è collegato un elettrodo la cui estremità è posizionata a stretto contatto con il tessuto target; l’altra estremità è collegata ad una placca a larga superficie posizionata sulla cute del paziente, più o meno in prossimità della zona da trattare. La corrente fluisce in questo modo dall’elettrodo alla placca. Grazie alla differenza di superficie tra l’elettrodo e la placca, il calore generato nei tessuti a contatto con quest’ultima non genera alcun tipo di danno, mentre nei tessuti a diretto contatto con la punta dell’elettrodo si sviluppa una temperatura che in alcuni casi può raggiungere i 90 °C, sufficiente a garantire un danno termico di tipo irreversibile. Questa metodica, oramai datata, è stata negli ultimi anni gradualmente soppiantata dalla cosiddetta Radiofrequenza Pulsata (PRF). Nel 1998 infatti, Sluijter et al.2 hanno introdotto una tecnica consistente nell’utilizzo della radiofrequenza in scariche sequenziali della durata di 20 ms con un’ampiezza di 45 Volt, intervallate da periodi di pausa di 480 ms. I periodi di pausa hanno la finalità di “raffreddare” i tessuti colpiti, che raggiungono così temperature mai superiori ai 42 °C, permettendo quindi una neuro modulazione7 dell’impulso nocicettivo con conseguente riduzione del sintomo dolore, in assenza di danno irreversibile dei tessuti nervosi trattati6. Il meccanismo d’azione della PRF non è ancora completamente chiarito, ma sembrerebbe legato alla capacità, grazie al campo elettrico generato, di indurre una intensa e duratura ripolarizzazione delle fibre nervose trattate5, con conseguente effetto “stupor” temporaneo del segnale nocicettivo, che può durare anche alcuni mesi. Recentemente è stata introdotta una ulteriore variante di questa metodica, denominata Pulse Dose (PD). 207 9 - L’ulcera venosa 9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose La PD rappresenta una evoluzione tecnica della radiofrequenza pulsata, grazie alla quale gli impulsi elettrici, della durata di 20 ms, vengono erogati nel tempo ad un potenziale costante di 45 Volts. La differenza con la radiofrequenza pulsata è sostanziale, in quanto in quest’ultima la costante non è rappresentata dal potenziale elettrico, ma dal fattore tempo. Infatti, quando si utilizza la PRF classica, ad intervalli di tempo costante vengono erogate 2x20 ms/sec scariche elettriche, il cui potenziale elettrico, inizialmente di 45 Volts, decresce nel tempo per garantire una temperatura dei tessuti che non superi mai i 42 °C4. Nella PD, invece, la temperatura dei tessuti target viene mantenuta comunque a 42 °C, non però per il decadimento del potenziale elettrico, che viene mantenuto costante a 45 Volts, ma per una graduale rarefazione degli impulsi, la cui emissione viene ritardata sin quando la temperatura dei tessuti non raggiunge valori prestabiliti (Fig. 1). Pulsed radiofrequency Pulse Dose DISCUSSIONE: Il presente lavoro nasce da osservazioni cui si è giunti in maniera quasi casuale durante l’arruolamento di pazienti per una studio già pubblicato (Acta Vulnologica, vol. 8, n° 3, pag. 101-104, settembre 2010), che aveva la finalità di indagare sulla opportunità e sui vantaggi di adottare un percorso terapeutico “integrato” per pazienti portatori di ulcere “difficili”, che prevedeva un intervento chirurgico durante il quale, oltre alla risoluzione della patologia varicosa di base, veniva eseguita una toilette dell’ulcera con successivo impianto di derma artificiale. Durante lo sviluppo di questo lavoro ci si è resi conto che un certo numero di pazienti non otteneva la guarigione semplicemente perché era sottoposto a terapie incongrue, per cui venivano esclusi dal protocollo ed avviati ad un trattamento conservativo adeguato. Abbiamo però osservato anche un gruppo di pazienti nei quali era difficile se non impossibile adottare una terapia idonea, poiché il dolore spontaneo e quello provocato dalle manovre durante le medicazioni era così intenso da costituire un ostacolo oggettivo ad un trattamento che potesse dare una qualche speranza di guarigione. Questi pazienti, per tali motivazioni, venivano arruolati nello studio ed avviati al protocollo. Al di là, poi, dei vantaggi o dell’opportunità di adottare il percorso terapeutico “integrato” da noi proposto, a questi pazienti non era data altra scelta se non quella di essere sottoposti ad intervento chirurgico, o continuare, forse indefinitamente, in medicazioni, bendaggi, terapia antalgica, spesso senza nessun beneficio per il paziente. Fig. 1 - Diagrammi comparativi pulsed radiofrequency V.S. Pulse Dose Questo è un grande vantaggio, in quanto permette di standardizzare la metodica, misurando gli effetti del trattamento ed uniformando le varie tipologie di utilizzo della radiofrequenza non più in relazione alla costante tempo, ma al numero di “dosi” emesse. 208 Durante questo studio, però, ci è stata presentata un’apparecchiatura che sfrutta la radiofrequenza in modalità Pulse Dose nei pazienti afflitti da dolore cronico dei nervi periferici non responsivo alla terapia medica. Abbiamo utilizzato quindi la radiofrequenza PD in 5 pazienti portatori di ulcere venose “difficili” nei quali la terapia più idonea era quella conservativa, di dif209 9 - L’ulcera venosa ficoltosa esecuzione però per l’intenso dolore provocato nei pazienti all’atto della medicazione. L’età media dei pazienti era 66 anni (range 56 - 81); la durata media delle ulcere era 9,7 mesi (range 6 - 23 mesi). La metodica PD è stata somministrata secondo i criteri già precedentemente esaminati, utilizzando come target il nervo sciatico popliteo ed il nervo femorale; l’evoluzione dell’intensità dolorifica è stata misurata durante il trattamento utilizzando una Scala Numerica Verbale (VNS). Alla radiofrequenza PD sono state associate medicazioni adeguate eseguite da personale specializzato ed elastocompressione. RISULTATI: In tutti i pazienti si è ottenuta la guarigione dell’ulcera in un tempo medio di 42 giorni (range 29 - 65). Grazie all’utilizzazione della VNS si è potuto constatare che tutti i pazienti hanno tratto beneficio dalla utilizzazione della radiofrequenza PD, con una ottima risoluzione del dolore durante la fase del trattamento. CONCLUSIONI: La radiofrequenza Pulse Dose (PD) rappresenta una evoluzione tecnica della radiofrequenza pulsata classica che permette una standardizzazione della metodica; grazie ad essa infatti la temperatura dei tessuti target viene mantenuta comunque a 42 °C, non però per il decadimento del potenziale elettrico, come avviene nella PRF, ma per una graduale rarefazione degli impulsi, la cui emissione viene ritardata sin quando la temperatura dei tessuti non raggiunge valori prestabiliti. 9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose Pulsata Classica, sia in termini di riduzione immediata del dolore, che in termini di riduzione permanente del dolore, la cui intensità, rispetto alla fase pretrattamento, si riduce di circa il 50% anche una volta terminato l’effetto stupor. Questa metodica è risultata efficace anche nella gestione ambulatoriale di pazienti portatori di ulcere croniche nei quali la terapia conservativa era di difficoltosa esecuzione per l’intenso dolore provocato all’atto della medicazione, permettendo di ottenere una ottima risoluzione del dolore durante la fase del trattamento. BIBLIOGRAFIA: 1. Cahana A, Zundert JV, et al. Pulsed Radiofrequency: Current clinical and biological literature available. Pain Med, 2006; 7(5): 411-23. 2. Sluijter ME, Cosman ER et al. The effects of pulsed radiofrequency field applied to the dorsal root ganglion - a preliminary report. Pain Clin, 1998; 11(2): 109-17. 3. Lord SM, Bogduk. Radiofrequency procedures in chronic pain. Best Pract Res, 2002; 16(4): 597- 617. 4. Chua NHL, Vissers KC. Pulsed radiofrequency treatment in interventional pain management: mechanism and potential indications - a review. Acta neurochir, 2011; 153: 763-71. 5. Byrd D, Mackey S. Pulsed radiofrequency for chronic pain. 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Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN) Casillo N. D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Università degli Studi di Napoli Federico II - A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Videoassistita - S.F. di Day Surgery Castagnoli S. Cardamone B. Libero Professionista, Pistoia Cava dè Tirreni. U.O.C. Chirurgia Cevasco L. Civitillo F. Università degli Studi di Genova Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN) Colaiuda F. Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Colaiuda S. Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Corda D. Polimedica San Lanfranco, Centro Medico e Riabilitativo specializzato nella diagnosi e nella terapia del Linfedema primario e secondario Crippa A. D’Amodio A. S. D’Aniello C. Libero Professionista, Dolzago (Lecco) e Ricostruttiva Regione Campania - A.S.L. Salerno - P.O. Nocera-Pagani - U.O.C. Medicina. Libero Professionista, Afragola (NA) Terme di Agnano Napoli Interuniversitary Phlebology Center, University of Perugia, Perugia, Italy Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare Regione Campania A.O.U. “S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”. P.O. Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare U.O.C. Chirurgia Vascolare P.O. dei Pellegrini, Napoli Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica De Simone A. Del Guercio M. Della Rocca M. D. Di Filippo A. Di Palma S. Terme di Agnano Napoli Nebbioso G. ASL NA1 Centro - UOSD di Patologia Cardiovascolare - Centro di Libero Professionista, Napoli riparazione tessutale. Libero Professionista, Maddaloni (CE) Centro Diagnostico Aquarius, Napoli Università degli Studi di Napoli Federico II - Passariello F. Pieroni O. Prisco V. Quarto G. A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Università degli Studi di Napoli Federico II - Videoassistita - S.F. di Day Surgery A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Eretta C. Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Videoassistita - S.F. di Day Surgery Accettazione e Osservazione Breve Intensiva - Rota A. Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona. Accettazione e Osservazione Breve Intensiva Dottorato di Ricerca - Istituto di Biochimica - Università degli Studi di Genova Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona. Ermini S. Falco E. Libero Professionista Sellitti A. Regione Campania - A.S.L. Salerno - P.O. Nocera-Pagani - U.O.C. Dipartimento di Chirurgia - U.O.A. Chirurgia Generale - Ospedale Chirurgia S. Andrea - La Spezia. A.S.L. Salerno - P.O. Nocera-Pagani - U.O.C. Chirurgia Farina B. L. Ferrara F. Ferrara G. Furino E. U. O. Angiologia Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata - Salerno Sellitti M. E. Solimeno G. Studio Flebologico Ferrara, Napoli Università degli Studi di Napoli Federico II Studio Flebologico Ferrara, Napoli A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Videoassistita - S.F. di Day Surgery. Università degli Studi di Napoli Federico II - Libero Professionista A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Videoassistita - S.F. di Day Surgery Genovese G. Goffredi L. Presidente Onorario SIF Spinelli G. M. Topo F. Tori A. Veneruso G. A. Università di Napoli Federico II Greco R. Grimaldi L. U. O. Angiologia Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata- Salerno e Ricostruttiva Maritato F. Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Accettazione e Osservazione Breve Intensiva Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona. Maritato P. Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Accettazione e Osservazione Breve Intensiva Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona. Mastrangelo D. Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN) Molisso A. Moretti R. Centro di Riabilitazione Vascolare “Serapide”, Napoli Ospedale Nocera Pagani, ASL Salerno - U.O. di Medicina d’urgenza, Salerno D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Centro Interuniversitario di Ricerca e Formazione in Flebologia Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica Libero Professionista, Scandicci (FI) Responsabile S.I.F. (Società Italiana di Flebologia) Regione Basilicata U. O. Angiologia Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata - Salerno D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Resp. U.O. Diagnostica e Terapia Vascolare P.O. Marcianise Asl Ce Presidente eletto SIF U.O.C. Chirurgia Vascolare P.O. dei Pellegrini, Napoli EDIZIONI ISBN 9788890401961