in Flebologia

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in Flebologia
S.I.F.
Società Italiana di Flebologia
U p D a t e S
in Flebologia
2012
Marco Apperti, Gennaro Quarto, Antonio Sellitti
U p D a t e S
in Flebologia
2012
EDIZIONI
ISBN 9788890401961
© Copyright dell’autore
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e didattico, non autorizzata
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Indice
I.
Prefazione....................................................................................... pag. 1
II. Introduzione.................................................................................... pag.3
III. Traguardi e nuove frontiere in flebologia - G. Genovese............... pag.5
1. FISIOPATOLOGIA ED EMODINAMICA
DEL SISTEMA VENOSO........................................................... pag.11
1.1. Anatomia del sistema venoso - B. Cardamone...................... pag.12
1.2. La mappa emodinamica venosa ed il rispetto
dei sistemi drenanti - F. Passariello....................................... pag.17
2. MAPPAGGIO MORFO-FUNZIONALE
E TRATTAMENTO DELLE VARICI........................................ pag.23
2.1. L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi
2.2. La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta
tronchi venosi - E. Bernardini................................................ pag.24
terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento
delle varici degli arti inferiori - S. Ermini.............................. pag.30
2.3. Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici:
la chirurgia ablativa - A. Sellitti............................................. pag.35
3. I TRATTAMENTI ENDOVASCOLARI.................................... pag.39
3.1. Il trattamento con Laser e Visioven - L. Goffredi.................. pag.40
3.2. Il trattamento con Radiofrequenza - B. Bernardo.................. pag.46
3.3. E.V.L.T e R.F. vs chirurgia tradizionale:
risultati di una metanalisi - G. Quarto................................... pag.52
4. LA RECIDIVA VARICOSA........................................................ pag.59
8. IL LINFEDEMA........................................................................... pag.169
4.1. Recidiva post scleroterapia classica - F. Ferrara................... pag.60
8.1. Le possibilità della terapia medica - G. M. Spinelli............... pag.170
4.2. Recidiva post trattamento ESEC - S. Castagnoli................... pag.71
8.2. Il linfedema: le possibilità della terapia compressiva
4.3. Varici recidive da neoangiogenesi - M. Del Guercio............. pag.75
e strategie riabilitative - D. Corda.......................................... pag.182
8.3. Le possibilità della chirurgia - C. Eretta................................ pag.185
5. LA TERAPIA MEDICA E COMPRESSIVA
DELLA MALATTIA VENOSA CRONICA.............................. pag.79
9. L’ULCERA VENOSA.................................................................. pag.191
5.1. Trattamento medico delle flebopatie
9.1. La terapia medica e compressiva - F. Topo............................ pag.192
9.2. La copertura dell’ulcera - G. Nebbioso.................................. pag.197
9.3. Il ruolo della radiofrequenza (Pulse Dose) - G. Solimeno.... pag.206
con flebotropi - O. Pieroni..................................................... pag.80
5.2. La riabilitazione flebologica ed
il termalismo - G. Bencivenga............................................... pag.89
6. VARICI RETICOLARI E TELANGECTASIE........................ pag.95
6.1. Emodinamica e fisiopatologia delle
teleangectasie - A. Molisso..................................................... pag.96
6.2. Utilizzo del LASER Nd:YAG 1064 nm per il trattamento
delle varici reticolari degli arti inferiori - S. Colaiuda........... pag.105
6.3. Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm:
primi pisultati a distanza - A. Crippa..................................... pag.115
6.4. Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica
ed approccio razionale - P. F. Atelli........................................ pag.121
6.5. Scleroterapia e terapia compressiva - R. Moretti................... pag.126
6.6. Scleroterapia e complicanze - A. Tori.................................... pag.130
7. FLEBOTROMBOSI.................................................................... pag.135
7.1. Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio,
clinica e strumentale - G. A. Veneruso................................... pag.136
7.2. Trombosi venosa profonda e sindrome post
flebo trombotica - R. Greco.................................................... pag.145
7.3. Malattia Venosa Cronica
ed Embolia Polmonare - A. Di Filippo.................................. pag.150
PREFAZIONE
Quando nell’ormai lontano 1986 un discreto numero di medici, stimolato dai
miei primi insegnamenti, decise di fondare la Società Italiana di Flebologia,
lo fece perché le Società Angiologiche dell’epoca guardavano alla Flebologia
con un certo pregiudizio ingenerato probabilmente dai propri limiti culturali in
materia; si accumulavano pertanto i “perché” senza risposte nelle giovani menti
di chi questa materia la amava con intelligenza “curiosa”.
Ed è stato proprio questo il fine che la Società Italiana di Flebologia si era
proposto, nel tentativo di ricongiungere il momento della conoscenza empirica
al momento in cui questa, ponendosi i “perché” e cercandone razionalmente le
soluzioni, acquisisse così la dignità di Scienza.
Merito di questa Società Scientifica non è stato certo il presuntuoso tentativo di
emanare scienza (politica!) dall’alto, ma di offrirsi come palestra di confronto a
quei giovani dotati di “curiosa” intelligenza, offrendo loro l’opportunità di confrontarsi e sinergizzarsi cosicché fossero i loro stessi sforzi culturali a generare
le “risposte” scientifiche.
Quei giovani, oggi uomini maturi, qualcuno quasi vecchio, hanno contribuito
in gran parte alla stesura di questo volume la cui valenza non sta nell’effimero
tentativo di autocelebrazione con schiumose e personali pseudo-novità; il loro
valore sta proprio nello sforzo di approfondire gli argomenti canonici o cercare
un razionale scientifico per le nuove proposte e può essere riassunto nelle parole di un grande Maestro della Medicina del novecento, il Pazzini :
“ … veder l’oggi nell’ieri, il domani nell’oggi delle “ideuzze” del passato – con
i nostri mezzi attuali – per fonti di ispirazione e progresso. Dallo sforzo creativo dei Padri il credito ed il conforto alla nostra fatica ed incitamento a nuovo
operare”;
ed è proprio collegando quest’ultimo rigo, alle parole di Augusto Murri “… niuno che pratichi tale disciplina o che intenda ad essa consacrarsi deve ignorare
le personalità che percorsero il vasto campo …”, che sento il bisogno di aggiungere a tutti gli autori, soprattutto ai molti miei Allievi, una sola parola: grazie!
giuseppe genovese
1
INTRODUZIONE
Rare sono le materie scientifiche complesse e poco codificate come la Flebologia.
La patologia che essa tratta è cosi “antica” e diffusa che i primi medici si ingegnarono a curarla e trattarla con le poche, ma spesso “moderne”, risorse a loro
disposizione. Il primo intervento chirurgico descritto nella storia dell’uomo è,
come tutti sanno, proprio un intervento sulla malattia varicosa.
Per anni e anni la cultura flebologica è stata cultura di bottega, fatta di osservazione, esperienza ed esperimenti.
Oggi gli ultrasuoni stanno cambiando questa cultura, senza modificarne gli
strumenti, bensì le strategie. L’emodinamica venosa, ha lanciato una grossa
sfida, raccolta da pochi, che, a fatica, cerca di guadagnare consensi e certezze.
Le nuove tecniche ablative cercano di spodestare la “vecchia” chirurgia venosa
che resiste e resta ancora il punto di paragone per tutte le metodiche.
Anche la scleroterapia si è “modernizzata” con le “bollicine”, ma ancora non
ha convinto molti.
E che dire delle medicazioni presuntuosamente definite “avanzate”, che tentano
di soppiantare quelle più “povere” che hanno sempre garantito eccellenti risultati a prezzi discount!
Anche il bendaggio elastico è diventato duplex, triplex,quadruplex…, ma è
sempre la sensibilità della mano che fascia che fa la differenza.
Non voglio, in queste poche righe, demonizzare il nuovo a favore del vecchio,
essendo anch’io, ormai, nella schiera dei diversamente giovani e più legato ai
Bassi e ai Müller, che ai “Laser” e alle “Radiofrequenze”. Vorrei però sottolineare che tante cose, che oggi ci vengono vendute come nuove, tali non sono e
che tante presupposte scoperte sono spesso rifacimenti di vecchi modelli o idee
un pòattempati.
3
Vorrei sottolineare che la flebologia si impara ancora nella bottega artigianale
dove…“molta osservazione e poco ragionamento...” fanno la differenza.
TRAGUARDI e NUOVE FRONTIERE
in FLEBOLOGIA: PERCORSO STORICO
Questo Updates in Flebologia, raccolto dagli amici della Sezione Sud Italia
della nostra società, è l’esempio concreto di come la cultura flebologica si crei
in un continuo confronto tra il vecchio e il nuovo, il moderno e l’antico, il
giovane e il meno giovane.
Genovese G.
Mi auguro che la lettura, lo studio e soprattutto l’applicazione seria e costante
siano le armi in possesso di ciascuno di noi per portare avanti, seriamente, il
nostro lavoro di flebologi.
Antonio Tori
4
Un excursus storico delle supposizioni, delle prove e delle esperienze spesso
negative di cui è tessuto il lontano passato di questa specializzazione, è fondamentale per l’inquadramento dei traguardi raggiunti e di nuove frontiere dagli
stessi proposte.
La medicina dei tempi antichissimi fu essenzialmente empirica e su questo terreno si sviluppò la medicina “magica” prima e quella “popolare” poi, in stretta
connessione con l’osservazione critica della natura.
Anche se l’origine delle flebopatie sfuma nella leggenda, la malattia venosa
nasce con l’uomo, per il suo incedere bipede, quindi la sua preistoria inizia
dalla vita antropoide del periodo oligocenico prima e dell’homo sapiens poi,
fino ai giorni nostri.
Di questa storia così lontana ritroviamo nelle raffigurazioni incise sulle pareti delle caverne, i primi documenti di inestimabile valore che portarono alla
formazione del pensiero medico in tempi molto più lontani. Così possiamo considerare come prova, la più antica dell’esistenza della malattia flebo-linfatica,
il graffito che appare su una rupe dell’Ennedi – deserto del Sahara- ; l’incisione
rupestre rappresenta un cacciatore molto stilizzato ma con l’arto inferiore sinistro quasi elefantiasico rispetto al destro.
Ovviamente non si conosce nulla su eventuali terapie effettuate, ma che si
riproducessero gli effetti di una malattia su un graffito rupestre, testimonia
l’importanza attribuita al “fenomeno” per la probabile diffusione. Si può ipotizzare un genere di “medicina empirica” da cui si sviluppò nei secoli una forma
di “medicina magica” che, grazie ad una osservazione sempre più razionale e
critica, portò alla “medicina popolare” in uso nell’antico Egitto.
La prima figura di medico che emerge dalla nebbia dell’antichità risale al 2600
a.C. grazie al primo trattato di chirurgia scritto dall’egiziano Imhotep; in questo
trattato, fra l’altro, veniva descritto l’uso corrente di bendaggi a X in caso di
5
vene varicose o “piaghe” delle gambe.
In seguito, il papiro medico di Ebers risalente alla XVIII dinastia dedicò l’ottava
di nove sezioni al cuore e ai vasi, sconsigliando però l’intervento chirurgico
sulle varici, nonostante la chirurgia avesse raggiunto notevoli traguardi.
Dovremo attendere il IV secolo a.C. per trovare nell’antica Grecia una prima
documentazione di “medicina popolare” diffusa: ne è testimonianza un grande
bassorilievo in marmo, ex-voto al Dio Asclepio, in cui è scolpita una grossa
gamba con una safena varicosa. Questo bassorilievo può essere considerato
come l’antesignano di tante altre testimonianze dipinte o incise in metalli preziosi nell’antichità e conservate in vari musei.
Mi piace ricordare che l’origine etimologica di “flebologia” e di “safena” proviene dal greco: flebes (vene, ma riferito anche alle arterie, senza distinzione
alcuna) e logos (studio) e ancora: safenés, che significa evidente, manifesta;
definivano così, gli antichi greci, la più grande delle vene superficiali dell’arto
inferiore.
Nel 460 a.C. nasceva a Coos il grande medico Ippocrate che, a compendio
di una vita spesa nell’attività di medico, studioso razionale e primo Maestro
ufficiale della Medicina, scrisse, insieme ai suoi figli medici e altri allievi, il
Corpus Hippocraticum.
Nasceva così la “medicina razionale”.
Nel Corpus veniva compendiato tutto il sapere della medicina antica fino al V
secolo a.C.; per quanto concerne la Flebologia, Ippocrate rifiutava l’incisione
delle vene varicose nel caso di gambe infiammate o edematose, cosa peraltro già sconsigliata dall’antica medicina egizia; preconizzava invece punture
ravvicinate della vena, praticate lungo tutto il suo decorso varicoso, così da
conseguirne la totale obliterazione, per effetto di trombosi indotta dalla lesione
dell’endotelio ( o anche per concomitante infezione locale, aggiungeremmo
oggi con le nostre conoscenze sull’asepsi).
Venivano così proposti i primi germi della futura scleroterapia!
Ippocrate aveva inoltre notato che gli Sciiti erano affetti da varici per il loro
continuo stare a cavallo, con le gambe penzoloni e i piedi imbrigliati dalle
staffe: si cominciavano a formare le prime osservazioni sulla stasi.
Nel trattato “de ulceribus”, Ippocrate oltre a dare indicazioni quanto mai attuali
sulle medicazioni (asciutte, non umide!) delle ulcere, sottolinea l’importanza
6
del bendaggio compressivo.
Nel 150 d.C. Galeno, nativo di Pergamo, si trasferì a Roma e divenne il più
famoso medico dell’epoca per la grande esperienza accumulata nell’assistenza
medica dei gladiatori; tanta esperienza ebbe come frutto la produzione di 400
trattati; in alcuni di questi venivano ampiamente descritte le vene e le arterie,
la loro differente struttura di parete, nonché la differente qualità del contenuto,
distinguendo il sangue proveniente dal fegato come creatore di “spiriti naturali”, quello proveniente dai polmoni creatore di “spiriti vitali”, mentre quello
proveniente dal cervello trasportava gli “spiriti animali”: commise così, il grave
errore di asservire le proprie conoscenze ad un rigido dogmatismo teologico.
Gli studi più importanti dal punto di vista flebologico verranno però descritti
nel 400 da Oribasio di Pergamo che, sintetizzando il sapere medico greco e romano in 70 volumi, descriveva con grande correttezza il suo intervento chirurgico per le varici, dall’isolamento della vena alla legatura e sezione della stessa
e delle sue collaterali.
Nel VII secolo Aezio D’Amida, medico in Bisanzio, scrisse e pubblicò un compendio medico di 16 libri; in uno di questi, il Tetrabiblion, viene descritta con
accuratezza e precisione la legatura delle varici; ed è proprio rifacendosi ad
esso che Paolo di Eghina, nel sesto dei suoi sette libri pubblicati con il titolo
“Epitome medicae” , sottolinea l’importanza del tronco safenico in rapporto
alla evoluzione della malattia varicosa.
Paolo praticava legature e resezioni a partire da qualche centimetro al di sotto
della giunzione safeno-femorale e procedeva così:
“ … Il procedimento aveva inizio con il lavaggio dell’arto, l’applicazione di
un laccio alla radice della coscia e deambulazione; quando le varici cominciavano a svuotarsi se ne segnava il percorso con inchiostro; poi, posizionando
il paziente con la gamba sollevata, si poneva un altro laccio al ginocchio e
si faceva un’incisione con tagliente lungo il disegno precedentemente effettuato; si faceva attenzione a non praticare un’incisione molto profonda per
non tagliare sbadatamente il vaso; allargate le labbra della ferita con uncini,
con uno specillo curvo si dividevano le membrane apparse alla vista, così da
evidenziare bene la vena e scollarla all’interno. Si poteva sciogliere quindi il
laccio alla coscia e, sollevata la vena con uncino, passarvi sotto un ago con doppio filo e tagliare poi l’ansa onde avere due fili; aperta la vena con una lancetta
7
ed evacuatala di molto sangue, si procedeva con fili ad una legatura a monte in
un primo tempo, a valle in un secondo tempo; quando si fosse svuotato pure il
segmento distale con la compressione della gamba mediante le mani; il tutto era
completato con l’ablazione del tratto intermedio o col lasciarlo in sito a riassorbirsi…… il trattamento della ferita mediante batuffolo di cotone imbevuto di
vino e d’olio ( come già menzionato per l’ulcera), non si trascurava il bendaggio”. La descrizione appena esposta, risale al 600 d.C. e bisognerà attendere
altri 1300 anni per ritrovarla pedissequamente riproposta dal Trendelenburg
nel ‘900; non è esagerato affermare che in chirurgia (e non solo flebologica)
per oltre un millennio non vi furono novità di rilievo: la religione, supportata
dall’inquadramento teologico delle teorie di Galeno, aveva obnubilato la “medicina razionale” , arrestando così il progredire della scienza.
Dai primi graffiti preistorici che documentavano le flebolinfopatie, la lenta
trasformazione delle conoscenze empiriche in elaborato razionale di medicina
scientifica ha visto un graduale evolversi del pensiero umano in un affinamento
di terapie i cui semi avevano cominciato già a svilupparsi nel 2600 a.C. fino a
fiorire, nel 600 d.C., grazie alla scuola chirurgica bizantina.
A prescindere dai vari tentativi di paludare le mummie con abiti novecenteschi, la nascita dell’era moderna della Flebologia penso vada collocata ai nostri
primi anni ’80, grazie all’evolversi delle moderne tecnologie: lo studio con gli
ultrasuoni del sistema vascolare, in generale, e di quello venoso in particolare,
ha consentito quel grande salto di qualità che possiamo indubbiamente definire
un traguardo dell’era moderna.
I traguardi, però, possono diventare una prigione delle idee, se non spostiamo
ancora quegli orizzonti ormai raggiunti, inseguendone sempre di nuovi.
Se Trendelenburg, riproponendo la “safenectomia corta” di Paolo di Eghina,
avesse potuto disporre di un Ecocolordoppler, avrebbe potuto interpretare meglio quella distinzione topografica fra le varie regioni del corpo umano, proponendo una chirurgia meno radicale. Già nel 1490 il genio di Leonardo da Vinci
applicato agli studi anatomici del corpo umano, aveva sottolineato l’importanza
del sistema venoso della regione addominale che drenava nella vena femorale,
incrociando quello dell’arto inferiore.
Non mi sembra quindi di esagerare nel definire geniali gli studi di Claude Franceschi sull’emodinamica venosa dell’arto inferiore: l’utilizzo di uno dei tra8
guardi dell’era tecnologica, gli ultrasuoni, gli ha consentito di inaugurare l’era
della moderna Flebologia.
Certamente il superamento delle nuove frontiere sta proprio nel saper superare
alcuni integralismi derivati da tali studi, anche se giustificati dall’entusiasmo
per le nuove strade aperte: sono questi i traguardi raggiunti, queste devono essere le nuove frontiere da superare!
Vorrei concludere, così come nella Prefazione a questo volume, con le parole
del Pazzini, considerate alla luce di quanto esposto in questo capitolo: “ … veder l’oggi nell’ieri, il domani nell’oggi delle “ideuzze” del passato – con i nostri
MEZZI ATTUALI – per fonti di ispirazione e progresso. “
BIBLIOGRAFIA:
1. LEONARDO DA VINCI “QUADERNI DI ANATOMIA” IV°:
FOLIO 8 RECTO.
1490
2. TESTUT-LATARJET “ANATOMIA UMANA.” Vol.II°, pp.992-998.Ed.UTET
1972
3. GENOVESE G. “Superficial Epigastric Vein Sparing in Saphenous-Femoral
Crossectomy”. 26th World Congress of the International College of Surgeons,
Milan-Italy.
1988
4. FRANCESCHI C. “Théorie et pratique de la Cure Conservatrice et Hémodynamique
de l’insuffisance Veineuse en Ambulatorie”. Editions de l’Armançon.
1988
5. DONADI GC, GENOVESE G. “FLEBOLOGIA”. Nuove Edizioni, Milano
1994
6. GENOVESE G. “CHIRURGIA delle VENE dei LINFATICI”, pp. 18-19,
Masson Editori.
2003
7. GEOVESE G. “News on Crossectomy of Sapheno-Femoral Junction”.
MAIN LECTURE 15th of the I.U.P. WORLD CONGRESS, Rio de Janeiro, Brasil 2005
8. GENOVESE G. “Treatment of Varicose Veins News” MAIN LECTURE,
WORLD CONGRESS ASIAN CHAPTER of the I.U.P. Kyoto, Japan.
2007
9. GENOVESE G. “News on Crossectomy of Sapheno-Femoral Junction”
International Angiology, Vol. 26, n.2, pp.68.
2007
10. MARIANI F. “SELECTIVE CROSSECTOMY”, of the great saphenous vein:
result at five years, Acta Phlebologica, Vol. 9, n.1, pp. 6.
2008
11. GENOVESE G. “ROL DE LAS COLATERALE EN LA RECIDIVA DE LEV”.
MAIN LECTURE XIV CONGRESO INTERNACIONAL del Colegio
Argentinode Cirugia Venosa y Linfatica, Buenos Aires, Argentina.
2010
9
1.
Fisiopatologia
ed emodinamica
DEL SISTEMA VENOSO
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
1.1 - Anatomia del sistema venoso
degli arti inferiori.
Cardamone B., Sellitti A., Apperti M., Di Filippo A., Quarto G.
ABSTRACT:
The venous system of the lower limbs is composed by two main systems: deep
and superficial system, divided by aponeurotic fascia. Valves are presents in
both systems, but the number decreases, going to the upper part of the limbs.
There are also perforating veins which let communicate the two systems, but
only in one direction (from superficial to deep system). Communicating veins
connect two different districts in the same system. Collateral veins converge
into main veins of the same district. The deep venous system is made by veins
which are near the deep arteries of the limbs. The most important superficial
veins are short saphenous and long saphenous vein. They converge respectively
into popliteal vein and femoral vein. Many anatomic variants of these crosses
are possible, and that can be a reason for surgical failure.
INTRODUZIONE:
Il sistema venoso dell’arto inferiore è formato da una rete che origina distalmente a livello del piede e confluisce nella v. femorale nella regione inguinale.
Può essere distinto in:
1. Superficiale
2. Profondo
I due sistemi sono separati dalla fascia aponeurotica, per cui si può anche parlare rispettivamente di sistema sopra- e sotto-fasciale. Ambedue i sistemi sono
provvisti di valvole, il cui numero diminuisce progressivamente dal basso verso
l’alto, e sono raramente presenti o del tutto assenti nella v. cava inferiore. Le
poche valvole della v. femorale e le prime due della g. safena sopportano quindi
tutto il peso della colonna di sangue.
Tra i due sistemi esistono connessioni transfasciali: le vene perforanti, che, in
12
1.1 - Anatomia del sistema venoso degli arti inferiori
condizioni normali, consentono il flusso del sangue dalla superficie alla profondità, grazie alla presenza di valvole unidirezionali, tranne che a livello del
piede, dove, per l’assenza di valvole, il flusso ematico dal sistema venoso profondo si dirige in quello superficiale.
Per evitare confusioni terminologiche, è bene ricordare che esistono vene:
1. Perforanti: perforano la fascia muscolare, spesso accompagnate da un rametto arterioso e talvolta anche da un ramo nervoso sensoriale;
2. Comunicanti: connettono due differenti distretti di uno stesso sistema venoso (v. anastomotica di Giacomini, v. circonflessa femorale mediale);
3. Collaterali: assieme ad altre simili convergono in vene collettrici dello stesso distretto.
Qualche Autore distingue le perforanti in:
1. Dirette: connettono direttamente il principale collettore di un distretto superficiale con il circolo profondo;
2. Indirette: la connessione si verifica attraverso un ramo collaterale.
SISTEMA VENOSO PROFONDO:
Origina a livello della pianta del piede, dall’arco plantare profondo, e dal dorso,
con la confluenza nelle vene tibiali, anteriori e posteriori (vene propulsive, dotate di valvole) che si accompagnano alle arterie omonime e che, dopo la confluenza con le vene peroniere, passando al di sotto dell’arco tendineo del soleo,
formano la v. poplitea. Durante il decorso ricevono numerose vene muscolari;
da segnalare una ricca rete venosa, quella del soleo, formata da spazi venosi di
ampio calibro, avalvolati, tortuosi, di tipo sinusoidale, interposti tra vene tibiali
posteriori e peroneali.
La vena poplitea passa quindi sulla faccia mediale della coscia, nel canale degli
adduttori, diventando v. femorale superficiale; essa costeggia il margine mediale del m. sartorio e si dirige nel triangolo di Scarpa, ove riceve la v. femorale
profonda formando così la v. femorale comune. Quest’ultima passa al di sotto
del legamento inguinale e si continua come v. iliaca esterna.
13
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
SISTEMA VENOSO SUPERFICIALE:
Origina a livello della pianta del piede, con l’arco venoso superficiale plantare,
che dà vita alle due vene marginali del piede (mediale e laterale), e dal dorso,
con l’arco venoso superficiale dorsale, da cui partono le vene marginali mediale
e laterale, che rappresentano l’origine delle due vene safene.
Dalla vena marginale laterale si sviluppa la vena piccola safena, che origina
dietro il malleolo laterale e risale lungo il margine laterale del tendine calcaneare. A metà della gamba diventa sottofasciale, posizionandosi tra i due capi del
m. gastrocnemio, e raggiunge il cavo popliteo ove confluisce nella v. poplitea
ad altezza variabile. Essa riceve numerose collaterali della faccia posteriore e
laterale della gamba e una comunicante piuttosto importante, la vena anastomotica di Giacomini, che, dal cavo popliteo, si dirige sulla faccia mediale di
coscia confluendo nella v. g. safena; talvolta può raggiungere la g. safena direttamente alla crosse safeno-femorale.
Dalla vena marginale mediale del piede, 1 cm al davanti del malleolo mediale,
origina la vena grande safena, che sale verticalmente sulla faccia mediale di
gamba, ricevendo collaterali attraverso le quali si connette a vene perforanti.
A livello del ginocchio, circonda il condilo femorale mediale ed è in stretta
connessione con il nervo safeno. Alla coscia, segue il margine mediale del m.
sartorio, da cui si separa nel triangolo di Scarpa: qui, con un decorso ad arco,
perfora la fascia cribriforme in corrispondenza della plica di Allan-Burns e confluisce nella v. femorale.
Essa è dotata di più di 10 valvole, di cui le più importanti funzionalmente sono
quella situata a livello della giunzione con la v. femorale (valvola ostiale) e
quella pre-ostiale, situata circa 3-4 cm al di sotto di essa.
Nel suo decorso riceve numerose collaterali, sia a livello della gamba (vene sottocutanee anteriori e mediali, tra cui la c.d. vena di Leonardo), che della coscia
(vena di Giacomini).
Alla crosse, confluiscono nella g. safena:
1. Collaterali prossimali o superiori: vene pudende esterne (2), vena circonflessa iliaca superficiale, vena epigastrica inferiore superficiale;
2. Collaterali distali o inferiori: safena accessoria mediale e laterale
14
1.1 - Anatomia del sistema venoso degli arti inferiori
Il numero, la disposizione, la confluenza delle collaterali è quanto mai variabile: nel 25% dei casi possono raggiungere direttamente la v. femorale singolarmente o confluendo in un unico tronco. Inoltre si possono trovare variazioni
anatomiche congenite della crosse, quali:
1. Crosse a Y: confluenza di due vene safene nella fossa ovale;
2. Crosse doppia: doppia confluenza safeno-femorale da parte di due safenedistinte;
3. crosse ad H: confluenza di due vene safene (di cui una accessoria) immediatamente prima dello sbocco nella v. femorale;
SAFENE ACCESSORIE:
Possono essere distinte dalle collaterali per la struttura della parete (tunica media spessa) e per la topografia (le collaterali decorrono in prossimità della safena principale). Possono confluire nella crosse della safena
principale, direttamente nella vena femorale, al di sopra o al di sotto
della crosse, oppure in un collaterale della crosse.
PERFORANTI:
Sono numerose, particolarmente a livello della gamba. Tra le più importanti funzionalmente è bene ricordare:
1. perforanti di Cockett: almeno 3, situate sulla faccia mediale di gamba, connettono il ramo collaterale postero-mediale della g. safena (v.
di Leonardo) con il sistema profondo;
2. peforante di Boyd: situata al di sotto del condilo mediale tibiale, connette la g. safena alla rete del soleo;
3. perforante di Dodd: nel canale di Hunter, connette la g. safena alla v.
femorale superficiale.
15
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
3.
Testut L, Jacob O. Trattato di Anatomia Topografica. Ed. UTET, Torino, 1974, pp. 552795.
Blanchemaison P, Greney P. Atlante anatomico delle vene superficiali degli arti inferiori.
Ed. Minerva Medica, Torino, 1997.
Genovese G. Anatomia venosa dell’arto inferiore. In: Chirurgia delle Vene e dei Linfatici,
Masson Editore, Milano, 2003.
1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti
1.2 - La mappa emodinamica venosa
ed il rispetto dei sistemi drenanti.
Passariello F.
ABSTRACT:
PHYSIO-PATHOLOGIC PREMISES: Tissue drainage (TD) is provided
by the input-output pathways (I/O Paths or PI/O), which transport blood from
micro-circulation to right atrium. A fundamental function for TD is given by
the Trans-Mural Pressure (TMP), a quantity derived from the intravascular (iP)
and the extra vascular pressure (eP). A TMP decrease is favourable to TD and
can be achieved through an iP decrease.
THE HEMODYNAMIC VENOUS MAP: The Hemodynamic Venous
Map (HVM) or Cartography is the morphological and functional instrument,
which is also the prerequisite of any possible therapeutic strategy based on the
hemodinamics of the venous system. The HVM allows the detection of the PI/O,
the Cycles (Sh) and the global response of the venous system to the functional
manoeuvres. In addition, it’s possible to analyse the network structure (HVM
Analysis) to retrieve several other information which could be useful to
research, clinical practice and to the choice of a surgical strategy.
STRATEGY: All PI/O are draining pathways and vice versa all draining
pathways are PI/O. As a consequence, respecting the draining systems is
equivalent to respecting the PI/O. The basic non elementary structure which is
useful to the comprehension of the network hemodynamics is then the P-Shunt
(PSh), composed by a Sh and a PI/O which goes through it. Considering all the
PI/O going through the same Sh, we get the P-Shunt Set (PSS). In a PSh the aim
of the hemodynamic therapy is the Sh disconnection, preserving the lone PI/O.
The cut is effected on a branch which belongs to Sh but not to PI/O. In a PSS
the aim of the hemodynamic therapy is the Sh disconnection, while the strategy
must choose the most conservative cut, respecting the max number of PI/O in
16
17
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
PSS which are useful to DT. These remarks make evident the complexity and
the richness of information deriving from the MEV.
PREMESSE DI FISIOPATOLOGIA:
Il Ritorno Venoso (RV) è il flusso netto che giunge all’atrio destro attraverso
il sistema venoso, sistema capacitivo che varia volume e pressione in modo
locale e asincrono nei singoli distretti.
Man mano che ci si avvicina al cuore destro, sia in cava superiore sia in
inferiore, il flusso venoso è sempre meno dipendente dalle funzioni locali. Il
RV è il risultato della statistica del drenaggio venoso dei singoli distretti, così
come in un fiume la portata è dipendente solo dalla statistica del flusso dei suoi
affluenti, mentre risente poco delle loro variazioni locali.
Il drenaggio tissutale (DT) è la somma del drenaggio venoso e linfatico ed è
approssimativamente pari al drenaggio venoso, in quanto il drenaggio linfatico
distrettuale è generalmente trascurabile e nei distretti caudali confluisce nel
sistema venoso solo al livello del dotto toracico.
Organi del sistema venoso che assicurano il DT sono:
1. i percorsi ingresso-uscita (I/O Paths o PI/O), che trasportano il
sangue dal microcircolo all’atrio destro
2. le pompe: toraco-addominale, valvulo-muscolare e plantare1
Una funzione fondamentale per il DT è svolta dalla Pressione Trans-Murale
(TMP), grandezza derivata dalla pressione intra-vasale (iP) ed extra-vasale
(eP)1:
I valori di eP sono variabili nel lungo periodo oppure per cause esterne, ad
es. per variazione della pressione atmosferica o altitudine, per immersione in
acqua o per uso di un tutore elastico.
All’opposto, i valori di iP possono cambiare molto velocemente. L’organismo
può allora regolare iP per controllare TMP, in quanto, a parità di eP nel breve
periodo, le variazioni di iP si riflettono su TMP, hanno la stessa direzione e sono
18
1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti
numericamente identiche.
Una riduzione della TMP è favorevole al DT e può essere ottenuta mediante il
decremento di iP.
La riduzione del drenaggio venoso provoca invece incremento di iP e di TMP.
LA MAPPA EMODINAMICA VENOSA:
La Mappa Emodinamica Venosa (MEV) o Cartografia è lo strumento
morfologico e funzionale prerequisito di ogni possibile strategia terapeutica
basata sull’emodinamica del sistema venoso. La MEV è il risultato di un
esame EcoDoppler molto più approfondito rispetto all’indagine standard
comunemente eseguita2.
Molto sinteticamente, la MEV permette di riconoscere i PI/O, i Cicli (Sh)
e di rilevare la risposta globale delle rete venosa alle manovre funzionali. Il
valore della MEV tuttavia non si riduce solo a queste informazioni, in quanto
è possibile analizzare la struttura della rete (MEV Analysis3,4,5) per trarre
numerose altre informazioni utili per la ricerca, per la pratica clinica e per la
scelta della strategia chirurgica.
Questi ulteriori approfondimenti richiedono l’elaborazione automatica al
computer (MEV computerizzata o MEVc6,7,8).
STRATEGIA:
Il drenaggio venoso avviene attraverso i PI/O. Tutti i PI/O sono drenanti e viceversa
tutti i percorsi drenanti sono PI/O. Il rispetto dei sistemi drenanti equivale quindi
al rispetto dei PI/O.
Particolare attenzione deve essere rivolta a strutture notevoli della MEV, che
comportano la composizione di flussi di drenaggio (che riducono il volume dei
distretti venosi) e reflussi (che invece li sovraccaricano in volume).
19
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
1.2 - La mappa emodinamica venosa ed il rispetto dei sistemi drenanti
5.
Sh è una struttura chiusa che riporta il flusso al punto di partenza. Perché sia
attivo, Sh deve essere rifornito e svuotarsi, deve essere cioè attraversato da un
PI/O.
La struttura base non elementare utile per la comprensione dell’emodinamica
di una rete è allora il P-Shunt (PSh), composizione di Sh e di un PI/O che lo
attraversa.
Qualora si considerino tutti i PI/O che attraversano uno stesso Sh, si ottiene il
P-Shunt Set (PSS).
In un PSh lo scopo della terapia emodinamica è la deconnessione di Sh,
preservando l’unico PI/O. Il taglio si effettua in un ramo che appartiene solo allo
Sh.
Il PSS è la struttura della MEV che costituisce la base del ragionamento
emodinamico.
Lo scopo della terapia emodinamica è la deconnessione di Sh, mentre la strategia
deve scegliere il taglio più conservativo, rispettando il massimo numero di PI/O
in PSS utili al DT9,10,11,12.
Passariello F. Extra-Saphenous Non Pelvic Refluxes. Presented to the “Second International
Days of Phlebology”, Parma, May 30th - 31st 2008. Acta Phlebol, 2008; 9: 89-90.
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7. Passariello F. La Mappa Venosa Ecografica degli Arti Inferiori. Rilevazione, Teoria e
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11. Passariello F. Intelligenza artificiale e Chirurgia Vascolare venosa. Elaborazione automatica
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12. Passariello F. Il Modello VNet per la Simulazione Chirurgica Venosa. Min Cardioangiol,
2006; 54 (Suppl. 1 al n. 6):132-3
Le osservazioni fin qui presentate rendono conto della complessità e della
ricchezza delle informazioni desumibili dalla MEV e dalla MEVc.
L’approfondimento sui metodi di indagine e di calcolo esula comunque
dal contesto clinico e fisiopatologico trattato in questo articolo, con rigore
matematico anche eccessivo.
BIBLIOGRAFIA
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20
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New York, 2009.
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Passariello F. Suppression of the sapheno-femoral reflux by pure non-saphenous phlebectomy
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Passariello F. MEV analysis and reservoir effect. Acta Phlebologica, 2008 December;
9(3):109-13.
21
2.
Mappaggio
morfo-funzionale
e trattamento
delle varici
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi
tronchi venosi
Bernardini E.
ABSTRACT:
OBJECTIVES: Hemodynamic principles suggest that primary venous
insufficiency follows the hydrostatic column of venous pressure of the limbs,
and therefore, venous reflux begins at the lower points and rises upwards. To
test the hypothesis of an ‘‘ascending development’’of reflux, we carried an
observational study to analyze the natural evolution of lower limb venous
insufficiency.
MATHERIALS AND METHODS: During a 9-year period patients with
primary superficial venous disease, who refused treatment, were followed
prospectively with 6-month scheduled clinical and duplex ultrasound
examinations. Localization, stage, and evolution of the venous patterns were
compared.
RESULTS: A total of 104 limbs in 99 patients were analyzed (12 males,
92 female; mean age 48.7 years). Prevalence of reflux was ( p < 0.001) more
frequent along great-saphenous and its tributaries (78/104, 75%) than nonsaphenous veins. The time of re-examination ranged from 1 to 13 years (mean
4 ± 3.1 years). With the exception of six remaining stable, all the veins showed
a progression of insufficiency (94%); 47 involved deep circulation. In all the
worsened refluxes, an extension to reach one or more venous segments at an
upper level, uninvolved before, was found. There was no downward oriented
pattern of progression. There was no significant difference in age, gender, and
type of vein between the stable and progressive diseases.
CONCLUSIONS: Natural history of primary venous insufficiency is that of
a progressive disease, which begins at lower levels of the limbs and develops in
an antegrade manner as venous stasis is higher where force of gravity is higher.
24
2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi
This data do not support the aggressive and widespread treatment of terminal
valve as first approach, but need to be supported by larger studies.
INTRODUZIONE:
Fin dalla sua nascita la terapia sclerosante si è sempre prefissata di ottenere
l’obliterazione del vaso allo scopo di eliminare il reflusso venoso. La tendenza
alla ricanalizzazione, nell’arco di pochi mesi, del vaso sclerosato ci fa essere
pienamente d’accordo con coloro che asseriscono che la tecnica sclerosante
degli assi safenici deve essere considerata solo una alternativa allo stripping non
avendone la stessa efficacia ablativa. Questo perché la ricanalizzazione della
vena è sempre stata considerata una evoluzione indesiderata, un insuccesso,
quindi, una recidiva. Illustri autori hanno pubblicato, a più riprese, numerosi
lavori sulla materia (Wallois, Ouvry, Schadeck), evidenziando però una totale
discordanza tra il risultato clinico, positivo fino al 95% circa dei casi, e quello
strumentale, solitamente negativo per la evidenziazione ecografica della
pervietà vasale con un flusso che non rientrava negli scopi della metodica. Ma
se il paziente, che è il diretto interessato, dichiara un netto miglioramento, sia
funzionale che estetico, ciò significa che si sono verificate delle modificazioni
emodinamiche che hanno influito positivamente dal punto di vista clinico
nonostante la ricanalizzazione e presumibilmente anche in merito ad essa.
La domanda, a questo punto, nasce spontanea: perché dobbiamo continuare
a considerare la ricanalizzazione un insuccesso, quindi una recidiva, e non il
contrario, includendola tra i principali fini della metodica?
FINALITÀ ED EVOLUZIONE DELLA SCLEROSI:
Se andiamo ad analizzare l’evoluzione della sclerosi con un’ottica diversa, non
ablativa, ma emodinamica e conservativa, possiamo riscontrare una serie di
modificazioni od effetti evolutivi che giustificano una totale revisione della
metodica sclerosante.
Evoluzione della sclerosi:
25
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
1. ricanalizzazione;
2. fibrosi parietale;
3. riduzione di calibro;
Di rilevante importanza, dal punto di vista emodinamico, la constatazione,
pressoché costante, di una riduzione di calibro, rispetto a quello iniziale, del
30-80%, variabile da caso a caso. Questo, di per sé, determina una riduzione
della portata del reflusso con conseguente diminuzione del diametro delle
varici e riduzione della stasi venosa, rilevabili all’esame clinico, e con un netto
miglioramento funzionale, dichiarato dal paziente.
Ma altrettanto importanti sono gli effetti evolutivi della sclerosi, analizzabili
con un accurato studio emodinamico, seriato, dal momento della formazione
dello sclero fino ad alcuni mesi dopo la ricanalizzazione ed oltre, associati ad
alcuni principi emodinamici.
Effetti evolutivi della sclerosi:
1. la sclerosi, effettuata a qualsiasi livello, o direttamente sull’asse
safenico (R2) o sul suo ramo collaterale (R3), sede del reflusso (R2-R3),
determina un frazionamento della colonna idrostatica con conseguente
riduzione della pressione venosa e della portata del reflusso e con
una netta riduzione del sovraccarico a livello delle vene perforanti di
rientro;
2. la sclerosi, effettuata sul ramo collaterale safenico, sede del reflusso,
determina una riduzione di diametro sull’asse safenico refluente
soprastante lo sclero, senza che tale segmento safenico sia stato
interessato dalla sclerosi;
3. la ricanalizzazione si è evidenziata, nella totalità dei casi, nell’arco di
1-3 mesi, ma costantemente con una riduzione di diametro del 30-80%,
con un flusso anterogrado nel 54% dei casi, retrogrado nel restante 46%.
Ciò significa che in circa metà dei casi si è verificato, per la riduzione
del diametro, un riallineamento valvolare;
4. nei casi ricanalizzati con flusso anterogrado, in quelli con valvola
terminale inizialmente incontinente, si è verificata in molti casi una
negativizzazione della manovra compressione-rilasciamento e in alcuni
anche la negativizzazione della manovra di Valsalva. Ciò significa
26
2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi
che l’iniziale incompetenza della valvola ostiale, testata con manovra
di compressione-rilasciamento e con la manovra di Valsalva, si è
negativizzata dopo il trattamento in gran parte dei casi. Ciò dimostra
che l’incontinenza ostiale è regredibile, quindi curabile. La crosse
viene trattata, successivamente, chirurgicamente o con ecosclerosi,
solo quando il frazionamento della colonna idrostatica non sortisce
un sufficiente effetto riduttivo del suo diametro e quindi la patologia
non regredisce. Ciò avviene solitamente nei casi con incontinenza
dell’intero asse safenico (circa il 3% delle incontinenze safeniche) o
con reflusso R1-R2-R3 per lo più a diametro elevato (oltre i 10 mm).
Complessivamente non sono molti.
CONSEGUENZE EMODINAMICHE
SCLEROTERAPIA:
E
CLINICHE
POST-
Conseguenze emodinamiche post-ricanalizzazione:
1. conservazione del drenaggio safenico;
2. mantenimento di un flusso:
I. anterogrado attraverso l’ostio safeno-femorale o safenopopliteo;
II. retrogrado attraverso una o più vene perforanti di rientro
centrate sull’asse safenico e/o lungo il decorso del ramo
collaterale refluente, con costante riduzione del diametro,
che determina:
a) la riduzione della portata ematica nel tronco
safenico refluente pre-trattamento;
b) la diminuzione o soppressione dell’ipertensione
venosa per la frammentazione della colonna
di pressione idrostatica determinata, in una
buona parte dei casi, dal riallineamento
valvolare in segmenti non interessati dallo
sclero.
27
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
Conseguenze cliniche:
1.
netto miglioramento funzionale per la soppressione della stasi;
2.
scomparsa o drastica diminuzione del volume delle varici.
PROTOCOLLO ESEC (Eco-Sclerosi Emodinamica Conservativa):
Per ottenere con la ricanalizzazione tutti gli effetti evolutivi favorevoli occorre
che la terapia sclerosante sia finalizzata alla conservazione dei vasi e non
all’obliterazione. Quindi gli agenti sclerosanti devono avere un dosaggio
inizialmente molto basso, sia in concentrazione che in quantità, possono, ma non
devono obbligatoriamente, essere schiumosi (mousse) e devono essere iniettati
in punti precisi, seguendo una strategia terapeutica stabilita dopo un accurato
studio emodinamico effettuato con eco-color-doppler. Dosaggi iniziali: 0,30,5% per l’agente sclerosante liquido, 0,1-0,3% per la scleromousse.
L’ESEC, nata 17 anni fa e perfezionata nel tempo, oltre a sfruttare gli effetti
evolutivi della sclerosi, ha come cardini due evidenze emodinamiche:
1. l’evoluzione per lo più ascendente della malattia varicosa
2. il “lavaggio” dei vasi alle confluenze con altri rami profondi, safenici,
collaterali o perforanti che, di fatto, impedisce la progressione
ascendente dello sclero o del trombo (nel caso di trombosi venosa
spontanea, non provocata dalla sclerosi)
Il protocollo della E.S.E.C. è fondamentalmente diverso da quello della
scleroterapia tradizionale che considera la ricanalizzazione un insuccesso.
A ricanalizzazione avvenuta occorre di nuovo effettuare sempre uno studio
emodinamico per verificare se persiste un reflusso, da non confondere col
deflusso, anterogrado o retrogrado nelle perforanti di rientro senza salto di
compartimento, perché in quest’ultimo caso abbiamo ottenuto comunque un
sistema drenante. In caso di reflusso possiamo iniettare nuovamente il liquido
o mousse sclerosante, ma a dosaggio spesso più basso di quello utilizzato
l’ultima volta perché il diametro del vaso è comunque diminuito. E questo verrà
ripetuto, se necessario, più volte fino a che non abbiamo ottenuto un deflusso
post-ricanalizzazione.
28
2.1 - L’E.S.E.C. nelle incontinenze dei grossi tronchi venosi
CONCLUSIONI:
L’evolutività e la cronicità della malattia varicosa rende impossibile la
guarigione, con qualunque metodica si intervenga, ma con l’E.S.E.C. siamo
in grado di tenerla sotto controllo quasi incruentamente, soddisfacendo le
attese dei pazienti trattati, che ricordiamo essere soprattutto la scomparsa della
sintomatologia e delle varici compatibilmente al mantenimento, pressoché
totale, del loro sistema venoso primitivo.
BIBLIOGRAFIA:
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Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Echo-Sclerosis
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2. Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Ambulatory and
Haemodynamic treatment of venous insufficiency by ultrasound-guided sclerotherapy
(ESEC cure). Ann Vasc Surg, Volume 24, Issue 6, August 2010, Pages 709-720.
3. Bernardini E, De Rango P, Piccioli R, Bisacci C, Pagliuca V, Genovese G, Bisacci
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Observational and hemodynamic data from a 9-year experience. Ann Vasc Surg, 2010 Aug;
24(6): 709-20.
29
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
2.2 - La cura CHIVA:
Riflessioni sui criteri di scelta
terapeutica, conservativi o demolitivi,
nel trattamento delle varici degli arti inferiori.
Ermini S.
ABSTRACT:
CHIVA method is performed in Italy in a proportion of patients treated for
varicose veins between the 1% and 2%. However the results of treatment
with CHIVA method are better than any other method, as shown by 4 RCTs
and by a Review of the Cochrane Library being printed. Also the use of the
saphenous vein in coronary artery bypass graft and popliteal bypass is validated
by a Review of Cochrane Library. If vascular surgeon decides to implement
procedures other than the CHIVA, he should inform patients about the actual
results to 10 years and the loss of possibility to use the saphenous vein for a
life-saving intervention.
INTRODUZIONE:
La cura CHIVA è il trattamento conservativo emodinamico delle varici.
L’emodinamicità vàdi pari passo con la conservazione del drenaggio venoso
negli assi safenici ed in gran parte delle collaterali; è la caratteristica essenziale
che contraddistingue questa metodica.
La superiorità a 5 e 10 anni dei risultati della cura CHIVA nei confronti dello
stripping è validata da 4 trials prospettici randomizzati (RCT). Poiché lo
stripping è considerato il “Gold Standard” delle terapie demolitive, tutto quanto
vale per le altre metodiche demolitive verso lo stripping, vale, di riflesso, verso
la CHIVA.
30
2.2 - La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento delle varici degli arti inferiori
LA METODICA CHIVA:
La cura CHIVA si basa su una rigorosa analisi cartografica delle varici eseguita
in orto-dinamismo, è estremamente flessibile ed attuabile in tutti i casi di IVS
(insufficienza venosa superficiale), indipendentemente dal calibro degli assi
safenici e dalla taglia delle varici che non condizionano i risultati della metodica.
In considerazione di ciò e dei citati RCT, la cura CHIVA è per l’IVS il trattamento di prima scelta.
Tuttavia esistono oggi numerose metodiche per trattare le varici ed è luogo
comune affermare che il flebologo moderno deve selezionare i pazienti scegliendo quella più appropriata.
In relazione a questa realtà ci sono varie considerazioni che non possono essere
trascurate:
1. le varici sono state suddivise da C. Franceschi nel 1988 in vari tipi di
circolazioni private (shunts) che tengono conto della presenza o meno
di un punto di fuga e della sede del rientro del flusso retrogrado safenico. Le modalità del rientro non influiscono sulle scelte demolitive; al
contrario, la tipologia del punto di fuga dovrebbe essere sempre valutata in una prospettiva terapeutica sia demolitiva che conservativa;
2. le metodiche per trattare le varici si possono raggruppare in demolitive
e conservative emodinamiche (CHIVA). Le cure demolitive comprendono i vari tipi di stripping e le tecniche di occlusione vasale quali il
laser endovenoso, la radiofrequenza, la scleromousse. La finalità è comunque sempre quella di sopprimere il tronco safenico e le collaterali;
i criteri di scelta dovrebbero rispondere oggi alla Evidence Based Medicine.
La EBM tiene conto dei risultati clinici, e cioè di quanto validato dai RCTs.
Le decisioni cliniche secondo EBM dipenderanno quindi dall’interazione fra
l’utilizzo delle migliori evidenze scientifiche disponibili (RCTs) e l’esperienza
del medico, che però non è esonerato da un aggiornamento professionale continuo.
31
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
2.2 - La cura CHIVA: Riflessioni sui criteri di scelta terapeutica, conservativi o demolitivi, nel trattamento delle varici degli arti inferiori
STRATEGIE TERAPEUTICHE:
I.
Per quanto detto, l’etica professionale nel trattamento delle varici si dovrebbe
estrinsecare in:
1. conservare ciò che è sano e cercare di recuperare ciò che può essere
compromesso solo in modo reversibile;
2. informare il paziente sulla possibilità di usare la safena per un eventuale
by pass;
3. informare il paziente sui risultati a distanza delle varie metodiche
(RCTs).
La tipologia del punto di fuga è l’elemento a comune dei vari trattamenti, demolitivi e conservativi. Analizzeremo con vari esempi come la chirurgia demolitiva non si rapporta con i patterns emodinamici dei punti di fuga, ma bensì quasi
tutti li trascura.
II.
Vediamo alcuni esempi e riflettiamo sulla scelta terapeutica:
1. Varici safeniche ad origine ostiale con valvola terminale incontinente. I
fattori da prendere in esame per la scelta terapeutica scaturiscono dalle
seguenti considerazioni:
I.
II.
è etico demolire una safena solo perché la cross è refluente,
associandosi o meno all’incontinenza di altri tratti? La maggior parte delle safene che oggi operiamo hanno un calibro inferiore ai 7 mm., non hanno gozzi, sono incontinenti in media
per 3-4/6 della loro lunghezza, il loro calibro si riduce del 3040 % dopo correzione emodinamica. Le safene tortuose sono
< 1‰;
la prospettiva dei risultati a distanza (RCTs).
2. Varici safeniche con incontinenza dell’arco safenico e continenza della
valvola terminale. Riguardano il 45% delle incontinenze safeniche. Si
associano nell’80% a safene che hanno un diametro < 5 mm. I fattori da
prendere in esame per la scelta terapeutica scaturiscono dalle seguenti
considerazioni:
32
è etico intervenire sulla cross safeno-femorale anche se continente?
è etico demolire safene così piccole?
3. Punti di fuga di origine pelvica: rappresentano punti di fuga che possono con facilità recidivare dopo il trattamento. La recidiva di un punto
di fuga post-stripping può dar luogo a recidiva di varici anche in distretti dove prima del trattamento non erano presenti vasi dilatati. In
presenza della safena la recidiva varicosa da un punto di fuga è legata
alla capacità aspirativa del punto di rientro e fintanto che permane un
equilibrio emodinamico non si hanno nuove varici. Quali sono quindi
le tecniche demolitive che trovano una indicazione logica nel trattamento di questo tipo di varici?
4. Shunts (circolazioni private) sistolici (che compaiono durante la fase
di contrazione muscolare): si ritrovano spesso sulla cross safeno - poplitea. Sono caratterizzati dalla presenza di un reflusso non solo diastolico (che compare durante la fase di rilasciamento muscolare), ma
anche sistolico-diastolico. Talvolta danno luogo ad un reflusso sistolico
anterogrado (diretto verso l’alto) sulla vena di Giacomini. Il reflusso
sistolico è dovuto ad un ostacolo al flusso nella rete profonda che determina un aumento della pressione laterale a livello popliteo. Non esistono, a mio parere, possibilità di trattamento per questa tipologia di
varici nell’ambito della chirurgia demolitiva, in quanto uno shunt sistolico è equiparabile ad uno shunt vicariante e dunque non può essere
soppresso.
CONCLUSIONI:
In conclusione il flebologo moderno dovrebbe adattare la sua scelta terapeutica
ai pattern emodinamici sopra enunciati ed agli RCTs, rispondendo così ai criteri
che caratterizzano la EBM.
Nell’esperienza di chi scrive, in questa logica non trova spazio l’indicazione
alle scelte demolitive.
33
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
BIBLIOGRAFIA:
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abstract. Cochrane Database of Systematic Reviews 2011 Issue 10, Copyright © 2011 The
Cochrane Collaboration.
Franceschi C. La Cure CHIVA - Editions de L’Armançon, 1988.
2.3 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa
2.3 - Mappaggio morfo-funzionale
e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa.
Sellitti A., Cardamone B., Di Filippo A., Goffredi L.,
Sellitti M. E., Quarto G, Apperti M.
ABSTRACT:
Ablative surgery is considered the gold standard for the treatment of varicose veins. It
is important to precede ablative operations by an accurate Echo-Color-Doppler study to
prevent or reduce technical errors. In fact hemodynamic assessment of varicose veins
determines the kind of operation (long strip, short, ultra-short or simply varicectomy).
This research has reduced considerably the classic operations of stripping.
INTRODUZIONE:
La chirurgia ablativa, alla luce delle consolidate acquisizioni di emodinamica ed
effettuata con accuratezza e precisione, resta, a nostro avviso, il pilastro della chirurgia
delle varici. L’obiettivo è quello di ottenere un risultato funzionale ed estetico
soddisfacente e duraturo nel tempo.
Prevede:
1. Tempo di crosse;
2. Stripping lungo della safena interna, dalla giunzione safeno-femorale al
malleolo mediale (nel 10% circa dei casi);
3. Stripping corto della safena interna, dalla giunzione safeno-femorale fino al
terzo superiore di gamba;
4. Stripping ultra-corto della safena interna, dalla giunzione safeno-femorale
fino al terzo medio-inferiore di coscia;
5. Stripping della safena esterna, dalla giunzione safeno-poplitea al malleolo
laterale (meno dell’1%) o, più frequentemente, a metà polpaccio (stripping
corto);
6. Stripping dei sistemi safenici accessori;
7. Varicectomia.
L’ablazione dei tronchi safenici viene completata, in genere, dalla legatura-interruzione­
delle perforanti incontinenti e dalla varicectomia, raggiungendo così anche una finalità
emodinamica attraverso l’exeresi delle vie di reflusso.
35
2 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici
MATERIALI E METODI:
È importante fare precedere gli interventi ablativi da un accurato studio EcoColorDoppler per evitare o ridurre gli errori tecnici. Il mappaggio morfo-funzionale
pre-operatorio ha notevolmente ridimensionato il classico intervento di stripping.
Infatti con l’Eco-Color-Doppler si valuta:
1. Variabilitàanatomica del sistema;
2. Valutazione degli apparati valvolari;
3. Accurato studio dei punti di fuga e di rientro;
4. Interpretazione della direzione dei flussi;
5. Giusta esecuzione ed interpretazione delle manovre statiche e dinamiche.
Le moderne acquisizioni di emodinamica hanno rivalutato la varicectomia considerata
in passato un trattamento estetico (“eliminazione del visibile”). Essa è indicata:
1. A completamento di stripping ultra-corto, corto o lungo e nella recidiva;
2. Asse safenico non dilatato, con valvola preterminale incontinente e valvola
terminale continente;
3. Reflusso N2 > N3 alto (con incontinenza breve safeno-femorale) e con safena
sottostante continente;
4. Reflusso N1 > N3;
5. Reflusso di N3 a partenza dal golfo safenico con tronco safenico continente;
6. Presenza di perforanti di rientro sulla safena (in genere sotto il ginocchio),
capaci di svuotare la quota refluente una volta eliminate le varici di N3;
7. Pazienti molto giovani o anziani, dove una chirurgia di minima puòessere
giustificata (difficile stabilire l’evoluzione nel primo caso, risultati
funzionalmente adeguati nel secondo caso);
8. Varici di piccolo calibro in pazienti che rifiutano la scleroterapia;
9. Altre situazioni: malattia ischemica cardiaca o periferica, artropatia, epatopatia,
cause psicologiche, ecc.
Nel periodo dicembre 1997 - aprile 2011 abbiamo trattato 1528 arti inferiori, in 913
casi (59,7%) abbiamo effettuato varicectomie senza interventi sul sistema safenico
interno o esterno, in 615 casi (49,3%) siamo intervenuti sul sistema safenico interno o
esterno con varicectomie associate. Tali interventi sono stati eseguiti in regime di DayHospital, in anestesia locale o spinale.
RISULTATI:
Il 100% dei pazienti trattati chirurgicamente secondo tali protocolli hanno riferito nel
tempo un miglioramento estetico e clinico più che soddisfacente; non abbiamo mai
rilevato, nei controlli Eco-Color-Doppler che sistematicamente effettuiamo ad un mese,
tre mesi, sei mesi ed un anno dall’atto operatorio, recidive di crosse, laddove è stato
necessario intervenire anche sul sistema delle safene; le varici residue ed evolutive
36
2.3 - Mappaggio morfo-funzionale e trattamento delle varici: la chirurgia ablativa
post-operatorie hanno sempre trovato giovamento con il trattamento scleroterapico.
CONCLUSIONI:
1. La varicectomia può essere ritenuta intervento di scelta e non “palliativo” in
circa il 60% dei pazienti varicosi; l’’atto operatorio (varicectomia isolata e/o a
completamento di interventi sul sistema delle safene interne o esterne) viene
eseguito in regime di Day-Surgery, generalmente in anestesia locale o spinale,
effettuando mini incisioni cutanee che praticamente non alterano il profilo
estetico;
2. Le collaterali varicose, quando non sono molto tortuose, anziché “mullerizzate”
possono essere incannulate ed eliminate con ministripping;
3. In caso di stripping corto o ultra-corto safenico, previo un corretto marcaggio
preoperatorio, si può orientare la sonda per un “incannulamento in blocco”
safenico + collaterale (N2+N3);
4. Dopo l’intervento viene effettuato un bendaggio elastocompressivo, sostituito
il giorno successivo da una calza elastica post-operatoria;
5. I pazienti possono essere dimessi dopo poche ore dall’intervento o al massimo
il giorno dopo perfettamente deambulanti, riprendendo, in casi di necessità,
anche l’attività lavorativa.
In conclusione, nella chirurgia delle varici il trattamento ablativo rappresenta il gold
standard. Esso deve essere necessariamente preceduto da un accurato studio Eco-ColorDoppler per evitare e/o ridurre gli errori tecnici, al fine di ottenere un soddisfacente
risultato estetico e funzionale, duraturo nel tempo.
BIBLIOGRAFIA:
1. Andreozzi GM. Flebologia per il medico pratico. Ed. Minerva Medica, 1994
2. Antignani PL. Diagnostica vascolare ultrasonografica. Ed. S.E.U., 2007
3. C.I.F Linee Guida diagnostiche-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici,
Acta Phleb. - Rev. 2003- Vol.4, n° 1-2 - Aug. 2003 - Minerva Medica; 3-5: 79-80
4. Delfrate R. Manuale di emodinamica venosa degli arti inferiori. Ed. Ass.
Umanizzazione della Chirurgia, Parma, 2011.
5. Franceschi C.Théorie et pratique de la cure CHIVA. Ed. de l’Armanoçon, Prècysous-Thil, 1988
6. Genovese G. Chirurgia delle vene e dei linfatici. Ed. Masson, Milano, 2003.
7. Mancini S. Trattato di Flebologia e Linfologia. Ed. U.T.E.T., Torino, 2001.
8. Mancini S. Manuale di Flebologia. Laris editrice, Colle Val D’Elsa (Si), 2009.
9. Ricci S, Georgiev M. Flebectomia ambulatoriale. Ed. P.R., Bologna, 1999.
37
3.
I trattamenti
endovascolari
3 - I trattamenti endovascolari
3.1 - I trattamenti endovascolari:
trattamento con Laser e Visioven
3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven
application. This treatment has proved very effective also under aesthetic
profile, allowing us to avoid numerous skin incisions, the risk of thermal injury
due to incongruous exposure to laser light outside of the venous lumen.
Goffredi L, Atelli P.F, Solimeno G., Quarto G., Apperti M.
CONCLUSIONS: After subsequent checks, no patient showed signs of
ABSTRACT:
OBJECTIVES: The method of treatment of varicose veins with endovascular
technique (EVLT) today is extremely successful. In fact, this method is
particularly appreciated by patients thanks to its technical characteristics and,
especially for functional and aesthetic results.
METHODS: From November 2006 to date, we enrolled approximately 150
patients with varicose dilation of saphenous and extrasaphenous sides in which,
instead of practicing numerous phlebectomy, we considered most suitable laser
treatment with direct cannulation of the vein with a needle of 16G or of 18G and
subsequent introduction of the probe, typically, of 600 microns. To ensure that
the maneuver was not “blind”, but could be targeted, we have used, initially,
a cold light source that we have already experienced (Epiven). For about two
years we introduced a new system “Visioven®” patented by us, consisting of
a defocused laser light source which, in contact with the skin surface, allows
detection of saphenous and extrasafenous sides, difficult to detect accurately
with the naked eye, especially during surgery with the patient supine and the
circle emptied.
RESULTS: In this way we were able to highlight the vein to be treated and
then cannulated with a needle first and then with the laser probe in a precise
and simple way. We obtained in this way, satisfactory results in terms of the
effectiveness of therapy, because the safety of the correct position of the probe
has given us the opportunity to apply the most appropriate laser energy without
fear of failure to close the vein because of the incongruous extravascular
40
recanalization of the treated vessels, although, of course, the follow-up is too
short to enable a final decision, while the aesthetic results are fully evaluated
and were shown to have a great appreciation especially in patients of female
sex. The transillumination laser with Visioven® (TILV) represents a noninvasive diagnostic method that, we believe, is essential in the endovascular
laser treatment of saphenous and extrasaphenous sides. In fact, the use of
endovascular laser without the possibility to pinpoint the location of the blood
vessel would be impossible. Our method is easy to learn and to apply, and once
acquired, it will become an indispensable tool in the hands of whom is using it.
OBIETTIVI:
Il trattamento delle varici degli arti inferiori con tecnica endovascolare (EVLT)
è una metodica che, oggigiorno, riscuote molto successo.
Infatti, per le sue caratteristiche tecniche e, soprattutto per i risultati funzionali
ed estetici che riesce ad ottenere, è particolarmente apprezzata dai pazienti.
Da circa sei anni anche noi ci siamo “convertiti” a questa metodica, anche
se siamo convinti che le indicazioni e le modalità tecniche vadano ancora
perfezionate e condivise dopo un uso cauto e ragionato.
Proprio nell’ottica di ricercare nuove soluzioni ed aggiornamenti di tecnica,
che rendessero la metodica più flessibile ed adeguata all’obbiettivo di ottenere
un buon risultato terapeutico con il minimo di invasività, abbiamo messo a
punto una tecnica originale per il trattamento laser delle collaterali safeniche ed
extrasafeniche utilizzando uno strumento da noi ideato e brevettato che ci ha
permesso di ottenere ottimi risultati funzionali ed estetici.
41
3 - I trattamenti endovascolari
3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven
METODI:
Abbiamo arruolato, da Novembre 2006 ad oggi, circa 150 pazienti affetti da
dilatazione varicosa di collaterali safeniche ed extrasafeniche nei quali, invece
di praticare numerose flebectomie, abbiamo ritenuto più indicato il trattamento
laser con incannulamento diretto della vena con ago 16G, o 18G e successiva
introduzione della sonda, in genere, da 600 µm.
Per far sì che la manovra non fosse “cieca” ma potesse avvenire in maniera
mirata, ci siamo avvalsi, inizialmente, di una sorgente di luce fredda da noi
già sperimentata (Epiven) e, da circa due anni, di un nuovo sistema da noi
brevettato, “Visioven®” (Fig. 1), costituito da una sorgente di luce laser
defocalizzata che, a contatto con la superficie cutanea, permette di individuare
collaterali safeniche ed extrasafeniche difficilmente individuabili con
precisione ad occhio nudo, soprattutto durante l’atto chirurgico, a paziente in
posizione supina e a circolo svuotato (Fig. 2).
Fig. 2 - Collaterali extrasafeniche visualizzate con Visioven®
RISULTATI:
In tal modo siamo riusciti ad evidenziare la vena da trattare e quindi ad
incannularla prima con l’ago e poi con la sonda laser in maniera precisa e
semplice (Fig. 3). Abbiamo ottenuto, in tal modo, risultati soddisfacenti sotto
il profilo dell’efficacia terapeutica, poiché la sicurezza della posizione corretta
della sonda ci ha dato la possibilità di applicare l’energia laser più idonea senza
temere la mancata chiusura della vena per l’incongrua applicazione extravasale.
Ma anche sotto il profilo estetico il trattamento si è dimostrato di notevole
efficacia, poiché, se da un lato abbiamo evitato di dover praticare numerose
incisioni cutanee, dall’altro abbiamo evitato il rischio di lesioni termiche dovute
ad incongrua esposizione alla luce laser al di fuori del lume venoso.
Fig. 1 - L’apparecchiatura Visioven®
42
43
3 - I trattamenti endovascolari
3.1 - I trattamenti endovascolari: trattamento con Laser e Visioven
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
3.
Apperti M. Insufficienza venosa cronica ed ulcere flebostatiche: criteri di scelta della
terapia chirurgica. ActaVulnologica, 2006; Vol 4, 1 n.3.
Apperti M. La epiillumnazione nel mappaggio e nel trattamento delle varici. Relazione al
Simposio: Ricerche e novità in flebologia. Congr. Naz. C.I.F. – 2004.
Canonico S, Campitiello F, Santoriello A, Apperti M, De Bellis W, Califano U. Il
trattamento della malattia varicosa del paziente anziano in regime di Day Surgery. Dieci
anni di esperienza. Chir Ital, Jul-Aug 2003; 55(4): 555-60. PMID: 12938602.
Fig. 3 – Transilluminazione Laser con Visioven® (T.I.L.V.)
CONCLUSIONI:
Ai controlli successivi nessun paziente ha mostrato segni di ricanalizzazione
dei vasi trattati, anche se, ovviamente, il follow-up è stato troppo breve per
poter esprimere un giudizio definitivo, mentre i risultati estetici sono valutabili
appieno ed hanno mostrato di avere un notevole apprezzamento, soprattutto
nei pazienti di sesso femminile. La transilluminazione laser con il Visioven
(T.I.L.V.) rappresenta, quindi, una metodica diagnostica non invasiva che
riteniamo indispensabile nel trattamento endovascolare laser delle collaterali
safeniche ed extrasafeniche.
Sarebbe, infatti, improponibile l’uso del laser endovascolare senza la possibilità
di poter individuare con precisione il percorso del vaso venoso; solo in tal
modo, infatti, possiamo adoperare il laser senza incorrere nel rischio di ottenere
più danni che benefici. La metodica è di facile applicazione, consente un rapido
apprendimento, per cui possiamo ritenere che, una volta acquisita, divenga uno
strumento indispensabile nelle mani di che lo adopera.
44
45
3 - I trattamenti endovascolari
3.2 - Trattamento endovascolare
delle varici con radiofrequenza
Bernardo B., Mastrangelo D., Bruno A., Civitillo F.
ABSTRACT:
Endovascular thermal occlusion of internal saphenous vein by radiofrequency
is a new procedure for treatment of varicous veins of lower limbs.
We report our preliminary experience on 40 patients treated by Closure Fast
technique. Closure Fast causes the endovenous coagulation of the vein by
conductive warming induced by the direct contact of a catheher percutaneously
inserted activated by a generator. The final effect is the fibrotic occlusion of the
vein.
The advantages of this technique are:
• Ambulatory surgery.
• Local anesthesia.
• Less invasivity.
• Low incidence of emathomas.
• Nerve and lymphatic fibers sparing.
No major complications have been observed in our clinical series. Full good
results were achieved in 70%; partial occlusion in 30%, but not requiring redo
-surgery.
OBIETTIVI:
Il trattamento attuale delle varici degli arti inferiori si avvale di una serie di
metodiche eterogenee che vanno da quelle conservative (sclerosi classica,
ecosclerosi, sclerosi con mousse), a quelle chirurgiche non ablative (correzione
emodinamica secondo tecnica Chiva), chirurgiche ablative (stripping,
flebectomie con tecnica di Muller) o, infine, endovascolari (termoablazione con
sistema laser o con sistema a radiofrequenza). Sottolineando che nessuna delle
suddette procedure è stata standardizzata e validata, in aderenza alla tendenza
46
3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza
ad eseguire trattamenti sempre meno invasivi e destruenti, abbiamo centrato
la nostra attenzione su una tecnica di recente introduzione in Italia (ma molto
praticata in Francia): la termo-occlusione della vena safena interna con sistema
a radiofrequenza.
METODI:
Dal novembre 2010 al novembre 2011 presso l’Unità Dipartimentale di
Chirurgia Vascolare ed Endovascolare della Casa di Cura “GEPOS” di Telese
Terme (BN), sono stati eseguiti per patologia varicosa degli arti inferiori 220
interventi su 195 pazienti. Le tecniche eseguite sono state:
• chirurgia ablativa (stripping, flebectomie, crossectomia): 160
• termoocclusione con radiofrequenza: 40
• ecosclerosi con mousse: 15
• correzione emodinamica sec. Chiva: 5
La scelta del tipo di trattamento più idoneo è stata selezionata caso per caso
in base alle caratteristiche anatomiche e cliniche del paziente e alle preferenze
individuali sia del chirurgo operatore che del paziente.
In questa sede vogliamo riportare la nostra esperienza preliminare su 40 pazienti
trattati con la tecnica di occlusione termica con catetere a radiofrequenza.
Abbiamo impiegato in tutti i casi il sistema Closure Fast (Covidien ™).
Il sistema Closure Fast è concepito per la coagulazione endovenosa di vasi
sanguigni in paziente con reflusso venoso superficiale: esso utilizza il principio
fisico del riscaldamento conduttivo, ovvero del calore trasmesso attraverso il
contatto diretto di un catetere introdotto per via percutanea nella vena safena
interna opportunamente attivato attraverso l’energia di radiofrequenza fornita
da un generatore per indurre la contrazione del collagene e infine l’occlusione
fibrotica della vena.
Il sistema si compone del catetere (4 Fr, lunghezza da 60 o 100 cm., monouso,
compatibile con guida.0025) e di un generatore di radiofrequenza. Il catetere è
provvisto alla sua estremità di una termocoppia lunga 7 cm. ed è contrassegnata
sullo stelo da markers di 6,5 cm. in modo da consentire durante la fase di
retrazione un opportuno “overlapping” delle zone trattate.
47
3 - I trattamenti endovascolari
Durante il riposizionamento (ovvero durante la fase di retrazione) non avviene
nessuna erogazione di energia da parte dell’apparato e, soprattutto, l’erogazione
di energia non varia in base alla velocità di retrazione in quanto ogni segmento
di 6,5 cm. viene trattato con un singolo ciclo on-off. Ogni ciclo è completamente
e automaticamente standardizzato e gestito dal generatore che imposta durata,
temperatura (120°) e potenza massima senza possibilità di “contaminazioni”
individuali e senza necessità di impostare alcun parametro fisico (come accade
invece per i sistemi laser a retrazione manuale continua).
L’intervento viene eseguito in anestesia locale mediante infiltrazione manuale
o, meglio, con l’ausilio di una pompa peristaltica di una soluzione anestetica
per tumescenza fredda (4°) a base di soluzione salina fisiologica + lidocaina
con epinefrina all’1% + bicarbonato sodio in concentrazione 8.4% che ha lo
scopo di:
1. comprimere la vena trattata per favorire il contatto della parete venosa con l’elemento riscaldante del catetere;
2. creare una barriera liquida per proteggere la cute ed i tessuti molli dai danni termici (è necessario creare uno spessore di almeno 10 mm. tra la superficie cutanea e la vena),
3. consentire l’effetto analgesico sia durante che dopo il trattamento per almeno 4 ore;
4. ridurre in maniera significativa gli ematomi.
Per quanto riguarda le indicazioni alla tecnica Closure Fast, possiamo affermare
che, esaurita la prima fase di learning curve, essa può essere applicata alla
maggior parte dei paziente affetti da varicosi della vena safena interna, evitando
i seguenti casi:
• tortuosità significativa.
• segmenti di calibro > 14 mm.
• anomalie di decorso (segmenti sottofasciali).
• anomalie di calibro (segmenti esili post-flebitici alternati a segmenti
varicosi).
• anomalie numero (VSI duplici e triplici).
• paziente estremamente magri.
• presenza di materiale trombotico nella vena safena interna.
48
3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza
La perfetta conoscenza dell’anatomia e dell’emodinamica venosa mediante
ecocolorDoppler è presupposto indispensabile e fondamentale per la buona
riuscita della tecnica.
DESCRIZIONE DELLA METODICA:
La tecnica Closure Fast prevede i seguenti steps:
1. Accurato mappaggio emodinamico e morfologico dell’arto con
ecocolorDoppler.
2. Puntura ecoguidata in Trendelenburg della vena safena interna (di regola
al III superiore della gamba o al III inferiore della coscia); in alternativa si
esegue un accesso chirurgico con mini incisione di 3 cm.
3. Posizionamento nella VSI di un introduttore 7F da 11 cm. (secondo tecnica
standard di Seldinger).
4. Introduzione del catetere operativo che viene fatto progredire verso l’alto
sotto controllo ecografico.
5. Identificazione anatomica precisa della crosse safeno-femorale, avendo
cura che la punta del catetere va posizionata esattamente 2 cm. al di sotto
della confluenza del ramo epigastrico che deve essere lasciato pervio in
modo da consentire un buon “lavaggio” della vena (va sottolineato che
l’effetto di riscaldamento e quindi di trombosi della vena si prolunga in
alcuni casi di 1.75 cm. oltre la punta del catetere).
6. Anestesia per tumescenza della vena, in particolare della regione inguinale.
7. Inizio del trattamento mediante cicli di riscaldamento della durata di 20
secondi a 120° ritirando il catetere step-by-step sulla guida dei markers
centimetrati (è consigliabile eseguire 2 cicli alla crosse in caso di VSI di Ø
> 8 mm.) e applicando una efficace compressione esterna.
8. Al termine del trattamento è possibile eseguire flebectomie secondo tecnica
standard di Muller.
9. In caso di accesso percutaneo non è necessario applicare punti di sutura ma
solo degli strips.
10. Viene applicato un bendaggio elastico o una calza di II classe di
compressione.
49
3 - I trattamenti endovascolari
Il paziente può deambulare immediatamente e viene dimesso dopo 2-3 ore con
la consueta terapia flebotonica e antitrombotica (EBPM a basso dosaggio).
RISULTATI:
Nella serie di 40 pazienti trattati non abbiamo riscontrato alcuna complicazione
maggiore (tromboflebiti superficiali, TVP). Complicazioni minori (ecchimosi) si
sono verificate nel 10% dei casi. Il follow-up, eseguito mediante ecolorDoppler,
ha mostrato la completa occlusione della VSI nel 70% dei casi; una occlusione
incompleta (ovvero segmentaria) è stata osservata nel 30% dei casi, tuttavia non
emodinamicamente significativa e, quindi, non trattata. In 1 caso (paziente n°3)
abbiamo registrato la persistenza di fastidiose parestesie della coscia in una
paziente molto magra (da riferire verosimilmente a insufficiente tumescenza e
a danno termico).
3.2 - Trattamento endovascolare delle varici con radiofrequenza
(Closure) Versus Ligation and Vein Stripping (EVOLVeS): Two-year Follow-up. Eur J Vasc
Endovasc Surg. 2005; 29: 67-73.
4. Dietzek A. Two-Year Follow-Up Data from a Prospective, Multicenter Study of the Efficacy
of the Closure FAST Catheter. Veith Symposium 2008, New York, NY.
5. Almeida J et al. Radiofrequency Endovenous ClosureFAST® versus Laser Ablation for the
Treatment of Great Saphenous Reflux: A Multicenter, Single-blinded, Randomized Study
(RECOVERY). J Vasc Interv Radiol 2009; 20: 752-759.
6. Proebstle et al. Three-year European follow-up of endovenous radiofrequency-powered
segmental thermal ablation of the great saphenous vein with or without treatment of calf
varicosities. J Vasc Surg 2011; 54: 146-52.
CONCLUSIONI:
La termoablazione della vena safena interna con sistema Closure Fast è una
metodica efficace, sicura e di semplice esecuzione a patto che si abbia una buona
conoscenza della diagnostica ecocolorDoppler e delle tecniche endovascolari.
È indispensabile un periodo di training “tutorato” per ottimizzare i risultati e
prevenire possibili complicazioni anche gravi (TVP) legate ad errori procedurali.
BIBLIOGRAFIA:
1. Tawes RL, Barron ML, Coello AA, Joyce DH, Kolvenbach R. Optimal therapy for advanced
chronic venous insufficiency. J Vasc Surg 2003; 37: 545-51.
2. Nicolaides AN. Cardiovascular Disease Educational and Research Trust; European Society
of Vascular Surgery; The International Angiology Scientific Activity Congress Organization;
International Union of Angiology; Union Internationale de Phlebologie at the Abbaye des
Vaux de Cernay. Investigation of chronic venous insufficiency: A consensus statement
(France, March 5-9, 1997). Circulation. 2000; 102: E126-63.
3. Lurie F, et al. Prospective Randomized Study of Endovenous Radiofrequency Obliteration
50
51
3 - I trattamenti endovascolari
3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale
e Trattamento LASER endovenoso
della Vena Safena Interna incontinente.
Risultati preliminari di una meta-analisi.
Quarto G., Casillo N., Di Palma S., Furino E., Solimeno G.,
Apperti M., Sellitti A., Benassai G.
ABSTRACT:
OBJECTIVE: To determine in a meta-analysis if endovenous laser ablation
(EVLA) has some advantages or disadvantages in comparison with conventional
surgical ligation and stripping of great saphenous vein (GSV) incompetent.
METHODS: 8 studies were enrolled (Beetwen March 2008 and September
2011), with a total of a 1515 limbs. Follow - Up: minimum 6 months, maximum
24 months. Search Engine: PUBMED, EMBASE, MEDLINE, DARE. No
Publication Bias evaluated. Indefined CEAP classification. Retrospective and
RCT studies. In one study were utilized local tumescent anaesthesia. OR based meta - analysis.
RESULTS: Group A : 547 EVLA procedures (36%), 94 recurrencies (35%),
Group B: 551 Surgery procedures (36%), 176 recurrencies (65%), Group C
(double- blinded studies): 417 limbs (28%). Average OR: 0,8, minimum OR:
0,2, maximum OR: 2.
CONCLUSIONS: Endovenous LASER ablation (EVLA) seems a safe and
at this time a valid therapeutic option in patients with Great Saphenous Vein
insufficiency in reduction of symptomatology and recurrencies at the follow up. More Evaluation of our study will be around more studies to enrole, and a
comparison with RadioFrequency (RF) technique to reach more significance of
this preliminary results.
52
3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi
OBIETTIVI:
Obiettivo del presente studio è valutare il tasso di recidiva riportato nella
letteratura più recente (2008 ad oggi) del trattamento laser endovascolare della
vena safena interna incontinente e confrontarlo con il trattamento chirurgico
tradizionale, deducendone una stima matematica tramite tecnica statistica e di
revisione sistematica delle pubblicazioni correnti di tipo meta-analitico.
METODI:
Il lavoro meta-analitico è stato svolto e scaglionato secondo i seguenti step:
• Ricerca bibliografica: tramite i motori di ricerca PUBMED, EMBASE,
MEDLINE e DARE, il publication bias è stato trascurato. Le KeyWords
utilizzate come parametri di ricerca sono state le seguenti: GSV, EVLA,
EVLT, Laser, HL/S, Stripping, Surgery.
• Definizione del Trial Clinico di confronto: cut-off temporale: dal 2008
ad oggi; n° minimo di pazienti arruolati per ciascuno studio: 100;
follow up minimo: 6 mesi; variabile di outcome: ricanalizzazione semiricanalizzazione vs. completa obliterazione; patologia: pazienti
affetti da insufficienza venosa cronica degli arti inferiori, clinicamente
conclamata, classificazione CEAP indefinita, ma con incontinenza
della vena safena interna suscettibile di terapia chirurgica. Età
variabile e razza indefinita. Lavori provenienti dall’intero panorama
internazionale. Studi Restrospettivi, RCT (Randomized Control Trial)
di tipo “double - blinded” e non.
• Elaborazione ed Organizzazione Dati: Dopo il calcolo degli OR
(Odds Ratio) per ciascuno dei Lavori presi in esame mediante tabella
di contingenza classica, abbiamo provveduto a calcolarne il valore
medio per il seguenti gruppi: LASER vs. Chirurgia, LASER vs.
Radiofrequenza, Laser vs. Chirurgia vs. Radiofrequenza.
Per ciascuno di questi gruppi abbiamo calcolato il valore medio di OR,
e di conseguenza tratto le nostre conclusioni. Come si può evincere
dalla nostra ricerca bibliografica, gli autori, in specie Statunitensi,
tendono a considerare come “chirurgico”, salvo poche eccezioni,
53
3 - I trattamenti endovascolari
3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi
l’intero repertorio di tecniche a disposizione, quali Cryostripping,
Radiofrequenza, Foam Surgery, Legatura semplice o combinata
secondo la tecnica CHIVA, Stripping classico.
Di conseguenza, in Letteratura, sono molto rari i Lavori che ci danno
una comparazione singola LASER vs. singola procedura Chirurgica.
Nei risultati preliminari oggetto del presente lavoro, riportiamo esclusivamente
i dati relativi al solo gruppo LASER vs. Chirurgia
Dopo la tabellazione dei dati relativi alle pubblicazioni da noi analizzate,
abbiamo deciso di realizzare un Forrest Plot che sintetizza così la media degli
OR da noi ricavati:
RISULTATI:
Nello specifico sono stati analizzati n.8 Lavori, con un numero complessivo di arti
pari a 1515, di cui 547 sottoposti a LASER terapia, e 551 sottoposti a Chirurgia, 417
sottoposti a trattamento non riportato (relativi ai due studi double - blinded randomizzati
di Carradice e di Rasmussen).
Le recidive LASER osservate sono state in totale 94, mentre le recidive Chirurgiche
sono state in totale 176.
La gamma degli OR va dallo 0,2 dello studio di Carradice (2011) al 2 di Christenson
(2010), con un valore medio di 0,8. Abbiamo quindi provveduto a tabellare tutti i dati
che abbiamo raccolto, ordinandoli per autore, e calcolando i loro valori complessivi.
Autore
Arti Tot. Laser
Chirurgia R Laser R Surg. OR
Anno
Rasmussen (DB)
137
---
---
18
25
0,7
2010
Van Groenendael
216
67
149
13
43
0,6
2009
Darwood
103
71
32
4
4
0,4
2008
Rass
346
185
161
30
37
0,8
2011
Christenson
199
99
100
2
1
2
2010
Theivacumar
129
69
60
5
5
1,1
2009
Carradice (DB)
280
---
---
11
56
0,2
2011
Pronk
105
56
49
5
5
0,9
2010
Totale
1515
547
551
94
176
0,8
Legenda:
Arti Tot.: indifferenti se sx o dx;
Laser: procedura Laser
Chirurgia: stripping classico breve o lungo abbinato meno a legatura alta (HL/S)
R Laser: Recidiva dopo trattamento laser
R Surg.: Recidiva dopo chirurgia tradizionale
OR: Odds Ratio, o Rischio Relativo
Anno: anno di pubblicazione del lavoro
Tabella I.
54
Tabella II. Forrest Plot
Procedure LASER: 36% del Totale, 94 recidive: 35% del Totale
Recidive LASER: 36% del Totale, 176 recidive: 65% del Totale
(Double Blinded: 28% del Totale)
Dalla Tabella 2. si evince il valore medio di OR di 0,8, con un valore mediano
di 1,5, inficiato tuttavia dallo scarso follow-up del lavoro di Christenson, che
pur comportando una marcata variazione alla destra della tabella degli OR,
continua a mantenere un valore inferiore ad 1, deponendo quindi a favore
della procedura LASER.
55
3 - I trattamenti endovascolari
CONCLUSIONI:
Lo scarso follow-up della pubblicazione di Christenson comporta una
deviazione a destra del diamante meta analitico, che, tuttavia, non determina,
nella valutazione matematica, una diminuzione dell’efficacia del trattamento
LASER rispetto al trattamento chirurgico.
Il trattamento LASER, da questi dati preliminari meta analitici, appare una
procedura più efficace del trattamento chirurgico nel ridurre la sintomatologia
connessa alla insufficienza venosa cronica degli arti inferiori con incontinenza
della Vena Grande Safena.
I dati potrebbero essere inficiati dal breve follow-up, dovuto al fatto che il
trattamento LASER endovenoso è di più recente introduzione nel bagaglio
terapeutico per il trattamento della incontinenza della vena grande safena.
Considerando che recidive (cliniche, morfo-funzionali, strumentali) dopo
trattamento della insufficienza venosa cronica degli arti inferiori con tecnica
chirurgica possono presentarsi anche a distanza di molti anni dalla procedura
stessa, è evidente che più prolungati follow-up (almeno di 5 anni) sono
necessari per poter operare una stima matematica più attendibile del confronto
tra le citate tecniche.
In aggiunta, i lavori analizzati, seppure risultano essere, per impostazione e
numero di pazienti confrontati, i più significativi ed utili ai fini di una valutazione
meta-analitica, sono comunque inficiati dal fatto di non considerare, almeno
nella gran parte di essi, un confronto tra trattamento LASER e singola metodica
chirurgica. Poichè esistono differenze tra i risultati ottenibili a breve, medio
e lungo termine tra differenti procedure chirurgiche, oggetto di altri lavori
e valutazioni meta-analitiche pubblicate ed in considerazione del fatto che
incontinenze valvolari ostiali, preostiali, tronculari o combinate della vena
grande safena potrebbero comportare differenti incidenze di recidive clinicostrumentali della insufficienza venosa cronica con incontinenza della vena
grande safena a secondo della associazione con incontinenza del circolo venoso
profondo del tipo di trattamento chirurgico eseguito, è evidente che sono molte
le variabili che andrebbero considerate nei lavori concernenti i risultati di un
trattamento della incontinenza della vena grande safena e che la valutazione
56
3.3 - Confronto tra Chirurgia Tradizionale e Trattamento LASER endovenoso della Vena Safena Interna incontinente. Risultati preliminari di una meta-analisi
di queste variabili potrebbe comportare differenti conclusioni meta-analitiche.
Successive valutazioni del nostro studio riguarderanno il confronto con altre
tecniche endovenose (RF vs. LASER vs. Chirurgia).
BIBLIOGRAFIA:
Ognuno dei Lavori da noi analizzati e Plottizzati nel grafico segue un ordine di numerazione a
pedice (tab.1)che riportiamo nella ns. bibliografia:
1. Rasmussen LH, Bjoern L, Lawaetz M, Lawaetz B, Blemings A, Eklöf B. Randomised clinical
trial comparing endovenous laser ablation with stripping of the great saphenous vein: clinical
outcome and recurrence after 2 years. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2010 May; 39(5): 630-5.
Epub 2010 Jan 12.
2. Van Groenendael L, van der Vliet JA, Flinkenflögel L, Roovers EA, van Sterkenburg
SM, Reijnen MM. Treatment of recurrent varicose vein s of the great saphenous vein by
conventional surgery and endovenous laser ablation. J Vasc Surg, 2009 Nov; 50(5): 1106-13.
3. Darwood RJ, Theivacumar N, Dellagrammaticas D, Mavor AI, Gough MJ. Randomized
clinical trial comparing endovenous laser ablation with surgery for the treatment of primary
great saphenous varicose veins. Br J Surg, 2008 Mar; 95(3): 294-301.
4. Rass K, Frings N, Glowacki P, Hamsch C, Gräber S, Vogt T, Tilgen W. Comparable
Effectiveness of Endovenous Laser Ablation and High Ligation With Stripping of the Great
Saphenous Vein: Two-Year Results of a Randomized Clinical Trial (RELACS Study). Arch
Dermatol, 2011 Sep 19; [Epub ahead of print]
5. Christenson JT, Gueddi S, Gemayel G, Bounameaux H. Prospective randomized trial
comparing endovenous laser ablation and surgery for treatment of primary great saphenous
varicose veins with a 2-year follow-up. J Vasc Surg, 2010 Nov; 52(5): 1234-41.
6. Theivacumar NS, Darwood R, Gough MJ. Neovascularisation and recurrence 2 years after
varicose vein treatment for sapheno-femoral and great saphenous vein reflux: a comparison
of surgery and endovenous laser ablation. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2009 Aug; 38(2): 2037. Epub 2009 Jun 12.
7. Carradice D, Mekako AI, Mazari FA, Samuel N, Hatfield J, Chetter IC. Clinical and technical
outcomes from a randomized clinical trial of endovenous laser ablation compared with
conventional surgery for great saphenous varicose veins. Br J Surg, 2011 Aug; 98(8): 111723. doi: 10.1002/bjs.7615. Epub 2011 Jun 3.
8. Pronk P, Gauw SA, Mooij MC, Gaastra MT, Lawson JA, van Goethem AR, van Vlijmen-van
Keulen CJ. Randomised controlled trial comparing sapheno-femoral ligation and stripping
of the great saphenous vein with endovenous laser ablation (980 nm) using local tumescent
anaesthesia: one year results. Eur J Vasc Endovasc Surg, 2010 Nov; 40(5): 649-56.
57
4.
La recidiva
varicosa
4 - La recidiva varicosa
4.1 - Le recidive della scleroterapia classica
4.1 - Le recidive della scleroterapia classica.
Ferrara F.
ABSTRACT:
OBJECTIVES: The aim of our work has been to evaluate, clinically and
with duplex-examination, the results of compression-sclerotherapy of the
sapheno-femoral junction (SFJ). This has been compared to its diameter and
the possibility to apply a com­pression bandage.
MATHERIALS AND METHODS: 1500 SFJs treated with Sigg’s
method have been divided into three groups (A, B, C) depending on thighcir­cumference. Each of these groups has been divided into two equal
subgroups (I, II) accurating to SFJ-diameter, more or less than 8 mm.
Clinical and duplex-examination (7,5 MHz probe) have been done at 6, 8,
12 months and at 2 years (stage 1) for all cases, at 3 years (stage 2) for 1034
cases, at 5 years (stage 3) for 870 cases, at 8 years (stage 4) for 600 cases,
at 11 years (stage 5) for 440 cases, and at 15 years (stage 7) for 260 cases.
A new venous mapping, called VCG (Venous Cartesian Graph), has been
proposed, using a Cartesian coordinate system of venous network explored by
clinical and duplex examination, in the follow-up.
RESULTS: Globally we have had 180 clinical failures (12%) and 346
duplex- failures (23%).
CONCLUSIONS: We have shown that the SFJ can be successfully
sclerosed without considering its diameter, but depending on its compression
with a compression bandage.
Positive results at 2 years will most probably be so up to 15 years.
60
OBIETTIVI:
Lo scopo di questo lavoro è valutare con esame clinico ed ecoDoppler i
risultati della scleroterapia della terminazione della GVS, ovvero, giunzione
safeno-femorale (SFJ), in relazione al suo diametro ed alla possibilità di
bendare con efficacia l’arto.
MATERIALI E METODI:
1500 SFJ con diametro compreso tra 6 e 18mm (misurato a 3 cm dalla
giunzione) sono state sclerosate in unica seduta con Soluzione Iodata al
4 - 6% e con compressione immediata: eccentrica positiva (tamponi di
ovatta a nucleo duro di 4 cm di spessore, tenuti in sede con bende adesive
per 7 giorni)1 e compressione concentrica (bendaggio ad elasticità corta estensione 35% - ad applicazione diurna - per 21 giorni)2. Una calza elastica
(II o III classe) veniva poi indossata per altri 30 giorni.
I 1.500 arti trattati (casi) sono sati divisi in tre Gruppi (A,B,C) a seconda
della circonferenza di coscia (misurata a 5 cm dall’inguine - punto “g”):
Gruppo A g <57 cm, Gruppo B g =58 - 63 cm, Gruppo C g >64 cm. Ogni
Gruppo è stato, a sua volta, diviso in due Sotto-Gruppi di egual numero di
casi, a seconda se il diametro della SFJ era maggiore (Sotto-Gruppo I) o
minore (Sotto-Gruppo II) di 8 mm.
I controlli clinici ed ecoDoppler (sonda da7,5 MHz) furono effettuati a 6, 8,
12 mesi e a 2 anni (Stadio 1) in tutti i casi, a 3 anni (Stadio 2) in 1034 casi,
a 5 anni (Stadio 3) in 870 casi, a 8 anni (Stadio 4) in 600 casi, a 11 anni
(Stadio 5) in 440 casi, and a 15 anni (Stadio 7) in 260 casi (Fig.1).
Nella valutazione delle recidive, un nuovo mappaggio delle varici è stato
proposto: il VCG (Venous Cartesian Graph). Esso si basa sulla registrazione
cartacea della distribuzione delle varici, così come rilevabile metricamente
sul paziente, a mezzo di uno strumento (SMS), utilizzato per misurare la
circonferenza e la lunghezza della gamba nelle prescrizioni di calza compressiva.
All’esame clinico gli insuccessi terapeutici (fallimenti) erano caratterizzati
dalla presenza di varici in quantità >50% di quella della varicosi precedente
61
4 - La recidiva varicosa
4.1 - Le recidive della scleroterapia classica
e dalla presenza dei segni di Insufficienza Venosa Cronica.
All’esame eco-Doppler gli insuccessi terapeutici (fallimenti) erano
caratterizzati dall’assenza dei seguenti segni5,6.
1. Segni morfologici (ecografici): incompressibilità della vena;
modifiche a carico della parete vascolare, come addensamento di
versante endoteliale, ma anche come sfocatura o frammentazione
della parete; modifiche luminali quali iperecogenicità del lume e
riduzione del calibro fino alla trasformazione della vena a cordone,
sinonimo di risultato ideale.
2. Segni emodinamici (Doppler-analisi): assenza del flusso o del solo
reflusso7,8.
SCLEROTERAPIA della SFJ
FOLLOW-UP: 1500 CASI (globalmente considerati)
1° STADIO
2 ANNI
1500 CASI
GRUPPI
A 436 B 624 C 440
2° STADIO
3 ANNI
1034 CASI
GRUPPI
A 318 B 402 C 314
3° STADIO
5 ANNI
870 CASI
GRUPPI
A 270 B 330 C 270
4° STADIO
8 ANNI
600 CASI
GRUPPI
A 192 B 210 C 198
400 CASI
GRUPPI
A 130 B 140 C 130
5°STADIO
11 ANNI
6° STADIO
15 ANNI
260 CASI
A 80
Globalmente abbiamo rilevato 180 fallimenti (recidive) clinici (12%) (Fig.
2) e 346 (23%) fallimenti (recidive) ecoDoppler (Fig 3).
GRUPPI
B 100 C 80
Fig. 1 - I controlli sono stati effettuati al 1° Stadio in tutti i 1500 casi; di essi
solo 250 sono giunti ad un follow-up di 15 anni. Per ogni Stadio è riportata la
popolazione studiata e divisa in Gruppi a destra, e in Sotto-Gruppi a sinistra.
Ogni Stadio è riconoscibile sempre con lo stesso colore in tutta la esposizione
62
RISULTATI:
1. DIAMETRO DELLA SFJ (rilievi comparati tra Sotto-Gruppi)
Dai dati rilevati non si evince alcuna differenza di fallimenti a seconda
che il diametro della SFJ fosse stato superiore (Sotto-Gruppo I) o
inferiore (Sotto-Gruppo II) al valore di 8 mm
I. LIVELLO CLINICO: 93 recidive su 750 casi nel SottoGruppo I ed 87 recidive su 750 casi nel Sotto-Gruppo II
(χ 2 : 0,16 p : 0,6912 -Yates correction- odds ratio: 1,08)
II. LIVELLO ECODOPPLER: 177 recidive su 750 casi nel
Sotto-Gruppo I e 168 recidive su 750 casi nel SottoGruppo II (χ 2: 0,24 p: 0,6235 - Yates correction - odds
ratio: 1,07).
2. CIRCONFERENZA DI COSCIA (rilievi comparati tra Gruppi)
Importanti differenze nell’insorgenza di recidive sono state riscontrate a
seconda della circonferenza di coscia. Sono state riscontrate più recidive
a carico del Gruppo C rispetto ai Gruppi A e B insieme accorpati, così
come evidenziato in dettaglio qui di seguito.
I. LIVELLO CLINICO: la prevalenza dei fallimenti è stata
dell’1,8% nel Gruppo A (8 casi), 9,2% nel Gruppo B (58
casi), 26% nel Gruppo C (114 casi); l’analisi statistica
è effettuata rapportando le 114 recidive (su 440 casi del
Gruppo C) con le 66 recidive su 1060 casi dei Gruppi A
e B sommati (χ 2 : 111,62 p < 0,01 - Yates correction odds ratio : 5,25).
II. LIVELLO ECODOPPLER: la prevalenza dei fallimenti è
stata del 5% nel Gruppo A (19 casi), 20,9% nel Gruppo
B (146 casi), 43,5% nel Gruppo C (179 casi); l’analisi
statistica è effettuata rapportando le 179 recidive (su
63
4 - La recidiva varicosa
4.1 - Le recidive della scleroterapia classica
440 casi del Gruppo C) con le 166 recidive su 1060 casi
dei Gruppi A e B sommati (χ 2: 111,62 p < 0,01 - Yates
correction - odds ratio: 5,25)
3. INCIDENZA DELLE RECIDIVE NEL TEMPO
Sia a livello clinico che ecografico il picco più alto dell’incidenza
di recidive si registra dopo 2 anni dalla scleroterapia, al 1° Stadio
(fig. 2 e 3): con 294 fallimenti ecografici (19,6%) e 140 fallimenti
clinici (9,3%). Negli Stadi successivi, fino ad un follow-up di 15
anni, si aggiungono sul piano clinico altre 40 recidive e, sul piano
strumentale, altre 52; con una incidenza variabile tra 1,3 ed 1,7% sul
piano ecografico e tra l’1 e l’1,5% sul piano clinico.
4. PREVALENZA DEI SEGNI ECOGRAFICI
Le figg. 4 e 5 mostrano la percentuale di rilevamento globale, in
ogni Stadio, dei segni strumentali ecoDoppler, da noi considerati
fondamentali nella valutazione dei risultati della scleroterapia. La
Fig. 4 mostra la distribuzione dei tre fondamentali segni emodinamici
(assenza del flusso, assenza del solo reflusso e persistenza del
reflusso). La Fig. 5 mostra la distribuzione dei tre fondamentali segni
morfologici rilevati con eco B-mode (modifiche della parete venosa,
riduzione del calibro, modifiche del lume e compressibilità della
vena). Tutte le percentuali si riferiscono alla globalità dei casi divisi
per Gruppi (A, B e C).
la compressione esercitata da due bende sovrapposte alla loro massima
estensione: l’incremento di pressione è pari al 50%, anche a fronte di un
incremento di 1 cm del raggio, del punto “g” di coscia. Si può rilevare, al
livello ecoDoppler, che la presenza del tracciato piatto, Fig. 4-1° grafico, è
elevata nel Gruppo “A” (arti magri), la persistenza del reflusso, Fig. 4-3°
grafico, è alta nel Gruppo “C” (arti voluminosi). La scomparsa del reflusso è
elevata nel Gruppo B e rappresenta sempre la caratteristica dei successi del
Gruppo C. L’incidenza dei segni di buona sclerosi (assenza del flusso e del
reflusso) in tutti gli Stadi dei controlli, si mostra duratura. La persistenza
del reflusso, al contrario, aumenta del 1° al 7° Stadio in proporzione diretta
con l’incidenza dei fallimenti.
La percentuale delle modifiche morfologiche della parete e del calibro (Fig.
5) aumenta in proporzione inversa con la circonferenza “g”. L’incidenza
delle modifiche del lume diminuisce sensibilmente dal 1° al 7° Stadio,
soprattutto nel Gruppo C.
Le incidenze più elevate sono a carico delle modifiche del calibro, e
persistono più a lungo.
DISCUSSIONE:
Il limite di una efficace scleroterapia non è rappresentato dal diametro
della SFJ, ma dalle dimensioni dell’arto. Questo limite è segnato dal
valore di 64 cm di circonferenza di coscia. In base alla legge di Laplace,
è più efficace la compressione esercitata da un bendaggio su di un arto
magro, anziché quello applicato su un arto grasso. In quest’ultimo caso è
consigliata l’applicazione di due bende sovrapposte. Infatti, abbiamo testato
64
65
4 - La recidiva varicosa
4.1 - Le recidive della scleroterapia classica
4. la massima incidenza di recidive si riscontra entro i 2 anni dalla
sclerosi.
Fig. 2 - Le recidive subcliniche: i fallimenti rilevati all’ecoDoppler sono suddivisi
secondo i Gruppi e i Sotto-Gruppi, per ogni Stadio, con i loro differenti colori.
L’incidenza di recidive per ogni Stadio è riportata nella colonna centrale
CONCLUSIONI:
Fig. 3 - Le recidive cliniche: i fallimenti rilevati all’es. clinico sono suddivisi
secondo i Gruppi e i Sotto-Gruppi, per ogni Stadio, con i loro differenti colori.
L’incidenza di recidive per ogni Stadio è riportata nella colonna centrale.
Dai risultati della nostra casistica si può concludere che:
1. è possibile sclerosare una vena, indipendentemente dal suo diametro,
a condizione che essa possa essere efficacemente compressa;
2. i segni di sclerosi efficace più importanti sul piano ecodoppler sono:
l’assenza di reflusso e la riduzione del calibro del vaso;
3. la metà dei reflussi persistenti (fallimenti ecodoppler) non sviluppa
una recidiva clinica delle varici, se si associa ad una importante
riduzione del calibro venoso;
66
67
4 - La recidiva varicosa
Fig. 4 - Prevalenza percentuale dei diversi segni strumentali emodinamici
(Doppler) per ogni Stadio e distribuiti a seconda dei diversi Gruppi: il tracciato
piatto è più frequente nel Gruppo A (arti magri), ma la persistenza del reflusso è
più frequente nel Gruppo C (arti grassi)
4.1 - Le recidive della scleroterapia classica
Fig. 5 - Prevalenza percentuale dei diversi segni strumentali morfologici (Eco)
per ogni Stadio e distribuiti a seconda dei diversi Gruppi: con l’aumentare
della circonferenza “g” si riduce la frequenza del rilievo dei segni di parete e di
calibro di buona sclerosi
BIBLIOGRAFIA:
1. Sigg K. Varizen, Ulcus cruris und Thrombose. Springer Verlag, 4 Aufl. Berlin, 1976
2. Bernbach H.R. Le traitement sclérosant selon Sigg. Phlébologie, 1991; 1: 31-6.
3. Griton Ph. La sclérothérapie de la veine saphène interne: indications, techniques et
résultats. Actualité Vasculaires Internationales N°16. Novembre 1993,
4. Vin F. Contrôle du traitement par sclérose des varices. Phlébologie, 199; 43 (4): 67380.
5. Vin F, Schadeck M. La Maladie veineuse superficelle. Masson, Paris, 1991.
6. Schadeck M, Allaert F.A. Résultats à long terme de la sclérothérapie des saphènes
internes. Phlébologie, 1997; 50 (2): 257-62.
68
69
4 - La recidiva varicosa
7. Zummo M. Sclérose versus chirurgie de la saphène interne. Critères selon le reflux au
doppler. Phlébologie 89, A. Davy, R.Stemmer, éds. John Libbey. Eurotext Ltd 89: 7913
8. Bernbach H.R., Ferrara F. Die Sklerosierung der sapheno-femoralen Krosse mit Duplex
kontrolle. European congress of the UIP. 26/09-01/10/99 Bremen/Germany.Vasomed,
Supplement 1/1999: 21.
4.2 - Le recidive post-trattamento ESEC
4.2 - Le recidive post-trattamento ESEC
Castagnoli S., Bernardini E.
ABSTRACT:
INTRODUCTION: Recanalization post-sclerotherapy of the veins has
always been considered an undesirable development, a failure, then a relapse.
Distinguished Authors have published, several times, several items about
(Wallois, Ouvry, Schadeck), but it underscored a total discrepancy between the
clinical outcome, positive up to 95% of cases, and the instrumental one, usually
negative for the ultrasonographic evidence.
ESEC TECHNIQUE: With the ESEC, recanalization is not a recurrence,
but one of the main purposes of the method, representing the beginning of a
series of events that will lead to a reduction of the vessel caliber, reduced flow
and, in cases where it made valve realignment tube (up to 56%), also the total
functional recovery during walking. The occurrence of retrograde flow does not
necessarily mean that there is a reflux. Often the hemodynamic study showes
a persistence of retrograde flow through one or more perforators without valve
jump, or with a jump of a valve but without symptoms or varicose shooting
events. Let us keep in mind that the varicose disease does not restore, primitive
varicose being constitutional, chronic and progressive.
DISCUSSION: We talk about relapse in general when, after the apparent
success of a treatment, reappears in all, or in part, the previous pathological
picture.
The ESEC therapy aims, preserving the heritage saphenous pattern with its
drainage, to the disappearance of symptoms, to a significant reduction of
varicose veins with aesthetic improvement, to the evolution of the hemodynamic
initial picture to a more stable and more easily retractable one: in summary, to
the suppression of stasis and of CVI framework, without suppressing the veins.
The treatment protocols require 2-6 sessions of ESEC in the first year, and
there after 1-2 controls, with time to time necessary shooting sclerotherapy
70
71
4 - La recidiva varicosa
traitments (0.52 times / year on average). In the most of cases, over time, the
pathologic pattern tends to stabilize both in terms of symptoms and instrumental,
as witnessed by the progressive reduction of the caliber of the varices.
The relapse may occur with the early reappearance of symptoms, of course,
in the absence of negative externalities, such as: a complicated pregnancy, a
sudden weight gain, or other factors of a general nature; or it can manifest itself
with an unexpected increase in the caliber of treated vessels and the need for
early and challenging shots of sclerotherapy.
All this accompanied by more or less apparent reappearance of varices and no
positive evolution of hemodynamic cartographic findings.
These paintings can happen and combined over time in various ways.
CONCLUSIONS: The most common causes that may lead to recurrence
have to be ascribed to the errors of the initial mapping, or to the treatment
strategy in which was poorly set the size and cronology of the operations or,
lastly, to errors in the choice of sclerotherapy liquid doses.
Certainly, the variability among patients is very large and physicians should
evaluate it, as a whole, caring patients expectations and their lifestyle. It is not
sufficient to be a super-technician who reviews abstract instrumental paintings,
but carefully consider the patient in all aspects of his life and his pathology.
INTRODUZIONE:
La ricanalizzazione delle vene post-scleroterapia è sempre stata considerata
una evoluzione indesiderata, un insuccesso, quindi una recidiva. Illustri Autori
hanno pubblicato, a più riprese, numerosi lavori sulla materia (Wallois, Ouvry,
Schadeck), evidenziando però una totale discordanza tra il risultato clinico,
positivo fino al 95% circa dei casi, e quello strumentale, solitamente negativo
per la evidenza ecografica della pervietà vasale.
72
4.2 - Le recidive post-trattamento ESEC
TECNICA ESEC:
Con l’ESEC (eco-sclerosi erodinamica conservativa) la ricanalizzazione non è
una recidiva, ma uno dei principali fini della metodica, rappresentando l’inizio
di una serie di eventi che porteranno il vaso ad una riduzione di calibro, riduzione di portata e, nei casi in cui si è realizzato il riallineamento valvolare (fino al
56%), anche al recupero funzionale totale durante la deambulazione.
Il riscontro di un flusso retrogrado non significa obbligatoriamente che ci
sia un reflusso. Spesso lo studio emodinamico evidenzia una persistenza di
un flusso retrogrado con rientro attraverso una o più perforanti senza salto
di valvola, oppure con un salto di una valvola, ma senza manifestazioni di
ripresa sintomatologica o varicosa. Teniamo comunque presente che la malattia
varicosa primitiva non guarisce, essendo costituzionale, cronica ed evolutiva.
DISCUSSIONE:
Si parla di recidiva in generale quando, dopo l’apparente buon esito di un
trattamento terapeutico, ricompare in tutto, o in parte, il quadro patologico
precedente.
La terapia ESEC mira, conservando il patrimonio safenico con il relativo
drenaggio, alla scomparsa dei sintomi, ad una sensibile riduzione delle varici
con miglioramento estetico, all’evoluzione del quadro emodinamico iniziale in
uno più stabile e più facilmente ritrattabile: in sintesi, alla soppressione della
stasi e del quadro di IVC, senza sopprimere le vene.
I protocolli di trattamento ESEC prevedono 2-6 sedute di assestamento nel
primo anno e, negli anni successivi, 1-2 controlli, con le riprese scleroterapiche
di volta in volta necessarie (0,52 riprese/anno di media). Nella maggior parte
dei casi, nel tempo, il quadro tende alla stabilizzazione sia dal punto di vista
sintomatologico che strumentale, testimoniato dalla riduzione progressiva del
calibro delle varici.
La recidiva si può manifestare con la ricomparsa precoce dei sintomi,
ovviamente in assenza di fattori esterni negativi quali, ad esempio: una
gravidanza complicata, un brusco aumento di peso, o altri fattori di carattere
73
4 - La recidiva varicosa
generale; oppure può manifestarsi con inatteso aumento del calibro dei vasi
trattati e conseguente necessità di riprese scleroterapiche precoci e impegnative.
Tutto ciò accompagnato più o meno dalla ricomparsa di varici evidenti ed
evoluzione non positiva dei reperti cartografici emodinamici.
Questi quadri si possono succedere e combinare variamente nel tempo.
CONCLUSIONI:
Le cause più frequenti che possono ingenerare le recidive vanno imputate a
errori della cartografia iniziale, oppure alla strategia del trattamento in cui è
stata mal impostata l’entità e la cronologia degli interventi o, infine, a errori
nella scelta dei dosaggi dei liquidi sclerosanti.
Certamente la variabilità personale dei pazienti è molto vasta ed il Medico deve
valutarla nel suo complesso, attento alle aspettative e allo stile di vita. Non
basta mai essere un super-tecnico che meramente esamina quadri strumentali
astratti, bensì considerare attentamente tutte le risultanze del binomio visitaintervento terapeutico, al fine di avere una visione quanto più completa e chiara
del paziente e della patologia trattata o da trattare.
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Echo-sclerosis
hemodynamic conservative (ESEC): a new technique for varicose vein treatment. Ann Vasc
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Bernardini E, Piccioli R, De Rango P, Bisacci C, Pagliuca V, Bisacci R. Ambulatory and
haemodynamic treatment of venous insufficiency by ultrasound-guidedscleroterapy (ESEC
cure) - 14 years results. Phlebologie, 2007; 36(4): 186-95.
4.3 - Varici recidive da neoangiogenesi
4.3 - Varici recidive da neoangiogenesi
M. Del Guercio
ABSTRACT:
Surgical treatment of lower limbs venous insufficiency, in the last years, has
experienced an important development. In the same time, new varicose veins
have been observed in an increasing number of operated limbs. Case studies
about recurrent varices after surgery (REVAS) vary and come up to 65% in
some of them. The causes of surgery failure may be ascribed to malpractice,
evolution of varicose veins and new-angiogenesis; we could think to sex differences, hormonal levels, diet, job, but the real mechanisms are still not known.
LA RECIDIVA POST-CHIRURGICA:
La terapia chirurgica delle varici ha avuto un grande sviluppo sia per l’evidente
incremento della malattia varicosa nelle società occidentali, che per un perfezionamento delle tecniche chirurgiche in tema di efficacia fisiopatologica ed
estetica.
Contemporaneamente, è stata osservata, nel corso di questi anni, la presenza
negli arti operati di nuove vene varicose definite come varici recidive. Secondo
Perrin, una recidiva viene definita come la presenza di vena varicosa in un arto
operato precedentemente per varici, ovvero, Recurrent varices after surgery
(REVAS)1
Per recidiva varicosa si intende la ricomparsa di vene varicose in un territorio precedentemente trattato (IFC GUIDELINES, Intern. Ang. 2005).
Secondo le varie casistiche, l’incidenza di recidive post-chirurgiche possono arrivare fino al 65% a 5 anni dall’intervento, ma la letteratura fornisce
dati quanto mai vari circa la percentuale di recidive dopo chirurgia2, 3.
74
75
4 - La recidiva varicosa
4.3 - Varici recidive da neoangiogenesi
• Gruppo 5: chirurgia non convenzionale
RECIDIVE DELLA CROSSECTOMIA + STRIPPING
Tasso: 20 – 80 % (20-50 a 5 aa → 50-80 a 20 aa) M. Lauseker 2008
• Gruppo 6: insufficienza venosa profonda.
AUTORE
ANNO
CASI
FOLLOW-UP
METODO
TASSO
Rivlin S.
1975
1708
5-10 aa
clinico
6%
Royle J.P.
1986
367
5 aa
clinico
18 %
Fischer R.
2001
125
34 aa
Clin./ EcoD
48-60 %
Le cause da ricondurre alle varici recidive possono essere ricondotte ad errori
di tattica, errori di tecnica, ad evoluzione della malattia varicosa ed alla neovascolarizzazione.
CONCLUSIONI:
Van Rij A M
2003
137
5 aa
Clin./ EcoD
47-93 %
Kostas T.
2004
113
5 aa
clinico
25 %
Winterborn
J
2004
133
11 aa
clinico
62 %
Allegra C.
2007
1326
5 aa
EcoD
25 %
Per quanto riguarda l’ipotesi di una evoluzione della malattia varicosa, secondo
Winterborn5, non si riconoscono dati scientifici certi concernenti i meccanismi
responsabili di tale evoluzione ma le osservazioni cliniche suggeriscono come
fattori predisponenti: sesso, ereditarietà, fattori ormonali (gravidanza e terapia
estro-progestinica), attività occupazionale e sportiva, abito nutrizionale, insufficienza venosa profonda. Ma, in effetti, gli autori concludono che le cause
relative all’evoluzione della malattia varicosa rimangono ancora un mistero.
Tabella I - Lauseker M. 2008. Percentuali di recidive post stripping.
BIBLIOGRAFIA:
FISIOPATOGENESI DELLA RECIDIVA
1.
Perrin M. Recurrent varices after surgery (REVAS): a consensus document. Cardiovasc
Surg, 2000; 8: 233-245.
Secondo quanto pubblicato da M. Perrin su Phebologie, 1996 (4) le cause delle
varici recidive possono essere classificate in 6 gruppi:
2.
Wong J.K.F. Whole-leg Duplex Mapping for Varicose Veins: Observations on Patterns of
Reflux in Recurrent and Primary Legs, with Clinical Correlation Eur. J. Endovasc. Surg,
2003.
• Gruppo 1: crossectomia della safena interna e della safena esterna o
legatura perforante non corretta
3.
Kostas T., Ioannou C.V., Touloupakis E., E Daskalaki, Giannoukas A.D., Tsetis D., Katsamouris A.N.. Recurrent varicose veins after surgery: a new appraisal of a common and
complex problem in vascular surgery. European journal of vascular and endovascular surgery : the official journal of the European Society for Vascular Surgery. 04/2004; 27(3):27582.
4.
Perrin M. Surgical repair of varicose veins of the lower limbs by saphenous vein stripping.
Phlebologie, 1996; 49 (4): 453-460.
5.
Winterborn RJ., Foy C. et al. Causes of varicose vein recurrence: late results of a randomized controlled trial of stripping the long saphenous vein. J Vasc Surg 2004; 40:634-9.
• Gruppo 2: errore di tattica: insuccesso nella corretta identificazione
della patologia iniziale
• Gruppo 3: evoluzione della malattia
• Gruppo 4: varici residue
76
77
5.
La terapia medica
e compressiva
della malattia
venosa cronica
5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica
5.1 - Trattamento medico delle flebopatie
con flebotropi.
Pieroni O.
ABSTRACT:
The venous disease, today, is widespread, involving almost 50% of the
population and as a result of lifestyle, diet, posture, little movement, etc., tends
to increase more and more. The attention of the physician to the patient’s venous
disease must be high, mainly in the early stages of venous disease onset, when
the classic symptoms specific to that morbid state, are still hazy: heaviness,
especially at night, tingling, slight edema, etc. In such a state preventive therapy
plays a vital role in reducing the risk of chronic venous hypertension and its
serious consequences. Current knowledge of pathophysiology of this disease,
especially of the microcirculatory system and interstitial matrix, have enabled
the availability of a wide range of drugs, including those most commonly used
known as Phlebothropic preparations, to which you recognize a remarkable
capacity for improvement of clinical symptoms of CVI.
INTRODUZIONE:
I farmaci cosiddetti “flebotropi” sono sostanze d’origine naturale, estrattiva o
sintetica ed alcuni di essi sono complessi di più sostanze attive, tra di loro
associate per migliorarne l’efficacia d’azione1,2.
L’uso di tali farmaci trova la sua indicazione clinica sui sintomi soggettivi
e funzionali dell’IVC (stancabilità, crampi notturni, gambe irrequiete,
pesantezza, tensione) e sull’edema. L’insufficienza venosa cronica (IVC) è
l’incapacità di una vena di assicurare un flusso unidirezionale e diretto verso il
cuore, a pressione e portata adeguata alle necessità di drenaggio dei tessuti, di
termoregolazione e di riempimento del cuore indipendentemente dalla postura
e dall’attività fisica del soggetto (C. Franceschi).
80
5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi
FISIOPATOLOGIA DELLA IVC:
L’IVC è una patologia evolutiva ad eziologia multifattoriale e può manifestarsi
con sintomi e segni variabili che vanno da un modesto edema malleolare fino a
quadri gravi caratterizzati da ulcere distrofiche.
Ricordiamo che alla base di una corretta funzionalità della parete venosa
concorrono tre elementi fondamentali:
1. la resistenza: cioè la capacità della parete di un vaso di non lesionarsi
in risposta agli stimoli pressori (come nella stasi venosa) e al passaggio
degli elementi figurati del sangue;
2. la permeabilità: la capacità della parete di un vaso di lasciarsi
attraversare in maniera selettiva da liquidi e sostanze organiche;
3. l’elasticità: la capacità della parete di un vaso di rispondere in maniera
reversibile alle sollecitazioni pressorie.
La resistenza, la permeabilità e l’elasticità del vaso sono garantite dall’integrità
strutturale e fisiologica delle proteine strutturali (collagene, elastina) che
costituiscono la parete vascolare e dalla integrità strutturale e fisiologica dei
glicosamminoglicani che esplicano un ruolo essenziale nella fisiologia della
sostanza fondamentale della parete vascolare. L’alterazione della resistenza,
della permeabilità e della elasticità del vaso porta ad uno sfiancamento della
parete vascolare e alla comparsa dell’ipertensione venosa. Con l’ipertensione
venosa si verifica un rallentamento del flusso ed una marginazione dei leucociti.
Nella corrente di sangue rallentata i globuli rossi formano ammassi a forma di
pile detti rouleaux. I rouleaux sono più grandi dei leucociti ed occupano la parte
centrale della corrente (quella dove il movimento è più veloce), mentre i leucociti
e le piastrine tendono a disporsi alla periferia. La formazione di tali ammassi
eritrocitari (rouleaux) spiega l’aumento della viscosità del sangue (fenomeno
dello sludging). La periferizzazione leucocitaria con l’intermediazione di
alcune integrine (ICAM-1, ICAM-2, ecc.) determinano la interazione leucocitiendotelio. I leucociti aderenti all’endotelio emettono degli pseudopodi
che, inserendosi nelle giunzioni intercellulari, iniziano la trasmigrazione. I
leucociti migrati vanno incontro a degranulazione per cui liberano, a livello
della parete vascolare, enzimi proteolitici (elastasi, collagenasi, jaluronidasi)
81
5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica
che danneggiano il collagene, l’elastina, l’acido ialuronico e predispongono
all’aumento della permeabilità vasale con formazione di edema3.
OPZIONI TERAPEUTICHE:
In queste situazioni patologiche trova indicazione, oltre ai ben noti trattamenti
elastocompressivi, chirurgici, scleroterapici, ecc., il trattamento farmacologico,
che deve essere finalizzato a:
1. prevenire la patologia venosa;
2. ridurre la sintomatologia clinica;
3. ridurre la recidiva;
(pur potendo essere, in ogni caso, vario e, soprattutto, dipendente dallo stadio
clinico della flebopatia).
La fase di prevenzione rappresenta il momento più importante del trattamento
e deve essere messa in atto quando i sintomi clinici sono appena comparsi. In
questa fase spesso il paziente riferisce senso di tensione, formicolii, lieve edema,
pesantezza, sintomi che si accentuano nelle ore serotine e/o quando il paziente
rimane a lungo in ortostatismo o nelle giornate di grande caldo o, nelle donne, la
settimana che precede il ciclo mestruale. Spesso, nel momento dell’osservazione
del paziente, è già presente una condizione di stasi microcircolatoria con
alterazione della funzione di drenaggio venoso e linfatico, ristagno dei liquidi
interstiziali e alterazione funzionale della matrice extracellulare. La matrice
extracellulare gioca un ruolo importante nel mantenimento della funzione di
drenaggio vascolare venoso e linfatico. Essa è costituita da una intricata rete
di macromolecole che riempie lo spazio extracellulare collegandosi, mediante
strutture specifiche (glicocalice), alle varie cellule, regolando, cosi, gli scambi
tra lo spazio interstiziale e le cellule stesse.
Ciò garantisce il normale apporto di sostanze nutritizie alle cellule e
l’allontanamento da queste di cataboliti e tossine. In tal modo si mantengono
attivi i meccanismi di drenaggio da parte dei piccoli capillari venosi e linfatici
evitando la stasi del microcircolo.
Possiamo affermare che in questa fase il trattamento medico assume un ruolo
importante per evitare o, perlomeno, ritardare la cronica evoluzione di una
flebopatia verso la I.V.C.
82
5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi
FLEBOTROPI:
Tra i vari farmaci in uso ricordiamo i FLEBOTROPI. La maggior parte di questi
farmaci appartiene alla famiglia dei flavonoidi, che sono dei polifenoli vegetali
con la struttura chimica del flavone. In quanto attivi sui tessuti degli esseri
viventi, nel 1955 per decisione della Accademia delle Scienze di New York fu
dato ad essi più propriamente il nome di “bioflavonoidi”. Tra i bioflavonoidi
annoveriamo i benzopironi, i flavoni, flavani, rutina, rutosidee, escina, ruscus
aculeatus, centella asiatica, anticianosidi, diosmina, esperidina, dobesilato di
calcio, ginkgo biloba3.
1. Flavonoidi: sono un ampio gruppo di pigmenti naturali che
condividono una comune struttura chimica: una molecola a tre anelli
e gruppi ossidrilici ad essa legati (C28H32O15). Hanno una azione
prevalentemente venotonica, antiedemigena, riducente la permeabilità
capillare, e antinfiammatoria. Inoltre stimolano la biosintesi del
collagene, stabilizzano le fibre del collagene, interagiscono con
l’elastina stabilendo un complesso flavonoidi-elastina che protegge
l’elastina della parete vascolare dall’attività proteolitica dell’enzima
elastasi che viene liberata in condizioni di stasi veno-linfatica,
migliorano l’adesività delle fibre elastiche ai fibroblasti e alle cellule
muscolari lisce, esplicano un’azione estrogeno-agonista ed estrogenoantagonista ed ancora esplicano un’azione antiossidante. La diosmina
rappresenta la sostanza più efficace nel processo di normalizzazione
della permeabilità venulocapillare mediante l’aumento del tono venoso,
la riduzione della risposta dei recettori venulari alle catecolamine,
inibendo l’aumento della permeabilità indotta dall’istamina e dalla
bradichinina, ripristinando l’integrità del film endoteliale di fibrina.
Gli studi farmacocinetici hanno dimostrato che la diosmina, come
tale, non è assorbita. Infatti in seguito a somministrazione orale, la
diosmina è trasformata dalla flora batterica intestinale nel suo aglicone,
diosmetina, più liposolubile, e come tale è assorbita a livello intestinale.
Una volta in circolo, la diosmetina, svolge le note attività di riduzione
sulla permeabilità capillare, di aumento del tono venoso e sulla portata
linfatica e di riduzione dell’infiammazione mediante l’inibizione della
83
5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica
sintesi di lipossigenasi.
2. Benzopironi: Si distinguono in alfa e gamma.
I. Alfa: determinano una proteolisi delle proteine ad alto peso
molecolare che si riscontrano nel linfedema, così da facilitare il
drenaggio dell’edema grazie anche alla riduzione della pressione
oncotica. Non hanno azione sulla coagulazione, a differenza
dei dicumarolici che, pur essendo degli alfa-benzopironi,
sono anticoagulanti orali. Sono estratti dal MELILOTO e
sono spesso associati ai flavonoidi cumarina e esculetina.
Il Meliloto è un efficace tonico, potente antiedemigeno e
leggero anticoagulante. Contiene bioflavonoidi ed eterosidi
cumarinici. A questi ultimi viene attribuita una notevole attività
linfocinetica, con azione di drenaggio del liquido interstiziale.
Ha azione diretta sulla muscolatura liscia dei vasi linfatici e
stimola l’attività proteolitica dei macrofagi.
II. Gamma: sono i cosiddetti flavonoidi ed erano noti come vit.P.
Sono utilizzati sotto forma di estratti in preparazioni sintetiche
o semisintetiche e si distinguono in:
a) Flavoni: diosmina, quercetina, rutina e derivati, rutosidi;
b) Flavani: esperidina.
3. Flebotropi: Il dobesilato di calcio riduce la permeabilità capillare,
la viscosità ematica e migliora il drenaggio linfatico. L’escina,
estratta dall’AESCULUS HIPPOCASTANUM, aumenta il tono
della parete venosa e possiede un effetto antiedemigeno. L’escina,
triterpene pentaciclico, aumenta la resistenza capillare, diminuisce
la permeabilità ed ha un modesto effetto vasocostrittore: ne deriva
un’azione antiedemigena, antiinfiammatoria e venotonica L’azione
antinfiammatoria ed antiedemigena è dovuta alla esculetina, genina
contenuta nell’esculoside,che risulta un potente inibitore della
lipossigenasi e delle ciclossigenasi (COX-1 e COX-2).Contiene anche
derivati cumarinici.
4. Ginkgo biloba che esplica attività simile ai flavonoidi:
I. regola il tono venoso;
84
5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi
5.
6.
7.
8.
9.
II. riduce la permeabilità capillare e l’aggregazione piastrinica.
Centella asiatica: Il suo estratto triterpenico è in grado di intervenire
sul metabolismo del tessuto connettivo inducendo una inibizione della
crescita cellulare e della produzione di fibre collagene; tale sostanza è
anche capace di stimolare la sintesi dei mesoglicani e di determinare
un ripristino delle attività funzionali del periangio, particolarmente
compromesse in presenza di lesioni di tipo sclerodermico, che
accompagnano e favoriscono le lesioni ulcerative.
Amamelide: Ricca di vitamina P, tannini gallici, flavonoidi, colina, acidi
fenolici e sali minerali, agisce soprattutto riducendo la permeabilità
capillare.
Gambo d’ananas: Ricco di bromelina che, come noto, è un enzima
proteolitico, aumenta la lisi dei depositi di fibrina nella zona di
infiammazione, depositi che altrimenti bloccherebbero sia i capillari
sanguigni che linfatici: l’azione si esplica principalmente attraverso il
miglioramento del microcircolo.
Vitis vinifera: Principi attivi: flavonoidi (quercetina, rutina, kaempferolo),
tannini, antocianidine, OPC e resveratrolo. Gli OPC interagiscono
con l’elastina tissutale che nonostante venga ancora riconosciuta
dall’elastasi viene idrolizzata con una velocità significativamente
inferiore. È stato, inoltre, dimostrato sperimentalmente che gli OPC
stabilizzano le fibre collagene. Il resveratrolo è uno stilbene che eplica
azioni antiossidanti, estrogeniche, miorilassanti sulla muscolatura
liscia vascolare. Altri effetti del resveratrolo: sembrerebbero esplicarsi
a livello della placca aterosclerotica: si comporterebbe come una sorta
di solvente (azione antiaggregante piastrinica).
Antocianosidi da Vaccinum Myrtillus: L’effetto capillaro-protettore di
queste sostanze è noto da tempo ma il loro impiego è entrato nella
pratica clinica solo da quando si è potuto disporre di antocianosidi
ad alto dosaggio con rapporti costanti tra le diverse antocianidine.
Secondo quanto pubblicato in letteratura, l’efficacia terapeutica degli
antocianosidi sulla permeabilità capillare si esplicherebbe attraverso
un duplice meccanismo d’azione: il primo, di carattere fisico-chimico,
85
5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica
basato sulla formazione di complessi liposolubili tra le antocianidine
(agliconi degli antocianosidi) ed i fosfolipidi delle membrane
endoteliali; il secondo, di tipo extra-parietale, legato all’attività sulla
biosintesi dei glicosaminoglicani (in particolare acido jaluronico) della
sostanza fondamentale del connettivo e, in definitiva, sul manicotto
mucopolisaccaridico peri-capillare.
10. Diosmina: viene usata da molti decenni per le sue proprietà capillarotrope
e vasotoniche. Agisce come potente inibitore delle prostaglandine e
del trombossano A2 e, interferendo con l’attivazione dei Leucociti,
inibisce la attivazione della cascata infiammatoria, provocando una
forte diminuzione della permeabilità capillare. La protezione contro il
danno vascolare è mediata anche dall’inibizione dell’attivazione dei
neutrofili e dalla diminuzione dei livelli serici delle proteine d’adesione
endoteliale. La diosmina migliora diversi parametri compromessi nella
patologia diabetica, grazie alla potente azione antiossidante: è molto
importante la diminuzione del livello di glicosilazione delle proteine e
l’aumento d’attività della glutatione perossidasi. Di rilievo è anche la
capacità di normalizzare la velocità di filtrazione capillare e diminuire
le resistenze al flusso ematico migliorandone la reologia. La diosmina
prolunga l’effetto vasocostrittore della noradrenalina a livello delle
pareti venose, per poi quindi ridurre la capacitanza, la distensibilità e
la stasi. Questo incrementa il ritorno venoso e ciò riduce l’ipertensione
venosa. Infine, la diosmina aumenta il drenaggio linfatico mediante
l’incremento della frequenza e dell’intensità delle contrazioni linfatiche,
aumentando la funzionalità della rete capillare linfatica.
IL FITOSOMA®
I principi attivi estratti dalle piante sono soprattutto in forma di tintura (dalla
droga secca), tintura madre (dalla droga fresca), macerato glicerinato, estratto
fluido, estratto secco titolato o, ancora, in forma micronizzata, complesso
fitosomale, ecc.
Spesso, però, il processo di purificazione a cui sono sottoposte le parti delle
86
5.1 - Trattamento medico delle flebopatie con flebotropi
piante, riduce fortemente o priva le sostanze della loro naturale veicolazione per
cui, da composti farmacologicamente attivi, si trasformano in ingredienti poco
attivi, utili solo se somministrati ad alte dosi. Per questo problema non di poco
conto, tra le varie formulazioni, appena lette, che abbiamo a nostra disposizione,
ne è presente una che si basa su un concetto nuovo: il FITOSOMA®.
Stiamo parlando di una struttura chimica brevettata determinata dall’interazione
stechiometrica, in solvente aprotico, di una frazione polifenolica pura, o
standardizzata, con una matrice fosfolipidica estratta dalla soia. Sulla base delle
sue caratteristiche (chimico-fisiche, spettroscopiche e biologiche), il complesso
sostanzialmente migliora la biodisponibilità orale del principio attivo. A parità
di dosaggio in princìpi attivi, la biodisponibilità orale della forma fitosomale
è almeno 3 volte superiore rispetto alla forma libera. Dopo somministrazione
orale, infatti, il complesso fitosomale, superata la barriera gastrica, raggiunge
l’intestino tenue dove è sottoposto ad un processo di emulsificazione
e micellazione dovuto all’interazione con i sali biliari. In tale forma il
FITOSOMA®, penetrato attraverso la mucosa intestinale, viene incorporato
nei chilomicroni per mezzo dei quali, attraverso il sistema linfatico e il torrente
ematico, raggiunge i tessuti bersaglio dove i principi attivi vengono rilasciati
in forma praticamente pura. L’ottimizzazione della “resa” farmacologica del
principio attivo viene poi permessa dallo sviluppo di tecnologie che hanno reso
possibile la realizzazione del cosiddetto “rilascio controllato”.
CONCLUSIONI:
Il flebologo moderno dispone di un vasta gamma di sostanze ognuna delle quali
ha una specifica caratteristica terapeutica che sarà adattata di volta in volta
alla situazione patologica, e questo sia in fase preventiva, sia quando non è
possibile eseguire un atto chirurgico, o, dopo la chirurgia stessa, come terapia
di supporto. La documentazione scientifica è abbastanza ricca di dimostrazioni
del beneficio di tale terapia per la riduzione della sintomatologia clinica e del
miglioramento della qualità della vita del paziente flebopatico.
87
5 - La terapia medica e compressiva della malattia venosa cronica
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Allegra C. Guida alla terapia con antocianosidi nelle Flebopatie degli arti inferiori. Il Polso
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Allegra C, Antonimi V, Carlizza A, Tonelli V. L’estratto titolato triterpenico di Centella
asiatica nella I.V. Min Angiol, 12,107 -16.
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Bombardelli E. Phytosome: new delivery system. Boll Chim Farm, 1991; 130(11): 431-438.
5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo
5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo
Bencivenga G., Cardamone B., De Simone A.,
Furino E., Di Filippo A., Quarto G.
ABSTRACT:
Chronic Venous Insufficiency affects a wide range of population, causing high
social costs due to days of hospitalization and sick leave. In this pathological
pattern leg venous vessels lose their elasticity and their tensing strength, thus,
the capacity to push blood to the cardiac pump; for this reason blood congests
leg veins and weakens their walls developing, successively, the varicose veins.
Thermal cares play, together elastic compressive therapy, an effective role in
the prevention of this insufficiency.
Kneipp cure is one of the most important thermal treatment, used for this purpose.
It consists in doing a subsequent passage in two swimming pool, filled, respectively, with cold and moderately hot water (the passage from a swimming pool
to another occurs by steps). This “vascular gymnastic” is effective, according
to three mechanisms: chemical (sulfuric waters have anti-inflammatory and relaxing properties), thermic (the sequence of vasoconstriction - cold water - and
vasodilatation – light hot water - stimulate veins wall) and mechanical (the passage from a swimming pool to another makes leg muscles to contract, activating the so called “muscular pump”).
INTRODUZIONE:
La patologia da insufficienza veno-linfatica degli arti inferiori interessa ampi
strati della popolazione nelle differenti fasce d’età. Essa comporta elevati costi
sociali per assenza dal lavoro con perdita di produttività, giornate di ricovero
88
89
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo
ospedaliero, interventi chirurgici ed invalidità causata dalle gravi, seppur rare,
complicanze trombo-emboliche e dalla presenza di ulcere negli stadi più avanzati.
ogni percorso termale, il percorso Kneipp; esso a buon titolo si affianca, senza
sostituirlo, al trattamento elastocompressivo, di cui rappresenta una utile, ed a
nostro avviso, indispensabile integrazione.
La flebopatia è il risultato della perdita di efficienza delle vene degli arti inferiori. Trattandosi di un percorso antigravitazionale, la circolazione venosa è strutturata in modo tale da permettere il ritorno del sangue al cuore, evitandone il
reflusso ed il ristagno negli arti inferiori. Un importante meccanismo coinvolto
in questa ascesa è l’elasticità delle vene. Quando le pareti venose perdono
il proprio tono, cioè la capacità di variare lo stato di contrazione parietale in
relazione a vari stimoli, le vene si dilatano, incrementando il ruolo di capacitanza, ma ostacolando il ritorno al cuore. Il sangue rallenta la propria velocità
di scarico antigravitazionale e tende a refluire in senso cardiofugo, si crea, in
questo modo, un ristagno ematico che aumenta la pressione nelle vene, “sfiancandole”: un circolo vizioso che si manifesta con edema, inizialmente malleolare, senso di pesantezza e affaticamento, corona flebectasica perimalleolare,
sino ad arrivare alla comparsa di vere e proprie “vene varicose”, compromissione del microcircolo, lesioni ulcerative e, in ossequio alla triade di Virchow,
incrementato rischio di trombosi venosa superficiale e profonda.
Questa pratica è nota come percorso Kneipp, in onore dell’ Abate tedesco Sebastian Kneipp (1821-1897), il quale comprese gli effetti benefici dell’immersione
alternata in acqua calda e fredda.
IL PERCORSO KNEIPP:
L’insufficienza venosa cronica ai primi stadi non rappresenta un problema
grave; tuttavia, trattandosi di una malattia potenzialmente progressiva, è importante intervenire tempestivamente al fine di prevenire o, per lo meno, rallentare l’evoluzione dei segni e dei sintomi, attuando misure la cui efficacia è
direttamente proporzionale alla tempestività con la quale vengono intraprese.
La strategia messa in alto è volta, da un lato, a supplire alla perdita di tono delle
pareti venose e dall’altro a creare una forza propulsiva ascendente, in modo da
prevenire il ristagno ematico nel sistema venoso distale. L’elastocompressione
rappresenta una delle misure più adottate in questo senso, ma il nostro scopo è
quello di illustrare i vantaggi della medicina termale e, nella fattispecie, di una
pratica che negli anni si è diffusa fino a diventare una parte imprescindibile di
90
Kneipp nel 1848, affetto dalla tubercolosi, scoprì casualmente il libro “Lezione
sulla forza guaritrice dell’acqua fresca” di J. S. Hahn; non trovando giovamento
nelle cure del tempo, Kneipp decise di applicare ciò che aveva letto: dopo essersi spogliato nudo, si tuffava nel Danubio e subito si rivestiva, contrastando il
rapido raffreddamento correndo verso casa.
Dopo soli 6 mesi di questo trattamento la TBC era sparita. Benché Kneipp attribuisse alla sua idroterapia benefici di vario genere, l’unico effetto scientificamente certo delle applicazioni di acqua calda e fredda è l’effetto vasomotorio.
Il percorso vascolare rappresenta una forma di “ginnastica vascolare” .
Si tratta di due vasche, a diversa temperatura, profonde circa 80 cm. La cura
prevede sedute di 20 minuti camminando a media velocità prima in una vasca e
poi nell’altra. Per passare dalla prima alla seconda si devono salire e poi scendere alcuni scalini (Fig. 1).
Fig. 1 - Percorso Kneipp
91
1- Fisiopatologia ed emodinamica del sistema venoso
MECCANISMI DI AZIONE:
1. Chimico: le acque sulfureo-salsobromoiodiche (Fig. 2), utilizzate nella
terapia dei percorsi vascolari, sono notoriamente rilassanti, defaticanti
ed inoltre coadiuvanti nel trattamento antiflogistico.
5.2 - La riabilitazione flebologica ed il termalismo
CONCLUSIONI:
Il sistema nervoso porta gli stimoli percepiti a livello cutaneo all’interno del
corpo1, stimolando il sistema immunitario, influenzando la secrezione gastrica
e ormonale e rinforzando il sistema cardiovascolare3. Il calore calma e addolcisce il corpo, rallentando l’attività funzionale degli organi interni. Il freddo, al
contrario, stimola e rinvigorisce aumentando l’attività interna. L’alternanza di
caldo e freddo diminuisce lo stress e stimola “corpo e mente”.
BIBLIOGRAFIA:
1. Senninger A, Von Weckbecker E. Changes of the neurovegetative skin tonus by the effect of
the Kneipp cure. Munch Med Wochenschr, Mar 13 1953; 95(11): 308-11.
2. Frexinos J. The cold water cure of the parish priest Kneipp and the development of natural
medicine in the nineteenth century. Rev Soc Fr Hist Hop, 2006 Dec; (123-124): 64-7.
3. Franke K. Physiological reactivity in the Kneipp cure, exemplified by reaction of blood
pressure.
Fig. 2 - Terme di Agnano (NA)
4. Medizinische, 1954 Jan 23; 4: 122-3.
2. Termico: l’acqua calda determina dilatazione dei vasi sanguigni (“vasodilatazione”), mentre l’acqua fredda causa un restringimento dei vasi
(“vasocostrizione”). L’alternanza di vasodilatazione e vasocostrizione
costituisce una vera e propria “ginnastica” per i vasi, che migliora la
funzionalità vasomotoria1,2. La temperatura dell’acqua varia di 10°C tra
una vasca e l’altra (rispettivamente 22°C e 32°C circa).
3. Meccanico: camminare da una vasca all’altra ed il salire i gradini mette
in moto la cosiddetta “pompa muscolare”: i muscoli degli arti inferiori,
contraendosi e rilasciandosi, “spremono” i vasi facilitando il ritorno
venoso e riattivando così la circolazione. Inoltre, un ulteriore effetto
meccanico che favorisce il ritorno venoso è ad opera degli idromassaggi laterali a pressione differenziata (massima a livello del piede,
ridotta nella regione prossimale della coscia).
92
93
6.
Varici reticolari
e telangectasie
6 - Varici reticolari e telangectasie
6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia
delle Telangectasie
Molisso A., Apperti M., Goffredi L., Quarto G.
ABSTRACT:
The work aims to analyze the hemodinamic features related to telagectasic
expressions. These characteristics are completely original and their
specifications are traceable through the underlying pathophysiological
aspects rather complex, and through the pathophysiological structure the
different morphological aspects can be traced. The aim is to rationalize
the therapeutic approach that historically produces clinical results not
always decisive and stable. Conversely, a more thorough understanding
of morphp-functional aspect and of different pathophysiological
mechanisms can lead to more appropriate.approach.
INTRODUZIONE:
Il termine “telangectasia” indica una serie di manifestazioni cliniche
collegate alla malattia varicosa e connotate da diverse varietà morfologiche.
È ipotizzabile tuttavia che ad esse sia sotteso un meccanismo emodinamico
assimilabile, anche se originale e specifico, ed in qualche modo
sovrapponibile a quello delle varicosità di calibro maggiore.
Network dermico: ad ogni tipo di patologia venosa dilatativa è sotteso
un meccanismo emodinamico che sinteticamente possiamo chiamare
“reflusso”. Lo spessore dell’epidermide oscilla tra 0,05 mm ed 0,1 mm,
mentre il derma ha uno spessore di 1,1 mm ed il grasso sottocutaneo 1,2
mm per un totale di 3 mm circa. Le vene dermiche sono disposte in 2 plessi
orizzontali, di cui il più superficiale è quello sub-papillare, connessi tra loro
e comunicanti col network venoso ipodermico.
96
6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie
ORGANIZZAZIONE E MORFOLOGIA DEL NETWORK:
Si è sempre ritenuto che in queste strutture la linea di drenaggio, a partire
dal plesso sub-papillare, fosse diretta dalla superficie in profondità verso il
plesso sotto dermico, senza prevedere linee di flusso orizzontali. Gli studi
condotti da Nobuaki Imanishi et al. (J Anat. 2008 May; 212(5): 669-673)
su cadaveri col metodo stereografico (iniezione di mezzo di contrasto)
hanno evidenziato che il network venoso dermico e sottodermico ha una
struttura poligonale costituita da vene perimetrali che delimitano l’area
poligonale e da numerose vene di calibro più piccolo incluse nell’area, il
più delle volte a decorso ascendente, riccamente anastomizzate tra loro e
con i rami che contornano il poligono. I Network sub-papillare e dermico
sono costituiti quindi da strutture venose poligonali contigue, ma con
un flusso preferenziale che non connette poligoni adiacenti, ma è diretto
verso gli strati più profondi. In sede ipodermica si ritrovano ugualmente
plessi venosi strutturati come poligoni di varia grandezza ed è verosimile
che raccolgano il flusso dalle strutture sovrastanti. La conseguenza è
che la linea emodinamica prevalente è orientata dalla superficie verso il
profondo. Alcuni studi effettuati con l’ausilio di immagini stereoscopiche
contrastate mostrano immagini di accumulo di contrasto alla base dei
rami delle vene ascendenti, immagini riferibili a strutture valvolari, tra
l’altro già descritte1,2. Questo dato è stato confermato anche utilizzando la
microscopia elettronica a scansione (Murakami, 1971) che ha individuato
sistemi valvolari in vene con diametro di 20 µm (Philips, 2004)3. Si tratta
di valvole bicuspidi che nei punti di raccordo presentano il bordo libero
orientato dal vaso più piccolo verso quello di maggior calibro. Questo fa
pensare ad un meccanismo coinvolto nella direzionalità del flusso, anche
perché le valvole delle “collecting veins” a livello dell’interfaccia tra il
derma ed il grasso sottocutaneo hanno una disposizione che lascia supporre
un’eguale direzionalità del flusso dall’alto verso il basso.
97
6 - Varici reticolari e telangectasie
6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie
NETWORK SUB DERMICO:
Il grasso ipodermico, strutturato in lobuli, è delimitato da bande di fibre
collagene che derivano dal derma e che formano dei setti interlobulari.
Queste fibre sono dei veri e propri ancoraggi fissati alla fascia sottostante
conosciuta anche come fascia sottocutanea di Scarpa. Le vene che provengono
dai plessi sovrastanti non penetrano nei lobi, ma transitano attraverso i setti
interlobulari (Curri)4, oltrepassano, poi, la fascia sottocutanea e si collegano
al circolo sottostante. La collocazione anatomica dei plessi dermoipodermici configura un sistema strutturalmente completo disposto in 3 piani
sovrapposti e collocato al di sopra della lamina fibroelastica superficiale, al
di sotto della quale ritroviamo quello che conosciamo come sistema venoso
superficiale sopra-fasciale. Questa struttura morfologica nel suo complesso
consente di prospettare i meccanismi mediante i quali possono realizzarsi
reflussi e dilatazioni venose assiali e tronculari che rappresentano la vasta
gamma delle teleangectasie (Figg. 1 e 2).
Fig. 2 - Struttura poligonale del Network
(da Nobuaki Imanishi et al. )
MECCANISMI FISIOPATOLOGICI:
Si può ipotizzare che i meccanismi fisiopatologici sottesi alle dilatazioni
telangectasiche possono essere di 3 tipi:
1. reflusso proveniente dai segmenti venosi sotto-ipodermici
(meccanismo estrinseco);
2. reflusso generato da alterazione dello strato adiposo ipodermico
(meccanismo intrinseco);
3. reflusso generato da alterazione delle strutture di sostegno dermoipodermiche (meccanismo intrinseco).
Fig. 1 - Organizzazione e Morfologia del Network
98
Nel network descritto vi sono tutte le potenzialità affinchè si verifichi un reflusso o una serie di reflussi, anche se l’impianto della struttura offre un’ampia
possibilità di compenso ai reflussi e spiega, almeno in parte, le diverse morfologie telangectasiche.
Una vecchia classificazione faceva una distinzione tra reflusso compensato e
99
6 - Varici reticolari e telangectasie
non compensato, o, se vogliamo, stabile ed instabile, distinzione che condividiamo pienamente: il reflusso è un fenomeno dinamico ed in continua evoluzione, e come tale per definizione è instabile e discontinuo.
Tipo 1 - Reflusso dai segmenti venosi sotto ipodermici - Meccanismo Estrinseco
L’ipoderma poggia sulla fascia sottocutanea fibroelastica al di sotto della quale
giace il sistema venoso superficiale rappresentato principalmente dai circoli
safenici ed extra safenici che, quando si interfacciano con i piani più superficiali, realizzano una ricca rete venosa. Sotto il profilo terapeutico è cruciale
individuare i reflussi più prossimali collegati in maniera diretta alle espressioni
dilatative e la loro direzione ed origine, anche perché eventuali reflussi situati
più a monte sono di pertinenza di assi venosi di maggior calibro suscettibili
di una strategia terapeutica diversa. Un reflusso residente in un segmento del
circolo superficiale, safenico o non safenico, può sicuramente forzare i rami
venosi interlobulari e poi espandersi nei plessi dermici e papillari, dando luogo
alle telangectasie ed in questo caso si può supporre che l’effetto retrogrado si
rifletta sia sulle strutture poligonali che su quelle intra-poligonali. Il risultato
è una telangectasia complessa in cui si ritrovano segmenti dilatatati di vario
calibro che tendono ad assumere una configurazione che riproduce l’impianto
originario di tipo concentrico, e che talora è associata ad uno o più segmenti
venosi rettilinei di maggior calibro, situati in un piano più profondo. Questa
descrizione è solo schematica perché una volta che un reflusso approda al piano
dermo-ipodermico possono realizzarsi più soluzioni di eventi dilatativi dovuti
a reflussi secondari. Non dobbiamo dimenticare infatti che nei plessi sub papillari e dermici vi è un flusso pulsatile con valori pressori oscillanti tra gli 11 ed i
50 mmHg che rappresentano un valido sbarramento a reflussi che provengono
dai plessi più profondi, ma nello stesso momento questo sbarramento se da una
parte può indirizzare l’onda di reflusso in vario modo dall’altra può causare
reflussi secondari che si ripercuotono sui plessi dermici.
100
6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie
Tipo 2 - Reflusso generato da alterazione dello strato adiposo ipodermico
- Meccanismo Intrinseco
Si può dire che le vene per oltrepassare i lobuli devono percorrere una strettoia
delimitata, oltre che dal grasso, dalle fibre collagene. È intuitivo che una patologia strutturale dei lobuli adiposi può riflettersi sulle vene che li attraversano.
Una patologia o una condizione degenerativa dei lobuli adiposi si può realizzare sia con un aspetto lipedematoso che lipodistrofico (fibro-sclerosi), o anche
con un’associazione di entrambe. Il risultato è che la strettoia naturale dei setti
interlobulari si irrigidisce e/o si ipertrofizza causando uno stiramento ed una
compressione sui segmenti venosi che li attraversano, e questo rappresenta una
sorta di relativo ostacolo al naturale deflusso verso i piani profondi, cioè la premessa per un reflusso verso il piano dermico; può, inoltre, influenzare anche la
rete venosa sottostante a cui viene a mancare la spinta di un flusso ortodromico,
potendo sviluppare a sua volta un reflusso.
Tipo 3 - Reflusso generato da alterazione delle strutture di sostegno dermoipodermiche - Meccanismo Intrinseco
Le strutture di sostegno del complesso dermico ed ipodermico sono rappresentate sostanzialmente da fibre collagene. Ogni network venoso è dipendente,
sotto il profilo cinetico, dalle strutture che lo circondano, e questo vale ad esempio per tutti i sistemi che si avvalgono di un impianto di pompa di tipo muscolofasciale: isolare il network venoso dal suo contesto cinetico equivale a sottrargli
sia la spinta emodinamica sia il sistema di sostegno. Tra epiderma e derma vi
sono due lamine sovrapposte: la lamina Lucida e la lamina Densa o Reticolare,
al di sotto delle quali si sviluppa la rete di sostegno rappresentata da Collagene
di vario tipo. Il network venoso attraversa questa rete nel suo percorso dermico
e a sua volta è la rete stessa a fungere da sostegno al network.
Tuttavia la degradazione delle fibre collagene e delle fibre elastiche, turn over
a parte, è un fenomeno consueto. In tal modo viene a diminuire, in modo
più o meno esteso, la funzione di sostegno producendo anche una riduzione
dell’elasticità del tessuto. C’è da aggiungere che le vene dermiche sono ancorate all’ambiente circostante da fibrille collagene che hanno la funzione di
101
6 - Varici reticolari e telangectasie
stabilizzare le strutture vasali e proteggerle dalle “shearing forces” (forze di
frizione) a cui sono soggette (Braveman e Keh-Yen)5. In sostanza un impoverimento del patrimonio di sostegno finisce col provocare un collasso segmentario
di alcuni segmenti della rete venosa del network dermico col risultato che le
strutture di sbarramento, in primo luogo le valvole, perdono la loro funzione.
La conseguenza è che possono verificarsi una serie complessa di reflussi regionali che a loro volta esprimono le teleangiectasie. A tutto questo bisogna
aggiungere un aspetto patogenetico subordinato più direttamente ad un patologia vascolare, patologia che può contribuire ad un quadro lipedematoso o
lipodistrofico. Ci riferiamo in questo caso all’edema in cui vi è una componente
linfatica marcata: in queste circostanze abbiamo da una parte l’imbibizione del
tessuto adiposo e dall’altra la raccolta edematosa che esercita di per sé uno stimolo infiammatorio capace di indurre una sovraespressione delle MMP (Matrix
Metallo Proteinase) con conseguente rimodellamento della matrice.
ESPRESSIONI MORFOLOGICHE DELLE
TELEANGECTASIE:
Le espressioni morfologiche delle teleangectasie sono numerose e dotate
di ampia variabilità. Per elaborare una sistematizzazione in tutti i casi si
deve tener conto dei 3 aspetti principali delle teleangectasie: vale a dire
il colorito, o il colorito predominante, il loro diametro medio, e l’aspetto
morfologico del complesso teleangectasico. Le proposte classificative sono
state numerose (Redisch e Peltzer, Ouvry, Duffy et al.), anche se si rifanno
sostanzialmente alla morfologia della lesione, distinguendo 4 tipologie:
1) Teleangectasie lineari e sinuose.
2) Teleangectasie arborescenti.
3) Teleangectasie stellate.
4) Teleangectasie puntiformi.
Una classificazione efficace delle telangectasie non può non tenere in considerazione la fisiopatologia. A questo scopo introduciamo il concetto di “compenso”.
Per “compenso” dobbiamo intendere la capacità da parte delle strutture valvolari e cinetiche di rendere il flusso omogeneo e finalizzato. Quindi il “com102
6.1 - Emodinamica e Fisiopatologia delle Telangectasie
penso” è un fenomeno del tutto fisiologico. Esso si interfaccia da una parte col
flusso fisiologico e dall’altra col reflusso patologico. Per cui è lecito presumere
che i reflussi fanno parte della normale dinamica e che nella maggior parte dei
casi essi sono compensati: in realtà è dall’equilibrio, o dal mancato equilibrio,
tra reflusso e compenso che si generano circostanze ipertensive ed anche ectasie
canalicolari. Nel caso di un reflusso che proviene dalle vene sotto ipodermiche
(Tipo 1) bisogna presumere che, nella maggioranza dei casi, esso è collegato ad
una origine situata tra la fascia sottocutanea e quella superficiale. Abbiamo anche visto che esso si espande alle strutture venose poligonali. Queste strutture
si trovano alla base delle vene intra-poligonali e sono connesse con loro attraverso valvole. In questo caso il compenso è rappresentato esclusivamente dallo
sbarramento valvolare. Il reflusso, forzando le valvole, dà un risultato dilatativo
che è verosimilmente una telangectasia stellata, che, in sostanza, riproduce il
network intra-poligonale. Quando il reflusso è originato da un’alterazione dello
strato adiposo, il reflusso origina da una sorta di stenosi terminale del network
dermico, che rappresenta un ostacolo al deflusso. Il compenso, in questo caso,
deve essere duplice, a monte e a valle della strettoia adiposa, ed agire contemporaneamente sulle strutture dermiche e su quelle sottodermiche. Considerato
che l’ostacolo ed il reflusso che ne deriva è originariamente a bassa pressione,
tutto si riduce ad un gioco di resistenza valvolare. Così ci dobbiamo aspettare
un’espressione teleangectasica di tipo “arborescente”, considerando il tronco
principale rappresentato dal segmento venoso che emerge dai lobuli adiposi.
Quando il reflusso è causato da un’alterazione delle strutture di sostegno, si
può parlare di una condizione di stasi nei loops venosi, che a causa della perdita
di sostegno, divengono sede di dilatazione ed a lungo andare possono creare le
premesse di uno stato ipertensivo segmentario che può produrre le condizioni,
o le pre-condizioni, per una forzatura delle valvole a monte ed a valle. Restano
in ultimo le “red spider” ovvero le teleangectasie rosse lineari. Ci sembra che
l’ipotesi più avvalorata è quella della neo-angiogenesi. Ad ogni modo vogliamo proporre anche la possibilità di un meccanismo, che può contribuire alla
formazione delle teleangectasie “rosse”. Ci vogliamo riferire ad un meccanismo a ritroso venulo-arteriolare a cui potrebbero partecipare le AVA (ArteroVenous Anastrosis) pre- e post-capillari.
103
6 - Varici reticolari e telangectasie
CONCLUSIONI:
Questa esposizione dimostra, in estrema sintesi, la obbiettiva difficoltà di
inquadramento definitivo delle lesioni teleangectasiche che sono il risultato
di una complessa ed estesa serie di collegamenti, interazioni e contatti di
una vasta rete venosa. Proprio questa complessità è alla base dei risultati
terapeutici non sempre brillanti; è evidente come una compressione accurata
e profonda della organizzazione morfo-funzionale delle teleangectasie sia
alla base di modalità di trattamento più efficaci.
BIBLIOGRAFIA:
1. Imanishi N, Nakajima H, Aiso S. Anatomical study of the venous drainage architecture
of the forearm skin and subcutaneous tissue. Plast Reconstr Surg, 2000; 106: 1287-94.
2. Imanishi N, Nakajima H, Aiso S. Anatomical study of the venous drainage architecture
of the scapular skin and subcutaneous tissue. Plast Reconstr Surg, 2001; 108:656-63. 3. Phillips MN, Jones GT, van Rij AM, Zhang M. Micro-venous valves in the superficial
veins of the human lower limb. Clin Anat, 2004; 17: 55-60.
4. Curri SB, Annoni F, Montorsi W, Microvalves in microveins, 9eme Congres Mondial de
Phlebologie, 1986.
5. Braverman IM, Keh-Yen A. Ultrastructure of the human dermal microcirculation. III.
The vessels in the mid- and lower dermis and subcutaneous fat. J Invest Dermatol, 1981;
77: 297
6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori
6.2 - Utilizzo del LASER Nd:
YAG 1064 nm per il trattamento
delle varici reticolari degli arti inferiori.
Colaiuda S., Colaiuda F., Brandi C., Grimaldi L., D’Aniello C.
OBJECTIVES: This paper aims to evaluate the efficacy of Nd:YAG laser
1064 nm treatment for lower extremity reticular veins.
METHODS: 50 female patients affected by lower limbs reticular veins,
aged between 25 and 65 years, were treated. We conducted a clinical
preventive screening to identify and evaluate possible bleeding disorders or
other cardiovascular pathologies, and Doppler examination of lower limbs to
exclude incontinent saphenous vein disorders. Five outpatient treatments were
performed every 30 days using Nd:YAG laser 1064 nm. In the first session of
treatment a 6 mm diameter spot was used with 140 J/cm2 of energy and a pulse
duration of 40 msec; in the second and third sessions a 3 mm diameter spot was
used with 350 J/cm2 of energy and a pulse duration of 30 msec; in the fourth and
fifth sessions a 1.5 mm diameter spot was used with 550 J/cm2 of energy and a
pulse duration of 20 msec.
RESULTS:In 36 cases an 80% reduction in the extent of the venous network
compared to the initial state was observed after 3 treatment sessions, and in
32 cases a 90% reduction compared to the initial state was observed after 5
sessions.
CONCLUSIONS: The action of Nd:YAG laser 1064 nm has been particularly
effective in non-invasive treatment of reticular veins in the legs, allowing an
outpatient surgery technique that is well tolerated by patients. However, further
studies are needed to confirm the results.
104
105
6 - Varici reticolari e telangectasie
INTRODUZIONE:
La nuova classificazione CEAP 1 definisce le vene reticolari come vene
intradermiche bluastre permanentemente dilatate solitamente di diametro da 1
mm a meno di 3 mm. La varicosità del vaso è conseguenza di una modificazione
della parete che comporta alterazioni della funzione delle valvole e, di
conseguenza, inversione della normale direzione del flusso ematico venoso
(reflusso), causando dilatazione e stasi con progressiva ripercussione sulla
microcircolazione cutanea. Si assiste così, negli stadi più avanzati, ad una
progressiva alterazione degli scambi fra capillari e tessuti, a continui e ripetuti
microstravasi ematici, che portano ad alterazioni cromatiche (dermatite ocra),
fino a vere e proprie difficoltà di irrorazione microcircolatoria, responsabili, in
ultimo, di ulcerazioni della cute. La frequenza delle varici degli arti inferiori,
scarsa nei bambini e negli adolescenti, aumenta con l’età e raggiunge il
massimo tra la quinta e la sesta decade di vita con un maggior interessamento
del sesso femminile rispetto a quello maschile (rapporto 3:1); sono presenti
con forme clinicamente manifeste dal 15 al 55% degli uomini e dal 40 al 78%
delle donne oltre i 60 anni1. La malattia varicosa riconosce una eziopatogenesi
multifattoriale in cui diversi fattori concomitano in maniera variabile: vita
sedentaria, anomalie della parete venosa o del sistema valvolare, alterazione
del sistema di “pompa muscolare”, fattori ormonali, aumento della pressione
intra-addominale indotta da neoplasie, gravidanze, obesità. La trasmissibilità
ereditaria è controversa, ma una predisposizione familiare coesiste nell’85%
dei pazienti affetti da varici2. L’approccio terapeutico alle varici degli arti
inferiori è molteplice1. Negli stadi iniziali della malattia può essere sufficiente
la terapia medica associata all’elastocompressione per il controllo dei sintomi.
Nei pazienti con varici conclamate e con interessamento del sistema safenico
è indicata invece la terapia chirurgica. Nei casi in cui l’approccio chirurgico
non sia possibile per difficoltà tecnica, per incertezza di risultato o per elevato
rischio, ovvero a seguito di richiesta specifica del paziente, si ricorre a trattamenti obliterativi endovascolari per ottenere l’obliterazione del lume del vaso,
ottenibile sia con mezzi chimici che con mezzi fisici. Nel primo caso si parla
più propriamente di scleroterapia; nel secondo caso di procedure obliterative
106
6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori
endovascolari: radiofrequenza e tecnologia laser. Nell’ambito dei trattamenti
con sistemi laser, negli ultimi anni si sono perfezionate nuove metodiche di
intervento non invasive, nel tentativo di raggiungere un buon livello di efficacia
funzionale e di effetto estetico3.
Sulla base di queste considerazioni, è stato condotto uno studio clinico su
50 pazienti di sesso femminile affette da varici reticolari degli arti inferiori
per verificare l’efficacia del laser Nd:YAG 1064 nm. L’obiettivo prefissato è
stato quello di ottenere l’obliterazione del lume dei vasi interessati al fine di
migliorare la patologia varicosa.
MATERIALI E METODI:
Sono state arruolate e sottoposte a trattamento 50 pazienti di sesso femminile
con età compresa tra 25 e 65 anni (età media 49,6 anni) affette da varici reticolari
degli arti inferiori con diametro massimo del vaso compreso tra 1 mm e 3 mm.
Le pazienti sono state preventivamente sottoposte ad uno screening clinico, al
fine di individuare disordini della coagulazione o altre patologie di interesse
cardiovascolare che potessero rendere inefficace il trattamento, e ad esame
Eco-Color Doppler degli arti inferiori per la valutazione delle peculiarità della
patologia varicosa sia da un punto di vista morfologico (diametro, profondità,
sede, caratteristiche della parete vascolare e degli apparati valvolari), che
emodinamico (entità, lunghezza del reflusso). Per l’inquadramento nosografico
della patologia varicosa è stata utilizzata la classificazione CEAP4. Tutte le
lesioni sono state documentate fotograficamente. Prima di essere reclutate
per lo studio, le pazienti hanno sottoscritto il consenso informato. Sono state
effettuate 5 sedute di trattamento in regime ambulatoriale ogni 30 giorni
utilizzando un sistema laser Nd:Yag con lunghezza d’onda 1064 nm (Palomar
Lux 1064™, Palomar Medical Technologies, Inc., Burlington, MA) dotato di
un sistema di raffreddamento a contatto a due livelli: durante l’accensione il
manipolo si raffredda fino a 12 °C e nel momento dell’impulso il sistema di
raffreddamento, di cui il sistema è dotato, abbassa ulteriormente la temperatura
fino a 4 °C. Nella prima seduta di trattamento è stato utilizzato uno spot di 6
mm di diametro con energia 140 J/cm2 e una durata dell’impulso di 40 msec;
107
6 - Varici reticolari e telangectasie
il manipolo è stato posizionato a contatto con la cute esercitando una leggera
pressione e sono stati effettuati 3 colpi in sequenza: un colpo con manipolo
perpendicolare al vaso e due colpi contrapposti con una inclinazione del
manipolo di 45° rispetto al piano di trattamento, a destra e a sinistra del vaso.
La sequenza successiva di colpi veniva distanziata di 2 cm lungo il decorso del
vaso, rispetto alla precedente. Nella seconda e terza seduta è stato utilizzato
uno spot di 3 mm di diametro con energia 350 J/cm2 e una durata dell’impulso
di 30 msec; il manipolo è stato posizionato a contatto con la cute esercitando
una leggera pressione e sono stati effettuati 3 colpi in sequenza: un colpo con
manipolo perpendicolare al vaso e due colpi contrapposti con una inclinazione
del manipolo di 45° rispetto al piano di trattamento, a destra e a sinistra del vaso.
La sequenza successiva di colpi veniva distanziata di 1 cm lungo il decorso del
vaso, rispetto alla precedente. Nella quarta e quinta seduta è stato utilizzato uno
spot di 1,5 mm di diametro con energia 550 J/cm2 e una durata dell’impulso di
20 msec; il manipolo è stato posizionato a contatto con la cute, perpendicolare
al vaso ed è stato effettuato un colpo. Il colpo successivo veniva distanziato di
0,5 cm lungo il decorso del vaso, rispetto al precedente (Tabella I).
Al termine di ogni seduta sulla zona trattata è stato applicato un gel a base
di phenylpropanoidi, eparina sodica e fitosoma di escina (Angiokrym®,
Lab. Farm. Krymi, Roma), 2 volte al giorno per i 30 giorni successivi, per
ottenere un’azione antiossidante, favorente la funzionalità del microcircolo ed
antiedemigena superficiale, tesa a ridurre il gonfiore post trattamento. Nei 3
giorni seguenti ciascuna seduta di trattamento le pazienti hanno indossato una
calza terapeutica classe I a compressione graduale 18/20 mmHg in caviglia.
Per l’intera durata dello studio le pazienti hanno applicato quotidianamente un
filtro solare ad alta protezione SPF 50+. A fine trattamento è stato effettuato il
controllo mediante confronto fotografico.
6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori
Tabella I - Parametri operativi.
1ª seduta
Spot
diametro
6 mm
Energia
Impulso
durata
40 msec
140 J/cm2
2ª seduta
3 mm
350 J/cm2
30
msec
3ª seduta
3 mm
350 J/cm2
30 msec
4ª seduta
1,5 mm
550 J/cm2
20 msec
5ª seduta
1,5 mm
550 J/cm2
20 msec
Manipolo
A contatto della cute
3 colpi in sequenza:
- 1 colpo perpendicolare
- 2 colpi inclinati di 45°,
contrapposti
Distanza tra le sequenze: 2 cm lungo
il decorso del vaso
A contatto della cute
3 colpi in sequenza:
- 1 colpo perpendicolare
- 2 colpi inclinati di 45°,
contrapposti
Distanza tra le sequenze: 1 cm lungo
il decorso del vaso
A contatto della cute
3 colpi in sequenza:
- 1 colpo perpendicolare
- 2 colpi inclinati di 45°
contrapposti
Distanza tra le sequenze: 1 cm lungo
il decorso del vaso
A contatto della cute
1 colpo perpendicolare
Distanza tra i colpi: 0,5 cm lungo il
decorso del vaso
A contatto della cute
1 colpo perpendicolare
Distanza tra i colpi: 0,5 cm lungo il
decorso del vaso
RISULTATI:
Il trattamento è stato ben tollerato da tutte le pazienti e non si sono verificati
effetti indesiderati permanenti. I risultati sono stati valutati mediante confronto
fotografico (Foto 1 e 2). Si è osservata una riduzione dell’estensione del reticolo
venoso pari al 80% circa rispetto a quella iniziale dopo 3 sedute di trattamento
in 36 casi, ed una riduzione pari al 90% circa rispetto a quella iniziale dopo 5
sedute in 32 casi. In 6 pazienti è stata osservata, nell’area trattata, la formazione
108
109
6 - Varici reticolari e telangectasie
di zone di coagulo a tipo cordone, lungo l’asse del vaso, o a tipo nodulare,
limitate alla grandezza dello spot, trattate mediante spremitura del materiale
trombotico in essi contenuto, dopo 10 giorni dalla comparsa (Tabella II).
Tutte le pazienti hanno riferito una sensazione di fastidio/dolore in corso di
trattamento, scomparsa entro pochi minuti dal termine della seduta. Infine, non
è stata riscontrata nessuna correlazione tra l’età delle pazienti e l’entità del
miglioramento clinico ottenuto.
Foto 1 - Pre-trattamento
6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori
Tabella II - Risultati dello studio clinico.
Paziente
Diametro max
del vaso in mm
2,7
3
3
2,5
3
3
2,5
2,5
3
1
2,7
3
2,5
2
3
1
2,3
2
2.5
3
1
3
2
2,2
2
2,5
1,5
3
1,5
2
3
1,5
2
2,3
2
2,5
1
2
2,5
2
2,5
3
1
1,5
3
2
2,5
1,5
3
2,8
Riduzione estensione
reticolo venoso
3 sedute
5 sedute
80%
90%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
50%
90%
50%
80%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
90%
80%
90%
50%
80%
80%
80%
80%
90%
80%
90%
80%
90%
50%
80%
50%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
90%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
80%
90%
80%
80%
50%
90%
50%
80%
80%
80%
80%
90%
80%
90%
80%
80%
80%
90%
50%
80%
80%
80%
50%
90%
50%
90%
50%
90%
50%
90%
50%
90%
50%
90%
Effetti indesiderati
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Coagulo
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Coagulo
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Coagulo
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Coagulo
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Nessuno
Coagulo
Coagulo
Foto 2 - Post-trattamento
110
111
6 - Varici reticolari e telangectasie
DISCUSSIONE:
Il laser Nd-Yag 1064 nm permette di ottenere una efficace fotocoagulazione dei
vasi con diametro massimo 3 mm attraverso la fototermolisi selettiva, processo
in cui l’energia luminosa viene assorbita in maniera selettiva dal sangue del
vaso da trattare e poi trasformata in energia sotto forma di calore, portando la
temperatura del sangue ad un livello sufficientemente elevato da provocare la
distruzione definitiva della parete del vaso sanguigno senza danno alle strutture
anatomiche adiacenti. Studi condotti sugli effetti clinici e istologici del laser
Nd-Yag 1064 nm su teleangectasie e varici reticolari hanno dimostrato come
questo effetto venga realizzato mediante l’induzione di trombosi vascolare
con danno alla parete del vaso5-10. È stato studiato il TGF-β (Transforming
Growth Factor-β) e i recettori tipo 1 e tipo 2 richiesti per la sua espressione:
si è visto come la maggior parte delle radiazioni, compresa la luce laser, sia
in grado di attivare il TGF-β, e l’attivazione simultanea dei recettori tipo 1 e
tipo 2 è probabilmente sufficiente per l’avvio del processo fibrotico. Nessun
ruolo sembra invece potere essere attribuito all’apoptosi nell’ambito del danno
vascolare laser-indotto. Nell’esecuzione della tecnica è stata considerata la
peculiarità dei fotoni di interagire con il tessuto-bersaglio per assorbimento
e diffusione. Tenendo presente che l’assorbimento determina la fine della
propagazione e che la maggior parte della luce assorbita è convertita in calore,
con conseguente aumento della temperatura del bersaglio, sono stati eseguiti
3 colpi con diversa angolazione rispetto al piano di trattamento per ottenere
una maggiore e progressiva coagulazione termo-indotta all’interno del vaso.
Ciascun colpo determina un’area di coagulo che riduce l’estensione iniziale
del bersaglio; i colpi successivi vengono assorbiti a livello delle zone ancora
indenni, determinando una progressiva coagulazione del vaso. La possibilità
di modificare i parametri operativi del sistema laser utilizzato (potenza,
durata dell’impulso, diametro dello spot) e la disponibilità di nuove e migliori
tecnologie di raffreddamento del manipolo hanno permesso, inoltre, di
migliorare i risultati ed ottenere un maggior comfort per il paziente in termini
di fastidio/dolore, riducendo al minimo gli effetti indesiderati. È stato infatti
possibile ottenere, nelle pazienti sottoposte a trattamento, una distruzione dei
112
6.2 - Utilizzo del LASER Nd: YAG 1064 nm per il trattamento delle varici reticolari degli arti inferiori
vasi più efficiente, in assenza di iperpigmentazioni e di danno da calore alla
cute circostante.
CONCLUSIONI:
L’azione del laser Nd-Yag 1064 nm si è dimostrata particolarmente efficace
nel trattamento non invasivo delle varici reticolari degli arti inferiori. La
tecnica di intervento utilizzata, assolutamente non invasiva, indolore e priva
di effetti indesiderati permanenti, non richiede anestesia e può essere condotta
routinariamente in ambulatorio. I risultati osservati nel nostro studio mostrano
una buona attenuazione delle lesioni vascolari rispetto alle lesioni iniziali. La
possibilità di variare i parametri operativi in funzione delle caratteristiche dei
vasi da trattare ha permesso trattamenti più sicuri e confortevoli per le pazienti.
È opportuno sottolineare che l’esecuzione di tale tecnica richiede personale
istruito circa i protocolli da utilizzare nei vari trattamenti medici. Sono tuttavia
necessari ulteriori studi per la conferma dei risultati ottenuti.
BIBLIOGRAFIA:
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113
6 - Varici reticolari e telangectasie
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post transcriptional modulation. Lab Invest, 1992; 66: 580-587.
8. Majesky MW, Linder V, Twardzik DR, Schwartz SM, Reidy MS. Production of
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10. Raghow R. Role of transforming growth factor β in repair and fibrosis. Chest, 1991; 99:
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6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza
6.3 - Trattamento Endoperivenoso
con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza
Crippa A.
ABSTRACT:
OBJECTIVES: In combination with usual transdermal therapy at 532 nm
treatment, we have evaluated also 808 nm wave-length laser in intra-extra luminal procedure for the treatment of teleangectasias. Endolasering with 100 or
200 µm micro optical fibres can cause photothermocoagulation of the vessel
wall thanks to the direct intra-extra venous contact.
In fact, 808 nm being scarcely absorbed by both water and fat tissue, does not
harm surrounding perivenous tissues during photocoagulation. When the firing
becomes from the extravasal side, the first target is the adventitial vasa venarum.
MATERIALS AND METHODS: Since march 2008, 300 patients (270
female, 30 male) presenting tortuous teleangectasias are treated with intra-extra
luminal 808 nm diode Laser (Eufoton, Trieste, Italy). After topical anaesthesia (EMLA Cream or cryogenic local therapy), a special micro fiber of 100 or
200µm in teleangectasias are inserted intra - extra near the veins wall, using at
the same time a combined skin cooling system during and after treatment. We
differentiate 2 types of teleangectasias treatments.
a. Telangectasias sized from 0,5 mm to 1 mm (blue, violet).
We used a special titanium introducer for 25 G needle to introduce
easily the fiber into the needle. Skin temperature must be controlled
by palpation. The fiber is pushed up where the reflux originates and
114
115
6 - Varici reticolari e telangectasie
the optical tip is indicated by the pilot red light at 635 nm. Once it has
reached the reflux point, it is gently withdrawn under variable pullback
speed and power laser setting. The end point is photocoagulation of the
varicose blood content and wall, which immediately becomes shrunk
as soon as it gets touched. The treatment of these telangectasias requires pressure applied with a cylinder of cotton, and elastic stocking
20-30 mmHg. Treatment was well tolerated.
b. Teleangectasias sized less than 0,5 mm (red).
We used the direct transcutaneous impact of the naked bare micro optical fiber of 100 or 200 µm.The laser emission enables us to puncture the
skin penetrating the vessel wall structure and causing a photothermic
damage to the vessel and connected perivenium vasa vasorum. Combined skin cooling is recommended. The immediate vessel bleaching is
followed by micro skin burns sized 200/300 microns that disappear on
approx 14 days.
CONCLUSIONS: Effective treatment of teleangectasias was achieved with
intra-extra luminal 808 nm laser with acceptable side effects. The vessel shrinking was achieved for:
1. the selective photothermolysis of intraluminal Hb, in extraluminal procedure on vasa venarum Hb;
2. direct contact of the optical fiber on collagen of the vessel wall.
The treatment is cost effective because the low cost of the disposable micro
optical fibers (Eufoton -FTF system).
INTRODUZIONE:
Le nuove tecniche endovascolari mediante laser endovenoso (L.E.V.) hanno
trovato un preminente inserimento nei trattamenti delle grandi safene, delle col116
6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza
laterali safeniche, ma anche delle vene reticolari, delle piccole TeleAngectasie
Inferiori (TAI).
Molto frequenti, le telangectasie degli arti inferiori non sono ben accettate
dalle donne, essendo antiestetiche.
Le telangectasie non pongono però solo un problema estetico. Esse rivelano,
spesso, una lesione ancora misconosciuta del sistema venoso superficiale o profondo. Questi vasi sono espressione di una stasi circolatoria e rappresentano il
danno distrettuale provocato da un macroreflusso varicoso o da un microreflusso venulare superficiale o profondo.
È dimostrato che dal 15 al 50% degli individui in apparenza portatori di varici
superficiali ha già sviluppato un’insufficienza venosa profonda.
MATERIALI E METODI:
Uno studio istologico inoltre ha dimostrato che in circa l’80% delle varici reticolari e delle TA ha già sviluppato la caratteristica displasia della parete e delle
valvole che predispone allo sviluppo della malattia venosa cronica.
Il trattamento laser endo-perivenoso è indicato per le sotto indicate classi di
telangectasie:
1. Chiazze teleangectasiche.
2. Varici teleangectasiche.
3. Teleangectasie scarlatte essenziali.
4. Teleangectasie secondarie.
Da settembre 2006 ad oggi abbiamo trattato 300 pazienti (98% femmine) con
telangectasie e vene reticolari degli arti inferiori con tecnica laser endo-perivenoso 808 nm e con fibra monouso e low cost da 150 - 200 micron. Tutte le
pazienti continuano ad essere sottoposte a controlli periodici e trattamenti come
indicato in questa patologia.
La chiusura permanente delle vene con tecnica endo-perivenosa avviene prin117
6 - Varici reticolari e telangectasie
cipalmente tramite un processo ad alta temperatura di contatto tra il laser e la
parete venosa.
6.3 - Trattamento Endoperivenoso con Laser 808 nm: primi pisultati a distanza
n the treatment of facial and leg telangiectasias. Dermatol Surg, February 1999; 24: 2,
221-226.
9.
Longo L, Postiglione M, Botta G, Mancini S. Is there a best wavelength for laser treatment
of telangiectases? Proc. SPIE, 2000; vol. 4166: 32 -5.
DISCUSSIONE DEI RISULTATI E CONCLUSIONI:
10. Altshuler GB, Anderson RR, Manstein D, Zenzie HH et al. Extended Theory of Selective
Photothermolysis. Laser Surg Med., 2001; Supp. 13: 50.
I risultati dei trattamenti laser 808 nm endo-perivenoso sono buoni con sbiancamento delle teleangectasie a tre mesi del 70% e a 6 mesi del 90%.
11. Marangoni O, Longo L. Endoluminal Photothermosclerosis laser 808nm for treatment of
the saphenous and collateral veins. Indications and Limits (Theoretic-Experimental). Lasers
Med Sci, 2002; 17, N 4: A12.
Non si sono osservate infezioni, matting o esiti cicatriziali. Tutte le pazienti
hanno dimostrato gradimento per il trattamento endo-perivenoso (le più sensibili sono state pretrattate con sistema criogeno a contatto - cella di Peltier).
Non ci sono limiti di dosaggio come nella sclerosi chimica; unico limite tempo
operatore - paziente.
BIBLIOGRAFIA:
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Marangoni O. Teleangiectasie essenziali. Gazz Med Ital – Arch Sc Med, 1994; 153-6: 24351.
2.
Marangoni O, Magaton Rizzi G, Trevisan G. 808nm diode laser with and without exogenous chromophore in the treatment of benign facial pigmented and vascular lesions. Proc.
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12. Marangoni O, Longo L. Leg Telangectasies resistant to the sclerotherapy. Comparation
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13. Corcos L, Marangoni O, De Anna D, Longo L. Transillumination Guided Endovenous Laser
treatment of Saphenous, Perforative, and Peripheral Varicose Veins. UIP World Cong C.M.
San Diego 2003; A50
14. Caramia M, Marangoni O. L’uso combinato transdermico ed endovasale del laser
808nm nel trattamento delle teleangiectasie degli arti inferiori. 7° Cong Int SIES, Bologna,
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15. Zerbinati N, Vergani R, Ambonati M, Beltrami B, et al. Valutazione microscopica, ultrastrutturale e di morfometria computerizzata nel trattamento cutaneo con laser Nd:YAG. 7°
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16. Lonardi R, Crippa A. Endoperivenous Laser Procedures for Teleangectasies Treatment. XVI
World Meeting of the Union Internationale De Phlebologie.
119
6 - Varici reticolari e telangectasie
6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione:
tecnica ed approccio razionale.
• the particular wavelength of laser light, which easier passes into sub-
Atelli P. F., Goffredi L., Della Rocca M. D.,
Furino E., Quarto G., Apperti M.
• the extreme manageability of handling, which allowed us to have a
ABSTRACT:
The actual experience come out from a practical need which has been made
evident during sclerosing therapy of reticular veins and of the spider veins (or
telangectasias): looking at blood vessel in a more evident way, in order to use
the needle in a more precise and safe way.
The idea of using instruments which should allow to have a better vision than
eyesight or magnifying glass, come out from the need to see “more and better”.
In fact the technique of trans-illumination has been using for ten years.
For this purpose different instruments have been used, which only in part met
our needs: a first instrument (figment of our testing!) had a strong luminous
intensity, but a wavelength which didn’t detect in a more clear way the blood
vessel to be sclerosed; in addiction, manipulation was still not ergonomic. A
second tool used, worked with a complex system of infrared rays with digital
elaboration of pictures which made usage not pratical; however this instrument
was too much expensive. A third instrument used a led light and was very easy
for the usage, but had a wavelength and a luminous intensity still not perfect.
A fourth instrument lighted up blood vessels in a more evident way; basing on
this, one, it was considered perfect for introducing the needle with more precision, but the particular shape obstructed a complete view of veins picture, made
of reticular veins and telangectasias.
Therefore, the need to find a system, which should overcame the difficulties,
brought us day by day to create a new instrument, the VISIOVEN®, which is,
in our opinion, the most efficient and suitable for our goals. These characteristics are mainly due to:
120
6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale
cutaneous tissue and then glance also versus the surface, like a mirror;
complete view of the system of reticular varices and of telangectasias,
sometimes a wonderful vision!
However, during our experience, we found that the trans-illumination could be
used not only as an instrument for more precise detectability of an high number
of veins, within the scope to proceed “from big to little”, from up versus down,
first “mother vein”, then telangectasias. This procedure, of course, is correct,
but could be changed into a sort of sclerosing therapy “a la demand” , pricking what is possible and visible, based mainly on morphologic interpretations,
without understanding why sclerosing some blood vessel or others.
Otherwise there are not many studies which help us to understand the flows
and refluxes of vein system, which remains often not visible also at ultrasonography.
This thinking pushed us to begin a speculative way which could bring to give an
hemodynamic meaning to telangiectasias and the reticular system too. First
results are very encouraging and, if they will be confirmed by testing experience of the involved colleagues, this could represent an unexpected success.
We believe that the pictures have a more strength than speculative reflections
into showing our idea and the results of an easy technique for the execution of
a technique of irreplaceable helpfulness during our clinical practice.
Not only for see more, but for see better!
Not only for see, but mainly for understand!
Obiettivi:
Il nostro lavoro nasce dall’esigenza di rendere più agevole e più razionale la
scleroterapia delle varici di piccolo calibro, in particolare Teleangectasie e
121
6 - Varici reticolari e telangectasie
Reticolari. Il sistema venoso superficiale sottocutaneo è un sistema complesso
in cui le vene dermiche sono disposte in due plessi orizzontali, uno più
superficiale, detto sub-papillare, e l’altro profondo1. Questi due plessi sono
interconnessi e comunicano con il circolo venoso ipodermico che è costituito
da venule che decorrono parallelamente alla superficie cutanea al di sopra
della fascia superficiale. Queste vene sono infine in comunicazione con le vene
profonde attraverso il circolo safenico, ma anche direttamente attraverso vene
perforanti o comunicanti2,3. In condizioni patologiche la dilatazione del circolo
venoso ipodermico si manifesta con la comparsa di varici reticolari e quella
del plesso sub papillare con l’evidenza di telangectasie. È ormai un concetto
acquisito che una corretta indagine morfo-funzionale del sistema profondo e
safenico è indispensabile per una corretta condotta terapeutica, ma un identico
approccio sul sistema dermo-ipodermico, non solo non è praticato di routine,
ma oggettivamente presenta alcuni ostacoli nella sua esecuzione. Scopo di
questo lavoro è di contribuire a chiarire alcuni aspetti ancora oscuri nel campo
della scleroterapia del sistema dermo-ipodermico. La nostra esperienza si è
avvalsa dell’utilizzo di un apparecchio da noi ideato e brevettato, il Visioven®.
Lo strumento consiste in una “scatola di comando” contenente il driver per la
fonte laser, collegato a quest’ultimo mediante un cavo di trasmissione resistente
ai comuni antisettici e all’usura. Il cavo del manipolo LASER è scollegabile dal
driver mediante uno spinotto rapido anti-sgancio. Il LASER consta di un diodo
con lunghezza d’onda pari a circa 500nm, di potenza di 150mW, raffreddato
tramite l’utilizzo di alette passive, senza ventilazione forzata. Il LASER è
dotato, a valle del diodo emettitore, di una lente alloggiata in una ghiera, in
modo da poterla regolare e defocalizzare il raggio luminoso al fine di ottenere
miglior sicurezza per gli operatori. È stato messo a punto anche un manipolo
idoneo ad essere adoperato durante l’intervento chirurgico, autoclavabile e
termoresistente. È provvisto, sulla culatta, di idoneo alloggiamento e blocco
del diodo laser, mentre alla sua estremità è provvisto di un’ulteriore lente
defocalizzante che consente di ottenere il massimo di intensità luminosa
per contatto, e un’idonea dispersione già a distanze superiori a 10cm, per
un’ulteriore sicurezza degli utilizzatori. Il manipolo prevede alla sua estremità
distale una ghiera filettata per l’utilizzo di accessori tagliati a 45°.
122
6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale
Metodi:
Abbiamo trattato circa 200 pazienti affetti da malattia cronica venosa degli
arti inferiori che presentavano teleangectasie e varici reticolari. Abbiamo
utilizzato il Visioven® come sistema di mappaggio del sistema venoso dermoipodermico, sia in fase diagnostica che in fase di trattamento scleroterapico, e
per la valutazione dei risultati (Fig. 1; Fig. 2).
Fig. 1 - Utilizzo del Visioven®
Fig. 2 - Utilizzo del Visioven®
123
6 - Varici reticolari e telangectasie
Risultati:
I pazienti sono stati rivalutati a 7, 30, 180 giorni, nonché a distanza di 2 anni.
La chiusura completa delle varici reticolari a volte era evidenziata, nei controlli
precoci, dalla presenza di un cordone senza segnali di flusso. Talora, invece,
la vena “spariva“ letteralmente senza che potesse essere rilevata nessuna
reazione, né infiammatoria né cromatica. Il dato è di più facile rilievo se, prima
della scleroterapia, si documenta la mappatura fotograficamente o riportando il
disegno su supporto cartaceo.
6.4 - Scleroterapia con trans-illuminazione: tecnica ed approccio razionale
3. Imanishi N, Nakajima H, Aiso S. Anatomical study of the venous drainage
architecture of the forearm skin and subcutaneous tissue. Plast Reconstr
Surg, 2000;106:1287-1294.
4. Apperti M. La epiillumnazione nel mappaggio e nel trattamento delle
varici. Relazione al Simposio: “Ricerche e novità in flebologia”. Congr.
Naz. C.I.F. 2004.
Conclusioni:
L’esigenza di ideare un apparecchio che permettesse la visualizzazione di un
sistema venoso spesso “invisibile” alla ultrasonografia è nata dall’esigenza
di rendere la scleroterapia non più una manovra “alla cieca” e “on demand”,
bensì un trattamento finalizzato alla correzione di flussi patologici sulla base
dei concetti di emodinamica4. Siamo convinti che con questo sistema al di là
di un inquadramento sistematico che, per la verità riteniamo ancora lontano
da raggiungere, possiamo, fin da subito, iniziare ad avere un approccio più
razionale alla scleroterapia delle teleangesctasie e delle reticolari, non fosse
altro per il fatto che possiamo verificare e confrontare il risultato del nostro
gesto terapeutico, che potrà essere adattato e modificato in funzione degli effetti
raggiunti.
Bibliografia:
1. Tretbar LL. The origin of reflux in incompetent blue reticular Telengiectatic
veins. In, Davy A, Stemmer R, (eds) Phlebology 89, Montrogue, France,
John Libbey Eurotext, 1989; p. 95.
2. Braverman IM, Keh-Yen A. Ultrastructure of the human dermal
microcirculation. III. The vessels in the mid- and lower dermis and
subcutaneous fat. J Invest Dermatol, 1981;77:297-304.
124
125
6 - Varici reticolari e telangectasie
6.5 - Scleroterapia e terapia compressiva
6.5 - Scleroterapia e terapia compressiva.
Moretti R.
ABSTRACT:
The use of compression in sclerotherapy is an heavily discussed topic ever
since. Positions in literature are the most various: some suggest to do a selective
compression only on the treated vessels for short periods, others believe that
compression should be modulated according to the size of the vessel and type
of treatment, finally others recommend to use in every case fixed bandages
with short lengthening bandages for long periods. We believe that compression
prevents the formation of large thrombi, makes the treatment painless, is useful
for aesthetic results, treat every the microcirculation, protects from thrombotic
incidents and keeps quiet the sick, who cannot see the manifestations of healing
inflammation. No less important topics may be: the possibility to control the
inexperience of newbies and possible errors of the most experienced people,
protection from legal medical problems.
INTRODUZIONE:
L’uso dell’elastocompressione nella terapia sclerosante è argomento fortemente
discusso da sempre. Le posizioni in letteratura sono le più varie: alcuni
consigliano di fare una compressione selettiva solo sul vaso trattato e per periodi
brevi (Stemmer, Wallois), altri ritengono che la compressione debba essere
modulata a seconda delle dimensioni del vaso e del tipo di trattamento, usando
bendaggi fissi o tutori elastici ad ogni seduta e per tempi variabili dipendenti
dall’importanza del trattamento (Genovese, Goldman, Mariani), infine altri
ancora, che trattano principalmente vasi di notevoli dimensioni, consigliano di
usare in ogni caso bendaggi fissi con bende a ridotto allungamento per periodi
piuttosto lunghi (Fegan, Haid e Sigg).
È molto interessante il parere espresso da M.P.Goldman a questo proposito:
“raramente il medico si può permettere il lusso di somministrare una terapia
126
completamente innocua nel trattamento di una qualsiasi malattia”. Parere
che si adatta perfettamente alla scleroterapia e che già nel 1962 era stato
chiarito da Glauco Bassi: “l’elastocompressione impedisce la formazione di
grossi trombi…rende il trattamento indolore, giova al risultato estetico, cura
lo scompenso istangico, mette al riparo da incidenti trombotici…e mantiene
tranquillo il malato che non vede le manifestazioni della flogosi curativa”.
Sulla scorta di quanto detto da Bassi e da quanto ognuno di noi verifica nella
pratica quotidiana, le motivazioni che inducono ad usare l’elastocompressione
nella scleroterapia sono le più varie: la prevenzione delle complicanze, il
miglioramento del microcircolo, il miglioramento dei risultati; argomenti non
meno importanti possono essere la possibilità di tamponare l’inesperienza dei
neofiti e qualche possibile errore dei più esperti e, cosa decisamente importante,
può mettere a riparo da problemi medico legali che oggigiorno, purtroppo, sono
sempre in agguato.
Il RUOLO DELL’ELASTOCOMPRESSIONE:
Il meccanismo d’azione che si suppone sia alla base dell’elastocompressione
nella scleroterapia non è diverso da quello che si riscontra in ogni altra
patologia che risente positivamente del trattamento elastocompressivo, ovvero
la riduzione del calibro vasale che aumentando la velocità di flusso previene
l’edema, migliora il microcircolo e rende più rapidi i processi riparatori tissutali.
Su queste basi possiamo ipotizzare che l’elastocompressione sia in grado di
prevenire molti piccoli e grandi problemi che occorrono dopo una seduta di
scleroterapia anche se ben condotta: la riduzione del numero e dell’estensione
degli ematomi, il controllo dell’edema localizzato e anche diffuso, l’orticaria
localizzata, i piccoli trombi che poi lasciano una iperpigmentazione, il matting,
l’escara, la varicoflebite e, più importante di tutti, il tromboembolismo.
I mezzi a nostra disposizione sono tra i più vari: bendaggio fisso e rimuovibile,
tutore elastico terapeutico e/o preventivo; i tempi di applicazione consigliata
sono altrettanto vari, si passa da poche ore fino ad un mese dopo la seduta. Chi
usa il bendaggio rimuovibile consiglia solitamente di indossarlo solo durante il
127
6 - Varici reticolari e telangectasie
giorno, ma alcuni autori prescrivono il tutore elastico terapeutico da indossare
ininterrottamente giorno e notte per circa un mese (Goldman, comunicazione
personale).
Varie sono le critiche, spesso condivisibili, a proposito dell’uso
dell’elastocompressione in alcuni casi: nelle teleangectasie, nelle varici di
coscia e nelle varici a canyon si ritiene che non siano in grado di esercitare un
valido schiacciamento sul vaso trattato, in ogni caso agiscono sicuramente sul
circolo superficiale e profondo della zona trattata riducendo alcune complicanze
minori e maggiori come precedentemente illustrato.
Altre critiche sono causate dalla difficoltà di realizzazione di alcuni bendaggi
che dovrebbero arrivare fino all’inguine e anche per i costi che incidono sul
trattamento.
6.5 - Scleroterapia e terapia compressiva
3.
4.
5.
6.
7.
Mariani F. Scleroterapia e trattamento compressivo, pp. 103-104.
Fegan G. Varicose veins - Compression Sclerotherapy. Heinemann Medical.Berrington
Press, Hereford (England), London, 1967, ristampa 1990.
Aid-Fisher F. Haid H.: Malattie delle vene. Il pensiero scientifico ed., Roma, 1988.
Sigg K.. Varizen, ulcus cruris und thrombose. Springer Verlag, Berlin-Heidelberg, New
York, 1968.
Bassi G, Stemmer R. Raitements mecaniques fonctionnels en phlebologie. Piccin Ed.,
Padova, 1983.
CONCLUSIONI:
Le mie opinioni personali e le indicazioni a cui mi attengo sono le seguenti:
1. Safena interna, safena esterna, grosse varici ad origine safenica o dal
profondo, specialmente se trattate con mousse: bendaggio fisso per tre
settimane.
2. Varici extrasafeniche, non collegate al sistema profondo: bendaggio fisso
per dieci giorni
3. Teleangectasie e varicosità reticolari: tamponi per alcune ore e collant 18
mmHg per sette giorni.
In tutte le situazioni intermedie o miste è bene decidere in base ai principi sopra
esposti caso per caso.
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
128
Stemmer R. Sclerose des variceset compression. Phlebologie, 1991; 44(1): 45-8.
Wallois P. La sclerose des varices, base set technique du traitment. In Caille J.P. (eds):
Phlebologie en pratique quotidienne, L’Exspansion Scientifique Francaisem, Paris, 1982;
113-30.
129
6 - Varici reticolari e telangectasie
6.6 - Scleroterapia e complicanze
6.6 - Scleroterapia e complicanze
Tori A.
ABSTRACT:
Sclerotherapy is an easy and safe medical procedure; however, it is charged
by some complications according to every medical and surgical procedure.
These complications can be divided in two categories: general and local
complications, which, in turn, can be distinguished in major and minor. Minor
general complications (such as syncope, nausea and vomit, sense of uneasiness,
fever and ocular discomfort) are unusual, but, they can make patient be worried,
so it’s a good thing to inform patients about these complications; major
general complications (such as allergic reactions and deep vein thrombosis
– pulmonary embolism) are very rare, but potentially life threatening. Local
complications (such as superficial phlebitis, arterial injection, scar), not less
important than the general ones, are possible, but they depend on the capacity
to perform the procedure in the right way or on the type of used drugs to carry
out sclerotherapy; in addiction, these complications create serious aesthetical
problems (bouquets of telangectasies, skin pigmentation) which invalidate the
results of the treatment. Thus, we can say that sclerotherapy is not a dangerous
procedure, but, both patients and operators have to be aware of the linked risks
and complications and assume the necessary safeguards to avoid them.
INTRODUZIONE:
Come tutti i trattamenti medico-chirurgici, anche quello sclerosante può essere
gravato da complicanze, generalmente di modesta entità ma, in qualche raro
caso, anche estremamente gravi.
Distinguiamo Complicanze Generali e Complicanze Locali.
130
COMPLICANZE GENERALI:
Le Complicanze Generali vengono suddivise in: Minori e Maggiori.
COMPLICANZE GENERALI MINORI:
Decisamente rare, di poca importanza clinica, si risolvono nel giro
di breve tempo, ma hanno la capacità di “spaventare” il paziente, per
cui è sempre prudente avvisarlo della possibile comparsa di questi
eventi, spiegando che sono transitori e di nessuna gravità. Tra queste
ricordiamo:
1. Episodi presincopali e sincopali: compaiono soprattutto nei
pazienti neurolabili, generalmente alla prima seduta, e sono
legati a tensione emotiva, alla sensazione di dolore-bruciore.
Passano in pochi minuti, ma possono arrivare alla completa
perdita di coscienza con sincope respiratoria, crisi tetanica,
vomito. Non sono legati al tipo di prodotto sclerosante
utilizzato. Non necessitano di alcun trattamento in quanto si
risolvono spontaneamente in qualche minuto tranquillizzando
il paziente dopo averlo posto in posizione clinostatica.
2. Nausea, vomito, malessere generale: sono fenomeni legati ad
una intolleranza immediata al prodotto. Sono estremamente
rari, non legati ad uno specifico prodotto, si risolvono,
anch’essi, in modo rapido e favorevole.
3. Febbre: compare dopo circa 12-24 ore, può essere anche alta
e recede in brevissimo tempo. Rappresenta una intolleranza
tardiva al prodotto utilizzato. Lo scarso numero degli episodi
non permette di correlarli ad un prodotto specifico.
4. Disturbi oculari: abbagliamenti, perdita parziale del visus;
scompaiono in 30 minuti e, generalmente, seguono di 1020 minuti il trattamento. Controlli oculistici eseguiti a breve
131
6 - Varici reticolari e telangectasie
distanza di tempo non hanno mai evidenziato alcuna patologia
organica.
e con gravissime conseguenze, i cui danni sono rappresentati
da lesioni neurologiche e cutaneo-muscolari per l’immediato
diffondersi del farmaco all’estrema periferia dei tessuti.
Cefalea, senso di sapore metallico in bocca, dolore epatico sono tutte
complicanze rarissime, però riferite in letteratura, come possibili eventi
avversi.
2. Lesioni dei nervi: più rare, possono comparire nel trattamento di
tratti venosi vicini ai grossi nervi (sciatico - polplitei) o per uno
stravaso vicino ad essi o, piuttosto, un passaggio dello sclerosante
nei vasa nervorum.
COMPLICANZE GENERALI MAGGIORI:
Ancora più rare di quelle minori, ma tali da poter mettere in pericolo
di vita il paziente.
1. Reazione Allergica: benigna e locale (orticaria) che si
manifesta, generalmente, nei giorni successivi. Generale e
immediata come lo shock anafilattico, violento e di non facile
risoluzione.
2. Trombosi Venosa Profonda – Embolia polmonare: rarissimi
eventi legati, certamente, ad una serie di cofattori avversi
come la possibilità di una misconosciuta trombofilia, o un
improvviso prolungato allettamento per cause non legate
alla scleroterapia, oppure un inadeguato bendaggio, qualora
vengano trattati grossi rami varicosi con mezzi aggressivi ed
ad altissimo dosaggio (uso di Schiuma?).
COMPLICANZE LOCALI:
Anche le Complicanze Locali vengono, solitamente distinte in Maggiori e
Minori.
COMPLICANZE LOCALI MAGGIORI:
1. Iniezione Endoarteriosa: ormai “quasi” scomparsa con l’utilizzo
dell’eco-sclerosi è stata, negli anni passati, un incidente non raro
132
6.6 - Scleroterapia e complicanze
3. Flebite superficiale: non rara, talvolta compare anche durante il
trattamento di teleangiectasie drenate in un tronco più grosso o
in safena, si risolvono con elastocompressione, ma lasciano quasi
sempre discromie cutanee.
4. Escara: non è legata ad uno stravaso (se non massivo!), ma ad un
danno ischemico locale della parte arteriosa del microcircolo.
COMPLICANZE LOCALI MINORI:
Apparentemente benigne per la loro modesta gravità clinica, spesso
drammaticamente gravi dal punto di vista estetico.
1. Pigmentazione Residua: più frequenti con alcuni farmaci,
legata soprattutto ad un errato dosaggio o ad una ipersensibilità
individuale. Si attenua col tempo, ma può essere fonte di gravi
inestetismi.
2. Bouquets di Teleangectasie post-sclerosi: (Matting) non legato
al prodotto, ma probabilmente alla tattica sclerosante, compare
prevalentemente nella regione interna del ginocchio, difficile da
trattare.
3. Edema del piede: compare in seguito ad un trattamento troppo
133
6 - Varici reticolari e telangectasie
“forte” e troppo basso. Si risolve, molto lentamente, solo con
l’elastocompressione.
La terapia con scleromousse e nata da pochi anni, non ha ancora uno standard
definito, molti sono coloro che hanno modificato il metodo di produzione della
schiuma, i dosaggi, la tecnica.
Di certo sappiamo che ha un azione più efficace, necessita di minor quantità di
prodotto, con essa si può incorrere nelle medesime complicanze finora descritte.
Alcuni lavori parlano, però, di episodi di Embolia Cerebrale, di un maggior
numero di TVP ed EP.
La terapia Sclerosante non è una terapia pericolosa se si è pienamente coscienti
dei rischi e delle complicanze che può provocare e se si è attenti a porre in atto
tutti gli accorgimenti per evitarle.
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
3.
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5.
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Mariani F. Sieroterapia. Ed. Minerva Medica, Torino, 2006.
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1999; 52(1): 53-9.
7.
Flebotrombosi
7 - Flebotrombosi
7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale
7.1 - Flebotrombosi superficiale:
diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale.
Veneruso G.A., D’Amodio A.S.
ABSTRACT:
The term Thrombophlebitis denotes an inflammatory and obstructive
(thrombotic) disease affecting the superficial venous system. It is generally
divided into two groups: primitive and secondary Thrombophlebitis. Whatever
the etiology might be, and similarly to what happens in the deep circle, the
thrombotic processes concerning superficial circle are directly ascribable to an
alteration of one or more factors of the well known “Virchow’s triad” (1856).
Thrombophlebitis are essentially divided into:
Primitive Thrombophlebitis that occur isolately, usually in those subjects
showing a base thrombophilia;
Secondary Thrombophlebitis deriving from other pathologies that provoke a
parietal damage.
Usually a minor issue, the routine chemical-clinical laboratory becomes
fundamental when applied to the diagnosis
of congenital and acquired thrombophilic conditions.
The superficial thrombophlebitis have a very clear clinical manifestation in
terms of disease expression and anatomical position, which makes them easily
recognizable at a first diagnosis. The instrumental evaluation of the disease
is performed by EchocolorDoppler, which allows to evaluate the presence of
thrombosis both qualitatively and quantitatively, and eventually to assess the
involvement of the deep venous circle.
DEFINIZIONE:
Il termine Tromboflebite indica un’affezione a carico del sistema venoso
136
superficiale di natura infiammatoria ed ostruttiva (trombotica). Esse vengono
essenzialmente distinte in Tromboflebiti primitive e secondarie.
Quale che sia l’etiologia, come per i processi trombotici venosi inerenti il
circolo profondo, anche per il circolo superficiale tali eventi sono comunque
riconducibili in ultima analisi all’alterazione di uno o più fattori della famosa
“Triade di Virchow” (1856).
Infatti nella classificazione eziologica riscontriamo Tromboflebiti superficiali
da:
1. Danno parietale.
2. Prevalente stasi venosa.
3. Prevalente ipercoagulabilità.
Numerose evidenze in letteratura confermano lo stretto rapporto tra meccanismi
trombogenici innescati da una flogosi acuta con l’attivazione dei monocitimacrofagi ed il conseguente rilascio di citochine (TNF - Tumor Necrosis Factor
ed IL1 - Interleukina 1), che agiscono sulle cellule endoteliali sia riducendo
le attività anti-trombotiche, sia aumentando la trombofilia (sintesi di Tissue
-Factor o di PAI 1 - inibitore dell’attivatore del Plasminogeno).
Inoltre, l’attivazione della coagulazione ematica genera molte sostanze
enzimatiche fortemente flogogene (Fattore
XII, PreCallicreina, Chininogeno ad alto p.m.).
Appare evidente come l’interazione tra tutti questi elementi possa giocare un
ruolo chiave nell’innescare i complessi processi
che intervengono nel meccanismo flogosi/coagulazione.
FORME CLINICHE:
• Primitive o idiopatiche
• Migranti
• Forme secondarie
Le forme cliniche primitive od idiopatiche sono caratterizzate da processi
flogistici primitivi localizzati in un segmento della parete venosa determinanti
una trombosi secondaria, senza apparente causa scatenante. Raramente
137
7 - Flebotrombosi
recidivanti.
Forme cliniche migranti
Prevalentemente localizzate agli arti inferiori, interessano più segmenti venosi di
uno stesso arto. Sono spesso a genesi immunitaria, e sostenute da concomitanti
processi neoplastici maligni (scavo pelvico, addome, polmone). Riscontrate
anche in corso di malattie infettive (tifo e tubercolosi) e di Mesenchimopatie
reattive (Dermatomiosite, Lupus, Artrite Reumatoide), nelle gravi iperuricemie
e anche come quadro prodromico nelle vasculiti (M. di Buerger, Poliarterite
nodosa), a volte precedendole anche di anni.
Forme cliniche secondarie
Traumi (di qualsiasi natura, tali da indurre danno parietale; iatrogenici, da
farmaci iniettati ev, da uso di cateteri venosi, con possibile sepsi del trombo)
Neoplasie (anche da semplice compressione ab estrinseco oltre che da invasione
parietale)
Deficit emocoagulativi (deficit ATIII, aumento Fattore VIII, policitemia e
trombocitemia)
Infezioni
Immobilità
Gravidanza
Farmaci (estroprogestinici)
Forme particolari di tromboflebiti
Periflebiti
Propagazione del processo flogistico ai tessuti adiacenti; in tali casi,
l’interessamento del sistema linfatico può
risultare anche severo, con edema distrettuale importante, piodermite e
linfoadenopatia consensuale.
Nei casi di coinvolgimento dell’arteria vicina e del connettivo periavventiziale,
si parla di “flebite a binocolo”.
138
7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale
Flebite settica
Rappresenta la complicanza più drammatica delle tromboflebiti superficiali da
catetere ed è conseguente a fenomeni di contaminazione; si osserva con maggior
frequenza quando si utilizzano dispositivi di materiale plastico da perfusione
long-term. Tra i soggetti a maggior rischio vanno ricordati anche gli utilizzatori
di sostanze da abuso per via iniettiva. Il quadro clinico è caratterizzato dallo
stato febbrile di tipo settico e la complicanza più grave è l’embolia polmonare
settica da migrazione di coaguli infetti.
Flebite a “bottone di camicia”
Particolarmente nel post partum, si può avere l’interessamento delle vv.
perforanti di gamba nel comparto delle vv. gemellari, configurando un peculiare
aspetto clinico detto Flebite “a bottone di camicia”. La peculiarità è insita nel
rischio abbastanza elevato di TVP ed EP.
Flebite subacuta reattiva di Mondor
Trombosi Venosa con o senza periflebite interessante nella gran parte dei casi
(50-90%) la vena toraco-epigastrica o la mammaria esterna o l’epigastrica
superiore, con possibili fenomeni di irradiazione craniale (ascella e braccio) o
caudale. La genesi è riconducibile a varie cause: traumi, lacerazioni muscolari,
chirurgia (mastectomie), sindromi paraneoplastiche, infezioni, malattie
sistemiche (artrite, Lupus, etc.). Il suo riscontro è abbastanza raro. Frequenti le
recidive.
Varicoflebite e varicotromboflebite
Si verifica quando il processo flebitico colpisce un territorio venoso varicoso.
È un evento abbastanza frequente causato molto spesso dai soli fenomeni di
stasi venosa. Può complicarsi come “varicotromboflebite” nel qual caso i gozzi
varicosi appaiono turgidi, dolenti e non svuotabili in posizione antideclive
dell’arto.
VaricoTromboflebite ascendente
Un particolare caso di TFS è rappresentato dalla Varico-Tromboflebite
ascendente della vena Safena. La pericolosità deriva dal coinvolgimento, nel
processo trombotico, della giunzione safeno-femorale (o safeno-poplitea):
in tali casi la presenza di un “trombo flottante” aggettante il lume della vena
profonda, costituisce un emergenza chirurgica (interruzione della GSF o della
139
7 - Flebotrombosi
7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale
GSP).
Flebite “a fil di ferro” o di Favre
Caratterizzata dalla presenza di un piccolo cordone venoso, liscio, teso e rigido,
con piccole nodosità senza aderenze
con i tessuti circostanti (da cui la denominazione alternativa di TFS “a fil di
ferro”). Si manifesta nella malattia Tubercolare.
DIAGNOSI CLINICA:
Il quadro clinico è rappresentato essenzialmente dai segni cardinali
dell’infiammazione acuta.
Rubor
Color
Dolor
Tumor
In tutte le forme di flebotrombosi superficiale si apprezza un cordone rilevato
e dolente sovrastato da cute iperemica, a volte discromica (Fig. 1). I cordoni
possono confluire a formare veri e propri “piastroni”. Edema dei tessuti limitrofi
ma non dell’intero arto. Rara l’iperpiressia (a meno di fatti settici) e la flogosi
linfonodale.
TVP ed EP: difficile il coinvolgimento del circolo profondo (tramite le
perforanti), ma alterazioni serotine della temperatura, comparsa di edema
dell’arto ed una sua impotenza funzionale dovrebbero indurre a sospettare
l’evento TVP.
140
Fig. 1 - Caso clinico di flebotrombosi di N3 in territorio safenico interno
DIAGNOSTICA STRUMENTALE:
Essenzialmente basata sula valutazione clinica, certamente si giova non poco
della valutazione strumentale basata
sulla metodica EchocolorDoppler, che permette la valutazione quantitativa e
qualitativa della trombosi, della sua
estensione ed eventuale coinvolgimento del venoso profonda e, perché no,
dell’arterioso.
141
7 - Flebotrombosi
Foto 1 - Trombo in XV giornata con interessamento linfatico periflebitico
7.1 - Flebotrombosi superficiale: diagnosi di laboratorio, clinica e strumentale
Foto 3 - Trombo in XV giornata parzialmente adeso alle pareti con iniziali fenomeni di
ricanalizzazione
Foto 4 - Trombo in XXVI giornata con cattaeri di irregolarità parzialmente adeso alle
pareti
Foto 2 - Trombo in XV giornata che occupa l’intero lume vasale con nucleo centrale
organizzato
142
143
7 - Flebotrombosi
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO:
In relazione al tipo di evento, la valutazione laboratoristica (emocromo con
formula e piastrine, assetto coagulativo e
D-dimero) potranno certamente essere di ausilio. Valutazioni più approfondite
(Proteina C ed S, AT-III, Fattori coagulazione, Markers tumorali) saranno
riservati a casi particolari.
TERAPIA:
•
•
•
•
•
•
Anti-infiammatori (generalmente FANS)
Bendaggio elasto-compressivo o tutore elastico
Eparina a basso peso molecolare (EBPM)
Eparanolfato e/o steroidei per uso topico.
Eventuale Antibiotico-Terapia
Chirurgia (Varicotromboflebite ascendente safenica)
BIBLIOGRAFIA:
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Centro
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5. Rabbia C, De Lucchi R, Cirillo R. Eco-Color-Doppler Vascolare. II Edizione. Minerva
Medica, Torino, 1997.
144
7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica
7.2 - Trombosi Venosa Profonda
e Sindrome Post-Flebitica
Greco R., Farina B. L., Prisco V.
ABSTRACT:
Deep vein thrombosis is the obstruction of a deep vein, which may be
complicated by pulmonary embolism and, belatedly, with the drip-postthrombotic syndrome. The Post-flebothrombotic Syndrome (PFTS), which
clinically may present with pain, feeling of heaviness in the limb affected,
edema, cramps, itching or tingling, which may result in skin ulcers, can
be highly debilitating. It is necessary to prevent such event. The ideal prevention
of PFTS is to avoid the occurrence of deep venous thrombosis (DVT), and this
can be done through a correct antithrombotic prophylaxis according the most
recent Guide-Lines in patients at risk, and establishing a correct compression and
an adequate anticoagulant therapy in DVT.
EPIDEMIOLOGIA DELLA TVP:
È difficile fornire stime precise sull’incidenza della trombosi venosa profonda
(TVP) nella popolazione, poiché essa è spesso misconosciuta, per la scarsa
applicazione di criteri diagnostici attendibili.
Secondo uno studio svedese, il 2-3% della popolazione va incontro, nel corso
della vita, ad un episodio di TVP (oltre 700.000 casi/anno in Europa).
La TVP può insorgere a ciel sereno ma, più spesso, colpisce in situazioni
cosiddette a rischio:
• Età
• Obesità grave
• Vene varicose
• Disidratazione
• Immobilizzazione
145
7 - Flebotrombosi
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Infezioni gravi
Gravidanza e post-parto
Contraccettivi ormonali
Terapia sostitutiva ormonale
Malattia infiammatoria intestinale
Sindrome nefrosica
Malattie mieloproliferative
Insufficienza respiratoria o cardiaca cronica
Storia di TVP o EP
Neoplasia
Paralisi arti inferiori
LAC, anticorpi anticardiolipina
Condizioni trombofiliche congenite
Trauma o chirurgia attuali o negli ultimi 3 mesi
7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica
Fattori che concorrono al suo sviluppo sono l’ostruzione venosa, il reflusso
valvolare, la disfunzione dei muscoli del polpaccio secondaria a ridotta
perfusione, l’alterazione del microcircolo e del sistema linfatico.
Nella fase acuta di una TVP il materiale trombotico fresco determina l’ostruzione
della vena interessata.
Nei primi mesi che seguono l’evento acuto si verifica un rimodellamento del
trombo, che porta alla ricanalizzazione o comunque alla organizzazione del
trombo stesso.
Questo processo può esitare in un danno valvolare irreversibile, la cui
conseguenza finale è la comparsa di ipertensione venosa che a sua volta
provoca stasi e incontinenza delle vene perforanti distali, causando quindi
edema perimalleolare, lipodermatosclerosi, atrofia cutanea, ulcere (Fig. 1 e 2).
DIAGNOSI E COMPLICANZE DELLA TVP:
La diagnosi di TVP si effettua grazie ad esami strumentali non invasivi
(ecocolordoppler) e ad esami di laboratorio (D-dimeri), questi ultimi utili
soprattutto per escludere un evento trombotico.
La diagnosi strumentale deve essere preceduta da un sospetto clinico e quindi
da una raccolta anamnestica accurata e dalla visita.
Il sospetto clinico di TVP (che può essere stratificato secondo uno score
specifico) obbliga ad iniziare immediatamente la terapia anticoagulante, se
sospetto di TVP medio-alto, in attesa della conferma con ecocolordoppler,
che deve essere eseguito naturalmente in tempi brevissimi se non è possibile
farlo immediatamente, così da ridurre l’incidenza delle complicanze immediate
(embolia polmonare) e tardive (SPFT).
FISIOPATOLOGIA SINDROME POST-FLEBOTROMBOTICA:
Fig. 1 - Ulcera perimalleolare da SPFT
La fisiopatologia della SPFT (Sindrome Post-Flebotrombotica) non è ancora
completamente nota.
146
147
7 - Flebotrombosi
7.2 - Trombosi Venosa Profonda e Sindrome Post-Flebitica
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
3.
4.
Prandoni P. Il tromboembolismo venoso. Attualità e prospettive. Piccin, Padova, 2008, pp.
155-68.
Botta G. La malattia post-trombotica.Centro di Flebolinfologia.Università degli Studi di
Siena.
Kahan SR, Hirsch A, Shrier I. Effect of postthrombotic sindrome on health-related qualità
of life after deep venous thrombois. Arch Intern Med, 2002; 162: 1144-8.
Kurz X, Hahn SR, Abenhaim L, et al. Chronic venous disorders of leg: epidemiology,
outcomes diagnosis and management. Int Angiol, 1999; 18: 83-102.
Fig. 2 - Ulcera di gamba sin. in SPFT
PREVENZIONE DELLA SPFT:
Dato l’alto grado di invalidità connesso alla SPFT e l’alto costo sociale, sarebbe
opportuno prevenire tale manifestazione.
La prevenzione ideale della SPFT è evitare l’insorgenza della TVP, e questo
può essere effettuato attraverso la profilassi antitrombotica, almeno nei soggetti
a rischio.
Purtroppo, in oltre il 50% dei casi, gli eventi tromboembolici venosi compaiono
improvvisamente, in soggetti senza alcun precedente fattore di rischio
identificabile.
Pertanto la profilassi antitrombotica, per quanto raccomandabile, non costituisce
da sola una misura sufficiente a prevenire la SPFT.
Bisogna quindi cercare di prevenire la SPFT dopo una TVP, innanzitutto
attraverso una corretta e tempestiva terapia anticoagulante della TVP stessa,
e attraverso l’educazione del paziente e la sua collaborazione nella osservanza
di alcune norme comportamentali, della terapia medica ed elastocompressiva.
148
149
7 - Flebotrombosi
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
7.3 - Malattia Venosa Cronica
ed Embolia Polmonare
Di Filippo A., Riccio I., Sellitti M.E.,
Cardamone B., Sellitti A., Quarto G.
ABSTRACT:
Thrombohembolic disease includes two different clinical aspects: deep-vein
thrombosis and pulmonary trombohembolism. DVT results from blood clot
formation, usually, within large veins in proximal leg circulation (90% of cases);
PTE happens when these clots broke off and travel to the pulmonary arterial
circulation, creating a not perfused pulmonary area, which cannot perform
the normal gas exchange. There is not PTE without DVT. For this reason, the
prevention of a potentially mortal pathology, such as PTE, can be done with the
adoption of a systematic DVT prophylaxis, with anticoagulants (i.e. LMWH).
DVT, in itself, does not represent an immediate life threatening disease. In
order to perform a DVT prophylaxis, according to more recent guidelines,
categories of potentially at risk patients have to be detected. These categories
include: chronic heart failure, acute respiratory insufficiency, lower limb
immobility, orthopedical patients, general surgery and onchological patients.
INTRODUZIONE:
Le malattie delle vene colpiscono nel mondo occidentale più del 50% della
popolazione femminile e circa il 30 % di quella maschile.
Le manifestazioni cliniche vanno dalla insufficienza venosa cronica cosiddetta
funzionale che presenta sintomi, ma non segni clinici di malattia, ai quadri
clinici più gravi di ulcera venosa e trombosi venosa profonda, quest’ultima
potenzialmente fatale quando si complica con il quadro dell’embolia polmonare.
emboliche sono sostenute nella maggior parte dei casi da TVP prossimali (vene
al di sopra del ginocchio), in percentuali molto basse l’embolo proviene dal
cuore destra o dai distretti venosi della cava superiore.
Data la sua alta incidenza la TVP/TEP ha importanza non solo dal punto di vista
socio-economico, ma anche per le implicazioni medico legali.
Si calcola che il 50% dei pazienti con TVP sviluppa una TEP e che il 70-80%
dei pazienti con TEP abbia anche una TVP, nel restante 30% dei casi di TEP non
viene rilevato alcun trombo livello delle vene profonde, perché il preesistente
trombo che ha dato luogo all’embolia è stato completamente mobilizzato dalle
vene profonde degli arti inferiori.
La malattia tromboembolica venosa comprende due aspetti clinici differenti:
la trombosi venosa profonda (TVP) e la tromboembolia polmonare (TEP),
espressioni della stessa entità anatomopatologica. La TEP non è una malattia di
per sé, ma una complicanza assai temibile della TVP.
La TEP non si verifica se non vi è TVP!
La incidenza di TVP/TEP e decessi per TEP possono ridursi significativamente
se nei gruppi di pazienti a rischio si adotta una strategia di tromboprofilassi
opportuna ed adeguata, anche se attualmente sottoutilizzata (studio GEMINI,
studio ENDORSE, registro IMPROVE, studio MEDINOX), soprattutto nei
reparti di medicina.
Tutti i pazienti devono essere sottoposti alla stratificazione del rischio di TEV
(scheda per la valutazione del rischio) (Tab. I).
La TVP consiste in una occlusione completa o parziale del sistema venoso
profondo degli arti più frequentemente quelli inferiori, le complicanze
150
151
7 - Flebotrombosi
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
Livelli di
Rischio
Basso
Rischio
Rischio
intermedio
o moderato
Alto rischio
Chirurgia minore in
pazienti mobili
Pazienti intemistici
allettati
Maggior parte dei
pazienti sottoposti
a procedure di
chirurgia generale,
urologica,
ginecologica.
Se rischio
moderato associato
ad elevato rischio
emorragico
Protesi elettiva
d’anca o di
ginocchio, frattura
d’anca.
Trauma maggiore,
trauma spinale.
Se rischio
moderato associato
ad elevato rischio
emorragico
Senza
Profilassi*
Profilassi raccomandata
< 10%
Nessuna profilassi
specifica, ma
deambulazione precoce e
“aggressiva”
Eparina a basso peso
molecolare (EBPM) alle
dosi raccomandate
Eparina Calcica b.i.d
15 % - 40 %
oppure t.i.d.
Fondaparinux
Profilassi meccanica**
Eparina a basso peso
molecolare (EBPM) alle
dosi raccomandate
40 % - 80 %
Fondaparinux
Profilassi meccanica**
Tabella I: Valutazione del rischio di TEV e profilassi raccomandata.
*Incidenza basata sullo screening diagnostico con strumenti obiettivi (flebografia) di pazienti ai quali non è
stata somministrata profilassi.
**Compressione pneumatica intermittente (CPI) e/o calze a compressione graduata (antitrombo). Effettuare
il passaggio a profilassi farmacologica alla diminuzione del rischio emorragico.
152
LINEE GUIDA NICE TEV 2010.
L’efficacia delle eparine a basso peso molecolare EBPM e del fondaparinux nella
prevenzione del TEV è stata dimostrata in pazienti “internistici” ospedalizzati
affetti da scompenso cardiaco classe NHYA III o IV, insufficienza respiratoria
acuta, BPCO, infezioni acute, immobilità arti inferiori, pazienti oncologici.
La decisione di iniziare una profilassi farmacologica dovrebbe comunque
derivare da un bilancio fra il rischio di TEV e il rischio emorragico del singolo
paziente.
EMBOLIA POLMONARE (TEP):
DEFINIZIONE:
Ostruzione acuta,ricorrente o cronica di uno o più vasi arteriosi
polmonari,determinata dalla presenza di coaguli ematici provenienti da
trombosi a sede periferica nel sistema venoso profondo.
EPIDEMIOLOGIA:
In Italia 65.000 casi l’anno. Un nuovo caso ogni 1000 abitanti.
Nonostante il miglioramento della diagnosi e della terapia, la mortalità
è rimasta alta e costante negli ultimi 40 anni
Mortalità nei casi non trattati: 30%, trattata 2-8%.
Nonostante i progressi della profilassi del tromboembolismo venoso la
TEP ha ancora un notevole impatto ed è al terzo posto tra le cause di
morte per malattie cardiache.
L’embolia polmonare è una patologia frequente nella pratica clinica,essa
infatti rappresenta la terza emergenza cardiovascolare dopo sindromi
coronariche acute e stroke, ed è gravata da alta mortalità quando si
associa ad instabilità emodinamica..
153
7 - Flebotrombosi
PATOGENESI DELLA TROMBOSI:
Triade di Virchow:
Ipercoagulabilità, stasi, danno endoteliale.
Tutte le condizioni che comportano il rischio di una trombosi venosa
profonda, predispongono allo sviluppo di una TEP.
Fattori di rischio:
1. Stati di ipercoagulabilità congeniti od acquisiti
2. Obesità
3. Tumore
4. Gravidanza
5. Interventi chirurgici
6. Traumi
7. Fratture
8. Immobizzazione prolungata
9. Infarto del miocardio
10. Ictus
11. Terapia estrogenica
12. Malattia varicosa arti inferiori
CLASSIFICAZIONE:
Clinico-anatomica (BTS, ACCP)
1. TEP massiva: almeno 2 rami lobari (oltre il 50% del letto
vascolare polmonare): dispnea, tachipnea, sincope, shock o
ipotensione (minore di 90 mmHg), arresto cardiaco.
La diagnosi deve essere rapida; importanza dell’eco bedside.
2. TEP sub massiva (quella senza ipotensione): almeno un ramo
lobare (30-40% del letto vascolare polmonare): dolore toracico,
tosse, emottisi, polipnea, ansia, parametri emodinamici stabili.
3. TEP non massiva, o TEP asintomatica, o microembolia
cronica recidivante: non sono evidenti sintomi dell’avvenuta
154
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
embolizzazione, senza disfunzione ventricolare destra.
Generalmente determinata da una ostruzione del letto
polmonare arterioso inferiore al 30%, può dare origine ad un
quadro di ipertensione polmonare cronica.
Classificazione ESC 2008:
1. Ad alto rischio: pazienti in shock e pazienti con grave
ipotensione sistemica (p.a. sistolica inferiore a 90 mmHg o
riduzione di almeno 40 mmHg rispetto al valore basale per
almeno 15 minuti)
2. A non alto rischio: tutti gli altri, suddivisi in:
a. Pazienti a rischio intermedio: in base alla presenza di
mionecrosi (troponina positiva) e/o di segni di disfunzione
ventricolare destra (con metodiche di immagine o dalla
positività dei peptidi natriuretici).
b. Pazienti a basso rischio: assenza di disfunzione ventricolare
destra e/ mionecrosi.
EZIOLOGIA (ORIGINE DEL TROMBO):
Trombosi venosa profonda prossimale (90%), vene al di sopra del
ginocchio, poplitee, femorali, iliache,o da un trombo distale non trattato
che si è esteso prossimalmente.
Le TVP localizzate sotto il ginocchio (è interessato prevalentemente il
sistema venoso del polpaccio) di rado embolizzano, tuttavia nel giro di
qualche giorno, possono estendersi cranialmente, per poi eventualmente
embolizzare.
Sito iniziale della formazione del trombo è la tasca valvolare, dove il
flusso ematico è stagnante con riduzione dell’apporto di O2 all’endotelio
delle cuspidi, e si formano vortici a livello delle cuspidi valvolari.
La stasi prolunga il tempo di contatto tra sangue e singoli elementi
venosi ed i vortici lungo le cuspidi valvolari causano la deposizione di
eritrociti, granulociti e piastrine.
Il trombo si accresce nel lume venoso sia in senso longitudinale nel
155
7 - Flebotrombosi
senso della corrente, sia per apposizione circonferenziale a causa
dell’autogenerazione trombinica.
TVP ed TEP sono entità non stabili, bensì dinamiche e che “ ciò che
è vero in questo momento può non esserlo un’ora dopo o il giorno
seguente”.
Particolare attenzione alle trombosi venose superficiali. Che arrivano
alla crosse safenofemorale o safenopoplitea.
Embolie non trombotiche: grassose, settiche, gassose, da liquido
amniotico, tumorali.
La prima stima che si fa in p.s. è la ricerca di edema di un arto inferiore
con possibile positività dei segni di :
1. Bauer: dolore alla palpazione profonda del polpaccio
2. Homans: dolore alla palpazione dopo la flessione dorsale del
piede
3. Laurel: dolore al polpaccio dopo un colpo di tosse o uno
starnuto
In caso di diagnosi di TVP del sistema venoso profondo prossimale, il
paziente deve essere ospedalizzato e si deve iniziare la terapia che è la
stessa della TEP.
Se non si reperta alcuna trombosi venosa, bisogna comunque continuare
l’iter diagnostico della TEP.
La profilassi della TVP è il mezzo più efficace per ridurre
l’incidenza di TEP!
DIAGNOSI DI TEP.
Il processo diagnostico della TEP nasce prima di tutto da un elevato
grado di sospetto clinico, che è integrazione di:
156
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
1.
2.
3.
4.
Anamnesi
Fattori predisponenti
Clinica
Alta probabilità nei tests predittivi: (WELLS, GINEVRA,
WIKI, PISA)
5. Esami strumentali di primo livello
6. Esperienza e competenza del clinico
Ruolo fondamentale del clinico nella pronta formulazione del
sospetto di TEP
Alterazioni ECG:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Segni di sovraccarico destra acuto (S1 Q3 T3)
T negativa (V1-V4)
Fibrillazione atriale
Tachicardia sinusale
Bb destra di nuova insorgenza
P polmonari in D2 D3
Ecg normale non esclude diagnosi di embolia polmonare
Utile per escludere altre cause di dolore toracico
Alterazioni rx torace
Pensare a TEP in presenza di dispnea ed in assenza di rilievi rx
particolari!
Alterazioni frequenti ma aspecifiche.
Segni indicativi:
1. Ingrandimento ventricolo destro
2. Segno di Palla: ingrandimento dell’a. polmonare inferiore
destra a monte dell’embolo
3. Segno di Westermark: oligoemia regionale a valle della
presunta sede di ostruzione
157
7 - Flebotrombosi
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
4. Segno o gobba di Hampton: opacità basale di forma
triangolare indicativo di infarto completo
5. Versamento pleurico che può mascherare l’infarto
6. Innalzamento del diaframma
7. Il ruolo principale della rx è quello di escludere altre
patologie e di dare utili orientamenti per il successivo work
up
Alterazioni emogasanalisi:
1. Ipossiemia (PAO2 minore di 80 mmHg, ipocapnia (PACO2
minore di 40 mmHg) e tendenza all’alcalosi respiratoria
per l’iperventilazione del paziente.
2. La gravità dell’ipossia correla con la gravità e l’estensione
dell’ embolia polmonare
3. Nel 26% dei pazienti emogasanalisi normale
Un’emogas analisi alterata può aumentare la probabilità di TEP, ma
un’emogas analisi normale non può escludere la diagnosi.
Ecocardiogramma TTE:
1. Nel paziente critico valore diagnostico
2. Nel paziente non critico valore prognostico (infatti: con
disfunzione ventricolare destra TEP sub massiva; senza
disfunzione ventricolare destra TEP non massiva)
• Utile nella fase diagnostica nei soggetti emodinamicamente
instabili, per escludere diagnosi alternative (IMA,
Tamponamento cardiaco, Dissezione aortica).
• È la prima indagine strumentale nel paziente critico
• Ecocardiografia: disponibile in tutti gli ospedali e di facile
esecuzione al letto del paziente
Segni diretti
1. Evidenza di tromboembolo nelle sezioni destra o nei rami
delle aa. polmonari.
Segni indiretti (di cuore polmonare acuto):
D dimero: utile per escludere, non per confermare TEP.
1. Prodotto della lisi plasminica della fibrina
2. Misurato con metodo ELISA
3. Valore soglia 500 ng/ml, se maggiore di 500 ng/ml
associato a malattia tromboembolica
4. Alta sensibilità e bassa specificità
5. Elevato valore predittivo negativo (95%), basso potere
predittivo positivo (40%)
6. Il test non va considerato isolatamente, ma va integrato
con informazioni di ordine clinico e strumentale.
7. Se normale permette di escludere un processo trombotico
in atto
158
1. Dilatazione e ipocinesi del ventricolo destro
2. Segno di Mac Connell: ipercinesia del segmento apicale
con ipocinesia della parete libera (segno di grande
specificità)
3. Fluttering o bulging del setto interventricolare spostato
a sinistra con incremento del rapporto ventricolo destro/
ventricolo sinistro
4. Ventricolo sinistro a “d” o a “banana” in parasternale asse
corto.
5. Ipertensione arteriosa polmonare
6. Insufficienza tricuspidale con PAP > 35 mmHg
7. Mancato collasso inspiratorio della vena cava inferiore che
risulta dilatata ed ipomobile
159
7 - Flebotrombosi
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
8. Importanza dell’ecocardiografia nella stratificazione
prognostica:
a. TEP a basso rischio: v. destro normale, mortalità
inferiore al 4%.
b. TEP submassiva: disfunzione ventricolare destra,
mortalità 5-10%.
c. TEP massiva: disfunzione ventricolare destra ed
ipotensione o shock: mortalità 30%.
9. I pazienti con pressioni polmonari maggiori di 50 mmHg
all’esordio hanno una maggiore frequenza di ipertensione
polmonare cronica a distanza
Ecocolor doppler venoso arti inferiori:
Ultrasonografia venosa con compressione (CUS) seriata: tale
metodica consente di esplorare tutto l’asse venoso profondo e
di verificarne la pervietà e la comprimibilità mediante leggere
pressioni della sonda in trasversale.
1. Unico criterio diagnostico validato dalla
letteratura: assenza di comprimibilità
CUS
assente”.
2. Se il tratto venoso risulta comprimibile e le pareti
venose collabiscono completamente, esso è
sicuramente libero dalla presenza endoluminale di
materiale trombotico.
3. L’incompressibilità della vena, la sua dilatazione,
l’evidenza di materiale ecogeno nella vena,
insieme all’assenza di flusso all’interno al color
power doppler, costituiscono i semplici fondamenti
dell’indagine ultrasonica.
LA DIAGNOSI DELLA TVP:
• Non è accurata in quanto né sensibile, né specifica. La mancanza di
un elemento patognomonico richiede che la diagnosi in via definitiva
160
venga affidata al riscontro di un esame strumentale con ultrasuoni.
• L’Ecocolordoppler venoso è fortemente raccomandato anche nel
caso di trombosi venose superficiali non solo per verificare la precisa
estensione prossimale della TVS, sempre sottostimata clinicamente, ma
soprattutto per escludere la presenza della complicanza più temuta della
TVS, e cioè l’estensione alle cross safenofemorali o safenopoplitee o
alle vene perforanti e da lì alle vene profonde con possibile presenza di
TVP e/o TEP.
Diagnosticare TVP in pazienti con sospetta TEP è sufficiente per impostare
terapia!
DIAGNOSI CLINICA DELLA TEP:
Segni e sintomi poco sensibili e poco specifici
Sono più evidenti nella forma massiva e submassiva
1. Asintomatica nel 40-50%
2. Dispnea improvvisa 73% (a volte è l’unico elemento sul quale impostare
l’iter diagnostico)
3. Tachipnea 70%
4. Tachicardia 60%
5. Sincope 20%, lipotimia associata a dispnea ed oppressione toracica
6. Ipotensione
7. Dolore toracico 66%
8. Tosse 37%
9. Emottisi 25%
10. TVP 33%
11. Shock 5%
12. Ansia, irrequietezza, agitazione, segni dell’ipossia.
La variabilità delle manifestazioni cliniche è correlata con l’entità delle
alterazioni emodinamiche, e quindi dal numero e dal volume degli emboli, o
dall’estensione del parenchima polmonare interessato.
161
7 - Flebotrombosi
L’embolia polmonare è una patologia molto difficile da diagnosticare,
rappresentando la diagnosi più comunemente mancata che ha come conseguenza
la morte, è importante, quindi, sospettarla ogni volta che è presente una dispnea
inspiegabile ed improvvisa.
Nei pazienti affetti da malattie cardiache e respiratorie il rischio di misconoscere
questa patologia è particolarmente alto.
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
rischiare decisioni terapeutiche affrettate e potenzialmente dannose.
La sequenza diagnostica deve tenere conto delle condizioni cliniche del
paziente.
Ecocardiografia:
Segni diretti ed indiretti.
Se il paziente con BPCO non migliora nonostante la terapia, pensare alla TEP.
Embolia polmonare:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Il camaleonte
Killer silenzioso dell’anziano (Webster)
La grande simulatrice (Braunwald)
Il grande mimo
Sindrome proteiforme
La più subdola fra le emergenze cardiologiche
La sola valutazione clinica non permette di fare una diagnosi di certezza.
Oltre ad avere una varia presentazione clinica è trasversale la sua presenza
nei vari reparti: ortopedia, chirurgia, rianimazione, medicina, oncologia,
cardiologia, ostetricia, lungodegenza, MMG.
La difficoltà diagnostica è anche maggiore se il paziente è affetto da patologie
croniche cardiache o respiratorie.
Il 90% delle morti avvengono in pazienti non trattati perché non è stata effettuata
la diagnosi!
CONFERMA DIAGNOSTICA DIAGNOSTICA STRUMENTALE
Angio TC spirale:
È considerato l’esame principale per la diagnosi di TEP. È
attualmente la metodica più utilizzata nel sospetto di TEP. La TC
multislice consente l’analisi accurata del 90% delle aa. polmonari
subsegmentali e dimostra emboli di 2 mm in aa. polmonari di
settimo ordine
Secondo alcuni studi la sensibilità della TC multislice sarebbe
superiore a quella dell’angiografia con l’avvento delle TC 320 e
640 slice.
Angio RM:
Valida alternativa alla TC nei pazienti con ipersensibilità ai mdc; è
in continua evoluzione; esame del futuro?
Scintigrafia polmonare:
Alto tasso di risultati a probabilità intermedia, limitata ai pazienti
con controindicazioni alla TC
Talora di difficile esecuzione la ventilatoria per le condizioni
critiche del paziente. Non presente in ospedale.
Angiografia polmonare:
Gold standard, ma invasivo, costoso e gravata da alte complicanze;
sempre meno utilizzata dopo l’avvento della TC multislice.
Che deve susseguirsi rapidamente secondo un ordine prioritario per non
162
163
7 - Flebotrombosi
DIAGNOSI DIFFERENZIALE: È VERAMENTE UNA TEP?
Comprende tutte le condizioni patologiche che determinano dispnea o dolore
pleurico o dolore toracico
1. Edema polmonare acuto
2. Infarto miocardico acuto
3. BPCO riacutizzata
4. Pneumotorace spontaneo
5. Polmonite e broncopolmonite
6. Asma
7. Atelettasia polmonare
8. Dissezione aortica
9. Frattura costale
10. Dolore muscolo scheletrico
L’anamnesi, gli score clinici, l’esame obiettivo, l’ECG, l’rx torace, il dosaggio
degli enzimi di mionecrosi, l’Ecocardiografia, l’Ecocolordoppler venoso arti
inferiori permettono di effettuare sempre una corretta diagnosi differenziale.
Nel sospetto di TEP si deve cercare di ottenere una diagnosi più “certa”
possibile per evitare sia di non trattare i pazienti con TEP (esponendoli a rischio
di morte), sia di trattare a lungo con terapia anticoagulante (potenzialmente
pericolosa) pazienti nei quali non vi è TEP.
VALUTAZIONE PROGNOSTICA:
1. Criteri clinici: shock, ipotensione, score di Aujeski
2. Criteri bioumorali: troponina (i livelli di troponina correlano con
la dilatazione del v. destra e sono associati ad embolia polmonare
complicata ed a maggiore mortalità) e BNP
3. Criteri strumentali: ECG, Ecocardio, angioTC
• TEP massiva e submassiva: mortalità 10% alla prima ora. Necessita di
formulare precocemente la diagnosi ed avviare la terapia adeguata
164
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
• Micro TEP: buona sopravvivenza(ostruzione limitata, spontanea lisi
dell’embolo)
TERAPIA:
1. Farmacologica (trombolisi, Eparina non frazionata ENF, Eparina a
Basso Peso Molecolare EBPM, dicumarolici TAO)
2. Non farmacologica (filtri cavali, embolectomia)
La gravità del quadro clinico è determinante nella scelta dell’approccio
terapeutico
TEP ad alto rischio o massiva o critica con instabilità emodinamica:
La terapia trombolitica quando non controindicata rappresenta il gold standard
dei quadri di TEP massiva.
Terapia di supporto:
1. ENF endovena iniziale
2. Trombolisi (se non controindicazioni): rTPA al dosaggio di 100 mg in
2 ore
3. Alla sospensione del trattamento trombolitico, dopo valutazione dei
parametri emocoagulativi, segue l’eparina sodica e.v. al dosaggio di
1.000 u.i l’ora, poi embricata con warfarin
Embolectomia: (se trombolisi controindicata, o non responders alla terapia)
1. Chirurgica
2. Tramite cateterismo
Filtri venosi cavali
TEP a basso rischio:
1. Non benefici clinici della trombolisi
2. EBPM o fondaparinux
165
7 - Flebotrombosi
7.3 - Malattia Venosa Cronica ed Embolia Polmonare
3. Segue TAO (dicumarolici)
• Se probabilità bassa/moderata e d- dimero inferiore a 500 con CUS
presente all’ecocolordoppler venoso arti inferiori : no TEP
Non
trattare
• Se probabilità alta e D/dimero superiore a 500, con:
1. Ecocolordoppler arti inferiori positivo per TVP
trattare
2. Ecocardiografia di moderata/bassa suggestività con
a.segni diretti
trattare
b.segni indiretti
trattare e seguire con TC multislice
per conferma
In attesa di ulteriori studi, non è chiaro, non essendovi linee guida valide, se
la terapia trombolitica sia di alcun beneficio nei pazienti emodinamicamente
stabili con evidenza ecocardiografica di disfunzione ventricolare destra.
Per il trattamento iniziale di pazienti emodinamicamente stabili colpiti da
embolia polmonare, la somministrazione sottocutanea di fondaparinux una
volta al giorno, senza monitoraggio di laboratorio, è altrettanto efficace e sicura
della somministrazione endovenosa di dosi aggiustate di eparina non frazionata.
TC torace m.s. positiva per TEP
La terapia anticoagulante orale (TAO) con farmaci inibitori della vitamina
k (dicumarolici) è indicata nella terapia della TEP in fase acuta, questo
trattamento può essere iniziato contemporaneamente alla terapia eparinica,
embricando le due terapie per almeno 5 giorni e sospendendo l’eparina quando
il valore dell’INR è in range (2-3, target 2,5) per almeno 2 giorni consecutivi.
Non ottenere la anticoagulazione terapeutica entro le prime 24 ore comporta un
alto tasso di recidive.
trattare
TC torace neg.:
• Eseguire Scintigrafia polmonare, RM o angiografia polmonare: se
positivi per TEP
trattare
CONSIDERAZIONI PERSONALI:
Particolare attenzione va posta alla profilassi delle recidive.
Nei pazienti colpiti da TEP si riscontra un’associazione lineare tra precocità di
somministrazione della terapia anticoagulante e ridotta mortalità.
A coloro che ritengono necessaria una diagnosi certa di TEP prima di iniziare
il trattamento, troppo spesso potrebbe essere fornita l’unica prova certa: quella
autoptica.
ALGORITMO DIAGNOSTICO: ESC 2008
Sospetto clinico di TEP:
Dopo valutazione della probabilità clinica Pre-test (Wells, Ginevra, Pisa, Wiki)
166
• Non bisogna mai arrestare un iter diagnostico per l’assenza di sintomi e
segni classicamente associati a TEP!
• Nessuno, clinico o radiologo, può illudersi di capire tutto da solo, facendo
a meno dell’apporto integrato delle altrui conoscenze ed esperienze!
• L’uomo vive in mezzo a ciò che vede, ma vede solo ciò che pensa!
• Il medico che non pensa alla TEP raramente può diagnosticarla!
• La dignità del dubbio va sempre preferita al tormento di un errore!
BIBLIOGRAFIA:
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8.
Il linfedema
168
8 - Il linfedema
8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica
8.1 - Il linfedema:
le possibilità della terapia medica
Spinelli G.M.
ABSTRACT:
Flavonoids, often called “bioflavonoids”, are colourful substances that occur
widely in the Plant Kingdom. Reasonably good, though not indisputable,
evidence suggests that these bioflavonoids may be helpful for Haemorrhoidal
Deseases, VCI and Limphoedema. Most literature describes OPC from grape
seeds, Anthocyanosides from Bilberry, Diosmin and Hesperidin from citrus,
Ananas, Orthosifon, Melilotus, Ruscus Aculeatus, Ginkgo biloba etc. to be
valid tools especially for treating chronic haemorrhoids, VCI, Limphoedema.
Other flavonoids show better kinetics and better oral bioavailability especially
if complexed with lipophilic carriers (Phytosome®). Also some Homeopathic
preparations show efficacy in the same deseases.
INTRODUZIONE:
Il linfedema, come dice la parola stessa, è un edema di natura linfatica
caratterizzato dall’accumulo di liquidi, e successivamente di sostanze,
negli spazi intercellulari. Esso è generalmente legato ad uno squilibrio tra
assorbimento e filtrazione, con conseguente stasi linfatica, e può essere dovuto
a lesioni o a disfunzioni (spasmo) del Sistema linfatico, con diminuzione del
drenaggio ovvero sovraccarico del Sistema stesso per troppa offerta di liquido.
A volte l’edema si instaura per cause congenite (ipo-aplasia dei linfatici),
per insufficienza della pompa muscolare del polpaccio (pazienti non o poco
deambulanti), per lesioni e/o ostruzioni delle vie linfatiche (post-traumatiche,
post-operatorie) o, ancora, per patologie cronico-infiammatorie, flebolinfedemi,
flebiti e periflebiti da prolungato allettamento o immobilizzazione, ecc.
Essendo i linfatici un’importante via di deflusso del liquido extracellulare
dei tessuti, i meccanismi principalmente responsabili dell’edema possono
170
essere legati ad un incremento della pressione idrostatica sanguigna per un
qualsivoglia ostacolo alla progressione del sangue nel sistema venoso, oppure
ad un blocco linfatico dovuto ad una lesione traumatica o ad una compressione
dei linfatici dall’esterno, ovvero ad un’alterazione della microcircolazione
tissutale con aumento della permeabilità capillare. Ricordiamo che, comunque,
la permeabilità capillare può variare anche in seguito all’azione di una stasi
venosa o di sostanze istaminosimili e serotoninosimili, oltre che per fenomeni
idrostatici locali. Nei pazienti affetti da questa patologia, è caratteristico
l’aumento di volume dell’arto o degli arti interessati, che appaiono, inoltre,
spesso deformati a partire dalla radice delle dita e, andando più su, fino
al ginocchio o addirittura fino all’inguine. La consistenza del segmento o
dell’arto in toto può apparire più o meno dura, con la pelle tesa e minutissime
goccioline perlate che si possono osservare in controluce. Importanti, per la
loro frequenza, sono i linfedemi dovuti a patologie di pertinenza ortopedica
ed, in particolare: i linfedemi post-traumatici duri, dovuti a distorsioni tibiotarsiche e/o a contusioni, etc.; i linfedemi acuti traumatici, secondari a strappi
muscolari, stiramenti e sfibramenti legamentari, lesioni tendinee acute, fratture
ossee, post-operatori, etc.; i linfedemi da gesso o, comunque, da prolungata
immobilizzazione, etc. Attenzione: è sempre un linfedema quello legato
a difetti posturali o alterazioni delle pompe muscolari, mentre non lo è
quello cardiaco, renale, anasarcatico ecc.
TERAPIA:
L’atteggiamento fondamentale da tenere in questo tipo di patologia è
rappresentato soprattutto dalla prevenzione, in particolar modo in quei pazienti
con una dimostrata familiarità positiva e tenendo ben presente che il linfedema
primario è una condizione clinica ad esordio improvviso e, perciò, parlando
appunto in termini di prevenzione, poco prevedibile da questo punto di vista. Il
linfedema secondario, invece, è clinicamente prevedibile, così come lo possono
essere, in fase conclamata, alcune delle sue complicanze. La prevenzione del
linfedema, nella maggior parte dei casi, deve avere come scopo quello di evitare
le complicanze, soprattutto quelle infettive, e di impedire il possibile aumento
171
8 - Il linfedema
di volume dell’arto affetto. Nei casi non ancora complicati, elettivamente
suscettibili di prevenzione, questi fini sono raggiungibili mediante una
precoce condotta terapeutica rappresentata dalla kinesiterapia (linfodrenaggio
e pressoterapia), dall’uso di presidi elastocompressivi (bendaggi a più strati,
tutori elastici, calze elastiche), dalla correzione di difetti posturali (tutori, ortesi,
plantari, ecc.) nonché dalla assunzione di medicamenti ad azione linfotropa.
Infatti, visto che il decorso clinico del linfedema risulta gradualmente e
pesantemente ingravescente, quanto più è precoce l’azione terapeutica, tanto più
si può ottenere il rallentamento dell’evoluzione della patologia che, altrimenti,
arreca notevoli disagi al paziente non solo dal punto di vista prettamente fisico
e comportamentale, ma anche dal punto di vista lavorativo, essendo i linfedemi
più avanzati spesso gravemente invalidanti e con un alto costo sociale ed
economico. Il protocollo terapeutico fisico deve, naturalmente, essere adattato
alla condizione clinica e deve comprendere accorgimenti comportamentali
(regole di vita, ginnastica domiciliare, psicoterapia, autoterapia) in tutti i
tipi di linfedema, in particolar modo se si tratta di un linfedema negli stadi
iniziali (molle intermittente, molle remittente), scelte di kinesiterapisti
esperti (linfodrenaggio manuale, pressoterapia), farmaci efficaci ed affidabili,
eventualmente cure termali flebo-linfologiche (percorsi termali, bagni Kneipp
ecc.) (Kauffmann 1996, Biassoni 1996, Pecking 1996, Campisi 1996).
Essendo la caratteristica principale del linfedema, dal punto di vista chimico,
rappresentata dall’elevata concentrazione di proteine del fluido stagnante,
la rimozione di questa componente è fondamentale se si vogliono ottenere
risultati duraturi nel tempo. Rimuovere esclusivamente la componente idrica,
ad esempio mediante l’uso di farmaci diuretici, significa ottenere un risultato
transitorio e a volte controproducente in quanto tale condotta terapeutica non
farebbe altro che concentrare ulteriormente le proteine del fluido stagnante. La
conseguenza di tutto ciò sarebbe la eventualità di un ulteriore incremento dei
fenomeni fibrotici del linfedema e la certezza di una sua reiteratezza. La terapia,
pertanto, al pari della prevenzione, deve essere instaurata precocemente per
arrestare l’evoluzione dal semplice edema, reversibile, alla fibrosi, irreversibile.
L’intervento terapeutico si avvale del bendaggio elastocompressivo con
bende a corta elasticità per ridurre, a livello interstiziale, la quota di liquidi
172
8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica
e linfa stagnante che i meccanismi di drenaggio, saturati, non riescono più
a smaltire, determinando, così, la condizione di stasi a livello dello spazio
interstiziale. Accanto a tale presidio, è necessario affiancare interventi di tipo
fisico rappresentati dal L.D.M. (Linfo Drenaggio Manuale), dalla Pressoterapia
sequenziale, dai percorsi termali, nonché dalla necessità di far indossare calze
elastiche di compressione adeguata.
FITOTERAPIA NELLE PATOLOGIE VASALI:
Le molecole presenti nelle droghe vegetali, utili nel trattamento delle patologie
vasali, possono essere raggruppate in 4 grandi famiglie:
1. flavonoidi;
2. antocianosidi;
3. lattoni;
4. saponine.
FLAVONOIDI: Sono composti polifenolici, distribuiti ubiquitariamente
nelle piante e considerati gli antiossidanti del mondo vegetale; esplicano,
inoltre, azione antiflogistica paragonabile, dal punto di vista biochimico, ai
cortisonici, in quanto, inibendo l’attività del timo, riducono la chemiotassi
leucocitaria.
I più usati nelle patologie vascolari sono: Rutina (Flavone), estratta in
passato da Ruta graveolens, (non più perché tossica), oggi da altre piante;
Citroflavonoidi (Flavoni, diosmina); Quercetina (Flavone) e Kaempferolo,
presenti nei semi di Ippocastano e nelle foglie di Ginkgo biloba; Esperidina
(flavani); Polifenoli contenuti nei frutti (cinorrodonti) della Rosa canina
ANTOCIANOSIDI: Strutturalmente simili ai flavonoidi, impartiscono la
colorazione alla pianta. Comprendono:
cianidina, delfidina, malvidina, presenti nel Vaccinium myrtillus,
proantocianosidi e i loro oligomeri (OPC), presenti nella Vitis vinifera.
LATTONI: Si tratta di: Derivati triterpenici (acido asiatico, madecassico,
asiaticoside, madecassicoside), contenuti nella Centella asiatica;
Ginkgolidi A,B,C (il più attivo è il B), contenuti nella Ginkgo biloba;
derivati Sesquiterpenici, composti che costituiscono una classe chimica;
173
8 - Il linfedema
il bilobadile A, contenuto nella Ginkgo biloba.
SAPONINE: Responsabili di diversi effetti. Nelle patologie venose
sono utilizzate: Escina, saponina triterpenica dei semi di Ippocastano
(Aesculus); Ruscogenina e Neoruscogenina, contenute nel rizoma di
Ruscus Aculeatus.
MECCANISMO D’AZIONE:
1. diminuzione della permeabilità vasale;
2. riduzione della fragilità vasale;
3. azione antiossidante, antiradicalica;
4. incremento dell’ossigenazione locale;
5. blocco della sintesi dei mediatori dell’infiammazione;
6. inibizione di collagenasi ed elastasi;
7. regolazione del metabolismo endoteliale;
8. stimolazione sintesi del collagene;
9. stimolazione di sostanze ad azione antiaggregante.
Non eliminano, però, l’insufficienza venosa e/o linfatica!!!!
In particolare abbiamo:
1. Antocianosidi da Vaccinum Myrtillus. L’effetto capillaro-protettore
di queste sostanze è noto da tempo, ma il loro impiego è entrato nella
pratica clinica solo da quando si è potuto disporre di antocianosidi
ad alto dosaggio con rapporti costanti tra le diverse antocianidine.
Secondo quanto pubblicato in letteratura, l’efficacia terapeutica degli
antocianosidi sulla permeabilità capillare si esplicherebbe attraverso
un duplice meccanismo d’azione: il primo, di carattere fisico-chimico,
basato sulla formazione di complessi liposolubili tra le antocianidine
(agliconi degli antocianosidi) ed i fosfolipidi delle membrane
endoteliali; il secondo, di tipo extra-parietale, legato all’attività sulla
biosintesi dei glicosaminoglicani (in particolare acido jaluronico) della
sostanza fondamentale del connettivo e, in definitiva, sul manicotto
mucopolisaccaridico peri-capillare.
174
8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica
2. Triterpeni (Asiaticosidi) da Centella asiatica: sono dotate di
azione linfodrenante e, soprattutto, proprietà stimolanti la produzione
di collagene: aumentano la sintesi e il rilascio di tropocollagene
e stimolano il turn-over dei mucopolisaccaridi acidi nel tessuto
connettivo. Le sostanze attive della pianta sono note con il termine
di “frazione triterpenica”. Mediante un processo di purificazione
estremamente complesso, è possibile ottenere, a partire dalla parte aerea
della Centella Asiatica, una miscela di tale frazione così composta:
acido madecassico (30%), acido asiatico (30%), asiaticoside (40%).
3. Leucocianidine da Vitis Vinifera: il cosiddetto “paradosso francese”
è un fenomeno ben noto alla comunità scientifica di tutto il mondo.
Secondo tale paradosso i francesi, pur avendo una dieta ricca di
grassi, risulterebbero straordinariamente protetti verso le malattie
cardio-vascolari. Gli studi epidemiologici svolti a tale riguardo hanno
successivamente messo in luce come tale paradosso trovi la sua
spiegazione nella chimica del vino rosso: questo, ben presente nella
dieta dei francesi ed estremamente ricco di polifenoli ad elevatissimo
potere anti-ossidante, sarebbe il responsabile di una mirata azione antiaterosclerotica. Secondo i più recenti studi, la presenza di elevati tassi
ematici di lipoproteine a bassa densità (LDL), provocata per esempio
da una dieta ricca di grassi saturi, sarebbe una condizione, necessaria,
ma non sufficiente, a generare una lesione ateromatosa. Quest’ultima,
invece, verrebbe a generarsi solo in seguito all’ossidazione delle LDL
che, così modificate, ingolferebbero i monociti circolanti trasformandoli
nelle cosiddette “foam cells” (cellule schiuma), chiave di volta
nell’eziologia dell’aterosclerosi. Il ruolo degli anti-ossidanti, alla luce
di queste ricerche, sarebbe quindi evidente: limitando e/o contrastando
l’ossidazione delle LDL, bloccherebbero sul nascere quel processo
che, cominciato con la formazione di una placca ateromatosa, potrebbe
condurre a patologie cardiovascolari in varie sedi (infarto, ictus,...).
In diversi saggi enzimatici le leucoantocianidine sono inoltre risultate
essere inibitori non-competitivi di enzimi come la xantino-ossidasi
(genera quei radicali liberi imputati del danneggiamento delle pareti
175
8 - Il linfedema
endoteliali) e di enzimi come l’elastasi, la collagenasi, la ialuronidasi e la
beta-glucuronidasi (regolano il turn-over dei componenti della matrice
extracellulare che circonda le pareti dei capillari). Alcuni test hanno
poi permesso di evidenziare le proprietà capillaro-protettive, in quanto
capaci di legare in maniera aspecifica le fibre che compongono le pareti
dei vasi; mediante studi di farmacocinetica è stato, infine, possibile
mettere in evidenza la buona biodisponibilità delle leucoantocianidine
somministrate per via orale ed il loro tropismo per l’apparato cardiovascolare e, in particolare, per tutti quei tessuti, come le pareti delle
arterie, particolarmente ricchi di glicosaminoglicani.
4. Meliloto (sommità fiorita, foglie): contiene bioflavonoidi, tannini,
eterosidi cumarinici. A questi ultimi, ed in particolare al melilotoside,
che è la frazione maggiormente presente, viene attribuita una notevole
attività linfocinetica che dipende in buona parte dalla sua capacità
di aumentare l’attività proteolitica dei macrofagi che, così, riducono
significativamente la quantità delle macroproteine implicate nei
linfedemi, specie in quelli legati a flogosi. Inoltre, la cumarina
riduce il catabolismo delle catecolamine a livello vasale, adrenalina
compresa, con conseguente miglioramento della contrattilità vasale e
con riduzione dell’edema e del dolore. È utilizzato nella insufficienza
veno-linfatica, negli edemi e nei linfedemi. Tra gli effetti collaterali,
può dare nausea e diarrea all’inizio del trattamento. Non deve essere
somministrato durante l’allattamento e ai bambini sotto i 10 anni di età.
5. Hamamelis virginiana L. (Amamelide): l’Amamelide è ricca in
tannini: tannino gallico o amamelitannino e tannino catechico, derivati
glucosidici dei flavonoli: miricetolo, quercetolo ecc. Ha un’attività
analgesica, astringente, flebotonica ed emostatica per meccanismo di
vasocostrizione da azione diretta sulla regolazione simpatica dei vasi.
6. Ginko biloba (flavonoidi, ginkolidi, bilobadile): agisce incrementando
la perfusione ematica, anche a livello periferico. Migliora la
ipoperfusione locale agendo sulle piccole arterie e sulle arteriole precapillari con una azione vasocinetica capace di incrementare il volume
e la velocità del flusso ematico locale. Esperimenti eseguiti sull’aorta
176
8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica
isolata di cavia e sottoposta a perfusione, hanno, appunto, evidenziato
come l’estratto svolga la sua azione sulla media della parete arteriosa
grazie ad un’interazione diretta con i miociti parietali. Tale azione
sembrerebbe migliorare sia la componente fasica che quella tonica
della contrazione miocitica che normalmente sviluppa l’onda sfigmica.
Può incrementare l’effetto degli anticoagulanti ed antiaggreganti
piastrinici.
7. Gambo d’ananas: ricco di Bromelina che, come noto, è un enzima
proteolitico che aumenta la lisi dei depositi di fibrina nella zona di
infiammazione, depositi che altrimenti bloccherebbero sia i capillari
sanguigni che linfatici; l’azione si esplica principalmente attraverso il
miglioramento del microcircolo. È particolarmente utile negli edemi.
8. Ippocastano: utile in caso di IVC e linfatica, crisi emorroidarie.
I cotiledoni del seme contengono, oltre a zuccheri e lipidi, anche
flavonoidi e saponosidi; i tegumenti del seme contengono oligolimeri
procianidoloci epicatecolici, tannini e derivati cumarinici (Vit.P).
L’Escina, triterpene saponoside pentaciclico, aumenta la resistenza
capillare, diminuisce la permeabilità e determina un aumento del tono
capillare per azione sulla muscolatura vasale: ne deriva un’azione
antiedemigena, antinfiammatoria e venotonica. Può potenziare
leggermente l’effetto degli anticoagulanti orali ed è controindicato in
gravidanza (effetto sul plesso mioenterico) e in età pediatrica.
9. Ruscus aculeatus (Pungitopo): è ricco di saponine, flavoni, nicotina,
Vit. C, tannini e fitosteroli; ha proprietà antiflogistiche, diuretiche,
aumenta il tono venoso e riduce la permeabilità capillare.
10. Ortosiphon: è un potente diuretico natriuretico, risparmiatore di K+ ed
uricosurico. L’azione diuretica è importante perché riduce la ritenzione
idrica da parte dei colloidi tissutali ed ematici con riduzione, quindi,
della pressione oncotica.
11. Diosmina: viene usata da molti decenni per le sue proprietà capillarotrope
e vasotoniche. Agisce come potente inibitore delle prostaglandine e
del trombossano A2 ed interferendo con l’attivazione dei Leucociti,
inibisce la attivazione della cascata infiammatoria provocando una
177
8 - Il linfedema
forte diminuzione della permeabilità capillare. La protezione contro il
danno vascolare è mediata anche dall’inibizione dell’attivazione dei
neutrofili e dalla diminuzione dei livelli serici delle proteine d’adesione
endoteliale. La diosmina migliora diversi parametri compromessi nella
patologia diabetica, grazie alla potente azione antiossidante: è molto
importante la diminuzione del livello di glicosilazione delle proteine e
l’aumento d’attività della glutatione perossidasi. Di rilievo è anche la
capacità di normalizzare la velocità di filtrazione capillare e diminuire
le resistenze al flusso ematico migliorandone la reologia. La diosmina
prolunga l’effetto vasocostrittore della noradrenalina a livello delle
pareti venose, per poi quindi ridurre la capacitanza, la distensibilità e
la stasi. Questo incrementa il ritorno venoso e ciò riduce l’ipertensione
venosa. Infine, la diosmina aumenta il drenaggio linfatico mediante
l’incremento della frequenza e dell’intensità delle contrazioni linfatiche,
aumentando la funzionalità della rete capillare linfatica.
8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica
la biodisponibilità orale del principio attivo. Il FITOSOMA® incrementa
l’assorbimento, la concentrazione plasmatica e l’efficacia del principio attivo
stesso. A parità di dosaggio in princìpi attivi, la biodisponibilità orale della
forma fitosomale è almeno 3 volte superiore rispetto alla forma libera.
Dopo somministrazione orale, infatti, il complesso fitosomale, superata la
barriera gastrica, raggiunge l’intestino tenue dove è sottoposto ad un processo di
emulsione e micellazione dovuto all’interazione con i sali biliari. In tale forma
il FITOSOMA®, penetrato attraverso la mucosa intestinale, viene incorporato
nei chilomicroni per mezzo dei quali, attraverso il sistema linfatico e il torrente
ematico, raggiunge i tessuti bersaglio dove i principi attivi vengono rilasciati
in forma praticamente pura. L’ottimizzazione della “resa” farmacologica del
principio attivo viene, poi, permessa dallo sviluppo di tecnologie che hanno
reso possibile la realizzazione del cosiddetto “rilascio controllato”.
FITOTERAPIA:
Generalmente i principi attivi estratti dalle piante sono somministrati
soprattutto in forma di tintura (dalla droga secca), tintura madre (dalla droga
fresca), macerato glicerinato, estratto fluido, estratto secco titolato o, ancora,
in forma micronizzata, complesso fitosomale, ecc. Spesso, però, il processo
di purificazione a cui sono sottoposte le parti delle piante, riduce fortemente o
priva le sostanze della loro naturale veicolazione: i principi attivi non sono più
capaci di raggiungere i loro bersagli in concentrazione utile per cui, da composti
farmacologicamente attivi, si trasformano in ingredienti poco attivi, utili solo se
somministrati ad alte dosi. Per questo problema non di poco conto, tra le varie
formulazioni, appena lette, che abbiamo a nostra disposizione, ne è presente
una che si basa su un concetto nuovo: il FITOSOMA® che è una struttura
chimica brevettata determinata dall’interazione stechiometrica, in solvente
aprotico, di una frazione polifenolica pura, o standardizzata, con una matrice
fosfolipidica estratta dalla soia. Sulla base delle sue caratteristiche (chimicofisiche, spettroscopiche e biologiche), il complesso sostanzialmente migliora
178
Fig.1 - Diagramma biodisponibilità fitosoma
Fig. 2 - Struttura molecolare Fitosoma®
179
8 - Il linfedema
CONCLUSIONI:
In particolare, nella mia esperienza personale, nelle malattie Emorroidarie,
nella IVC e nei Linfedemi, si sono notati gli ottimi risultati terapeutici di
combinazioni di Vaccinium Myrtillus, Vitis vinifera e Centella Asiatica
(Emospid) e Vitis vinifera, Ginkgo biloba e Melilotus Officinalis (Carvelin)
complessati, appunto, in forma fitosomale. Queste combinazioni sono state e
sono oggetto di valutazione della loro efficacia clinica in studi multicentrici
intrapresi nell’ambito del Dottorato in Biotecnologie Cliniche e Sperimentali
nelle Malattie delle Vene e dei Linfatici - Centro Interuniversitario di Ricerca e
Formazione in Flebologia - Università degli Studi di Perugia, realizzati anche
grazie alla indispensabile e fondamentale collaborazione di numerosi medici,
in parte medici generici e in buona parte Flebologi che hanno frequentato i
Corsi di Perfezionamento in Flebologia presso l’Università degli Studi di
Perugia e che sono presenti su tutto il territorio nazionale, per cui gli studi
stessi presentano una notevole omogeneicità, sia formativa che territoriale.
Lo scopo delle ricerche era ed è di cercare, e possibilmente trovare, valide
alternative agli usuali trattamenti orali ora disponibili e nuove terapie che siano
sempre più efficaci verso i disturbi causati, appunto, da queste patologie con
l’obbiettivo di valutare l’efficacia e la tollerabilità di nuovi fitoterapici e di
nuove combinazioni che abbinano sperimentate conoscenze con le moderne
tecniche farmaceutiche.
Infine, nella mia esperienza ho imparato ad apprezzare l’ottima efficacia, nei
Linfedemi, di preparati Omotossicologici come il Lymphomyosot (Heel) ed il
Lymdiaral (Pascoe).
8.1 - Il linfedema: le possibilità della terapia medica
multicentrico condotto su 3512 pazienti. Biologische Medizin 5/89
Vettoriello G, Cerreta G, Derwish A, Cataldi A, et al. Contribution of a combination of alpha
and beta benzopyrones, flavonoides and natural terpenes in the treatment of lymphedema
of the lower limbs at the 2nd stages of surgical classification. Minerva Cardioangiol. 44 (9)
447-455.
6. Linee guida diagnostico-terapeutiche delle malattie delle vene e dei linfatici. Acta Phleb. Rev. 2003 - Vol.4. n° 1-2 - Aug. 2003 - Minerva Medica; 3-5: 79-80
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181
8 - Il linfedema
8.2 - Il linfedema: le possibilità della terapia compressiva e strategie riabilitative
8.2 - Il linfedema: le possibilità della terapia
compressiva e strategie riabilitative
Nella CDP1 il cosiddetto bendaggio linfologico multistrato, che si differenzia
dal bendaggio flebologico multistrato, rappresenta uno dei cardini terapeutici.
Corda D.
Nella CDP2, il tutore elastocontenitivo riveste un ruolo insostituibile nel contrastare la ipertensione interstiziale e nel mantenere un equilibrio tra produzione e trasporto della linfa.
Lymphedema is a chronic, painless edema, usually of lower extremities. The
conservative approach to this problem is recognized as golden standard by all
international guidelines. It requires a patient-fitted combined decongesting
physiotherapic program. This approach is divided in two phases: a short time
intensive decongesting phase (CDP1) and a middle/long-time optimizing one
(CDP2). CDP1 is characterized for using a multilayered lymphologic bandaging, while CDP2 for using an inelastic containing brace. Lymphatic drainage,
hygiene and a correct wound treatment represent another pivotal point in the
conservative approach to lymphedema.
Altri pilastri fondamentali della fisioterapia decongestiva combinata (CDP,
dall’inglese Complete Decongestive Physiotherapy) restano l’igiene e la cura
della cute e delle sue eventuali lesioni; il drenaggio linfatico manuale con le
sue diverse manualità che intervengono sull’interstizio, sui vasi, sui linfonodi,
sugli spartiacque, sulle aree di fibrosi, sulle eventuali cicatrici e sulle eventuali
aree irradiate; l’attivazione sequenziale delle pompe muscolari degli arti, sotto
bendaggio, meglio se affidata, per gli arti inferiori, alla fisiologica deambulazione, soprattutto se può essere controllata come ad esempio su tapis roulant.
Il tutore elastocontenitivo, di compressione idonea in relazione al tipo di linfedema, alle sue caratteristiche cliniche e soprattutto alla sede dell’edema, può
essere richiesto anche su misura. In questo caso meglio se a trama piatta, ossia
prodotto da telai lineari.
ABSTRACT:
INTRODUZIONE:
Riconosciuto ormai come golden standard terapeutico dalle linee guida nazionali e internazionali stilate dalle Società Scientifiche del settore linfo-angiologico, vascolare e riabilitativo, l’approccio conservativo al linfedema richiede un
personalizzato programma fisioterapico decongestivo combinato. L’approccio
al paziente portatore di disabilità associata al linfedema richiede, invece, strategie riabilitative personalizzate con programmi a breve, a medio e lungo termine.
LA FISIOTERAPIA DECONGESTIVA COMBINATA:
I linfologi identificano un programma riabilitativo a breve termine (CDP1 o
fase intensiva di decongestione) e un programma riabilitativo a medio/lungo
termine (CDP2 o fase di mantenimento e ottimizzazione dei risultati ottenuti
con la CDP1).
182
Due le variabili da considerare prima di richiedere un tutore elastocontenitivo:
1. la completa decongestione dell’arto,
2. l’esperienza nel rilevare le misure che non sempre e non in tutte le sedi
corrispondono a quelle reali.
IMPORTANZA DEL TEAM RIABILITATIVO:
Un ultimo concetto, maturato ormai dopo tanti anni di esperienza in campo
linfologico, è quello che ribadisce la stretta dipendenza dei risultati dalla preparazione e dall’esperienza del team riabilitativo-linfologico che si fa carico del
paziente portatore di linfedema.
183
8 - Il linfedema
8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia
8.3 - IL LINFEDEMA:
Le possibilità della Chirurgia
BIBLIOGRAFIA:
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Eretta C., Benatti E.,, Berti S., Cevasco L.,
Falco E., Maritato P., Rota A., Maritato F.
ABSTRACT:
Lymphedema is a pathologic condition where the lymphatic flow is obstucted
or proceeds very slowly: the result is a progressive swelling of the limbs.
A typical complication is recurrent acute lymphangitis (erysipelas), that is
responsable for a worsening of the clinical picture (swelling and hardnes of the
limb).
This will let the lymphedema progress very fast, bringing the patient to
invalidating conditions and (rarely) to tumoral degeneration (Stewart-Treves
syndrome).
The continuous use of conservative treatment (bandaging, physiotherapy and
compressive stockings) brings for sure an improvement of the lymphedema.
In selected cases, microsurgery of the lymphatics leads to an improvement, if it
is associated with conservative therapy.
INTRODUZIONE:
Il linfedema rappresenta un quadro patologico di non raro riscontro clinico
caratterizzato dal rallentamento o dal blocco della circolazione linfatica
dell’arto o degli arti colpiti, con evoluzione progressivamente ingravescente
e comparsa di ricorrenti complicanze di tipo linfangitico acuto di natura per
lo più erisipeloide, responsabili di un ulteriore e rapido aumento in volume e
consistenza dell’edema. Viene così ad instaurarsi una sorta di circolo vizioso
che, automantenendosi, determina la comparsa di un quadro cronico infettivotossico-metabolico, con grave invalidità del paziente e possibile, seppur
fortunatamente rara, degenerazione sarcomatosa dei tessuti linfedematosi (s. di
184
185
8 - Il linfedema
8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia
Stewart-Treves)1.
Le metodiche terapeutiche di natura conservativa medico-fisica2,3, adottate
nel trattamento del linfedema degli arti, consentono di raggiungere un certo
miglioramento in alcuni tipi di linfedema, ma la terapia deve essere intensiva,
proseguita per diversi mesi, ripetuta due o tre volte l’anno e il paziente deve
portare un bendaggio o indossare costantemente una guaina elastica. Peraltro,
la riduzione dell’edema procede lentamente e non sempre i presidi terapeutici
medici e fisici adottati sono ben tollerati dal paziente.
Le tecniche chirurgiche impiegate in passato per la cura dei linfedemi miravano
alla riduzione volumetrica degli arti mediante interventi di tipo demolitivoresettivo. Le metodiche chirurgiche più comuni erano la cutolipofascectomia
secondo Charles4, l’intervento di Thompson5 (drenaggio sottofasciale di lembo
cutaneo scarificato) e la linfangectomia totale superficiale secondo Servelle6.
Si trattava, tuttavia, di soluzioni di natura sintomatica che, non rimuovendo la
causa dell’ostruzione al flusso linfatico, fornivano una temporanea riduzione
dell’edema, con successiva recidiva del linfedema che si distribuiva in maniera
disomogenea nell’arto colpito per la presenza delle ampie cicatrici retraenti
deturpanti.
L’avvento della microchirurgia ha consentito di studiare e realizzare soluzioni
terapeutiche funzionali e causali del linfedema con lo scopo di drenare il flusso
linfatico o di ricostruire le vie linfatiche ove ostruite o mancanti, mediante
tecniche fini, riparatrici, intervenendo direttamente sulle strutture linfatiche
stesse7,8.
Le tecniche microchirurgiche hanno fornito risultati positivi e duraturi nel
tempo sia per il trattamento di linfedemi primari, che secondari ad interventi di
tipo oncologico, che comportano l’exeresi linfonodale in sedi “critiche”, quali
l’ascella e l’inguine, associati o meno a radioterapia.
1. Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Terminali;
2. Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Laterali.
Le tecniche più recentemente e comunemente impiegate sono le anastomosi
linfatico-venose multiple, termino-terminali o termino-laterali, realizzate
direttamente utilizzando vene principali o collaterali delle stesse, a seconda
della situazione anatomica riscontrata al momento dell’intervento, ed eseguite
al 1/3 medio della superficie volare del braccio, per l’arto superiore, ed in
regione inguino-crurale, per l’arto inferiore (Fig.1).
Nel nostro studio abbiamo arruolato pazienti affeti da linfedema degli arti al IV-V
stadio della malattia, non rispondenti alla terapia medico-fisica riabilitativa.
MATERIALI E METODI:
Fig.1 - Anastomosi Linfatico-Venosa Multipla Termino-Terminale. Si osservino, in
particolare, i collettori linfatici anastomizzati.
Le tecniche di microchirurgia derivativa mirano al ripristino del flusso linfatico
nella sede dell’ostruzione grazie alla realizzazione di un drenaggio linfo-venoso
mediante:
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187
8 - Il linfedema
8.3 - IL LINFEDEMA: Le possibilità della Chirurgia
RISULTATI:
CONCLUSIONI:
I criteri di valutazione dei risultati sono rappresentati dalla volumetria ad
acqua e dalla linfangioscintigrafia. Le misurazioni volumetriche ci hanno
permesso di evidenziare risultati ottimi (con riduzione volumetrica dell’edema
dell’arto colpito oltre il 75% rispetto alle condizioni precedenti l’intervento). Il
follow-up dei pazienti trattati mediante microchirurgia comprendeva controlli
periodici linfangioscintigrafici. La linfoscintigrafia, condotta a distanza di
tempo variabile dall’intervento, ha consentito di dimostrare la pervietà delle
anastomosi microchirurgiche derivative o ricostruttive mediante:
1. la dimostrazione di una riduzione del “dermal backflow”;
2. la “scomparsa” del tracciante in corrispondenza delle microanastomosi
per il passaggio nel circolo ematico;
3. la precoce “captazione” epatica del tracciante indicativa di un più
rapido passaggio del tracciante nel circolo sistemico;
4. il ripristino di vie linfatiche preferenziali di risalita del tracciante.
L’utilizzo di tecniche microchirurgiche, nella nostra esperienza10, negli stadi
più avanzati, ha consentito di raggiungere una rapida e significativa riduzione
dell’edema (in rapporto alla componente liquida dello stesso), che viene
mantenuta nel tempo e migliorata mediante procedure medico-fisiche, atte ad
ottimizzare le vie di scarico realizzate chirurgicamente.
La microchirurgia consente di trattare non solo i linfedemi secondari, ma
anche quelli primari, che riconoscono quasi costantemente una causa ostruttiva
congenita, rappresentata da fibrosclerosi linfonodale prossimale (ascellare o
inguinale), con collettori linfatici, afferenti a tali stazioni linfoghiandolari, che
si presentano ben funzionanti e spesso dilatati ed ipertrofici per il tentativo
di superamento dell’ostacolo. Le tecniche microchirurgiche permettono di
derivare il flusso linfatico ostruito su base congenita o acquisita nel circolo
venoso, quando quest’ultimo è integro.
Infine, le tecniche microchirurgiche giocano un ruolo di rilievo nella prevenzione
del linfedema secondario, oltre che nel prevenire il peggioramento della
patologia e delle sue complicanze (linfagiti, linforrea, verrucosi linfostatica ed
impianto di un linfangiosarcoma negli stadi più avanzati). Ma esistono, inoltre,
concrete possibilità di prevenzione anche del linfedema primario, basate su
studi di genetica e di biologia molecolare, che saranno sicuramente in grado,
in un prossimo futuro, di fornirci tecniche di bioingegneria capaci di trattare e
correggere anomalie cromosomiche, che sono responsabili di quadri congeniti
di linfedema, ancora durante la vita embrionale.
Possiamo affermare, pertanto, che i risultati dell’esperienza clinica sopra
riportata, nei pazienti affetti da linfedema periferico degli arti, stanno a dimostrare
come oggi la microchirurgia sia da considerare un presidio terapeutico valido
e determinante nella complessa problematica terapeutica dei difficili quadri di
patologia dei vasi linfatici.
Fig.2 - Caso clinico di linfedema primario dell’arto inferiore dx al IV stadio trattato
con microchirurgia derivativa linfatico-venosa. Il “follow-up” post-operatorio è stato
effettuato ad un anno dall’intervento
188
189
8 - Il linfedema
BIBLIOGRAFIA:
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190
9.
L’ulcera venosa
9 - L’ulcera venosa
9.1 - Terapia medica e compressiva dell’ulcera venosa
9.1 - Terapia medica e compressiva
dell’ulcera venosa
Topo F.
ABSTRACT:
Flebostatic ulcer is a cutaneous wound that hardly goes to a spontaneous and/
or complete healing. The understating of pathofisiology of this lesion is the
base of an effective therapy. Anticoagulants such as heparin, phlebotropics
like Diosmin and Hesperidyn, GAGs, antibiotics, synergically act to accelerate healing process. Medical therapy is more effective if joined by mechanical compression, which prevents the venous insufficiency which represents the
“primum movens” of this pathology.
OBIETTIVI:
L’ulcera da stasi venosa o flebostatica è una lesione cutanea cronica che non
tende alla guarigione spontanea, che non riepitelizza prima di sei settimane e
che recidiva con elevata frequenza; rappresenta circa il 75% di tutte le lesioni
trofiche a carico dell’arto inferiore. La scarsa attenzione o la superficialità con
la quale si affronta questa lesione, determinano a volte gli scarsi risultati di
guarigione, ma soprattutto i casi di pazienti che per mesi o addirittura per anni
camminano con l’ulcera ricoperta da semplici medicazioni locali, senza che
venga minimamente corretta l’insufficienza venosa alla base. Pertanto è fondamentale tener conto della fisiopatologia e della clinica per orientare la giusta
terapia medica e compressiva verso la guarigione dell’ulcera.
METODI:
Clinicamente, l’ulcera venosa di gamba si presenta, di solito, come una perdita di sostanza cutanea di forma irregolare, con il fondo ricoperto da un es192
sudato giallastro, con margini ben definiti, circondata da cute eritematosa o
iperpigmentata e liposclerotica. Le ulcere variano di dimensione e sede, ma nei
pazienti portatori di varici si osservano, abitualmente, nella regione mediale del
terzo inferiore di gamba dovuta ad una insufficienza nel territorio della grande
safena o di perforanti incontinenti; un’ulcera che compare nella parte laterale
di gamba è spesso associata ad insufficienza della piccola safena. Il dolore in
questi pazienti, anche in assenza di infezione, è aggravato dalla stazione eretta
e diminuisce fino a scomparire con l’elevazione dell’arto. L’ulcera flebostatica
rappresenta l’esito della evoluzione dell’insufficienza venosa cronica che determina prima a livello macrocircolatorio e successivamente microcircolatorio,
ipertensione venosa compensata in un primo momento dal sistema linfatico;
con l’usura del sistema linfatico compare l’edema. La stasi venosa determina
l’apertura degli shunt artero-venosi, causando, congiuntamente all’edema interstiziale ed all’iperfibrinogemia interstiziale, l’alterazione dei processi di diffusione attraverso la matrice e l’interferenza sui processi metabolici cellulari
che esitano nella lesione cutanea. Conseguentemente la terapia non può tener
conto esclusivamente dell’emodinamica macrovascolare, ma anche di aspetti
che coinvolgono l’unità microcicolatoria ed il laboratorio endoteliale. Dei vari
trattamenti coinvolti nella terapia dell’ulcera venosa, la terapia medica e compressiva meritano particolare attenzione per gli aspetti fisiopatologici e clinici
precedentemente menzionati.
Numerosi sono i farmaci che trovano utilizzo avendo come principali bersagli il tono venoso, l’emoconcentrazione, l’aumentata permeabilità capillare,
l’edema, la ridotta attività fibrinolitica, l’incremento del fibrinogeno plasmatico, il controllo del dolore e delle sovrainfezioni, le malattie concomitanti: tra
questi annoveriamo flebolinfotropi, eparina e fibrinolitici minori, antidolorifici,
diuretici, antibioticoterapia. Tra i flebotropi trovano largo impiego, ultimamente, i bioflavonoidi soprattutto la Diosmina e l’Esperidina micronizzata che
hanno la capacità di migliorare il tono venoso, la resistenza dei capillari e migliorare il drenaggio linfatico. L’eparina a basso peso molecolare oltre alla sua
attività antitrombotica, trova indicazione per la sua azione antiinfiammatoria
riducendo la produzione di citochine infiammatorie. Tra i fibrinolitici minori
vanno considerati i glicosaminoglicani (sulodexide e mesoglicano) che hanno
193
9 - L’ulcera venosa
mostrato efficacia nell’accelerare il processo di guarigione dell’ulcera.Una revisione sistematica di studi controllati e randomizzati ha documentato che la
compressione facilita la guarigione delle ulcere venose e può prevenire le recidive: qualsiasi cura dovrebbe sempre essere associata alla compressione. La
compressione serve ad aumentare il flusso venoso, a diminuire il reflusso patologico durante il cammino, a migliorare la microcircolazione ed il drenaggio
linfatico. In tal modo si riduce l’edema cronico, si riduce l’essudato dell’ulcera
e la lesione regredisce più rapidamente. La terapia compressiva può essere
attuata utilizzando bendaggi o calze elastiche. Nella fase acuta dell’ulcera è
preferibile una compressione fatta con bende anelastiche, con bende all’ossido
di zinco o con un bendaggio multistrato, da lasciare anche per una settimana;
ma all’inizio del trattamento, finchè l’essudato e l’edema non diminuiscono,
è preferibile rimuovere ed applicare il bendaggio più spesso. La tecnica del
bendaggio deve essere eseguita da personale ben addestrato, in grado di esercitare la dovuta compressione, soprattutto con bendaggio multistrato anche nei
casi cui viene eseguito su medicazioni avanzate utilizzate per il trattamento
topico dell’ulcera. Il bendaggio dovrebbe essere in grado di esercitare una pressione a riposo di almeno 20-30 mmHg alla caviglia ed al terzo inferiore di
gamba per poi decrescere in maniera graduata. Nei pazienti in cui sia presente
un’arteriopatia obliterante di modesta entità con un indice ABI compreso tra
0.6 e 0.8, il bendaggio va praticato con molta attenzione. È imperativo in questi
casi che venga fatto con materiale anelastico, in modo da esercitare una bassa
pressione a riposo. Se l’insufficienza arteriosa è severa con un indice ABI al di
sotto di 0.6, qualsiasi tipo di compressione è controindicata. La compressione
mediante calze elastiche è utilizzata per mantenere il risultato raggiunto nella
cura dell’ulcera venosa e prevenire le recidive. Generalmente, sono utilizzate
calze della 2° classe di compressione (30-40 mmHg di pressione alla caviglia)
o della 3° classe (40-50 mmHg). Nei pazienti allettati o che comunque camminano poco, può essere presa in considerazione l’opportunità di utilizzare la
calza antitrombo. Il successo della compressione dipende anche dalla mobilità
del paziente, il quale deve essere perciò incoraggiato a muoversi e a compiere
regolari esercizi fisici e riabilitativi.
194
9.1 - Terapia medica e compressiva dell’ulcera venosa
RISULTATI:
La complessità del trattamento dell’ulcera venosa vede nella terapia medica e
nel trattamento elastocompressivo, i cardini di una strategia terapeutica “versus
guarigione”. Questi due aspetti trovano, in sinergia, un’associazione vincente
come dimostrano i ” trials” effettuati e la revisione sistematica della letteratura,
con studi che evidenziano come l’uno non è imprescindibile dall’altro, anche
perché raramente vengono riportati tassi di complicanze e motivi di sospensione. La combinazione dei due trattamenti ha mostrato un maggior grado di
evidenza scientifica nella cura delle ulcere venose, grazie ad una riduzione dei
tempi di guarigione, ad una miglior gestione del paziente e ad un minor numero di medicazioni. Applicando questa associazione con l’utilizzo di bende
la cui estensibilità sarà in funzione dei risultati che si vorranno ottenere, misurando la pressione venosa e valutando le caratteristiche cliniche dell’ulcera,
valuteremo l’efficacia del trattamento combinato esposto. Le osservazioni fatte
trovano conferma nel verificare come realmente il paziente portatore di ulcera
flebostatica ha una migliore “compliance” e migliori risultati nel percorso di
guarigione, nonché minori recidive.
CONCLUSIONI:
L’ulcera venosa è una condizione cronica che compromette la normale vita
del paziente comportando dolore, disturbi del sonno, limitazioni nelle attività
quotidiane. La scarsa attenzione, che spesso viene data a questa patologia, dipende dalla superficialità degli operatori sanitari, pensando questi che una volta
fatta la diagnosi ed impostata la terapia, avvenga la guarigione. La corretta
ed idonea strategia terapeutica passa attraverso la conoscenza dei meccanismi
fisiopatologici e nella valutazione clinica che emerge da un attento esame obiettivo. Nella vasta gamma dei trattamenti utilizzati per la terapia dell’ulcera
venosa meritano maggior considerazione la terapia medica e la compressione,
le quali singolarmente o in maniera combinata, permettono di gestire al meglio
i pazienti portatori di queste lesioni trofiche agli arti inferiori. L’efficacia di
tale sinergia vede nella riduzione dei tempi di guarigione, ripresa dell’attività
195
9 - L’ulcera venosa
lavorativa, riduzione del dolore locale, precoce ripresa della capacità deambulatoria, i parametri per valutare i risultati ottenuti. Riteniamo, pertanto, che
qualunque strategia terapeutica si voglia attuare, non si può prescindere dalla
terapia medica e dalla compressione che favoriranno, quantitativamente e qualitativamente, il processo di guarigione e ridurranno il rischio delle recidive.
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9.2 - La copertura dell’ulcera
9.2 - La copertura dell’ulcera.
Nebbioso G.
ABSTRACT:
The leg ulcers have an annual incidence in the adult population of about
1%, which reaches 3,6% in individuals older than 65 years1.
Ulcers, sores, were once regarded as something shameful, just decent, to
hide, from which the term “cover the ulcer”. Today, “coveing” means to
dress the wound and to create all the optimal conditions for healing.
Cure an injury, time, meant to dry the wound, healing it “in the crust”;
but this concept has been completely reversed by Winter, who, in 1962,
introduced the concept of moist wound healing.
The concept of dressing has suffered in recent years a complex
metamorphosis.
From a dressing that did not interfere with the processes of tissue repair, we
went to phisician who tried to establish an environment (wet) more favorable
to the tissue repair process, until you arrive to the dressing techniques
that seek to restore a proper balance of biochemical and cellular injury
(i.e., platelet gels, dressings based on hyaluronic acid and collagen). The
achievement, through appropriate medication, of these goals is essential,
because you can obtain to the ulcer healing
INTRODUZIONE:
Le ulcere degli arti inferiori presentano un’incidenza annuale nella
popolazione adulta di circa l’1% che raggiunge il 3,6% negli individui con
più di 65 anni1.
Le ulcere, le piaghe, un tempo venivano considerate come un qualcosa di
vergognoso, di poco dignitoso, da nascondere, da cui il termine “coprire
l’ulcera”. Oggigiorno, “coprire” significa medicare la lesione e creare tutte
196
197
9 - L’ulcera venosa
le condizioni ottimali per la sua guarigione.
Medicare la lesione, un tempo, significava essiccare la lesione, farla guarire
“sotto crosta”, ma questo concetto è stato completamente ribaltato da
Winter, che, nel 1962, introduceva il concetto di guarigione in ambiente
umido.
Il concetto di medicazione ha subito negli ultimi anni una complessa
metamorfosi. Da una medicazione che non interferiva con i processi di
riparazione tessutale, si è passati a medicazioni che cercano di determinare
un ambiente (umido) più favorevole al processo di riparazione tessutale,
fino a giungere a tecniche di medicazione che cercano di ripristinare un
corretto equilibrio biochimico e cellulare della lesione (es. gel piastrinico,
medicazioni a basi di acido ialuronico e collagene).
Il raggiungimento, attraverso idonee medicazioni, di questi obiettivi è la
condizione essenziale perché si arrivi alla guarigione dell’ulcera.
METODOLOGIA:
Nel wound care distinguiamo due categorie di medicazioni: TRADIZIONALE
e ATTIVA.
Le medicazioni tradizionali vanno distinte in:
1. semplici;
2. antisettiche;
3. grasse.
Le garze semplici sono utilizzate sostanzialmente per l’occultamento della lesione ed isolamento dall’ambiente esterno. Le antisettiche contengono sostanze
in grado di abbattere la carica batterica eventualmente presente sulla lesione. Le
grasse sono medicazioni contenenti sostanze che ne riducono l’aderenza.
Questo tipo di medicazione non rivolge la propria attenzione ai processi di riparazione e non interagisce con essi, ma si pone come obiettivo il mantenimento
dell’emostasi e la copertura antisettica della lesione, contribuendo al manteni198
9.2 - La copertura dell’ulcera
mento di un ambiente secco e determinando frequentemente la formazione di
croste sulla lesione con un notevole ritardo dei tempi di guarigione. La medicazione tradizionale presenta degli svantaggi:
1. asportazione accidentale di tessuto di granulazione;
2. difficoltà del paziente alla propria igiene (doccia);
3. rischio di infezione;
4. perdita di liquidi e disidratazione della lesione.
Le medicazioni avanzate rivolgono la propria attenzione ai processi riparativi,
facilitandoli e non interferendo con essi. La specificità di questa medicazione
risiede negli stessi prodotti che sono utilizzati. La medicazione è posta a diretto
contatto con la lesione (medicazione primaria) è può necessitare di un supporto di fissaggio o di interazione con la stessa (medicazione secondaria). Le
categorie di prodotti in questo momento presenti sul mercato delle medicazioni
avanzate sono:
1. alginati;
2. poliuretani in schiume;
3. idrogeli;
4. idrocolloidi;
5. idrofibre.
Negli ultimi anni sono state realizzate medicazioni che cercano di interferire
positivamente sul processo di riparazione tessutale: le medicazioni attive.
La medicazione della lesione deve avvenire secondo i canoni della “Wound
Bed Preparation”, di seguito elencati:
1. eliminazione del tessuto necrotico (T);
2. controllo della carica batterica (I);
3. gestione dell’essudato (M);
4. controllo delle alterazioni fenotipiche cellulari perilesionali (E).
199
9 - L’ulcera venosa
Da cui l’acronimo TIME2. L’asportazione della necrosi o della fibrina (debridement) può avvenire con modalità diverse:
1. chirurgica (mediante bisturi, courette o idrobisturi);
2. enzimatica (mediante l’applicazione sul fondo della lesione di enzimi
quali collagenasi o catalasi, talvolta associate ad antibiotici quali la
gentamicina o il cloramfenicolo);
3. idrolitica (mediante idrogeli);
4. meccanica.
La scelta della medicazione va fatta in relazione allo stadio e alla stato della
lesione. Lo stadio valuta la profondità della stessa in relazione alle componenti
anatomiche quali il derma, la fascia muscolare, i muscoli e le strutture ossee. Lo
stato della lesione determina la scelta della medicazione.
9.2 - La copertura dell’ulcera
Ulcere iperessudanti richiedono l’utilizzo di medicazioni in alginato e idrofibra, particolarmente utili anche in presenza di infezione in quanto, una volta
superata la loro capacità di assorbimento, permettono il drenaggio del materiale
infetto.
In presenza di colonizzazione critica o pregresse infezioni1 si richiede l’uso di
medicazioni che nella loro struttura contengono antisettici, quali l’argento, che
contribuisce a controllare la carica batterica.
In alcune l’argento è contenuto nel loro interno, mentre in altre viene ceduto
sulla lesione.
Medicare la lesione significa anche non ledere la cute perilesionale (E) e a tal
fine sono presenti in commercio medicazioni avanzate nella cui struttura è presente del silicone.
In presenza di necrosi (T) o fibrina, nei casi in cui la medicazione va rimossa
una o più volte al giorno, è preferibile usare medicazioni di basso costo che
permettano, in ogni caso, di mantenere umida la lesione.
Il silicone può coprire l’intera base della medicazione e dunque essere a contatto con tutta la lesione o in alternativa essere presente solo sui bordi della
medicazione mentre il fondo della ferita rimane a contatto con il poliuretano.
La gestione dell’essudato (M) influenza in maniera determinante la scelta della
medicazione. In presenza di scarso essudato possiamo utilizzare medicazioni
traumatiche, costituite da acido ialuronico o a struttura lipo-colloidale o idrocolloidale, che fanno sì che la lesione non si secchi.
Un metodo molto semplice di proteggere il margine perilesionale è quello di
applicare intorno alla lesione della pasta all’ossido di zinco. Alcune medicazioni in schiuma di poliuretano possono contenere nella struttura FANS, in particolare l’ibuprofene che, rilasciato sul fondo dell’ulcera, controlla sia il dolore
che lo stato infiammatorio, gestendo contemporaneamente l’essudato.
L’iperessudazione va gestita con medicazioni avanzate capaci di assorbite i liquidi in eccesso che, altrimenti, provocherebbero una macerazione del margine
della cute perilesionale, favorendo l’aumento della carica batterica.
Le schiume di poliuretano sono medicazioni che si usano in presenza di essudato medio, impermeabili ai liquidi, ai batteri, ma permeabili ai gas. Avendo la
capacità di assorbire e trattenere l’essudato sotto elastocompressione trovano
applicazione nel management delle ulcere venose, specialmente sotto bendaggio. Il loro utilizzo permette di ridurre il numero dei bendaggi, i costi dei materiali, l’impegno del personale sanitario e le liste di attesa.
200
Nella copertura dell’ulcera trovano applicazione anche prodotti costituiti da
ac. ialuronico o cellulosa ossidate rigenerata o collagene. Questi prodotti interagendo col fondo della lesione vanno a stimolare la formazione della matrice
extracellulare, controllando anche la concentrazione delle metalloproteasi, presenti in eccesso nell’essudato delle lesioni croniche cutanee4.
La programmazione terapeutica della lesione deve essere guidata dalla conoscenza e dalla competenza del sanitario, i dispositivi che la tecnologia e la ricerca offrono sono un elemento di supporto prezioso, ma non la soluzione del
problema.
201
9 - L’ulcera venosa
Le medicazioni avanzate
Essicazione della lesione e traumatismo
alla rimozione
Alginati
9.2 - La copertura dell’ulcera
Idrogeli
Idrocolloidi
Idrofibre
Poliuretani in schiume
202
Medicazione in schiuma di poliuretano
Medicazione in schiuma di poliuretano con bordi in silicone
Medicazione in schiuma di poliuretano e ibuprofene
203
9 - L’ulcera venosa
TIPOLOGIA
AVANZATE
9.2 - La copertura dell’ulcera
ED
INDICAZIONI
DELLE
MEDICAZIONI
SCHIUME DI POLIURETANO
CARATTERISTICHE
Struttura alveolare tridimensionale
Permeabilità ai gas
Assorbimento essudato
Contenimento sotto elastocompressione
INDICAZIONI
Lesioni moderatamente essudanti
Lesioni molto essudanti
Lesioni da decubito
Lesioni vascolari
BIBLIOGRAFIA:
1.
2.
3.
4.
London NJM, Donnelly R. Ulcerated lower limb. BMJ 2000; 320: 1589-91.
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Nebbioso G, Petrella F. La gestione dell’essudato sotto elastocompressione: evoluzione
delle schiume di poliuretano. Acta Vulnologica, 2007 Marzo; 5(1): 7-12.
5. Nebbioso G, Petrella F, Caprarella E. Ruolo dell’acido ialuronico nelle lesioni croniche
cutanee non-responder. Acta Vulnologica 2010 Marzo; 8(1): 15-19.
IDROGEL
CARATTERISTICHE
Detersione autolitica
Idratazione del tessuto necrotico e/o fibrinoso
Mantenimento d’ambiente caldo-umido
INDICAZIONI
Lesioni necrotico-fibrinosoe
Come preparazione alla detersione
chirurgica.
Richiedono una medicazione secondaria
ALGINATI
CARATTERISTICHE
Derivati dalle alghe
Elevata capacità d’assorbimento
Attività emostatica
INDICAZIONI
Lesioni ad elevata essudazione
Lesioni sanguinanti
Necessitano di medicazione secondaria
IDROCOLLOIDI
CARATTERISTICHE
Particelle idrofile matrice polimerica
Formazione di gel con attivazione autolisi
Mantenimento d’ambiente caldo-umido
204
INDICAZIONI
Lesioni poco o moderatamente essudanti
Protezione cute perilesionale
205
9 - L’ulcera venosa
9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose
9.3 - La radiofrequenza (pulse dose)
nella gestione delle ulcere venose.
Solimeno G., Quarto G., Goffredi L., Furino E., Benassai G.,
Atelli P.F., Sellitti A., Apperti M.
ABSTRACT:
Radiofrequency (RF) treatments have been used for over 30 years for a variety
of pain syndromes1. The rationale is the theory that heating peripheral nerves
can inhibit nociceptive input. However, classical RF, as used in past decades,
results in an irreversible thermal damage of the treated nervous structures. So,
in 1998, Sluijter et al.2 applied high-voltage RF current in bursts of 20 ms per
500 ms, permitting the generated heat to be washed out during the other silent 480 ms. This is the beginning of the Pulsed RadioFrequency (PRF), which
has advantage of impeding nociceptive input, without subsequent heat-induced
nerve injury. Radiofrequency Pulse Dose (PD) is a further advance in the treatment of chronic pain, which gives great results without any special effects.
This method was also effective in the outpatient management of chronic pain in
patients with venous chronic ulcers.
INTRODUZIONE:
La Radiofrequenza (RF) rappresenta una tecnica utilizzata oramai da decenni
nella gestione del dolore cronico di varia origine, dalla neuralgia trigeminale,
alla cervicalgia, al dolore somatico di origine spinale, alla neuralgia occipitale,
all’artralgia di varia origine, al dolore post-chirurgico, a quello oncologico. Il
razionale di utilizzo della radiofrequenza è legato all’assunto che il calore da
essa generato nei tessuti target, e nella fattispecie nelle strutture nervose, determina un danno irreversibile che impedisce la trasmissione dell’impulso nocicettivo.
206
Infatti, quando applicata a tessuti biologici, questa corrente determina
l’oscillazione di molecole elettricamente cariche, soprattutto proteine, la cui
frizione reciproca e con i tessuti sviluppa calore. Se il calore sviluppato raggiunge determinate temperature, si determina un danno termico.
Lo sviluppo di un danno termico indotto dalla RF richiede un circuito, rappresentato da un generatore di corrente collegato a due terminali3. Ad un terminale
è collegato un elettrodo la cui estremità è posizionata a stretto contatto con
il tessuto target; l’altra estremità è collegata ad una placca a larga superficie
posizionata sulla cute del paziente, più o meno in prossimità della zona da trattare. La corrente fluisce in questo modo dall’elettrodo alla placca. Grazie alla
differenza di superficie tra l’elettrodo e la placca, il calore generato nei tessuti
a contatto con quest’ultima non genera alcun tipo di danno, mentre nei tessuti
a diretto contatto con la punta dell’elettrodo si sviluppa una temperatura che in
alcuni casi può raggiungere i 90 °C, sufficiente a garantire un danno termico di
tipo irreversibile.
Questa metodica, oramai datata, è stata negli ultimi anni gradualmente soppiantata dalla cosiddetta Radiofrequenza Pulsata (PRF). Nel 1998 infatti, Sluijter
et al.2 hanno introdotto una tecnica consistente nell’utilizzo della radiofrequenza in scariche sequenziali della durata di 20 ms con un’ampiezza di 45 Volt,
intervallate da periodi di pausa di 480 ms.
I periodi di pausa hanno la finalità di “raffreddare” i tessuti colpiti, che raggiungono così temperature mai superiori ai 42 °C, permettendo quindi una neuro
modulazione7 dell’impulso nocicettivo con conseguente riduzione del sintomo
dolore, in assenza di danno irreversibile dei tessuti nervosi trattati6. Il meccanismo d’azione della PRF non è ancora completamente chiarito, ma sembrerebbe
legato alla capacità, grazie al campo elettrico generato, di indurre una intensa e
duratura ripolarizzazione delle fibre nervose trattate5, con conseguente effetto
“stupor” temporaneo del segnale nocicettivo, che può durare anche alcuni mesi.
Recentemente è stata introdotta una ulteriore variante di questa metodica, denominata Pulse Dose (PD).
207
9 - L’ulcera venosa
9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose
La PD rappresenta una evoluzione tecnica della radiofrequenza pulsata, grazie
alla quale gli impulsi elettrici, della durata di 20 ms, vengono erogati nel tempo
ad un potenziale costante di 45 Volts. La differenza con la radiofrequenza pulsata è sostanziale, in quanto in quest’ultima la costante non è rappresentata dal
potenziale elettrico, ma dal fattore tempo.
Infatti, quando si utilizza la PRF classica, ad intervalli di tempo costante vengono erogate 2x20 ms/sec scariche elettriche, il cui potenziale elettrico, inizialmente di 45 Volts, decresce nel tempo per garantire una temperatura dei tessuti
che non superi mai i 42 °C4.
Nella PD, invece, la temperatura dei tessuti target viene mantenuta comunque
a 42 °C, non però per il decadimento del potenziale elettrico, che viene mantenuto costante a 45 Volts, ma per una graduale rarefazione degli impulsi, la cui
emissione viene ritardata sin quando la temperatura dei tessuti non raggiunge
valori prestabiliti (Fig. 1).
Pulsed radiofrequency
Pulse Dose
DISCUSSIONE:
Il presente lavoro nasce da osservazioni cui si è giunti in maniera quasi casuale
durante l’arruolamento di pazienti per una studio già pubblicato (Acta Vulnologica, vol. 8, n° 3, pag. 101-104, settembre 2010), che aveva la finalità di indagare sulla opportunità e sui vantaggi di adottare un percorso terapeutico “integrato” per pazienti portatori di ulcere “difficili”, che prevedeva un intervento
chirurgico durante il quale, oltre alla risoluzione della patologia varicosa di
base, veniva eseguita una toilette dell’ulcera con successivo impianto di derma
artificiale.
Durante lo sviluppo di questo lavoro ci si è resi conto che un certo numero
di pazienti non otteneva la guarigione semplicemente perché era sottoposto a
terapie incongrue, per cui venivano esclusi dal protocollo ed avviati ad un trattamento conservativo adeguato.
Abbiamo però osservato anche un gruppo di pazienti nei quali era difficile se
non impossibile adottare una terapia idonea, poiché il dolore spontaneo e quello
provocato dalle manovre durante le medicazioni era così intenso da costituire
un ostacolo oggettivo ad un trattamento che potesse dare una qualche speranza
di guarigione.
Questi pazienti, per tali motivazioni, venivano arruolati nello studio ed avviati
al protocollo. Al di là, poi, dei vantaggi o dell’opportunità di adottare il percorso terapeutico “integrato” da noi proposto, a questi pazienti non era data altra
scelta se non quella di essere sottoposti ad intervento chirurgico, o continuare,
forse indefinitamente, in medicazioni, bendaggi, terapia antalgica, spesso senza
nessun beneficio per il paziente.
Fig. 1 - Diagrammi comparativi pulsed radiofrequency V.S. Pulse Dose
Questo è un grande vantaggio, in quanto permette di standardizzare la metodica, misurando gli effetti del trattamento ed uniformando le varie tipologie di
utilizzo della radiofrequenza non più in relazione alla costante tempo, ma al
numero di “dosi” emesse.
208
Durante questo studio, però, ci è stata presentata un’apparecchiatura che sfrutta
la radiofrequenza in modalità Pulse Dose nei pazienti afflitti da dolore cronico
dei nervi periferici non responsivo alla terapia medica.
Abbiamo utilizzato quindi la radiofrequenza PD in 5 pazienti portatori di ulcere
venose “difficili” nei quali la terapia più idonea era quella conservativa, di dif209
9 - L’ulcera venosa
ficoltosa esecuzione però per l’intenso dolore provocato nei pazienti all’atto
della medicazione.
L’età media dei pazienti era 66 anni (range 56 - 81); la durata media delle ulcere
era 9,7 mesi (range 6 - 23 mesi).
La metodica PD è stata somministrata secondo i criteri già precedentemente esaminati, utilizzando come target il nervo sciatico popliteo ed il nervo femorale;
l’evoluzione dell’intensità dolorifica è stata misurata durante il trattamento utilizzando una Scala Numerica Verbale (VNS).
Alla radiofrequenza PD sono state associate medicazioni adeguate eseguite da
personale specializzato ed elastocompressione.
RISULTATI:
In tutti i pazienti si è ottenuta la guarigione dell’ulcera in un tempo medio di 42
giorni (range 29 - 65). Grazie all’utilizzazione della VNS si è potuto constatare
che tutti i pazienti hanno tratto beneficio dalla utilizzazione della radiofrequenza PD, con una ottima risoluzione del dolore durante la fase del trattamento.
CONCLUSIONI:
La radiofrequenza Pulse Dose (PD) rappresenta una evoluzione tecnica della radiofrequenza pulsata classica che permette una standardizzazione della
metodica; grazie ad essa infatti la temperatura dei tessuti target viene mantenuta comunque a 42 °C, non però per il decadimento del potenziale elettrico,
come avviene nella PRF, ma per una graduale rarefazione degli impulsi, la cui
emissione viene ritardata sin quando la temperatura dei tessuti non raggiunge
valori prestabiliti.
9.3 - La radiofrequenza (pulse dose) nella gestione delle ulcere venose
Pulsata Classica, sia in termini di riduzione immediata del dolore, che in termini di riduzione permanente del dolore, la cui intensità, rispetto alla fase pretrattamento, si riduce di circa il 50% anche una volta terminato l’effetto stupor.
Questa metodica è risultata efficace anche nella gestione ambulatoriale di
pazienti portatori di ulcere croniche nei quali la terapia conservativa era di difficoltosa esecuzione per l’intenso dolore provocato all’atto della medicazione,
permettendo di ottenere una ottima risoluzione del dolore durante la fase del
trattamento.
BIBLIOGRAFIA:
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2003; 6(1): 1-3.
Studi preliminari relativi all’utilizzo della Radiofrequenza Pulse Dose indicano
una maggiore efficacia di questa tecnica, confrontata con la Radiofrequenza
210
211
AFFILIAZIONI
Apperti M. Atelli P. F. Benassai G. D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Università degli Studi di Napoli Federico II -
A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Videoassistita - S.F. di Day Surgery
Benatti E.
Bencivenga G.
Bernardini E.
Bernardo B.
Università degli Studi di Genova.
Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN)
Berti S.
Dipartimento di Chirurgia - U.O.A. Chirurgia Generale - Ospedale S.Andrea - La Spezia
Brandi C.
Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
Bruno A.
Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare
Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN)
Casillo N.
D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Università degli Studi di Napoli Federico II -
A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Videoassistita - S.F. di Day Surgery
Castagnoli S. Cardamone B.
Libero Professionista, Pistoia
Cava dè Tirreni. U.O.C. Chirurgia
Cevasco L.
Civitillo F.
Università degli Studi di Genova
Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN)
Colaiuda F.
Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
Colaiuda S.
Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva
Corda D.
Polimedica San Lanfranco, Centro Medico e Riabilitativo specializzato
nella diagnosi e nella terapia del Linfedema primario e secondario
Crippa A.
D’Amodio A. S. D’Aniello C.
Libero Professionista, Dolzago (Lecco)
e Ricostruttiva
Regione Campania - A.S.L. Salerno - P.O. Nocera-Pagani - U.O.C. Medicina.
Libero Professionista, Afragola (NA)
Terme di Agnano Napoli
Interuniversitary Phlebology Center, University of Perugia, Perugia, Italy
Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare
Regione Campania A.O.U. “S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”. P.O. Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare
U.O.C. Chirurgia Vascolare P.O. dei Pellegrini, Napoli
Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica De Simone A.
Del Guercio M.
Della Rocca M. D. Di Filippo A. Di Palma S.
Terme di Agnano Napoli
Nebbioso G. ASL NA1 Centro - UOSD di Patologia Cardiovascolare - Centro di Libero Professionista, Napoli
riparazione tessutale.
Libero Professionista, Maddaloni (CE)
Centro Diagnostico Aquarius, Napoli
Università degli Studi di Napoli Federico II -
Passariello F. Pieroni O.
Prisco V. Quarto G.
A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Università degli Studi di Napoli Federico II -
Videoassistita - S.F. di Day Surgery
A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Eretta C.
Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Videoassistita - S.F. di Day Surgery
Accettazione e Osservazione Breve Intensiva -
Rota A.
Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona. Accettazione e Osservazione Breve Intensiva
Dottorato di Ricerca - Istituto di Biochimica - Università degli Studi di Genova
Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona.
Ermini S.
Falco E.
Libero Professionista
Sellitti A.
Regione Campania - A.S.L. Salerno - P.O. Nocera-Pagani - U.O.C. Dipartimento di Chirurgia - U.O.A. Chirurgia Generale - Ospedale Chirurgia
S. Andrea - La Spezia.
A.S.L. Salerno - P.O. Nocera-Pagani - U.O.C. Chirurgia
Farina B. L. Ferrara F.
Ferrara G.
Furino E.
U. O. Angiologia Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata - Salerno
Sellitti M. E. Solimeno G. Studio Flebologico Ferrara, Napoli
Università degli Studi di Napoli Federico II
Studio Flebologico Ferrara, Napoli
A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Videoassistita - S.F. di Day Surgery.
Università degli Studi di Napoli Federico II -
Libero Professionista
A.O.U. Federico II - D.As. di Chirurgia Generale, Oncologica e Videoassistita - S.F. di Day Surgery
Genovese G.
Goffredi L.
Presidente Onorario SIF
Spinelli G. M.
Topo F. Tori A. Veneruso G. A. Università di Napoli Federico II
Greco R.
Grimaldi L.
U. O. Angiologia Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata- Salerno
e Ricostruttiva
Maritato F.
Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Accettazione e Osservazione Breve Intensiva
Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona.
Maritato P.
Dipartimento di Emergenza Levante - S.S.D. Pronto Soccorso, Accettazione e Osservazione Breve Intensiva
Ospedale San Giuseppe Cairo Montenotte, Savona.
Mastrangelo D.
Dipartimento di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare
Clinica “GEPOS” - Telese Terme (BN)
Molisso A. Moretti R.
Centro di Riabilitazione Vascolare “Serapide”, Napoli
Ospedale Nocera Pagani, ASL Salerno - U.O. di Medicina d’urgenza, Salerno
D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Centro Interuniversitario di Ricerca e Formazione in Flebologia
Università degli Studi di Siena - Struttura Complessa di Chirurgia Plastica Libero Professionista, Scandicci (FI)
Responsabile S.I.F. (Società Italiana di Flebologia) Regione Basilicata
U. O. Angiologia Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata - Salerno
D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate D.U. di Chirurgia Generale, Geriatrica, Oncologica e Tecnologie Avanzate Resp. U.O. Diagnostica e Terapia Vascolare P.O. Marcianise Asl Ce
Presidente eletto SIF
U.O.C. Chirurgia Vascolare P.O. dei Pellegrini, Napoli
EDIZIONI
ISBN 9788890401961