Yuri Gagarin era il nipote di Yuri Gagarin. Per la verità non ereditò il
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Yuri Gagarin era il nipote di Yuri Gagarin. Per la verità non ereditò il
Gagarin. Di Charlie D. Nan Di fronte al mare, la felicità è una cosa semplice. Yuri Gagarin era il nipote di Yuri Gagarin. Per la verità non ereditò il cognome direttamente dal nonno ma dallo zio materno, il quale lo adottò alla morte della madre, figlia del cosmonauta Yuri Gagarin, morta assieme al padre del bambino, appunto, solo successivamente Yuri Gagarin. Un incidente accorso in bicicletta: caduti per schivare un grosso grasso gatto nero, finirono giù da un ponte di legno, il gatto si chiamava Nikolaij. Comunque Yuri si chiamava Yuri già dalla nascita e fino ad allora non aveva mai creduto che i gatti neri portassero sfortuna. Quando cadde il muro di Berlino, invece, aveva 23 anni. Non poté dire di ricordare quegli attimi perché la voce si sparse incerta per l’università di Sanpietroburgo. Vide le immagini televisive che sarebbero poi rimaste nella storia solamente quando giunse a Berlino spinto dalla curiosità, dopo più di un mese di viaggio. Nonostante le feste, però, procedette oltre. Non era il massimo essere nipoti di un eroe russo in quei giorni. Proseguì in direzione sud verso la Francia, perché il primo treno a disposizione era per Lione, anche se avrebbe preferito viaggiare sempre di più verso la costa mediterranea, perché si sa, o comunque così gli spiegò il capotreno, le popolazioni delle coste sono burbere ma sostanzialmente democratiche e ospitali con tutti, senza fare distinzione da dove vieni o cosa fai. Da Lione scese dunque a Nizza, dove una donna gli rubò il portafogli con tutti i documenti dentro e per più di un anno perse la propria identità. Poi, per un caso fortuito mentre giocava a Sette e mezzo, gioco in cui era abilissimo nonché sua unica fonte di sostentamento, vinse la propria carta di identità spacciata per una reliquia appartenuta a suo nonno, il celebre cosmonauta Yuri Gagarin, primo uomo ad andare nello spazio. Spiegò della sua perdita ad una cartomante, malgrado non fosse un uomo superstizioso e la cartomante in questione fosse anche la proprietaria della casa dove viveva in affitto. Così, non potendosi intestare un contratto senza documenti, non richiese una previsione del futuro ma una considerazione in base alla sua attività. La cartomante gli disse che esisteva una città di mare nella quale esistevano diverse formazioni di gruppi umani, la cui aggregazione avveniva in modo centrico o frazionato: alcuni in particolare fondavano la loro esistenza su una tecnologia semplice ma funzionale. Il pescatore era l’emblema di questa comunità, e il nodo l’emblema di questa tecnologia. L'identità personale si forma in effetti in maniera non tanto formale quanto sostanziale in gruppi numericamente ridotti e minimamente articolati detti comunità. La formazione dell'identità si fonda conseguentemente al rapporto tra alcuni dei membri di queste formazioni e la natura, in maniera non troppo diversa da come avviene per i grossi tonni corsi "pinna bianca", che più crescono all’interno del branco più sembrano maturare una natura spiritica, la stessa che si può percepire guardandoli nella pupilla quando vengono esposte le loro teste al mercato. Infatti, quando ne tira su uno, l’uomo che l’ha pescato assume la forza dalla lotta con il tonno e assorbe la sua entità spiritica. Così, presso alcune comunità di pescatori, dopo una grande battuta di pesca, vengono estratti cuori, fegati e cervelli dal tonno e cotti nel vino, tanto che viene servito ai giovani durante i matrimoni per diventare appartenenti a quel clan. In questo modo nasce un rapporto di parentela tra i membri di una comunità e un legame spiritico con una specie animale. Pochi giorni dopo che ebbe ritrovato i propri documenti e quindi la propria castità identitaria, tentò il suicidio. Era il 17 Marzo 1991, al primo piano di rue Cassini, strada vigliacca, specialmente di notte. Alla tv davano la presentazione di "Sonic", un riccio blu in 264 megapixel che correva ad una velocità supersonica e da ciò il suo nome, aveva un paio di grosse scarpe, rosse bianche e lunghe. Maledicendo i giapponesi premette il grilletto di una rivoltella Beretta, vinta ad un giocatore d’azzardo italiano che, non capendo mai perché non gli avesse sparato prima, se l'era giocata a carte. Yuri Gagarin non morì per quel colpo, e capì perché l’italiano, tale Ernesto, aveva messo sul tavolo da gioco la rivoltella e non gli aveva lasciato un buco in testa. La canna era difettosa, così che il colpo esplose quasi subito all’uscita, e dopo essere rimasto due ore steso sul divano sentì un forte calore alla faccia. Era lo sconforto che saliva per non essersi riuscito ad ammazzare. La seconda volta che provò a suicidarsi era il 31 ottobre 1992, sempre al secondo piano di rue Cassini. Radio Marsiglia annunciava che il Papa aveva riabilitato Galileo Galilei dopo il processo del 1663, le radio di mare parlano spesso di religione, e maledicendo la chiesa cattolica accese il gas. Stavolta sarebbe stata morte e persino spettacolare, fuoco in rue Cassini, la via che porta al porto, e il profumo di kebab, verdure e cemento si sarebbe mischiato a quello di gas e casa bruciata. Anche questo tentativo fallì: Yuri Gagarin svenne inalando metano, ma la bombola era quasi finita e non fu sufficiente neanche per avvelenarlo. Pensò un po' alla sfortuna e alla grossolanità dei suoi tentativi, pensò che il grande errore fu che la prima volta stava maledicendo i giapponesi e quindi fondamentalmente avrebbe dovuto fare harakiri e la seconda volta malediceva la chiesa e quindi avrebbe dovuto bruciarsi su una pira, anche se sembrava un piano piuttosto difficile da attuare. Così per il suo terzo tentativo decise che avrebbe maledetto gli americani, che erano il grande nemico dei russi, e che si sarebbe impiccato come facevano nel far west con i banditi. In realtà il terzo tentativo non si concluse mai e fu un po' come perdere ulteriormente la guerra fredda: il giorno prima di portare a termine il suo piano, Yuri Gagarin si innamorò di Ariane Lefebvre. Era il 28 febbraio e la tv trasmetteva la diretta da una fattoria di Waco, nel Texas, in cui un centinaio di Davidiani (seguaci di David Koresh, predicatore statunitense che proclamava di essere Gesù, NdA) si opponevano alla richiesta di perquisizione dell'FBI. Morirono quattro agenti e cominciò un assedio che sarebbe finito il 19 aprile con un rogo violento, nel quale persero la vita ottantadue Davidiani. Ariane Lefebvre vendeva coquillage all’angolo della strada, per lo più a turisti che spesso facevano indigestione di molluschi. Per lei era una specie di vendetta indiretta per quello che subiva la città nei mesi estivi, con le invasioni di turisti deformati dallo smog delle città delle pianure del nord. Non a caso Ariane Lefebvre apparteneva alla "Ligue pour la Restauration des Libertés Niçoises", un gruppo di autonomisti che sostenevano la necessità e la possibilità per Nizza di autogovernarsi rispetto all'autorità statale. Yuri Gagarin la conobbe prima di andare a giocare a Sette e mezzo al bar "Cin Cin", mentre si mangiava un'ostrica marinata nello scantinato del locale: lei parlava di politica con un gruppetto di ragazzetti al tavolo a fianco, quando la gendarmerie entrò e arrestò tutti, chi per un motivo chi per un altro. Si rividero all’uscita del commissariato e bevvero un bicchierino di Pastis. Solo per amore Yuri Gagarin era disposto a prendere in considerazione le idee politiche di Ariane Lefebvre. Non riusciva ad accettare il motivo per cui una città di mare dovesse avere un diritto naturale "superiore" di potersi governare autonomamente, di essere indipendente rispetto ad altre città che il mare non potevano sentirlo urlare neanche a migliaia di chilometri di distanza, anche se in verità il mare lo puoi sentire urlare pure da lontano, ma solo chi l'ha ascoltato prima sussurrare può poi riuscire a sentire il resto. Secondo Yuri inoltre i porti erano delle truffe legalizzate: «Qualcuno più furbo degli altri ha capito che quello è un punto della costa protetto e ha deciso che in cambio di denaro puoi attraccare». Se ne convinse a maggio, quando a Nizza scoppiò lo scandalo delle tangenti dei portuali, prestate in cambio degli appalti per la riparazione delle navi. Pertanto nessuno doveva essere privilegiato solo perché si trovava in una posizione di vantaggio. Ariane gli spiegò che il porto è la dimostrazione dell’accordo che fecero gli antichi con le forze marine ancestrali in cambio delle vite che queste avrebbero preso in sacrificio nei millenni a venire, altrimenti loro non avrebbero più navigato. Ma le forze marine gli dissero che erano un animale troppo curioso e che il blu cupo del mare era troppo profondo per non fargli venire voglia di non sapere cosa c’è sotto. Così, strinsero un accordo alla pari e gli abitanti del porto sopportarono il peso del patto di sangue che divenne chiaro dopo un po' che vivevano lì: «Chiunque decida di viverci prima o poi se ne renderà conto e magari deciderà di scappare». Un giorno Yuri e Ariane andarono a pescare. Era poco prima dell’alba del 2 maggio 1994, alla radio del peschereccio "La Giovanna" si parlava della morte di Ayrton Senna al Gran Premio di San Marino. Yuri Gagarin osservava le altre imbarcazioni uscire dal porto di Nizza dondolanti e assonnate, in quell’ora in cui il mare accoglie i suoi naviganti. Non un'onda, non una bava d’aria, ad est il sole catalizzava gli sguardi e ti faceva pensare ad una lunga giornata estiva. Uno distante dall’altro, i pescherecci prendevano le loro rotte e i loro nomi si perdevano all’orizzonte. Così l’"Argo" e la "Marseilliese" diventavano sagome di cartone all’orizzonte all’inseguimento dei loro destini. Così, ancora una volta, Yuri Gagarin si accorse di aver perso la sua identità individuale ma anche di averla barattata con tutte quelle degli altri membri dell'equipaggio de "La Giovanna" che si chiamavano per soprannomi. «Cosmonauta» gli disse uno e quello fu il suo nome, così l’aveva ribattezzato il mare, e si tirava le reti tutti assieme sapendo che da qualche parte qualcun altro stava tirando su altre reti, chi piene chi vuote. Yuri Gagarin detto il cosmonauta morì felice nella tempesta abbracciato ad Ariane Lefebvre e disse: «Qui c’è qualcuno».