Sussidio della Lectio - Centro Giovanile Antonianum

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Sussidio della Lectio - Centro Giovanile Antonianum
Lectio divina mensile al Centro Antonianum 2009 – 2010 6° incontro (21.03.2010) Invisi ai giudei osservanti, dimenticati dall’impero, emarginati nella chiesa. Vuoi ancora fare l’apostolo? (Atti 21 – 26) Introduzione Nel 5° incontro abbiamo affrontato l’impatto della fede cristiana in un contesto religioso consolidato, soddisfacente e capace di mettere d’accordo sensualità, affari e devozione alla dimensione ultraterrena e divina. Uno degli aspetti che è emerso l’ho riassunto nella domanda assai complessa: il cristiano, a causa delle sue scelte, vive un processo di impoverimento inevitabile? Teoricamente no, ma di fatto sembra che il mondo del business non gradisca molto chi mette in discussione il sistema produttivo, le fonti di reddito e il “virtuoso” sistema di gadgets, turismo e religione. Ci siamo chiesti poi cosa si nasconde dietro al bisogno di miracoli, guarigioni, credenze nell’efficacia di pratiche di devozione, che possono vedere concorde un’intera città come Efeso, colta (c’era una delle biblioteche più prestigiose dell’antichità …), ricca e sviluppata. Abbiamo anche constatato che il monoteismo giudaico, per quanto notevolmente più evoluto del paganesimo, nel momento in cui si sente minacciato nella sua dimensione istituzionale, liturgica e dottrinale, diviene un sistema chiuso e incapace di apertura alla novità operata dal Signore, come ogni altra religione. L’annuncio della Buona Notizia, insomma, per l’ennesima volta porta scompiglio nella città degli uomini, anche se popolata da persone divine, come la grande Artemide degli Efesini. Il Vangelo tuttavia non si è fermato: è capace di vivere in modo “laico”, anche senza luoghi di culto, senza istituzioni, senza apparati religiosi. È un’offerta di salvezza aperta a tutti, possibile a tutti, capace di riempire la vita di una persona, così che non è un gran problema se il suo portafoglio si svuota. Mentre gli artigiani di Efeso si affannano per la crisi economica, Paolo dà segni concreti di quanto il Signore ci tenga alla salute / salvezza degli uomini, operando nel Suo Nome guarigioni. Ma soprattutto liberando l’uomo da un apparato religioso ambiguo e schiavizzante. Proprio questo però dà fastidio! Il nostro vecchio mondo preferisce l’assetto costituito, le pratiche magiche, il prostituirsi a Dio … piuttosto che la potenza umile, liberante e feriale della Buona Notizia. Meglio sesso, liturgie e quattrini – il tutto con l’approvazione del Dio di turno! – che una castità serena, una preghiera povera e un Dio–con–noi! In questo 6° incontro mediteremo sul “declino” di s. Paolo: è una parte della sua vita quasi sconosciuta ai più, poco raccontata anche nella liturgia, imbarazzante per tutti! Come leggerete nei sussidi, si impone a noi una forte riflessione su cosa è la santità, il martirio, l’efficacia di una vita spesa per il Vangelo. Testo biblico
Atti 21 – 26 Testo di riferimento
BIZZETI P., Fino ai confini estremi. Meditazioni sugli Atti degli Apostoli, Bologna 2007, 342–382. Pagina 1 di 4 Lectio divina mensile al Centro Antonianum 2009 – 2010 6° incontro (21.03.2010) Sussidio n° 1 – Quale passione?
(Maddeleine Delbrêl)
La passione, la nostra passione: sì, noi l’attendiamo. Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla … con una certa grandiosità. Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l’ora. Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati. Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così dobbiamo essere separati. Come un giovane animale che viene sgozzato, così dobbiamo essere uccisi. La passione, noi l’attendiamo. Noi l’attendiamo, ed essa non viene. Vengono, invece, le pazienze. Le pazienze: queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente per la Tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria. Fin dal mattino esse vengono davanti a noi. Sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti, è l’autobus che passa affollato, il latte che trabocca, gli spazzacamini che vengono nel momento meno opportuno, i bambini che imbrogliano tutto. Sono gli invitati non attesi che nostro marito porta a casa, e quell’amico che, proprio lui, non viene; è il telefono che si scatena; sono quelli che noi amiamo e non ci amano più. È la voglia di tacere e il dover parlare, è la voglia di parlare e la necessità di tacere; è voler uscire quando si è chiusi e rimanere in casa quando bisogna uscire; è il marito al quale vorremmo appoggiarci e che diventa il più fragile dei bambini; è il disgusto del nostro tran tran quotidiano, è il desiderio febbrile di tutto quanto non gli appartiene. Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi. E noi le lasciamo passare con disprezzo, aspettando – per dare la nostra vita – un’occasione che ne valga la pena! Perché abbiamo dimenticato che come ci son rami che si distruggono nel fuoco, così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura. Perché abbiamo dimenticato che se ci son fili di lana tagliati netti dalle forbici, ci sono anche fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l’indossano. Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso: ce ne sono di sgranati da un capo all’altro della vita. È la passione delle pazienze. Sussidio n° 2 – Una pagina su Atti 24-26
(BARSOTTI D., Meditazione sugli Atti degli Apostoli, Brescia 1977, 462‐464) La salvezza ha anche una dimensione politica? Pagina 2 di 4 Lectio divina mensile al Centro Antonianum 2009 – 2010 6° incontro (21.03.2010) Un problema formidabile viene sollevato dal Libro degli Atti. Il Cristo Signore ha redento il mondo. Il messaggio della salvezza deve raggiungere i singoli o deve operare la salvezza stessa del mondo? Il giudaismo aveva rifiutato la salvezza del Cristo, l’avrebbe rifiutata anche l’impero? La difesa di Paolo diveniva in qualche modo l’annuncio della salvezza ai capi delle nazioni. Come vi era stata la possibilità per la nazione giudaica di accettare il messaggio della salvezza, così ora sembra offrirsi la stessa possibilità all’impero romano. La salvezza che offre la fede nel Cristo ha una dimensione soltanto interiore o non piuttosto anche politica e sociale e perfino cosmica? Sta di fatto che mentre i singoli si convertono, i capi che rappresentano le nazioni, dopo forse un momento di simpatia, si chiudono al messaggio cristiano. Come la nazione giudaica così poi l’impero diviene nemico e persecutore della fede. Ma il Libro degli Atti sembra ancora mantenere la speranza in un impero che si apra al messaggio cristiano. Rimane comunque che il messaggio di salvezza direttamente raggiunge gli uomini e ne esige la conversione. Il problema che allora nasce è questo: quale rapporto vi è tra la conversione dei cuori e la vita del mondo, fra la salvezza dei singoli e l’influenza e la missione dei cristiani nel mondo? Si oscilla continuamente fra una Chiesa che deve operare nel mondo e una Chiesa che è ordinata alla salvezza degli uomini e alla vita interiore. Si oscilla e non si trova un giusto equilibrio. Il problema che si pone non sembra risolto da alcuna teologia. La salvezza dell’uomo porta con sé la salvezza del mondo, oppure la salvezza dell’uomo è una separazione dal mondo in cui domina il male? Se di fatto la salvezza dell’uomo, che la fede assicura, operasse realmente anche una salvezza del mondo, il cristianesimo non dovrebbe dichiarare il suo fallimento? Nei confronti di quello che ha compiuto nel mondo, quello che il cristianesimo compie nel segreto dei cuori è infinitamente di più. Certo: vi è un rapporto fra la vita interiore degli uomini e la vita sociale e la storia, tra il mistero che si consuma nell’intimo, la presenza reale del Cristo nei cuori e la vita del mondo; ma qual è il loro rapporto? Qual’è la misura della fecondità della vita interiore nella vita dei popoli e delle nazioni e nella storia dell’umanità? Nessuno sa dircelo; c’è una certa fecondità, ma non realizza nella storia il compimento delle promesse di Dio. Sul piano della storia pubblica delle nazioni il cristiano non può mai pretendere di realizzare una giustizia perfetta, una perfetta concordia, la liberazione dalla guerra, la pace universale... Più che realizzare l’unità, la fede cristiana sembra immediatamente compiere una divisione. Gli uomini che aderiscono al messaggio della salvezza si vengono a trovare in opposizione col mondo e perseguitati dal mondo. Il Libro degli Atti assicura tuttavia l’inseparabilità fra il mondo interiore e la storia, ma non ci dà un criterio per giudicare l’efficacia del messaggio cristiano nella vita della nazioni. Se Paolo sperava qualcosa dalla pubblicità che avrebbe avuto il messaggio nel suo processo dinanzi ai tribunali romani, nella speranza egli rimase deluso. Finché egli stabilisce un rapporto con Gallione può ancora sperare, ma Felice, pur riconoscendo la sua innocenza, non lo libera e attende di avere piuttosto da lui del denaro. Più tardi Paolo si scontrerà con Nerone e sarà ucciso. Quell’impero, per il quale Paolo e anche Luca nutrivano una grande fiducia e col quale speravano iniziare un dialogo, quell’impero diverrà invece Roma, la prostituta delle genti dell’Apocalisse. Negli Atti e nella Lettera ai Romani vi è un’apertura fiduciosa verso Roma, ma nell’Apocalisse il dialogo si è cambiato in un’opposizione violenta. Non solo non si spera più la liberazione e il compimento della missione del cristianesimo attraverso l’impero, al contrario si annuncia la fine dell’impero che si era messo contro la Chiesa. Sussidio n° 3 – Paolo e l’appello a Cesare
(STANCARI P., Le radici del gelso. Dispense 1 ‐ Atti degli Apostoli, 80‐83.) È importante notare che l’atteggiamento di Paolo cambia radicalmente: è un uomo che si difende con gli strumenti giuridici che sono a disposizione dei cittadini romani. Pagina 3 di 4 Lectio divina mensile al Centro Antonianum 2009 – 2010 6° incontro (21.03.2010) Come è possibile questo per una persona che era intenzionata a farsi uccidere a Gerusalemme, che voleva essere un martire? Ora sfida il centurione ed il tribuno, rivendicando la sua cittadinanza romana fin dalla nascita. È un cambiamento di prospettiva che non deve sfuggire: essa dipende dalla comprensione del ruolo di Stefano nella sua vita. Paolo si rende conto che, se non si converte, il martirio è una messa in scena, uno spettacolo. Non è il martirio che fonda la Chiesa, non è la testimonianza data nel nome del Signore Gesù, ma la conversione al vangelo di Gesù. Passeranno anni di prigione durante i quali il grande apostolo è un uomo inchiodato in una prigione in attesa che i suoi accusatori si mettano d’accordo, che i suoi giudici rinuncino alle bustarelle sottobanco, che gli avvocati elaborino le loro perorazioni. È un tempo di macerazione, di silenzio: è il tempo della sua conversione. È un momento decisivo, anche se è solitamente trascurato nella nostra lettura del personaggio e della sua testimonianza all’interno del N.T. Paolo si è reso conto che finché non avrà imparato ad amare, non è certamente affidata a lui la testimonianza mediante la quale il vangelo crescerà. Il tribuno fa preparare delle cavalcature su cui far salire Paolo (23,23‐24). Cosa significa questo? Cavalcature e salire compaiono in due altre occasioni: in Luca 10, nella parabola del Buon Samaritano e in Luca 19, nel racconto d’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Un uomo scendeva da Gerusalemme, incontrò i briganti e fu raccolto da un Samaritano, che lo caricò sulla sua cavalcatura. È quanto sta succedendo a Paolo: egli è un uomo raccattato. Gesù sale su un somaro per entrare in Gerusalemme. Paolo sta lasciando Gerusalemme, ma nella verità profonda delle cose è proprio questo il momento in cui sta seguendo Gesù, il momento in cui ha incontrato il Buon Samaritano, in cui si sta riconoscendo come discepolo di quel maestro maledetto e rifiutato, che è il Signore Gesù, re crocifisso. Il Buon Samaritano lo carica sulla cavalcatura e lo deposita nella locanda, colui che è caricato sulla cavalcatura entra in Gerusalemme insieme a Gesù. Poco importa che nella realtà empirica la situazione sia rovesciata. Sulla strada di Paolo il Buon Samaritano è il Signore Gesù, senza fantasie, senza costruzioni ideologiche, senza prospettive entusiasmanti, senza trionfalismi da parata, senza mascherature menzognere. In Atti 9; 22 e 25, ossia,nei 3 racconti della conversione di Paolo, non si parla mai di cavallo. L’unica volta che si parla di cavalcatura nella storia di Paolo non è quando viene disarcionato, ma quando viene caricato. È la cavalcatura su cui l’ha caricato il Buon Samaritano. C’è qualcuno che lo ha raccolto, che ha compreso dal di dentro la sua situazione, il suo stato di bisogno e c’è qualcuno che ha pagato il prezzo della locanda, quella locanda che per Paolo si configura come una cella. È una locanda nella quale egli è curato, le sue pia‐
ghe sono fasciate, le sue spaccature sono ricucite. C’è qualcuno che si occupa gratuitamente di lui. Così d’altronde è iniziata la sua storia di cristiano. Altro che il cavaliere con la spada sguainata! Paolo si è convertito allora sulla via di Damasco e si sta convertendo proprio oggi, mentre è trattenuto nella sua cella, prima a Gerusalemme poi a Cesarèa. Quando Paolo racconta di nuovo la sua storia, non lo fa per sto‐
riografia o agiografia, ma perché è la sua esperienza attuale: mentre è in carcere, è questo il tempo della sua chiamata a convertirsi, perché questo è il tempo del suo incontro con il Signore. C’è qualcuno che l’ha amato gratuitamente, l’ha perdonato: così Paolo è stato evangelizzato. C’è qualcuno che lo ha amato prima che Paolo avesse qualcosa da pretendere o mostrasse qualche disponibilità al dialogo o, al contrario, disinteresse o disimpegno. Tutto è iniziato per Paolo quando ha ritrovato il volto di Stefano. La Chiesa è fondata sul martirio. Gli Atti aiutano mirabilmente a sfrondare il martirio di tutti gli aspetti agonistici ed atletici a volte attribuito ad esso. Un tempo non si poteva erigere una chiesa se non sulle ossa dei martiri e questo non per gusto macrabo, ma perché non può sussistere la Chiesa se non è stato annunciato il vangelo, ossia, non è stata data testimonianza di un amore che perdona, di un amore che accoglie, di un amore che porta su di sé il peso del male altrui, insieme con la disgrazia propria. L’amore del martire è l’amore di chi scopre che, nella propria disgrazia, può ancora amare, nella propria disgrazia gli è data la forza, lo slancio e la fecondità di un amore che accoglie proprio coloro che gli si sono contrapposti. Pagina 4 di 4