Bollettino -8 - Laboratorio Diritti Fondamentali

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Bollettino -8 - Laboratorio Diritti Fondamentali
COPPIE OMOSESSUALI FORME DI RICONOSCIMENTO
Il “ monito solenne” del Presidente della Corte costituzionale
Già nel Bollettino n. 6 del Luglio del 2012 sottolineavamo come il divieto di discriminazione
sulla base dell’orientamento sessuale abbia un notevole rilievo nella normativa dell’Unione
europea ed anche nella giurisprudenza delle due Corti sovranazionali, quella di Strasburgo e
quella del Lussemburgo, e come la giurisprudenza interna segua sempre più spesso gli
orientamenti di queste Corti pur in assenza di una legislazione italiana ad hoc. E’ opportuno
tornare sull’argomento a partire dalle solenni parole pronunciate dal Presidente della Corte
costituzionale Franco Gallo il 12 aprile 2013, in occasione delle relazione sull’attività della Corte
nel 2012. Il Presidente Gallo ha ricordato che la Corte costituzionale nella sentenza n.
138/2010, pur escludendo l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione
dell’istituto matrimoniale alle sole unioni tra uomo e donna, ha però affermato che due persone
delle stesso sesso hanno comunque il “ diritto fondamentale “ di ottenere il riconoscimento
giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione, nei modi e nei limiti che
spetta al Parlamento stabilire.
Il monito è rimasto sino ad oggi inascoltato, ma la sentenza ha influito sulla decisione della
Corte di cassazione in un caso rilevante di cui più avanti, ed anche su altre decisioni di
legittimità e di merito. Va anche ricordato come nella decisione del 2010 la Corte costituzionale
avesse sottolineato che anche l’unione omosessuale deve essere considerata come una
formazione sociale ai sensi dell’art. 2 della Costituzione “sicché, in relazione a particolari
ipotesi, la stessa Corte può intervenire a tutela di specifiche situazioni, ove si riscontri la
necessità di un trattamento omogeneo tra le condizioni di una coppia coniugata e quella di una
coppia omosessuale, in applicazione del criterio di ragionevolezza, come avvenuto con le
convivenze more uxorio”.
Le informazioni sulla normativa in vigore nei paesi dell’Unione europea, che i quotidiani a
diffusione nazionale hanno pubblicato in questi giorni e durante le recenti elezioni politiche,
fotografano l’eccezionalità “negativa” del nostro paese, che rimane uno dei pochissimi paesi
(tra cui Grecia e Polonia) totalmente privo di una regolazione legislativa della materia. Al
contrario, paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna si stanno attrezzando per modificare
la loro legislazione in senso più marcatamente egualitario e antidiscriminatorio,
indipendentemente dalla loro connotazione politica: i cambiamenti sono stati infatti promossi
sia da governi conservatori come quello di Cameron sia da governi a conduzione socialista
come quello di Hollande. La tendenza al riconoscimento del diritto al matrimonio, o quanto
meno ad un riconoscimento di un’unione stabile tra coppie omosessuali protetta da una efficace
legislazione antidiscriminatoria (cosi’ da consentire l’accesso di tali coppie ai più significativi
diritti ed opportunità riconosciuti alle famiglie tradizionali), non è una tendenza solo europea,
ma globale: basti pensare all’Argentina, all’Uruguay, al Canada, al Sudafrica etc.
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La sentenza della Corte di Strasburgo del 19.2.2013 X e altri c. Austria
Il 19 Febbraio di quest’anno è intervenuta una importante decisione della Grande Camera della
Corte dei diritti umani (X e altri contro Austria), che ha accertato la violazione dell’art. 14 della
Convenzione (divieto di discriminazione) in relazione all’art. 8 della stessa Convenzione (che
stabilisce il principio del rispetto della vita privata e familiare) in un caso riguardante il
controverso tema dell’adozione da parte di una coppia omosessuale. L’Austria è stata infatti
condannata per non aver accolto la richiesta, avanzata da due donne unite da una relazione di
fatto e dal figlio allora dodicenne di una delle due, di consentire l’adozione (cosiddetta
“coparentale”) del figlio minore di una delle due donne da parte della sua compagna, così da
poter ottenere l’esercizio della potestà genitoriale congiunta. Nella sentenza E.B. contro Francia
del 22.1.2008 la Corte aveva già affermato il principio per cui, ove sia prevista l’adozione da
parte di persone sole, questa non può essere preclusa ad alcuno sulla base del suo orientamento
sessuale. Il quadro di riferimento del ragionamento della Corte di Strasburgo rimane tuttavia il
principio affermato da ultimo con la decisione Schalk e Kopf c. Austria del 24.6.2010, secondo cui
da un lato non sussiste alla luce del diritto convenzionale un obbligo per gli Stati di ammettere
al matrimonio le coppie omosessuali in mancanza di un consenso tra gli Stati aderenti, ma
dall’altro la relazione delle coppie omosessuali rientra nella nozione di famiglia. Nella sentenza
X c. Austria del 19 febbraio 2013 invece viene in gioco una discriminazione subita da una
coppia in ragione dell’orientamento sessuale dei partners. La Corte rileva una disparità di
trattamento ingiustificabile operata dalla legislazione austriaca, in quanto questa autorizza
all’adozione le coppie eterosessuali, anche se non registrate, escludendo, invece, quelle
omosessuali proprio in ragione del loro orientamento sessuale e non per l’informalità
dell’unione (a nulla sarebbe giovato alla coppia “istituzionalizzare” la loro unione). Sul punto i
Giudici di Strasburgo sottolineano quattro principi importanti: in primo luogo, non vi è alcuna
evidenza scientifica od empirica che porti a ritenere le coppie omosessuali inidonee all’
affidamento congiunto di un minore; in secondo luogo, la volontà di proteggere e promuovere
la famiglia “tradizionale” è un legittimo scopo per gli Stati nazionali, ma non può essere
perseguito attraverso modalità che concretino ingiustificate forme di discriminazione; in terzo
luogo, il margine di apprezzamento di cui godono i paesi aderenti alla Convenzione europea
dei diritti umani è molto ristretto quando è in gioco l’art. 14 della Convenzione. Una volta che il
singolo Stato abbia adottato determinate scelte legislative nelle delicatissima materia familiare e
matrimoniale, tali scelte non possono comportare disparità di trattamento fondate su pregiudizi
discriminanti in ragione, tra l’altro, dell’orientamento sessuale. Infine, la Corte rimarca che
l’ordinamento austriaco finisce con il trascurare un aspetto, ormai considerato cruciale dalla
giurisprudenza delle due Corti sovra-nazionali in materia familiare, cioè l’interesse prevalente
del minore; questo non è preso in considerazione dalla normativa austriaca, che non considera
il punto di vista del minore ”adottando”. Si tratta di quattro affermazioni molto forti, che
avranno una sicura incidenza sugli orientamenti legislativi dei 47 paesi del Consiglio d’Europa,
stante il loro obbligo di adeguarsi alla giurisprudenza della Corte europea. Nell’immediato
tuttavia questa sentenza non avrà effetti in Italia, ma se il nostro paese - accedendo anche al
solenne invito del presidente della Corte costituzionale Gallo - dovesse avviarsi quanto meno
sulla strada di una legislazione sulle unione civili aperta alle coppie omosessuali, allora le
indicazioni della Corte di Strasburgo dovranno orientare anche le nostre scelte legislative.
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La sentenza n. 601/2013 della Corte di cassazione
Grande risalto ha avuto sui media nazionali una sentenza della Cassazione del gennaio del 2013
(la n. 601). Il caso riguardava la richiesta di un padre, di religione musulmana, di annullare la
decisione, confermata da una Corte di appello, di affidare in via esclusiva il figlio minore alla
madre. Il padre ricorrente deduceva in particolare che l’ambiente familiare ove era stato inserito
il bambino fosse inadatto (anche dal punto di vista culturale e religioso) alla sua educazione, in
quanto la donna era stabilmente legata in una convivenza con un’altra donna. La Corte di
cassazione ha precisato che il mero legame omosessuale tra la madre ed un’altra donna non
poteva di per sé costituire un motivo per stabilire che tale ambiente familiare fosse nocivo per
l’educazione del minore ed ha aggiunto che alla base delle doglianze del padre “non sono poste
certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per
l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia
omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità
di quel contesto familiare per il bambino”. E’ evidente, nonostante la caute affermazioni della
Corte di legittimità, il richiamo all’orientamento offerto dalla Corte costituzionale e dalla Corte
europea dei diritti umani e cioè l’esigenza di salvaguardare le coppie omosessuali dai pregiudizi
e dalle discriminazioni e di fondare ogni scelta in materia di affidamento di minori sugli effettivi
interessi del bambino (oggetto di una specifica tutela anche all’art. 24 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea).
Brevi cenni comparatistici
Sul piano del confronto comparatistico tra paesi occidentali vi sono alcuni ordinamenti che
riconoscono agli omosessuali il diritto di sposarsi, mentre altri consentono soltanto la
registrazione dell'unione civile delle coppie composte da persone dello stesso sesso e altri
ancora manifestano una chiusura totale. Principalmente le differenze tra matrimonio e unioni
civili risiedono nella possibilità, riconosciuta al primo, ma non estesa alle seconde, di
disciplinare il proprio rapporto sentimentale con effetti giuridici che possono essere fatti valere
nei confronti dello Stato e di terzi. Mentre l'unione civile è una forma di convivenza legalizzata
tra soggetti, dello stesso o di diverso genere, non uniti in matrimonio, ai quali possono venire
estesi analoghi benefici riconosciuti alle coppie sposate. In un primo tempo le legislazioni
nazionali si erano orientate a riconoscere alle persone omosessuali la possibilità di registrare la
loro unione. A questo proposito si ricorda l'introduzione del Pacte Civil de Solidaritè in Francia
nel 1999 la cui sottoscrizione è aperta sia alle coppie eterosessuali sia a quelle omosessuali, delle
unioni civili registrate (Eingetragene Lebenspartnerschaf) in Germania nel 2001, delle Civil Union nel
Regno Unito di Gran Bretagna nel 2004.
Per quel che concerne le Lebenspartnerschaf seppure non esista un esplicito intervento legislativo
di equiparazione, tanto la giurisprudenza federale tedesca (con le sentenze della Corte
costituzionale federale del 29 agosto 2011 e del 21 luglio 2010) quanto quella comunitaria (con
le sentenze Tadao Maruko e Römer) hanno stabilito che nel diritto tedesco le unioni civili
aperte alle sole coppie omosessuali vanno giuridicamente equiparate al matrimonio. Si tratta
dell'applicazione del principio di non discriminazione previsto tanto dall'art. 3 della Grund
Gesetz, quanto dall'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Recentemente il Parlamento francese ha approvato una legge (“Mariage pour couples de personnes de
même sexe”) che riconosce il diritto al matrimonio e alla adozione alle coppie omosessuali e un
progetto in tal senso (Marriage (Same Sex Couples) Bill) è in discussione nel Regno Unito. Il
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matrimonio tra persone dello stesso sesso è ammesso in molti Stati (Argentina, Belgio, Canada,
Danimarca, Islanda, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Sudafrica, Spagna, Svezia)
attraverso pronunce giurisprudenziali ovvero interventi legislativi. Uno tra i più interessanti tra
questi ultimi riguarda la scelta del legislatore spagnolo di intervenire sul diritto positivo esistente
attraverso una semplice modificazione terminologica nella legislazione. In Spagna, l'intervento
legislativo si è limitato ad una sostituzione terminologica da parte della della Ley 13/2005,
istitutiva del matrimonio “sexualmente indiferenciado”. Essa ha sostituito i vocaboli propri dei ruoli
nella coppia eterosessuale “marido y mujer” con i termini neutri di “cónyuge” e di “consorte”.
Attraverso questa operazione il legislatore spagnolo è intervenuto sui componenti della coppia
invece che riformare completamente l'istituto. Questa scelta ha avuto una duplice valenza: da
un lato, distaccare il concetto di matrimonio dalla sua natura di istituto riservato a una coppia di
persone di sesso diverso per trasformarlo in uno strumento di realizzazione personale e
affettiva in condizioni di uguaglianza; dall'altro lato, adattarlo alla mutata sensibilità sociale. La
valenza politica della scelta terminologica è stata illustrata come il raggiungimento
dell'eguaglianza sostanziale attraverso l'assenza di espliciti riferimenti di genere.
L'ordinamento statunitense, invece, viaggia su un doppio binario: quello statale, competente per
la materia matrimoniale, e quello federale, che conosce il Defense of Marriage Act (DOMA). Il
DOMA è una legge entrata in vigore nel 1996 durante l'Amministrazione Clinton allo scopo di
“define and protect the institution of marriage”. Esso esplicitamente prevede che il matrimonio possa
essere celebrato soltanto tra un uomo e una donna. Il DOMA è al centro di diverse dispute
giudiziarie combattute sia a livello federale sia a livello statale. Infatti, la United States District
Court for the Northern District of California, nel caso Golinski v. United States Office of Personnel
Management, ha stabilito che le coppie coniugate dello stesso sesso non possono essere
discriminate nell'erogazione dei benefici sanitari riconosciuti alle coppie sposate eterosessuali.
Tuttavia, il contenzioso più noto in materia concerne la nota “Proposition n. 8”, che riguarda il
referendum popolare tenutosi nel novembre 2008 sull'introduzione nella Costituzione dello
Stato della California della specifica previsione che il matrimonio possa essere celebrato solo tra
un uomo e una donna. A questo proposito, la US Court of Appeals for the Ninth Circuit nella causa
Perry v. Brown ha stabilito con una maggioranza di due giudici a uno che il referendum sulla c.d.
Proposition n. 8 è incompatibile con le Due Process and Equal Protection Clauses previste dal XIV
Emendamento della Costituzione federale. La questione non è ancora conclusa perché su di
essa si pronuncerà la Corte Suprema, presumibilmente nel prossimo mese di giugno 2013.
Occorre, in conclusione, che il nuovo Parlamento, raccogliendo l’invito del Presidente della
Corte costituzionale, intervenga con una legge organica che introduca, quanto meno,
un’efficace e trasparente normativa antidiscriminatoria, non essendo più sufficienti singoli
provvedimenti giurisprudenziali, riferiti necessariamente a casi concreti e quindi inidonei ad
assicurare la necessaria certezza e stabilità della disciplina.
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